giovedì 25 marzo 2010

Nella rassegna stampa di oggi:
1) BENEDETTO XVI RIFLETTE SULLA FIGURA DI SANT’ALBERTO MAGNO - Catechesi per l'Udienza generale del mercoledì
2) Più grande del peccato - 23/03/2010 – articolo della rivista Tracce letto da don Julián Carrón all’ultima Scuola di Comunità
3) Contro chi sputa sui preti - Ci scrive un missionario indignato per la campagna dei media sulla pedofilia - Padre Aldo Trento, missionario in Paraguay
4) Genesi di un delitto. La rivoluzione degli anni '60 - Lo scandalo della pedofilia c'è sempre stato, ma a ingigantirlo è stata la svolta culturale di mezzo secolo fa. Lo scrive Benedetto XVI nella sua lettera ai cattolici dell'Irlanda. Due cardinali e un sociologo la commentano, di Sandro Magister
5) Per Bagnasco l’aborto torna clandestino. Invece la voce della chiesa no - di Paolo Rodari
6) Chiesa e pedofilia: Padre Lombardi e Introvigne a "Uno mattina" - Trascrizione completa - Presentazione della “Lettera ai cattolici dell’Irlanda” a “Uno mattina” del 23 marzo 2010. Interviste a padre Federico Lombardi S.J. e a Massimo Introvigne
7) La lobby laicista contro il Papa. La grande bufala del "New York Times" - Massimo Introvigne – 25 marzo 2010
8) "Perché l'UDC in Piemonte è invotabile". Massimo Introvigne intervistato dal "Giornale" - (il Giornale, 25 marzo 2010, p. 4)
9) L’INDICAZIONE DEL PAPA AI GIOVANI: «I MPARATE AD AMARE » - Quel senso di amore infinito che trova la sua forma nel matrimonio - DAVIDE RONDONI – Avvenire, 25 marzo 2010

BENEDETTO XVI RIFLETTE SULLA FIGURA DI SANT’ALBERTO MAGNO - Catechesi per l'Udienza generale del mercoledì
CITTA' DEL VATICANO, mercoledì, 24 marzo 2010 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito il discorso pronunciato mercoledì da Benedetto XVI in occasione dell'Udienza generale in piazza San Pietro, dove ha incontrato gruppi di pellegrini e fedeli giunti dall’Italia e da ogni parte del mondo.
Nel discorso in lingua italiana, il Papa, continuando il ciclo di catechesi sulla cultura cristiana nel Medioevo, si è soffermato sulla figura di Sant’Alberto Magno.
* * *
Cari fratelli e sorelle,
uno dei più grandi maestri della teologia medioevale è sant’Alberto Magno. Il titolo di "grande" (magnus), con il quale egli è passato alla storia, indica la vastità e la profondità della sua dottrina, che egli associò alla santità della vita. Ma già i suoi contemporanei non esitavano ad attribuirgli titoli eccellenti; un suo discepolo, Ulrico di Strasburgo, lo definì "stupore e miracolo della nostra epoca".
Nacque in Germania all’inizio del XIII secolo, e ancora molto giovane si recò in Italia, a Padova, sede di una delle più famose università del Medioevo. Si dedicò allo studio delle cosiddette "arti liberali": grammatica, retorica, dialettica, aritmetica, geometria, astronomia e musica, cioè della cultura generale, manifestando quel tipico interesse per le scienze naturali, che sarebbe diventato ben presto il campo prediletto della sua specializzazione. Durante il soggiorno a Padova, frequentò la chiesa dei Domenicani, ai quali poi si unì con la professione dei voti religiosi. Le fonti agiografiche lasciano capire che Alberto maturò gradualmente questa decisione. Il rapporto intenso con Dio, l’esempio di santità dei Frati domenicani, l’ascolto dei sermoni del Beato Giordano di Sassonia, successore di san Domenico nella guida dell’Ordine dei Predicatori, furono i fattori decisivi che lo aiutarono a superare ogni dubbio, vincendo anche resistenze familiari. Spesso, negli anni della giovinezza, Dio ci parla e ci indica il progetto della nostra vita. Come per Alberto, anche per tutti noi la preghiera personale nutrita dalla Parola del Signore, la frequenza ai Sacramenti e la guida spirituale di uomini illuminati sono i mezzi per scoprire e seguire la voce di Dio. Ricevette l’abito religioso dal beato Giordano di Sassonia.
Dopo l’ordinazione sacerdotale, i Superiori lo destinarono all’insegnamento in vari centri di studi teologici annessi ai conventi dei Padri domenicani. Le brillanti qualità intellettuali gli permisero di perfezionare lo studio della teologia nell’università più celebre dell’epoca, quella di Parigi. Fin da allora sant’Alberto intraprese quella straordinaria attività di scrittore, che avrebbe poi proseguito per tutta la vita.
Gli furono assegnati compiti prestigiosi. Nel 1248 fu incaricato di aprire uno studio teologico a Colonia, uno dei capoluoghi più importanti della Germania, dove egli visse a più riprese, e che divenne la sua città di adozione. Da Parigi portò con sé a Colonia un allievo eccezionale, Tommaso d’Aquino. Basterebbe solo il merito di essere stato maestro di san Tommaso, per nutrire profonda ammirazione verso sant’Alberto. Tra questi due grandi teologi si instaurò un rapporto di reciproca stima e amicizia, attitudini umane che aiutano molto lo sviluppo della scienza. Nel 1254 Alberto fu eletto Provinciale della "Provincia Teutoniae" – teutonica - dei Padri domenicani, che comprendeva comunità diffuse in un vasto territorio del Centro e del Nord-Europa. Egli si distinse per lo zelo con cui esercitò tale ministero, visitando le comunità e richiamando costantemente i confratelli alla fedeltà, agli insegnamenti e agli esempi di san Domenico.
Le sue doti non sfuggirono al Papa di quell’epoca, Alessandro IV, che volle Alberto per un certo tempo accanto a sé ad Anagni - dove i Papi si recavano di frequente - a Roma stessa e a Viterbo, per avvalersi della sua consulenza teologica. Lo stesso Sommo Pontefice lo nominò Vescovo di Ratisbona, una grande e famosa diocesi, che si trovava, però, in un momento difficile. Dal 1260 al 1262 Alberto svolse questo ministero con infaticabile dedizione, riuscendo a portare pace e concordia nella città, a riorganizzare parrocchie e conventi, e a dare nuovo impulso alle attività caritative.
Negli anni 1263-1264 Alberto predicava in Germania ed in Boemia, incaricato dal Papa Urbano IV, per ritornare poi a Colonia e riprendere la sua missione di docente, di studioso e di scrittore. Essendo un uomo di preghiera, di scienza e di carità, godeva di grande autorevolezza nei suoi interventi, in varie vicende della Chiesa e della società del tempo: fu soprattutto uomo di riconciliazione e di pace a Colonia, dove l’Arcivescovo era entrato in duro contrasto con le istituzioni cittadine; si prodigò durante lo svolgimento del II Concilio di Lione, nel 1274, convocato dal Papa Gregorio X per favorire l’unione tra la Chiesa latina e quella greca, dopo la separazione del grande scisma d’Oriente del 1054; egli chiarì il pensiero di Tommaso d’Aquino, che era stato oggetto di obiezioni e persino di condanne del tutto ingiustificate.
Morì nella cella del suo convento della Santa Croce a Colonia nel 1280, e ben presto fu venerato dai confratelli. La Chiesa lo propose al culto dei fedeli con la beatificazione, nel 1622, e con la canonizzazione, nel 1931, quando il Papa Pio XI lo proclamò Dottore della Chiesa. Si trattava di un riconoscimento indubbiamente appropriato a questo grande uomo di Dio e insigne studioso non solo delle verità della fede, ma di moltissimi altri settori del sapere; infatti, dando uno sguardo ai titoli delle numerosissime opere, ci si rende conto che la sua cultura ha qualcosa di prodigioso, e che i suoi interessi enciclopedici lo portarono a occuparsi non solamente di filosofia e di teologia, come altri contemporanei, ma anche di ogni altra disciplina allora conosciuta, dalla fisica alla chimica, dall’astronomia alla mineralogia, dalla botanica alla zoologia. Per questo motivo il Papa Pio XII lo nominò patrono dei cultori delle scienze naturali ed è chiamato anche "Doctor universalis" proprio per la vastità dei suoi interessi e del suo sapere.
Certamente, i metodi scientifici adoperati da sant’Alberto Magno non sono quelli che si sarebbero affermati nei secoli successivi. Il suo metodo consisteva semplicemente nell’osservazione, nella descrizione e nella classificazione dei fenomeni studiati, ma così ha aperto la porta per i lavori futuri.
Egli ha ancora molto da insegnare a noi. Soprattutto, sant’Alberto mostra che tra fede e scienza non vi è opposizione, nonostante alcuni episodi di incomprensione che si sono registrati nella storia. Un uomo di fede e di preghiera, quale fu sant’Alberto Magno, può coltivare serenamente lo studio delle scienze naturali e progredire nella conoscenza del micro e del macrocosmo, scoprendo le leggi proprie della materia, poiché tutto questo concorre ad alimentare la sete e l’amore di Dio. La Bibbia ci parla della creazione come del primo linguaggio attraverso il quale Dio – che è somma intelligenza, che è Logos – ci rivela qualcosa di sé. Il libro della Sapienza, per esempio, afferma che i fenomeni della natura, dotati di grandezza e bellezza, sono come le opere di un artista, attraverso le quali, per analogia, noi possiamo conoscere l’Autore del creato (cfr Sap. 13,5). Con una similitudine classica nel Medioevo e nel Rinascimento si può paragonare il mondo naturale a un libro scritto da Dio, che noi leggiamo in base ai diversi approcci delle scienze (cfr Discorso ai partecipanti alla Plenaria della Pontificia Accademia delle Scienze, 31 Ottobre 2008). Quanti scienziati, infatti, sulla scia di sant’Alberto Magno, hanno portato avanti le loro ricerche ispirati da stupore e gratitudine di fronte al mondo che, ai loro occhi di studiosi e di credenti, appariva e appare come l’opera buona di un Creatore sapiente e amorevole! Lo studio scientifico si trasforma allora in un inno di lode. Lo aveva ben compreso un grande astrofisico dei nostri tempi, di cui è stata introdotta la causa di beatificazione, Enrico Medi, il quale scrisse: "Oh, voi misteriose galassie ..., io vi vedo, vi calcolo, vi intendo, vi studio e vi scopro, vi penetro e vi raccolgo. Da voi io prendo la luce e ne faccio scienza, prendo il moto e ne fo sapienza, prendo lo sfavillio dei colori e ne fo poesia; io prendo voi stelle nelle mie mani, e tremando nell’unità dell’essere mio vi alzo al di sopra di voi stesse, e in preghiera vi porgo al Creatore, che solo per mezzo mio voi stelle potete adorare" (Le opere. Inno alla creazione).
Sant’Alberto Magno ci ricorda che tra scienza e fede c’è amicizia, e che gli uomini di scienza possono percorrere, attraverso la loro vocazione allo studio della natura, un autentico e affascinante percorso di santità.
La sua straordinaria apertura di mente si rivela anche in un’operazione culturale che egli intraprese con successo, cioè nell’accoglienza e nella valorizzazione del pensiero di Aristotele. Ai tempi di sant’Alberto, infatti, si stava diffondendo la conoscenza di numerose opere di questo grande filosofo greco vissuto nel quarto secolo prima di Cristo, soprattutto nell’ambito dell’etica e della metafisica. Esse dimostravano la forza della ragione, spiegavano con lucidità e chiarezza il senso e la struttura della realtà, la sua intelligibilità, il valore e il fine delle azioni umane. Sant’Alberto Magno ha aperto la porta per la recezione completa della filosofia di Aristotele nella filosofia e teologia medioevale, una recezione elaborata poi in modo definitivo da S. Tommaso. Questa recezione di una filosofia, diciamo, pagana pre-cristiana fu un’autentica rivoluzione culturale per quel tempo. Eppure, molti pensatori cristiani temevano la filosofia di Aristotele, la filosofia non cristiana, soprattutto perché essa, presentata dai suoi commentatori arabi, era stata interpretata in modo da apparire, almeno in alcuni punti, come del tutto inconciliabile con la fede cristiana. Si poneva cioè un dilemma: fede e ragione sono in contrasto tra loro o no?
Sta qui uno dei grandi meriti di sant’Alberto: con rigore scientifico studiò le opere di Aristotele, convinto che tutto ciò che è realmente razionale è compatibile con la fede rivelata nelle Sacre Scritture. In altre parole, sant’Alberto Magno, ha così contribuito alla formazione di una filosofia autonoma, distinta dalla teologia e unita con essa solo dall’unità della verità. Così è nata nel XIII secolo una chiara distinzione tra questi due saperi, filosofia e teologia, che, in dialogo tra di loro, cooperano armoniosamente alla scoperta dell’autentica vocazione dell’uomo, assetato di verità e di beatitudine: ed è soprattutto la teologia, definita da sant’Alberto "scienza affettiva", quella che indica all’uomo la sua chiamata alla gioia eterna, una gioia che sgorga dalla piena adesione alla verità.
Sant’Alberto Magno fu capace di comunicare questi concetti in modo semplice e comprensibile. Autentico figlio di san Domenico, predicava volentieri al popolo di Dio, che rimaneva conquistato dalla sua parola e dall’esempio della sua vita.
Cari fratelli e sorelle, preghiamo il Signore perché non vengano mai a mancare nella santa Chiesa teologi dotti, pii e sapienti come sant’Alberto Magno e aiuti ciascuno di noi a fare propria la "formula della santità" che egli seguì nella sua vita: "Volere tutto ciò che io voglio per la gloria di Dio, come Dio vuole per la sua gloria tutto ciò che Egli vuole", conformarsi cioè sempre alla volontà di Dio per volere e fare tutto solo e sempre per la Sua gloria.
[Il Papa ha poi salutato i pellegrini in diverse lingue. In Italiano ha detto:]
Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. In particolare, saluto i diversi gruppi di religiose qui presenti, assicurando la mia preghiera per loro e per i rispettivi Istituti, affinché sappiano annunciare con rinnovata gioia Gesù Cristo, Salvatore del mondo. Saluto i sacerdoti, i diaconi e i seminaristi del Movimento dei Focolari, ed auspico di cuore che questa visita rinsaldi in ciascuno la fedeltà al Vangelo e l'amore alla Chiesa.
Saluto infine i giovani, i malati e gli sposi novelli. La Solennità dell'Annunciazione, che domani celebreremo, sia per tutti un invito a seguire l'esempio di Maria Santissima: per voi, cari giovani, si traduca in pronta disponibilità alla chiamata del Padre, perché possiate essere fermento evangelico nella società; per voi, cari ammalati, sia sprone a rinnovare l'accettazione serena e confidente della volontà divina e a trasformare la vostra sofferenza in mezzo di redenzione dell'intera umanità; il sì di Maria susciti in voi, cari sposi novelli, un sempre più generoso impegno nel costruire una famiglia fondata sul reciproco amore e sui perenni valori cristiani.
[© Copyright 2010 - Libreria Editrice Vaticana]


