Nella rassegna stampa di oggi:
1) Avvenire.it, 3 Marzo 2010 - Battaglia culturale per la vita - Gli appelli generici non bastano più
2) Avvenire.it, 3 Marzo 2010 - BATTAGLIA PER LA VITA - Aborto, ecatombe in Europa
3) CROCIFISSO/ Mario Mauro: ora l'appello italiano mette paura all'Europa laicista - Mario Mauro - mercoledì 3 marzo 2010 – ilsussidiario.net
4) Dove sta la verità? - Lorenzo Albacete - mercoledì 3 marzo 2010 – ilsussidiario.net
5) “LOURDES”, IL FILM CHE NON TI ASPETTI - di Elizabeth Lev*
6) ACCOLTO IL RICORSO DELL'ITALIA SUL CROCIFISSO NELLE SCUOLE - Il commento della CEI: “un passo avanti nella giusta direzione”
7) ALLE MINORANZE CATTOLICHE DEVE ESSERE RICONOSCIUTO IL “DIRITTO DI ESISTERE” - Monsignor Giordano all'Incontro dei presidenti dei Vescovi del Sud-Est europeo
8) Avvenire 2 Marzo 2010 - LA DIFESA DEI VALORI - Famiglia e unioni gay - «No all’equiparazione» - di Marco Bonatti
9) Per il bene di tutti. Ricomincio da me - Autore: Buggio, Nerella - Fonte: CulturaCattolica.it - martedì 2 marzo 2010
10) 2/03/2010 – ISLAM - Donna, parità e islam: ripensare la fede per rispondere alle attese dell’uomo moderno - di Samir Khalil Samir, SJ
11) Creazione, complessità ed evoluzione - Una casualità troppo intelligente per essere casuale - di Fiorenzo Facchini - L'Osservatore Romano - 3 marzo 2010
12) SPAGNA - Approvata nuova legge sull'aborto - Notizia 25 febbraio 2010 – da sito ADUC – aborto libero fino a 14 settimane e eutanasia anche dopo la 22esima settimana se il feto dovesse soffrire di una "malattia di estrema gravità e incurabile"
13) La logica dell'Annunciazione - Articolo di Massimo Introvigne sul periodico "Donna Vestita di Sole", anno XV, n. 129, marzo 2010
Avvenire.it, 3 Marzo 2010 - Battaglia culturale per la vita - Gli appelli generici non bastano più
La presentazione del Rapporto sull’aborto in Europa, elaborato dall’Istituto per le politiche familiari e presentato ieri a Bruxelles, piuttosto che assomigliare a un rigoroso resoconto statistico sulla popolazione continentale sembra un bollettino di guerra, l’impietosa fotografia di un massacro silenzioso. Alcuni dati per capire: in Europa nel 2008 si è consumata la morte di 2,9 milioni di bambini non nati, uno ogni 11 secondi, 327 ogni ora, 7.468 al giorno.
Negli ultimi 15 anni solo nell’Europa comunitaria la cifra è di 20 milioni di bambini che non hanno visto la luce, e l’Italia, insieme alla Gran Bretagna, la Francia e la Romania fa parte del gruppo di testa di questa impressionante carneficina.
L’aborto ha così ormai perso l’immagine di una pratica eccezionale e dolorosa, compiuta per motivi gravi di salute della madre o del piccolo, per diventare in pochi decenni un metodo di controllo delle nascite, entrando nel costume sociale e nel sentire comune come una pratica "normale" che ha progressivamente condotto la coscienza collettiva a non considerarlo un "reato" contro la vita, quanto piuttosto come un "diritto" da parte della donna di autogestire la propria sessualità.
La successiva mistificante evoluzione linguistica, avviata nella Conferenza del Cairo su Popolazione e sviluppo, nel settembre 1994, che ha declinato l’aborto con il concetto di "diritto alla salute riproduttiva", ha spalancato le porte alle legislazioni nazionali e internazionali, convinte ormai con l’ultima arrivata – la Spagna – che in pieno clima interculturale si debba favorire la convivenza di un sano pluralismo etico.
Non si avverte però l’abissale differenza che separa la semplice accettazione di idee e di comportamenti diversi con l’ammissione devastante che compromette il diritto di esistere di altre persone. Non si tratta infatti di manifestare opinioni culturali, prive di incidenze sociali, o di scelte etiche che coinvolgono la singolarità della coscienza personale, ma di opzioni che coinvolgono altri, come bambini non fatti nascere e che invece circostanze favorevoli avevano condotto alle soglie dell’esistenza.
Certo è che gli appelli generici non bastano più. Va al contrario avviata una rivoluzione culturale che trovi un necessario supporto con decise politiche di garanzia e di sostegno per il figlio e la madre. Lo ha capito bene l’Istituto estensore del Rapporto che alla fine della sua analisi sul desolante sviluppo zero della demografia europea indica alcune interessanti proposte, come quella di promuovere il diritto alla vita tramite la richiesta alla politica di condizioni sociali favorevoli, volte a supportare gli aiuti alla gravidanza intesa come bene sociale. Interessante anche l’idea di monitorare la curva demografica all’interno dei singoli Paesi della Ue al fine di sostenere politiche comunitarie che risveglino la cultura dell’accoglienza e favoriscano la percezione sociale che la vita, prima ancora della libertà, è un diritto inalienabile che non può essere soffocato.
