Nella rassegna stampa di oggi:
1) Omelia di Benedetto XVI in piazza della Vittoria a Genova
2) L’ex buono scuola in Piemonte: la libertà di scelta educativa confinata nel diritto allo studio
3) Aumentano i nati, diminuiscono le complicazioni e gli aborti - Turco contro l’evidenza, i dati dicono che legge 40 funziona
4) La partita degli «ibridi» frontiera all’inaudito
Omelia di Benedetto XVI in piazza della Vittoria a Genova
GENOVA, lunedì, 19 maggio 2008 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito l'omelia pronunciata questa domenica pomerigio da Benedetto XVI nel presiedere la Santa Messa in piazza della Vittoria a Genova.
* * *
Cari fratelli e sorelle,
al termine di un’intensa giornata trascorsa in questa vostra Città, ci ritroviamo uniti attorno all’altare per celebrare l’Eucaristia, nella solennità della Santissima Trinità. Da questa centrale Piazza della Vittoria, che ci accoglie per la corale azione di lode e di ringraziamento a Dio con cui si chiude la mia visita pastorale, invio il più cordiale saluto all’intera comunità civile ed ecclesiale di Genova. Con affetto saluto, in primo luogo, l’Arcivescovo, il Cardinale Angelo Bagnasco, che ringrazio per la cortesia con cui mi ha accolto e per le toccanti parole che mi ha rivolto all’inizio della Santa Messa. Come non salutare poi il Cardinale Tarcisio Bertone, mio Segretario di Stato, già Pastore di questa antica e nobile Chiesa? A lui il mio grazie più sentito per la sua vicinanza spirituale e per la sua preziosa collaborazione. Saluto poi il Vescovo Ausiliare, Mons. Luigi Ernesto Palletti, i Vescovi della Liguria e gli altri Presuli. Rivolgo il mio deferente pensiero alle Autorità civili, alle quali sono grato per la loro accoglienza e per il fattivo sostegno che hanno prestato alla preparazione e allo svolgimento di questo mio pellegrinaggio apostolico. In particolare saluto il Ministro Claudio Scaiola in rappresentanza del nuovo Governo, che proprio in questi giorni ha assunto le sue piene funzioni al servizio dell’amata Nazione italiana. Mi rivolgo poi con viva riconoscenza ai sacerdoti, ai religiosi e alle religiose, ai diaconi, ai laici impegnati, ai seminaristi, ai giovani. A tutti voi, cari fratelli e sorelle, il mio saluto affettuoso. Estendo il mio pensiero a quanti non hanno potuto essere presenti, in modo speciale agli ammalati, alle persone sole e a quanti si trovano in difficoltà. Affido al Signore la città di Genova e tutti i suoi abitanti in questa solenne Concelebrazione eucaristica, che, come ogni domenica, ci invita a partecipare in modo comunitario alla duplice mensa della Parola di Verità e del Pane di Vita eterna.
Abbiamo ascoltato, nella prima Lettura (Es 34,4b-6.8-9), un testo biblico che ci presenta la rivelazione del nome di Dio. E’ Dio stesso, l’Eterno e l’Invisibile, che lo proclama, passando davanti a Mosè nella nube, sul monte Sinai. E il suo nome è: “Il Signore, Dio misericordioso e pietoso, lento all’ira e ricco di grazia e di fedeltà”. San Giovanni, nel nuovo Testamento, riassume questa espressione in una sola parola: “Amore” (cfr 1 Gv 4,8.16). Lo attesta anche il Vangelo odierno: “Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito” (Gv 3,16). Questo nome esprime dunque chiaramente che il Dio della Bibbia non è una sorta di monade chiusa in se stessa e soddisfatta della propria autosufficienza, ma è vita che vuole comunicarsi, è apertura, relazione. Parole come “misericordioso”, “pietoso”, “ricco di grazia” ci parlano tutte di una relazione, in particolare di un Essere vitale che si offre, che vuole colmare ogni lacuna, ogni mancanza, che vuole donare e perdonare, che desidera stabilire un legame saldo e duraturo. La Sacra Scrittura non conosce altro Dio che il Dio dell’Alleanza, il quale ha creato il mondo per effondere il suo amore su tutte le creature (cfr Messale Romano, Pregh. Euc. IV) e che si è scelto un popolo per stringere con esso un patto nuziale, farlo diventare una benedizione per tutte le nazioni e così formare dell’intera umanità una grande famiglia (cfr Gn 12,1-3; Es 19,3-6). Questa rivelazione di Dio si è pienamente delineata nel Nuovo Testamento, grazie alla parola di Cristo. Gesù ci ha manifestato il volto di Dio, uno nell’essenza e trino nelle persone: Dio è Amore, Amore Padre - Amore Figlio - Amore Spirito Santo. Ed è proprio nel nome di questo Dio che l’apostolo Paolo saluta la comunità di Corinto, e saluta tutti noi: “La grazia del Signore Gesù Cristo, l’amore di Dio [Padre] e la comunione dello Spirito Santo siano con tutti voi” (2 Cor 13,13).
C’è dunque, in queste Letture, un contenuto principale che riguarda Dio, e in effetti la festa di oggi ci invita a contemplare Lui, il Signore, ci invita a salire in un certo senso “sul monte” come fece Mosè. Questo sembra a prima vista portarci lontano dal mondo e dai suoi problemi, ma in realtà si scopre che proprio conoscendo Dio più da vicino si ricevono anche le indicazioni fondamentali per questa nostra vita: un po’ come accadde a Mosè, che salendo sul Sinai e rimanendo alla presenza di Dio ricevette la legge incisa sulle tavole di pietra, da cui il popolo trasse la guida per andare avanti, per trovare la libertà e per formarsi come popolo in libertà e giustizia. Dal nome di Dio dipende la nostra storia; dalla luce del suo volto il nostro cammino.