Più grande del peccato - 23/03/2010 – articolo della rivista Tracce letto da don Julián Carrón all’ultima Scuola di Comunità
Ci sarebbe da discutere a lungo, sulle vicende che hanno portato Benedetto XVI a scrivere la sua Lettera ai cattolici d’Irlanda. E si potrebbe farlo partendo dai fatti, da numeri e dati che - letti bene - dicono di una realtà molto meno imponente di quanto possa sembrare dalla campagna feroce dei media. Oppure dalle contraddizioni di chi, sugli stessi giornali, accusa - a ragione - certe nefandezze, ma poche pagine più in là giustifica tutto e tutti, specie in materia di sesso. Si potrebbe, e forse aiuterebbe a capire meglio il contesto di una Chiesa davvero sotto attacco, ben al di là dei suoi errori. Solo che il gesto umile e coraggioso del Papa ha spostato tutto più in là. Verso il cuore della questione.
Chiaro, la ferita c’è. Ed è gravissima. Di quella specie che ha fatto dire parole di fuoco a Cristo («Chi scandalizza anche uno solo di questi piccoli che credono in me, sarebbe meglio per lui che gli fosse appesa al collo una macina e fosse gettato negli abissi…») e ai suoi vicari.
C’è la sporcizia, nella Chiesa. Lo disse chiaro e forte lo stesso Joseph Ratzinger nella Via Crucis di cinque anni fa, poco prima di diventare Papa, e non ha smesso mai di ricordarlo dopo, con realismo. C’è il peccato, anche grave. C’è il male e l’abisso di dolore che il male si porta dietro. E c’è l’esigenza di fare tutto il possibile - pure con durezza - per arginare quel male e riparare a quel dolore. Il Papa lo sta già facendo, e la sua Lettera lo ribadisce con forza, quando chiede ai colpevoli di risponderne «davanti a Dio onnipotente, come pure davanti a tribunali».
Ma proprio per questi motivi il vero cuore della questione, il focus dimenticato, sta altrove. Accanto a tutti i limiti e dentro l’umanità ferita della Chiesa c’è o no qualcosa di più grande del peccato? Di radicalmente più grande del peccato? C’è qualcosa che può spaccare la misura inesorabile del nostro male? Qualcosa che, come scrive il Pontefice, «ha il potere di perdonare persino il più grave dei peccati e di trarre il bene anche dal più terribile dei mali»?
«Ecco dunque il punto: Dio si è commosso per il nostro niente», ricordava don Giussani in una frase usata da Cl per il Volantone di Pasqua: «Non solo: Dio si è commosso per il nostro tradimento, per la nostra povertà rozza, dimentica e traditrice, per la nostra meschinità. È una compassione, una pietà, una passione. Ha avuto pietà per me».
È questo che porta la Chiesa nel mondo, e non certo per merito, bravura o tantomeno coerenza dei suoi: la commozione di Dio per la nostra meschinità. Qualcosa di più grande dei nostri limiti. L’unica cosa infinitamente più grande dei nostri limiti. Se non si parte da lì, non si capisce nulla. Impazzisce tutto, letteralmente.
È capitato - capita - anche a noi di schivare quella commozione, di sfuggirla. A volte è nella Chiesa stessa che si riduce la fede a un’etica e la moralità a un’impossibile rincorsa solitaria alle leggi, quasi che aver bisogno di quell’abbraccio fosse una cosa di cui doversi vergognare. Ma se si dimentica Cristo, se si fa fuori la misura totalmente diversa che Lui introduce nel mondo ora, attraverso la Chiesa, non si hanno più i termini per capire e giudicare la Chiesa stessa.
Allora diventa facile confondere l’attenzione per le vittime e il riguardo per la loro storia con un silenzio connivente, e la prudenza verso i colpevoli veri o presunti – accusati, magari, sulla base di voci affiorate dopo decenni – con la voglia di «insabbiare» (che pure a volte, evidentemente, c’è stata). Diventa quasi inevitabile straparlare di celibato senza sfiorare nemmeno il valore reale della verginità. E diventa impossibile capire perché la Chiesa può essere dura e materna insieme, con i suoi sacerdoti che sbagliano. Può punirli con severità e chiedere loro di scontare la pena e riparare al male (lo ha già fatto, non da oggi; e lo farà, sempre), ma senza spezzare - se possibile - il filo di un legame, perché è l’unica cosa che può redimerli. Può chiedere ai suoi figli «siate perfetti come è perfetto il Padre vostro» non per domandare un’impossibile irreprensibilità, ma per richiamare una tensione a vivere la stessa misericordia con cui ci abbraccia Dio («siate misericordiosi come è misericordioso il Padre che è nei cieli»).
È proprio per questo che la Chiesa può educare. Che, in fondo, è la vera questione messa in discussione da chi la sta accusando («vedete che sbagliano anche i preti, e di brutto? Come facciamo ad affidargli i nostri bambini?»), come se il suo essere maestra dipendesse tutto dalla coerenza dei suoi figli, e non da Lui. Da Cristo. Dalla Presenza che – tra tutti gli errori e gli orrori commessi - rende possibile nel mondo un abbraccio come quello del Figliol prodigo ritratto da Chagall nello stesso Volantone. Lì, accanto alla frase di Giussani, ce n’è un’altra, di Benedetto XVI: «Convertirsi a Cristo significa in fondo proprio questo: uscire dall’illusione dell’autosufficienza per scoprire e accettare la propria indigenza - indigenza degli altri e di Dio, esigenza del suo perdono».
Ecco, l’abbraccio di Cristo, dentro la nostra umanità ferita e indigente e al di là del male che possiamo compiere. Se la Chiesa – con tutti i suoi limiti - non avesse questo da offrire al mondo, persino alle vittime di quelle barbarie, allora sì che saremmo perduti. Tutti. Perché il male ci sarebbe sempre. Ma sarebbe impossibile vincerlo.


