Nella rassegna stampa di oggi:
1) Discorso di Benedetto XVI al Movimento per la Vita
2) Chi si rivede, l'aborto, di Giuliano Ferrara
3) L’eutanasica Svizzera si preoccupa dei diritti e della dignità delle piante
4) Per criticare il buono scuola bisogna prima comprenderne gli obiettivi
5) Appunti per una scuola che non sia più schiava degli apparati ministeriali
6) Emergenza cibo, la speculazione affama il mondo
7) GLI APPELLI DI BENEDETTO XVI E DEL CAPO DELLO STATO - QUELLE VOCI SIMMETRICHE CI INDICANO LA VERÀ PRIORITÀ, di Marina Corradi
Discorso di Benedetto XVI al Movimento per la Vita
CITTA' DEL VATICANO, lunedì, 12 maggio 2008 (ZENIT.org).- Riportiamo di seguito il discorso pronunciato da Benedetto XVI nel ricevere questo lunedì in udienza i membri del Movimento per la Vita.
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Cari fratelli e sorelle,
con vivo piacere vi accolgo quest’oggi, e a ciascuno di voi rivolgo il mio cordiale saluto. In primo luogo, saluto Mons. Michele Pennisi, Vescovo di Piazza Armerina, e i sacerdoti presenti. Un saluto speciale indirizzo all’Onorevole Carlo Casini, Presidente del Movimento per la Vita, e sentitamente lo ringrazio per le gentili parole che mi ha indirizzato a nome vostro. Saluto i membri del Direttivo nazionale e della Giunta esecutiva del Movimento per la vita, i Presidenti dei Centri di aiuto alla vita e i responsabili dei vari servizi, del Progetto Gemma, di Telefono verde, SOS Vita e Telefono rosso. Saluto, inoltre, i rappresentanti dell’Associazione Papa Giovanni XXIII e di alcuni Movimenti per la vita europei. Attraverso di voi, qui presenti, il mio pensiero affettuoso si estende a coloro che, pur non potendo intervenire di persona, sono spiritualmente a noi uniti. Penso specialmente ai tanti volontari che, con abnegazione e generosità, condividono con voi il nobile ideale della promozione e della difesa della vita umana fin dal suo concepimento.
La vostra visita cade a trent’anni da quando in Italia venne legalizzato l’aborto ed è vostra intenzione suggerire una riflessione approfondita sugli effetti umani e sociali che la legge ha prodotto nella comunità civile e cristiana durante questo periodo. Guardando ai passati tre decenni e considerando l’attuale situazione, non si può non riconoscere che difendere la vita umana è diventato oggi praticamente più difficile, perché si è creata una mentalità di progressivo svilimento del suo valore, affidato al giudizio del singolo. Come conseguenza ne è derivato un minor rispetto per la stessa persona umana, valore questo che sta alla base di ogni civile convivenza, al di là della fede che si professa.
Certamente molte e complesse sono le cause che conducono a decisioni dolorose come l’aborto. Se da una parte la Chiesa, fedele al comando del suo Signore, non si stanca di ribadire che il valore sacro dell’esistenza di ogni uomo affonda le sue radici nel disegno del Creatore, dall’altra stimola a promuovere ogni iniziativa a sostegno delle donne e delle famiglie per creare condizioni favorevoli all’accoglienza della vita, e alla tutela dell’istituto della famiglia fondato sul matrimonio tra un uomo e una donna. L’aver permesso di ricorrere all’interruzione della gravidanza, non solo non ha risolto i problemi che affliggono molte donne e non pochi nuclei familiari, ma ha aperto una ulteriore ferita nelle nostre società, già purtroppo gravate da profonde sofferenze.
Tanto impegno, in verità, in questi anni è stato profuso, e da parte non solo della Chiesa, per venire incontro ai bisogni e alle difficoltà delle famiglie. Non possiamo però nasconderci che diversi problemi continuano ad attanagliare la società odierna, impedendo di dare spazio al desiderio di tanti giovani di sposarsi e formare una famiglia per le condizioni sfavorevoli in cui vivono. La mancanza di lavoro sicuro, legislazioni spesso carenti in materia di tutela della maternità, l’impossibilità di assicurare un sostentamento adeguato ai figli, sono alcuni degli impedimenti che sembrano soffocare l’esigenza dell’amore fecondo, mentre aprono le porte a un crescente senso di sfiducia nel futuro. E’ necessario per questo unire gli sforzi perché le diverse Istituzioni pongano di nuovo al centro della loro azione la difesa della vita umana e l’attenzione prioritaria alla famiglia, nel cui alveo la vita nasce e si sviluppa. Occorre aiutare con ogni strumento legislativo la famiglia per facilitare la sua formazione e la sua opera educativa, nel non facile contesto sociale odierno.
Per i cristiani resta sempre aperto, in questo ambito fondamentale della società, un urgente e indispensabile campo di apostolato e di testimonianza evangelica: proteggere la vita con coraggio e amore in tutte le sue fasi. Per questo, cari fratelli e sorelle, domando al Signore di benedire l’azione che, come Centro di Aiuto alla Vita e come Movimento per la Vita, voi svolgete per evitare l’aborto anche in caso di gravidanze difficili, operando nel contempo sul piano dell’educazione, della cultura e del dibattito politico. E’ necessario testimoniare in maniera concreta che il rispetto della vita è la prima giustizia da applicare. Per chi ha il dono della fede questo diventa un imperativo inderogabile, perché il seguace di Cristo è chiamato ad essere sempre più "profeta" di una verità che mai potrà essere eliminata: Dio solo è Signore della vita. Ogni uomo è da Lui conosciuto e amato, voluto e guidato. Qui soltanto sta l’unità più profonda e grande dell’umanità, nel fatto che ogni essere umano realizza l’unico progetto di Dio, ognuno ha origine dalla medesima idea creatrice di Dio. Si comprende pertanto perché la Bibbia afferma: chi profana l’uomo, profana la proprietà di Dio (cfr Gn 9,5).
Quest’anno ricorre il 60° anniversario della Dichiarazione dei Diritti dell’uomo il cui merito è stato quello di aver permesso a differenti culture, espressioni giuridiche e modelli istituzionali, di convergere attorno ad un nucleo fondamentale di valori e, quindi, di diritti. Come ho recentemente ricordato, nella mia visita all’ONU, ai membri delle Nazioni Unite, "i diritti umani debbono essere rispettati quali espressione di giustizia e non semplicemente perché possono essere fatti rispettare mediante la volontà dei legislatori. La promozione dei diritti umani rimane quindi la strategia più efficace per eliminare le disuguaglianze fra Paesi e gruppi sociali, come pure per un aumento della sicurezza". Per questo è oltremodo lodevole anche il vostro impegno nell’ambito politico come aiuto e stimolo alle Istituzioni, perché venga dato il giusto riconoscimento alla parola "dignità umana". La vostra iniziativa presso la Commissione per le Petizioni del Parlamento Europeo, nella quale affermate i valori fondamentali del diritto alla vita fin dal concepimento, della famiglia fondata sul matrimonio di un uomo e una donna, del diritto di ogni essere umano concepito a nascere e ad essere educato in una famiglia di genitori, conferma ulteriormente la solidità del vostro impegno e la piena comunione con il Magistero della Chiesa, che da sempre proclama e difende tali valori come "non negoziabili".
Cari fratelli e sorelle, incontrandovi il 22 maggio del 1998, Giovanni Paolo II vi esortava a perseverare nel vostro impegno di amore e difesa della vita umana, e ricordava che, grazie a voi, tanti bambini potevano sperimentare la gioia del dono inestimabile della vita. Dieci anni dopo, sono io a ringraziarvi per il servizio che avete reso alla Chiesa e alla società. Quante vite umane avete salvato dalla morte! Proseguite su questo cammino e non abbiate paura, perché il sorriso della vita trionfi sulle labbra di tutti i bambini e delle loro mamme. Affido ognuno di voi, e le tante persone che incontrate nei Centri di aiuto alla vita, alla materna protezione della Vergine Maria, Regina della Famiglia, e mentre vi assicuro il mio ricordo nella preghiera, di cuore benedico voi e quanti fanno parte dei Movimenti per la Vita in Italia, in Europa e nel mondo.
[© Copyright 2008 - Libreria Editrice Vaticana]
13 maggio 2008
Chi si rivede, l'aborto, di Giuliano Ferrara
Dal Foglio.it
Ne parla il Capo dello Stato, che preferisce la rimozione delle cause materiali e il parto. Ne parlano le ministre, con accenti diversi. Ne parla autorevolmente il Papa. E il cardinale Martino è per la moratoria. E Fazio?
Chi si rivede, l’aborto. Il Capo dello Stato ha risposto alla lettera della giovane che voleva abortire ma non aveva i soldi per farlo, e poi è tornata sulla sua decisione dicendo che comunque allo stato l’alternativa tra un figlio e una interruzione volontaria di gravidanza non è molto chiara, in termini di politiche pubbliche. Napolitano ha fatto bene la sua parte, e le ministre del governo si sono messe sulla sua scia, più interventista e antiabortista la Giorgia Meloni, più attenta alla difesa della 194 la Mara Carfagna. Intanto il Papa, ricevendo i volontari del Movimento per la vita, ha ripetuto la tradizionale condanna delle legislazioni abortiste, 194 compresa, della chiesa cattolica. E ha aggiunto, dato inconfutabile, che quelle legislazioni hanno promosso (secondo noi perfino tradendo il dettato della legge di “tutela sociale della maternità” votata di questi tempi trent’anni fa) una cinica mentalità di disprezzo per la vita umana. Che sarebbe confermata dalle cattive notizie provenienti da una rivelazione del Mattino di Napoli: un’altra rete di aborti clandestini, come quella di Genova. Il cardinale Raffaele Martino ha rivendicato con sicurezza la sua posizione favorevole alla moratoria dell’aborto, da varare in sede Onu. Una posizione abbracciata da Silvio Berlusconi, prima che l’esclusione delle questioni etiche dalla campagna elettorale, per decisione bipartisan, chiudesse la questione. Fervono le polemiche, come si dice, e molte chiacchiere.