Oltre che potenziare centri di aiuto e di ascolto, si reclamano anche politiche finanziarie che, ad esempio riducano le spese dei prodotti per la prima infanzia, e che sostengano – tramite bonus – la preparazione nei nove mesi dell’attesa di quei supporti necessari per l’arrivo del bambino.
Piccoli segni, si dirà, ma indispensabili perché alla cultura dell’individualismo autocentrato e chiuso al futuro possa sostituirsi uno sguardo più aperto al domani, che vogliamo sia ospitale e promettente per quanti – si spera tanti – verranno dopo di noi.
Paola Ricci Sindoni
Avvenire.it, 3 Marzo 2010 - BATTAGLIA PER LA VITA - Aborto, ecatombe in Europa
Con 2.863.649 aborti praticati e censiti ogni anno in Europa, di cui 1.207.646 nella sola Ue, nel Vecchio Continente l’aborto sta diventando la principale causa di morte. Più del cancro, più dell’infarto, e in 12 giorni viene soppresso un numero di embrioni pari a quello dei morti in incidenti stradali lungo l’intero anno. A sottolineare il peso che il fenomeno ha sulle società europee potrebbero bastare le nude cifre, che sono in aumento in numerosi Paesi, la Spagna in prima fila.
Ma dalle cifre dello studio «L’aborto in Europa e in Spagna» presentato ieri a Bruxelles dallo spagnolo Istituto di politica familiare (Ipf) si ricavano indicazioni che impressionano su vari piani: sulle tendenze in atto, sul loro impatto anche demografico per cui il numero degli aborti coincide con il deficit demografico dell’Ue, su quel che esse segnalano in termini di evoluzione complessiva nelle nostre società nei confronti di valori fondamentali.
E sulla cadenza incalzante degli aborti praticati nel nostro continente: uno ogni 11 secondi, 327 ogni ora, 7486 al giorno. Il tema del rispetto dei valori nella società europea è stato al centro della conferenza stampa in cui, nella sede dell’Europarlamento, è stato illustrato lo studio dell’istituto spagnolo. Aprendo la riunione Jaime Mayor Oreja, capo della delegazione spagnola nel gruppo parlamentare del Ppe, ha osservato che «la manifestazione più crudele della crisi dei valori è il diritto all’aborto».
Con questa espressione non aveva bisogno di chiarire quanto allarme abbia destato tra i Popolari il voto con cui il 10 febbraio scorso l’Europarlamento ha approvato su proposta di un socialista belga una risoluzione sulla parità di diritti tra uomini e donne in cui si legge che alle donne dovrebbe essere garantito «il controllo dei loro diritti sessuali e riproduttivi, attraverso un accesso agevole alla contraccezione e all’aborto», e che esse «devono godere di un accesso gratuito alla consultazione in tema di aborto», nel quadro di un generale impegno dei governi a «migliorare l’accesso delle donne ai servizi della salute sessuale e riproduttiva e a meglio informarle sui loro diritti e sui servizi disponibili».
Il vicepresidente del Parlamento europeo Mario Mauro ha approfondito il tema dei valori citando Benedetto XVI sui pericoli del fondamentalismo e del relativismo: e annoverando tra le sue conseguenze la diminuzione del numero dei matrimoni e delle nascite. «Le cifre del relativismo – ha detto – sono le cifre della decadenza del nostro continente, del fallimento dei governi europei» che tra l’altro continuano a dedicare alla politica della famiglia solo una piccola parte delle spese sociali che nell’Ue assorbono un 28% del prodotto interno lordo.
«Il legame tra aiuti prestati alle famiglie e numero delle nascite è chiarissimo», ha insistito Mauro condannando le tendenze che puntano a «un nuovo concetto di famiglia, che non è famiglia», e a fare dello Stato di diritto una sorta di «supermercato dei diritti». Il presidente dell’Ipf, Eduardo Hertfelder si è poi soffermato sulle preoccupazioni che si acuiscono per la tendenza sugli aborti nel suo Paese, la Spagna.
Franco Serra
CROCIFISSO/ Mario Mauro: ora l'appello italiano mette paura all'Europa laicista - Mario Mauro - mercoledì 3 marzo 2010 – ilsussidiario.net
La Corte europea dei diritti dell’uomo ha dichiarato ammissibile l’appello proposto dall’Italia contro la nota sentenza Lautsi, che aveva decretato il divieto di esposizione del crocifisso nelle aule scolastiche, perché ipoteticamente in contrasto con la Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Si tratta del primo passaggio per ribaltare tale decisione, presa a novembre dello scorso anno.
Infatti, secondo le procedure previste per i giudizi davanti alla Corte di Strasburgo, è possibile proporre appello davanti alla Grand Chambre contro le decisioni emesse dalle sezioni della Corte. Tuttavia, prima che tale giudizio di secondo grado si svolga, c’è un Comitato di cinque giudici, che è chiamato a valutare l’ammissibilità dell’appello.
In particolare, il Comitato valuta l’importanza della decisione presa in primo grado dalla sezione della Corte e il suo distaccarsi dai precedenti giurisprudenziale della Corte stessa. Era dunque normale attendersi, come è avvenuto, che l’appello italiano fosse dichiarato ammissibile, considerata l’enorme risonanza che ha avuto la decisione della Corte. La ricevibilità del ricorso è un primo importantissimo passo nella giusta direzione e ora ci auguriamo che la Corte riveda il contenuto della sentenza e lo ribalti.