Contro chi sputa sui preti - Ci scrive un missionario indignato per la campagna dei media sulla pedofilia - Padre Aldo Trento, missionario in Paraguay
Sono in Italia da alcuni giorni e sono davvero amareggiato, addolorato per questi continui attacchi al Santo Padre, ai sacerdoti, alla Chiesa cattolica, usando la diabolica arma della pedofilia. E’ vero, questo argomento sembra interessare più a certi giornali e alle loro fantasie e allucinazioni che al pubblico: perché ho incontrato migliaia di persone e per lo più giovani, ma nessuno mi ha posto una domanda su questa questione. Il che significa che, sebbene esista questo flagello nel mondo e abbia intaccato anche la chiesa, con la dura, chiara e forte condanna del Santo Padre, siamo lontani anni luce da quel fenomeno di massa, come se tutti i preti fossero pedofili, come vogliono farci credere. Sono quarant’anni che sono sacerdote, sono stato in diverse parti del mondo, ho vissuto in brefotrofi, scuole, internati per bambini, ma non ho mai trovato un collega colpevole di questo delitto. Non solo, ma ho vissuto con sacerdoti, religiosi che hanno dato la vita perché questi bimbi avessero la vita.

Attualmente vivo in Paraguay, la mia missione abbraccia tutto l’umano nella sua povertà, quell’umano gettato nell’immondizia dal sensazionalismo dei media. Da 20 anni condivido la mia vita con prostitute, omosessuali, travestiti, ammalati di Aids, raccolti per le strade, negli immondezzai, nelle favelas e me li porto a casa dove la Provvidenza divina ha creato un ospedale di primo mondo come struttura architettonica, ma paradisiaco come clima umano. E in questa “anticamera del Paradiso”, come lo chiamano loro, li accompagno al Paradiso. Hanno vissuto come “cani” e muoiono come principi. Vicino alla clinica, sempre la Provvidenza ha creato due “case di Betlemme” per ricordare il luogo dove è nato Gesù, che raccolgono 32 bambini, molti di essi violentati dai patrigni o dal compagno occasionale della “madre”. Tutti i giorni ho a che fare con situazioni terribili e indescrivibili. Spesso non ho neanche la capacità di leggere i referti delle assistenti sociali, tanto sono orrende le violenze sessuali subite dai miei bambini. Eppure, dopo alcuni mesi che sono con noi, respirano un’altra aria, quell’aria che solo il fatto cristiano e l’amore di noi sacerdoti contro cui i mostri del giornalismo si scagliano, facendo di ogni erba un fascio. Aveva ragione Pablo Neruda quando definiva certi giornalisti “coloro che vivono mangiando gli escrementi del potere”.

La certezza che “io sono Tu che mi fai” che sono frutto del Mistero e non l’esito dei miei antecedenti, per quanto pessimi possano essere stati, si trasmette come per osmosi nel cuore dei miei bambini che ritrovano il sorriso. Come si trasmette anche sui “mostri” (se così vi piace chiamarli voi giornalisti… a cui tanto assomigliate per la vostra ipocrisia) parlo di quelli che sembrano divertirsi a sputare contro la chiesa) che in fondo a loro volta, spesso, sono vittime e carnefici, vittime da piccoli e carnefici da grandi, avendo vissuto come bestie. Il mio cuore di prete mentre do la mia vita per questi innocenti non può non dare la vita, come Gesù, anche per coloro di cui Gesù ha detto con parole fortissime “prima di scandalizzare uno di questi piccoli è meglio mettersi una macina da mulino al collo e buttarsi nel profondo del mare”.
Sono solo alcuni esempi, di milioni, della carità della chiesa. Mi fa soffrire questo sputare nel piatto nel quale, Dio lo voglia, anche certi morbosi giornalisti, un domani si troveranno a mangiare, perché se uno sbaglia non significa che la chiesa sia così. Questa chiesa che è il respiro del mondo. Non vi chiedete cosa sarebbe di questo mondo senza questo porto di sicura speranza per ogni uomo, compresi voi che in questi giorni come corvi inferociti vi divertite sadicamente a sputare sopra il Suo Casto Volto? Venite nel terzo mondo per capire cosa vuol dire migliaia di preti e suore che muoiono dando la vita per i bambini. Venite a vedere i miei bambini violentati che alcuni giorni fa prima di partire per l’Italia piangevano chiedendomi: “Papà quando torni?”.

Non voglio strappare le lacrime a voi che siete come le pietre ma solo ricordarvi che anche per voi un giorno quando la vita vi chiederà il “redde rationem vilicationis tuae” questa chiesa, questa madre contro cui avete imparato bene il gioco dello sputo, vi accoglierà, vi abbraccerà, vi perdonerà. Questa madre, che da 2000 anni è sputacchiata, derisa, accusata e che da 2000 anni continua a dire a tutti coloro che lo chiedono: “Io ti assolvo dai tuoi peccati, nel nome del Padre, del Figlio, dello Spirito Santo”.
Questa madre, che sebbene giudichi e condanni duramente il peccato e richiami duramente il peccatore reo di certi orrendi delitti, come la pedofilia, non chiude e non chiuderà mai le porte della sua misericordia a nessuno. Mi confortano le parole di Gesù “le porte dell’inferno non prevarranno mai”. Come mi conforta l’immensa santità che trabocca dal suo corpo di “casta meretrix”.
Allora non perdiamo tempo dietro i deliri di alcuni giornalisti che usano certi esecrabili casi di pedofilia per attaccare l’Avvenimento cristiano, per mettere in discussione la perla del celibato, ma guardiamo le migliaia di persone, giovani in particolare, incontrati personalmente in una settimana di permanenza in Italia che credono, cercano e domandano alla chiesa il perché, il senso ultimo della vita e che vedono in lei l’unica possibile risposta.