Noi qui vogliamo porre un problema. Che orientamento culturale ha, in materia, la persona che come sottosegretario alla Salute, nell’ambito del ministero del Welfare, dovrebbe occuparsi del problema? Si chiama Ferruccio Fazio, è un medico, ma sta tenendo un contegno estremamente riservato e non risponde alle sollecitazioni. L’Italia è uno strano paese. Il ministro uscente ha appena varato linee guida per l’applicazione della legge 40 sulla fecondazione assistita che hanno suscitato roventi polemiche: il partito pro life le considera un via libera all’aborto selettivo ed eugenetico in vitro, una violazione della lettera e dello spirito della legge, votata dal Parlamento dopo quasi due decenni di esame e confermata da un referendum nel 2005. La regione Lombardia ha ingaggiato un braccio di ferro con il giudice amministrativo sul protocollo della Mangiagalli, che impone una revisione della soglia entro la quale sono autorizzati gli aborti terapeutici in relazione ai progressi della neonatologia, una branca medica che si riunisce in questi giorni a convegno dopo spettacolari polemiche dei mesi scorsi. E’ in cantiere la liberalizzazione della pillola Ru486. In tutto questo risulta impossibile conoscere l’orientamento etico e la cultura scientifica del sottosegretario che nel governo assolverà alle funzioni di ministro della Salute. Non è cosa seria, mentre la faccenda è terribilmente seria.
L’eutanasica Svizzera si preoccupa dei diritti e della dignità delle piante
Nel paese che prepara il no morale agli ogm, che certifica l’esistenza della “dignità della pianta” e l’obbligo per chi desidera un animale da compagnia di seguire corsi di formazione ad hoc, è singolare come tanta tutela per i più deboli non coinvolga anche gli esseri umani…
Lunga vita all’asparago e guai a chi lo tocca. Per non parlare dei fiorellini di campo che, secondo la Commissione di etica biotecnologica non umana della Confederazione elvetica, non andrebbero mai sradicati mentre crescono liberi e felici tra le barbabietole. Sarebbe, dice l’organismo parlamentare svizzero, “un atto immorale” del contadino. La Commissione ha appena licenziato un documento senza precedenti nel suo genere: “La dignità degli essere viventi e in particolar modo delle piante” è il titolo del rapporto che la Commissione ha appena reso noto. Si tratta di un lavoro commissionato dal Parlamento elvetico all’indomani dell’approvazione – qualche anno fa – di un emendamento alla Costituzione che sanciva l’obbligo per tutti i cittadini “di prendersi cura della dignità del creato in relazione al modo di trattare animali, piante e altri organismi”. L’esempio dei fiori di campo è effettivamente nel documento. Se un agricoltore, tornando verso casa dal suo campo, nota un fiorellino selvatico e lo “decapita”, commette “un atto immorale” sebbene non si capisca “se questa azione sia da condannare perché con il suo gesto l’agricoltore esprime una posizione morale contro altri organismi o se non lo sia per il semplice fatto che stia facendo qualcosa di male ai fiori”. Del caso del rapporto di bioetica floreale si è occupata la rivista Nature, assai favorevole, e il settimanale conservatore americano Weekly Standard, che invece non ha risparmiato le proprie critiche all’idea di sancire diritti positivi per le piante “anche quando le azioni contro di loro non compromettono l’equilibrio o la sopravvivenza di una specie vegetale”, come specifica lo stesso documento svizzero. Il parallelo proposto da Wesley Smith, ricercatore del Discovery Institute di Seattle e collaboratore dello Standard, è quello con l’affermazione, nei decenni passati, dei diritti degli animali, primo passaggio di una cultura che tende a equiparare la dignità dell’uomo con quella degli altri esseri viventi fino a rovesciare la prospettiva, trasformando il genere umano nel principale nemico della natura. La definizione dell’ambientalista oltranzista Paul Watson, leader della Sea Shepherd Conservation Society, secondo il quale “l’uomo è l’Aids della Terra” è l’esempio più calzante di questa tendenza. Per Nature, al contrario, la mossa degli esperti di Berna è soltanto l’inizio di un trend positivo di conservazionismo ambientale che presuppone il rigetto degli organismi geneticamente modificati: “La commissione svizzera mostra efficacemente con pochi esempi concreti quali siano gli interventi ammissibili dell’uomo sulla natura e quali invece costituiscano un vero insulto alla dignità delle piante. La Commissione non cita esplicitamente le modificazioni genetiche degli organismi, ma quel che emerge dalla sua maggioranza è senza dubbio la tendenza a considerare una ‘limitazione dell’indipendenza’ delle piante un intervento che ne distorca il codice genetico, magari per impedirne la riproduzione”. Così, nel paese che prepara il no morale agli ogm, che certifica l’esistenza della “dignità della pianta” e l’obbligo per chi desidera un animale da compagnia di seguire corsi di formazione ad hoc, è singolare come tanta tutela per i più deboli non coinvolga anche gli esseri umani. A cogliere la contraddizione è l’attivista pro life americano Michael Baggott, che sul magazine Lifesitenews. com ricorda come la Svizzera abbia legalizzato l’aborto nel 2002 concedendo ampi margini di discrezionalità nella decisione di sopprimere una vita umana in divenire.
di Alan Patarga
Il Foglio 11 maggio 2008
Per criticare il buono scuola bisogna prima comprenderne gli obiettivi
Lorenza Violini13/05/2008
Autore(i): Lorenza Violini. Pubblicato il 13/05/2008 – IlSussidiario.net
La critica che viene mossa al buono scuola è in sintesi la seguente: il buono scuola viene assegnato ex post e a famiglie che hanno già deciso di mandare i propri figli alle scuole private. Pertanto, è uno strumento inefficace (non serve a influenzare le scelte delle famiglie, che hanno già deciso) e inutile (la copertura delle rette di iscrizione è solo parziale). Lo strumento sarebbe inoltre regressivo, perché andrebbe alle famiglie più ricche, quelle che possono permettersi di sostenere i costi delle rette scolasiche. Infine, la gran parte delle risorse sarebbero “incamerate” dalle famiglie e non dalle scuole private, che non hanno aumentato significativamente le rette; in particolare, stando alle stime di Brunello-Checchi (2005), basate peraltro sui soli dati di due anni del buono scuola lombardo, quelli di avvio della politica (2000-2002), solo il 17% di tale politica avrebbe recato vantaggio alle scuole (che avrebbero aumentato le rette) mentre il restante 83% sarebbe restato nell’ambito dei bilanci familiari a parziale ristoro di quanto le famiglie hanno speso per la retta dei loro figli.
Tali giudizi difettano essenzialmente nella comprensione dell’obiettivo dell’istituto del buono scuola. Il buono scuola in Lombardia ha una finalità che non è dirigistica (convincere le persone ad andare nelle scuole private) né assistenzialistica (supportare le famiglie più povere), bensì sussidiaria. Gli obiettivi dichiarati al momento dell’istituzione del buono scuola erano, infatti, legati in primo luogo all’affermazione anche nel settore dell’istruzione del principio di sussidiarietà, della libertà di scelta delle famiglie, della realizzazione di una vera parità tra scuole statali e private e, in seconda istanza, la rimozione, almeno parziale, degli ostacoli alla frequenza scolastica da parte degli studenti di famiglie in condizioni economiche svantaggiate. Tale ultimo obiettivo è stato perseguito dalla Regione in parte con il buono scuola stesso, che copre fino al 50% delle rette per le famiglie meno abbienti, e in parte con gli strumenti tipici del Diritto alla Studio Ordinario, come le borse di studio previste dalla legge n. 62/2000, gli assegni di studio e i fondi per l’acquisto dei libri di testo. In sostanza, il buono scuola nasce dalla considerazione che le famiglie che mandano i propri figli alle scuole private sono sottoposte ad una specie di “doppia tassazione”: una volta con versamenti alla fiscalità generale, che finanzia le scuole pubbliche, ed una volta sottoforma di retta scolastica.
Se questo è il background all’interno del quale matura l’obiettivo dell’istituzione del buono scuola, si può dire che essa abbia ottenuto risultati molto positivi. In primis, il fatto che le risorse servano a finanziare le famiglie è assolutamente coerente con lo scopo di questa politica (“restituire” parte delle risorse spese per l’istruzione dei figli) che attualmente copre una buona percentuale degli iscritti alle scuole paritarie; nell’a.s. 2005/06, oltre 65.000 studenti hanno ricevuto il buono scuola (dato, in valore assoluto, degli iscritti alle scuole non statali primarie, secondarie di I e II grado in Lombardia nell’a.s. 2005/06 è pari a 88.766 studenti - fonte: Ministero della Pubblica Istruzione, www.pubblica.istruzione.it). Il contributo medio per studente è passato da 637 euro del 2000/2001 agli 823,24 euro del 2005/2006. Nell’ultimo anno preso in considerazione la Regione ha erogato buoni scuola per 44.826.342,00 euro. I nuclei familiari coinvolti sono costituiti mediamente da 3,7 componenti mentre il 45,21% sono famiglie con 4 componenti. Da ciò si evince come, in generale, si tratta di famiglie relativamente numerose rispetto alla media nazionale. Tra le famiglie censite, è insignificante il dato delle famiglie con più di due redditi (0,57%).
