Nella rassegna stampa di oggi:
1) 28/03/2010 – VATICANO - Papa: Domenica delle Palme, Gesù è il re che porta la pace del cielo sulla terra - Benedetto XVI invita i giovani della Giornata mondiale della Gioventù a seguire Gesù scoprendo “le altezze” della propria umanità, accogliendo il dono della comunione con Lui e con la Chiesa, senza “saccenteria”, portando la Sua pace nel mondo. Un invito al pellegrinaggio in Terrasanta. All'Angelus il mandato ai giovani e una preghiera per Gerusalemme e le continue tensioni israelo-palestinesi.
2) L’umanità sfinita - Pigi Colognesi - lunedì 29 marzo 2010 – ilsussidiario.net
3) LA CORTE COSTITUZIONALE CONDANNA LA DISCRIMINAZIONE DEGLI EMBRIONI - di monsignor Elio Sgreccia e Marina Casini
4) Preti pedofili e attacco al Papa - La Madonna lo aveva previsto? - Da La Salette a Fatima, la crisi che la Chiesa deve affrontare in questi giorni era stata già prevista dalla Madonna? - di Massimo Introvigne
5) Legionari. La "nomenklatura" che deve sparire - Nome per nome, tutti gli alti dirigenti della congregazione. Il loro legame strettissimo col fondatore e con il suo scandalo. L'impossibilità di ogni vero rinnovamento, finché essi resteranno al potere - di Sandro Magister
6) L'ora delle tenebre - Autore: Amato, Gianfranco Curatore: Mangiarotti, Don Gabriele - Fonte: CulturaCattolica.it - domenica 28 marzo 2010 - Gli attacchi al Papa da un pulpito poco (nient'affatto)
7) Essere guardati da Cristo - Autore: Oliosi, don Gino Curatore: Mangiarotti, Don Gabriele - Fonte: CulturaCattolica.it - sabato 27 marzo 2010
8) Fare la volontà di Dio - Autore: Oliosi, don Gino Curatore: Mangiarotti, Don Gabriele - Fonte: CulturaCattolica.it - sabato 27 marzo 2010 - E’ possibile fare della mia vita qualcosa di bello e di grande?
28/03/2010 – VATICANO - Papa: Domenica delle Palme, Gesù è il re che porta la pace del cielo sulla terra - Benedetto XVI invita i giovani della Giornata mondiale della Gioventù a seguire Gesù scoprendo “le altezze” della propria umanità, accogliendo il dono della comunione con Lui e con la Chiesa, senza “saccenteria”, portando la Sua pace nel mondo. Un invito al pellegrinaggio in Terrasanta. All'Angelus il mandato ai giovani e una preghiera per Gerusalemme e le continue tensioni israelo-palestinesi.
Città del Vaticano (AsiaNews) – "Benedetto colui che viene, il re, nel nome del Signore": questa acclamazione dei fedeli mentre Gesù entra a Gerusalemme, ricordata nella domenica delle Palme, “è espressione di una profonda pena e, insieme, è preghiera di speranza: Colui che viene nel nome del Signore porti sulla terra ciò che è nei cieli. La sua regalità diventi la regalità di Dio, presenza del cielo sulla terra”.
Con questo invito a seguire Gesù, domandando a Lui che “porti a noi il cielo: la gloria di Dio e la pace degli uomini”, perché “in terra non c’è pace”, si è conclusa la magistrale omelia di Benedetto XVI alla messa per la domenica delle Palme e della Passione del Signore, celebrata stamane in piazza san Pietro. Insieme a decine di migliaia di giovani della diocesi di Roma per partecipare alla 25ma Giornata mondiale della gioventù.
Il discorso del papa ha preso spunto soprattutto dal vangelo della benedizione delle Palme, che nella liturgia precede la messa (il vangelo della messa è invece il racconto della Passione).
Il pontefice ha voluto anzitutto commentare il fatto che "Gesù camminava davanti a tutti salendo verso Gerusalemme" (Lc 19,28). “Essere cristiani – ha detto il papa - è un cammino, o meglio: un pellegrinaggio, un andare insieme con Gesù Cristo. Un andare in quella direzione che Egli ci ha indicato e ci indica”.
Tale cammino “è un’ascesa”, non solo geografica (Gesù camminava da Gerico a Gerusalemme, con un’ascesa di quasi 1000 metri), ma “un’ascesa alla vera altezza dell’essere uomini. L’uomo può scegliere una via comoda e scansare ogni fatica. Può anche scendere verso il basso, il volgare. Può sprofondare nella palude della menzogna e della disonestà. Gesù cammina avanti a noi, e va verso l’alto. Egli ci conduce verso ciò che è grande, puro, ci conduce verso l’aria salubre delle altezze: verso la vita secondo verità; verso il coraggio che non si lascia intimidire dal chiacchiericcio delle opinioni dominanti; verso la pazienza che sopporta e sostiene l’altro. Egli conduce verso la disponibilità per i sofferenti, per gli abbandonati; verso la fedeltà che sta dalla parte dell’altro anche quando la situazione si rende difficile. Conduce verso la disponibilità a recare aiuto; verso la bontà che non si lascia disarmare neppure dall’ingratitudine. Egli ci conduce verso l’amore – ci conduce verso Dio”.
Benedetto XVI spiega poi il simbolo di Gerusalemme: “la città in cui si trovava il Tempio di Dio, la cui unicità doveva alludere all’unicità di Dio stesso. Questo luogo annuncia quindi anzitutto due cose: da un lato dice che Dio è uno solo in tutto il mondo, supera immensamente tutti i nostri luoghi e tempi; è quel Dio a cui appartiene l’intera creazione”.
Il secondo aspetto è il fatto che Gesù va verso il sacrificio della Pasqua in cui “Egli stesso [è] l’Agnello”: “Gesù sa che la sua via andrà oltre: non avrà nella croce la sua fine. Sa che la sua via strapperà il velo tra questo mondo e il mondo di Dio; che Egli salirà fino al trono di Dio e riconcilierà Dio e l’uomo nel suo corpo…. La sua via conduce al di là della cima del monte del Tempio fino all’altezza di Dio stesso: è questa la grande ascesa alla quale Egli invita tutti noi. Egli rimane sempre presso di noi sulla terra ed è sempre già giunto presso Dio, Egli ci guida sulla terra e oltre la terra”.
Il camminare con Gesù significa anche “un camminare nel «noi» di coloro che vogliono seguire Lui. Ci introduce in questa comunità. Poiché il cammino fino alla vita vera, fino ad un essere uomini conformi al modello del Figlio di Dio Gesù Cristo supera le nostre proprie forze, questo camminare è sempre anche un essere portati. Ci troviamo, per così dire, in una cordata con Gesù Cristo – insieme con Lui nella salita verso le altezze di Dio. Egli ci tira e ci sostiene. Fa parte della sequela di Cristo che ci lasciamo integrare in tale cordata; che accettiamo di non potercela fare da soli. Fa parte di essa questo atto di umiltà, l’entrare nel «noi» della Chiesa; l’aggrapparsi alla cordata, la responsabilità della comunione – il non strappare la corda con la caparbietà e la saccenteria. L’umile credere con la Chiesa, come essere saldati nella cordata dell’ascesa verso Dio, è una condizione essenziale della sequela. Di questo essere nell’insieme della cordata fa parte anche il non comportarsi da padroni della Parola di Dio, il non correre dietro un’idea sbagliata di emancipazione. L’umiltà dell’«essere-con» è essenziale per l’ascesa. Fa anche parte di essa che nei Sacramenti ci lasciamo sempre di nuovo prendere per mano dal Signore; che da Lui ci lasciamo purificare e corroborare; che accettiamo la disciplina dell’ascesa, anche se siamo stanchi”.
