venerdì 5 marzo 2010

Nella rassegna stampa di oggi:
1) LA FECONDAZIONE ASSISTITA AUMENTA IL RISCHIO DI MORTE DEI FETI - Rivelazioni di una ricerca effettuata in Danimarca - di Carmen Elena Villa
2) Umanesimo simbolico di san Tommaso d'Aquino - L'ottimismo dell'imperfezione - Il 5 marzo il presidente del Pontificio Consiglio della Cultura riceve ad Aquino il premio internazionale "Tommaso d'Aquino Veritas et amor" organizzato dal Circolo San Tommaso. Anticipiamo il testo del discorso dell'arcivescovo. - di Gianfranco Ravasi - L'Osservatore Romano - 5 marzo 2010
3) SCENARIO/ Mario Mauro (Ppe): la scossa di Napolitano - Mario Mauro - venerdì 5 marzo 2010

LA FECONDAZIONE ASSISTITA AUMENTA IL RISCHIO DI MORTE DEI FETI - Rivelazioni di una ricerca effettuata in Danimarca - di Carmen Elena Villa
COPENHAGEN, giovedì, 4 marzo 2010 (ZENIT.org).- Uno studio effettuato nell'Ospedale dell'Università di Aarhus (Danimarca) ha rivelato che i feti frutto di tecniche di riproduzione assistita hanno un rischio quattro volte superiore di nascere morti rispetto a quelli concepiti in modo naturale.
I risultati dello studio sono stati pubblicati di recente sulla rivista della Società Europea di Riproduzione ed Embriologia Humana Human Reproduction.
La ricerca ha analizzato più di 20.000 gravidanze, constatando che su ogni mille donne che concepiscono in modo assistito, con metodi come la fecondazione in vitro (FIV) e l'iniezione intracitoplasmatica di spermatozoi (ICSI), 16,2 danno alla luce un bambino morto, mentre nello stesso numero di donne che non utilizzano questi metodi il rischio scende a 3,7.
Nonostante questi risultati, la direttrice della ricerca, Kirsten Wisborg, ha affermato che chi si sottopone a queste cure “non deve preoccuparsi”, perché “ciò non indica necessariamente che l'aumento del rischio di morte fetale sia spiegato dall'infertilità, potendo essere provocato da altri fattori come la tecnologia con cui si applicano la FIV o la ICSI o alcune differenze fisiologiche nelle coppie che si sottopongono a tali trattamenti”.
ZENIT ha consultato il ginecologo spagnolo Esteban Rodríguez Martín, membro della piattaforma Ginecologi per il Diritto di Vivere (DAV), per il quale la fecondazione assistita “presuppone un alto costo di vite umane”.
“Questo innovativo lavoro di ricerca dimostra che l'inefficienza (dei metodi di riproduzione assistita) non solo aumenta la morte degli embrioni nei tubi di prova e nei congelatori, ma anche quella dei bambini a termine”, ha dichiarato.
Rodríguez ha anche segnalato l'importanza del fatto che “le coppie siano informate dei rischi che rappresentano per i loro figli le tecniche di trasferimento e produzione artificiale di embrioni”.
I dati
La ricerca ha analizzato 20.166 donne in gravidanza, l'82% delle quali aveva concepito in modo naturale e il 10% un anno dopo il primo tentativo. Tra le altre, il 4% aveva concepito con un trattamento di FIV e ICSI e il 4% con altre forme di cura.
In questo campione, tutte le donne erano incinte per la prima volta e aspettavano un unico figlio. E' stato predisposto un registro di storia ostetrica di ogni donna, analizzando fattori come il tempo necessario per rimanere incinta, le cure utilizzate e l'età.
Si è tenuto conto anche di abitudini come il tabagismo, il consumo di alcool e caffè durante la gravidanza, lo stato civile, il livello di educazione e lo stato psicologico.
Lo studio ha concluso che le donne che hanno dimostrato meno rischi di avere un bambino morto alla nascita erano quelle che avevano concepito in modo naturale, senza alcun tipo di cura. Tra quelle che hanno concepito in modo spontaneo in un lasso di tempo di 12 mesi, il rischio è stato di 3,7 ogni mille, e tra quelle che hanno impiegato più di un anno per concepire di 5,4 per 1.000.
Per Esteban Rodríguez, la fecondazione assistita sta “portando alla mercantilizzazione della vita umana”.
“L'industria della produzione embrionale, facendo leva su un sentimentalismo superficiale e sulla sofferenza per non poter avere figli di migliaia di coppie in tutto il mondo sviluppato, ostinato a ritardare e a pianificare artificialmente la maternità, rende gli embrioni delle cose riservando loro un trattamento indegno dell'essere umano”, ha denunciato.
“Congelamenti, sperimentazioni, selezioni eugenetiche, anche trasferimenti a coppie di donne unite da vincoli affettivo-sessuali sono alcuni esempi di questa mercantilizzazione e 'cosificazione' di questo affare lucrativo che è diventato la cura dell'infertilità”, ha concluso il ginecologo.
[Traduzione dallo spagnolo di Roberta Sciamplicotti]