Da questa realtà di Dio, che Egli stesso ci ha fatto conoscere rivelandoci il suo “nome”, cioè il suo volto, deriva una certa immagine di uomo, cioè il concetto di persona. Se Dio è unità dialogica, essere in relazione, la creatura umana, fatta a sua immagine e somiglianza, rispecchia tale costituzione: essa pertanto è chiamata a realizzarsi nel dialogo, nel colloquio, nell’incontro: è un essere in relazione. In particolare, Gesù ci ha rivelato che l’uomo è essenzialmente “figlio”, creatura che vive nella relazione con Dio Padre, e così in relazione con tutti i suoi fratelli e sorelle. L’uomo non si realizza in un’autonomia assoluta, illudendosi di essere Dio, ma, al contrario, riconoscendosi quale figlio, creatura aperta, protesa verso Dio e verso i fratelli, nei cui volti ritrova l’immagine del Padre comune. Si vede bene che questa concezione di Dio e dell’uomo sta alla base di un corrispondente modello di comunità umana, e quindi di società. E’ un modello che sta prima di ogni regolamentazione normativa, giuridica, istituzionale, ma direi anche prima delle specificazioni culturali; un modello di umanità come famiglia, trasversale a tutte le civiltà, che noi cristiani esprimiamo affermando che gli uomini sono tutti figli di Dio e quindi tutti fratelli. Si tratta di una verità che sta fin dal principio dietro di noi e al tempo stesso ci sta sempre davanti, come un progetto a cui sempre tendere in ogni costruzione sociale.
Ricchissimo è il Magistero della Chiesa che si è sviluppato a partire proprio da questa visione di Dio e dell’uomo. Basta percorrere i capitoli più importanti della Dottrina Sociale della Chiesa, a cui hanno dato apporti sostanziali i miei venerati Predecessori, in particolare negli ultimi centovent’anni, facendosi autorevoli interpreti e guide del movimento sociale di ispirazione cristiana. Vorrei qui oggi menzionare solo la recente Nota pastorale dell’Episcopato italiano “Rigenerati per una speranza viva”: testimoni del grande “sì” di Dio all’uomo (29.VI.2007). Questa Nota propone due priorità: anzitutto, la scelta del “primato di Dio”: tutta la vita e l’opera della Chiesa dipendono dal mettere al primo posto Dio, ma non un Dio generico, bensì il Signore con il suo nome e il suo volto, il Dio dell’Alleanza che ha fatto uscire il popolo dalla schiavitù d’Egitto, ha risuscitato Cristo dai morti e vuole condurre l’umanità alla libertà nella pace e nella giustizia. L’altra scelta è quella di porre al centro la persona e l’unità della sua esistenza, nei diversi ambiti in cui si dispiega: la vita affettiva, il lavoro e la festa, la fragilità sua propria, la tradizione, la cittadinanza. Il Dio uno e trino e la persona in relazione: questi sono i due riferimenti che la Chiesa ha il compito di offrire ad ogni generazione umana, quale servizio alla costruzione di una società libera e solidale. La Chiesa lo fa certamente con la sua dottrina, ma soprattutto mediante la testimonianza, che non per nulla è la terza scelta fondamentale dell’Episcopato italiano: testimonianza personale e comunitaria, in cui convergono vita spirituale, missione pastorale e dimensione culturale.
In una società tesa tra globalizzazione e individualismo, la Chiesa è chiamata ad offrire la testimonianza della koinonìa, della comunione. Questa realtà non viene “dal basso” ma è un mistero che ha, per così dire, le “radici in cielo”: proprio in Dio uno e trino. E’ Lui, in se stesso, l’eterno dialogo d’amore che in Gesù Cristo si è comunicato a noi, è entrato nel tessuto dell’umanità e della storia per condurle alla pienezza. Ed ecco allora la grande sintesi del Concilio Vaticano II: la Chiesa, mistero di comunione, “è in Cristo come un sacramento, cioè segno e strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano” (Cost. Lumen gentium, 1). Anche qui, in questa grande Città, come pure nel suo territorio, con la varietà dei rispettivi problemi umani e sociali, la Comunità ecclesiale, oggi come ieri, è prima di tutto il segno, povero ma vero, di Dio Amore, il cui nome è impresso nell’essere profondo di ogni persona e in ogni esperienza di autentica socialità e solidarietà.
Dopo queste riflessioni, cari fratelli, vi lascio alcune esortazioni particolari. Abbiate cura della formazione spirituale e catechistica, una formazione “sostanziosa”, più che mai necessaria per vivere bene la vocazione cristiana nel mondo di oggi. Lo dico agli adulti e ai giovani: coltivate una fede pensata, capace di dialogare in profondità con tutti, con i fratelli non cattolici, con i non cristiani e i non credenti. Portate avanti la vostra generosa condivisione con i poveri e i deboli, secondo l’originaria prassi della Chiesa, attingendo sempre ispirazione e forza dall’Eucaristia, sorgente perenne della carità. Incoraggio con affetto speciale i seminaristi e i giovani impegnati in un cammino vocazionale: non abbiate timore, anzi, sentite l’attrattiva delle scelte definitive, di un itinerario formativo serio ed esigente. Solo la misura alta del discepolato affascina e dà gioia. Esorto tutti a crescere nella dimensione missionaria, che è co-essenziale alla comunione. La Trinità infatti è al tempo stesso unità e missione: quanto più intenso è l’amore, tanto più forte è la spinta ad effondersi, a dilatarsi, a comunicarsi. Chiesa di Genova, sii unita e missionaria, per annunciare a tutti la gioia della fede e la bellezza di essere Famiglia di Dio. Il mio pensiero si allarga alla Città intera, a tutti i Genovesi e a quanti vivono e lavorano in questo territorio. Cari amici, guardate al futuro con fiducia e cercate di costruirlo insieme, evitando faziosità e particolarismi, anteponendo ai pur legittimi interessi particolari il bene comune.
Vorrei concludere con un augurio che riprendo dalla stupenda preghiera di Mosè, che abbiamo ascoltato nella prima Lettura: il Signore cammini sempre in mezzo a voi e faccia di voi la sua eredità (cfr Es 34,9). Ve lo ottenga l’intercessione di Maria Santissima, che i Genovesi, in patria e nel mondo intero, invocano quale Madonna della Guardia. Con il suo aiuto e con quello dei Santi Patroni di questa vostra amata Città e Regione, la vostra fede e le vostre opere siano sempre a lode e gloria della Santissima Trinità. Seguendo l’esempio dei Santi di questa terra siate una comunità missionaria: in ascolto di Dio e al servizio degli uomini! Amen.