“Dell’ascesa verso l’altezza di Gesù Cristo – aggiunge il papa - dell’ascesa fino all’altezza di Dio stesso fa parte la Croce. Come nelle vicende di questo mondo non si possono raggiungere grandi risultati senza rinuncia e duro esercizio… così la via verso la vita stessa, verso la realizzazione della propria umanità è legata alla comunione con Colui che è salito all’altezza di Dio attraverso la Croce. In ultima analisi, la Croce è espressione di ciò che l’amore significa: solo chi perde se stesso, si trova”.
Quasi a tirare le conclusioni su “pellegrinaggio” e “sequela”, Benedetto XVI precisa: “Il nostro pellegrinaggio alla sequela di Cristo non va verso una città terrena, ma verso la nuova Città di Dio che cresce in mezzo a questo mondo”.
A conferma, il pontefice ricorda il suo pellegrinaggio in Terrasanta lo scorso anno e anzi, sembra quasi invitare ognuno a compierlo: “Il pellegrinaggio verso la Gerusalemme terrestre… può essere proprio anche per noi cristiani un elemento utile per tale viaggio più grande. Io stesso ho collegato al mio pellegrinaggio in Terra Santa dello scorso anno tre significati. Anzitutto avevo pensato che a noi può capitare in tale occasione ciò che san Giovanni dice all’inizio della sua Prima Lettera: quello che abbiamo udito, lo possiamo, in certo qual modo, vedere e toccare con le nostre mani (cfr 1Gv 1,1). La fede in Gesù Cristo non è un’invenzione leggendaria. Essa si fonda su di una storia veramente accaduta. Questa storia noi la possiamo, per così dire, contemplare e toccare. È commovente trovarsi a Nazaret nel luogo dove l’Angelo apparve a Maria e le trasmise il compito di diventare la Madre del Redentore. È commovente essere a Betlemme nel luogo dove il Verbo, fattosi carne, è venuto ad abitare fra noi; mettere il piede sul terreno santo in cui Dio ha voluto farsi uomo e bambino. È commovente salire la scala verso il Calvario fino al luogo in cui Gesù è morto per noi sulla Croce. E stare infine davanti al sepolcro vuoto; pregare là dove la sua santa salma riposò e dove il terzo giorno avvenne la risurrezione. Seguire le vie esteriori di Gesù deve aiutarci a camminare più gioiosamente e con una nuova certezza sulla via interiore che Egli ci ha indicato e che è Lui stesso”.
E aggiunge: “Quando andiamo in Terra Santa come pellegrini, vi andiamo però anche – e questo è il secondo aspetto – come messaggeri della pace, con la preghiera per la pace; con l’invito a tutti di fare in quel luogo, che porta nel nome la parola ‘pace’, tutto il possibile affinché esso diventi veramente un luogo di pace. Così questo pellegrinaggio è al tempo stesso – come terzo aspetto – un incoraggiamento per i cristiani a rimanere nel Paese delle loro origini e ad impegnarsi intensamente in esso per la pace”.
Da qui l’invito a pregare “nello spirito della domanda del Padre Nostro: ‘Sia fatta la tua volontà come in cielo così in terra!’. Sappiamo che il cielo è cielo, luogo della gloria e della pace, perché lì regna totalmente la volontà di Dio. E sappiamo che la terra non è cielo fin quando in essa non si realizza la volontà di Dio. Salutiamo quindi Gesù che viene dal cielo e lo preghiamo di aiutarci a conoscere e a fare la volontà di Dio. Che la regalità di Dio entri nel mondo e così esso sia colmato con lo splendore della pace. Amen”.
All'Angelus, inserito alla fine della messa, Benedetto XVI ha ricordato i 25 anni della Giornata mondiale della gioventù, voluta da Giovanni Paolo II nel 1985.
"Oggi - ha aggiunto il papa - io rinnovo questo appello alla nuova generazione, a dare testimonianza con la forza mite e luminosa della verità, perché agli uomini e alle donne del terzo millennio non manchi il modello più autentico: Gesù Cristo. Consegno questo mandato in particolare ai 300 delegati del
Forum Internazionale dei Giovani, venuti da ogni parte del mondo, convocati dal Pontificio Consiglio per i Laici".
Al momento dei saluti egli ha sottolineato ancora la sua preoccupazione per Gerusalemme: " In questo momento, il nostro pensiero e il nostro cuore si dirigono in modo particolare a Gerusalemme, dove il mistero pasquale si è compiuto. Sono profondamente addolorato per i recenti contrasti e per le tensioni verificatisi ancora una volta in quella Città, che è patria spirituale di Cristiani, Ebrei e Musulmani, profezia e promessa di quell’universale riconciliazione
che Dio desidera per tutta la famiglia umana. La pace è un dono che Dio affida alla responsabilità umana, affinché lo coltivi attraverso il dialogo e il rispetto dei diritti di tutti, la riconciliazione e il perdono. Preghiamo, quindi, perché i responsabili delle sorti di Gerusalemme intraprendano con coraggio la via della pace e la seguano con perseveranza!".
L’umanità sfinita - Pigi Colognesi - lunedì 29 marzo 2010 – ilsussidiario.net
Inizia la settimana santa. La liturgia la introduce con frasi realistiche e senza mezze misure. Parla di «umanità sfinita per la sua debolezza mortale». Il punto di partenza dell’itinerario che condurrà alla Pasqua è, dunque, la consapevolezza di far parte di una umanità sfinita; anzi, di essere una umanità sfinita per la propria debolezza.
Qui bisogna intendersi bene. La sfinitezza di cui si tratta non descrive un problematico stato d’animo o un disagiato sentimento interiore. La facile scappatoia verso motivazioni e conseguenti giustificazioni psicologiche confonde e non permette di cogliere il nocciolo della questione. Proprio stamattina, nel tragitto dalla fermata dell’autobus al mio ufficio, ho colto un interessante stralcio di conversazione. Una signora diceva alla sua amica: «Eh sì, siamo tutti depressi». La confusione è incombente e la scappatoia già imboccata. Siamo depressi perché cose e persone attorno premono e ci schiacciano, perché la vita non va come dovrebbe, perché non siamo all’altezza delle nostre aspirazioni, perché il tempo passa e non sembra mai arrivare la primavera di un’autentica rinascita; per giunta, la stessa primavera della natura è in ritardo. La soluzione? Far finta di niente fin che si può e tirare avanti. E se poi non ce la si fa proprio, un qualche supporto psicologico o farmaceutico può dare una mano.
La sfinitezza di cui parla la liturgia è radicalmente altra cosa. È constatazione che sui tentativi messi in atto per migliorare noi stessi e le circostanze intorno pesa l’ombra dell’impotenza. Che per la propria debolezza non si riesce a togliere la ragnatela che rende i rapporti sempre un po’ incerti e fastidiosi. Che finito il lavoro, anche se è andato tutto bene, ti resta un margine opaco di insoddisfazione, come se in fondo non avessi avuto una ragione adeguata per dedicartici. Che, insomma, la debolezza è proprio «mortale», conduce alla morte.