Personalmente mi preoccupa di più l’assenza di santità in molti di noi sacerdoti che altre cose per quanto gravi e dolorose siano. Mi preoccupa di più una chiesa che si vergogna di Cristo, invece che predicarlo dai tetti. Mi preoccupa di più non incontrare i sacerdoti nel confessionale per cui il peccatore spesso vive quel tormento del suo peccato perché non trova un confessore che lo assolva. Alle accuse infamanti di questi giorni urge rispondere con la santità della nostra vita e con una consegna totale a Cristo e agli uomini bisognosi, come non mai, di certezza e di speranza. Alla pedofilia si deve rispondere come il Papa ci insegna. Però solo annunciando Cristo si esce da questo orribile letamaio perché solo Cristo salva totalmente l’uomo. Ma se Cristo non è più il cuore della vita, allora qualunque perversione è possibile. L’unica difesa che abbiamo sono i nostri occhi innamorati di Cristo. Il dolore è grandissimo, ma la sicurezza granitica: “Io ho vinto il mondo” è infinitamente superiore.

Padre Aldo Trento, missionario in Paraguay


Genesi di un delitto. La rivoluzione degli anni '60 - Lo scandalo della pedofilia c'è sempre stato, ma a ingigantirlo è stata la svolta culturale di mezzo secolo fa. Lo scrive Benedetto XVI nella sua lettera ai cattolici dell'Irlanda. Due cardinali e un sociologo la commentano, di Sandro Magister

ROMA, 25 marzo 2010 – La legge e la grazia. Dove la giustizia terrena non arriva, può la mano di Dio. Ai cattolici dell'Irlanda Benedetto XVI ha ordinato, con la sua lettera del 19 marzo, ciò che nessun papa dell'età moderna ha mai ordinato a un'intera Chiesa nazionale.

Ha intimato loro non solo di portare i colpevoli davanti ai tribunali canonici e civili, ma di mettersi collettivamente in stato di penitenza e di purificazione. E non nel segreto delle coscienze ma in forma pubblica, sotto gli occhi di tutti, anche degli avversari più implacabili e irridenti. Digiuno, preghiera, lettura della Bibbia e opere di carità tutti i venerdì da qui alla Pasqua dell'anno venturo. Confessione sacramentale frequente. Adorazione continua di Gesù – egli stesso "vittima di ingiustizia e peccato" – davanti alla sacra ostia esposta sugli altari delle chiese. E per tutti i vescovi, i sacerdoti, i religiosi senza eccezioni, un periodo speciale di "missione", un lungo e severo corso di esercizi spirituali per una radicale revisione di vita.

Un passo audace, questo compiuto da papa Benedetto. Perché nemmeno il profeta Giona credeva più che Dio avrebbe perdonato Ninive dei suoi peccati, nonostante la cenere penitenziale e la tela di sacco indossata da tutti, dal re fino all'ultimo dei giumenti.

E anche oggi molti concludono che la Chiesa resta irrimediabilmente sotto condanna, anche dopo la lettera nella quale lo stesso papa si carica di vergogna e rimorso per l'abominio commesso su dei fanciulli da alcuni sacerdoti, nella colpevole negligenza di qualche vescovo.

Eppure anche su Ninive discese il perdono di Dio, e lo scettico Giona dovette ricredersi, e Michelangelo dipinse proprio questo profeta sulla sommità della parete d'altare della Cappella Sistina, a mostrare che il perdono di Dio è la chiave di tutto, dalla creazione del mondo sino al giudizio finale.

Domenica 21 marzo, mentre nelle chiese d'Irlanda era data lettura della sua lettera, Benedetto XVI ha commentato ai fedeli, all'Angelus in piazza San Pietro, il perdono di Gesù all'adultera: "Egli sa che cosa c'è nel cuore di ogni uomo, vuole condannare il peccato, ma salvare il peccatore e smascherare l'ipocrisia". L'ipocrisia di quelli che volevano lapidare la donna pur essendo i primi a peccare.

Intransigenti con il peccato, "a partire dal nostro", e misericordiosi con le persone. È questa la lezione che Joseph Ratzinger vuole applicare al caso irlandese e, di riflesso, alla Chiesa intera.

Da un lato i rigori della legge. Il prezzo della giustizia dovrà essere pagato fino in fondo. Le diocesi, i seminari, le congregazioni religiose in cui si sono lasciate correre le malefatte sono avvertiti: dal Vaticano arriveranno dei visitatori apostolici a scoperchiare il loro operato, e anche dove non ci sarà materia per la giustizia civile la disciplina canonica punirà i negligenti.

Ma insieme il papa accende il lume della grazia. Apre la porta del perdono di Dio anche al colpevole del peggiore abominio, se sinceramente pentito.

Quanto agli accusatori di prima fila, i più armati di pietre contro la Chiesa, nessuno di loro è senza peccato. Per chi esalta la sessualità come puro istinto, libero da ogni vincolo, è difficile poi condannare ogni suo abuso.

La tragedia di alcuni sacerdoti e religiosi, ha scritto Benedetto XVI nella lettera, è stata anche di cedere a simili diffusi "modi di pensiero", fino a giustificare l'ingiustificabile.

Un cedimento che a Ratzinger vescovo e papa non può sicuramente essere imputato, nemmeno dai più accaniti dei suoi avversari, se sinceri.

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Il commento sopra riprodotto è uscito su "L'espresso" n. 13 del 2010, in edicola dal 26 marzo.

Nel finale il commento fa riferimento a un preciso paragrafo, il quarto, della lettera di Benedetto XVI ai cattolici dell'Irlanda.

È il paragrafo nel quale il papa va alle ragioni che hanno favorito, dagli anni Sessanta del secolo scorso, l'espandersi degli abusi sessuali tra il clero e soprattutto l'incomprensione della loro gravità.

Eccolo per intero.

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BENEDETTO XVI. IL PARAGRAFO 4 DELLA SUA LETTERA


"Negli ultimi decenni, la Chiesa nel vostro paese ha dovuto confrontarsi con nuove e gravi sfide alla fede scaturite dalla rapida trasformazione e secolarizzazione della società irlandese. Si è verificato un rapidissimo cambiamento sociale, che spesso ha colpito con effetti avversi la tradizionale adesione del popolo all’insegnamento e ai valori cattolici. Molto sovente le pratiche sacramentali e devozionali che sostengono la fede e la rendono capace di crescere, come ad esempio la frequente confessione, la preghiera quotidiana e i ritiri annuali, sono state disattese.

"Fu anche determinante in questo periodo la tendenza, anche da parte di sacerdoti e religiosi, di adottare modi di pensiero e di giudizio delle realtà secolari senza sufficiente riferimento al Vangelo. Il programma di rinnovamento proposto dal Concilio Vaticano Secondo fu a volte frainteso e in verità, alla luce dei profondi cambiamenti sociali che si stavano verificando, era tutt’altro che facile valutare il modo migliore per portarlo avanti. In particolare, vi fu una tendenza, dettata da retta intenzione ma errata, ad evitare approcci penali nei confronti di situazioni canoniche irregolari. È in questo contesto generale che dobbiamo cercare di comprendere lo sconcertante problema dell’abuso sessuale dei ragazzi, che ha contribuito in misura tutt’altro che piccola all’indebolimento della fede e alla perdita del rispetto per la Chiesa e per i suoi insegnamenti.

"Solo esaminando con attenzione i molti elementi che diedero origine alla presente crisi è possibile intraprendere una chiara diagnosi delle sue cause e trovare rimedi efficaci. Certamente, tra i fattori che vi contribuirono possiamo enumerare: procedure inadeguate per determinare l’idoneità dei candidati al sacerdozio e alla vita religiosa; insufficiente formazione umana, morale, intellettuale e spirituale nei seminari e nei noviziati; una tendenza nella società a favorire il clero e altre figure in autorità e una preoccupazione fuori luogo per il buon nome della Chiesa e per evitare gli scandali, che hanno portato come risultato alla mancata applicazione delle pene canoniche in vigore e alla mancata tutela della dignità di ogni persona. Bisogna agire con urgenza per affrontare questi fattori, che hanno avuto conseguenze tanto tragiche per le vite delle vittime e delle loro famiglie e hanno oscurato la luce del Vangelo a un punto tale cui non erano giunti neppure secoli di persecuzione".

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Sui fattori culturali analizzati dal papa sono intervenuti, tra altri, due cardinali e uno studioso di sociologia delle religioni.

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IL COMMENTO DEL CARDINALE BAGNASCO


Il primo dei due cardinali è Angelo Bagnasco, arcivescovo di Genova e presidente della conferenza episcopale italiana.

Lunedì 22 marzo, nella prolusione con cui ha introdotto i lavori del consiglio permanente della CEI, Bagnasco ha così concluso il passaggio dedicato alla lettera del papa ai cattolici dell'Irlanda:

"Da varie parti, anche non cattoliche, si rileva come non da ora il fenomeno della pedofilia appaia tragicamente diffuso in diversi ambienti e in varie categorie di persone: ma questo, lungi dall’essere qui evocato per sminuire o relativizzare la specifica gravità dei fatti segnalati in ambito ecclesiastico, è piuttosto un monito a voler cogliere l’obiettivo spessore della tragedia. Nel momento stesso in cui sente su di sé l’umiliazione, la Chiesa impara dal Papa a non avere paura della verità, anche quando è dolorosa e odiosa, a non tacerla o coprirla. Questo, però, non significa subire – qualora ci fossero – strategie di discredito generalizzato.

