venerdì 30 maggio 2008

Nella rassegna stampa di oggi:
1) Il Papa: l'emergenza educativa richiede testimoni credibili - Nell'incontrarsi con i partecipanti all'Assemblea generale dell'episcopato italiano
2) Discorso del Papa all'Assemblea generale dell'episcopato italiano
3) Benedetto XVI: l'educazione, base dello sviluppo
4) Reale: «Emergenza educativa, una crisi che inizia dai padri»
5) NOTIZIE SESSUALI - Grazie alle fondazioni Rockefeller, a Soros, a Bill Gates con le sue donazioni milionarie alla UNFPA (il fondo delle Nazioni Unite per la popolazione) e ad altri noti filantropi contemporanei, le strategie per la “pianificazione famigliare” si diffondono, e con esse, l’aborto e le più terribili aberrazioni…
6) Conti ok, meno tasse, riforme liberali: se si fa come dice Brunetta, si può
7) il caso di Modena - Donna rifiuta le cure e muore Ma non è «testamento biologico»


Il Papa: l'emergenza educativa richiede testimoni credibili - Nell'incontrarsi con i partecipanti all'Assemblea generale dell'episcopato italiano
di Mirko Testa
CITTA' DEL VATICANO, giovedì, 29 maggio 2008 (ZENIT.org).- Emergenza educativa, ruolo della scuola cattolica e trasmissione della fede ai giovani, sono questi alcuni dei temi affrontati da Benedetto XVI incontrandosi giovedì, in Vaticano, con i partecipanti all’Assemblea generale della Conferenza Episcopale Italiana.
Nel suo discorso il Papa ha richiamato la necessità per la Chiesa di rispondere alle attuali sfide educative, una tematica già affrontata nella lettera indirizzata il 21 gennaio scorso alla diocesi e alla città di Roma e al centro delle riflessioni dei Vescovi italiani impegnati a trovare risposte efficaci alle questioni dell’evangelizzazione e dell'educazione delle nuove generazioni.
Nella sua analisi il Papa ha rintracciato in un “relativismo pervasivo e non di rado aggressivo” la causa di quella che viene avvertita come una vera e propria “emergenza educativa”.
Le conseguenze sono infatti il venir meno delle “certezze basilari”, dei “valori” e delle “speranze che danno un senso alla vita”; “si diffonde facilmente, tra i genitori come tra gli insegnanti, la tentazione di rinunciare al proprio compito, e ancor prima il rischio di non comprendere più quale sia il proprio ruolo e la propria missione”.
“Così i fanciulli, gli adolescenti e i giovani, pur circondati da molte attenzioni e tenuti forse eccessivamente al riparo dalle prove e dalle difficoltà della vita – ha spiegato il Papa –, si sentono alla fine lasciati soli davanti alle grandi domande che nascono inevitabilmente dentro di loro, come davanti alle attese e alle sfide che sentono incombere sul loro futuro”.
Il Pontefice ha quindi parlato degli “ostacoli frapposti dal relativismo” e “da una cultura che mette Dio tra parentesi e che scoraggia ogni scelta davvero impegnativa e in particolare le scelte definitive, per privilegiare invece, nei diversi ambiti della vita, l'affermazione di se stessi e le soddisfazioni immediate”.
Per fare fronte a queste difficoltà è necessario, ha detto, sostenere e rivitalizzare le grandi forze evangelizzatrici presenti nel cattolicesimo italiano, nelle parrocchie, negli oratori ma anche nei grandi appuntamenti ecclesiali come quello di Loreto o della Giornata Mondiale della Gioventù.
“Soprattutto importanti sono, ovviamente, i rapporti personali e specialmente la confessione sacramentale e la direzione spirituale”, ha detto.
Inoltre, ha continuato, i tempi attuali richiedono “un percorso di riscoperta e di ripresa” in grado di porre di nuovo al centro “la piena e integrale formazione della persona umana”.
Tuttavia, questi presupposti devono incontrare anche “educatori che sappiano essere testimoni credibili di quelle realtà e di quei valori su cui è possibile costruire sia l’esistenza personale sia progetti di vita comuni e condivisi”.
Successivamente, il Papa ha sottolineato l'opportunità, per uno Stato democratico, di garantire libertà e sostegno anche alle scuole cattoliche al fine di stimolare un confronto capace di “produrre effetti benefici”.
“E’ legittimo infatti – ha detto – domandarsi se non gioverebbe alla qualità dell’insegnamento lo stimolante confronto tra centri formativi diversi suscitati, nel rispetto dei programmi ministeriali validi per tutti, da forze popolari multiple, preoccupate di interpretare le scelte educative delle singole famiglie”.
Al termine dell'udienza nel ricevere la prima copia in edizione speciale della nuova traduzione italiana della Bibbia, il Papa si è lasciato andare ad una battuta auspicando che venga stampata anche in versione tascabile.