È la sfinitezza che chiude il Brand di Ibsen. Con ferrea volontà Brand, un pastore protestante, ha modellato la propria umanità su obiettivi radicali e totalizzanti. Ma è sempre più solo e freddo. Si trova alla fine in mezzo alla vastità ghiacciata dei monti e, mentre una valanga sta per travolgerlo, grida: «Rispondimi, o Dio, mentre la morte m’inghiotte: non è dunque sufficiente tutta la volontà di un uomo per compiere un solo atto perfetto?». No, non è sufficiente, risponde la liturgia del lunedì santo. Non è sufficiente perché l’umanità è «sfinita per la sua debolezza mortale» che nessun irrigidimento morale può superare.
Nel dramma di Ibsen la risposta all’angosciato Brand è una voce che dall’esterno viene a consolare e pacificare. Non è questa la risposta cattolica. Infatti l’orazione della liturgia chiede che la nostra umanità sfinita «riprenda vita per la passione del tuo unico Figlio». Il radicale pessimismo cristiano non si stempera in una soluzione estrinseca. È proprio la mia umanità che continuamente riprende vita. Perché la settimana santa finisce con la Pasqua.
LA CORTE COSTITUZIONALE CONDANNA LA DISCRIMINAZIONE DEGLI EMBRIONI - di monsignor Elio Sgreccia e Marina Casini
ROMA, domenica, 28 marzo 2010 (ZENIT.org).- Che la legge 40/2004, che regola la procreazione artificiale sia sotto il fuoco incrociato delle contestazioni e dei ricorsi alla Corte costituzionale è noto a tutti; molti hanno predetto la sua distruzione, nonostante si tratti di una legge consacrata da un referendum, prevedendo un progressivo svuotamento nelle parti significative.
Parti significative sono rappresentate dal riconoscimento dei diritti dell'embrione in collegamento ed equivalenza di diritti delle persone coinvolte, il divieto di soppressione degli embrioni e del loro congelamento, il divieto della fecondazione eterologa, il divieto della selezione eugenetica degli embrioni (di cui, evidentemente la discriminazione degli embrioni presuntivamente malformati mediante diagnosi preimpiantatoria è la più grave espressione), la proibizione dell'accesso alla fecondazione artificiale delle persone non sterili, oltre ad altri fatti più gravi come la clonazione, la fecondazione della donna sola o post mortem del marito.
E' stato per questo insieme di valori - di cui il primo è costituito dal diritto alla vita dell'embrione che anche i cattolici - (i quali per ragioni altrettanto significative e in particolare per la inscindibile connessione tra la dimensione unitiva e quella procreativa dell'atto coniugale, sono contrari ad ogni procreazione artificiale) hanno dato l'appoggio a questa legge per limitare il danno che è insito nelle tecnologie procreative e che era - prima della legge 40/2004 - vistosamente presente nella società a causa del c.d. "far west procreatico".
Il 12 marzo, con la sentenza n. 97, nel giudizio promosso da due ordinanze del Tribunale di Milano (6 e 10 marzo 2010) la Corte Costituzionale è tornata a pronunciarsi sulla legge intitolata "Norme in materia di procreazione medicalmente assistita".
La prima volta è stato nel 2006 (ordinanza n. 369), quando la Corte dichiarò inammissibile il ricorso per motivi procedurali, ma lasciando chiaramente intendere di voler confermare la legge.
La seconda volta è stato nella primavera dello scorso anno, quando la Corte con la sentenza n. 151 del 2009 aveva tolto il vincolo del numero massimo di embrioni da porre in vita e trasferire nelle vie genitali della donna - numero fissato a non più di tre dalla legge - ed aveva così ampliato la possibilità di congelamento. Si è trattato di una decisione assai criticata da parte di quanti vedevano, giustamente, nella legge 40 la c.d. "linea del Piave", ovvero la soglia al di sotto della quale non si doveva scendere. Le demolizioni dei punti significativi della legge 40 ad opera di quella sentenza avevano fatto temere che ciò fosse l'inizio di una deriva eugenetica mediante l'abbattimento del divieto di selezione eugenetica degli embrioni strettamente connesso alla diagnosi genetica pre-impianto. In effetti molti fautori di queste demolizioni avevano già fatto conoscere la loro speranza ulteriormente abolizionista su molti giornali e due Tribunali (Bologna nel giugno 2009 e Salerno nel gennaio 2010) in s seguito alla sentenza 151/2009 della Corte Costituzionale avevano autorizzato la diagnosi genetica sugli embrioni umani.
Tuttavia - ecco il punto - con l'ordinanza n. 97/2010 del 12 marzo 2010, la Consulta interviene per la terza volta e, dichiarando la manifesta inammissibilità delle questioni sollevate, lascia intendere la costituzionalità del divieto di selezione eugenetica degli embrioni umani e della conseguente pratica della diagnosi genetica pre-impianto. Viene quindi confermato il principio di uguaglianza-non discriminazione tra esseri umani e, nonostante le precedenti demolizioni della legge, ciò consente di ritenere che la Corte voglia mantenere tutto il valore riconosciuto all'embrione in senso personalistico con l'art. 1 della legge stessa.
Sebbene le motivazioni della sentenza siano asciutte e basate su aspetti di carattere tecnico-procedurale, si può comunque ritenere che nel testo non ci sono spazi per manovre che consentono l'abolizione o l'indebolimento di questo principio della non discriminazione che è conseguente al principio di uguaglianza riconosciuto agli esseri umani e cioè alle persone.
Su questa linea c'è aperta una speranza per rivisitare anche altri momenti della nostra legislazione - come per esempio la modifica dell'articolo 1 del Codice Civile al fine di riconoscere la qualità di soggetto a tutti gli esseri umani a partire dal concepimento - e della prassi assistenziale in Medicina.
Preti pedofili e attacco al Papa - La Madonna lo aveva previsto? - Da La Salette a Fatima, la crisi che la Chiesa deve affrontare in questi giorni era stata già prevista dalla Madonna? - di Massimo Introvigne
La duplice crisi che la Chiesa deve affrontare in questi giorni – gli episodi “vergognosi e criminali”, come li ha definiti Benedetto XVI, dei preti pedofili e l’attacco di lobby laiciste che, partendo da questi episodi ma esagerandone i numeri, attaccano la Chiesa e il Papa stesso – sono stati previsti da rivelazioni private? La Chiesa raccomanda cautela di fronte a testi che non sono mai “ufficiali” e non godono certo della stessa autorevolezza della Rivelazione pubblica e neppure degli insegnamenti del Magistero, così che nessun fedele deve ritenersi obbligato a seguirli. Il Catechismo della Chiesa Cattolica ricorda che il ruolo delle rivelazioni private “non è quello di ‘completare’ la Rivelazione definitiva di Cristo, ma di aiutare a viverla più pienamente in una determinata epoca storica” (n. 67). Nulla vieta, peraltro, senza esagerarne la portata d’interrogarsi sulle possibili relazioni fra alcune rivelazioni private e la crisi attuale.
Che il sacerdozio cattolico, per la Chiesa la più santa delle istituzioni, sia esposto a rischi di deviazioni e corruzioni emerge appunto anche da rivelazioni private. Già in un ciclo del XIV secolo Gesù si rivolge a Santa Brigida di Svezia (1303-1373), co-patrona d’Europa, con l’espressione “I preti mi sono diventati insopportabili”. Un avvenimento di grande portata per la storia spirituale – ma anche culturale e letteraria – della Francia è l’apparizione della Madonna a La Salette nel 1846. Quest’apparizione è stata riconosciuta dalla Chiesa come autentica. Tuttavia, del cosiddetto “segreto” che una delle veggenti, Mélanie Calvat (1831-1904), mise per iscritto nel 1851 il Sant’Uffizio proibì la divulgazione, ancorché esso non sia mai stato dichiarato formalmente falso. Dev’essere quindi avvicinato con particolare cautela. In questo segreto si legge la profezia di tempi in cui “il numero dei preti e dei religiosi che si separeranno dalla vera religione sarà grande; fra queste persone vi saranno anche dei vescovi”. “La Chiesa subirà una crisi spaventosa. (…) Si vedrà l'abominio nei luoghi santi; nei conventi i fiori della Chiesa saranno putrefatti e il demonio diventerà come il re dei cuori (…). Il demonio userà tutta la sua malizia per introdurre negli ordini religiosi delle persone dedite al peccato”. “I sacerdoti con la loro cattiva vita (…) sono diventati delle cloache d'impurità”. Non c’è da stupirsi se questa profezia oggi appare a molti di particolare attualità.