In sostanza, la maggior parte delle famiglie che hanno deciso in questi anni di mandare i figli alle scuole private è stata aiutata dalla Regione Lombardia, con un contributo che non ha la pretesa di “incentivare” la scelta, ma di sostenerla secondo una logica di sussidiarietà e non di pianificazione. Alcuni studi recenti (si veda Violini et al., 2007 ) dimostrano poi come il reddito medio dei percettori del buono scuola sia nei fatti coerente con il reddito medio delle famiglie lombarde. Non è dunque vero che il buono scuola sia attribuito prevalentemente a famiglie mediamente più ricche rispetto alla popolazione; e, invero, il 72% delle famiglie beneficiarie è risultato appartenere a classi di reddito inferiori ai 25 mila Euro.
Dall’analisi dei dati si evince come, per quanto concerne l’ipotizzato innalzamento della retta media, esso si è effettivamente realizzato, ma è da riferire solo alla prima edizione del buono scuola (in quanto le scuole private si trovavano a vivere in una congiuntura economica sfavorevole), mentre nei tre anni successivi si è registrato un andamento della retta non soltanto sostanzialmente di equilibrio, ma al di sotto dell’indice inflativo. Anche le scuole hanno dunque tratto vantaggi indiretti da questa politica, come è testimoniato dal fatto che in Lombardia la mortalità delle scuole private è assai meno alta che nel resto del Paese.
Tutto ciò posto, poiché esistevano alcuni problemi di tipo pratico/tecnico quali, ad esempio, la necessità di formulare più domande per accedere a servizi di diritto allo studio diversi dal buono scuola e la ricezione del contributo ex post, la Regione Lombardia ha avviato un processo di ripensamento delle proprie politiche, per renderle tutte coerenti con lo spirito del buono scuola (sussidiarietà) e per migliorare questi aspetti pratici: è il progetto della cosiddetta “dote scuola”, che ha avviato un processo di razionalizzazione il sistema, trasformandolo in contributi ex ante da attribuirsi sia agli allievi delle scuole pubbliche sia a quelli delle private.
Appunti per una scuola che non sia più schiava degli apparati ministeriali
Giovanni Cominelli13/05/2008
Autore(i): Giovanni Cominelli. Pubblicato il 13/05/2008 – IlSussidiario.net
A quali condizioni il sistema educativo nazionale può tornare ad essere motore dello sviluppo economico-sociale del Paese, fornire ai nostri ragazzi competenze all’altezza della terza rivoluzione industriale? Sono almeno quattro, e non da oggi. Sono i punti di un’agenda di riforme per lo più disattesa da molti anni a questa parte.
In primo luogo, una modifica dell’architettura istituzionale del sistema. Appartengono a questo capitolo radicali autonomie scolastiche e Fondazioni, federalismo scolastico, abolizione del Ministero dell’Istruzione, valutazione esterna degli studenti, degli insegnanti, dei dirigenti, delle scuole e conseguente ranking nazionale, abolizione del valore legale del titolo di studio. Nel secondo capitolo stanno il core-curriculum, la definizione e la certificazione delle competenze-chiave. Il terzo prevede un nuovo ordinamento: ancora lo schema 5+3+5, nonostante che la scuola media sia divenuta il buco nero del sistema? due o tre canali? Il quarto riguarda la formazione, il reclutamento, la gestione del personale. Inutile dire che questi sono capitoli dello stesso libro. Non si possono scrivere tutti insieme, non certo nel corso di una sola legislatura. Eppure la collocazione di una tessera del puzzle presuppone che si preveda dove si metterà l’altra. Le riforme di un sistema complesso non accadono random.
La proposta di legge di Mariastella Gelmini volta a promuovere il merito coglie, per quanto riguarda la scuola, tre punti tradizionali dell’elaborazione riformistica degli ultimi dieci anni, quali si possono trovare in Luigi Berlinguer, in Letizia Moratti, nel recentissimo progetto di legge Aprea ed altri, concernente l’autogoverno delle istituzioni scolastiche, la libertà di scelta educativa delle famiglie, la riforma dello stato giuridico dei docenti. Gelmini propone un ranking nazionale per le scuole autonome; l’esercizio di un’effettiva libertà di scelta delle famiglie, garantita dai voucher; una ristrutturazione radicale delle carriere e del reclutamento degli insegnanti. Diversamente da Giavazzi, condivido tutti e tre i punti programmatici, compreso quello sui voucher, che lui contesta, fidandosi ciecamente di affermazioni ideologicamente teleguidate di Daniele Checchi. Ma è bene riflettere sulle ragioni per le quali i progetti di riforma finora non sono stati portati a compimento: non risiedono nella povertà dell’elaborazione programmatica – che è all’altezza di quella europea, da cui ha preso moltissimo -, bensì nella debolezza del governo politico dell’Istruzione. Il governo reale e per niente affatto occulto del sistema educativo nazionale è rappresentato dall’Amministrazione ministeriale e dai sindacati. La politica arriva sempre dopo, costretta ad accettare più o meno obtorto collo le transazioni che si svolgono tra Amministrazione e sindacati o disponibile ad accettarle in cambio di voti. Ma i ministri passano, quel governo resta. Perciò il Ministero si è trasformato in un enorme apparato, che governa dall’alto l’intero sistema “giù per li rami”, che ha trasformato il Ministero in una succursale del Ministero del lavoro per la disoccupazione intellettuale femminile e centro-meridionale, che ha ridotto gli insegnanti a proletariato intellettuale colto, demotivato, depresso.
La politica di Berlusconi e del suo Ministro sarà giudicata dalla volontà/capacità di spezzare quell’asse di governo. Qui più che le idee serve la forza politica.
Emergenza cibo, la speculazione affama il mondo
Angelo Frascarelli13/05/2008
Autore(i): Angelo Frascarelli. Pubblicato il 13/05/2008 – IlSussidiario.net
Un fenomeno totalmente nuovo si è affacciato nell’ultimo anno sulla scena mondiale: la crescita improvvisa dei prezzi dei prodotti agricoli. Basti pensare che il prezzo del riso è passato in tre mesi da 400 a 1.000 dollari a tonnellata. Un fattore nuovo, imprevisto ed eclatante, con una serie di effetti drammatici per le popolazioni più povere del pianeta, che ha suscitato una grande attenzione da parte dei Governi, delle organizzazioni mondiali e dei media. L’Onu ha aperto una unità di crisi per fronteggiare l’emergenza cibo che, secondo il segretario generale Ban Ki Moon «costituisce una sfida mondiale senza precedenti che colpisce i più vulnerabili».
Il dibattito si è concentrato su alcune domande, che si intendono approfondire in questo articolo. Quali sono le cause di questo fenomeno? Quanto potrà durare questa crisi? Quali politiche mettere in atto per contrastare la crisi?
In primo luogo, occorre sottolineare che l’aumento dei prezzi agricoli è stato previsto ampiamente. Semmai, le difficoltà sono nate poiché il fenomeno è avvenuto improvvisamente. Infatti il problema non è tanto l’entità dei prezzi, se si considera che i cereali hanno oggi un prezzo dimezzato in termini reali rispetto al 1975 e gli agricoltori, fino a un anno fa, soffrivano di una forte crisi di reddito. Il problema che preoccupa i cittadini e i Governi è l’impennata improvvisa. Questa crescita repentina non ha consentito ai produttori di aumentare l’offerta nel breve periodo (è noto che in agricoltura l’offerta è rigida perché legata ai cicli biologici). Né ha consentito ai Governi di modificare le loro politiche, le quali erano impostate alle vecchie logiche di contenimento dell’offerta per tutelare i prezzi agricoli a vantaggio degli agricoltori.
Basti pensare che l’Unione europea nel 2007 ha applicato il set aside (ritiro obbligatorio), una politica che esiste dal 1993, che obbliga gli agricoltori alla “non coltivazione” di una percentuale dei seminativi. La superficie sottoposta al ritiro obbligatorio nell'Unione Europea ammontava nel 2007 a 3,8 milioni di ettari. Solo per il 2008, l’Unione europea ha azzerato il set aside, poiché fino a luglio 2007 non si erano manifestati i segnali dell’aumento dei prezzi.
Gli analisti sono abbastanza concordi nell’attribuire l’aumento vertiginoso dei prezzi agricoli a quattro fattori (vedi articolo di Emilio Colombo su questo stesso sito): gli scarsi raccolti degli ultimi anni, l’aumento della domanda di prodotti alimentari dovuta alla crescita della popolazione e allo sviluppo economico di alcuni paesi del sud est asiatico, l’aumento di domanda derivante dai biocarburanti, la speculazione.
Tutti questi fattori sono reali, ma il loro peso specifico è ben diverso tra loro.
Si attribuisce un’importanza eccessiva alla produzione di biocarburanti; si grida allo scandalo per l’utilizzo di prodotti agricoli a fini energetici, quando invece ci sono esseri umani che muoiono di fame per carenza di prodotti alimentari o per il prezzo proibitivo degli stessi. I biocarburanti sono diventati il capro espiatorio e i media hanno organizzato una feroce campagna contro di essi.