Si apre ora la seconda fase, e cioè quella di un nuovo giudizio da parte della Grand Chambre in ordine alla violazione della Convenzione a seguito dell’esposizione del Crocifisso nelle classi. Oltre all’Italia, sarebbe opportuno che tutti i numerosi Stati che hanno pubblicamente manifestato disappunto per la decisione di primo grado della Corte prendano parte al giudizio, così come pure i diretti interessati, e cioè le famiglie e gli studenti. Infatti, l’esposizione del Crocifisso non riguarda tanto lo Stato italiano, quanto piuttosto il popolo italiano, che può intervenire, previo giudizio favorevole del Presidente della Corte, per far valere le proprie ragioni.
È necessario, in particolare, porre un limite netto al crescente attivismo giudiziario della Corte, che tende sempre meno a riconoscere ai vari Stati un margine di apprezzamento su questioni legate indissolubilmente alle culture locali. La prova di questo sta nel fatto che nella decisione di primo grado non c’è nessun riferimento a tale margine di apprezzamento.
Giustificata la soddisfazione unanime del Governo italiano, che si è sempre dimostrato coerente e fermo nella difesa del principio di sussidiarietà e di quello che è un simbolo delle nostre tradizioni, della nostra cultura e della tradizione europea, tutte rappresentate dal simbolo religioso del crocifisso.
Dove sta la verità? - Lorenzo Albacete - mercoledì 3 marzo 2010 – ilsussidiario.net
Negli Stati Uniti, le “grandi notizie” della scorsa settimana sono state: le eccezionali tempeste di neve che hanno paralizzato per giorni il nord est del Paese; il terremoto in Cile che ha rischiato di paralizzare l’intera costa occidentale degli Stati Uniti, anzi l’intera costa del Pacifico dal Sud America alla Alaska e alla Russia, comprese le spiagge evacuate delle Hawai; l’incontro, una maratona di sette ore trasmessa dal vivo dalle tre maggiori stazioni televisive via cavo, in cui il presidente Obama ha discusso con autorevoli membri del Congresso la paralisi partigiana e ideologica nel dibattito sulla riforma sanitaria, conferma dei timori che molti hanno su una reale paralisi del governo; l’orca assassina che ha ucciso la sua addestratrice davanti a un pubblico inorridito al Sea-World Park in Florida e le Olimpiadi invernali da qualche parte in quello strano Paese chiamato Canada.
Secondo alcuni tutti questi eventi sarebbero legati tra loro, come profetizzato da una serie di veggenti religiosi di tutti i tipi, compreso un giovane in Brasile al quale la Vergine Maria avrebbe rivelato tutto quanto accaduto e che continua a predire fatti di questo genere. Nessuna meraviglia se il New Yorker pubblica questa settimana una vignetta in cui si vede un angelo che si libra accanto alla testa di un personaggio celeste su un trono in cielo. Costui guarda preoccupato alla Terra e l’angelo gli dice: «Forse ci sarebbero più persone a dar retta alla parola del Signore se il Signore tenesse un blog divertente».
Questa vignetta appare nella stessa pagina dell’editoriale di Hendrik Hertzberg, un acuto osservatore della politica americana. Hertzberg fa notare che una settimana prima dell’incontro tra il presidente e i membri del Congresso sulla riforma sanitaria, il “movimento conservatore”, che ha quasi preso il controllo del Partito Repubblicano (vedi editoriale della settimana scorsa), ha tenuto il suo raduno nazionale a Washington, nel quale i Democratici dell’amministrazione Obama sono stati definiti: “liberal, progressisti, guevariani, castristi, socialisti, trozkisti, maoisti, stalinisti, leninisti e gramsciani” (!!)
Nel mezzo dei problemi molto seri che deve affrontare la nazione, i leader “conservatori” (tra loro l’ex vicepresidente e Sarah Palin, che hanno chiesto una fortuna per la loro partecipazione: in fondo, si è trattato di spettacolo e non di una discussione seria sui fondamenti del conservatorismo) e alcuni dei più importanti rappresentanti Repubblicani al Congresso hanno tenuto quella che alcuni di loro hanno chiamato “la nostra Woodstock.” Si tratta quindi di un “1968 conservatore” che avrà per il Partito Repubblicano le stesse conseguenze che ebbe la Woodstock progressista per il Partito Democratico?
Di certo, l’incontro con il presidente sulla riforma sanitaria non è stato una Woodstock. Esso non solo ha confermato l’apparente paralisi politica del Paese, ma ha senz’altro paralizzato tutti coloro che se lo sono dovuto vedere tutto per discuterne poi nei loro editoriali o blog.
Cosa sta realmente succedendo oggi nella politica americana? Nell’ultima edizione di Newsweek, il direttore Jon Meacham afferma che il governo di Washington non è affatto paralizzato, ma sta lavorando proprio nel modo programmato: «Washington non è un’astrazione, ma uno specchio. La nostra vita politica è un’espressione di chi siamo noi, non importa quanto poco attraente possa essere l’immagine che ci viene restituita. Washington è una espressione, non un impedimento della volontà del popolo… Vi è una precisa ragione per cui le cose tendono a non cambiare: la maggioranza non vuole che le cose cambino, o, per lo meno, non vuole che cambino le cose da cui trae un vantaggio. Come ha detto un mio collega, molti americani hanno il cuore da Democratico e il portafoglio da Repubblicano».