"Dobbiamo in realtà tutti interrogarci, senza più alibi, a proposito di una cultura che ai nostri giorni impera incontrastata e vezzeggiata, e che tende progressivamente a sfrangiare il tessuto connettivo dell’intera società, irridendo magari chi resiste e tenta di opporsi: l’atteggiamento cioè di chi coltiva l’assoluta autonomia dai criteri del giudizio morale e veicola come buoni e seducenti i comportamenti ritagliati anche su voglie individuali e su istinti magari sfrenati. Ma l’esasperazione della sessualità sganciata dal suo significato antropologico, l’edonismo a tutto campo e il relativismo che non ammette né argini né sussulti fanno un gran male perché capziosi e talora insospettabilmente pervasivi.

"Conviene allora che torniamo tutti a chiamare le cose con il loro nome sempre e ovunque, a identificare il male nella sua progressiva gravità e nella molteplicità delle sue manifestazioni, per non trovarci col tempo dinanzi alla pretesa di una aberrazione rivendicata sul piano dei principi".

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IL COMMENTO DEL CARDINALE RUINI


Il secondo cardinale è Camillo Ruini, presidente del comitato per il progetto culturale della Chiesa italiana, predecessore di Bagnasco alla presidenza della CEI e vicario del papa per la diocesi di Roma dal 1991 al 2008.

In un'intervista al quotidiano "il Foglio" del 16 marzo, pochi giorni prima che il papa pubblicasse la sua lettera, Ruini ha detto tra l'altro:

"A mio avviso la campagna diffamatoria contro la Chiesa cattolica e il papa messa in campo dai media rientra in quella strategia che è in atto oramai da secoli e che già Friedrich Nietzsche teorizzava con il gusto dei dettagli. Secondo Nietzsche l’attacco decisivo al cristianesimo non può essere portato sul piano della verità ma su quello dell’etica cristiana, che sarebbe nemica della gioia di vivere. E allora vorrei domandare a chi scaglia gli scandali della pedofilia principalmente contro la Chiesa cattolica, tirando in ballo magari il celibato dei preti: non sarebbe forse più onesto e realistico riconoscere che certamente queste e altre deviazioni legate alla sessualità accompagnano tutta la storia del genere umano ma anche che nel nostro tempo queste deviazioni sono ulteriormente stimolate dalla tanto conclamata ‘liberazione sessuale’?"

E ancora:

"Quando l’esaltazione della sessualità pervade ogni spazio della vita e quando si rivendica l’autonomia dell’istinto sessuale da ogni criterio morale diventa difficile far comprendere che determinati abusi sono assolutamente da condannare. In realtà la sessualità umana fin dal suo inizio non è semplicemente istintiva, non è identica a quella degli altri animali. È, come tutto l’uomo, una sessualità ‘impastata’ con la ragione e con la morale, che può essere vissuta umanamente, e rendere davvero felici, soltanto se viene vissuta in questo modo".

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IL COMMENTO DEL PROFESSOR INTROVIGNE


Il sociologo è il professore Massimo Introvigne, presidente del CESNUR, Center for Studies on New Religion.

In un commento apparso il 22 marzo sull'edizione italiana dell'agenzia internazionale "Zenit", Introvigne ha scritto tra l'altro:

"Quelli che gli inglesi e gli americani chiamano 'the Sixties', gli anni Sessanta, e gli italiani, concentrandosi sull’anno emblematico, 'il Sessantotto' appare sempre di più come il tempo di un profondo sconvolgimento dei costumi, con effetti cruciali e duraturi sulla religione.

"C’è stato del resto un Sessantotto nella società e anche un Sessantotto nella Chiesa: proprio il 1968 è l’anno del dissenso pubblico contro l’enciclica 'Humanae Vitae' di Paolo VI, una contestazione che secondo un pregevole e influente studio del filosofo americano recentemente scomparso Ralph McInerny, 'Vaticano II. Che cosa è andato storto?', rappresenta un punto di non ritorno nella crisi del principio di autorità nella Chiesa Cattolica. [...]

"Ma perché gli anni Sessanta? Sul tema, per rimanere nelle Isole Britanniche, Hugh McLeod ha pubblicato nel 2007 presso Oxford University Press un importante volume, 'The Religious Crisis of the 1960s', che fa il punto sulle discussioni in corso.

"Due tesi si sono contrapposte: quella di Alan Gilbert secondo cui a determinare la rivoluzione degli anni 1960 è stato il boom economico, che ha diffuso il consumismo e ha allontanato le popolazioni dalle chiese, e quella di Callum Brown secondo cui il fattore decisivo è stata l’emancipazione delle donne dopo la diffusione dell’ideologia femminista, del divorzio, della pillola anticoncezionale e dell’aborto.

"McLeod pensa, a mio avviso giustamente, che un solo fattore non può spiegare una rivoluzione di questa portata. C’entrano il boom economico e il femminismo, ma anche aspetti più strettamente culturali sia all’esterno delle Chiese e comunità cristiane (l’incontro fra psicanalisi e marxismo) sia all’interno (le 'nuove teologie').

"Senza entrare negli elementi più tecnici di questa discussione, Benedetto XVI nella sua lettera si mostra consapevole del fatto che ci fu negli anni Sessanta un’autentica rivoluzione – non meno importante della Riforma protestante o della Rivoluzione francese – che fu 'rapidissima' e che assestò un colpo durissimo alla 'tradizionale adesione del popolo all’insegnamento e ai valori cattolici'. [...]

"Nella Chiesa cattolica non ci fu subito sufficiente consapevolezza della portata di questa rivoluzione. Anzi, essa contagiò – ritiene oggi Benedetto XVI – 'anche sacerdoti e religiosi', determinò fraintendimenti nell’interpretazione del Concilio, causò 'insufficiente formazione, umana, morale e spirituale nei seminari e nei noviziati'.

"In questo clima certamente non tutti i sacerdoti insufficientemente formati o contagiati dal clima successivo agli anni Sessanta, e nemmeno una loro percentuale significativa, divennero pedofili: sappiamo dalle statistiche che il numero reale dei preti pedofili è molto inferiore a quello proposto da certi media. E tuttavia questo numero non è uguale a zero – come tutti vorremmo – e giustifica le severissime parole del papa. Ma lo studio della rivoluzione degli anni Sessanta, e del 1968, è cruciale per capire quanto è successo dopo, pedofilia compresa. E per trovare rimedi reali.

"Se questa rivoluzione, a differenza delle precedenti, è morale e spirituale e tocca l’interiorità dell’uomo, solo dalla restaurazione della moralità, della vita spirituale e di una verità integrale sulla persona umana potranno ultimamente venire i rimedi. Ma per questo i sociologi, come sempre, non bastano: occorrono i padri e i maestri, gli educatori e i santi. E abbiamo tutti molto bisogno del papa: di questo
papa, che ancora una volta – per riprendere il titolo della sua ultima enciclica – dice la verità nella carità e pratica la carità nella verità".


Per Bagnasco l’aborto torna clandestino. Invece la voce della chiesa no - di Paolo Rodari
A pochi giorni dalle regionali la chiesa italiana dice una parola che resta. Ieri è stato il cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Conferenza episcopale del paese, a parlare legando il voto al tema dell’aborto. E a far capire, pur senza citare le candidature di Mercedes Bresso in Piemonte e di Emma Bonino nel Lazio, da che parte sta la chiesa. Bagnasco ha definito l’aborto un “delitto incommensurabile”. Ha ricordato i “dati agghiaccianti” riportati dal rapporto predisposto dall’Istituto per le politiche familiari secondo cui quasi tre milioni di bimbi non sono nati nel 2008. Ha parlato di un’“ecatombe complessiva” favorita da un “continuum farmacologico”: dalla “pillola del giorno dopo” fino all’ultimo ritrovato, “la pillola dei cinque giorni”. Ha detto che paradossalmente quella “rivoluzione iniziata negli anni Sessanta per sottrarre l’aborto alla clandestinità si chiude tornando esattamente là dove era cominciata, con il risultato finora acquisito dell’invisibilità sociale della pratica, preludio di quella invisibilità etica che è disconoscimento che ogni essere è per se stesso, fin dall’inizio della sua avventura umana”. E quindi, ricordando che la difesa della vita e il no all’aborto fanno parte di quella piattaforma di valori “non negoziabili” che la chiesa non può disattendere, ha auspicato che la gente voti di conseguenza. E’ necessario “la cittadinanza inquadri ogni singola verifica elettorale” giacché “il voto avviene sulla base dei programmi sempre più chiaramente dichiarati e assunti dinanzi all’opinione pubblica”.
E’ la prima volta che Bagnasco fa riferimento alle regionali. Prima di lui i vescovi dell’Emilia Romagna e del Lazio con due Note, e il cardinale Camillo Ruini in un’intervista al Foglio, si erano espressi. Bagnasco l’ha fatto ieri introducendo una distinzione tra i valori cosiddetti “non negoziabili” e “quelli indispensabili”. I primi (la dignità della persona umana, l’indisponibilità della vita, la libertà religiosa ed educativa, la famiglia fondata sul matrimonio) sono “il fondamento”. Di questi non solo aveva parlato il Papa pochi mesi dopo la sua elezione ma anche la Congregazione per la dottrina della fede nella Nota dottrinale circa alcune questioni riguardanti l’impegno e il comportamento dei cattolici nella vita politica del 2002. E’ da questi valori che “si impiantano” gli altri, quelli più sociali: il diritto al lavoro, l’accoglienza verso gli immigrati, il rispetto del creato.
Bagnasco guida i vescovi italiani da tre anni. Il tratto dei suoi interventi ha caratteristiche precise: il piano politico è preceduto sempre da premesse teologiche. Così anche ieri parlando dei preti pedofili. Bagnasco ha ricordato il valore del celibato sacerdotale, ha chiesto ai preti di impegnarsi con vigore nell’ambito educativo e ha detto che non si può dimenticare che il male ha radici lontane, nella “esasperazione della sessualità sganciata dal suo significato antropologico”, nell’“edonismo a tutto campo” e nel “relativismo che non ammette né argini né sussulti”.
Pubblicato sul Foglio martedì 23 marzo 2010