La causa dell’aumento dei prezzi non va ricercata nei biocarburanti, ma molto di più negli altri fattori: l’aumento di domanda di prodotti agricoli da parte di Cina e India (questi paesi stanno mangiando molta più carne e ci vogliono 4 Kg di cereali per produrre 1 Kg di carne di maiale e 2 Kg di cereali per produrre 1 Kg di pollo) e gli effetti negativi del clima sui raccolti degli ultimi tre anni.
Ma anche questi ultimi due fattori non avrebbero prodotto l’impennata vertiginosa dei prezzi che si è verificata nell’ultimo anno, se non fosse entrato in gioco un fattore scatenante: le speculazioni finanziarie. Un fenomeno totalmente nuovo, non tanto nella natura (gli investimenti nelle commodities agricole ci sono sempre stati), ma per la sua entità che ha sconvolto l’andamento tradizionale del mercato dei cereali.
Nel 1998 gli investimenti finanziari nelle commodities agricole arrivavano a 10 miliardi di dollari. Nel 2007 a 142 miliardi di dollari. Nel febbraio di quest’anno sono stati lanciati oltre 140 prodotti finanziari che si basano sulle commodities agricole. Di fronte a questi dati, l’effetto dei biocarburanti passa totalmente in secondo piano.
Perché ci sono le speculazioni? Perché ci sono le aspettative e perché il mercato dei cereali è diventato tecnicamente interessante per la finanza internazionale.
Le speculazioni sulle commodities agricole sono partite dopo la crisi dei mutui americani; i grandi investitori hanno cercato altri fonti di investimento per recuperare le perdite subite. L’interesse della grande finanza internazionale per i mercati agricoli è stata favorita dal 2006 dalla possibilità di operare sul mercato delle commodities agricole con sistemi elettronici 24 ore su 24. Un’evoluzione tecnica apparentemente irrilevante, che invece è stata fondamentale per accrescere gli interessi degli speculatori per i mercati agricoli.
A questi fenomeni si aggiunge un altro dato. Il mercato delle commodities è in mano a pochissimi operatori mondiali che sono in grado di influenzare l’offerta di mercato e i prezzi. Infatti la speculazione non può spiegare l’impennata dei prezzi del grano duro, che è un cereale di nicchia nel panorama mondiale (appena il 5% della produzione cerealicola mondiale) e su di esso non sono attivi i prodotti finanziari (mercati a termine). I prezzi si formano sui mercati mondiali dove agiscono pochi operatori, in molti casi agenzie para-governative, i quali sono in grado di governare l’offerta. È un fenomeno simile a quello del petrolio.
E allora, quali politiche possono essere messe in atto?
Le “ricette” sono state le più varie e di segno completamente opposto. Anche le reazioni dei Governi sono state le più scomposte. C’è chi invoca un maggiore protezionismo, come la Francia che chiede di reintrodurre la “preferenza comunitaria”, una politica attivata negli anni ’60, agli albori della Comunità europea, che tutelava i produttori e i consumatori europei, indipendentemente dalle dinamiche dei prezzi mondiali. C’è chi invoca l’abolizione di tutti i sostegni all’agricoltura, chi invoca un maggiore liberismo con l’abolizione di tutte le barriere alla liberalizzazione del commercio mondiale, in particolare l’abolizione delle tasse all’esportazione, che molti Governi hanno attivato per tenere sotto controllo i prezzi interni.
Le politiche devono tener conto delle cause che hanno generato l’aumento dei prezzi. In primo luogo occorre trovare un argine alle immense possibilità speculative della finanza internazionale; non si può accettare il gioco della speculazione quando questa incide sulla vita di milioni di persone; in altre parole occorre limitare le operazioni dei fondi di investimento sul mercato delle commodities agricole.
Inoltre, non vanno abbandonate le politiche agricole; anzi devono essere rinvigorite per mantenere e sviluppare il potenziale agricolo mondiale, allo scopo di garantire l’approvvigionamento adeguato per tutta la popolazione mondiale. Una politica agricola forte non significa però una politica di limitazione degli scambi, che è sempre distorsiva e non permette la migliore allocazione delle risorse, né un ritorno ad una politica protezionistica come vorrebbero i francesi. Ma una politica di sostegno al ruolo insostituibile dell’agricoltura per lo sviluppo delle zone rurali, una politica per la diffusione di tecnologie che permettono la competitività dei sistemi agricoli, accompagnata da una gestione di stock strategici per affrontare le situazioni di crisi dei mercati, eliminando gli ultimi residui di gestione pubblica dei mercati, come le quote e il set aside.
In sintesi l’attuale politica dell’Unione europea, se non cede al ritorno al protezionismo dei francesi, va nella giusta direzione.
In ultimo, va sempre tenuto in considerazione, che la migliore risposta all’“emergenza cibo” può venire sempre dalla capacità degli imprenditori agricoli di reagire ai segnali di mercato, con un aumento della produzione. Nell’Unione europea, i raccolti del 2008 saranno significativamente migliori del 2007, sia per effetto dell’aumento dei prezzi, che ha portato gli agricoltori ad aumentare l’offerta, sia per effetto dell’abolizione del set aside, che porterà sul mercato circa 10 milioni di tonnellate di cereali in più.
Sostenere la capacità dell’uomo di rispondere ai propri bisogni è sempre la strada preferibile. Ma la risposta del mondo produttivo potrebbe non sortire immediatamente gli effetti di un “ritorno alla normalità” sul fronte dei prezzi, se i fenomeni speculativi possono agire liberamente e alterare gli equilibri della domanda e dell’offerta.
GLI APPELLI DI BENEDETTO XVI E DEL CAPO DELLO STATO - QUELLE VOCI SIMMETRICHE CI INDICANO LA VERÀ PRIORITÀ
Avvenire, 13 maggio 2008
MARINA CORRADI
Qualcosa che somiglia a una condivisa preoccupazione. Nel giro di poche ore il Papa e il presidente della Repubblica hanno parlato di aborto e di famiglia. Prima Napolitano, rispondendo alla lettera di una donna che aveva pensato di rinunciare al figlio per le difficoltà materiali che la maternità le poneva. Poi Benedetto XVI, incontrando ieri il Movimento per la Vita a pochi giorni dal trentennale della legge 194. Accenti e sguardi diversi, naturalmente. E tuttavia anche, in alcuni passi, come la traccia di una simmetria. Sia il Papa che Napolitano si sono soffermati sulla insicurezza del lavoro e sulla difficoltà di mantenere dei figli che gravano sulle giovani coppie. Sia il Papa che Napolitano hanno esortato le istituzioni e dunque la politica a rimettere al centro la difesa della vita e della famiglia. Il presidente ha ricordato quella «missione essenziale» sancita dalla Costituzione a «mantenere, istruire ed educare i figli».
È una convergenza, quella fra le parole di Benedetto XVI e della prima carica dello Stato, che rincuora e che dà qualche motivo di speranza. Rincuora, dopo una stagione in cui in Italia si è sentito parlare di famiglia soprattutto per parlare di «altre » e alternative «famiglie», e di maternità quasi solo per ribadire il «diritto» all’aborto o il «diritto» al figlio sano, questo ritrovarsi di due voci dalla storia così diversa attorno alla urgenza di rimettere al centro la famiglia e la maternità. E dà qualche speranza, quel loro appello alla politica, simmetrico sebbene da alcuni asimmetricamente accolto. Perché, diciamolo, che il Papa esorti a occuparsi di vita non è certo una novità; ma che lo faccia un presidente laico, proveniente dalla storia del Pci, e nelle stesse ore, non è cosa di tutti i giorni.
Poi, certo, il discorso di Benedetto XVI si allontana da quel condiviso appello e risale più indietro, alle radici della cultura che da decenni ha impresso il suo marchio in questo Paese. Trent’anni dopo, ha detto con chiaro riferimento alla 194, difendere la vita è diventato più difficile, «perché si è creata una mentalità di progressivo svilimento del suo valore, affidato al giudizio del singolo». È un’analisi netta: la legge non solo legalizzò l’aborto, ma operò sulla percezione collettiva di che cosa l’aborto è. La soppressione di un figlio, una volta eliminato il reato, ha cominciato a essere avvertita come qualcosa di meno grave; che veramente poi di un figlio si tratti, e non di un nulla, può dipendere oggi dal fatto che i genitori quel figlio lo desiderino, oppure no (in un servizio televisivo abbiamo visto una coppia chiamare «bambino» l’embrione di due mesi voluto e prodotto in provetta, mentre di «bambini» uguali ne vengono cancellati in Italia 130 mila l’anno: è un figlio, solo se lo desidero).
La 194 dunque ha cambiato il nostro modo di pensare all’aborto. Forse, in maniera meno evidente ma profonda, è intervenuta anche sul modo di pensare alla propria vita. Cinquant’anni fa davanti a una gravidanza imprevista c’erano, sì, gli aborti clandestini, ma c’erano anche tante coppie che – riconoscendo in quel figlio inatteso una evidenza innegabile – formavano una famiglia. Sacrificando forse libertà e 'autorealizzazione'. Però diventando a poco più di vent’anni adulti, e costruendo insieme. Scelta che rifletteva un collettivo 'favore per la vita' che oggi manca. Come un vederla, e riconoscerla; magari rifiutarla anche, per disperazione; ma senza chiamare orgogliosamente questa scelta 'diritto'.
La politica aiuti a «mantenere, istruire ed educare i figli», ha detto il presidente citando la Costituzione. Ricominciamo da questi diritti. Anche se farli nascere, i figli, è «la prima giustizia » – e questo lo ha detto il Papa. Chissà che, insieme, le parole di due ottantenni dalle storie così lontane e divise non inducano l’Italia a riflettere. E ad agire.