Questa potrebbe essere l’osservazione più profonda della settimana, insieme alla sintesi che Newt Gingrich ha fatto del messaggio de La Peste di Camus, fatta con “piglio autorevole alla Jack Nicholson”, per dirla con Hertzberg: «L’autorità non può sopportare la verità». Sì, proprio così, è proprio così. Non solo l’autorità, ma ciascuno di noi, compreso Gingrich, deve confrontarsi con quella Verità che ci rende veramente liberi.
“LOURDES”, IL FILM CHE NON TI ASPETTI - di Elizabeth Lev*
ROMA, martedì, 2 marzo 2010 (ZENIT.org).- In generale, il “mormorio” che circonda un film di argomento cattolico suscita spesso cattivi presagi sul suo contenuto sacro. Ad eccezione de “La passione” di Mel Gibson nel 2004, quanta più attenzione riceve una pellicola sulla religione, tanto più è probabile che attacchi i cattolici.
Per questo, quando “Lourdes”, il film della regista austriaca Jessica Hausner, è stato proiettato al Festival del Cinema di Venezia e ha vinto un premio dell'Unione degli Atei (anche se credo che il premio ateo del cinema si chiami Palma d'Oro) ho pensato al peggio.
La Hausner, tuttavia, mi ha colto completamente di sorpresa con questo film caloroso e molto umano; non pietoso ma rispettoso, che non evangelizza ma non provoca neanche rifiuto.
La trama ruota intorno a una ragazza francese, Christine, costretta sulla sedia a rotelle da una malattia che potrebbe sembrare sclerosi multipla. Le sue braccia, bloccate, sembrano confinarla alla sedia. Eterea e con gli occhi grandi, non è un'immagine di pietà, ma quella di un altro mondo in un contesto sconosciuto.
Christine non è particolarmente devota ed è andata a Lourdes soprattutto per la compagnia e per cambiare ambiente, più che per la speranza di una cura miracolosa. E' la prima a dire che “preferisce i luoghi culturali, come Roma, a quelli religiosi” (guadagnandosi immediatamente la mia simpatia). Per un semplice spirito di cameratismo, si unisce alle masse di gente di ogni colore, lingua e malattia – spirituale o fisica – riunite a Lourdes.
La Hausner non nasconde la commercializzazione dei luoghi sacri. Gli enormi negozi di souvenir e le massicce infrastrutture turistiche mostrano gli affari di Lourdes. Vivendo a Roma e dopo essere stata di recente in Terra Santa, la pellicola ha toccato una corda in me con le sue giustapposizioni di sacro e profano. Quando la Hausner permette però che la Basilica di Lourdes entri sulla scena, gli ornamenti di plastica lasciano spazio all'imponente maestà della chiesa.
L'impressionante edificio si oppone alle colline e al cielo, come un simbolo di qualcosa di molto superiore all'attività economica che lo circonda.
Il film porta lo spettatore a Lourdes attraverso gli occhi di Christine, che fa la fila per toccare le pareti della Grotta, bagnarsi nelle acque o ricevere l'unzione dei malati. La Hausner non ridicolizza mai i fedeli e le loro preghiere per avere la salute, ma fa entrare lo spettatore in un mondo in cui i malati sono la classe privilegiata e i sani sono i curiosi.
Il suono gioca un ruolo importante nell'opera, in cui il brusio delle voci sostituisce la colonna sonora e il rumore delle sedie e i piedi trascinati forniscono le percussioni. Gli aspri suoni della vita quotidiana si addolciscono solo quando si arriva alle scene che ritraggono delle cerimonie sacre, in cui il pubblico è alleviato dai canti, dal suono d'organo o dall'“Ave Maria”.
La Hausner aggiunge un moderno coro greco nei personaggi di due donne che oscillano tra dubbio e fede. Le loro domande sono pensate per suscitare un'eco in noi, soprattutto quando affrontano un potenziale miracolo. Perché a lei e non a un'altra? Forse è credente? Che cosa succede dopo un miracolo?
Il pacifico sacerdote dal volto rotondo che accompagna il gruppo è descritto in modo positivo, lungi dalle moderne caricature dei sacerdoti che infettano il cinema contemporaneo. Accentua il vero proposito di Lourdes: non curare il corpo, ma aiutare la gente ad accettare la volontà divina come ha fatto la Madre di Dio. Pone la domanda chiave: un corpo paralizzato dalla malattia è il dolore più grande o lo è l'anima paralizzata dal dubbio e dalla paura? La sua fede ha radici solide, ma anche lui non è immune dalla tentazione di gustare la luce di un miracolo.
In questo film, i cattolici apprezzeranno la figura di una anziana signora che intercede per la guarigione di Christine e si consuma dalla preoccupazione per lei. La sua fede semplice, la sua costante intercessione e, infine, la confessione di Christine avranno come frutto il fatto che la giovane paraplegica ricomincerà a camminare.
