Nella rassegna stampa di oggi:
1) Altro che distributore di preservativi. Chiedete la felicità - Autore: Buggio, Nerella - Fonte: CulturaCattolica.it - giovedì 11 marzo 2010
2) «Stragi in Nigeria, non è una guerra di religione» - di Andrea Tornielli
3) L’antidoto alla pedofilia - Autore: Mangiarotti, Don Gabriele - Fonte: CulturaCattolica.it - giovedì 11 marzo 2010
4) 11/03/2010 – VATICANO - Papa: la crisi della Penitenza, frutto dal relativismo, interpella prima di tutto i sacerdoti
5) Avvenire.it, 12 Marzo 2010 - Il senso del peccato e del perdono - Teniamo ferma la differenza tra bene e male, di Pierangelo Sequeri
Altro che distributore di preservativi. Chiedete la felicità - Autore: Buggio, Nerella - Fonte: CulturaCattolica.it - giovedì 11 marzo 2010
“La parola ‘amore’ oggi è così sciupata, consumata, abusata. Dobbiamo riprenderla, purificarla e riportarla al suo splendore originario...” - dall’enciclica Deus Caritas Est
Ragazzi, i primati son primati, non si scherza e Roma caput mundi ha battuto tutti, i giornali di questi giorni dicono che è romano il primo liceo in cui è stato installato un distributore di preservativi.
E’ il liceo Keplero e da oggi tutti i genitori terranno senz’altro conto di questa eccellenza quando dovranno scegliere la scuola per i loro figli, i benefit son benefit e in questo liceo i preservativi saranno venduti a prezzo di fabbrica, tre pezzi 2 euro.
Ma non crediate si tratti di sola propaganda, no, qui si tratta di una cosa seria, di una vera attenzione all’educazione delle giovani generazioni che con la loro paghetta devono già comperarsi le sigarette, la ricarica telefonica e poi magari vanno a risparmiare sui preservativi, si sa “so’ ragazzi”, meglio calmierare i prezzi.
Le famiglie possono stare tranquille, ci pensa la scuola e insieme all'installazione dei distributori verrà svolto un seminario di formazione della Lega Italiana per la lotta all'Aids sulla prevenzione dell'Hiv, slogan dell'iniziativa: "Se vuoi amare fallo con la testa. Proponi al tuo preside l'installazione gratuita di distributori di preservativi e assorbenti nella tua scuola".
Insomma più preservativi e assorbenti per tutti!
A dire il vero facendo un giro sul web si scopre che in qualche altra parte d’Italia un tentativo di distribuzione gratuita c’era già stato, e che in altri paesi europei è cosa consueta, ma i ragazzi saranno più felici? Avranno almeno una sessualità più consapevole? Alcuni studenti su un blog studentesco scrivono: “… eppure i distributori di preservativi in Francia ci sono. (…) e anche in Inghilterra e perfino nella cattolicissima Irlanda e da noi no. Non sfugge a nessuno qual è il motivo. Ha a che fare con quel signore gentile e buono (di questo sono convinto), vestito di bianco che sta a Roma?”
Già, per alcuni - è tutta colpa del Papa - se non ci fosse lui non ci sarebbero l’aids, l’aborto, le gravidanze precoci.
Suvvia ragazzi e adulti, siate seri.
Visto che si cita come esempio l’Inghilterra andiamo a vedere se la massiccia distribuzione di preservativi è servita ad educare le generazioni a un amore responsabile, si direbbe di no, visto che le gravidanze precoci sono in aumento, che l’età della prima gravidanza si abbassa e che in alcune scuole ci sono classi apposite per giovani gravide.
Ma tant’è, l’ideologia non guarda in faccia nessuno, figurarsi se guarda ai fatti.
Si ha l’impressione che gli adulti incapaci di educare a un amore responsabile ripieghino sull’educazione ad una 'sessualità responsabile' cercando scorciatoie.
Si spera che corsi di educazione sessuale che spiegano l’amore come fosse un gioco al quale partecipare cercando di non farsi male, o una malattia dalla quale proteggersi, possano portare le nuove generazioni se non ad essere felici almeno ad un sesso senza conseguenze.
Nessuna incertezza in questi adulti, nessun dubbio che le risposte siano fragili, inadeguate, anzi, chi non è d’accordo è un bacchettone.
Per cui la Chiesa taccia.