Chiesa e pedofilia: Padre Lombardi e Introvigne a "Uno mattina" - Trascrizione completa - Presentazione della “Lettera ai cattolici dell’Irlanda” a “Uno mattina” del 23 marzo 2010. Interviste a padre Federico Lombardi S.J. e a Massimo Introvigne

Michele Cucuzza

Saluto Padre Federico Lombardi, che è il portavoce della sala stampa della Santa Sede. Abbiamo sentito il Papa: ha utilizzato parole forti, parole molto addolorate. “Vergogna e rimorso” – ha detto tra l’altro - “disonore”, per la violenza da parte di membri della Chiesa d’Irlanda, “atti peccaminosi di criminali” e così via. Come mai si è resa impellente la lettera e perché Sua Santità ha scelto proprio la Chiesa d’Irlanda come destinataria?

Padre Federico Lombardi

In Irlanda si sono verificati effettivamente dei fatti molto gravi e ci sono stati recentemente anche dei rapporti dalle autorità pubbliche che hanno approfondito la situazione e hanno suscitato grandissima emozione, grande reazione nella società irlandese, non solo nella Chiesa, per cui c’è una situazione particolare in questo Paese. Per questo il Papa ha convocato a Roma i vescovi, li ha incontrati, li ha ascoltati e ha pensato necessario rivolgere alla Chiesa in Irlanda una lettera specifica, proprio per la situazione che si è manifestata nel tempo, grave e in cui ci sono state anche delle responsabilità serie e gravi nel governo della Chiesa in Irlanda; cioè da parte dell’episcopato che non ha gestito queste situazioni con sufficiente decisione e chiarezza. Questo è stato messo in rilievo anche nei rapporti pubblici – il Papa lo riconosce – e pensa quindi di dover fare un intervento specifico per aiutare anche la Chiesa e la società irlandese ha far fronte a questa situazione e a riprendere il cammino.


Eleonora Daniele

La lettera apre comunque ad una voce di speranza, speranza che le vittime non perdano fiducia nei confronti della Chiesa e poi speranza, speranza per i peccatori nella misericordia di Dio. All’Angelus poi ricordiamo – l’Angelus di domenica – il Papa ha sottolineato il tema dell’indulgenza verso i peccatori. Padre Lombardi, perché il Papa ha scelto di veicolare e trasmettere questi due messaggi contemporaneamente? Non sarebbe stato più facile, più popolare, forse stare solamente dalla parte delle vittime?

Padre Federico Lombardi

Guardi, l’accostamento tra la lettera che è stata pubblicata sabato e mandata ieri e l’Angelus di domenica, che era un normale Angelus con un commento del Vangelo di domenica, è un po’ artificioso, quindi veramente non ha il rilievo che è stato dato sulla stampa italiana. Rimane il fatto che nella lettera stessa c’è questa dimensione, che lei già prima evocava, anche della misericordia di Dio, però vista non tanto come indulgenza verso chi ha mancato, per cui il Papa ha delle parole veramente durissime che sono state prima giustamente evocate, ma come il contesto diciamo spirituale in cui dare speranza a tutti quelli che stanno vivendo una sofferenza durissima – le vittime anzitutto – i colpevoli che rischiano di disperarsi per la gravità di ciò che hanno commesso, e anche la società e la Chiesa irlandese che vedono una situazione di grandissima crisi morale. Ecco, allora: ridare fiducia anche per poter fare un cammino che il Papa riconosce che è molto lungo, cioè non dice che con questa lettera lui ha risolto tutto – per carità – dice che ha dato un piccolo contributo per fare un passo avanti in un lungo cammino di risanamento delle ferite interiori di chi ha sofferto e anche di rinnovamento e purificazione.

Michele Cucuzza

Su questo cosa dobbiamo aspettarci? I vescovi collaboreranno anche con le autorità civili?

Padre Federico Lombardi

Ah certamente, questo è detto molto chiaramente nella lettera, ed è la linea che si assume. I vescovi come i cristiani, i cattolici, sono cittadini di una società, devono rispettarne le leggi. Se ci sono delle leggi come quella della gioventù vanno certamente rispettate.

Michele Cucuzza

In collegamento da Torino saluto il professor Massimo Introvigne, sociologo, direttore del Centro Studi sulle Nuove Religioni. Ecco, il Papa ha indubbiamente scritto una lettera coraggiosa. I commenti sono unanimi. Eppure lei il 18 marzo aveva scritto su Avvenire che “dal punto di vista sociologico questo qui è un tipico esempio di” - ha detto – “panico morale” e ha sostenuto questa sua analisi con dei numeri, proprio dal punto di vista statistico. Le chiedo allora: ma esiste o non esiste il problema della pedofilia all’interno della Chiesa cattolica, a suo avviso?

Massimo Introvigne

Il problema esiste certamente. Se anche ci fossero soltanto due casi, bisogna dirlo con chiarezza, sarebbero due casi di troppo e quindi la santa severità del Papa contro abusi che definisce criminali e vergognosi mi trova completamente consenziente. Detto questo, e per quanto le vittime non siano certo mai consolate dalle statistiche di noi sociologi, non è indifferente per chi deve agire e prevenire sapere se i casi sono venti o ventimila. Il panico morale deriva quando sono fatte circolare da alcuni media delle statistiche folkloriche, esagerando. Se prendo i rapporti irlandesi citati da Padre Lombardi, e anche lo studio statistico più accurato, quello del John Jay College, un’istituzione non cattolica negli Stati Uniti pubblicato nel 2004, io ci trovo che in un arco di 52 anni, il 4% del clero degli Stati Uniti è stato accusato di abusi su minori. Questo vuol dire che il 4% dei preti americani sono pedofili? No, perché accusato non vuol dire condannato. Ci sono stati casi anche clamorosi di innocenti calunniati, e poi perché nella maggior parte dei casi non si tratta tecnicamente di pedofilia, ma di accuse di relazioni sessuali con minorenni. Se un parroco ha una relazione con una diciassettenne, questa non è una bella cosa, ma non si tratta di pedofilia. I casi di pedofilia negli Stati Uniti che hanno portato a condanne, sono stati negli ultimi 52 anni da uno a due all’anno. Sono troppi, sono vergognosi, sono criminali, ma non dobbiamo esagerare sul dato statistico.

Eleonora Daniele

Vorrei un commento anche su questi dati, un commento da Padre Lombardi. Tra l’altro il Santo Padre si è reso disponibile anche ad incontrare le vittime.


Padre Federico Lombardi

Sì, quello che ha detto il professor Introvigne è verissimo. Per avere una visione obiettiva dal punto di vista sociologico del problema, bisogna guardarlo nella sua ampiezza, nella sua completezza, non solo concentrarsi sulla Chiesa. Naturalmente, noi come persone di Chiesa siamo feriti profondissimamente, anche perché presentandoci in un certo senso come autorità morali dobbiamo avere un comportamento coerente e il Papa per questo parla con molta onestà del problema. Certo, il Papa, come dice lei, ha manifestato la sua partecipazione profonda anche incontrando delle vittime. Io ero presente, sia nella cappella della Nunziatura di Washington, sia nella cappella della Residenza a Sidney e poi anche qui a Roma li ha incontrati e dice nella lettera che è disposto a incontrarne ancora.

Michele Cucuzza

Padre Lombardi, come mai in passato ci sono stati tanti errori da parte della Chiesa nell’affrontare questo problema?

Padre Federico Lombardi

Certamente c’è stata una certa cultura del silenzio che non è solo della Chiesa ma anche molto diffusa nella società, su fatti di cui evidentemente ci si vergogna che sono piuttosto così gravi, così drammatici. Uno cerca di nasconderli molto spesso, questa è una tendenza abbastanza naturale e una istituzione come la Chiesa anche per salvare la sua onorabilità, in passato ha spesso cercato di non parlare, non affrontare specificamente questi casi. Magari un sacerdote che si sapeva che aveva mancato, che era a rischio, lo si spostava da un’altra parte, in modo tale da evitare che il problema dilagasse. E questo è un fatto che è stato abbastanza diffuso, ed è proprio su questo che si appunta la critica di governo da parte del Santo Padre. Per fortuna queste sono cose già di diversi decenni fa, mentre adesso la consapevolezza di dover affrontare le cose con tempestività, chiarezza e rigore è molto diffusa.