Discorso del Papa all'Assemblea generale dell'episcopato italiano
CITTA' DEL VATICANO, giovedì, 29 maggio 2008 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito il discorso pronunciato questo giovedì da Benedetto XVI in occasione dell'incontro nella Sala del Sinodo, in Vaticano, con i partecipanti all’Assemblea Generale della Conferenza Episcopale Italiana.
* * *
Cari Fratelli Vescovi italiani,
è questa la quarta volta nella quale ho la gioia di incontrarvi riuniti nella vostra Assemblea Generale, per riflettere con voi sulla missione della Chiesa in Italia e sulla vita di questa amata Nazione. Saluto il vostro Presidente, Cardinale Angelo Bagnasco, e lo ringrazio vivamente per le parole gentili che mi ha rivolto a nome di tutti voi. Saluto i tre Vicepresidenti e il Segretario Generale. Saluto ciascuno di voi, con quell’affetto che scaturisce dal saperci membra dell’unico Corpo mistico di Cristo e partecipi insieme della stessa missione.
Desidero anzitutto felicitarmi con voi per aver posto al centro dei vostri lavori la riflessione sul come favorire l’incontro dei giovani con il Vangelo e quindi, in concreto, sulle fondamentali questioni dell’evangelizzazione e dell'educazione delle nuove generazioni. In Italia, come in molti altri Paesi, è fortemente avvertita quella che possiamo definire una vera e propria "emergenza educativa". Quando, infatti, in una società e in una cultura segnate da un relativismo pervasivo e non di rado aggressivo, sembrano venir meno le certezze basilari, i valori e le speranze che danno un senso alla vita, si diffonde facilmente, tra i genitori come tra gli insegnanti, la tentazione di rinunciare al proprio compito, e ancor prima il rischio di non comprendere più quale sia il proprio ruolo e la propria missione. Così i fanciulli, gli adolescenti e i giovani, pur circondati da molte attenzioni e tenuti forse eccessivamente al riparo dalle prove e dalle difficoltà della vita, si sentono alla fine lasciati soli davanti alle grandi domande che nascono inevitabilmente dentro di loro, come davanti alle attese e alle sfide che sentono incombere sul loro futuro. Per noi Vescovi, per i nostri sacerdoti, per i catechisti e per l'intera comunità cristiana l'emergenza educativa assume un volto ben preciso: quello della trasmissione della fede alle nuove generazioni. Anche qui, in certo senso specialmente qui, dobbiamo fare i conti con gli ostacoli frapposti dal relativismo, da una cultura che mette Dio tra parentesi e che scoraggia ogni scelta davvero impegnativa e in particolare le scelte definitive, per privilegiare invece, nei diversi ambiti della vita, l'affermazione di se stessi e le soddisfazioni immediate.
Per far fronte a queste difficoltà lo Spirito Santo ha già suscitato nella Chiesa molti carismi ed energie evangelizzatrici, particolarmente presenti e vivaci nel cattolicesimo italiano. E’ compito di noi Vescovi accogliere con gioia queste forze nuove, sostenerle, favorire la loro maturazione, guidarle e indirizzarle in modo che si mantengano sempre all’interno del grande alveo della fede e della comunione ecclesiale. Dobbiamo inoltre dare un più spiccato profilo di evangelizzazione alle molte forme e occasioni di incontro e di presenza che tuttora abbiamo con il mondo giovanile, nelle parrocchie, negli oratori, nelle scuole - in particolare nelle scuole cattoliche - e in tanti altri luoghi di aggregazione. Soprattutto importanti sono, ovviamente, i rapporti personali e specialmente la confessione sacramentale e la direzione spirituale. Ciascuna di queste occasioni è una possibilità che ci è data di far percepire ai nostri ragazzi e giovani il volto di quel Dio che è il vero amico dell’uomo. I grandi appuntamenti, poi, come quello che abbiamo vissuto lo scorso settembre a Loreto e come quello che vivremo in luglio a Sydney, dove saranno presenti anche molti giovani italiani, sono l'espressione comunitaria, pubblica e festosa di quell'attesa, di quell'amore e di quella fiducia verso Cristo e verso la Chiesa che permangono radicati nell'animo giovanile. Questi appuntamenti raccolgono pertanto il frutto del nostro quotidiano lavoro pastorale e al tempo stesso aiutano a respirare a pieni polmoni l’universalità della Chiesa e la fraternità che deve unire tutte le Nazioni.