Umanesimo simbolico di san Tommaso d'Aquino - L'ottimismo dell'imperfezione - Il 5 marzo il presidente del Pontificio Consiglio della Cultura riceve ad Aquino il premio internazionale "Tommaso d'Aquino Veritas et amor" organizzato dal Circolo San Tommaso. Anticipiamo il testo del discorso dell'arcivescovo. - di Gianfranco Ravasi - L'Osservatore Romano - 5 marzo 2010
Nel prologo della Prima secundae del suo capolavoro teologico, san Tommaso d'Aquino propone questa dichiarazione programmatica: "Ci interesseremo dell'uomo in quanto egli è il principio del suo operare, essendo dotato di libero arbitrio e quindi della sovranità delle proprie azioni". Al centro della sua investigazione, espressa in quella sorta di oceano testuale che sono gli scritti del Dottore Angelico, brilla senz'altro la figura di Dio perché quella di Tommaso è pur sempre una teologia e non una pura e semplice speculazione filosofica sistematica; ma la luce che emana da quel centro irradia la prima delle sue creature per eccellenza e dignità, cioè l'uomo.
L'umanesimo di Tommaso è, perciò, squisitamente teologico e cristiano, eppure si articola tenendo conto anche del contributo della natura umana, della razionalità, una delle ali per il volo nell'orizzonte dell'essere. Un intreccio, quindi, sapiente tra fede e ragione. Egli è, certo, cosciente della fragilità della nostra conoscenza perché noi "imperfettamente conosciamo e imperfettamente amiamo" (Summa theologiae, i-ii, 68, 2).
Nel proemio all'Expositio in Symbolum - con una metafora divenuta celebre - egli riconosce che "la nostra conoscenza è talmente debole che nessun filosofo ha mai potuto investigare in modo esaustivo la natura di una singola mosca". È la consapevolezza della nostra creaturalità che impedisce l'hybris di un umanesimo immanentista e autosufficiente: "Come gli occhi della nottola sono abbagliati dalla luce del sole che non riescono a vedere, ma vedono bene le cose poco illuminate, così si comporta l'intelletto umano di fronte ai primi principi che sono tra tutte le cose, per natura, le più manifeste" (In metaphysicam, ii, 1, 10).
Questo senso del limite esorcizza, dunque, nel pensiero di Tommaso la deriva in un umanesimo razionalistico e autoreferenziale (sia pure "teologico" alla maniera hegeliana), ma esclude anche la caduta nel gorgo oscuro di un umanesimo esistenzialistico pessimistico alla Sartre o in un umanesimo soggettivistico, rinchiuso nel baluardo di un "io" solipsistico, incapace di uscire nel dialogo varcando la porta della sua torre d'avorio.
C'è, invece, in Tommaso d'Aquino un ottimismo di fondo davanti all'essere, alla creazione e alle capacità conoscitive dell'uomo, per usare un'idea di un suo grande ammiratore, lo scrittore inglese Gilbert Keith Chesterton nel suo saggio St. Thomas Aquinas (1933). Infatti, alla creatura umana è riconosciuta la possibilità di raggiungere la verità sia pure non nella sua pienezza esaustiva.
Con la ragione essa può approdare almeno alla spiaggia di mondi tematici immensi come l'esistenza di Dio, la creazione dell'universo, la spiritualità dell'anima. Inoltre, c'è nell'uomo una potenza etica positiva, anche se non assoluta; la creazione è dotata di ordine e bellezza così da poter condividere l'asserto del libro biblico della Sapienza secondo il quale "dalla grandezza e bellezza delle creature per analogia si contempla il loro autore" (13, 5), asserto ripreso da san Paolo, convinto che le divine "perfezioni invisibili, ossia la sua eterna potenza e divinità, vengono contemplate e comprese dalla creazione del mondo attraverso le opere da lui compiute" (Romani, 1, 20).
Per questo, lo stesso Chesterton suggeriva di assegnare al Dottore Angelico il titolo di san Tommaso del Creatore, così come si avrà san Giovanni della Croce e così come ci sarà santa Elisabetta della Trinità e ci sono le "Suore dello Spirito Santo".
In questa luce è da marcare anche la famosa tesi tomista dell'intima e sostanziale unione tra anima e corpo, esaltata sulla scia di Aristotele, ma con un'impronta profondamente cristiana e biblica, consapevoli come siamo dell'unità psicofisica celebrata nelle Sacre Scritture contro ogni antitesi di matrice dualistica.