Ma la Chiesa non è dei preservativi che si preoccupa, ma dell’educazione dei giovani per questo afferma: "La strada maestra resta l'educazione alla responsabilità delle persone, specialmente dei più giovani, nell'uso della sessualità, che è un dono dell'amore di Dio puntando sulla valorizzazione del proprio corpo e di quello dell'altro nell'ottica del dono disinteressato di sé. In conclusione restiamo convinti e ci adoperiamo affinché la scuola, insieme alla altre agenzie educative, si impegni ad illuminare i giovani a diffidare dalle scorciatoie che non di rado conducono alla insignificanza della vita".
Come darle torto?
Ma per difendere i giovani dalle scorciatoie della vita bisogna essere adulti consapevoli che l’amore è cosa grande, che l’usa e getta non risponde all’esigenza dell’uomo di essere felice.
Qui invece parliamo di adulti che credono che la libertà consista, cito da alcuni blog: “...del fare del proprio corpo ciò che ci pare, senza arrecare danni alla salute altrui”.
Sarà anche libertà, ma la felicità miei cari è altra cosa, è quando l'eros si cura dell'altro prima che di se stesso e diventa agape, amore disinteressato, merce rara, preziosa, gratificante, inebriante, che non viene venduta a basso costo nel distributore automatico accanto a quello delle merendine.
Ragazzi non fatevi ingannare, chiedete di più a questo mondo di adulti di un distributore di preservativi.
«Stragi in Nigeria, non è una guerra di religione» - di Andrea Tornielli
«Nell’ultimo anno e mezzo ci sono già stati tre episodi di questo genere, tre massacri. Una volta a farne le spese sono i Fulani musulmani, un’altra volta sono i Berom cristiani. Ma le cause del conflitto non sono innanzitutto religiose...».
Padre Giulio Albanese, responsabile delle riviste missionarie della Conferenza episcopale italiana, è un religioso che conosce molto bene l’Africa. Le sue parole sulla strage che nel giro di due giorni ha portato al massacro di circa 500 cristiani nei villaggi dello stato di Plateau, nella parte centro-settentrionale della Nigeria, fanno eco a quelle pronunciate dal portavoce della Santa Sede, padre Federico Lombardi, il quale ritiene che «non si tratti di scontri di natura religiosa, ma sociale». La posizione del Vaticano, quindi è questa: la fede c’entra poco, ci troviamo di fronte a qualcosa di più simile a uno scontro tribale ed etnico tipo quello che nel 1994 sconvolse il Ruanda. E la lettura della Santa Sete trova conforto nelle parole dell’arcivescovo di Abuja, John Olorunfemi Onaiyekan, che ieri ha detto ai microfoni di Radio Vaticana: «Facilmente la stampa internazionale è portata a dire che sono i cristiani e i musulmani a uccidersi. Ma non è questo il caso, perché non si uccide a causa della religione, ma per rivendicazioni sociali, economiche, tribali, culturali».
Padre Albanese, come commenta l’uccisione di 500 cristiani?
«Meglio dire cinquecento morti ammazzati, perché non sappiamo se tra le vittime vi siano anche alcuni degli assalitori. E non dobbiamo dimenticare che se questa volta le vittime sono cristiane, l’altra volta erano musulmani, massacrati dai cristiani appartenenti alle sette pseudo-evangeliche. In quelle zone i cristiani sono quasi tutti appartenenti a questi gruppi».
Perché li chiama pseudo-evangelici?
«Perché allo stesso modo chiamo pseudo-musulmani i massacratori islamici. Si tratta di persone che tradiscono la loro religione».
Che cosa c’è all’origine di questi massacri?
«Ricordiamo che in Nigeria l’uno per cento della popolazione detiene il 75 per cento della ricchezza nazionale. E quell’uno per cento è composto sia da cristiani che musulmani. C’è stata e continua a esserci una lotta di potere. La responsabilità è innanzitutto della debolezza del governo centrale di Abuja e della corruzione della società politica. Ci sono certamente bande criminali, eversive, ma c’è anche una tale divaricazione tra ricchi e poveri che è piuttosto facile sobillare e strumentalizzare le masse».
Lei è un missionario, parla di cause sociali. Davvero la componente religiosa non incide?
«Si tratta di un conflitto che ha certamente radici etniche. Pastori nomadi che seguono il loro bestiame attaccano i villaggi degli agricoltori e viceversa. La componente religiosa può giocare un ruolo, ma è comunque strumentale e strumentalizzata per ragioni di potere».
Dunque è un abbaglio presentare questo conflitto come una lotta tra cristianesimo e islam?