Anche nel più ampio contesto sociale, proprio l'attuale emergenza educativa fa crescere la domanda di un’educazione che sia davvero tale: quindi, in concreto, di educatori che sappiano essere testimoni credibili di quelle realtà e di quei valori su cui è possibile costruire sia l’esistenza personale sia progetti di vita comuni e condivisi. Questa domanda, che sale dal corpo sociale e che coinvolge i ragazzi e i giovani non meno dei genitori e degli altri educatori, già di per sé costituisce la premessa e l’inizio di un percorso di riscoperta e di ripresa che, in forme adatte ai tempi attuali, ponga di nuovo al centro la piena e integrale formazione della persona umana. Come non spendere, in questo contesto, una parola in favore di quegli specifici luoghi di formazione che sono le scuole? In uno Stato democratico, che si onora di promuovere la libera iniziativa in ogni campo, non sembra giustificarsi l’esclusione di un adeguato sostegno all’impegno delle istituzioni ecclesiastiche nel campo scolastico. E’ legittimo infatti domandarsi se non gioverebbe alla qualità dell’insegnamento lo stimolante confronto tra centri formativi diversi suscitati, nel rispetto dei programmi ministeriali validi per tutti, da forze popolari multiple, preoccupate di interpretare le scelte educative delle singole famiglie. Tutto lascia pensare che un simile confronto non mancherebbe di produrre effetti benefici.
Cari Fratelli Vescovi italiani, non solo nell'importantissimo ambito dell'educazione, ma in certo senso nella propria situazione complessiva, l’Italia ha bisogno di uscire da un periodo difficile, nel quale è sembrato affievolirsi il dinamismo economico e sociale, è diminuita la fiducia nel futuro ed è cresciuto invece il senso di insicurezza per le condizioni di povertà di tante famiglie, con la conseguente tendenza di ciascuno a rinchiudersi nel proprio particolare. E’ proprio per la consapevolezza di questo contesto che avvertiamo con particolare gioia i segnali di un clima nuovo, più fiducioso e più costruttivo. Esso è legato al profilarsi di rapporti più sereni tra le forze politiche e le istituzioni, in virtù di una percezione più viva delle responsabilità comuni per il futuro della Nazione. E ciò che conforta è che tale percezione sembra allargarsi al sentire popolare, al territorio e alle categorie sociali. E’ diffuso infatti il desiderio di riprendere il cammino, di affrontare e risolvere insieme almeno i problemi più urgenti e più gravi, di dare avvio a una nuova stagione di crescita economica ma anche civile e morale.
Evidentemente questo clima ha bisogno di consolidarsi e potrebbe presto svanire, se non trovasse riscontro in qualche risultato concreto. Rappresenta però già di per sé una risorsa preziosa, che è compito di ciascuno, secondo il proprio ruolo e le proprie responsabilità, salvaguardare e rafforzare. Come Vescovi non possiamo non dare il nostro specifico contributo affinché l'Italia conosca una stagione di progresso e di concordia, mettendo a frutto quelle energie e quegli impulsi che scaturiscono dalla sua grande storia cristiana. A tal fine dobbiamo anzitutto dire e testimoniare con franchezza alle nostre comunità ecclesiali e all'intero popolo italiano che, anche se sono molti i problemi da affrontare, il problema fondamentale dell’uomo di oggi resta il problema di Dio. Nessun altro problema umano e sociale potrà essere davvero risolto se Dio non ritorna al centro della nostra vita. Soltanto così, attraverso l'incontro con il Dio vivente, sorgente di quella speranza che ci cambia di dentro e che non delude (Rm 5,5), è possibile ritrovare una forte e sicura fiducia nella vita e dare consistenza e vigore ai nostri progetti di bene.
Desidero ripetere a voi, cari Vescovi italiani, ciò che dicevo lo scorso 16 aprile ai nostri Confratelli degli Stati Uniti: "Quali annunciatori del Vangelo e guide della comunità cattolica, voi siete chiamati anche a partecipare allo scambio di idee nella pubblica arena, per aiutare a modellare atteggiamenti culturali adeguati". Nel quadro di una laicità sana e ben compresa, occorre pertanto resistere ad ogni tendenza a considerare la religione, e in particolare il cristianesimo, come un fatto soltanto privato: le prospettive che nascono dalla nostra fede possono offrire invece un contributo fondamentale al chiarimento e alla soluzione dei maggiori problemi sociali e morali dell'Italia e dell'Europa di oggi. Giustamente, pertanto, voi dedicate grande attenzione alla famiglia fondata sul matrimonio, per promuovere una pastorale adeguata alle sfide che essa oggi deve affrontare, per incoraggiare l'affermarsi di una cultura favorevole, e non ostile, alla famiglia e alla vita, come anche per chiedere alle pubbliche istituzioni una politica coerente ed organica che riconosca alla famiglia quel ruolo centrale che essa svolge nella società, in particolare per la generazione ed educazione dei figli: di una tale politica l'Italia ha grande e urgente bisogno. Forte e costante deve essere ugualmente il nostro impegno per la dignità e la tutela della vita umana in ogni momento e condizione, dal concepimento e dalla fase embrionale alle situazioni di malattia e di sofferenza e fino alla morte naturale. Né possiamo chiudere gli occhi e trattenere la voce di fronte alle povertà, ai disagi e alle ingiustizie sociali che affliggono tanta parte dell’umanità e che richiedono il generoso impegno di tutti, un impegno che s’allarghi anche alle persone che, se pur sconosciute, sono tuttavia nel bisogno. Naturalmente, la disponibilità a muoversi in loro aiuto deve manifestarsi nel rispetto delle leggi, che provvedono ad assicurare l’ordinato svolgersi della vita sociale sia all’interno di uno Stato che nei confronti di chi vi giunge dall’esterno. Non è necessario che concretizzi maggiormente il discorso: voi, insieme con i vostri cari sacerdoti, conoscete le concrete e reali situazioni perché vivete con la gente.