[© Copyright 2008 - Libreria Editrice Vaticana]
L’ex buono scuola in Piemonte: la libertà di scelta educativa confinata nel diritto allo studio
Vincenzo Silvano20/05/2008
Autore(i): Vincenzo Silvano. Pubblicato il 20/05/2008 – IlSussidiario.net
Il cittadino piemontese sente bruciare l’ingiustizia perché per soli quattro anni, a partire dal 2003, ha assaporato il beneficio di una Legge Regionale che ha consentito alle famiglie di scegliere la scuola presso la quale iscrivere il proprio figlio avendo l’opportunità di vedersi rimborsato dal 50 al 75% delle spese sostenute per iscrizione e frequenza. Il risultato è stato che, per i primi due anni, 16.000 famiglie delle 24.000 il cui figlio ha frequentato una scuola paritaria ha chiesto ed ottenuto un sostanzioso rimborso e le iscrizioni alle scuole paritarie del Piemonte sono sensibilmente aumentate.
Nel 2005, però, la maggioranza di centro-destra è diventata minoranza e la nuova maggioranza, di centro-sinistra, ha subito cercato di intervenire per limitare i danni di un provvedimento da essi stessi (tutti i partiti, nessuno escluso) definito “iniquo”. In attesa di presentare un nuovo disegno di legge, la nuova amministrazione ha cominciato a ritardare i pagamenti dei “buoni scuola” già determinati e la pubblicazione del nuovo bando.
Le associazioni di gestori, genitori, dirigenti e insegnanti sostenitrici della libertà di educazione si sono riunite nel Movimento Scuola Libera che il 3 dicembre 2005 a Torino ha radunato 2.500 persone con una manifestazione pubblica alla quale è intervenuto il Cardinale Arcivescovo per ribadire che possibilità di scegliere l’educazione dei propri figli è, innanzi tutto, una questione di libertà. In una città in cui 200 manifestanti prezzolati riescono ad ottenere l’onore della cronaca locale per diversi giorni, 2.500 persone che, seppur composte, protestano il loro diritto alla libertà non possono essere completamente ignorate, nemmeno dal più inveterato statalista. Quindi pagamento del vecchio buono scuola, pubblicazione del nuovo bando e tante promesse. Un passo alla volta (all’indietro), però, qualcosa recuperano: nel nuovo bando la soglia massima di reddito viene ribassata con il risultato che nel 2006 possono chiedere il buono scuola 2.000 famiglie in meno.
Per farla breve la Regione Piemonte è riuscita a votare una nuova legge sull’istruzione nel dicembre 2007 che comprime la libera scelta educativa nel diritto allo studio e che cancella del tutto la vecchia legge. L’esercizio del diritto alla libertà di una scelta viene ridotto alla richiesta, invece, di un servizio sociale e assistenziale per il quale si impone al richiedente la presentazione della certificazione ISEE che la Regione Piemonte, dopo l’ultima battaglia che ha visto in Consiglio Regionale la maggioranza spaccata, ha fissato nel valore massimo di 29.000 euro (la prima formulazione del disegno di legge lo fissava a 20.000 euro).
Delle 24.000 famiglie che oggi hanno un figlio in una scuola paritaria (e domani quanti ne resteranno?) meno di 9.000 hanno potuto fare domanda per la quale riceveranno un importo, comunque, inferiore rispetto a quanto previsto dalla precedente normativa.
19 maggio 2008
Aumentano i nati, diminuiscono le complicazioni e gli aborti - Turco contro l’evidenza, i dati dicono che legge 40 funziona
Dal Foglio.it
Roma. Un dato appare con grande evidenza nell’ultima relazione – relativa al 2006 – sullo stato di attuazione della legge 40 che regola la procreazione medicalmente assistita. Il dato è che quella legge sta funzionando egregiamente. E siccome a pensar male ci si indovina sempre, o quasi, forse è stata proprio l’impossibilità di usare quella relazione contro la legge, la spiegazione del suo deposito alla Camera in forma semiclandestina da parte dell’ex ministro della Salute, Livia Turco: venerdì scorso, con i deputati già tutti a casa e nessun comunicato ufficiale di lancio. Eppure la relazione sul 2006, elaborata a partire dalle rilevazioni raccolte nell’apposito registro che ha sede presso l’Istituto superiore di Sanità, Livia Turco l’aveva firmata già il 30 aprile scorso.
L’ex ministro poteva lasciare al suo successore l’onore e l’onere dell’interpretazione dei dati, ma è evidentemente quello che la Turco meno aveva voglia di fare. La sua è dunque la solita lettura dai toni negativi, perfettamente in armonia con quelle nuove linee guida della legge 40, a loro volta emanate fuori tempo massimo, a mandato ministeriale ultrascaduto, che pure provano a smantellare alcuni punti fermi e irrinunciabili della legge 40. Vediamo allora che cosa dicono concretamente i numeri riportati nella relazione, e quale fondamento hanno le considerazioni dell’ex ministro. Che lamenta, a riprova dei peccati della legge 40, “un mancato incremento atteso nelle percentuali di gravidanze, come invece si registra in tutti gli altri paesi europei” e una “rilevante percentuale di gravidanze gemellari e trigemine nella popolazione femminile più giovane”.
Con le regole stabilite dalla legge 40, nel 2006 sono nati 7.507 bambini su 10.608 gravidanze ottenute, mentre nel 2005 (la legge è stata approvata nel febbraio del 2004) i nati erano stati 4.940. Bisogna però considerare che al registro dell’Iss non sono pervenute, per il 2006, notizie sull’esito di 2.500 gravidanze. Il fenomeno di mancato follow up, che per il 2005 era stato addiritura macroscopico (interessava il 41,3 per cento delle gravidanze), l’anno dopo è diminuito, riducendosi al 21,5 sul totale, ma è ancora molto rilevante.
Aumentano, a smentita delle recriminazioni sul “turismo procreativo”, le coppie che si rivolgono ai centri italiani. Erano 43.024 nel 2005, sono diventate 52.506 nel 2006. Chi va all’estero, insomma, lo fa per ottenere quello che la legge 40 proibisce (eterologa, soprattutto). Ma il fenomeno, come si può constatare leggendo Libération di domenica (vedi articolo in questa stessa pagina) accomuna l’Italia a molti altri paesi europei, anche a quelli assai più permissivi del nostro, perché ci sarà sempre un luogo (Spagna zapatera, o paesi dell’est totalmente deregolati) dove chiunque può fare qualcosa che altrove è proibito o limitato.
