mercoledì 24 marzo 2010

Nella rassegna stampa di oggi:
1) Come votare ancora Bonino e Bresso (o l’UDC che sostiene Bresso) dopo le parole del cardinale Bagnasco? - Massimo Introvigne
2) VESCOVI ITALIANI CON BAGNASCO SULLA PRIORITÀ DELLA DIGNITÀ UMANA - Il resoconto del primo giorno di lavori del portavoce della CEI
3) Avvenire.it, 23 Marzo 2010 – FAMIGLIA - Il Rapporto Cisf: l'Italia non è un Paese per figli - Andiamo verso il «suicidio demografico»
4) Una questione di fede - Lorenzo Albacete – ilsussidiario.net - mercoledì 24 marzo 2010
5) J’ACCUSE/ Barcellona: all’Italia anticristiana non servono nuovi precetti - INT. Pietro Barcellona - mercoledì 24 marzo 2010 – ilsussidiario.net
6) Avvenire.it, 24 Marzo 2010 - La domanda del cardinale, i dubbi interiori di tanti, i figli che mancano - Quell’«energia morale» che aiuta a dare vita al futuro di Marina Corradi

Come votare ancora Bonino e Bresso (o l’UDC che sostiene Bresso) dopo le parole del cardinale Bagnasco? - Massimo Introvigne

1. Il testo ufficiale del paragrafo 8 della prolusione del 22 marzo del cardinale Bagnasco alla CEI

«Vi supplico in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio» (2Cor 5,20): è sul primordiale diritto alla vita che all’alba di questo terzo millennio l’intera società si trova a dover fare ancora l’esame di coscienza, non per caricare fardelli sulle spalle altrui, né per provocare aggravi di pena a chi già è provato, ma per il dovere che essa ha, per se stessa, di guardare avanti in direzione del futuro. E nonostante le apparenze o le illusioni, non le riuscirà di farlo se non schierandosi col favor vitae, sempre e particolarmente quando le condizioni siano contrastate, difficili, incerte. Da qualche tempo, nella mentalità di persone che si ritengono per lo più evolute, si è insediato un singolare ribaltamento di prospettive nei riguardi di situazioni e segmenti di vita poco appariscenti, quasi che l’esistenza dei già garantiti, di chi dispone di strumenti per la propria salvaguardia, valga di più della vita degli «invisibili». Come non capire che si consuma qui un delitto incommensurabile, e che lo si può fare solo in forza di una tacita convenzione culturale che è abbastanza prossima alla ipocrisia?

Il rapporto, predisposto dall’Istituto per le politiche familiari a proposito dell’aborto in Europa, illustrato di recente a Bruxelles, forniva dati agghiaccianti: quasi tre milioni di bimbi non nati solo nel 2008, ossia ogni undici secondi, venti milioni negli ultimi quindici anni. E all’orizzonte nulla si muove che possa lasciar intravedere un qualsiasi contenimento di questa ecatombe progressiva, se si tiene conto che l’aborto ha ormai perso l’immagine di una pratica eccezionale e dolorosa, compiuta per motivi gravi di salute della madre o del piccolo, per diventare un metodo «normale» di controllo delle nascite. Intanto già è in incubazione un’ulteriore silente rivoluzione, compiuta grazie alla diffusione di nuovi metodi abortivi sempre più precoci che – variando la composizione chimica, a seconda della distanza di assunzione dal concepimento – hanno come effetto quello di «far scomparire» l'aborto, agendo nel dubbio di una gravidanza in atto che la donna sarà così in grado di coprire meglio, rispetto agli altri ma rispetto anche a se stessa. Se venisse effettuato in casa, magari in solitudine, da problema sociale diventerebbe un atto di alchimia domestica, che non interseca più in alcun modo la collettività, neppure sul residuale versante sanitario. Dalla «pillola del giorno dopo» al nuovo ritrovato, chiamato sui giornali «pillola dei cinque giorni», è un continuum farmacologico che, annullando il confine tra prodotti anticoncezionali e abortivi, ha già indotto ad una crasi linguistica – si chiamano infatti contraccettivi post-concezionali – che sfuma la precisione del momento per l’eventuale feto, e dunque l’esatta contezza dell’atto, minimizzando probabilmente l’urto del gesto abortivo, anzitutto sul piano personale, e poi anche su quello cultural-sociale. L'embrione, se c'è, non potrà annidarsi, e la donna non saprà mai che cosa effettivamente sia successo nel suo corpo, se una vita c’era ed è stata eliminata oppure no. A completamento del fatto, queste pillole tendono a diventare un prodotto da banco, accessibile a tutti, anche alle minori. Diversa, di per sé, la logica della Ru486, che è prescritta quando c’è la certezza di una gravidanza in atto. Nella pratica reale però, l’aborto sarà prolungato e banalizzato, acquisendo connotazioni simboliche più leggere, giacché l’idea di pillola è associata a gesti semplici, che portano un sollievo immediato. E così la «rivoluzione» iniziata negli anni Settanta per sottrarre l’aborto alla clandestinità, al pericolo per la salute delle donne, al loro isolamento sociale, si chiude tornando esattamente là dove era cominciata, con il risultato finora acquisito dell’invisibilità sociale della pratica, preludio di quella invisibilità etica che è disconoscimento che ogni essere è per se stesso, fin dall’inizio della sua avventura umana. Domanda per nulla polemica: che cosa ci vorrà ancora per prendere atto che senza il principio fondativo della dignità intangibile di ogni pur iniziale vita umana, ogni scivolamento diviene a portata di mano?