E’ dunque una straordinaria opportunità per la Chiesa in Italia potersi avvalere di mezzi di informazione che interpretino quotidianamente nel pubblico dibattito le sue istanze e preoccupazioni, in maniera certamente libera e autonoma ma in spirito di sincera condivisione. Mi rallegro pertanto con voi per il quarantesimo anniversario della fondazione del giornale Avvenire e auspico vivamente che esso possa raggiungere un numero crescente di lettori. Mi rallegro per la pubblicazione della nuova traduzione della Bibbia, e della copia che mi avete cortesemente donato. Bene si inquadra nella preparazione del prossimo Sinodo dei Vescovi che rifletterà su "La Parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa".
Carissimi Fratelli Vescovi italiani, vi assicuro la mia vicinanza, con un costante ricordo nella preghiera, e imparto con grande affetto la Benedizione apostolica a ciascuno di voi, alle vostre Chiese e a tutta la diletta Nazione italiana.
[© Copyright 2008 - Libreria Editrice Vaticana]


Benedetto XVI: l'educazione, base dello sviluppo
Nel ricevere i nuovi ambasciatori presso la Santa Sede di nove Paesi
CITTA' DEL VATICANO, giovedì, 29 maggio 2008 (ZENIT.org).- L'educazione è alla base dello sviluppo, ha affermato Benedetto XVI questo giovedì ricevendo in udienza gli ambasciatori di nove Paesi in occasione della presentazione delle loro Lettere Credenziali.
Il Pontefice ha incontrato i rappresentanti di Tanzania, Uganda, Liberia, Ciad, Bangladesh, Bielorussia, Repubblica di Guinea, Sri Lanka e Nigeria nella Sala Clementina del Palazzo Apostolico Vaticano.
L'educazione “è uno dei più importanti fattori di sviluppo”, ha riconosciuto rivolgendosi in inglese al nuovo ambasciatore della Tanzania, Ahmada Rweyemamu Ngemera.
Per questo motivo, ha osservato, è necessario elaborare piani di formazione per insegnanti e per altro personale delle istituzioni scolastiche perché “la costruzione di strutture adeguate non può prescindere dallo forzo complementare di preparare persone qualificate”.
Nel suo discorso al rappresentante della Liberia, Wesley Momo Johnson, ricordando i tanti uomini e le tante donne – sacerdoti, religiosi e laici – che operano nel Paese africano, il Pontefice ha sottolineato che “l'apostolato educativo è forse l'investimento più importante” nel futuro liberiano.
Di fronte a bassi livelli di alfabetizzazione dovuti anche ai traumi dei giovani per l'esperienza della guerra civile, che ha costretto alcuni a diventare soldati e ad abbandonare l'istruzione, il Papa ricorda che la Chiesa “cerca di offrire speranza alle persone, di instillare in loro fiducia nel futuro e di mostrare loro che sono amate e accudite, di condurle, in altre parole, verso l'incontro con Cristo, il Salvatore dell'umanità”.
Il Pontefice ha sottolineato l'impegno ecclesiale nel settore dell'educazione rivolgendosi anche al nuovo ambasciatore del Ciad, Hissein Brahim Taha, ricordando “l'azione della Chiesa a favore dell'educazione e della formazione dei giovani, grazie soprattutto alle scuole cattoliche, che occupano un posto di rilievo nel sistema educativo ciadiano”.
“Mediante queste scuole, che sono ambiti in cui i giovani di religioni e di contesti sociali diversi imparano a vivere insieme nel rispetto reciproco, la Chiesa intende lottare contro ogni forma di povertà e contribuire all'edificazione di una società sempre più fraterna e solidale”, ha constatato.
Un “sistema educativo vibrante”, ha aggiunto parlando all'ambasciatore del Bangladesh, Debapriya Bhattacharya, è anche “essenziale per una forte democrazia”.