1) Discorso di Benedetto XVI al Movimento per la Vita
2) Chi si rivede, l'aborto, di Giuliano Ferrara
3) L’eutanasica Svizzera si preoccupa dei diritti e della dignità delle piante
4) Per criticare il buono scuola bisogna prima comprenderne gli obiettivi
5) Appunti per una scuola che non sia più schiava degli apparati ministeriali
6) Emergenza cibo, la speculazione affama il mondo
7) GLI APPELLI DI BENEDETTO XVI E DEL CAPO DELLO STATO - QUELLE VOCI SIMMETRICHE CI INDICANO LA VERÀ PRIORITÀ, di Marina Corradi
Discorso di Benedetto XVI al Movimento per la Vita
CITTA' DEL VATICANO, lunedì, 12 maggio 2008 (ZENIT.org).- Riportiamo di seguito il discorso pronunciato da Benedetto XVI nel ricevere questo lunedì in udienza i membri del Movimento per la Vita.
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Cari fratelli e sorelle,
con vivo piacere vi accolgo quest’oggi, e a ciascuno di voi rivolgo il mio cordiale saluto. In primo luogo, saluto Mons. Michele Pennisi, Vescovo di Piazza Armerina, e i sacerdoti presenti. Un saluto speciale indirizzo all’Onorevole Carlo Casini, Presidente del Movimento per la Vita, e sentitamente lo ringrazio per le gentili parole che mi ha indirizzato a nome vostro. Saluto i membri del Direttivo nazionale e della Giunta esecutiva del Movimento per la vita, i Presidenti dei Centri di aiuto alla vita e i responsabili dei vari servizi, del Progetto Gemma, di Telefono verde, SOS Vita e Telefono rosso. Saluto, inoltre, i rappresentanti dell’Associazione Papa Giovanni XXIII e di alcuni Movimenti per la vita europei. Attraverso di voi, qui presenti, il mio pensiero affettuoso si estende a coloro che, pur non potendo intervenire di persona, sono spiritualmente a noi uniti. Penso specialmente ai tanti volontari che, con abnegazione e generosità, condividono con voi il nobile ideale della promozione e della difesa della vita umana fin dal suo concepimento.
La vostra visita cade a trent’anni da quando in Italia venne legalizzato l’aborto ed è vostra intenzione suggerire una riflessione approfondita sugli effetti umani e sociali che la legge ha prodotto nella comunità civile e cristiana durante questo periodo. Guardando ai passati tre decenni e considerando l’attuale situazione, non si può non riconoscere che difendere la vita umana è diventato oggi praticamente più difficile, perché si è creata una mentalità di progressivo svilimento del suo valore, affidato al giudizio del singolo. Come conseguenza ne è derivato un minor rispetto per la stessa persona umana, valore questo che sta alla base di ogni civile convivenza, al di là della fede che si professa.
Certamente molte e complesse sono le cause che conducono a decisioni dolorose come l’aborto. Se da una parte la Chiesa, fedele al comando del suo Signore, non si stanca di ribadire che il valore sacro dell’esistenza di ogni uomo affonda le sue radici nel disegno del Creatore, dall’altra stimola a promuovere ogni iniziativa a sostegno delle donne e delle famiglie per creare condizioni favorevoli all’accoglienza della vita, e alla tutela dell’istituto della famiglia fondato sul matrimonio tra un uomo e una donna. L’aver permesso di ricorrere all’interruzione della gravidanza, non solo non ha risolto i problemi che affliggono molte donne e non pochi nuclei familiari, ma ha aperto una ulteriore ferita nelle nostre società, già purtroppo gravate da profonde sofferenze.
Tanto impegno, in verità, in questi anni è stato profuso, e da parte non solo della Chiesa, per venire incontro ai bisogni e alle difficoltà delle famiglie. Non possiamo però nasconderci che diversi problemi continuano ad attanagliare la società odierna, impedendo di dare spazio al desiderio di tanti giovani di sposarsi e formare una famiglia per le condizioni sfavorevoli in cui vivono. La mancanza di lavoro sicuro, legislazioni spesso carenti in materia di tutela della maternità, l’impossibilità di assicurare un sostentamento adeguato ai figli, sono alcuni degli impedimenti che sembrano soffocare l’esigenza dell’amore fecondo, mentre aprono le porte a un crescente senso di sfiducia nel futuro. E’ necessario per questo unire gli sforzi perché le diverse Istituzioni pongano di nuovo al centro della loro azione la difesa della vita umana e l’attenzione prioritaria alla famiglia, nel cui alveo la vita nasce e si sviluppa. Occorre aiutare con ogni strumento legislativo la famiglia per facilitare la sua formazione e la sua opera educativa, nel non facile contesto sociale odierno.
Per i cristiani resta sempre aperto, in questo ambito fondamentale della società, un urgente e indispensabile campo di apostolato e di testimonianza evangelica: proteggere la vita con coraggio e amore in tutte le sue fasi. Per questo, cari fratelli e sorelle, domando al Signore di benedire l’azione che, come Centro di Aiuto alla Vita e come Movimento per la Vita, voi svolgete per evitare l’aborto anche in caso di gravidanze difficili, operando nel contempo sul piano dell’educazione, della cultura e del dibattito politico. E’ necessario testimoniare in maniera concreta che il rispetto della vita è la prima giustizia da applicare. Per chi ha il dono della fede questo diventa un imperativo inderogabile, perché il seguace di Cristo è chiamato ad essere sempre più "profeta" di una verità che mai potrà essere eliminata: Dio solo è Signore della vita. Ogni uomo è da Lui conosciuto e amato, voluto e guidato. Qui soltanto sta l’unità più profonda e grande dell’umanità, nel fatto che ogni essere umano realizza l’unico progetto di Dio, ognuno ha origine dalla medesima idea creatrice di Dio. Si comprende pertanto perché la Bibbia afferma: chi profana l’uomo, profana la proprietà di Dio (cfr Gn 9,5).
Quest’anno ricorre il 60° anniversario della Dichiarazione dei Diritti dell’uomo il cui merito è stato quello di aver permesso a differenti culture, espressioni giuridiche e modelli istituzionali, di convergere attorno ad un nucleo fondamentale di valori e, quindi, di diritti. Come ho recentemente ricordato, nella mia visita all’ONU, ai membri delle Nazioni Unite, "i diritti umani debbono essere rispettati quali espressione di giustizia e non semplicemente perché possono essere fatti rispettare mediante la volontà dei legislatori. La promozione dei diritti umani rimane quindi la strategia più efficace per eliminare le disuguaglianze fra Paesi e gruppi sociali, come pure per un aumento della sicurezza". Per questo è oltremodo lodevole anche il vostro impegno nell’ambito politico come aiuto e stimolo alle Istituzioni, perché venga dato il giusto riconoscimento alla parola "dignità umana". La vostra iniziativa presso la Commissione per le Petizioni del Parlamento Europeo, nella quale affermate i valori fondamentali del diritto alla vita fin dal concepimento, della famiglia fondata sul matrimonio di un uomo e una donna, del diritto di ogni essere umano concepito a nascere e ad essere educato in una famiglia di genitori, conferma ulteriormente la solidità del vostro impegno e la piena comunione con il Magistero della Chiesa, che da sempre proclama e difende tali valori come "non negoziabili".
Cari fratelli e sorelle, incontrandovi il 22 maggio del 1998, Giovanni Paolo II vi esortava a perseverare nel vostro impegno di amore e difesa della vita umana, e ricordava che, grazie a voi, tanti bambini potevano sperimentare la gioia del dono inestimabile della vita. Dieci anni dopo, sono io a ringraziarvi per il servizio che avete reso alla Chiesa e alla società. Quante vite umane avete salvato dalla morte! Proseguite su questo cammino e non abbiate paura, perché il sorriso della vita trionfi sulle labbra di tutti i bambini e delle loro mamme. Affido ognuno di voi, e le tante persone che incontrate nei Centri di aiuto alla vita, alla materna protezione della Vergine Maria, Regina della Famiglia, e mentre vi assicuro il mio ricordo nella preghiera, di cuore benedico voi e quanti fanno parte dei Movimenti per la Vita in Italia, in Europa e nel mondo.
[© Copyright 2008 - Libreria Editrice Vaticana]
13 maggio 2008
Chi si rivede, l'aborto, di Giuliano Ferrara
Dal Foglio.it
Ne parla il Capo dello Stato, che preferisce la rimozione delle cause materiali e il parto. Ne parlano le ministre, con accenti diversi. Ne parla autorevolmente il Papa. E il cardinale Martino è per la moratoria. E Fazio?
Chi si rivede, l’aborto. Il Capo dello Stato ha risposto alla lettera della giovane che voleva abortire ma non aveva i soldi per farlo, e poi è tornata sulla sua decisione dicendo che comunque allo stato l’alternativa tra un figlio e una interruzione volontaria di gravidanza non è molto chiara, in termini di politiche pubbliche. Napolitano ha fatto bene la sua parte, e le ministre del governo si sono messe sulla sua scia, più interventista e antiabortista la Giorgia Meloni, più attenta alla difesa della 194 la Mara Carfagna. Intanto il Papa, ricevendo i volontari del Movimento per la vita, ha ripetuto la tradizionale condanna delle legislazioni abortiste, 194 compresa, della chiesa cattolica. E ha aggiunto, dato inconfutabile, che quelle legislazioni hanno promosso (secondo noi perfino tradendo il dettato della legge di “tutela sociale della maternità” votata di questi tempi trent’anni fa) una cinica mentalità di disprezzo per la vita umana. Che sarebbe confermata dalle cattive notizie provenienti da una rivelazione del Mattino di Napoli: un’altra rete di aborti clandestini, come quella di Genova. Il cardinale Raffaele Martino ha rivendicato con sicurezza la sua posizione favorevole alla moratoria dell’aborto, da varare in sede Onu. Una posizione abbracciata da Silvio Berlusconi, prima che l’esclusione delle questioni etiche dalla campagna elettorale, per decisione bipartisan, chiudesse la questione. Fervono le polemiche, come si dice, e molte chiacchiere.