Ma non bisogna dimenticare che nello stesso segreto di La Salette si annuncia pure che “il Santo Padre soffrirà molto (…). I cattivi attenteranno diverse volte alla sua vita”. Il testo è stato studiato recentemente da specialisti di rivelazioni private, alcuni dei quali ritengono che – insieme a fantasie della veggente – contenga il nucleo di un’autentica esperienza spirituale. Ed è suggestiva l’idea di riferire a Giovanni Paolo II l’allusione di La Salette a un attentato alla vita del Papa.
Lo stesso riferimento a un attentato si ritrova nel terzo segreto di Fatima, pubblicato in modo molto ufficiale dalla Santa Sede con un commento dell’allora cardinale Ratzinger nel 2000. Qui la Madonna mostra “il Santo Padre (che) attraversa una grande città mezza in rovina; e mezzo tremulo con passo vacillante,afflitto di dolore e di pena, pregava per le anime dei cadaveri che incontrava nel suo cammino; giunto alla cima del monte, prostrato in ginocchio ai piedi della grande Croce venne ucciso da un gruppo di soldati che gli spararono vari colpi di arma da fuoco e frecce”. Lo stesso cardinale Ratzinger metteva in relazione la visione di Fatima con l’attentato che Giovanni Paolo II subì il 13 maggio 1981, giorno della festa della Madonna di Fatima. Ma notava pure che l’immagine è figura di tutte le persecuzioni che il Papa e la Chiesa nella storia continuamente subiscono. Anche le persecuzioni mediatiche di questi giorni fanno parte dei “colpi d’arma da fuoco e frecce” che sempre “soldati” al servizio delle Tenebre sono pronti a lanciare contro il Papa.
Il Giornale 27 marzo 2010
Legionari. La "nomenklatura" che deve sparire - Nome per nome, tutti gli alti dirigenti della congregazione. Il loro legame strettissimo col fondatore e con il suo scandalo. L'impossibilità di ogni vero rinnovamento, finché essi resteranno al potere - di Sandro Magister
ROMA, 29 marzo 2010 – Alla fine di aprile i cinque vescovi che hanno ultimato la visita apostolica ordinata dalla Santa Sede tra i Legionari di Cristo illustreranno alle autorità vaticane i contenuti dei loro rapporti, consegnati alla metà di marzo.
Una precedente, lontana, visita apostolica tra i Legionari, tra il 1956 e il 1959, finì con l'assoluzione.
Questa volta, però, tutto fa pensare che non sarà così.
Si prevede che molto rapidamente le autorità vaticane metteranno al comando della Legione un commissario esterno dotato di pieni poteri.
E a lui dovranno ubbidire gli attuali capi della congregazione, che sono il vero ostacolo a qualsiasi cammino di rinnovamento, anche minimo.
Ma questo gruppo dirigente è tutt'altro che rassegnato a cedere il passo.
Liberati dall'assillo dei visitatori e non ancora sottomessi al comando del commissario, in questo periodo d'intervallo che sperano si prolunghi "vari mesi" stanno facendo di tutto per consolidare il loro potere e conquistarsi l'appoggio della gran parte degli 800 sacerdoti della Legione e degli altri adepti religiosi e laici.
Il 25 marzo, durante la riunione annuale a Roma dei direttori territoriali con il direttore generale e il suo consiglio, hanno emesso un comunicato nel quale per la prima volta pubblicamente descrivono ad uno ad uno e "riprovano" gli atti peccaminosi del loro fondatore Marcial Maciel (1920-2008), chiedono perdono alle vittime e affermano di "non poter più guardare alla sua persona come modello di vita cristiana o sacerdotale".
Ma quanto è affidabile questa presa di distanza dei dirigenti della Legione dal loro fondatore e in particolare dal "repentino svelarsi" – così dicono – delle sue malefatte?
E da chi è composta questa "nomenklatura"?
Eccola qui di seguito, aggiornata alle ultime nomine.
*
Direttore generale
Álvaro Corcuera, messicano, 53 anni
Vicario generale
Luís Garza Medina, messicano, 53 anni
Consiglieri generali
Francisco Mateos, spagnolo, oltre 60 anni
Michael Ryan, irlandese, oltre 60 anni
Joseph Burtka, statunitense, 40 anni
Segretario generale
Evaristo Sada, messicano, 50 anni
Procuratore generale
Cristóforo Fernández, messicano, oltre 70 anni
Direttori territoriali
Luís Garza Medina, messicano, 53 anni: Italia, Svizzera, Belgio, Polonia, Terra Santa, Corea, Filippine
Jesús María Delgado, spagnolo, 45 anni: Spagna
Emilio Díaz Torre, messicano, 50 anni: Messico-Monterrey
Rodolfo Mayagoitia, messicano, 50 anni: Messico e America Centrale
José Manuel Otaolaurruchi, messicano, 45 anni: Venezuela e Colombia
Leonardo Nuñez, messicano, 45 anni: Brasile
José Gerardo Cárdenas, messicano, 55 anni: Cile e Argentina
Julio Martí, venezuelano, 45 anni: Stati Uniti-New York e Canada
Scott Reilly, statunitense, 45 anni: Stati Uniti-Atlanta
Jacobo Muñoz, spagnolo, 40 anni: Francia e Irlanda
Sylvester Heereman, tedesco, 40 anni: Germania e Centro Europa
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Per tornare alla domanda circa l'affidabilità della presa di distanza dei capi della Legione dal loro fondatore, occorre tenere presenti alcuni fatti.
Il direttore, il vicario e i membri attuali del consiglio generale sono stati eletti nel corso del terzo e ultimo capitolo della congregazione, nel gennaio del 2005. In quell'occasione Maciel, il fondatore, aveva rinunciato a ogni carica, essendo scattata da qualche mese contro di lui l'indagine ordinata dall'allora prefetto della congregazione per la dottrina della fede, cardinale Joseph Ratzinger. Indagine compiuta dal promotore di giustizia della stessa congregazione, Charles J. Scicluna, e sfociata l'anno dopo, con Ratzinger divenuto papa, in una punizione canonica.
Ma l'ascesa al potere, nella congregazione, dell'attuale gruppo dirigente risale al precedente capitolo generale, il secondo, tenuto a Roma nel 1992.
In quell'occasione fecero blocco attorno al fondatore Maciel i due che sono tuttora gli uomini forti della Legione: i padri Corcuera e Garza, il secondo più del primo, con attorno a loro un gruppo di fedelissimi i cui nomi si ritrovano quasi tutti nell'attuale "nomenklatura".