Il corpo cessa, allora, di essere prigione o tomba dell'anima, ma è la materia necessaria di cui l'anima è forma in un nesso inscindibile, è la potenza di cui l'anima è atto, è la carne che è vivificata dallo spirito. Le alte espressioni della persona come l'amore, l'arte, la stessa preghiera si svolgono attraverso la corporeità che è, così, epifania dell'intera grandezza della creatura umana.
Si ha in tal modo un umanesimo veramente personalistico che, prescindendo dalle appartenenze alle diverse etnie, culture o società, assegna alla persona in quanto tale una radicale dignità e nobiltà: "La persona è quanto di più perfetto esista in tutta la natura" (Summa theologiae, i, 28, 3). A differenza di Averroè e di altri commentatori di Aristotele che concepivano l'intelletto come una sostanza separata, destinata a trasmettere le idee alle singole anime, Tommaso afferma che l'intelletto, essendo strutturale alla natura umana, è una facoltà personale che ogni uomo e donna posseggono ed esercitano in proprio.
In sintesi possiamo dire che nel pensiero dell'Aquinate si ha una piena conferma dell'interrogativo biblico colmo di ammirazione per la grandezza di questa che rimane pur sempre una creatura limitata ma dotata di gloria: "Che cos'è mai l'uomo perché di lui ti ricordi, il figlio dell'uomo, perché te ne curi? Davvero l'hai fatto poco meno di un dio, di gloria e di onore lo hai coronato!" (salmo 8, 5-6).
Certo, ripetiamo che questo umanesimo è monco e incompleto se non riconosce l'ordine della grazia. Nel De veritate il Dottore Angelico afferma: "Tu non possiedi la Verità, ma è la Verità che possiede te". La Verità ci precede e ci eccede, ci è svelata e rivelata e in essa noi ci inoltriamo, di luce in luce, attraverso la nostra ragione. Come scriveva Adorno nei Minima moralia, "la verità è come la felicità: non la si "ha", ci si "è"", o come aveva già dichiarato Robert Musil nell'Uomo senza qualità, "la verità non è una gemma da mettere in tasca, è un mare infinito in cui ci si immerge".
La trascendenza è necessaria non solo per la verità, ma anche e soprattutto per la redenzione e la salvezza ed è, quindi, fondamentale per una corretta concezione umana. La grazia non cancella la libertà, ma la porta a pienezza, la soprannatura non elide la natura ma la trasfigura, la Verità divina non si oppone alla verità umana ma la unisce a sé, conducendola a pienezza, l'immagine divina nell'uomo e nella donna (Genesi, 1, 27) non elimina l'identità creaturale coi suoi limiti e il suo peccato, ma ne rivela la grandezza.
Quello di Tommaso è, perciò, un vero umanesimo "simbolico" e integrale che permette di concludere che "il modo di esistere che comporta la persona umana è il più degno di tutti" (De potentia, 9, 4).
Vorremmo porre qui, a suggello di questa minima antropologia tomistica da noi ritagliata all'interno di un immenso orizzonte ideale, la voce stessa dell'Aquinate al quale, tra l'altro, mi unisce un particolare legame personale, avendo per anni custodito, come prefetto della Biblioteca Ambrosiana di Milano, un importante anche se parziale autografo della Summa contra gentiles (ii, 42-44, segnatura S.P. 38), proveniente dal convento dei domenicani di Bergamo e donato al cardinale Federico Borromeo dal provinciale di Lombardia dei frati predicatori, Paolo da Garessio.
Lo facciamo attraverso alcuni brevi frammenti testuali che possono diventare un appello rivolto alla nostra ricerca: "Tra gli impegni a cui si possa dedicare un uomo nessuno è più perfetto, più sublime, più fruttuoso e più dolce della ricerca della Sapienza... Il sapiente onora l'intelletto perché, tra le realtà umane, è quella a cui Dio riserva l'amore più intenso". Dobbiamo, tuttavia, invocare Dio perché "penetri le tenebre del nostro intelletto con un raggio della sua luce, allontanando da noi le doppie tenebre in mezzo alle quali siamo nati, quelle del peccato e dell'ignoranza". E di ogni nostro pensare e agire Dio "ispiri l'inizio, guidi il progresso e coroni la fine".
(©L'Osservatore Romano - 5 marzo 2010)