Rispetto al 2005, dunque, aumentano i nati, aumentano le coppie e aumentano anche i centri che applicano tecniche di procreazione medicalmente assistita, diventati 342 (erano 330 quelli censiti per il 2005). La relazione appena depositata segnala tuttavia come dato negativo il fatto che la percentuale di successi, nel 2006, ricalchi semplicemente quella dell’anno precedente, sia cioè del 17,4 per cento sul totale dei pazienti trattati. Un numero, dice la Turco, inferiore ad altri “paesi europei”. Scrive l’ex ministro: “Il fatto che tali percentuali non aumentino non rappresenta un successo dell’efficacia delle tecniche, ma semmai un risultato del loro insuccesso”. Tradotto: in altri paesi si possono scegliere gli embrioni “migliori” e scartare gli altri, per avere più gravidanze. Ma alla base della nostra normativa c’è proprio la scelta di escludere qualsiasi pratica eugenetica, compresa la selezione degli embrioni, e le percentuali di nati sono sostanzialmente in linea con i dati europei.
Una delle risposte più nette a chi parla a vanvera di “legge crudele, contro le donne”, viene poi dal crollo delle complicazioni da iperstimolazione ovarica: erano 670 i casi nel 2005, sono 161 nel 2006. Il limite massimo di tre embrioni da impiantare significa, infatti, trattamenti ormonali meno pesanti per produrre ovociti. Diminuiscono anche gli aborti spontanei e tardivi, le morti intrauterine, le gravidanze ectopiche. Le gravidanze gemellari, invece, aumentano di uno 0,5 per cento, davvero poco per bocciare la legge. A rendere ancora più chiaro il suo buon funzionamento, c’è infine un ultimo rilievo: è aumentata, dal 2005 al 2006, l’età media delle donne che accedono alle tecniche di fecondazione. Nel 2006, il 24 per cento dei cicli ha riguardato donne attorno ai 40 anni, nel 2005 era il 20,7 per cento. La legge funziona bene anche perché all’aumento dell’età non corrisponde una diminuzione dei successi. Eppure, siamo certi che gli attacchi alla legge 40 non finiranno qui.
di Nicoletta Tiliacos
La partita degli «ibridi» frontiera all’inaudito
Avvenire, 20 maggio 2008
FRANCESCO OGNIBENE
Ha appena subìto un memorabile rovescio elettorale, la sua popolarità è crollata ai minimi, si ritrova contestato dentro e fuori il partito laburista, già si parla di una sua sostituzione prima che il vantaggio dei conservatori si faccia incolmabile.
Eppure il premier britannico Gordon Brown, screditato come pochi altri leader d’oltremanica, non ha esitato a prendere la testa dello schieramento trasversale che per mesi ha sostenuto il progetto di legge a favore della creazione a scopo di ricerca di embrioni ibridi uomoanimale, cavalcando una questione che divide l’opinione pubblica inglese assai più che il suo Parlamento (dove pure si è cementato un agguerrito fronte del no, sinora purtroppo minoritario). E ieri sera, infine, ha spuntato il via libera a una norma dal sapore altamente simbolico.
Il provvedimento, passato per un voto favorevole alla Camera dei Lords e ieri a quella dei Comuni, modifica l’equivalente inglese della nostra legge 40 e apre la strada all’inaudito: i laboratori britannici vengono messi nelle condizioni di miscelare cellule riproduttive umane e bovine, abbattendo grazie al capriccio di una maggioranza parlamentare (336 contro 176, per la precisione) la barriera naturale tra l’essere umano e le specie animali. Per oltrepassare una frontiera insormontabile come quella che ha sempre impedito di ipotizzare seriamente la creazione delle cosiddette 'chimere' occorreva il propellente di una volontà umana determinata a produrre in laboratorio ciò che non esiste e non ha senso di essere generato, travestendo questa profanazione senza ritorno con argomenti 'umanitari'. Gli stessi che un premier a corto di simpatie popolari ha usato a piene mani nell’articolo con il quale dalle colonne dell’Observer di domenica ha puntato sui sentimenti dei britannici: «Lasciate fare alla scienza – ha scritto in buona sostanza Brown –, vedrete che un giorno le staminali estratte dagli embrioni ibridi salveranno milioni di persone colpite da malattie oggi inguaribili» (come la fibrosi cistica, che affligge il suo terzo figlio).
Un argomento che suona familiare, vero? È lo stesso che tre anni fa, proprio in questi giorni, il fronte contrario alla legge 40 rovesciava sugli italiani perché si sbarazzassero per via referendaria di norme ritenute retrograde solo perché pongono come architrave di una legge che parla di vita umana la tutela dell’embrione anziché il suo uso strumentale. La gente disse la sua con estrema chiarezza, dopo aver compreso i termini tanto netti quanto semplici della questione. E la sensazione è che anche agli inglesi – quattro su cinque, secondo un sondaggio di pochi giorni fa – piacerebbe capire qualcosa di più su ciò che i deputati hanno discusso, non fidandosi solo ciecamente di una scienza che senza portare alcuna prova chiede con arroganza senza precedenti di chiudere entrambi gli occhi davanti alle provette dove nascono entità simil-umane. A cosa possa realmente servire questo sfregio senza precedenti alla dignità dell’uomo, umiliato al ruolo di materiale da laboratorio ed equiparato a un quadrupede, nemmeno gli scienziati sono davvero in grado di dirlo, figuriamoci un primo ministro. Gli stessi 'profeti delle chimere' (come Stephen Minger, invitato mesi fa dai radicali a Roma, dove liberamente parlò alla Sapienza) non hanno nulla in mano. Zero, niente di niente. Eppure chiedono un sacrificio insostenibile. Persino i primi esperimenti autorizzati dall’Autorità inglese che vigila sulla ricerca nel settore hanno dato vita a embrioni sopravvissuti solo tre giorni, troppo poco per farci alcunché.
Tutto questo mentre le staminali adulte inanellano un successo dietro l’altro e nei laboratori di mezzo mondo si lavora alle «cellule riprogrammate indotte», matrici inesauribili di staminali identiche a quelle embrionali, tratte dalla pelle senza sognarsi di intrecciare il nostro dna con quello di una mucca. E allora, mister Brown, perché vuole gli ibridi? Per assecondare l’industria biotech inglese che vuole spuntare brevetti prima che altri – in Spagna, in Corea, a Singapore... – facciano lo stesso? O per fare dell’Inghilterra la patria mondiale della scienza priva di limiti? Almeno, lo dica.