«Penso proprio di sì. Bisogna essere molto cauti. La Nigeria è la cartina di tornasole delle gravi contraddizioni presenti nel continente africano. Quel Paese, che galleggia sugli idrocarburi, potrebbe essere un paradiso, invece è un inferno. Molte volte gli attacchi e i massacri - lì ogni volta non muoiono meno di cento o duecento persone - sono studiati a tavolino. Talvolta i sobillatori o gli appartenenti alle bande sono pagati. Ogni anno avvengono due o tre stragi del genere, e non solo a Jos, la capitale dello stato del Plateau. C’è la volontà di indebolire lo Stato centrale, sempre in concomitanza con scadenze elettorali, o come ora, di una presidenza ad interim, come quella di Jonathan Goodluck, un cristiano che ha sostituito il precedente presidente musulmano».
In alcuni Stati nigeriani è in vigore la shaaria islamica. Questo ha influito e come sulla situazione?
«L’introduzione della sharia negli Stati nigeriani del Nord è l’esempio della debolezza del governo centrale. La Nigeria è uno Stato federale e laico, eppure ha accettato la legge islamica. Questo ha rafforzato la presenza di componenti jihadiste, ma ribadisco che sarebbe un errore presentare il conflitto nigeriano come una guerra di religione».
Il presidente ad interim ha detto di aver collocato tutte le forze di sicurezza a Plateau e nelle regioni vicine in stato di massima allerta in modo di evitare qualsiasi estensione del conflitto.
«Purtroppo si interviene sempre dopo, quando i massacri sono avvenuti. Non sarebbe stato difficile prevenirli, con un’azione di intelligence. Proprio questa inazione del governo centrale, questa debolezza, permette ai potentati di agire indisturbati e di manipolare grandi masse di poveri».
La Chiesa cattolica nel Paese ha delle responsabilità?
«Direi proprio di no. I cattolici in Nigeria sono espressione qualificata della società civile, i vescovi sono sempre puntualmente intervenuti riconoscendo le responsabilità dell’una e dell’altra parte, senza generalizzazioni. Hanno sempre fermamente condannato il ricorso alla violenza. Stanno lavorando per promuovere la convivenza tra cristiani e musulmani».
© IL GIORNALE ON LINE S.R.L.
L’antidoto alla pedofilia - Autore: Mangiarotti, Don Gabriele - Fonte: CulturaCattolica.it - giovedì 11 marzo 2010
Mi è stato chiesto un commento, da parte di RadioFormigoni, ai gravi fatti di pedofilia e abusi sessuali perpetrati da alcuni sacerdoti in Irlanda, Germania, Austria e altrove.
Di fronte a questo problema ho letto vari commenti sia sui giornali sia sui siti Internet, tanto amici che avversari del cristianesimo: la maggior parte di loro sembra affermare che la causa di tali deviazioni vada trovata nel celibato imposto ai preti dalla Chiesa cattolica. Personalmente credo che la questione riguardi principalmente l’educazione vissuta nei seminari e la concezione di fede ivi che è stata comunicata. In particolare nella non consapevolezza che la fede è capace di generare una antropologia adeguata. Si tratta della proposta di un cristianesimo impaurito della vita: ma tale cristianesimo non ha armi, non solo contro gli abusi sessuali, ma neppure per sostenere una presenza di Chiesa convincente, entusiasmante, creatrice di forti personalità.
Vorrei approfondire la questione, appena accennata nell’intervista a RadioFormigoni, che mi pare sia troppe volte sottovalutata.
Ritengo che siamo in presenza di una vera crisi nella Chiesa cattolica, e mi spiego: seguo, per l’educazione familiare ricevuta e per l’incontro con il movimento di Comunione e Liberazione, con amore appassionato l’insegnamento del Papa (e mi riferisco sia a Giovanni Paolo II che a Benedetto XVI, come anche a Paolo VI) e ho sempre ritenuto che quanto i papi propongono alla Chiesa sia profondamente umano e ragionevole. Ho quindi imparato ad essere fiero della Chiesa Cattolica, senza vivere con quel complesso di inferiorità, che costringe poi tanti credenti alle posizioni “politically correct” che spesso si ritrovano in ambienti cattolici.
Sono stato educato ad un rifiuto netto del clericalismo (e sono diventato prete affascinato da quanto Don Giussani diceva, che per essere preti autentici bisogna essere uomini veri), quel clericalismo che si nutre di formalismo e per il quale la vita cristiana non è la più bella delle avventure..., ma ho imparato anche a prendere le distanze da quel laicismo bigotto che imperversa ai nostri giorni, quel laicismo che vive di schemi e contrapposizioni, ma che non sa incontrare mai la vita e la diversità, la storia e le varie esperienze, con una presuntuosa saccenteria che allontana dal rischio e dall’amore alla novità.