Stando ad alcune testimonianze rese nei mesi scorsi ai visitatori apostolici, in questo gruppo c'era chi sapeva della doppia vita del fondatore, degli atti carnali da lui compiuti su tanti suoi seminaristi nell'arco di decenni, delle sue amanti, dei suoi figli, del suo uso di stupefacenti. Ma nonostante ciò si costruì attorno a Maciel un fortilizio a difesa delle sue virtù, se ne alimentò il culto tra i seguaci, tutti all'oscuro della verità, se ne magnificarono i talenti, anche tra le alte gerarchie della Chiesa. Fu tale l'efficacia di questa esaltazione della figura del fondatore che ancora oggi essa ispira il senso d'appartenenza alla Legione di molti suoi sacerdoti e religiosi.
La coesione del gruppo dirigente, originata dal suo pluridecennale legame con Maciel, perdura oggi nel vincolo che lega e subordina tutti a Corcuera e più ancora a Garza.
Garza concentra in sé due cariche chiave. È vicario generale, con il controllo dell'amministrazione, ed è direttore della provincia italiana della congregazione, quella con sede a Roma, dove c'è il Vaticano. Di questa seconda carica ha preso possesso poco prima che iniziasse la visita apostolica, trasferendo il suo predecessore, Jacobo Muñoz, alla provincia della Francia e dell'Irlanda.
Ma in più Garza è anche il creatore e il signore assoluto di Grupo Integer, la holding che fa da cassaforte e da centro direttivo di tutte le opere della Legione nel mondo, il cui patrimonio complessivo è stimato in 25 miliardi di euro.
Garza è parente di una ricchissima famiglia di Monterrey, grande benefattrice per decenni delle opere di Maciel e legatissima a un altro dei consiglieri generali della Legione, Francisco Mateos. Il segretario generale, Evaristo Sada, è suo cugino.
Oltre che vincolati a Garza e Corcuera, alcuni degli attuali dirigenti sono stati per anni vicinissimi al fondatore. Alejandro Ortega, direttore fino a due anni fa di una delle due province del Messico, fu segretario personale di Maciel. Julio Martí, direttore della provincia degli Stati Uniti e del Canada, fu superiore della casa generalizia dei Legionari a Roma. Michael Ryan fu amico d'antica data della famiglia di Maciel e sostenitore della causa di beatificazione della madre, Maura Degollado Guízar.
Nei giorni scorsi Garza e Corcuera hanno serrato ancor più le file dei fedelissimi, con alcuni spostamenti. Alla direzione della provincia di Monterrey, in Messico, è stato designato Emilio Díaz Torre. E al suo predecessore Leonardo Nuñez è stata affidata la provincia del Brasile.
Sia l'uno che l'altro sono messicani, come la maggior parte degli alti dirigenti dei Legionari. La seconda nazionalità privilegiata è la spagnola.
Gli italiani, invece, sono sempre stati tenuti lontani dalle cariche importanti. Sono ritenuti meno fidati, oltre che troppo introdotti nella curia vaticana, dove i Legionari hanno amici ma anche nemici, questi ultimi oggi di più.
L'ora delle tenebre - Autore: Amato, Gianfranco Curatore: Mangiarotti, Don Gabriele - Fonte: CulturaCattolica.it - domenica 28 marzo 2010 - Gli attacchi al Papa da un pulpito poco (nient'affatto) credibile
In Gran Bretagna è montata una comprensibile indignazione contro gli episodi di pedofilia commessi da preti cattolici. Questa indignazione si sta trasformando in un vero e proprio bombardamento mediatico quotidiano contro lo stesso Pontefice, culminato nella manifestazione di protesta tenuta domenica 28 marzo davanti alla cattedrale cattolica di Westminster a Londra, per chiedere, nientedimeno che le dimissioni papali.
Qualcosa però non quadra. Prima di capire cosa non convince è comunque doveroso premettere che l’odioso fenomeno della pedofilia appare ancora più odioso e deprecabile quando coinvolge religiosi, e che sarebbe stato certamente meglio adottare prima la linea rigorosa e severa di Benedetto XVI in materia.
Detto questo, qualche riflessione, però, dovrebbero farla anche Oltremanica.
Il governo britannico è riuscito a superare persino la mitica Scandinavia per quanto riguarda la visione progressista in tema di educazione sessuale. Mi spiego meglio. Dal prossimo anno scolastico quella materia diventerà obbligatoria in tutte le scuole elementari del Regno Unito, e non solo, come accade oggi, in quelle più “avanzate”. Sparirà ogni autonomia scolastica ed il programma verrà unificato a livello centrale. I bambini di 5 anni dovranno «conoscere per nome le singole parti del proprio corpo connesse alla riproduzione sessuale», dovranno parlare di «affetti ed amicizie», ed affrontare temi specifici quali la masturbazione. Per i più grandicelli (9-16), si parlerà di contraccezione, aborto, omosessualità, transessualità, et similia.
In questo il governo pare aver preso sul serio il rapporto delle Nazioni Unite, redatto lo scorso giugno dall’UNESCO, nelle cui 98 pagine viene spiegata la necessità che ai bambini, fin dall’età di 5 anni, venga impartita un’approfondita educazione sessuale, facendo loro capire che «è naturale esplorare parti del corpo e provare piacere», attraverso «una pratica non dannosa conosciuta come masturbazione». I bambini di nove anni, invece, dovrebbero, sempre secondo l’ONU, «imparare cosa dicono le leggi locali sull’aborto e che si tratta di una pratica sicura se realizzata con le necessarie precauzioni igieniche e da esperti». A 12 anni, spiegano ancora le linee guida dell’UNESCO, si dovrà apprendere che «i contraccettivi offrono l’opportunità di una sessualità sicura e senza conseguenze indesiderate».
Il governo britannico non si è dimostrato da meno dell’ONU quando ha deciso di redigere i nuovi programmi d’insegnamento per le scuole elementari.
Per comprendere il clima basti ricordare che l’associazione FPA (Family Planning Association) – uno dei gruppi coinvolti dal governo nella elaborazione dei nuovi programmi di educazione sessuale – ha promosso la diffusione di un video in cui vien chiesto ad un bambino di sei anni di identificare correttamente la vagina ed i testicoli sull’immagine di un ragazzo e di una ragazza nudi.
In un altro materiale didattico visivo, prodotto dal dipartimento educazione dell’emittente Channel 4, si chiede ad una bambina di 5 anni di indicare il clitoride.
La stampa ha anche pubblicato, ai primi di marzo, la notizia che in una scuola elementare del Lincolshire, la East Wold Church of England Primary School, a bambini di 7 anni è stato fatto visionare un DVD, intitolato Living and Growing, prodotto da Channel 4 e raccomandato dal Ministero dell’Infanzia, Istruzione e Famiglia, in cui si mostravano un uomo ed una donna nudi (graficamente rappresentati in maniera assai realistica) che si inseguivano attorno ad un letto e che finivano poi per fare sesso, mentre una voce fuori campo descriveva nei dettagli l’azione in corso.
Neppure episodi del genere hanno fatto desistere il governo laburista dai propri intenti. Anzi, ora più che mai l’esecutivo di Sua Maestà intende procedere a tappe forzate in questa devastante campagna culturale in tema di sessualità dei più piccoli, nonostante uno studio scientifico commissionato dallo stesso Ministero degli Interni, dal titolo “Sexualisation of Young People Review” e pubblicato lo scorso 26 febbraio, abbia messo in guardia dai rischi che una «ipersessualizzazione» possa rendere i bimbi potenziali vittime di abusi. «Causa di profonda preoccupazione da parte degli esperti», si legge nello studio, «è che il processo di sessualizzazione delle ragazze possa contribuire ad un mercato pedopornografico, come dimostra la preoccupante diffusione del fenomeno di adescamento on-line, da parte di pedofili, di bambini e ragazzi disposti, per denaro, a compiere atti sessuali davanti alla videocamera».