La “guarigione” è solo un punto nel mezzo del film. Le vere domande iniziano da lì. E' una remissione della malattia? E' un intervento divino? Durerà? Che cosa farà Christine? Dove termina l'opera di colui che intercede e quale costo avrà questa guarigione?
Se Christine sulla sedia a rotelle era come una bambina, una volta in piedi diventerà presto un'adolescente. Ora che la sua infermità fisica è scomparsa, è alla mercè della sua debolezza spirituale. Come i volontari dell'Ordine di Malta, che vengono rappresentati mentre flirtano, bevono o scherzano in modo scettico, cerca di partecipare ai divertimenti ai quali non ha avuto accesso negli anni della malattia.
Anche se si può leggere in questa vicenda dell'ipocrisia o un'affermazione della mancanza di senso nella religione, questi aspetti mi hanno colpito molto e li ritengo molto umani, calorosi, compassionevoli. C'è una sensazione di speranza per tutti noi.
Pur non trattandosi certamente di un film facile, la mancanza di blasfemia, di nudità o profanazione in “Lourdes” è stata molto confortante, e il racconto parla con successo a un pubblico moderno che vede i santuari come un affare lucrativo che vive sulle spalle dei creduloni, offrendo anche l'opportunità di un dibattito equilibrato e pacifico sulla fede.
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Elizabeth Lev insegna Arte e Architettura Cristiane nel campus italiano della Duquesne University e nel programma di Studi Cattolici dell'Università San Tommaso. Può essere contattata all'indirizzo lizlev@zenit.org.
ACCOLTO IL RICORSO DELL'ITALIA SUL CROCIFISSO NELLE SCUOLE - Il commento della CEI: “un passo avanti nella giusta direzione”
ROMA, martedì, 2 marzo 2010 (ZENIT.org).- La Corte europea dei diritti dell'uomo ha accolto il ricorso presentato dall'Italia contro la sentenza che, il 3 novembre 2009, aveva sostanzialmente bocciato la presenza del crocifisso nelle aule delle scuole pubbliche.
Il Governo italiano aveva presentato il 29 gennaio un ricorso ribadendo che “il crocifisso è uno dei simboli della nostra storia e della nostra identità” e che “la cristianità rappresenta le radici della nostra cultura, quello che oggi siamo”.
La Corte europea dei diritti dell’uomo aveva sostenuto che l’esposizione del crocifisso nelle aule della scuola pubblica costituisce violazione dell’articolo 2, del Protocollo 1, della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (diritto all’istruzione), valutato congiuntamente con l’articolo 9, che tutela la libertà di pensiero, coscienza e religione.
Secondo la Corte di Strasburgo, l’obbligo all’esposizione del simbolo della confessione cristiana limita non solo il diritto dei genitori a educare secondo le loro convinzioni i figli, ma anche il diritto degli alunni di credere in altre confessioni o di non credere affatto.
Spetterà ora alla Grande Camera pronunciarsi nei prossimi mesi con un verdetto definitivo ma non obbligatorio sulla sentenza espressa dalla Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo.
Nel commentare la notizia il Presidente della Conferenza Episcopale Italiana, il Cardinale Angelo Bagnasco, ha detto: “Un atto di buon senso da tutti auspicato perché rispetta quello che è la tradizione viva del nostro Paese e riconosce un dato storico oggettivo, secondo cui alla radice della cultura e della storia europea c'è il Vangelo, che è riassunto in Gesù Crocifisso".
“La presenza del crocefisso - ha aggiunto il porporato a Genova, a margine di un incontro pubblico sulla scuola, secondo quanto riferito da “Avvenire” - è importante, l'importanza dei segni fa parte dell'antropologia, perché l'uomo è anima e corpo non puro spirito o un'idea astratta: attraverso la corporeità tutti noi esprimiamo i nostri sentimenti e i nostri valori, che sono nel cuore e resterebbero invisibili se non fossero espressi attraverso segni visibili”.
“Il crocifisso - ha concluso il Presidente della CEI - esprime il centro della nostra fede cristiana e la sintesi dei valori che hanno ispirato la cultura di libertà rispetto della persona la dignità dell'uomo che sta alla base dell'Occidente”.
“L'accoglienza da parte della Corte di Strasburgo del ricorso presentato dal governo italiano è un segnale interessante, che dimostra come attorno al crocifisso si sia creato un consenso ben più ampio di quello che ci si sarebbe immaginati”, ha spiegato dal canto suo il portavoce e Sottosegretario dell'episcopato italiano, mons. Domenico Pompili.
Tale consenso, ha aggiunto , “conferma la non adeguatezza di alcune posizioni volte a strumentalizzare segni che hanno innegabilmente a che fare con le radici culturali dell'Europa e con la fede di milioni di persone, che in tale segno si riconoscono”.
In una nota diffusa nel pomeriggio il Cardinale Péter Erdő, Arcivescovo di Ezstergom-Budapest e Presidente del Consiglio delle Conferenze Episcopale d’Europa, ha sottolineato la necessità “che le questioni religiose vengano affrontate a livello nazionale, secondo il principio di sussidiarietà, in quanto la sensibilità religiosa e la stessa percezione del principio di laicità varia da Paese a Paese”.
“Ritengo – ha aggiunto – che sarebbe un atto di grande saggezza se la Grande Camera, nel suo riesame, accettasse questo fatto, che sono certo ridarà fiducia nelle istituzioni europee ai numerosi cittadini europei, cristiani credenti e laici, che si erano sentiti profondamente lesi da questa sentenza”.