Credo quindi che la soluzione ai problemi del clero sia da cercare in una rinnovata esperienza di Chiesa, e in un amore non formale al magistero del Papa: «Cristo non toglie nulla, dona tutto!», il cristianesimo non consiste in regole e dottrine, ma è l’incontro con la persona di Gesù che dà autentiche ragioni per vivere.
Ci saranno certamente meno crisi dei preti quando ci sarà più esperienza di fede e quando la fede, che mette in movimento la vita, sarà pensata e vissuta come luogo di bellezza umana. Aspetto questo tempo consegnando la vita e il lavoro che svolgo.
Ricordo quanto diceva Olivier Clément a proposito della crisi di fede del secolo scorso: il mondo aveva incontrato un cristianesimo impaurito della vita, privo di qualsiasi dinamismo di trasfigurazione. Mentre Don Giussani ricordava, in una delle sue affermazioni più intense e commoventi: «Se la nostra vita è normale, con quello che abbiamo avuto, è difficile che possiamo trovare nella giornata dei particolari peccati, ma il peccato è la meschinità della distrazione e della dimenticanza; il peccato della meschinità di non tradurre in novità, non far splendere di aurora nuova quello che facciamo: lo lasciamo opaco, così come viene; senza colpir nessuno, ma senza donarlo allo splendore dell’Essere».
Solo il cristianesimo testimoniato così da questi maestri avrà armi adeguate per vincere ogni tipo di abuso e sarà capace di convincere gli uomini – e i giovani in particolare – di ogni tempo.
11/03/2010 – VATICANO - Papa: la crisi della Penitenza, frutto dal relativismo, interpella prima di tutto i sacerdoti
Benedetto XVI ricorda l’esempio di san Giovanni Maria Vienney per esortare i preti a essere, nella vita, “segno della presenza di Dio”. C’è una sorta di circolo vizioso tra l’offuscamento dell’esperienza di Dio e la perdita del senso del peccato.
Città del Vaticano (AsiaNews) - La “crisi” del sacramento della Penitenza “interpella anzitutto i sacerdoti” che nell’Anno sacerdotale Benedetto XVI esorta a “tornare al confessionale”, anche come luogo in cui "abitare" più spesso, “perché il fedele possa trovare misericordia, consiglio e conforto, sentirsi amato e compreso da Dio e sperimentare la presenza della Misericordia Divina”. E’ l’esortazioine che il Papa ha rivolto oggi, a tutti i preti nel discorso rivolto ai partecipanti al corso sul Foro Interno, promosso dalla Penitenzieria Apostolica.
La società attuale, segnata dal relativismo e dall’edonismo, somiglia per certi versi a quella in cui visse san Giovanni Maria Vianney, il Curato di Ars, portato ad esempio della vita del sacerdote. Ma se anche oggi non ci sono più i tentativi di impedire lo stesso svolgimento del ministero che c’erano dopo la Rivoluzione francese, “viviamo - ha detto il Papa - in un contesto culturale segnato dalla mentalità edonistica e relativistica, che tende a cancellare Dio dall’orizzonte della vita, non favorisce l’acquisizione di un quadro chiaro di valori di riferimento e non aiuta a discernere il bene dal male e a maturare un giusto senso del peccato. Questa situazione - ha aggiuno - rende ancora più urgente il servizio di amministratori della Misericordia Divina. Non dobbiamo dimenticare, infatti, che c’è una sorta di circolo vizioso tra l’offuscamento dell’esperienza di Dio e la perdita del senso del peccato”.
Ai suoi tempi, il Curato d’Ars “fece ‘della chiesa la sua casa’, per condurre gli uomini a Dio. Egli visse con radicalità lo spirito di orazione, il rapporto personale ed intimo con Cristo, la celebrazione della S. Messa, l’Adorazione eucaristica e la povertà evangelica, apparendo ai suoi contemporanei un segno così evidente della presenza di Dio, da spingere tanti penitenti ad accostarsi al suo confessionale. Nelle condizioni di libertà in cui oggi è possibile esercitare il ministero sacerdotale, è necessario che i presbiteri vivano in ‘modo alto’ la propria risposta alla vocazione, perché soltanto chi diventa ogni giorno presenza viva e chiara del Signore può suscitare nei fedeli il senso del peccato, dare coraggio e far nascere il desiderio del perdono di Dio”.