1) Omelia di Benedetto XVI in piazza della Vittoria a Genova
2) L’ex buono scuola in Piemonte: la libertà di scelta educativa confinata nel diritto allo studio
3) Aumentano i nati, diminuiscono le complicazioni e gli aborti - Turco contro l’evidenza, i dati dicono che legge 40 funziona
4) La partita degli «ibridi» frontiera all’inaudito
Omelia di Benedetto XVI in piazza della Vittoria a Genova
GENOVA, lunedì, 19 maggio 2008 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito l'omelia pronunciata questa domenica pomerigio da Benedetto XVI nel presiedere la Santa Messa in piazza della Vittoria a Genova.
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Cari fratelli e sorelle,
al termine di un’intensa giornata trascorsa in questa vostra Città, ci ritroviamo uniti attorno all’altare per celebrare l’Eucaristia, nella solennità della Santissima Trinità. Da questa centrale Piazza della Vittoria, che ci accoglie per la corale azione di lode e di ringraziamento a Dio con cui si chiude la mia visita pastorale, invio il più cordiale saluto all’intera comunità civile ed ecclesiale di Genova. Con affetto saluto, in primo luogo, l’Arcivescovo, il Cardinale Angelo Bagnasco, che ringrazio per la cortesia con cui mi ha accolto e per le toccanti parole che mi ha rivolto all’inizio della Santa Messa. Come non salutare poi il Cardinale Tarcisio Bertone, mio Segretario di Stato, già Pastore di questa antica e nobile Chiesa? A lui il mio grazie più sentito per la sua vicinanza spirituale e per la sua preziosa collaborazione. Saluto poi il Vescovo Ausiliare, Mons. Luigi Ernesto Palletti, i Vescovi della Liguria e gli altri Presuli. Rivolgo il mio deferente pensiero alle Autorità civili, alle quali sono grato per la loro accoglienza e per il fattivo sostegno che hanno prestato alla preparazione e allo svolgimento di questo mio pellegrinaggio apostolico. In particolare saluto il Ministro Claudio Scaiola in rappresentanza del nuovo Governo, che proprio in questi giorni ha assunto le sue piene funzioni al servizio dell’amata Nazione italiana. Mi rivolgo poi con viva riconoscenza ai sacerdoti, ai religiosi e alle religiose, ai diaconi, ai laici impegnati, ai seminaristi, ai giovani. A tutti voi, cari fratelli e sorelle, il mio saluto affettuoso. Estendo il mio pensiero a quanti non hanno potuto essere presenti, in modo speciale agli ammalati, alle persone sole e a quanti si trovano in difficoltà. Affido al Signore la città di Genova e tutti i suoi abitanti in questa solenne Concelebrazione eucaristica, che, come ogni domenica, ci invita a partecipare in modo comunitario alla duplice mensa della Parola di Verità e del Pane di Vita eterna.
Abbiamo ascoltato, nella prima Lettura (Es 34,4b-6.8-9), un testo biblico che ci presenta la rivelazione del nome di Dio. E’ Dio stesso, l’Eterno e l’Invisibile, che lo proclama, passando davanti a Mosè nella nube, sul monte Sinai. E il suo nome è: “Il Signore, Dio misericordioso e pietoso, lento all’ira e ricco di grazia e di fedeltà”. San Giovanni, nel nuovo Testamento, riassume questa espressione in una sola parola: “Amore” (cfr 1 Gv 4,8.16). Lo attesta anche il Vangelo odierno: “Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito” (Gv 3,16). Questo nome esprime dunque chiaramente che il Dio della Bibbia non è una sorta di monade chiusa in se stessa e soddisfatta della propria autosufficienza, ma è vita che vuole comunicarsi, è apertura, relazione. Parole come “misericordioso”, “pietoso”, “ricco di grazia” ci parlano tutte di una relazione, in particolare di un Essere vitale che si offre, che vuole colmare ogni lacuna, ogni mancanza, che vuole donare e perdonare, che desidera stabilire un legame saldo e duraturo. La Sacra Scrittura non conosce altro Dio che il Dio dell’Alleanza, il quale ha creato il mondo per effondere il suo amore su tutte le creature (cfr Messale Romano, Pregh. Euc. IV) e che si è scelto un popolo per stringere con esso un patto nuziale, farlo diventare una benedizione per tutte le nazioni e così formare dell’intera umanità una grande famiglia (cfr Gn 12,1-3; Es 19,3-6). Questa rivelazione di Dio si è pienamente delineata nel Nuovo Testamento, grazie alla parola di Cristo. Gesù ci ha manifestato il volto di Dio, uno nell’essenza e trino nelle persone: Dio è Amore, Amore Padre - Amore Figlio - Amore Spirito Santo. Ed è proprio nel nome di questo Dio che l’apostolo Paolo saluta la comunità di Corinto, e saluta tutti noi: “La grazia del Signore Gesù Cristo, l’amore di Dio [Padre] e la comunione dello Spirito Santo siano con tutti voi” (2 Cor 13,13).
C’è dunque, in queste Letture, un contenuto principale che riguarda Dio, e in effetti la festa di oggi ci invita a contemplare Lui, il Signore, ci invita a salire in un certo senso “sul monte” come fece Mosè. Questo sembra a prima vista portarci lontano dal mondo e dai suoi problemi, ma in realtà si scopre che proprio conoscendo Dio più da vicino si ricevono anche le indicazioni fondamentali per questa nostra vita: un po’ come accadde a Mosè, che salendo sul Sinai e rimanendo alla presenza di Dio ricevette la legge incisa sulle tavole di pietra, da cui il popolo trasse la guida per andare avanti, per trovare la libertà e per formarsi come popolo in libertà e giustizia. Dal nome di Dio dipende la nostra storia; dalla luce del suo volto il nostro cammino.