“Sia lo stato sia la Chiesa hanno un loro ruolo nell'aiutare le famiglie a impartire sapienza, conoscenza e virtù morale ai loro figli, affinché arrivino a riconoscere la dignità comune a tutti gli uomini e le donne, compresi quelli appartenenti a culture e a religioni diverse dalla propria”, ha spiegato.
A questo scopo, la Chiesa cerca di contribuire “istituendo scuole che non si preoccupino solo dello sviluppo cognitivo dei bambini, ma anche di quello spirituale e morale”.
“Nella misura in cui queste e altre scuole basate sulla fede svolgono il servizio pubblico di formare i giovani nella tolleranza e nel rispetto, devono quindi ricevere il sostegno di cui hanno bisogno, compreso l'aiuto finanziario, a beneficio dell'intera famiglia umana”.
Una maggiore attenzione al settore educativo, ha osservato il Papa nel suo discorso all'ambasciatore dello Sri Lanka, Tikiri Bandara Maduwegedera, aiuterebbe anche ad arginare la “sconvolgente tendenza a reclutare bambini da impegnare nei combattimenti o nelle attività terroristiche”.
“Simili pratiche devono essere condannate in partenza – ha dichiarato –, poiché inevitabilmente arrestano lo sviluppo morale dei bambini, lasciando cicatrici che dureranno per tutta la vita e lacerano la fibra morale della società stessa”.
“Imploro le guide nel vostro Paese e in tutto il mondo di rimanere vigili, affinché non vi siano compromessi a questo riguardo – ha concluso – . I bambini e gli adolescenti devono ricevere oggi una solida formazione nei valori morali che rafforzeranno il tessuto sociale del vostro Paese domani”.


Reale: «Emergenza educativa, una crisi che inizia dai padri»
Avvenire, 30 maggio 2008
DI EDOARDO CASTAGNA
«Non è un problema. È il problema » . Il filosofo Giovanni Reale apprezza sen­za riserve l’intervento di Bene­detto XVI sull’emergenza edu­cativa, ritenendola «il proble­ma, in senso assoluto, che do­mina la situazione attuale». E ne indica immediatamente la radice: «Il relativismo pervasivo, e non di rado aggressivo, che mina alla base tutte le certezze e tutti i valori – quindi, tutti i punti di riferimento per l’educazione. Così, il problema dell’educazione è in realtà il problema dell’essere uomo nella società di oggi. Perché la questione, a mio modo di vedere, è questa: è crisi tra i giovani perché è crisi tra i padri e le madri».
È in questo senso cha va com­preso l’appello agli educatori, affinché siano «testimoni cre­dibili di quei valori su cui è pos­sibile costruire sia l’esistenza personale sia progetti di vita comuni e condivisi»?
«Certo, è l’unica cosa da fare. Per i Greci, nostri maestri, la verità di una filosofia si misurava non nella coerenza delle idee e delle dimostrazioni che il filosofo presentava, ma nella coerenza con la sua vita: se è vero quello che dici io lo verifico nel­la vita che conduci. A maggior ragione questo vale oggi per i padri, le madri, gli educatori. Le chiacchiere non servono a nulla: del padre e della madre i figli colgono ciò che fanno pri- ma di ciò che dicono, che è, se non secondario, perlomeno conseguente. Del resto, il pon­tefice fin dalla sua prima enci­clica ha detto chiaramente che l’incontro con Cristo non è un incontro con delle idee, ma con una persona. Così Kierkegaard, alla domanda se avrebbe volu­to aver visto Cristo in faccia, rispondeva: Cristo lo devi sempre vedere in faccia; essere credente significa sentire Cristo come contemporaneo. Il cristianesimo finisce nel momento in cui cessa questa contemporaneità, perché allora Cristo diventa una cosa immensa­mente lontana da noi».
Come è possibile far rinascere questa idea e metterla in atto? Il discorso di Benedetto XVI ri­chiama l’idea di persona.
«Purtroppo il concetto di persona oggi è stato completamente dimenticato a favore dell’individuo, dell’individualismo. Invece il concetto di persona, che non è greco ma esclusivamente cristiano, impli­ca un rapporto strutturale dell’io con il tu. E non solo a livello orizzontale, ma anche con il Tu maiuscolo; triangolare, quindi. Io l’ho imparato bene da Giovanni Paolo II, che dice­va che la persona umana è un rispecchiamento della Trinità. Recentemente sono stato mol­to colpito dalla lettura de L’epoca della passioni tristi, dove due psicoterapeuti francesi, Miguel Benasayag e Gérard Schmit, scrivono che non han­no mai avuto così tanti pazien­ti giovani da curare come a­desso. E trovano la ragione di fondo di questa crisi dei giova­ni: il caos, che trovano sia in ca­sa, sia fuori. Rieducarli è asso­lutamente fondamentale, e per farlo occorre superare quel re­lativismo – che è nichilismo – dilagante. Non con parole, ma con testimoni».