Noi qui vogliamo porre un problema. Che orientamento culturale ha, in materia, la persona che come sottosegretario alla Salute, nell’ambito del ministero del Welfare, dovrebbe occuparsi del problema? Si chiama Ferruccio Fazio, è un medico, ma sta tenendo un contegno estremamente riservato e non risponde alle sollecitazioni. L’Italia è uno strano paese. Il ministro uscente ha appena varato linee guida per l’applicazione della legge 40 sulla fecondazione assistita che hanno suscitato roventi polemiche: il partito pro life le considera un via libera all’aborto selettivo ed eugenetico in vitro, una violazione della lettera e dello spirito della legge, votata dal Parlamento dopo quasi due decenni di esame e confermata da un referendum nel 2005. La regione Lombardia ha ingaggiato un braccio di ferro con il giudice amministrativo sul protocollo della Mangiagalli, che impone una revisione della soglia entro la quale sono autorizzati gli aborti terapeutici in relazione ai progressi della neonatologia, una branca medica che si riunisce in questi giorni a convegno dopo spettacolari polemiche dei mesi scorsi. E’ in cantiere la liberalizzazione della pillola Ru486. In tutto questo risulta impossibile conoscere l’orientamento etico e la cultura scientifica del sottosegretario che nel governo assolverà alle funzioni di ministro della Salute. Non è cosa seria, mentre la faccenda è terribilmente seria.
L’eutanasica Svizzera si preoccupa dei diritti e della dignità delle piante
Nel paese che prepara il no morale agli ogm, che certifica l’esistenza della “dignità della pianta” e l’obbligo per chi desidera un animale da compagnia di seguire corsi di formazione ad hoc, è singolare come tanta tutela per i più deboli non coinvolga anche gli esseri umani…
Lunga vita all’asparago e guai a chi lo tocca. Per non parlare dei fiorellini di campo che, secondo la Commissione di etica biotecnologica non umana della Confederazione elvetica, non andrebbero mai sradicati mentre crescono liberi e felici tra le barbabietole. Sarebbe, dice l’organismo parlamentare svizzero, “un atto immorale” del contadino. La Commissione ha appena licenziato un documento senza precedenti nel suo genere: “La dignità degli essere viventi e in particolar modo delle piante” è il titolo del rapporto che la Commissione ha appena reso noto. Si tratta di un lavoro commissionato dal Parlamento elvetico all’indomani dell’approvazione – qualche anno fa – di un emendamento alla Costituzione che sanciva l’obbligo per tutti i cittadini “di prendersi cura della dignità del creato in relazione al modo di trattare animali, piante e altri organismi”. L’esempio dei fiori di campo è effettivamente nel documento. Se un agricoltore, tornando verso casa dal suo campo, nota un fiorellino selvatico e lo “decapita”, commette “un atto immorale” sebbene non si capisca “se questa azione sia da condannare perché con il suo gesto l’agricoltore esprime una posizione morale contro altri organismi o se non lo sia per il semplice fatto che stia facendo qualcosa di male ai fiori”. Del caso del rapporto di bioetica floreale si è occupata la rivista Nature, assai favorevole, e il settimanale conservatore americano Weekly Standard, che invece non ha risparmiato le proprie critiche all’idea di sancire diritti positivi per le piante “anche quando le azioni contro di loro non compromettono l’equilibrio o la sopravvivenza di una specie vegetale”, come specifica lo stesso documento svizzero. Il parallelo proposto da Wesley Smith, ricercatore del Discovery Institute di Seattle e collaboratore dello Standard, è quello con l’affermazione, nei decenni passati, dei diritti degli animali, primo passaggio di una cultura che tende a equiparare la dignità dell’uomo con quella degli altri esseri viventi fino a rovesciare la prospettiva, trasformando il genere umano nel principale nemico della natura. La definizione dell’ambientalista oltranzista Paul Watson, leader della Sea Shepherd Conservation Society, secondo il quale “l’uomo è l’Aids della Terra” è l’esempio più calzante di questa tendenza. Per Nature, al contrario, la mossa degli esperti di Berna è soltanto l’inizio di un trend positivo di conservazionismo ambientale che presuppone il rigetto degli organismi geneticamente modificati: “La commissione svizzera mostra efficacemente con pochi esempi concreti quali siano gli interventi ammissibili dell’uomo sulla natura e quali invece costituiscano un vero insulto alla dignità delle piante. La Commissione non cita esplicitamente le modificazioni genetiche degli organismi, ma quel che emerge dalla sua maggioranza è senza dubbio la tendenza a considerare una ‘limitazione dell’indipendenza’ delle piante un intervento che ne distorca il codice genetico, magari per impedirne la riproduzione”. Così, nel paese che prepara il no morale agli ogm, che certifica l’esistenza della “dignità della pianta” e l’obbligo per chi desidera un animale da compagnia di seguire corsi di formazione ad hoc, è singolare come tanta tutela per i più deboli non coinvolga anche gli esseri umani. A cogliere la contraddizione è l’attivista pro life americano Michael Baggott, che sul magazine Lifesitenews. com ricorda come la Svizzera abbia legalizzato l’aborto nel 2002 concedendo ampi margini di discrezionalità nella decisione di sopprimere una vita umana in divenire.
di Alan Patarga
Il Foglio 11 maggio 2008
Per criticare il buono scuola bisogna prima comprenderne gli obiettivi
Lorenza Violini13/05/2008
Autore(i): Lorenza Violini. Pubblicato il 13/05/2008 – IlSussidiario.net
La critica che viene mossa al buono scuola è in sintesi la seguente: il buono scuola viene assegnato ex post e a famiglie che hanno già deciso di mandare i propri figli alle scuole private. Pertanto, è uno strumento inefficace (non serve a influenzare le scelte delle famiglie, che hanno già deciso) e inutile (la copertura delle rette di iscrizione è solo parziale). Lo strumento sarebbe inoltre regressivo, perché andrebbe alle famiglie più ricche, quelle che possono permettersi di sostenere i costi delle rette scolasiche. Infine, la gran parte delle risorse sarebbero “incamerate” dalle famiglie e non dalle scuole private, che non hanno aumentato significativamente le rette; in particolare, stando alle stime di Brunello-Checchi (2005), basate peraltro sui soli dati di due anni del buono scuola lombardo, quelli di avvio della politica (2000-2002), solo il 17% di tale politica avrebbe recato vantaggio alle scuole (che avrebbero aumentato le rette) mentre il restante 83% sarebbe restato nell’ambito dei bilanci familiari a parziale ristoro di quanto le famiglie hanno speso per la retta dei loro figli.
Tali giudizi difettano essenzialmente nella comprensione dell’obiettivo dell’istituto del buono scuola. Il buono scuola in Lombardia ha una finalità che non è dirigistica (convincere le persone ad andare nelle scuole private) né assistenzialistica (supportare le famiglie più povere), bensì sussidiaria. Gli obiettivi dichiarati al momento dell’istituzione del buono scuola erano, infatti, legati in primo luogo all’affermazione anche nel settore dell’istruzione del principio di sussidiarietà, della libertà di scelta delle famiglie, della realizzazione di una vera parità tra scuole statali e private e, in seconda istanza, la rimozione, almeno parziale, degli ostacoli alla frequenza scolastica da parte degli studenti di famiglie in condizioni economiche svantaggiate. Tale ultimo obiettivo è stato perseguito dalla Regione in parte con il buono scuola stesso, che copre fino al 50% delle rette per le famiglie meno abbienti, e in parte con gli strumenti tipici del Diritto alla Studio Ordinario, come le borse di studio previste dalla legge n. 62/2000, gli assegni di studio e i fondi per l’acquisto dei libri di testo. In sostanza, il buono scuola nasce dalla considerazione che le famiglie che mandano i propri figli alle scuole private sono sottoposte ad una specie di “doppia tassazione”: una volta con versamenti alla fiscalità generale, che finanzia le scuole pubbliche, ed una volta sottoforma di retta scolastica.
Se questo è il background all’interno del quale matura l’obiettivo dell’istituzione del buono scuola, si può dire che essa abbia ottenuto risultati molto positivi. In primis, il fatto che le risorse servano a finanziare le famiglie è assolutamente coerente con lo scopo di questa politica (“restituire” parte delle risorse spese per l’istruzione dei figli) che attualmente copre una buona percentuale degli iscritti alle scuole paritarie; nell’a.s. 2005/06, oltre 65.000 studenti hanno ricevuto il buono scuola (dato, in valore assoluto, degli iscritti alle scuole non statali primarie, secondarie di I e II grado in Lombardia nell’a.s. 2005/06 è pari a 88.766 studenti - fonte: Ministero della Pubblica Istruzione, www.pubblica.istruzione.it). Il contributo medio per studente è passato da 637 euro del 2000/2001 agli 823,24 euro del 2005/2006. Nell’ultimo anno preso in considerazione la Regione ha erogato buoni scuola per 44.826.342,00 euro. I nuclei familiari coinvolti sono costituiti mediamente da 3,7 componenti mentre il 45,21% sono famiglie con 4 componenti. Da ciò si evince come, in generale, si tratta di famiglie relativamente numerose rispetto alla media nazionale. Tra le famiglie censite, è insignificante il dato delle famiglie con più di due redditi (0,57%).