In questo contesto, inevitabilmente denso di significati, sarà bene che la cittadinanza inquadri con molta attenzione ogni singola verifica elettorale, sia nazionale sia locale e quindi regionale. L’evento del voto è un fatto qualitativamente importante che in nessun caso converrà trascurare. In esso si trasferiscono non poche delle preoccupazioni cui si è fatto riferimento, giacché il voto avviene sulla base dei programmi sempre più chiaramente dichiarati e assunti dinanzi all’opinione pubblica, e rispetto ai quali la stessa opinione pubblica si è abituata ad esercitare un discrimine sempre meno ingenuo, sottratto agli schematismi ideologici e massmediatici. C’è una linea ormai consolidata che sinteticamente si articola su una piattaforma di contenuti che, insieme a Benedetto XVI, chiamiamo «valori non negoziabili», e che emergono alla luce del Vangelo, ma anche per l’evidenza della ragione e del senso comune. Essi sono: la dignità della persona umana, incomprimibile rispetto a qualsiasi condizionamento; l’indisponibilità della vita, dal concepimento fino alla morte naturale; la libertà religiosa e la libertà educativa e scolastica; la famiglia fondata sul matrimonio fra un uomo e una donna. È solo su questo fondamento che si impiantano e vengono garantiti altri indispensabili valori come il diritto al lavoro e alla casa; la libertà di impresa finalizzata al bene comune; l’accoglienza verso gli immigrati, rispettosa delle leggi e volta a favorire l’integrazione; il rispetto del creato; la libertà dalla malavita, in particolare quella organizzata. Si tratta di un complesso indivisibile di beni, dislocati sulla frontiera della vita e della solidarietà, che costituisce l’orizzonte stabile del giudizio e dell’impegno nella società. Quale solidarietà sociale infatti, se si rifiuta o si sopprime la vita, specialmente la più debole?

Nota: Artificiosamente si contrappone alla prolusione del cardinale Bagnasco una dichiarazione dei vescovi liguri (primo firmatario lo stesso cardinale Bagnasco) secondo cui i valori "non negoziabili" e gli altri valori (definiti "indispensabili" nella prolusione) "non possono essere selezionati secondo la sensibilità personale, ma vanno assunti nella loro integralità". Che il buon cattolico debba assumere tutta la dottrina sociale della Chiesa è ovvio, ma questo non toglie la distinzione fra i valori non negoziabili - una nozione tecnica, che si riferisce solo ai tre valori fondamentali relativi a vita, famiglia, libertà di educazione - e gli altri. Inoltre, una semplice lettura dei documenti del sito www.alleanzapercota.org mostra come anche sul valore dell'accoglienza agli immigrati i programmi del centro-sinistra, e in particolare di Mercedes Bresso in Piemonte, NON sono preferibili a quelli del centro-destra se esaminati alla luce della dottrina sociale della Chiesa.

2. Che cosa dichiara Mercedes Bresso sui punti sollevati dal cardinale Bagnasco

Sull’aborto: Collaboro con Emma Bonino da quando“era vicepresidente del CISA, l’associazione che assicurava alle donne diritto all’aborto”: “con Franca Rame facemmo una dichiarazione di aborto. Fummo incriminate per autocalunnia” (intervista a Gay TV, 5.6.2009).

Sulla pillola RU486: “La scelta della pillola abortiva rientra fra le opzioni previste da una legge dello Stato, la 194. Una soluzione dal punto di vista medico che permette alle donne di soffrire di meno” (La Stampa, 30.9.2005).