Per questo, esorta Benedetto XVI, “è necessario tornare al confessionale, come luogo nel quale celebrare il Sacramento della Riconciliazione, ma anche come luogo in cui ‘abitare’ più spesso, perché il fedele possa trovare misericordia, consiglio e conforto, sentirsi amato e compreso da Dio e sperimentare la presenza della Misericordia Divina, accanto alla Presenza reale nell’Eucaristia. La ‘crisi’ del Sacramento della Penitenza, di cui spesso si parla, interpella anzitutto i sacerdoti e la loro grande responsabilità di educare il Popolo di Dio alle radicali esigenze del Vangelo. In particolare, chiede loro di dedicarsi generosamente all’ascolto delle confessioni sacramentali; di guidare con coraggio il gregge, perché non si conformi alla mentalità di questo mondo (cfr. Rm 12,2), ma sappia compiere scelte anche controcorrente, evitando accomodamenti o compromessi”.
Avvenire.it, 12 Marzo 2010 - Il senso del peccato e del perdono - Teniamo ferma la differenza tra bene e male, di Pierangelo Sequeri
Nell’Europa, civiltà cristiana di lungo corso, circola con tutta evidenza un virus post-cristiano. Si moltiplicano, davanti ai nostri occhi allibiti, i sintomi di una rappresentazione perfettamente anaffettiva del male. Per giocare, per vincere la noia, per fare esperienza, per essere se stessi: senza inutili ipocrisie, senza falsi moralismi. È una vera e propria modificazione culturale della specie. Non è rassegnazione alla inevitabile debolezza umana, pur così pronta all’indulgenza con se stessa. È proprio assuefazione. Ecco il punto.
L’odierna assuefazione al peccato mira a disinnescarne il sentimento, non solo l’idea e la volontà. Più radicalmente, ne inibisce la percezione. "Che male c’è?". A poco a poco, svuota il male della sua natura maligna, incomincia a riguardarlo come una semplice differenza di gusti estetici, di preferenze libidiche, di priorità esistenziali, di strategie di realizzazione. Insomma, alla fine di questo metabolismo dell’assuefazione te lo puoi ritrovare anche come una risorsa: del successo, dell’astuzia, del potere. Una volta insediato fra le pieghe della scelta individuale, e in grado di esibire perfetta naturalezza (ci vuole esercizio, naturalmente: ma ci sono agenzie, per questo), il peccato è perfettamente riciclato (proprio come il denaro della droga). Può incominciare ad apparire – con altro nome, ma non necessariamente – ingrediente necessario di un’esperienza completa della vita, o addirittura un tratto personale di stile.
L’assuefazione al male e la perdita del senso del peccato sono perfettamente solidali. La diffusione di questa combinazione non intacca più semplicemente la sfera della moralità dei comportamenti individuali. Lambisce pericolosamente i processi di socializzazione, ossia i dispositivi dell’umana trasmissione dei modelli e degli orientamenti di vita. Insidia l’interpretazione del diritto da parte delle istituzioni e della pubblica opinione. Mortifica e toglie la parola alla coscienza intenzionata a onorare la differenza di una vita degna. Quella che è intenzionata a tener ferma la differenza del bene e del male, e a riconoscere lealmente la gravità personale e l’effetto di corruzione che vengono a noi tutti dal peccato che si consuma nel cuore: anche quello che non vediamo, che non alza (al momento) la mano su nessuno, che tradisce i propri impegni e i propri simili anche quando non è stato (ancora) scoperto.
Papa Benedetto XVI ha insistito ieri giustamente, sulla parola decisiva che deve essere pronunciata a riguardo di questa mutazione collettiva della coscienza del male. L’autentica vitalità dell’esperienza di Dio – solo quella – sbarra la strada a questo metabolismo che rende il peccato irriconoscibile, inconfessabile, imperdonabile. Dio sa come spiegare al cuore le cose.
Dio ha la passione necessaria, e le corde giuste da toccare, per il riscatto dell’uomo dall’istupidimento che precede il diluvio. Dio ha l’autorevolezza necessaria per pronunciare con sovrana libertà la parola che nessuno vuole più ascoltare: l’uomo è capace di autentica cattiveria, anche senza nessuna scusa. Dio conserva il senso del perdono, anche se noi perdiamo il senso del peccato. Le nuove generazioni che moltiplicano pianti isterici per piccole eccitazioni andate a male perdono il dono caldo delle lacrime per le enormità di affetti sprecati e calpestati: per i quali nessuno espia. Il Papa invita i sacerdoti a considerare sacrosanto il "luogo" e il "gesto" della confessione del peccato. E li incoraggia a offrirsi come segno di un incontro con Dio che dissolve l’incantamento dell’assuefazione al male. Uno stile di vita controcorrente, che batte sul tempo l’onda anomala che travolge i cuccioli ignari. Un uomo che non ha fegato per la confessione del bene e del male, con amore e lacrime, che uomo è?
Pierangelo Sequeri