ALLE MINORANZE CATTOLICHE DEVE ESSERE RICONOSCIUTO IL “DIRITTO DI ESISTERE” - Monsignor Giordano all'Incontro dei presidenti dei Vescovi del Sud-Est europeo
ROMA, martedì, 2 marzo 2010 (ZENIT.org).- I cattolici che vivono in condizioni di minoranza non vogliono “diritti speciali”, ma quelli che devono essere garantiti a ogni essere umano, a cominicare dal fondamentale “diritto di esistere”.
Monsignor Aldo Giordano, Osservatore Permanente della Santa Sede presso il Consiglio d’Europa, lo ha dichiarato in occasione del 10° Incontro dei presidenti delle Conferenze Episcopali del Sud-Est europeo, svoltosi nella capitale moldava Chişinău dal 25 al 28 febbraio.
“I cattolici che vivono in situazioni di minoranze non attendono diritti speciali, ma sentono la responsabilità di contribuire al bene comune”, ha affermato il presule.
Per questo, “sono coscienti di avere tutti i diritti propri della persona umana, quelli previsti dalla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo dell’ONU (1948): dalla dignità della persona umana, alla vita, alla uguaglianza, alla libertà di religione e di coscienza”.
Dall'altro lato, ha aggiunto, “i cattolici hanno i diritti propri della natura e missione della Chiesa: diritto di esistere, di organizzazione autonoma, di parola, di presenza nello spazio pubblico”.
All'Incontro di Chişinău, promosso dal Consiglio delle Conferenze Episcopali d’Europa (CCEE), sono state rappresentate le Conferenze Episcopali di Albania, Bosnia e Erzegovina, Bulgaria, Romania, la Conferenza Episcopale Internazionale SS. Cirillo e Metodio e la Turchia, insieme all’Arcivescovo di Cipro dei Maroniti e al Vescovo di Chişinău, monsignor Anton Cosa, che ha ospitato l'evento.
Ha partecipato anche il Nunzio Apostolico in Romania e in Repubblica Moldova, monsignor Francisco-Javier Lozano, che ha ricordato come “ogni Stato ha il dovere primario di proteggere la propria popolazione dalla violazione dei diritti umani”.
La Chiesa, ha spiegato, “non si sente estranea ad alcun problema dell’uomo contemporaneo e, con umiltà e convinzione, sa di mettere in primo piano i più alti valori umani”.
Per il rappresentante della Santa Sede, la Chiesa cattolica, ovunque si trovi, si fa vicina alle vicissitudini delle comunità locali attraverso la forza della preghiera, ma anche il sollecito sostegno spirituale e materiale.
Essa, inoltre, crede sempre e comunque nel dialogo con le istituzioni civili, le altre confessioni cristiane e le varie religioni come via preferenziale per raggiungere e mantenere la pace.
Secondo monsignor Lozano, infatti, il dialogo tra le culture “è un antidoto efficace contro la chiusura etnica”.
“I contatti interreligiosi e interculturali, accanto al dialogo ecumenico, sono strade obbligate perché le dolorose lacerazioni del passato non accadano più e quelle residue siano presto risanate”, ha sottolineato.
Al Consiglio delle Conferenze Episcopali d’Europa appartengono quali membri le attuali 33 Conferenze Episcopali presenti in Europa, rappresentate di diritto dai loro presidenti, dagli Arcivescovi del Lussemburgo e del Principato di Monaco e dal Vescovo di Chişinău.
Il Consiglio è presieduto dal Cardinale Péter Erdő, Arcivescovo di Esztergom-Budapest, Primate d’Ungheria; i Vicepresidenti sono il Cardinale Josip Bozanić, Arcivescovo di Zagabria, e il Cardinale Jean-Pierre Ricard, Arcivescovo di Bordeaux. Segretario generale del CCEE è padre Duarte da Cunha. La sede del Segretariato è a St. Gallen (Svizzera).
Avvenire 2 Marzo 2010 - LA DIFESA DEI VALORI - Famiglia e unioni gay - «No all’equiparazione» - di Marco Bonatti
Una celebrazione "simbolica", un "matrimonio" fra due donne omosessuali. Si è svolta sabato scorso a Torino con un ospite importante: il sindaco Sergio Chiamparino, deciso a "portare in Parlamento" il tema dei matrimoni omosessuali (confondendo il matrimonio con le unioni civili e i diritti individuali).
E ieri è arrivato, dall’ufficio Famiglia della diocesi di Torino, un comunicato che puntualizza le posizioni della Chiesa torinese, già espresse in più occasioni dal cardinale Poletto. Il "matrimonio" omosessuale, infatti, era stato annunciato da tempo, a novembre 2009; e fin da allora Chiamparino aveva fatto sapere che avrebbe partecipato. Poi è stata fissata la data, e l’annuncio ha dato l’occasione per tornare sul tema. Sabato scorso c’è stata la cerimonia, dopo aver conquistato il massimo di visibilità disponibile. In questa vicenda si direbbe che la visibilità è "tutto", visto che l’unione "matrimoniale" in quanto tale non ha nessun significato giuridico.