In sostanza, la maggior parte delle famiglie che hanno deciso in questi anni di mandare i figli alle scuole private è stata aiutata dalla Regione Lombardia, con un contributo che non ha la pretesa di “incentivare” la scelta, ma di sostenerla secondo una logica di sussidiarietà e non di pianificazione. Alcuni studi recenti (si veda Violini et al., 2007 ) dimostrano poi come il reddito medio dei percettori del buono scuola sia nei fatti coerente con il reddito medio delle famiglie lombarde. Non è dunque vero che il buono scuola sia attribuito prevalentemente a famiglie mediamente più ricche rispetto alla popolazione; e, invero, il 72% delle famiglie beneficiarie è risultato appartenere a classi di reddito inferiori ai 25 mila Euro.
Dall’analisi dei dati si evince come, per quanto concerne l’ipotizzato innalzamento della retta media, esso si è effettivamente realizzato, ma è da riferire solo alla prima edizione del buono scuola (in quanto le scuole private si trovavano a vivere in una congiuntura economica sfavorevole), mentre nei tre anni successivi si è registrato un andamento della retta non soltanto sostanzialmente di equilibrio, ma al di sotto dell’indice inflativo. Anche le scuole hanno dunque tratto vantaggi indiretti da questa politica, come è testimoniato dal fatto che in Lombardia la mortalità delle scuole private è assai meno alta che nel resto del Paese.
Tutto ciò posto, poiché esistevano alcuni problemi di tipo pratico/tecnico quali, ad esempio, la necessità di formulare più domande per accedere a servizi di diritto allo studio diversi dal buono scuola e la ricezione del contributo ex post, la Regione Lombardia ha avviato un processo di ripensamento delle proprie politiche, per renderle tutte coerenti con lo spirito del buono scuola (sussidiarietà) e per migliorare questi aspetti pratici: è il progetto della cosiddetta “dote scuola”, che ha avviato un processo di razionalizzazione il sistema, trasformandolo in contributi ex ante da attribuirsi sia agli allievi delle scuole pubbliche sia a quelli delle private.
Appunti per una scuola che non sia più schiava degli apparati ministeriali
Giovanni Cominelli13/05/2008
Autore(i): Giovanni Cominelli. Pubblicato il 13/05/2008 – IlSussidiario.net
A quali condizioni il sistema educativo nazionale può tornare ad essere motore dello sviluppo economico-sociale del Paese, fornire ai nostri ragazzi competenze all’altezza della terza rivoluzione industriale? Sono almeno quattro, e non da oggi. Sono i punti di un’agenda di riforme per lo più disattesa da molti anni a questa parte.
In primo luogo, una modifica dell’architettura istituzionale del sistema. Appartengono a questo capitolo radicali autonomie scolastiche e Fondazioni, federalismo scolastico, abolizione del Ministero dell’Istruzione, valutazione esterna degli studenti, degli insegnanti, dei dirigenti, delle scuole e conseguente ranking nazionale, abolizione del valore legale del titolo di studio. Nel secondo capitolo stanno il core-curriculum, la definizione e la certificazione delle competenze-chiave. Il terzo prevede un nuovo ordinamento: ancora lo schema 5+3+5, nonostante che la scuola media sia divenuta il buco nero del sistema? due o tre canali? Il quarto riguarda la formazione, il reclutamento, la gestione del personale. Inutile dire che questi sono capitoli dello stesso libro. Non si possono scrivere tutti insieme, non certo nel corso di una sola legislatura. Eppure la collocazione di una tessera del puzzle presuppone che si preveda dove si metterà l’altra. Le riforme di un sistema complesso non accadono random.
La proposta di legge di Mariastella Gelmini volta a promuovere il merito coglie, per quanto riguarda la scuola, tre punti tradizionali dell’elaborazione riformistica degli ultimi dieci anni, quali si possono trovare in Luigi Berlinguer, in Letizia Moratti, nel recentissimo progetto di legge Aprea ed altri, concernente l’autogoverno delle istituzioni scolastiche, la libertà di scelta educativa delle famiglie, la riforma dello stato giuridico dei docenti. Gelmini propone un ranking nazionale per le scuole autonome; l’esercizio di un’effettiva libertà di scelta delle famiglie, garantita dai voucher; una ristrutturazione radicale delle carriere e del reclutamento degli insegnanti. Diversamente da Giavazzi, condivido tutti e tre i punti programmatici, compreso quello sui voucher, che lui contesta, fidandosi ciecamente di affermazioni ideologicamente teleguidate di Daniele Checchi. Ma è bene riflettere sulle ragioni per le quali i progetti di riforma finora non sono stati portati a compimento: non risiedono nella povertà dell’elaborazione programmatica – che è all’altezza di quella europea, da cui ha preso moltissimo -, bensì nella debolezza del governo politico dell’Istruzione. Il governo reale e per niente affatto occulto del sistema educativo nazionale è rappresentato dall’Amministrazione ministeriale e dai sindacati. La politica arriva sempre dopo, costretta ad accettare più o meno obtorto collo le transazioni che si svolgono tra Amministrazione e sindacati o disponibile ad accettarle in cambio di voti. Ma i ministri passano, quel governo resta. Perciò il Ministero si è trasformato in un enorme apparato, che governa dall’alto l’intero sistema “giù per li rami”, che ha trasformato il Ministero in una succursale del Ministero del lavoro per la disoccupazione intellettuale femminile e centro-meridionale, che ha ridotto gli insegnanti a proletariato intellettuale colto, demotivato, depresso.
La politica di Berlusconi e del suo Ministro sarà giudicata dalla volontà/capacità di spezzare quell’asse di governo. Qui più che le idee serve la forza politica.
Emergenza cibo, la speculazione affama il mondo
Angelo Frascarelli13/05/2008
Autore(i): Angelo Frascarelli. Pubblicato il 13/05/2008 – IlSussidiario.net
Un fenomeno totalmente nuovo si è affacciato nell’ultimo anno sulla scena mondiale: la crescita improvvisa dei prezzi dei prodotti agricoli. Basti pensare che il prezzo del riso è passato in tre mesi da 400 a 1.000 dollari a tonnellata. Un fattore nuovo, imprevisto ed eclatante, con una serie di effetti drammatici per le popolazioni più povere del pianeta, che ha suscitato una grande attenzione da parte dei Governi, delle organizzazioni mondiali e dei media. L’Onu ha aperto una unità di crisi per fronteggiare l’emergenza cibo che, secondo il segretario generale Ban Ki Moon «costituisce una sfida mondiale senza precedenti che colpisce i più vulnerabili».
Il dibattito si è concentrato su alcune domande, che si intendono approfondire in questo articolo. Quali sono le cause di questo fenomeno? Quanto potrà durare questa crisi? Quali politiche mettere in atto per contrastare la crisi?
In primo luogo, occorre sottolineare che l’aumento dei prezzi agricoli è stato previsto ampiamente. Semmai, le difficoltà sono nate poiché il fenomeno è avvenuto improvvisamente. Infatti il problema non è tanto l’entità dei prezzi, se si considera che i cereali hanno oggi un prezzo dimezzato in termini reali rispetto al 1975 e gli agricoltori, fino a un anno fa, soffrivano di una forte crisi di reddito. Il problema che preoccupa i cittadini e i Governi è l’impennata improvvisa. Questa crescita repentina non ha consentito ai produttori di aumentare l’offerta nel breve periodo (è noto che in agricoltura l’offerta è rigida perché legata ai cicli biologici). Né ha consentito ai Governi di modificare le loro politiche, le quali erano impostate alle vecchie logiche di contenimento dell’offerta per tutelare i prezzi agricoli a vantaggio degli agricoltori.
Basti pensare che l’Unione europea nel 2007 ha applicato il set aside (ritiro obbligatorio), una politica che esiste dal 1993, che obbliga gli agricoltori alla “non coltivazione” di una percentuale dei seminativi. La superficie sottoposta al ritiro obbligatorio nell'Unione Europea ammontava nel 2007 a 3,8 milioni di ettari. Solo per il 2008, l’Unione europea ha azzerato il set aside, poiché fino a luglio 2007 non si erano manifestati i segnali dell’aumento dei prezzi.
Gli analisti sono abbastanza concordi nell’attribuire l’aumento vertiginoso dei prezzi agricoli a quattro fattori (vedi articolo di Emilio Colombo su questo stesso sito): gli scarsi raccolti degli ultimi anni, l’aumento della domanda di prodotti alimentari dovuta alla crescita della popolazione e allo sviluppo economico di alcuni paesi del sud est asiatico, l’aumento di domanda derivante dai biocarburanti, la speculazione.
Tutti questi fattori sono reali, ma il loro peso specifico è ben diverso tra loro.
Si attribuisce un’importanza eccessiva alla produzione di biocarburanti; si grida allo scandalo per l’utilizzo di prodotti agricoli a fini energetici, quando invece ci sono esseri umani che muoiono di fame per carenza di prodotti alimentari o per il prezzo proibitivo degli stessi. I biocarburanti sono diventati il capro espiatorio e i media hanno organizzato una feroce campagna contro di essi.