Da questa realtà di Dio, che Egli stesso ci ha fatto conoscere rivelandoci il suo “nome”, cioè il suo volto, deriva una certa immagine di uomo, cioè il concetto di persona. Se Dio è unità dialogica, essere in relazione, la creatura umana, fatta a sua immagine e somiglianza, rispecchia tale costituzione: essa pertanto è chiamata a realizzarsi nel dialogo, nel colloquio, nell’incontro: è un essere in relazione. In particolare, Gesù ci ha rivelato che l’uomo è essenzialmente “figlio”, creatura che vive nella relazione con Dio Padre, e così in relazione con tutti i suoi fratelli e sorelle. L’uomo non si realizza in un’autonomia assoluta, illudendosi di essere Dio, ma, al contrario, riconoscendosi quale figlio, creatura aperta, protesa verso Dio e verso i fratelli, nei cui volti ritrova l’immagine del Padre comune. Si vede bene che questa concezione di Dio e dell’uomo sta alla base di un corrispondente modello di comunità umana, e quindi di società. E’ un modello che sta prima di ogni regolamentazione normativa, giuridica, istituzionale, ma direi anche prima delle specificazioni culturali; un modello di umanità come famiglia, trasversale a tutte le civiltà, che noi cristiani esprimiamo affermando che gli uomini sono tutti figli di Dio e quindi tutti fratelli. Si tratta di una verità che sta fin dal principio dietro di noi e al tempo stesso ci sta sempre davanti, come un progetto a cui sempre tendere in ogni costruzione sociale.
Ricchissimo è il Magistero della Chiesa che si è sviluppato a partire proprio da questa visione di Dio e dell’uomo. Basta percorrere i capitoli più importanti della Dottrina Sociale della Chiesa, a cui hanno dato apporti sostanziali i miei venerati Predecessori, in particolare negli ultimi centovent’anni, facendosi autorevoli interpreti e guide del movimento sociale di ispirazione cristiana. Vorrei qui oggi menzionare solo la recente Nota pastorale dell’Episcopato italiano “Rigenerati per una speranza viva”: testimoni del grande “sì” di Dio all’uomo (29.VI.2007). Questa Nota propone due priorità: anzitutto, la scelta del “primato di Dio”: tutta la vita e l’opera della Chiesa dipendono dal mettere al primo posto Dio, ma non un Dio generico, bensì il Signore con il suo nome e il suo volto, il Dio dell’Alleanza che ha fatto uscire il popolo dalla schiavitù d’Egitto, ha risuscitato Cristo dai morti e vuole condurre l’umanità alla libertà nella pace e nella giustizia. L’altra scelta è quella di porre al centro la persona e l’unità della sua esistenza, nei diversi ambiti in cui si dispiega: la vita affettiva, il lavoro e la festa, la fragilità sua propria, la tradizione, la cittadinanza. Il Dio uno e trino e la persona in relazione: questi sono i due riferimenti che la Chiesa ha il compito di offrire ad ogni generazione umana, quale servizio alla costruzione di una società libera e solidale. La Chiesa lo fa certamente con la sua dottrina, ma soprattutto mediante la testimonianza, che non per nulla è la terza scelta fondamentale dell’Episcopato italiano: testimonianza personale e comunitaria, in cui convergono vita spirituale, missione pastorale e dimensione culturale.
In una società tesa tra globalizzazione e individualismo, la Chiesa è chiamata ad offrire la testimonianza della koinonìa, della comunione. Questa realtà non viene “dal basso” ma è un mistero che ha, per così dire, le “radici in cielo”: proprio in Dio uno e trino. E’ Lui, in se stesso, l’eterno dialogo d’amore che in Gesù Cristo si è comunicato a noi, è entrato nel tessuto dell’umanità e della storia per condurle alla pienezza. Ed ecco allora la grande sintesi del Concilio Vaticano II: la Chiesa, mistero di comunione, “è in Cristo come un sacramento, cioè segno e strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano” (Cost. Lumen gentium, 1). Anche qui, in questa grande Città, come pure nel suo territorio, con la varietà dei rispettivi problemi umani e sociali, la Comunità ecclesiale, oggi come ieri, è prima di tutto il segno, povero ma vero, di Dio Amore, il cui nome è impresso nell’essere profondo di ogni persona e in ogni esperienza di autentica socialità e solidarietà.
Dopo queste riflessioni, cari fratelli, vi lascio alcune esortazioni particolari. Abbiate cura della formazione spirituale e catechistica, una formazione “sostanziosa”, più che mai necessaria per vivere bene la vocazione cristiana nel mondo di oggi. Lo dico agli adulti e ai giovani: coltivate una fede pensata, capace di dialogare in profondità con tutti, con i fratelli non cattolici, con i non cristiani e i non credenti. Portate avanti la vostra generosa condivisione con i poveri e i deboli, secondo l’originaria prassi della Chiesa, attingendo sempre ispirazione e forza dall’Eucaristia, sorgente perenne della carità. Incoraggio con affetto speciale i seminaristi e i giovani impegnati in un cammino vocazionale: non abbiate timore, anzi, sentite l’attrattiva delle scelte definitive, di un itinerario formativo serio ed esigente. Solo la misura alta del discepolato affascina e dà gioia. Esorto tutti a crescere nella dimensione missionaria, che è co-essenziale alla comunione. La Trinità infatti è al tempo stesso unità e missione: quanto più intenso è l’amore, tanto più forte è la spinta ad effondersi, a dilatarsi, a comunicarsi. Chiesa di Genova, sii unita e missionaria, per annunciare a tutti la gioia della fede e la bellezza di essere Famiglia di Dio. Il mio pensiero si allarga alla Città intera, a tutti i Genovesi e a quanti vivono e lavorano in questo territorio. Cari amici, guardate al futuro con fiducia e cercate di costruirlo insieme, evitando faziosità e particolarismi, anteponendo ai pur legittimi interessi particolari il bene comune.
Vorrei concludere con un augurio che riprendo dalla stupenda preghiera di Mosè, che abbiamo ascoltato nella prima Lettura: il Signore cammini sempre in mezzo a voi e faccia di voi la sua eredità (cfr Es 34,9). Ve lo ottenga l’intercessione di Maria Santissima, che i Genovesi, in patria e nel mondo intero, invocano quale Madonna della Guardia. Con il suo aiuto e con quello dei Santi Patroni di questa vostra amata Città e Regione, la vostra fede e le vostre opere siano sempre a lode e gloria della Santissima Trinità. Seguendo l’esempio dei Santi di questa terra siate una comunità missionaria: in ascolto di Dio e al servizio degli uomini! Amen.