Il monito dello studio ministeriale non è servito a nulla, come a nulla è servita la brutta figura rimediata lo scorso luglio dal governo, quando il rappresentante delle scuole britanniche in Europa, Ken Browne, vice preside della Dorothy Stringer High School di Brighton, venne arrestato per possesso di materiale pedopornografico. Era stato scelto dal Ministero degli Esteri come «ambasciatore degli istituti scolastici britannici in Europa».
Per arginare il fenomeno di questa sessualizzazione precoce alcuni genitori hanno persino invocato una legge che vieti gli slogan con esplicito richiamo sessuale stampati sulle magliette dei bambini. Non si contribuisce certo ad arginare il fenomeno della pedofilia presentando le ragazzine come delle provocanti lolite. Così si è chiesto, per esempio, che venga proibita la stampa di frasi del tipo «Così tanti ragazzi, così poco tempo», sulle T-shirt di bambine di 7-12 anni, o la scritta «The Condom Broke» sulle tute da bambini. Manie da bacchettoni? Forse. Ma non è difficile comprendere, cum grano salis, quanto sia inopportuno che una bambina di sette anni circoli con la scritta «Non toccare se non te lo puoi permettere».
Oggi l’allarmante fenomeno della sessualizzazione precoce rischia una pericolosa sottovalutazione.
Mi sono accorto di ciò quando lo scorso 16 marzo ho letto sul Daily Telegraph che in un locale notturno, lo Shadow Lounge Club di Weston-super-Mare, nel Somerset, alle tre della mattina la polizia ha sorpreso una quattordicenne danzatrice di lap dance mentre si esibiva completamente nuda di fronte ad un nutrito gruppo festante di attempati avventori. Si è pure scoperto che la ragazza era disponibile ad esibizioni “private” per 20 sterline, e ad una performance speciale, chiamata “VIP dance”, per 80 sterline.
Un altro campanello d’allarme è stata la notizia, diffusa prima di Natale, che il governo britannico ha autorizzato alcune farmacie a distribuire la pillola anticoncezionale a minorenni anche senza bisogno di prescrizione medica. Era pure stata incentivata la pubblicità dell’iniziativa attraverso manifesti.
Un triste sorriso, invece, mi ha suscitato la recente notizia che la società svizzera Lamprecht AG ha prodotto una versione extra small di condom per il mercato britannico. I potenziali clienti di questi preservativi, infatti, potranno avere un’età compresa tra i 12 ed i 14 anni. Nella strategia di marketing degli svizzeri il Regno Unito è stato scelto come “prime target”, un mercato privilegiato proprio a causa dell’alto tasso di gravidanze tra le teenager.
Impressionanti, infatti, sono i dati ufficiali pubblicati lo scorso febbraio dal tabloid Sun, che grazie alle leggi sulla libertà di informazione ha ottenuto le statistiche, finora mai divulgate. Ebbene, dal 2002 ben 15 bambine di dieci anni e 39 di undici sono rimaste incinte. Senza contare quelle che hanno abortito illegalmente e di cui non si saprà mai nulla. Trecento ragazzine dai 13 anni in giù rimangono incinte ogni anno in Inghilterra e nel Galles. Sempre secondo i dati ufficiali, dal 2002 sono state 268 le ragazzine incinte di 12 anni, 2.527 quelle di 13 anni, 14.777 quelle di 14 anni e 45.861 quelle di 15 anni. Nella stragrande maggioranza quelle gravidanza si sono risolte in aborti.
Per capire, invece, le esatte dimensioni del fenomeno della pedofilia nel Regno Unito è sufficiente leggere il rapporto “Whose Child Now?” pubblicato lo scorso novembre dalla fondazione Barnardo’s, un’antica charity che si dedica alla tutela dell’infanzia, fondata nel 1866 dal medico irlandese Thomas John Bardardo.
I dati del rapporto sono agghiaccianti.
Vengono indicati i casi scoperti di bambini di 10 anni abusati durante feste e party di pedofili. Più d 10.000 piccoli ogni anno vengono sottoposti a pratiche riconducibili alla pedofilia. Un sesto di questi bambini proviene dall’estero ed è introdotto in Gran Bretagna grazie ad un’efficace organizzazione che opera clandestinamente in quel disgustoso mondo. Lisa Stacey, autrice del rapporto, ha dichiarato che la fondazione sa di «bambini che vengono trasferiti dal nordest dell’Inghilterra a Londra e dallo Yorkshire a Londra o a Manchester». Alcune delle storie contenute nel rapporto appaiono davvero raccapriccianti.
I bambini, anche di 11 e 12 anni, vengono sottoposti ad un vero e proprio racket della prostituzione e trasferiti nelle varie città per avere rapporti sessuali con diversi uomini. Ad ottobre del 2009 si era persino scoperto un vero e proprio mercato di bambine dodicenni vendute al prezzo di 50.000 sterline.
Quanto antico sia questo turpe mercimonio nel Regno Unito, peraltro, lo dimostra il fatto che l’età legale per avere un rapporto sessuale consensuale fu elevata a 16 anni durante il periodo vittoriano proprio per sconfiggere il triste fenomeno della vendita delle bambine dodicenni ai facoltosi e perversi signori.
Singolare, però, che mentre il mondo giustamente continua ad indignarsi e a chiedere tutele per l’infanzia, in Gran Bretagna si sta da tempo discutendo di abbassare il limite dei 16 perché ritenuto demodé e frutto di quella cultura bigotta impregnata di pruderie vittoriana. Alla BBC un insigne cattedratico, John Spencer, professore di diritto al Selwyn College di Cambridge, ha spiegato perché sia opportuno abbassare a 13 anni il limite di età per avere un rapporto sessuale consensuale. Uno dei motivi addotti dal professor Spencer, oltre alla necessità di una visione più avanzata e progressiva della sessualità, è che, tra l’altro, l’attuale limite di 16 anni sta «criminalizzando metà della popolazione». Torna in auge la tesi secondo cui bisogna distinguere l’abuso sessuale vero e proprio dal naturale istinto giovanile («youthful natural instinct»), e viene anche ricordato che in altri Paesi europei, tra cui la Spagna di Zapatero, l’età per potere legalmente avere un rapporto sessuale consensuale è proprio di 13 anni. Qualcuno arriva persino a sostenere che, in fondo, la pedofilia non è che un orientamento sessuale come un altro, per cui in futuro, come è avvenuto per l’omosessualità e la transessualità, la società ne dovrà inevitabilmente prendere atto.
Conclusione. Bisogna davvero stare molto attenti ad evitare di alimentare anche indirettamente la tendenza al fenomeno perverso della pedofilia e punire severamente coloro che si macchiano di questa ignominia, per i quali vale sempre il monito evangelico: «E’ meglio per loro che gli sia messa una macina al collo e che vengano gettati nel profondo del mare». Bisognerebbe anche evitare inutili strumentalizzazioni contro la Chiesa.
Soprattutto quando vengono da pulpiti poco credibili.
Essere guardati da Cristo - Autore: Oliosi, don Gino Curatore: Mangiarotti, Don Gabriele - Fonte: CulturaCattolica.it - sabato 27 marzo 2010
E’ possibile e come anche oggi fare esperienza di essere guardati con amore dal Risorto, dal Vivente nel suo corpo che è la Chiesa?
«Naturalmente direi di sì, perché il Signore è sempre presente e guarda ognuno di noi con amore. Solo che noi dobbiamo trovare questo sguardo e incontrarci con lui. Come fare? Direi che il primo punto per incontrarci con Gesù, per fare esperienza del suo amore è conoscerlo. Conoscere Gesù implica diverse vie.