La causa dell’aumento dei prezzi non va ricercata nei biocarburanti, ma molto di più negli altri fattori: l’aumento di domanda di prodotti agricoli da parte di Cina e India (questi paesi stanno mangiando molta più carne e ci vogliono 4 Kg di cereali per produrre 1 Kg di carne di maiale e 2 Kg di cereali per produrre 1 Kg di pollo) e gli effetti negativi del clima sui raccolti degli ultimi tre anni.
Ma anche questi ultimi due fattori non avrebbero prodotto l’impennata vertiginosa dei prezzi che si è verificata nell’ultimo anno, se non fosse entrato in gioco un fattore scatenante: le speculazioni finanziarie. Un fenomeno totalmente nuovo, non tanto nella natura (gli investimenti nelle commodities agricole ci sono sempre stati), ma per la sua entità che ha sconvolto l’andamento tradizionale del mercato dei cereali.
Nel 1998 gli investimenti finanziari nelle commodities agricole arrivavano a 10 miliardi di dollari. Nel 2007 a 142 miliardi di dollari. Nel febbraio di quest’anno sono stati lanciati oltre 140 prodotti finanziari che si basano sulle commodities agricole. Di fronte a questi dati, l’effetto dei biocarburanti passa totalmente in secondo piano.
Perché ci sono le speculazioni? Perché ci sono le aspettative e perché il mercato dei cereali è diventato tecnicamente interessante per la finanza internazionale.
Le speculazioni sulle commodities agricole sono partite dopo la crisi dei mutui americani; i grandi investitori hanno cercato altri fonti di investimento per recuperare le perdite subite. L’interesse della grande finanza internazionale per i mercati agricoli è stata favorita dal 2006 dalla possibilità di operare sul mercato delle commodities agricole con sistemi elettronici 24 ore su 24. Un’evoluzione tecnica apparentemente irrilevante, che invece è stata fondamentale per accrescere gli interessi degli speculatori per i mercati agricoli.
A questi fenomeni si aggiunge un altro dato. Il mercato delle commodities è in mano a pochissimi operatori mondiali che sono in grado di influenzare l’offerta di mercato e i prezzi. Infatti la speculazione non può spiegare l’impennata dei prezzi del grano duro, che è un cereale di nicchia nel panorama mondiale (appena il 5% della produzione cerealicola mondiale) e su di esso non sono attivi i prodotti finanziari (mercati a termine). I prezzi si formano sui mercati mondiali dove agiscono pochi operatori, in molti casi agenzie para-governative, i quali sono in grado di governare l’offerta. È un fenomeno simile a quello del petrolio.
E allora, quali politiche possono essere messe in atto?
Le “ricette” sono state le più varie e di segno completamente opposto. Anche le reazioni dei Governi sono state le più scomposte. C’è chi invoca un maggiore protezionismo, come la Francia che chiede di reintrodurre la “preferenza comunitaria”, una politica attivata negli anni ’60, agli albori della Comunità europea, che tutelava i produttori e i consumatori europei, indipendentemente dalle dinamiche dei prezzi mondiali. C’è chi invoca l’abolizione di tutti i sostegni all’agricoltura, chi invoca un maggiore liberismo con l’abolizione di tutte le barriere alla liberalizzazione del commercio mondiale, in particolare l’abolizione delle tasse all’esportazione, che molti Governi hanno attivato per tenere sotto controllo i prezzi interni.
Le politiche devono tener conto delle cause che hanno generato l’aumento dei prezzi. In primo luogo occorre trovare un argine alle immense possibilità speculative della finanza internazionale; non si può accettare il gioco della speculazione quando questa incide sulla vita di milioni di persone; in altre parole occorre limitare le operazioni dei fondi di investimento sul mercato delle commodities agricole.
Inoltre, non vanno abbandonate le politiche agricole; anzi devono essere rinvigorite per mantenere e sviluppare il potenziale agricolo mondiale, allo scopo di garantire l’approvvigionamento adeguato per tutta la popolazione mondiale. Una politica agricola forte non significa però una politica di limitazione degli scambi, che è sempre distorsiva e non permette la migliore allocazione delle risorse, né un ritorno ad una politica protezionistica come vorrebbero i francesi. Ma una politica di sostegno al ruolo insostituibile dell’agricoltura per lo sviluppo delle zone rurali, una politica per la diffusione di tecnologie che permettono la competitività dei sistemi agricoli, accompagnata da una gestione di stock strategici per affrontare le situazioni di crisi dei mercati, eliminando gli ultimi residui di gestione pubblica dei mercati, come le quote e il set aside.
In sintesi l’attuale politica dell’Unione europea, se non cede al ritorno al protezionismo dei francesi, va nella giusta direzione.
In ultimo, va sempre tenuto in considerazione, che la migliore risposta all’“emergenza cibo” può venire sempre dalla capacità degli imprenditori agricoli di reagire ai segnali di mercato, con un aumento della produzione. Nell’Unione europea, i raccolti del 2008 saranno significativamente migliori del 2007, sia per effetto dell’aumento dei prezzi, che ha portato gli agricoltori ad aumentare l’offerta, sia per effetto dell’abolizione del set aside, che porterà sul mercato circa 10 milioni di tonnellate di cereali in più.
Sostenere la capacità dell’uomo di rispondere ai propri bisogni è sempre la strada preferibile. Ma la risposta del mondo produttivo potrebbe non sortire immediatamente gli effetti di un “ritorno alla normalità” sul fronte dei prezzi, se i fenomeni speculativi possono agire liberamente e alterare gli equilibri della domanda e dell’offerta.
GLI APPELLI DI BENEDETTO XVI E DEL CAPO DELLO STATO - QUELLE VOCI SIMMETRICHE CI INDICANO LA VERÀ PRIORITÀ
Avvenire, 13 maggio 2008
MARINA CORRADI
Qualcosa che somiglia a una condivisa preoccupazione. Nel giro di poche ore il Papa e il presidente della Repubblica hanno parlato di aborto e di famiglia. Prima Napolitano, rispondendo alla lettera di una donna che aveva pensato di rinunciare al figlio per le difficoltà materiali che la maternità le poneva. Poi Benedetto XVI, incontrando ieri il Movimento per la Vita a pochi giorni dal trentennale della legge 194. Accenti e sguardi diversi, naturalmente. E tuttavia anche, in alcuni passi, come la traccia di una simmetria. Sia il Papa che Napolitano si sono soffermati sulla insicurezza del lavoro e sulla difficoltà di mantenere dei figli che gravano sulle giovani coppie. Sia il Papa che Napolitano hanno esortato le istituzioni e dunque la politica a rimettere al centro la difesa della vita e della famiglia. Il presidente ha ricordato quella «missione essenziale» sancita dalla Costituzione a «mantenere, istruire ed educare i figli».
È una convergenza, quella fra le parole di Benedetto XVI e della prima carica dello Stato, che rincuora e che dà qualche motivo di speranza. Rincuora, dopo una stagione in cui in Italia si è sentito parlare di famiglia soprattutto per parlare di «altre » e alternative «famiglie», e di maternità quasi solo per ribadire il «diritto» all’aborto o il «diritto» al figlio sano, questo ritrovarsi di due voci dalla storia così diversa attorno alla urgenza di rimettere al centro la famiglia e la maternità. E dà qualche speranza, quel loro appello alla politica, simmetrico sebbene da alcuni asimmetricamente accolto. Perché, diciamolo, che il Papa esorti a occuparsi di vita non è certo una novità; ma che lo faccia un presidente laico, proveniente dalla storia del Pci, e nelle stesse ore, non è cosa di tutti i giorni.
Poi, certo, il discorso di Benedetto XVI si allontana da quel condiviso appello e risale più indietro, alle radici della cultura che da decenni ha impresso il suo marchio in questo Paese. Trent’anni dopo, ha detto con chiaro riferimento alla 194, difendere la vita è diventato più difficile, «perché si è creata una mentalità di progressivo svilimento del suo valore, affidato al giudizio del singolo». È un’analisi netta: la legge non solo legalizzò l’aborto, ma operò sulla percezione collettiva di che cosa l’aborto è. La soppressione di un figlio, una volta eliminato il reato, ha cominciato a essere avvertita come qualcosa di meno grave; che veramente poi di un figlio si tratti, e non di un nulla, può dipendere oggi dal fatto che i genitori quel figlio lo desiderino, oppure no (in un servizio televisivo abbiamo visto una coppia chiamare «bambino» l’embrione di due mesi voluto e prodotto in provetta, mentre di «bambini» uguali ne vengono cancellati in Italia 130 mila l’anno: è un figlio, solo se lo desidero).
La 194 dunque ha cambiato il nostro modo di pensare all’aborto. Forse, in maniera meno evidente ma profonda, è intervenuta anche sul modo di pensare alla propria vita. Cinquant’anni fa davanti a una gravidanza imprevista c’erano, sì, gli aborti clandestini, ma c’erano anche tante coppie che – riconoscendo in quel figlio inatteso una evidenza innegabile – formavano una famiglia. Sacrificando forse libertà e 'autorealizzazione'. Però diventando a poco più di vent’anni adulti, e costruendo insieme. Scelta che rifletteva un collettivo 'favore per la vita' che oggi manca. Come un vederla, e riconoscerla; magari rifiutarla anche, per disperazione; ma senza chiamare orgogliosamente questa scelta 'diritto'.
La politica aiuti a «mantenere, istruire ed educare i figli», ha detto il presidente citando la Costituzione. Ricominciamo da questi diritti. Anche se farli nascere, i figli, è «la prima giustizia » – e questo lo ha detto il Papa. Chissà che, insieme, le parole di due ottantenni dalle storie così lontane e divise non inducano l’Italia a riflettere. E ad agire.