La sua lunga esperienza di in­segnamento glielo conferma?
«Io, che sono nella scuola da sempre, capisco e soffro moltissimo nel vederla corrotta e decadente, nel senso che si è dato un peso determinante al­la preparazione per l’utile, per ciò che concretamente è utile, scacciando tutto ciò che è 'i­nutile'. Per fortuna non siamo noi al vertice di questa sciagu­ra; ha iniziato la Germania, poi in Francia hanno tolto la filo­sofia dai licei… che però è quel­lo che insegna a pensare. A es­sere uomini».
Eppure anche nei nostri licei si sentono gli studenti dire: perché devo studiare latino, a che mi serve?
«È quello il problema! Ma chi lo dice davvero? Prima degli studenti, lo dicono i padri e le madri. Ricordo una lettera: 'A mio figlio fanno studiare Manzoni, ma a che cosa gli serve, visto che farà l’ingegnere…'. Ma scriveva il pensatore cinese Tchouang Tse: 'Tutti conoscono l’utilità dell’utile. Ma pochi conoscono l’utilità dell’inutile'. E aggiungeva: 'L’inutile produce talvolta ciò che è più utile di ciò che tu ritieni inutile'. Sono queste le cose che dovremmo far capire. Anche a qualche pro­fessore, perché molti sono an­cora figli del Sessantotto e non hanno recuperato i valori che e­rano stati contestati».


NOTIZIE SESSUALI
Grazie alle fondazioni Rockefeller, a Soros, a Bill Gates con le sue donazioni milionarie alla UNFPA (il fondo delle Nazioni Unite per la popolazione) e ad altri noti filantropi contemporanei, le strategie per la “pianificazione famigliare” si diffondono, e con esse, l’aborto e le più terribili aberrazioni…
L’ONU riesce, finalmente, a far passare qualcosa ai sinistrati della Birmania, affamati, privi di tutto e minacciati dalle malattie tropicali. Per la precisione: l’UNFPA, il fondo delle Nazioni Unite per la popolazione, ha ottenuto dalla giunta di far recapitare 218.400 preservativi e pillole anticoncezionali, «al fine di permettere ai sopravvissuti del ciclone di proseguire la loro pianificazione familiare».
L’UNFPA è nato per tenace volontà della famiglia Rockefeller, che nell’operazione di lobby ha speso, in quasi un secolo, qualcosa come 200 miliardi di dollari attuali.
Nel 1911 un Rockefeller creò il Bureau of Social Hygiene, avanguardia del movimento d’opinione «spontaneo» per la limitazione delle nascite, che nel 1913 passò direttamente sotto la Rockefeller Foundation, molto ampliato e fornitissimo di denaro. La sua missione proclamata era, ovviamente, «tutelare la salute della donna e diffondere l’educazione sessuale».
I Rockefeller finanziavano anche il Wilhelm Kaiser Institute tedesco, il centro dell’eugenetica «scienti*****» che ebbe tanta parte nella ideologia del Terzo Reich.
Nel 1993, sul bollettino di famiglia (Rockefeller Archive Center Newsletter), un professor John B. Sharpless sottolineava come «le fondazioni e singoli filantropi siano stati importanti» per causare «il cambiamento di attitudine sulla riduzione delle nascite che avvenne, con straordinaria rapidità e quasi unanimità, negli anni '60. Tali fondazioni hanno finanziato la ricerca e sviluppo di contraccettivi, ma soprattutto costruirono la rete internazionale di esperti che ‘conformarono’ il dibattito pubblico»; i filantropi sono attivi ancor oggi.
George Soros ha fondato un suo Program of Reproductive Health and Rights, che dedica i suoi sforzi alla causa del diritto all’aborto. Bill Gates ha donato 57 milioni di dollari all’UNFPA; Ted Turner, ha versato a questo organismo un miliardo di dollari fra il 1997 e il 2007. Warren Buffett ha promesso di lasciare i suoi beni, alla sua morte, a progetti di «pianificazione familiare».
La pratica dell’eufemismo in questo campo fa ovviamente parte integrante della propaganda per «conformare» il dibattito pubblico: non si dice «aborto» ma IVG, e si dice «pianificazione familiare» per i contraccettivi o gli abortivi. Una così generosa e tenace mobilitazione non poteva non essere coronata da successo.
Gli ultimi dati del Dipartimento Sanità inglese (ma non abbiamo ragione di ritenere che la situazione sia diversa in Italia) dicono che il 33% delle donne britanniche fanno o faranno un aborto entro i 45 anni d’età. Nel 1968, primo anno della legalizzazione, gli aborti furono 22 mila; oggi sono 194 mila.