- Una prima condizione è conoscere la figura di Gesù come appare nei Vangeli, che ci danno un ritratto molto ricco della figura di Gesù, nelle grandi parabole, pensiamo al figlio prodigo, al samaritano, a Lazzaro eccetera. In tutte le parabole, in tutte le sue parole, nel sermone della montagna, troviamo realmente il volto di Gesù, il volto di Dio fino alla croce, per amore di noi, si dà totalmente fino alla morte e può, alla fine, dire “Nelle tue mani Padre, do la mia vita, la mia anima” (Lc 23,46).
- Quindi: conoscere, meditare Gesù insieme con gli amici, con la Chiesa e conoscere Gesù non solo in modo accademico, ma con il cuore, cioè parlare con Gesù nella preghiera. Una persona non la si può conoscere nello stesso modo in cui posso studiare la matematica. Per la matematica è necessaria e sufficiente la ragione, ma per conoscere una persona, anzitutto la grande persona di Gesù, Dio e uomo, ci vuole la ragione, ma, nello stesso tempo, anche il cuore. Solo con l’apertura del cuore a lui, solo con la conoscenza dell’insieme di quanto ha detto e di quanto ha fatto, con il nostro amore, con il nostro andare verso di Lui, possiamo man mano conoscerlo sempre di più e così anche fare l’esperienza di essere amati.
- Quindi: ascoltare la Parola di Gesù, ascoltarla nella comunione della Chiesa, nella sua grande esperienza e rispondere con la nostra preghiera, con il nostro colloquio personale con Gesù, dove gli diciamo quanto non possiamo capire, i nostri bisogni, le nostre domande. In un vero colloquio, possiamo trovare sempre di più questa strada della conoscenza, che diventa amore. Naturalmente non solo pensare, non solo pregare, ma anche fare è una parte del cammino verso Gesù: fare cose buone, impegnarsi per il prossimo. Ci sono diverse strade: ognuno conosce le proprie possibilità, nella parrocchia e nella comunità in cui vive, per impegnarsi anche con Cristo e per gli altri, per la vitalità della Chiesa, perché la fede sia veramente forza formativa del nostro ambiente, e così del nostro tempo.
- Quindi, direi questi elementi; ascoltare, rispondere, entrare nella comunità credente, comunione con Cristo nei sacramenti, dove si dà a noi, sia nell’Eucaristia, sia nella Confessione eccetera, e, finalmente, fare, realizzare le parole della fede così che diventino forza della mia vita e appare veramente anche a me lo sguardo di Gesù e il suo amore mi aiuta, mi trasforma» [Benedetto XVI, Incontro con i Giovani, 25 marzo 2010].
All’inizio della consapevolezza di quello che ontologicamente cioè nel nostro stesso essere è avvenuto una volta per sempre nel Battesimo, cioè figli nel Figlio di Dio Padre per opera dello Spirito Santo, non c’è una decisione etica o una grande idea, ma l’incontro, attraverso la via umana di un volto, con la Persona viva di Gesù Cristo, “che da alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva” (Deus caritas est, 1). Come è importante a livello ontico, esistenziale, l’avvenimento dell’“incontro” nell’evangelizzare, nell’educare alla fede, nel trasmettere un di più di umanità, nell’allargare gli spazi della nostra razionalità per riaprirla alle grandi questioni del vero e del bene e così coniugare tra loro la teologia, la filosofia e le scienze, nel pieno rispetto dei loro metodi propri e della loro reciproca autonomia, ma anche nella consapevolezza dell’intrinseca unità che le tiene insieme. E’ questo oggi un compito che sta dinnanzi a noi anche per risolvere l’emergenza educativa, un’avventura affascinante nella quale merita di spendersi, per dare nuovo slancio alla cultura del nostro tempo e per restituire in essa alla fede cristiana piena cittadinanza pubblica nelle scuole, negli ambienti di lavoro, nell’economia, nella finanza, nella politica.
Dire «sì» alla vita - Autore: Oliosi, don Gino Curatore: Mangiarotti, Don Gabriele - Fonte: CulturaCattolica.it - sabato 27 marzo 2010 - Come trovare la forza per scelte coraggiose per la vita veramente vita, per una speranza affidabile?
«Ecco, cominciamo con questa parola dura per noi: rinunce. Le rinunce sono possibili e, alla fine, diventano anche belle se hanno un perché e se questo perché giustifica poi anche la difficoltà della rinuncia. San Paolo ha usato, in questo contesto, l’immagine delle olimpiadi e degli atleti impegnati per le olimpiadi (1 Cor 9,24 – 25). Dice: Loro, per arrivare finalmente alla medaglia – in quel tempo alla corona – devono vivere una disciplina molo dura, devono rinunciare a tante cose, devono esercitarsi nello sport che praticano e fanno grandi sacrifici e rinunce perché hanno una motivazione, ne vale la pena. Anche se alla fine, forse, non sono tra i vincitori, tuttavia è una bella cosa aver disciplinato se stesso ed essere stato capace di fare queste cose con una certa perfezione. La stessa cosa vale, con questa immagine di san Paolo, per le olimpiadi, per tutto lo sport, vale anche per tutte le altre cose della vita. Una vita professionale buona non si può raggiungere senza rinunce, senza una preparazione adeguata, che sempre esige una disciplina, esige che si debba rinunciare a qualche cosa, e così via, anche nell’arte e in tutti gli elementi della vita. Noi tutti comprendiamo che per raggiungere uno scopo, sia professionale, sia sportivo, sia artistico, sia culturale, dobbiamo rinunciare, imparare per andare avanti. Proprio anche l’arte di vivere, di essere se stesso, l’arte di essere uomo esige rinunce, e le rinunce vere, che ci aiutano a trovare la strada della vita, l’arte della vita, ci sono indicate dalla Parola di Dio e ci aiutano a non cadere – diciamo – nell’abisso della droga, dell’alcool, della schiavitù della sessualità, della schiavitù del denaro, della pigrizia. Tutte queste cose, in un primo momento, appaiono come azioni di libertà. In realtà, non sono azioni di libertà, ma inizio di una schiavitù che diventa sempre più insuperabile. Riuscire a rinunciare alla tentazione del momento, andare avanti verso il bene crea la vera libertà e fa preziosa la vita. In questo senso, mi sembra, dobbiamo vedere che senza un “no” a certe cose non cresce il grande “sì” alla vera vita, come lo vediamo nelle figure dei santi. Pensiamo a san Francesco, pensiamo ai santi del nostro tempo. Madre Teresa, don Gnocchi e tanti altri, che hanno rinunciato e sono divenuti non solo liberi loro stessi ma anche una ricchezza per il mondo e ci mostrano come si può vivere. Così alla domanda “chi mi aiuta”, direi che ci aiutano le grandi figure della storia della Chiesa, ci aiuta la Parola di Dio, ci aiuta la comunità parrocchiale, il movimento, il volontariato, eccetera. E ci aiutano le amicizie di uomini che “vanno avanti”, che hanno già la strada giusta. Preghiamo il Signore che ci doni sempre degli amici, delle comunità che ci aiutano a vedere la strada del bene e a trovare così la vita bella e gioiosa» [Benedetto XVI, Incontro con i giovani, 25 marzo 2010].