Il comunicato dell’Ufficio diocesano famiglia ricorda prima di tutto che «non sono in discussione né il valore della famiglia tradizionale e nemmeno l’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge, ma il modo di far coesistere questi valori. Nel ribadire che la famiglia fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna è realtà naturale a fondamento della società e del futuro stesso dell’umanità, la Chiesa non ignora che oggi si assiste ad un fenomeno di pluralizzazione dei significati di famiglia, né ignora la realtà delle persone omosessuali. Tuttavia essa riconosce che la famiglia tradizionale fondata sul matrimonio, pur in questi tempi di epocali cambiamenti, costituisce il nesso fondamentale tra individuo umano e società e ricorda che anche la Costituzione italiana (art. 29) lo ribadisce. Si tratta di un bene fondato su un dato anzitutto antropologico».
I «diritti individuali» e l’«uguaglianza» riempiono facilmente la bocca, soprattutto quando si avvicinano i temi in maniera superficiale. Così forse, pur di passare per «progressisti non bigotti», ci si sente obbligati a dire sì a qualunque scelta. Ma la realtà non è questa. «Alla Chiesa sta anche a cuore il valore dell’uguaglianza dei cittadini, sancito dalla Costituzione italiana. Ma nello stesso tempo la «Chiesa non può accettare l’equiparazione della famiglia tradizionale fondata sull’amore fedele tra un uomo e una donna e aperto al bene della società alla relazione d’amore tra due persone dello stesso sesso e questo non per un fatto primariamente morale o peggio discriminatorio, ma anzitutto perché si tratta di realtà umane connotate da differenze di finalità e di realizzazione».
«Riteniamo, dunque, sia scorretto pensare l’amore omosessuale in perfetta analogia con l’amore eterosessuale: conosciamo quest’ultimo, – continua il comunicato – dobbiamo trovare forse delle categorie adeguate e rispettose della dignità umana per il primo, ma avendo l’onestà di fare le debite distinzioni. Distinguere e differenziare è il presupposto della costruzione di una civiltà che sia degna di questo nome e non necessariamente sinonimo di ingiusta discriminazione». «Così alla Chiesa – conclude la nota dell’Ufficio famiglia diocesano – appare semplicistico e fuorviante parlare di nozze o matrimonio omosessuali senza per questo voler avallare alcuna tesi apertamente o velatamente discriminatoria».
Così salta fuori un ulteriore aspetto di questa problematica, che "ribalta" la propaganda libertaria: la presenza di un’autorità civile a cerimonie di questo genere, si chiede l’Ufficio diocesano per la famiglia, non rischia forse di ribadire la "discriminazione", proprio perché, al di là della facile visibilità, non è in grado di dare alcun serio contenuto politico al proprio discorso?
Per il bene di tutti. Ricomincio da me - Autore: Buggio, Nerella - Fonte: CulturaCattolica.it - martedì 2 marzo 2010
Basta. Della politica non se ne può più. Ma sarà poi politica quella di cui sono pieni i giornali, i programmi televisivi, quella fatta da opportunisti, corrotti e corruttori, depravati e arrivisti che nella politica sembrano aver trovato il modo di non lavorare, gente che pare non sapere nemmeno dove stia di casa il bene comune, gente per la quale la parola “popolo” si traduce in “bacino di voti”?
Sarà politica quella che guarda sotto le lenzuola, che intercetta le telefonate e mette alla berlina chiunque, fregandosene se sta per rovinare un uomo, per danneggiare la sua famiglia, i suoi figli prima ancora che si sia stabilito se si tratta di un innocente o di un colpevole?
Di questo circo Barnum siamo tutti stanchi e disgustati e questo era un po’ lo stato d’animo che ieri sera prevaleva in me.
Formigoni? Certo, un amico, certo uno che ha dimostrato d’essere fatto di un’altra pasta, di credere e di fare una politica come quella che piace a me, ma la tentazione era quella di dire, non ha certo bisogno di me, ce la farà ugualmente, figurarsi!
Poi come a volte accade, decido di andare ugualmente al Palalido all’incontro pubblico dal titolo:
Per il bene di tutti.
Già, per il bene di tutti, forse saranno anche in pochi a lavorare, ma se quei pochi li lasciamo soli, l’inerzia ci pone dalla parte di chi lavora per sé e non per il popolo. Vuol dire che una scelta l’abbiamo fatta. Stare con le mani in mano, equivale stare con coloro che critichiamo.
Ma come si può cambiare? Cominciando da noi, da me. Inutile immaginare che siano gli altri intono a me a cambiare, lo devo fare io, lo devo ai miei figli, bisogna pur che qualcuno dica che un altro mondo è possibile, che il cinismo non paga. Si chiama educazione è per questo che sostengo che ridare le ragioni per cui educare è possibile ed è indispensabile.
E allora ricomincio da me. Perché queste elezioni siano una sfida alla mia tentazione di tirarmi indietro, di cedere a quell’inedia tanto comoda e tanto sterile che lascia che sia chi fa le cose male a prevalere.