Sulla banalizzazione dell’aborto somministrando la RU486 in “day hospital”: “Sono contraria all’obbligo di ospedalizzazione, una volta assunta la pillola abortiva Ru486, per le donne che decidono di interrompere la gravidanza. Sono convinta che, sotto il profilo etico, non ci siano differenze tra l’interruzione di gravidanza terapeutica e quella farmacologica. Da questo punto di vista, un eventuale aggravio di costi per la Regione è del tutto indifferente” (dichiarazione del 6.8.2009, sul suo sito).

Sulla “pillola del giorno dopo”: “Ieri mattina la Presidente Bresso ha sottoscritto con convinzione la petizione dell’Associazione Luca Coscioni che richiede l’abolizione dell’obbligo di ricetta per la pillola del giorno dopo” (comunicato stampa del 1°-3-2010).

Sull’eutanasia: “Tutti sappiamo che la vita di Eluana è artificiale. Si sostiene che alimentazione e idratazione non sono trattamenti medici e questo è un falso” (L’Unità, 23.1.2009). “Il disporre della propria vita e della propria morte rappresenta un diritto di libertà assoluto per l’individuo” (appello di Paola Bresso, sorella di Mercedes, condiviso e diffuso sul proprio sito dalla presidente il 4.3.2009).

Sul matrimonio omosessuale: “Per il momento [corsivo mio] credo si debba introdurre un provvedimento simile al Pacs che garantisca diritti veri. In prospettiva, compatibilmente con il necessario cambiamento culturale, credo che si debba pensare ad un riconoscimento vero e proprio come il matrimonio” (Gay TV, 5.6.2009). A proposito delle nozze lesbiche “celebrate” a Torino dal sindaco Sergio Chiamparino in piena campagna elettorale: “Sono assolutamente d'accordo con Sergio e se mi avessero invitato avrei partecipato a quella cerimonia” (La Stampa, 6.3.2010).

3. Il commento di Giuliano Ferrara (il Foglio, 23-3-2010)

Giustamente Emma Bonino, il diavolo laicista in corsa per la presidenza del Lazio, che per errore era finito a pagina 11 nel giornale della Cei, dice che la prolusione del capo dei vescovi italiani, il cardinale Angelo Bagnasco, è stata un “evergreen”, insomma nessuna novità emergerebbe dalle cose dette ieri nella riunione della Conferenza episcopale. La Bonino a Roma, e la Mercedes Bresso candidata a Torino, aspirano infatti, con l’ingordigia tipica dei fenomeni preternaturali, a incassare il voto cattolico solidarista, ostile (e si capisce anche perché) alla destra di governo e alle sue posizioni liberali o, se volete, di egoismo territoriale e sociale. Solo che è impossibile, a questo scopo, neutralizzare le parole serie, impegnative e solenni di Bagnasco.

Gli elettori faranno come sempre quel che credono, ci mancherebbe. Le suore americane, o una loro componente cospicua, hanno praticato un lobbying aperto, appassionato, sistematico, in favore della riforma sanitaria di Barack Obama, qualunque cosa ne pensassero i vescovi e i fedeli cattolici socialmente conservatori, per l’evidente motivo che essa favorisce assistenza e solidarietà mentre tende a svalutare criteri tipicamente conservative come la responsabilità individuale e la libertà di scelta privata a fronte del governo federale. Non è da dubitare che parte dell’elettorato cattolico-democratico italiano, e dello stesso clero, a partire dalle famose suorine venete che determinarono nel 1996 la prima vittoria di Romano Prodi contro Epulone Berlusconi, resterà sulle proprie posizioni. Ma Bagnasco ha formalizzato un monito di obbedienza, razionalmente motivato, che non lascia scampo.

E per ragioni che i lettori di questo giornale e i pochissimi amati elettori della lista pazza (Aborto? No, grazie) conoscono assai bene. Bagnasco ha ripetuto con vigore che la frontiera della vita è decisiva nel giudizio “politico”, che l’offesa dell’aborto all’umanità sta nel suo essere divenuto sordo moralmente, un’attività di routine nel controllo e nella pianificazione delle nascite, ma nondimeno un’ecatombe, un delitto efferato di natura culturale, una guerra segreta agli invisibili e ai deboli che grida vendetta al cospetto della ragione umana e della ragione divina. E questi, prima di ogni giaculatoria sociale, sono i principi non negoziabili della chiesa di Benedetto XVI. Chi vuole può ovviamente votare contro questa cultura di radice personalista e cristiana, e premiare le grandi antagoniste, la Bresso e la Bonino, ma da oggi sa quel che fa.