In tremila casi, l’aborto è stato praticato dopo la ventesima settimana (oltre il quinto mese), un aumento del 44% nel decennio. Oltre 60 mila donne si sono sottoposte ad «aborti ripetuti»; di queste, 17 mila erano al terzo aborto, 3.800 al quarto, 1.300 al quinto «o più». Tra questi più ci sono 65 donne che, a 30 anni, hanno già fatto sei aborti legali, e più di 50 donne che ne hanno fatti otto «o più». Si rilevano anche 82 ragazze sotto i 18 anni che hanno già abortito tre volte.
Ma questi risultati non bastano ai filantropi preoccupati della «salute della donna» e dei suoi «diritti». Come abbiamo già visto sui giornali, il parlamento britannico ha appena rigettato una proposta di abbassare il periodo dell’aborto legale a 20 settimane (cinque mesi), lasciandolo a 24 settimane. E’ il periodo più lungo nelle legislazioni abortiste: il feto è ucciso al sesto mese di gestazione.
Solo quando l’aborto sarà consentito fino al 24mo anno del feto, però, avremo raggiunto la piena e decisiva conquista della pianificazione familiare.
Non è una battuta. La Camera dei Comuni - come già probabilmente sapete - ha rigettato anche (a schiacciante maggioranza) un emendamento che vietava la fabbricazione di embrioni ibridi, uomo-animale. La formazione di tali ibridi o chimere è legale in Gran Bretagna dal 2007. Lo scopo è, naturalmente, «permettere la ricerca per debellare terribili malattie» del «nascituro», s’intende di quello che non verrà abortito.
A proposito di questo commovente e progressivo scientifico intento, monsignor Elio Sgreccia, presidente dell’Accademia pontificia per la vita, ha detto che si tratta di «una menzogna mediatica senza supporto scientifico». Ma naturalmente sbaglia.
La creazione di ibridi umano-animali apre effettivamente la strada al farmaco assoluto contro tutte le malattie genetiche del «nascituro». A questo farmaco sarà dato un nome eufemistico. Per il momento, possiamo chiamarlo il «bambino-medicina».
Genitori che hanno un figlio colpito da una malattia genetica si faranno produrre in vitro un fratellino gemello del piccolo malato, geneticamente modificato con cellule di topo, maiale, serpente o quale altra bestia sia adatta allo scopo; poi abortiranno il fratellino-medicina, e ne ricaveranno i sieri e le sostanze OGM per curare l’altro bambino. Quello che hanno voluto ed amato, che hanno atteso come «nascituro». L’altro, lasciato sviluppare fino al sesto mese e poi smembrato per estrarne i farmaci, dovrebbe essere chiamato «aborturo». Aspettiamo un nome più eufemistico.
La Camera dei Comuni ha anche legalizzato la fecondazione in vitro fra lesbiche. Ora non resta che estendere questa azione umanitaria occidentale ai birmani. Con la dovuta urgenza, visto che sono stati devastati dal ciclone.
di Maurizio Blondet
EFFEDIEFFE 21 maggio 2008


Attacco al cuore dello stato
Dal sito il Foglio.it
Conti ok, meno tasse, riforme liberali: se si fa come dice Brunetta, si può
Il ministro della Funzione pubblica, Renato Brunetta, sta dando un segnale concreto del nuovo clima decisionista e produttivista con il suo programma di interventi per la riforma della pubblica amministrazione. Il piano Brunetta prevede infatti un risparmio di ben 40 miliardi nel quinquennio, otto l’anno, mediante il blocco quasi totale del turnover, la compressione delle assunzioni di precari, già decisa dal precedente governo, l’eliminazione di enti non necessari, la trasformazione di enti pubblici in società per azioni, con il conseguente snellimento dell’organico, mediante la sostituzione di personale a orario unico con personale che fa orari ordinari e straordinari veri, e la vendita di immobili che non servono più, soprattutto dopo la cura dimagrante. Ma non si tratta soltanto di spender meno, si tratta anche di migliorare i servizi che la macchina pubblica dà. Brunetta sta agendo con abilità ed efficacia nella campagna contro i“fannulloni”. Così l’allontanamento dal servizio sanitario dei medici che rilasciano certificati compiacenti al personale pubblico, per giustificarne l’assenteismo, appare un deterrente di notevole efficacia. E’ anche utile, al riguardo, la pubblicazione della lista degli assenteisti e appartiene alla strategia vincente pure la “penalizzazione dei fannulloni” che peraltro comporta di adottare metodi informatici per misurare il lavoro svolto. Occorre una cura analoga negli enti locali e nelle regioni, i cui addetti assommano a 1,5 milioni contro i 2 milioni di statali e parastatali. Inoltre esiste una gigantesca struttura di aziende degli enti locali, in cui si annidano sprechi e clientele.