Eleonora Daniele

Professor Introvigne, facciamo un passo indietro, facciamo anche un po’ di chiarezza. Già nel 2006 il documentario della BBC ‘Sex Crimes and the Vatican’ aveva suscitato scalpore. Perché? Perché si faceva riferimento ad un presunto documento che vietava ai vescovi di denunciare i preti pedofili e ad un meccanismo anche perverso, di spostamento di diocesi in diocesi dei colpevoli. Era questo davvero lo stato delle cose? Se sì, quanto è durato questo periodo di insabbiamento, di omertà, chiamiamola così?

Massimo Introvigne

Il documentario del parlamentare irlandese Colm O’Gorman era così sensazionalistico da essere fondamentalmente falso, falso non perché – lo abbiamo visto - gli abusi non ci siano stati, ma perché pretendeva che questi abusi fossero garantiti e favoriti dal diritto canonico. Citava in particolare l’istruzione del 1962, ma in realtà riedizione di una del 1922, Crimen sollicitationis, e la lettera della Congregazione della Dottirna della Fede De delictis gravioribus del 2001. Ora, c’erano anche nel documentario dei marchiani errori di traduzione dal latino. Questi documenti chiedevano in realtà maggiore severità nel perseguire gli abusi. La scomunica nella Crimen sollicitationis era per chi non denunciava gli abusi, non per chi li denunciava. La De delictis gravioribus semmai creava un termine di prescrizione lunghissimo, dieci anni dal compimento del diciottesimo anno della vittima; vuol dire che se un bambino di quattro anni è abusato nel 2010, il colpevole può essere perseguito fino al 2034. Quindi la severità nel diritto canonico c’era, c’era assolutamente. Ha ragione il Papa: preti e anche vescovi hanno commesso abusi anche gravi, ma li hanno commessi perché non hanno applicato il diritto canonico, certo non perché lo hanno applicato.

Michele Cucuzza

Eppure - mi rivolgo a Padre Lombardi - lo dicevamo prima: omissioni, connivenze ci sono state, anche per decenni. Che cosa risponde oggi il Vaticano a chi – abbiamo sentito nella rassegna stampa – ha contestato a questa lettera di Benedetto XVI, che pure per alcuni è coraggiosa, una sorta di auto-assoluzione. Hanno usato la parola “insufficiente”, “non basta”…

Padre Federico Lombardi

La lettera va letta, e chi la legge onestamente capisce benissimo che non c’è nulla dell’auto-assoluzione, anzi c’è un riconoscimento fortissimo di responsabilità e una volontà fortissima di purificazione; e tra l’altro devo dire proprio come evocava il professor Introvigne, Benedetto XVI come Prefetto della Congregazione della Dottrina della Fede, come Cardinale Ratzinger, è stato veramente un protagonista della linea di chiarezza e di rigore anche negli anni precedenti. Ecco, quindi non bisogna equivocare i documenti della Chiesa che anche obbligano i vescovi a riferire su questi casi gravi e sono proprio per portare fino in fondo i processi canonici nei confronti dei colpevoli, e non per metterli da parte.

Eleonora Danile

Per molti, lo scandalo della pedofilia nella Chiesa Cattolica nasconde un attacco diretto al Santo Padre e alla stessa Chiesa Cattolica. Sentiamo cosa ne pensa Lucetta Scaraffia, che tra l’altro ha scritto un importante articolo qualche giorno fa proprio sull’Osservatore Romano.

Lucetta Scaraffia

Uscirà una Chiesa che starà molto più attenta - per fortuna - come è successo anche negli Stati Uniti d’America dopo, nella selezione del clero, nell’accettazione del clero, nell’accettare persone che sono molto stabili psicologicamente per evitare queste forme gravi, queste forme di malattia insomma molto gravi, malattia o anche permissivismo esagerato. Però io non penso assolutamente che questo cambierà la Chiesa. Già il cambiamento, diciamo così la linea di severità, era stata già decisa e iniziata dal cardinale Ratzinger quando era Prefetto della Congregazione della Dottrina della Fede, e lì aveva già iniziato con enorme severità a colpire, a denunciare e a portare a termine tutti i processi di abuso sessuale, quindi continuerà su questa linea, penso.

Eleonora

Andiamo dal professore. Anche lei crede all’ipotesi dell’attacco – diciamo così – l’attacco politico?

Massimo Introvigne

Qualche volta c’è qualcosa di simile. Faccio un esempio, se si vuole da manuale. Il caso del sacerdote della diocesi di Essen in Germania, che nel 1980 fu accolto, accusato di pedofilia nella diocesi di Monaco, nella diocesi del Papa, per essere curato, e che poi un incauto vicario di quella diocesi immesse nel ministero pastorale. Bene, questo caso si verifica nel 1980. Scoppia sui giornali tedeschi nell’85, c’è un processo nel 1986, che tra l’altro esclude qualsiasi responsabilità personale del cardinale Joseph Ratzinger, dell’attuale Pontefice. Quindi, caso già scoppiato sui giornali e già oggetto di una sentenza di un tribunale tedesco 24 anni fa. Ecco, quando 24 anni dopo questo caso viene riscoperto come se fosse una cosa nuova da un quotidiano tedesco e sbattuto in prima pagina, ripeto a distanza di un quarto di secolo, io mi chiedo se qualche manovra per mettere a tacere la voce della Chiesa, che è una voce scomoda, quando si leva a difesa della vita, della famiglia, dei diritti delle persone, in effetti, non ci sia.

Michele Cucuzza

Padre Lombardi, qual è la sua opinione in proposito? Perché eventualmente questo attacco? Perché ora? Che cosa si vorrebbe attaccare veramente?

Padre Federico Lombardi

Guardi, io non sono mai stato un complottista, uno scopritore di complotti, quindi non sono tanto dell’idea che ci sia una strategia orchestrata, però è vero - è quanto diceva anche il professor Introvigne - che la Chiesa è generalmente in tanti aspetti della società secolarizzata odierna, controcorrente. E quindi è una voce contro cui si polemizza volentieri da parte di molte persone, di molte testate, di molte direzioni di carattere culturale. E quindi non c’è da stupirsi che si concentrino, in un momento di difficoltà, gli attacchi.


La lobby laicista contro il Papa. La grande bufala del "New York Times" - Massimo Introvigne – 25 marzo 2010
Se c’è un giornale che viene in mente quando si parla di lobby laiciste e anticattoliche, questo è il New York Times. Il 25 marzo 2010 il quotidiano di New York ha confermato questa sua vocazione sbattendo il Papa in prima pagina con un’incredibile bufala relativa a Benedetto XVI e al cardinale segretario di Stato Tarcisio Bertone.

Secondo il quotidiano nel 1996 i cardinali Ratzinger e Bertone avrebbero insabbiato il caso, segnalato alla Congregazione per la Dottrina della Fede dalla Arcidiocesi di Milwaukee, relativo a un prete pedofilo, don Lawrence Murphy. Incredibilmente – dopo anni di precisazioni e dopo che il documento è stato pubblicato e commentato ampiamente in mezzo mondo, svelando le falsificazioni e gli errori di traduzione delle lobby laiciste – il New York Times accusa ancora l’istruzione Crimen sollicitationis del 1962 (in realtà, seconda edizione di un testo del 1922) di avere operato per impedire che il caso di don Murphy fosse portato all’attenzione delle autorità civili.

I fatti sono un po’ diversi. Intorno al 1975 don Murphy fu accusato di abusi particolarmente gravi e sgradevoli in un collegio per minorenni sordi. Il caso fu tempestivamente denunciato alle autorità civili, che non trovarono prove sufficienti per procedere contro don Murphy. La Chiesa, nella fattispecie più severa dello Stato, continuò tuttavia con persistenza a indagare su don Murphy e, giacché sospettava che fosse colpevole, a limitare in diversi modi il suo esercizio del ministero, nonostante la denuncia contro di lui fosse stata archiviata dalla magistratura inquirente.

Vent’anni dopo i fatti, nel 1995 – in un clima di forti polemiche sui casi dei “preti pedofili” – l’Arcidiocesi di Milwaukee ritenne opportuno segnalare il caso alla Congregazione per la Dottrina della Fede. La segnalazione era relativa a violazioni della disciplina della confessione, materia di competenza della Congregazione, e non aveva nulla a che fare con l’indagine civile, che si era svolta e si era conclusa vent’anni prima. Si deve anche notare che nei vent’anni precedenti al 1995 non vi era stato alcun fatto nuovo, o nuova accusa nei confronti di don Murphy. I fatti di cui si discuteva erano ancora quelli del 1975. L’arcidiocesi segnalò pure a Roma che don Murphy era moribondo. La Congregazione per la Dottrina della Fede certamente non pubblicò documenti e dichiarazioni a vent’anni dai fatti ma raccomandò che si continuassero a restringere le attività pastorali di don Murphy e che gli si chiedesse di ammettere pubblicamente le sue responsabilità. Quattro mesi dopo l’intervento romano don Murphy morì.