VESCOVI ITALIANI CON BAGNASCO SULLA PRIORITÀ DELLA DIGNITÀ UMANA - Il resoconto del primo giorno di lavori del portavoce della CEI
ROMA, martedì, 23 marzo 2010 (ZENIT.org).- I Vescovi del Consiglio permanente hanno condiviso pienamente la lettura del momento sociale e culturale offerta dal Cardinale Angelo Bagnasco, Presidente della Conferenza Episcopale Italiana (CEI), nella prolusione pronunciata lunedì.
In particolare, ha dichirato mons. Domenico Pompili, portavoce della CEI, i presuli “si sono ritrovati nei 'valori non negoziabili', che il magistero di Benedetto XVI ha chiaramente indicato nella sua recente Enciclica 'Caritas in veritate'” e che il Presidente della CEI ha puntualmente richiamato come linee guida alla base del discernimento politico per i cattolici in vista delle prossime elezioni regionali.
Nell'inaugurare i lavori del Consiglio episcopale permanente, il Cardinale Bagnasco ha parlato di quei valori che “emergono alla luce del Vangelo, ma anche per l’evidenza della ragione e del senso comune” e che “sono: la dignità della persona umana, incomprimibile rispetto a qualsiasi condizionamento; l’indisponibilità della vita, dal concepimento fino alla morte naturale; la libertà religiosa e la libertà educativa e scolastica; la famiglia fondata sul matrimonio fra un uomo e una donna”.
“E’ solo su questo fondamento – ha continuato il porporato – che si impiantano e vengono garantiti altri indispensabili valori come il diritto al lavoro e alla casa; la libertà di impresa finalizzata al bene comune; l’accoglienza verso gli immigrati, rispettosa delle leggi volta a favorire l’integrazione; il rispetto del creato; la libertà dalla malavita, in particolare quella organizzata”.
“Si tratta – ha aggiunto poi – di un complesso indivisibile di beni, dislocati sulla frontiera della vita e della solidarietà, che costituisce l’orizzonte stabile del giudizio e dell’impegno nella società”.
Queste indicazioni, ha sottolineato mons. Pompili, coincidono con quanto affermato con chiarezza da Santo Padre nella Caritas in veritate: “Non può avere basi solide una società che – mentre afferma valori quali la dignità della persona, la giustizia e la pace – si contraddice radicalmente accettando e tollerando le più diverse forme di disistima e violazione della vita umana, soprattutto se debole ed emarginata”.
“Ampio spazio – ha proseguito il portavoce della CEI – è stato poi dedicato alla Lettera ai cattolici d’Irlanda, condividendo la preoccupazione del Santo Padre e quella del Presidente della CEI secondo cui si tratta di 'un crimine odioso', ma anche peccato scandalosamente grave che tradisce il patto di fiducia inscritto nel rapporto educativo”.
A questo proposito, ha precisato, “i Vescovi hanno riaffermato l’esigenza di compiere una selezione accurata dei candidati al sacerdozio, vagliando la loro maturità umana ed affettiva oltre che la loro maturità spirituale e pastorale”.
“Tutti hanno concordato sul fatto che il celibato non costituisce un impedimento o una menomazione della sessualità, ma una forma alternativa e umanamente arricchente di vivere la propria identità in una radicale donazione a Cristo e alla Chiesa”.
Inoltre, ha evidenziato mons. Pompili, “si sono confermate fiducia e gratitudine ai tantissimi sacerdoti che nel nascondimento e spesso con sovraccarico pastorale si dedicano all’annuncio del Vangelo”.
“I lavori – ha concluso – hanno poi preso in esame la bozza degli Orientamenti pastorali del prossimo decennio, che ravvisano proprio nell’educazione la grande sfida per la Chiesa in alleanza con le componenti più avvertite della società e della cultura odierne“.


Avvenire.it, 23 Marzo 2010 – FAMIGLIA - Il Rapporto Cisf: l'Italia non è un Paese per figli - Andiamo verso il «suicidio demografico»
Andiamo verso il «suicidio demografico», tuona il XIII Rapporto del Centro internazionale studi famiglia, presentato ieri a Milano. «Un Paese dove non viene garantita la libertà di procreare quanti figli si desiderano», fa eco Francesco Belletti, che del Cisf è direttore. Già perché se oggi in Italia ogni donna ha in media 1,71 figli, nella realtà ne desidererebbe 2,13. Perché quel mezzo figlio in più rimane nel libro dei desideri delle coppie? «Perché nel nostro Paese tutti si riempiono la bocca con la famiglia, tutti fanno promesse, ma poi non si fa nulla», provoca don Antonio Sciortino, direttore di Famiglia Cristiana, cui fa capo il Cisf.