SCENARIO/ Mario Mauro (Ppe): la scossa di Napolitano - Mario Mauro - venerdì 5 marzo 2010
Con grande soddisfazione ho rappresentato il Partito Popolare europeo nella riunione della Conferenza dei presidenti dell'Europarlamento, ieri a Bruxelles, in cui è intervenuto il capo dello Stato. Giorgio Napolitano, è stato il primo Capo di Stato a visitare il Parlamento europeo dopo l'entrata in vigore del Trattato di Lisbona.

La visita del Presidente ha un significato simbolico e politico di rilievo, soprattutto per lo slancio europeista che ha saputo dare a noi italiani con il suo discorso, nel quale ha volutamente valorizzato il contributo all’Europa del popolo italiano: «Non vedo crescere posizioni di sfida al processo di integrazione europea, o tendenti a ritrarre l'Italia da questo processo, piuttosto vi sono tendenze a dare più forza alla nostra presenza nelle istituzioni europee e dare un contributo per un'ulteriore integrazione con proposte più efficaci per rafforzare il ruolo dell'Ue nel mondo».

Il Presidente Buzek lo ha definito giustamente «una personalità molto importante per l'Europa e per questo Parlamento». La visita alle istituzioni Ue del presidente Napolitano è un segnale forte ed incisivo di quell'europeismo autentico e concreto, che trova nell'Italia, paese fondatore, la sua naturale espressione. In un momento in cui la crisi economica coincide con un'Europa che fatica a ritrovare lo slancio dei padri fondatori.

Napolitano ha anche ricordato il suo passato da eurodeputato: «Conservo una forte impronta di quella mia attività. Conosco l'importanza fondamentale del Parlamento europeo. Le cose sono radicalmente cambiate da quando il Parlamento europeo prima è stato eletto a suffragio universale e, poi, progressivamente ha visto crescere i suoi poteri fino ad ottenere il riconoscimento che è sancito nel Trattato di Lisbona».
«Una delle conquiste più importanti del Trattato di Lisbona si riferisce proprio all'attribuzione di maggiori poteri al Parlamento europeo, soprattutto nel campo delle deliberazioni di carattere legislativo attraverso procedure di co-decisione che sono state praticamente generalizzate. Il Parlamento europeo deve ora esercitare pienamente questi nuovi compiti».

La presenza del Capo dello Stato alla Conferenza dei presidenti del Parlamento europeo costituisce uno stimolo istituzionale che di fatto innova, attraverso relazioni informali, la piena attuazione del Trattato di Lisbona come già auspicato in questi giorni dal Presidente del Consiglio europeo Hermann Van Rompuy.

C'è una terra di nessuno che deve essere esplorata nell'interesse dei popoli europei se vogliamo che le potenzialità del Trattato di Lisbona dispieghino opportunità e rendano l'Europa capace di parlare con una voce sola, di agire come un sol uomo.

Oggi l'Europa fatica a ritrovare se stessa e questa crisi di identità intacca in modo non trascurabile anche il tradizionale europeismo degli italiani che è in costante e preoccupante calo. L'Unione ha bisogno di una scossa e del coraggio dell'ambizione che il presidente della Repubblica ha in modo saggio saputo dare attraverso le parole pronunciate ieri al Parlamento Europeo.