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L’ex buono scuola in Piemonte: la libertà di scelta educativa confinata nel diritto allo studio
Vincenzo Silvano20/05/2008
Autore(i): Vincenzo Silvano. Pubblicato il 20/05/2008 – IlSussidiario.net
Il cittadino piemontese sente bruciare l’ingiustizia perché per soli quattro anni, a partire dal 2003, ha assaporato il beneficio di una Legge Regionale che ha consentito alle famiglie di scegliere la scuola presso la quale iscrivere il proprio figlio avendo l’opportunità di vedersi rimborsato dal 50 al 75% delle spese sostenute per iscrizione e frequenza. Il risultato è stato che, per i primi due anni, 16.000 famiglie delle 24.000 il cui figlio ha frequentato una scuola paritaria ha chiesto ed ottenuto un sostanzioso rimborso e le iscrizioni alle scuole paritarie del Piemonte sono sensibilmente aumentate.
Nel 2005, però, la maggioranza di centro-destra è diventata minoranza e la nuova maggioranza, di centro-sinistra, ha subito cercato di intervenire per limitare i danni di un provvedimento da essi stessi (tutti i partiti, nessuno escluso) definito “iniquo”. In attesa di presentare un nuovo disegno di legge, la nuova amministrazione ha cominciato a ritardare i pagamenti dei “buoni scuola” già determinati e la pubblicazione del nuovo bando.
Le associazioni di gestori, genitori, dirigenti e insegnanti sostenitrici della libertà di educazione si sono riunite nel Movimento Scuola Libera che il 3 dicembre 2005 a Torino ha radunato 2.500 persone con una manifestazione pubblica alla quale è intervenuto il Cardinale Arcivescovo per ribadire che possibilità di scegliere l’educazione dei propri figli è, innanzi tutto, una questione di libertà. In una città in cui 200 manifestanti prezzolati riescono ad ottenere l’onore della cronaca locale per diversi giorni, 2.500 persone che, seppur composte, protestano il loro diritto alla libertà non possono essere completamente ignorate, nemmeno dal più inveterato statalista. Quindi pagamento del vecchio buono scuola, pubblicazione del nuovo bando e tante promesse. Un passo alla volta (all’indietro), però, qualcosa recuperano: nel nuovo bando la soglia massima di reddito viene ribassata con il risultato che nel 2006 possono chiedere il buono scuola 2.000 famiglie in meno.
Per farla breve la Regione Piemonte è riuscita a votare una nuova legge sull’istruzione nel dicembre 2007 che comprime la libera scelta educativa nel diritto allo studio e che cancella del tutto la vecchia legge. L’esercizio del diritto alla libertà di una scelta viene ridotto alla richiesta, invece, di un servizio sociale e assistenziale per il quale si impone al richiedente la presentazione della certificazione ISEE che la Regione Piemonte, dopo l’ultima battaglia che ha visto in Consiglio Regionale la maggioranza spaccata, ha fissato nel valore massimo di 29.000 euro (la prima formulazione del disegno di legge lo fissava a 20.000 euro).
Delle 24.000 famiglie che oggi hanno un figlio in una scuola paritaria (e domani quanti ne resteranno?) meno di 9.000 hanno potuto fare domanda per la quale riceveranno un importo, comunque, inferiore rispetto a quanto previsto dalla precedente normativa.
19 maggio 2008
Aumentano i nati, diminuiscono le complicazioni e gli aborti - Turco contro l’evidenza, i dati dicono che legge 40 funziona
Dal Foglio.it
Roma. Un dato appare con grande evidenza nell’ultima relazione – relativa al 2006 – sullo stato di attuazione della legge 40 che regola la procreazione medicalmente assistita. Il dato è che quella legge sta funzionando egregiamente. E siccome a pensar male ci si indovina sempre, o quasi, forse è stata proprio l’impossibilità di usare quella relazione contro la legge, la spiegazione del suo deposito alla Camera in forma semiclandestina da parte dell’ex ministro della Salute, Livia Turco: venerdì scorso, con i deputati già tutti a casa e nessun comunicato ufficiale di lancio. Eppure la relazione sul 2006, elaborata a partire dalle rilevazioni raccolte nell’apposito registro che ha sede presso l’Istituto superiore di Sanità, Livia Turco l’aveva firmata già il 30 aprile scorso.
L’ex ministro poteva lasciare al suo successore l’onore e l’onere dell’interpretazione dei dati, ma è evidentemente quello che la Turco meno aveva voglia di fare. La sua è dunque la solita lettura dai toni negativi, perfettamente in armonia con quelle nuove linee guida della legge 40, a loro volta emanate fuori tempo massimo, a mandato ministeriale ultrascaduto, che pure provano a smantellare alcuni punti fermi e irrinunciabili della legge 40. Vediamo allora che cosa dicono concretamente i numeri riportati nella relazione, e quale fondamento hanno le considerazioni dell’ex ministro. Che lamenta, a riprova dei peccati della legge 40, “un mancato incremento atteso nelle percentuali di gravidanze, come invece si registra in tutti gli altri paesi europei” e una “rilevante percentuale di gravidanze gemellari e trigemine nella popolazione femminile più giovane”.
Con le regole stabilite dalla legge 40, nel 2006 sono nati 7.507 bambini su 10.608 gravidanze ottenute, mentre nel 2005 (la legge è stata approvata nel febbraio del 2004) i nati erano stati 4.940. Bisogna però considerare che al registro dell’Iss non sono pervenute, per il 2006, notizie sull’esito di 2.500 gravidanze. Il fenomeno di mancato follow up, che per il 2005 era stato addiritura macroscopico (interessava il 41,3 per cento delle gravidanze), l’anno dopo è diminuito, riducendosi al 21,5 sul totale, ma è ancora molto rilevante.
Aumentano, a smentita delle recriminazioni sul “turismo procreativo”, le coppie che si rivolgono ai centri italiani. Erano 43.024 nel 2005, sono diventate 52.506 nel 2006. Chi va all’estero, insomma, lo fa per ottenere quello che la legge 40 proibisce (eterologa, soprattutto). Ma il fenomeno, come si può constatare leggendo Libération di domenica (vedi articolo in questa stessa pagina) accomuna l’Italia a molti altri paesi europei, anche a quelli assai più permissivi del nostro, perché ci sarà sempre un luogo (Spagna zapatera, o paesi dell’est totalmente deregolati) dove chiunque può fare qualcosa che altrove è proibito o limitato.