La responsabilità della procreazione - Il Rapporto del Cisf "Il costo dei figli. Quale welfare per le famiglie" (edito da FrancoAngeli), curato dal sociologo Pierpaolo Donati, rileva che la responsabilità della procreazione oggi ricade solo su una famiglia su due (il 53,4 delle famiglie anagrafiche non ha figli): di queste, il 21,9 per cento hanno un solo figlio, il 19,5 ne ha due e il 4,4 per cento di temerari si spingono fino a tre figli. Va oltre il terzo bambino appena lo 0,7 delle famiglie. Perché si rinuncia al secondo o al terzo figlio? Una famiglia su 5 perché non ha abbastanza soldi, il 9 che non riesce a conciliare famiglia e lavoro e un altro 11,7 per cento che ci penserà più avanti. Altre «motivazioni personali» hanno inciso per il 57,8 per cento dei casi. «In sostanza – fa notare il team di ricercatori che ha condotto l’indagine – le cause che hanno ristretto la natalità sono per quasi il 58 per cento rappresentate da motivi soggettivi. Possiamo dire che si tratta di motivi psicologici legati al senso di incertezza e al rischio sul futuro, così come a fattori culturali legati alle difficoltà di impegnarsi nell’educazione dei figli, più che a vincoli strutturali o economici in senso stretto».

Tempo, servizi e denaro - Francesco Belletti ha sintetizzato che per fare figli servono tre cose: tempo, servizi e denaro, in una mappa delle opportunità che è fortemente diseguale tra regione e regione. Le famiglie a più basso reddito spendono per ogni figlio (costo di accrescimento,) 308 euro, quelle a più alto reddito addirittura 1.861 euro al mese, creando una diseguaglianza delle opportunità cui possono godere i figli. È di un «welfare delle opportunità» ha parlato anche il presidente della Camera Gianfranco Fini, intervenuto alla presentazione del Rapporto, pensando soprattuto ai giovani che «al di là delle facili polemiche sui bamboccioni», stanno diventando sempre più una «categoria strutturale debolezza nella società».


Una questione di fede - Lorenzo Albacete – ilsussidiario.net - mercoledì 24 marzo 2010
Dopo un secolo dal primo tentativo di un presidente (Teddy Roosevelt, Repubblicano) di dare a tutti gli americani una copertura sanitaria certa e accessibile, cento anni in cui presidenti di entrambi i partiti non sono riusciti a far approvare le proprie proposte, il presidente Obama è riuscito a compiere ciò che sembrava impossibile fino a qualche settimana fa. Dopo mesi di aspre discussioni ideologiche e partigiane, ieri il presidente ha firmato la riforma del sistema sanitario approvata dalla Camera dei Rappresentanti domenica notte, che è ora legge degli Stati Uniti.

Il dibattito continuerà nelle prossime settimane, perché il Senato si appresta a votare gli emendamenti apportati alla Camera all’originario testo approvato dal Senato stesso. I Democratici sono sicuri di farcela, poiché questa volta basterà la semplice maggioranza dei voti. I Repubblicani, dal canto loro, sono convinti che la maggioranza del popolo americano sia preoccupata da questa legge, con o senza gli emendamenti in discussione, e che quindi la loro costante opposizione alla riforma li aiuterà nelle prossime elezioni di novembre. Sono però tutti d’accordo che adesso tocchi a Obama spiegare agli americani che questa sua sorprendente vittoria è anche la loro.

Un esercito di osservatori, analisti, giornalisti, esperti politici, blogger, ecc. si metteranno ora ad analizzare il significato di questa battaglia politica e sarà interessante vedere come i più ponderati tra loro interpreteranno il fatto che, alla fine, la vittoria o la sconfitta della riforma sanitaria è dipesa da un solo fattore: dall’aborto e, in particolare, dall’insegnamento della Chiesa cattolica in questa materia.

La forte opposizione dei vescovi al testo approvato dal Senato, ritenuto insufficiente ad assicurare che fondi federali non venissero utilizzati, direttamente o indirettamente, per pagare aborti, ha messo in evidenza le divisioni tra i cattolici riguardo all’autorità del magistero della Chiesa. Per molti cattolici, convinti che il diritto a una sanità accessibile e di qualità sia un diritto naturale (come hanno peraltro continuato ad affermare i vescovi), l’opposizione dei vescovi ha provocato un grave dramma personale.

Due esempi di questo dramma rivelano cosa c’è in gioco. In primo luogo il caso del deputato Repubblicano Anh “Joseph” Cao, nato a Saigon nel 1967, figlio di un ufficiale sudvietnamita arrestato dai comunisti. All’età di otto anni, Cao è fuggito negli Stati Uniti, ha imparato l’inglese, si è distinto a scuola e si è poi laureato in fisica alla Baylor University. Dopo di che ha deciso di diventare prete ed è arrivato a New Orleans nel 1992, che ha lasciato per prendere un master in filosofia alla Jesuit Fordham University di New York City.