Questo nuovo esempio di giornalismo spazzatura conferma come funzionano i “panici morali”. Per infangare la persona del Santo Padre si rivanga un episodio di trentacinque anni fa, noto e discusso dalla stampa locale già a metà degli anni 1970, la cui gestione – per quanto di sua competenza, e un quarto di secolo dopo i fatti – da parte della Congregazione per la Dottrina della Fede fu peraltro canonicamente e moralmente impeccabile, e molto più severa di quella delle autorità statali americane. Di quante di queste “scoperte” abbiamo ancora bisogno per renderci conto che l’attacco al Papa non ha nulla a che fare con la difesa delle vittime dei casi di pedofilia – certamente gravi, inaccettabili e criminali come Benedetto XVI ha ricordato con santa severità – e mira a screditare un Pontefice e una Chiesa che danno fastidio alle lobby per la loro efficace azione in difesa della vita e della famiglia?


"Perché l'UDC in Piemonte è invotabile". Massimo Introvigne intervistato dal "Giornale" - (il Giornale, 25 marzo 2010, p. 4)
Quando Pier Ferdinando Casini lasciò il centrodestra, correva l’anno 2008, lui, che del leader Udc è amico di vecchia data, e che dell’Udc è stato un ideologo, da sociologo delle religioni con all’attivo qualcosa come 40 libri sul tema, rimase a guardare per un po’. Giusto il tempo di capire che “il punto di non ritorno” era raggiunto, e che Casini avrebbe “svenduto i valori cattolici”, sacrificandoli sull’altare del dio delle poltrone. Adesso che i vescovi hanno lanciato l’appello a non votare chi tradisce i principi non negoziabili, Massimo Introvigne traduce: “Udc invotabile”.

Casini invece ha detto: “No a strumentalizzazioni, vita e famiglia sono le questioni su cui l’Udc garantisce nelle Regioni in cui governerà”.

“Conosco bene Casini e so che deve dire obbligatoriamente queste cose. I fatti però sono molto semplici. I vescovi non sono chierichetti, sa? Conoscono bene le logiche politiche”.

Quindi?

“I vescovi sanno bene che la politica si fa anche cercando assessorati e posti nei listini. Ma ci chiedono di far prevalere i valori non negoziabili, in primis il no all’aborto e all’eutanasia”.

Non si può dire che Casini non li difenda.

“Però in Piemonte, Liguria e Marche si è alleato con chi li attacca. Sta facendo uno spogliarello”.

Uno spogliarello.

“Aveva giurato: mai con Mercedes Bresso. Per non parlare dell’altra linea del Piave: mai con Prc e Pdci”.

Forse pensa di poter arginare la deriva iperlaicista di quelle coalizioni?

“Se così fosse avrebbe dovuto fare patti chiari e specifici. Invece ha firmato impegni generici. In Piemonte la Bresso il giorno prima firmava con lui e il giorno dopo con i Radicali. La sinistra con cui si allea Casini esclude l’embrione dalla vita e include i gay nella famiglia”.

Dice il centrosinistra che le Regioni non decidono sui temi della vita.

“Falso. Le Regioni hanno competenze enormi. Possono utilizzare o meno i volontari pro-vita negli ospedali per arginare gli aborti. Possono decidere come distribuire la Ru486. Possono dare o meno fondi alle famiglie per le scuole non statali”.

Lei ora lo attacca, ma è rimasto con Casini per anni.

“Quando se ne è andato dal centrodestra, pensavo che Casini avrebbe venduto più cara la pelle. Invece ha abbassato il prezzo”.

Lei che lo conosce bene: ma chi glielo fa fare?

“C’è il trucco. Casini sta preparando il post Berlusconi e per questo gioca su tutti i tavoli: al Nord si tiene buono D’Alema, nel Lazio Fini, al Sud il Pdl”.

Una strategia vincente?

“Per ora è comica: a Macerata è alleato del Pdl in Comune e del Pd in Regione. Sceglie con interessi localistici”.

Meglio un uovo oggi che una gallina domani?

“Non ci sono solo le poltrone. Ci sono anche gli interessi personali di alcuni suoi candidati”.

Bum!

“Nulla di illecito, sia chiaro. Ma pensi a Michele Vietti”.

Il quale Vietti così en passant è suo parente, giusto?

“È mio cugino. Da rappresentante Udc in Piemonte ha un ruolo importante, come imprenditore, nella sanità privata. È sempre stato più vicino al centrodestra, ma il modello Bresso lo penalizza meno di quello che profila Cota”.

A proposito di Cota, però, dice l’Udc che votare Lega va contro i principi cattolici sull’immigrazione.

“Certe uscite della Lega infastidiscono anche me. Ma nei fatti è a Verona, mica a Rosarno, che si è compiuta l’integrazione”.

Cota è cattolico, ma come la mettiamo col dio Po?

“Sono riti civili, non religiosi. E poi guardi. Nel 2001 feci una ricerca sui neo-pagani leghisti in Lombardia. Ne abbiamo trovati ben 15. Folkloristici finchè si vuole, ma davvero un’infima minoranza. Se mai, ciò che emerge è che i leghisti sono colonne portanti dell’impegno nelle parrocchie”.
Paola Setti


L’INDICAZIONE DEL PAPA AI GIOVANI: «I MPARATE AD AMARE » - Quel senso di amore infinito che trova la sua forma nel matrimonio - DAVIDE RONDONI – Avvenire, 25 marzo 2010
«Imparare ad amare » . Per questo si vive, dice il Papa ai giovani che hanno scelto la frase come tema in preparazione della Gmg prossima. Ma come sarebbe a dire? Ad amare forse s’impara? Non è una cosa che viene ' spontanea', naturale? Almeno così sembrerebbe a prestar orecchio e sguardo alle infinite, alle trite e ritrite trasmissioni ed esibizioni mediatiche di amori e amorazzi, storie sentimentaloidi e chiacchiere o chiamatele gossip su questo e quell’altro che ammorbano ore e ore delle nuove piazze comuni. Ormai d’amore parlano e straparlano tutti, non solo più nelle canzonette, e sembra appunto che non ci sia cosa più risaputa e scontata di cosa è amare.
Cosa intende dunque, il Papa della prima sorprendente enciclica sull’amore, con imparare? Non fa giri di parole. Dice: imparare ad amare come Gesù. E a me, a tutti, forse tremano i polsi. Subito ci si sente così infinitamente sproporzionati. Amare come Gesù? La proposta, la sfida alla giovinezza, all’inizio più cosciente e intenso della vita è proprio questa.
Non meno di questa. Amare come Gesù. Come colui che ha perdonato l’adultera. E il ladrone. Come colui che ha indicato nei bambini un modello e una realtà sacra. Come colui che ha avuto la delicatezza divina di svegliare dal sonno della morte la ragazza figlia di Giairo. Che ha pianto per l’amico morto. Che ha gridato contro l’amico più caro. Che ha patito per tutti.
Amare così.
Ma come imparare? Dove? Il Papa non lancia una proposta così forte, avvincente e alta senza indicare il cammino possibile. Le forme in cui si impara questo amare come Gesù sono il celibato di chi si dedica a tutti e a Dio. E il matrimonio. Il Papa dice ai giovani: sposatevi. Dice quel che non dice quasi più nessuno. Dice quel che sembra assurdo ormai, almeno per i signori che manovrano il consenso e l’immaginario collettivo. Per il potere.
Dice a ragazzi e ragazze: sposatevi.
Perché nel matrimonio imparerete ad amare come Gesù. Con la stessa dedizione totale. Con la medesima fedeltà. Con il medesimo compimento di sé in un dono di sé. Attenzione, non dice: il matrimonio è il paradiso. Non dice: non avrete problemi, sarà una bella passeggiata. Dice: è il modo per imparare ad amare come Gesù.
Mistero dei misteri, verrebbe da dire. A noi così deboli, così infedeli, così incostanti viene detto che nel matrimonio si impara ad amare come Gesù. Il Papa è realista, sa bene che viviamo in un contesto in cui tutto spinge a pensare il matrimonio come un mero ' contratto' a tempo. Una cosa in cui Dio e l’infinito non c’entrano. Una cosa che ha a che fare con una specie di principio organizzativo delle relazioni e basta.
Ma l’amore, lo sa bene chi ama, ha dentro di sé ' la promessa dell’eternità' come diceva il poeta Rilke. Ha la ferita del senso dell’infinito. Chi ama davvero sa che l’infinito dell’amore cerca una forma dell’amore. E che il matrimonio è questa forma. È questa cosa dove la forza di Dio può molto di più che lo sforzo umano.
Il Papa lo sa e non ha timore a indicarlo. Alzando la posta, l’avventurosità e il realismo, rispetto a tutti quanti blaterano d’amore e lo staccano dall’infinito, lo recidono dal suo desiderio d’eterno. È controcorrente? No. Tutto questo è secondo le correnti profonde del cuore e della ragione. Quelle meno visibili forse, oggi in questa epoca sentimentalista e irragionevole. Dove d’amore si parla a ogni angolo, quasi invocandolo. Pensando di sapere come fare. Come se non lo si dovesse sempre, ogni giorno, imparare.