Rispetto al 2005, dunque, aumentano i nati, aumentano le coppie e aumentano anche i centri che applicano tecniche di procreazione medicalmente assistita, diventati 342 (erano 330 quelli censiti per il 2005). La relazione appena depositata segnala tuttavia come dato negativo il fatto che la percentuale di successi, nel 2006, ricalchi semplicemente quella dell’anno precedente, sia cioè del 17,4 per cento sul totale dei pazienti trattati. Un numero, dice la Turco, inferiore ad altri “paesi europei”. Scrive l’ex ministro: “Il fatto che tali percentuali non aumentino non rappresenta un successo dell’efficacia delle tecniche, ma semmai un risultato del loro insuccesso”. Tradotto: in altri paesi si possono scegliere gli embrioni “migliori” e scartare gli altri, per avere più gravidanze. Ma alla base della nostra normativa c’è proprio la scelta di escludere qualsiasi pratica eugenetica, compresa la selezione degli embrioni, e le percentuali di nati sono sostanzialmente in linea con i dati europei.
Una delle risposte più nette a chi parla a vanvera di “legge crudele, contro le donne”, viene poi dal crollo delle complicazioni da iperstimolazione ovarica: erano 670 i casi nel 2005, sono 161 nel 2006. Il limite massimo di tre embrioni da impiantare significa, infatti, trattamenti ormonali meno pesanti per produrre ovociti. Diminuiscono anche gli aborti spontanei e tardivi, le morti intrauterine, le gravidanze ectopiche. Le gravidanze gemellari, invece, aumentano di uno 0,5 per cento, davvero poco per bocciare la legge. A rendere ancora più chiaro il suo buon funzionamento, c’è infine un ultimo rilievo: è aumentata, dal 2005 al 2006, l’età media delle donne che accedono alle tecniche di fecondazione. Nel 2006, il 24 per cento dei cicli ha riguardato donne attorno ai 40 anni, nel 2005 era il 20,7 per cento. La legge funziona bene anche perché all’aumento dell’età non corrisponde una diminuzione dei successi. Eppure, siamo certi che gli attacchi alla legge 40 non finiranno qui.
di Nicoletta Tiliacos
La partita degli «ibridi» frontiera all’inaudito
Avvenire, 20 maggio 2008
FRANCESCO OGNIBENE
Ha appena subìto un memorabile rovescio elettorale, la sua popolarità è crollata ai minimi, si ritrova contestato dentro e fuori il partito laburista, già si parla di una sua sostituzione prima che il vantaggio dei conservatori si faccia incolmabile.
Eppure il premier britannico Gordon Brown, screditato come pochi altri leader d’oltremanica, non ha esitato a prendere la testa dello schieramento trasversale che per mesi ha sostenuto il progetto di legge a favore della creazione a scopo di ricerca di embrioni ibridi uomoanimale, cavalcando una questione che divide l’opinione pubblica inglese assai più che il suo Parlamento (dove pure si è cementato un agguerrito fronte del no, sinora purtroppo minoritario). E ieri sera, infine, ha spuntato il via libera a una norma dal sapore altamente simbolico.
Il provvedimento, passato per un voto favorevole alla Camera dei Lords e ieri a quella dei Comuni, modifica l’equivalente inglese della nostra legge 40 e apre la strada all’inaudito: i laboratori britannici vengono messi nelle condizioni di miscelare cellule riproduttive umane e bovine, abbattendo grazie al capriccio di una maggioranza parlamentare (336 contro 176, per la precisione) la barriera naturale tra l’essere umano e le specie animali. Per oltrepassare una frontiera insormontabile come quella che ha sempre impedito di ipotizzare seriamente la creazione delle cosiddette 'chimere' occorreva il propellente di una volontà umana determinata a produrre in laboratorio ciò che non esiste e non ha senso di essere generato, travestendo questa profanazione senza ritorno con argomenti 'umanitari'. Gli stessi che un premier a corto di simpatie popolari ha usato a piene mani nell’articolo con il quale dalle colonne dell’Observer di domenica ha puntato sui sentimenti dei britannici: «Lasciate fare alla scienza – ha scritto in buona sostanza Brown –, vedrete che un giorno le staminali estratte dagli embrioni ibridi salveranno milioni di persone colpite da malattie oggi inguaribili» (come la fibrosi cistica, che affligge il suo terzo figlio).
Un argomento che suona familiare, vero? È lo stesso che tre anni fa, proprio in questi giorni, il fronte contrario alla legge 40 rovesciava sugli italiani perché si sbarazzassero per via referendaria di norme ritenute retrograde solo perché pongono come architrave di una legge che parla di vita umana la tutela dell’embrione anziché il suo uso strumentale. La gente disse la sua con estrema chiarezza, dopo aver compreso i termini tanto netti quanto semplici della questione. E la sensazione è che anche agli inglesi – quattro su cinque, secondo un sondaggio di pochi giorni fa – piacerebbe capire qualcosa di più su ciò che i deputati hanno discusso, non fidandosi solo ciecamente di una scienza che senza portare alcuna prova chiede con arroganza senza precedenti di chiudere entrambi gli occhi davanti alle provette dove nascono entità simil-umane. A cosa possa realmente servire questo sfregio senza precedenti alla dignità dell’uomo, umiliato al ruolo di materiale da laboratorio ed equiparato a un quadrupede, nemmeno gli scienziati sono davvero in grado di dirlo, figuriamoci un primo ministro. Gli stessi 'profeti delle chimere' (come Stephen Minger, invitato mesi fa dai radicali a Roma, dove liberamente parlò alla Sapienza) non hanno nulla in mano. Zero, niente di niente. Eppure chiedono un sacrificio insostenibile. Persino i primi esperimenti autorizzati dall’Autorità inglese che vigila sulla ricerca nel settore hanno dato vita a embrioni sopravvissuti solo tre giorni, troppo poco per farci alcunché.
Tutto questo mentre le staminali adulte inanellano un successo dietro l’altro e nei laboratori di mezzo mondo si lavora alle «cellule riprogrammate indotte», matrici inesauribili di staminali identiche a quelle embrionali, tratte dalla pelle senza sognarsi di intrecciare il nostro dna con quello di una mucca. E allora, mister Brown, perché vuole gli ibridi? Per assecondare l’industria biotech inglese che vuole spuntare brevetti prima che altri – in Spagna, in Corea, a Singapore... – facciano lo stesso? O per fare dell’Inghilterra la patria mondiale della scienza priva di limiti? Almeno, lo dica.