In seguito ha rinunciato a farsi prete ed è andato a insegnare filosofia ed etica alla Loyola University, diventando anche un attivista per la giustizia sociale, in quella che definisce “una crociata personale”, e consigliere dei vescovi su varie materie sociali. Nel dicembre 2008, Cao è stato eletto alla Camera dei Rappresentanti per il distretto della Louisiana in cui è anche New Orleans, primo vietnamita americano a essere eletto al Congresso. Nello scorso dicembre, Cao fu l’unico Repubblicano nella Camera a votare a favore del progetto di riforma, ma quando al Senato è stata cambiata la formulazione del divieto di sovvenzionamento federale dell’aborto, Cao ha deciso di non votare il testo definitivo della legge.
É una questione di coscienza, ha detto. Obama lo ha personalmente invitato alla Casa Bianca e gli ha chiesto di studiare a fondo la versione del Senato della clausola antiaborto prima di prendere una decisione. Cao ha accettato e ha speso tempo per studiare, consultarsi e pregare, per decidere alla fine che doveva votare contro, nonostante l’importanza della riforma sanitaria per il suo impegno in favore della giustizia sociale.

Sabato notte infatti ha votato contro il progetto di legge, anche dopo che deputati Democratici cattolici pro-life avevano accettato la decisione di Obama di emettere un ordine presidenziale per assicurare che fondi federali non fossero usati per l’aborto (decisione che ha provocato l’opposizione dei pro-choice che avevano accettato la formulazione del progetto di legge). Sarà interessante vedere come il suo voto contrario influenzerà i risultati delle elezioni di novembre in un distretto come il suo, dove i Democratici hanno una forte presenza.

Il secondo esempio riguarda un gruppo di suore cattoliche che si sono opposte al documento dei vescovi contro il testo del Senato, sostenendo che la loro lettura della clausola antiaborto era non solo scorretta, ma anche teologicamente sbagliata. Una delle suore ha affermato che i vescovi hanno male interpretato il Vangelo e l’esempio di Gesù.

Naturalmente, la stampa ha dato ampio rilievo alla divisione, così come alla vicenda degli abusi su minori da parte di preti in Europa, un’altra questione che va contro la necessità che i cattolici mantengano quell’unità richiesta dalla natura della Chiesa. Alla fine, non si tratta solo di una questione di coscienza, che ovviamente deve essere seguita. È una questione di fede che porta alla carità, il fondamento dell’insegnamento sociale della Chiesa.


J’ACCUSE/ Barcellona: all’Italia anticristiana non servono nuovi precetti - INT. Pietro Barcellona - mercoledì 24 marzo 2010 – ilsussidiario.net
Pochi giorni prima delle elezioni regionali, il presidente della Cei, Angelo Bagnasco, ha esortato gli italiani a votare tenendo conto di quei «valori non negoziabili che emergono alla luce del Vangelo, ma anche per l’evidenza della ragione e del senso comune». Innanzitutto quindi il rispetto assoluto per la dignità della vita. L’appello di Bagnasco, com’era prevedibile, fa discutere. la Cei lo ripete oggi in una nota: non ci può essere «solidarietà sociale» se «si rifiuta o sopprime la vita». In altri termini, una cultura contraria alla vita mina le basi della convivenza civile. Bisognerebbe, ha detto ieri Bagnasco, che si tornasse a «scorgere qualcosa di sacro in ciò che fonda ogni società».
Non sembra un compito facile. Il nostro paese, per dirla con un recente editoriale di Ernesto Galli della Loggia sul Corriere della Sera, raccoglie i frutti di una «grande trasformazione dello spirito pubblico», che non lo fa più essere un paese in maggioranza cattolico. «Quell’articolo è importante - dice a ilsussidiario.net Pietro Barcellona, filosofo del diritto - perché pone una questione reale: questa società non è più cristiana».

Lo sapevamo da tempo, professore, o no?

Sì, ma Galli della Loggia lo dice in modo particolarmente efficace. Ha il merito di denunciare un pericoloso clima anticattolico. E porta le prove di un progressivo allontanamento dalla Chiesa cattolica, che non è solo secolarizzazione, come l’abbiamo finora conosciuta, ma desacralizzazione del popolo italiano. «Radicalismo enfatico - dice - nutrito d’acrimonia» contro la Chiesa e l’idea stessa di una istituzione cristiana. La sua prospettiva però è parziale.

Che cosa verrebbe trascurato?