Qui il testimone passa al ministro dell’Economia, Giulio Tremonti. Se il decreto di giugno, che Tremonti ha annunciato come anticipo della Finanziaria, conterrà questo piano Brunetta e le privatizzazioni e liberalizzazioni degli enti e società pubbliche municipali, ci saranno le basi per pareggiare il bilancio, pur attenuando il peso delle imposte e migliorando i servizi. Obbiettivi che non sono fra loro in contrasto, se nel settore pubblico si fa come nelle imprese.


il caso di Modena - Donna rifiuta le cure e muore Ma non è «testamento biologico»
Avvenire, 30 maggio 2008

DA MILANO ILARIA NAVA
L a morte di Vincenza San­toro Galano, la settan­tenne malata di sclerosi laterale amiotrofica che ha ri­fiutato di farsi tra­cheoto­mizzare, è stata trionfal­mente let­ta da alcu­ni come una nuo­va con­quista sul fronte dei diritti civi­li. La donna, di origini foggia­ne ma residente in provincia di Modena, secondo quanto riportato dalle agenzie di stampa, ad uno stadio già a­vanzato della malattia aveva espresso la volontà di non sot­toporsi alla tracheotomia quando non fosse più stata in grado di respirare autonoma­mente. Un’indicazione che il marito- nominato suo ammi­nistratore di sostegno in base alla legge 6/04 che ha inserito nel codice civile questa nuova figura - aveva riferito al giudi­ce tutelare. L’amministratore di sostegno, infatti, è una per­sona nominata dal magistra­to con decreto, per affiancare chi per effetto di una meno­mazione fisica o psichica, an­che temporanea, si trovi nel­l’impossibilità di provvedere ai propri interessi. Il decreto di nomina indica gli atti che l’amministratore di sostegno può compiere in nome e per conto del beneficiario e quel­li che il beneficiario può com­piere solo con l’assistenza del­l’amministratore di sostegno. Il beneficiario, quindi, con­serva la capacità di agire per tutti gli atti che non richiedo­no la rappresentanza esclusi­va o l’assistenza necessaria dell’amministratore di soste­gno.
«Si è scoperto che il testa­mento biologico, in Italia, già c’è da 4 anni e non c’è bisogno di nessuna nuova normativa» si leggeva ieri sulla pagine del­l’Unità in un commento a questa vicenda. Di diverso pa­rere Amedeo Bianco, presi­dente della federazione na­zionale degli Ordini dei medi­ci, per il quale «la vicenda di Modena non rientra affatto nei casi di testamento biolo­gico ». Secondo il numero uno dei camici bianchi, infatti, «la paziente era capace di inten­dere e volere, dunque non si può assolutamente parlare di testamento biologico. Siamo di fronte a un atto consentito dalla legge». Comunque lo si voglia definire, il caso è indi­zio che la battaglia sul testa­mento biologico tenacemen­te portata avanti da qualcuno nella scorsa legislatura, è tut­ta ideologica. Nel nostro ordi­namento, infatti, è già garan­tito il diritto al rifiuto delle cu­re. L’articolo 32 della Costitu­zione è già pienamente attua­to.
Secondo quanto riportato dal­le agenzie, infatti, sarebbe sta­ta proprio la donna che, in­terrogata dal giudice a uno stadio molto avanzato della malattia, avrebbe affermato di non volerla affrontare. Un de­siderio raccolto dal giudice tu­telare, sollecitato dal marito sul da farsi al momento di prendere una decisione. «Il magistrato - secondo quanto riportato dall’Agi - prima di e­mettere il provvedimento, ha visitato la paziente e da lei, al­la presenza dei figli, si è visto confermare l’intenzione di non lasciarsi sottoporre alla ormai ineludibile tracheoto­mia ». «Il fatto andrebbe accertato con maggiore precisione per poter esprimere un giudizio ­afferma Antonio Tarantino, ordinario di filosofia del dirit­to all’università di Lecce e fon­datore del centro interuniver­sitario di bioetica e diritti u­mani - ma da quello che si e­vince sembra che non si pos­sa parlare né di eutanasia né di testamento biologico. Sembra infatti che il giudice si sia li­mitato a prendere atto della volontà della signora di non essere sottoposta alla tra­cheotomia, un diritto già pre­sente nel nostro ordinamento. L’importante è che la persona sia capace di intendere e di vo­lere e che abbia espresso il ri­fiuto nell’imminenza dell’o­perazione. Il discorso cam­bierebbe completamente se questa indicazione fosse sta­ta espressa solo dal marito o non avessimo la certezza che quella fosse la volontà della paziente al momento della de­cisione ». Certezze che nel ca­so del testamento biologico, così come descritto dai dise­gni di legge depositati nella scorsa legislatura, non si a­vrebbero.
La decisione della 77enne malata di Sla, è avvenuta in base alla legge 6/2004 che offre possibilità di scelta al malato capace di intendere e di volere