Immediatamente fa paura Gesù che al giovane ricco invita a lasciare tutto e a seguirlo, lui che se ne andò via triste. In molti giovani nasce l’interrogativo: io come lui faccio fatica a seguirlo, perché ho paura di lasciare le mie cose e talvolta, anzi spesso la Chiesa appare oggi come colei che esige delle rinunce difficili, tanti “no” nell’attuale cultura secolarizzata. Spesso, a livello educativo, pastorale, non emerge soprattutto, prioritariamente quel grande “sì” che in Gesù Cristo Dio ha detto e dice ad ogni uomo, comunque ridotto, e alla sua vita, all’amore umano, alla nostra libertà (Dio non può costringere perché è amore e un rapporto costretto non è più un rapporto di amore), di intelligenza, di onnipotenza nel perdono; come, pertanto non emerge soprattutto la fede nel Dio dal volto umano che porta anche oggi la gioia al mondo e una speranza affidabile, in virtù della quale noi possiamo affrontare il nostro presente: il presente, anche un presente faticoso, può essere vissuto ed accettato se conduce verso una meta e se di questa meta noi possiamo essere sicuri, se questa meta è così grande da giustificare la fatica del cammino.
Fare la volontà di Dio - Autore: Oliosi, don Gino Curatore: Mangiarotti, Don Gabriele - Fonte: CulturaCattolica.it - sabato 27 marzo 2010 - E’ possibile fare della mia vita qualcosa di bello e di grande?
E’ possibile fare della mia vita qualcosa di bello e di grande?
«Lei ci ha detto (la domanda di una giovane nell’incontro con il Papa: Io non so che cosa è la vita eterna, una speranza affidabile, anche se non voglio buttare la mia vita, voglio viverla fino in fondo e non da sola) che non sa cosa sia la vita eterna e non sa immaginarsela. Nessuno di noi è in grado di immaginare la vita eterna, perché è fuori della nostra esperienza. Tuttavia, possiamo cominciare a comprendere che cosa sia la vita eterna, e penso che lei, con la sua domanda, ci abbia dato una descrizione dell’essenziale della vita eterna, cioè della vera vita: non buttare via la vita, viverla in profondità, non vivere per se stessi, non vivere alla giornata, ma vivere realmente la vita nella sua ricchezza e nella sua totalità. E come fare? Questa è la grande questione, con la quale anche il ricco del Vangelo è venuto al Signore (Mt 10,17). A prima vista, la risposta del Signore appare secca. Tutto sommato dice: osserva i comandamenti (Mc 10,19). Ma dietro, se riflettiamo bene, se ascoltiamo bene il Signore, nella totalità del Vangelo, troviamo la grande saggezza della Parola di Dio, di Gesù. I comandamenti, secondo un’altra parola di Gesù, sono riassunti in quest’unico: amare Dio con tutto il cuore, con tutta la ragione, con tutta l’esistenza e amare il prossimo come se stesso. Amare Dio, suppone conoscere Dio, riconoscere Dio. E questo è il primo passo che dobbiamo fare: cercare di conoscere Dio E così sappiamo che la nostra vita non esiste per caso, non è un caso. La mia vita è voluta da Dio dall’eternità. Io sono amato, sono necessario. Dio ha un progetto con me nella totalità della storia; ha un progetto per me. La mia vita è importante e necessaria. L’amore eterno mi ha creato in profondità e mi aspetta. Quindi, questo è il primo punto: conoscere, cercare di conoscere Dio e così capire che la vita è un dono, che è bene vivere. Poi l’essenziale è l’amore. Amare questo Dio che mi ha creato, che ha creato questo mondo, che governa tra tutte le difficoltà dell’uomo e della storia, e che mi accompagna. E amare il prossimo.
I dieci comandamenti ai quali Gesù nella sua risposta accenna, sono solo un’esplicitazione del comandamento dell’amore. Sono, per così dire, regole dell’amore, indicano la strada dell’amore con questi punti essenziali: la famiglia, come fondamento della società; la vita, da rispettare come dono di Dio; l’ordine della sessualità, della relazione tra uomo e donna; l’ordine sociale e, finalmente, la verità. Questi elementi essenziali esplicitano la strada dell’amore, esplicitano come realmente amare e come trovare la via retta. Quindi c’è una volontà fondamentale di Dio per noi tutti, che è identica per tutti noi. Ma la sua applicazione è diversa in ogni vita, perché Dio ha un progetto preciso per ogni uomo. San Francesco di Sales una volta ha detto: la perfezione, cioè l’essere buono, il vivere la fede e l’amore è sostanzialmente una, ma in forme molto diverse. Molto diversa è la santità di un certosino e di un uomo politico, di uno scienziato o di un contadino, e via dicendo. E così per ogni uomo Dio ha il suo progetto e io devo trovare, nelle mie circostanze, il mio modo di vivere questa unica e comune volontà di Dio le cui grandi regole sono indicate in queste esplicazioni dell’amore. E cercare quindi anche di compiere ciò che è l’essenza dell’amore, cioè non prendere la vita per me, ma dare al vita; non “avere” la vita, ma fare della vita un dono, non cercare me stesso, ma dare agli altri. Questo è l’essenziale, e implica rinunce, cioè uscire da me stesso e non cercare me stesso. E proprio non cercando me stesso, ma dandomi per le grandi e vere cose, trovo la vera vita. Così ognuno troverà, nella sua vita, le diverse possibilità: impegnarsi nel volontariato, in una comunità di preghiera, in un movimento, nell’azione della sua parrocchia, nella propria professione. Trovare la mia vocazione e viverla in ogni posto è importante e fondamentale, sia in un grande scienziato, o un contadino. Tutto è importante agli occhi di Dio: è bello se vissuto sino in fondo con quell’amore che realmente redime il mondo.
Alla fine vorrei raccontare una piccola storia di santa Giuseppina Bakita, questa piccola santa africana che in Italia ha trovato Dio e Cristo, e che mi fa sempre una grande impressione. Era suora in un convento italiano; un giorno, il Vescovo del luogo fa visita a quel monastero, vede questa piccola suora nera, della quale sembra non avesse saputo nulla e dice: “Suora cosa fa lei qui?” E Bakhita risponde: “La stessa cosa che fa lei, eccellenza”. Il Vescovo visibilmente irritato dice: “Ma come, suora, fa la stessa cosa come me?”, “Sì,- dice la suora – ambedue vogliamo fare la volontà di Dio, non è vero?”. Infine questo è il punto essenziale: conoscere, con l’aiuto della Chiesa, della Parola di Dio e degli amici, la volontà di Dio, sia nelle grandi linee, comuni per tutti, sia nella concretezza della mia vita personale. Così la vita diventa forse non troppo facile, ma bella è felice. Preghiamo il Signore che ci aiuti sempre a trovare la sua volontà e a seguirla con gioia» (Benedetto XVI, Incontro con i giovani, 25 marzo 2010).
Dio è il fondamento della vita veramente vita – non un qualsiasi dio, ma quel Dio che possiede un volto umano e che ci ha amati sino alla fine, ogni singolo e l’umanità nel suo insieme. Il suo regno non è un aldilà immaginario, posto in futuro che non arriva mai; il suo regno è presente là dove Egli è amato e dove il suo amore ci raggiunge. Solo il suo amore ci dà la possibilità di perseverare con ogni sobrietà giorno per giorno, senza perdere lo slancio della speranza, in un mondo che, per sua natura, è imperfetto. E il suo amore, allo stesso tempo, è per noi garanzia che esiste ciò che solo vagamente intuiamo e, tuttavia, nell’intimo aspettiamo: la vita che è “veramente” vita, e che già rende possibile fare di questa vita qualcosa di grande e di bello, affrontando il nostro presente: il presente, anche un presente faticoso.