Galli vede tutto nello schema del rapporto della Chiesa col mondo esterno. Ma non è così, perché la scristianizzazione colpisce anche la Chiesa al suo interno. Bagnasco lo dice a proposito dei preti. «L’apertura al mondo, ai fatti della vita, alla contemporaneità, non va scambiata con l’ingenua condiscendenza allo spirito del tempo».

In poche parole, che cosa non dice Galli della Loggia secondo lei?

Al di la del fatto che l’irrisione, l’aggressività e il radicalismo vadano a colpire la Chiesa, quando questo accade non è in gioco solo la Chiesa ma la stessa identità dell’essere uomo. Questo è il punto. Perché un uomo che non ha più alcun rapporto con le questioni di Dio e della Chiesa, è un uomo che si è impoverito.

Da non credente sembra preoccupato per la Chiesa. Perché?

La mancanza di fede, l’incapacità di porsi con uno spirito profetico rispetto ai problemi angoscianti di quest’epoca, è un aspetto che colgo anche all’interno della Chiesa. Mi trovo spesso, purtroppo, di fronte a professioni di appartenenza alla Chiesa cattolica, e al tempo stesso a comportamenti e convinzioni che ne sono estranei.

Gli scandali sessuali, per esempio?

No. Quelli sono un fatto tragico, ma anche un problema a parte. Mi riferisco invece a quello che lo stesso Joseph Ratzinger, nella via crucis che precedette la sua elezione a pontefice, aveva denunciato con toni commoventi, quando disse che c’era una Chiesa che non era più capace di svolgere il compito che per sua missione dovrebbe avere. Quello di portare dentro questa vita quotidiana, sempre più svuotata e annichilita, la questione del significato vero dello stare al mondo. Di far pensare ad una presenza misteriosa che non può che inquietarci, e farci pensare.

Galli della Loggia parla di un cinismo secolare degli italiani, quel cinismo «che sa come va il mondo e dunque non se la beve». Il cinismo degli scettici, insomma.

Il problema è più profondo. L’uomo di oggi sta attraversando una fase terribile, perché non ha più vita interiore, non segue all’interno di sé alcun principio o regola, ma asseconda semplicemente le proprie scariche pulsionali. È in balia di un edonismo tragico che non lascia nessuno spazio, non solo al pensiero, ma neanche all’amore. Siamo totalmente privi di una proiezione verso il futuro. Ma per averla serve sperare. Invece, siamo definiti dall’istante.

Di chi sono le responsabilità?

Lei mi ha parlato di cinismo. Il primo cinismo in Italia è quello di un ceto di intellettuali mercenari che non danno minimamente la sensazione di credere in quello che dicono, ma che scrivono per ragioni di opportunità e di potere. Non si mettono in campo per testimoniare una verità, ma per dare regole e consigli. Usano un linguaggio istintivo più che trasformativo. Non coltivano pensieri; privi come sono di un’impostazione «socratica», li fanno morire.

A leggere i giornali sembra quasi che Bagnasco sia intervenuto solo per dire ai cattolici di non votare contro l’aborto, invece il suo discorso è più complesso. «È la fede - dice - il vero caso serio della vita».

La Cei si mette in una posizione «normativa» più che problematica. Fa affermazioni condivisibili, forse al di sotto della soglia di drammaticità che stiamo vivendo. La società nella quale ci troviamo persegue un benessere consacrato da una visione ecumenica in cui la religiosità coincide con l’etica. L’evento di Cristo, che irrompe nella storia, può essere messo da parte.

E invece?

Di teorie è pieno il mondo. Sono convinto che oggi la discontinuità che fu introdotta da quell’evento debba essere messa a pietra angolare. Perché è la pietra dello scandalo, ed è solo la pietra dello scandalo che può essere l’occasione per una nuova creazione.

Che cosa non la convince del messaggio del card. Bagnasco?

Il sacro di cui parla Bagnasco non è scindibile dalla tormentosa condizione in cui si trova l’essere umano. O è sacro l’uomo nella sua interiorità travagliata, dove ci sono speranze e conflitti, oppure questo sacro si perde, perché diventa «esterno». E ultimamente, estraneo.

Secondo lei l’intervento del capo dei vescovi contravviene al principio di laicità?

No, la Chiesa sui cosiddetti «principi non negoziabili» è sempre intervenuta e lo farà sempre. Io avrei preferito un attacco contro la mentalità dominante più che la dichiarazione o l’ammonimento a non votare chi è per il divorzio e l’aborto. Ma non ho mai avuto, neanche da politico, la preoccupazione di un’ingerenza della Chiesa.

La Bonino ha replicato a Bagnasco, dicendo che «sono le solite cose».

Non ho mai condiviso le posizioni dei radicali, e da parlamentare del Pci mi sono sempre speso per bloccare il loro ostruzionismo ottuso. La Bonino poi non ha niente a che fare né con Roma né con la storia della sinistra. Ma purtroppo queste elezioni sono legate a candidature occasionali, senza disegno. Sono elezioni più vecchie di quanto non si possa immaginare.


Avvenire.it, 24 Marzo 2010 - La domanda del cardinale, i dubbi interiori di tanti, i figli che mancano - Quell’«energia morale» che aiuta a dare vita al futuro di Marina Corradi
«Quella energia morale che avevamo dentro e ha consentito a una nazione, uscita dalla guerra in condizioni penose, di ritrovarsi in qualche decennio fra le prime al mondo, quella forza vitale, che fine ha fatto?». La domanda posta dal cardinale Bagnasco tra le righe della prolusione al Consiglio permanente della Cei torna in mente davanti ai numeri del rapporto 2009 del Cisf, Centro internazionale studi famiglia, presentato ieri. Tra i tanti dati, una risposta colpisce. Perché gli italiani hanno così pochi figli? Perché, se mediamente ne desidererebbero due, si fermano spesso al primo, e unico? Sorprendente, ma nemmeno il venti per cento degli intervistati si concentra solo sulle motivazioni economiche (che purtroppo, come si sa, pesano da noi più che altrove). Anche la scarsità di tempo per la famiglia, o di servizi per l’infanzia, e perfino la precarietà del lavoro, sembrano contare poco rispetto a quella grande "fetta" di risposte (58%) che indica ragioni psicologiche e culturali: incertezza, paura del futuro, difficoltà a impegnarsi nella educazione. Timore insomma di non farcela, di non sapere o potere essere padri.

In questa Italia, nel cuore del Primo mondo, da sessantacinque anni in pace, non si fanno figli, come lambiti da una indefinita paura. In quale mondo vivrà, quel bambino? Come se inquietudini diverse formassero insieme una cortina di sbarramento, un "no" più viscerale che meditato. Qualcuno, ne abbiamo incontrato uno tutti, lo dice apertamente: perché mettere al mondo dei figli, in un mondo così brutto? (E anche se non siamo d’accordo, non c’è forse una parte di noi che capisce questa angoscia? Quanti, tra i film di successo di questi ultimi anni, descrivono una apocalisse, una civiltà rasa al suolo da guerre o catastrofi naturali? Come se un fantasma inseguisse l’Occidente, e anche noi). Non ci minacciano carestie, né sacchi vandalici, o assedi o pestilenze, un tempo così comuni. Nascere oggi in Italia sembra razionalmente più conveniente che nascere solo cento anni fa, quando si poteva morire di morbillo, e ben pochi andavano a scuola; o nel 1945, quando le città devastate dalla bombe, la memoria dei lutti, l’economia annientata, la fame, avrebbero potuto suggerire di non avere figli, in un mondo che si era appena dimostrato capace di tanta ferocia. Invece, no.

I racconti dei vecchi ci testimoniano di città risorte, di fabbriche ricostruite, di scuole in cui si andava a piedi, percorrendo chilometri, e si restava al gelo, e tuttavia si andava: in tanti, giacché di avere figli, nonostante tutto, non si aveva paura. Certo, di mezzo c’è stato l’avvento della pillola, e la metamorfosi da un’Italia contadina a una post industriale – dove le "braccia" non sono più un valore. Ma qui parliamo di desideri: gli italiani oggi non fanno i figli che, quanto a cuore, vorrebbero. Per una confusa incertezza, e anche per un dubbio sulla possibilità reale di educarli. Parlando due anni fa alla diocesi di Roma, Benedetto XVI indicò una «crisi di fiducia nella vita» alla radice della crisi della educazione. Sembra questo un tasto profondo e dolente che riemerge, ora nelle cronache, ora nei numeri di un rapporto sul campo. Sì, l’italiano medio può immaginare che ce la farà, a sfamare e vestire un altro figlio. Ma, a crescerlo? A seguirlo, in un complicato mondo di solitudini e di insidie virtuali? E per insegnargli, poi, che cosa, per spingerlo in quale direzione?

I nostri padri sopravvissuti alla guerra avevano la forza grande d’avere attraversato il male e dolore, e di sapere con certezza, al di là di ogni fede politica, di volere vivere, e continuare nei figli. Erano certi, dentro a una tradizione cristiana ereditata oltre alle appartenenze, che la vita ha un senso; e che ogni uomo ha un compito, e un destino. Ci chiediamo quale sarebbe la percentuale di consenso, se la domanda della prossima indagine riguardasse questa questione. I figli che non abbiamo, sono anche forse i figli di un radicale dubbio interiore.
Marina Corradi