Ricomincio da me, dagli amici che stimo, da coloro che hanno dimostrato negli anni con i fatti, con l’impegno, con il loro lavoro che vale la pena, che c’è una politica che sa qual è il bene comune, che sa valorizzare quello che il popolo costruisce senza sostituirsi al popolo, alla sua iniziativa, alla sua voglia di intraprendere, di inventare, di fare, quella politica mi piace e per quegli amici che in questo credono, sono disposta a lavorare. Non mi aspetto che la politica dia risposta al mio desiderio di felicità, ma la politica fa parte della vita, così come il lavoro, la famiglia, gli amici, ed io sono stata educata a non censurare nulla della vita, perché per chi ha fede, non c’è nulla che non ha a che fare con l’uomo, quindi, ricomincio da me, dalla mia voglia di starci, da questa possibilità buona che ho visto in azione.
2/03/2010 – ISLAM - Donna, parità e islam: ripensare la fede per rispondere alle attese dell’uomo moderno - di Samir Khalil Samir, SJ
E’ la via per superare il contrasto tra versetti del Corano e detti della Sunna (tradizione) del profeta dell’Islam che talvolta non vanno nello stesso senso. Alcuni elogiano la donna o ne parlano in modo neutrale, altri dicono che sono le tentatrici e che l’inferno è popolato di donne. Inoltre, alcuni versetti parlano di uguaglianza tra uomo e donna, altri di disuguaglianza. Che oggi è giuridica, non culturale.
Beirut (AsiaNews) - Il 20 febbraio scorso, l’Università della Svizzera Italiana, situata a Lugano, ha organizzato un incontro internazionale sulla situazione delle donne musulmane. Per lanciare il dibattito aveva invitato la dott.ssa Huda Himmat come relatrice, la quale ha sviluppato il seguente titolo: “Sottomesse ... a chi?! Donne musulmane parlano di sé”.
Chi è Huda Himmat? E’ un imprenditrice libero professionista; ha un Master in diritto internazionale dell’università di Londra; fino a poco fa, era la vice-presidente del FEMYSO (Forum of European Muslim Youth and Student Organisations) la cui sede è a Bruxelles. E’ la figlia di Ali Ghaleb Himmat, nato a Damasco nel 1938, naturalizzato italiano nel 1990 e residente a Campione d’Italia; è co-direttore della Taqwa Bank, la banca dei “Fratelli Musulmani”, e capo della Islamiche Gesellschaft in Deutschland fondata da Sa’id Ramadan, padre di Tariq e Hani Ramadan. Huda Himmat è cresciuta a Campione d’Italia, e da alcuni mesi è portavoce della “Comunità islamica ticinese”.
La relatrice ha insistito sul fatto che le discriminazioni nei confronti della donna nell’islam non dipendono dal Corano o dalla Sunna, ma da come vengono interpretati, e che esse sono dovute all’ignoranza dei poveri e al maschilismo di certi uomini. Maometto non ha mai picchiato una donna, e molti versetti coranici parlano della dignità delle donne. Esistono problemi, ma anche in Europa, dove la violenza domestica è la prima causa di morte per le donne. Comunque, nell’islam non esiste la sottomissione della donna, come dice San Paolo.
Queste riflessioni le sentiamo spesso in Europa nella bocca di musulmani. Si sente anzi spesso che l’Islam ha liberato la donna araba. Questi discorsi apologetici, comprendono elementi veri ed altri non esatti. Mi è sembrato utile fare il punto sulla situazione, per portare un po’ di chiarezza. Più ancora, il mio scopo è di affermare la possibilità dell’Islam di evolvere e di far evolvere la società, a condizione di accettare di ripensare la fede in profondità. Essendo questo lavoro assai difficile, è necessario farlo insieme, cristiani e musulmani ed altri, con amicizia e fratellanza.
La “Giornata internazionale della donna”, che festeggeremo l’8 marzo e che sta purtroppo assumendo sempre di più una connotazione di mero carattere commerciale, è l’occasione di riflettere sul significato della parità tra donna e uomo, e sulle troppo reali disuguaglianze esistenti in tanti Paesi del mondo, islamici e non islamici.
* * *
Ci sono versetti del Corano e detti della Sunna (tradizione) del profeta dell’Islam che talvolta non vanno nello stesso senso. Alcuni elogiano la donna o ne parlano in modo neutrale, altri dicono che sono le tentatrici e che l’inferno è popolato di donne. Inoltre, alcuni versetti parlano di uguaglianza tra uomo e donna, altri di disuguaglianza. Quale atteggiamento adottare?
Gli autori musulmani fanno generalmente dell’apologetica: se vogliono giustificare un concetto scelgono i versetti che meglio sostengono la loro tesi. Ma questo è un metodo inaccettabile, perché è selettivo. Dobbiamo sempre tenere presente la visione globale del Corano sulle questioni che si sollevano, indicando i pro e i contro. Se no, rischiamo di snaturare il testo coranico.
Necessità di reinterpretare il testo coranico ad ogni epoca
Nel Corano ci sono tante discriminazioni. Più esattamente non c’è uguaglianza di principio, cioè uomini e donne non hanno gli stessi diritti fondamentali. Questo non deve sorprendere. Anche nella Bibbia possiamo trovare disuguaglianze tra uomo e donna, forse persino più grandi. È normale, perché Dio parla agli uomini secondo il loro linguaggio e la loro mentalità, ma tocca agli uomini capire l’intento del testo rivelato.
Nell’islam, esiste lo stesso principio che consiste nel ricercare “lo scopo della sharia” (maqâsid al-shari‘ah). I musulmani che leggono il Corano come se fosse un testo immutabile, letteralmente applicabile a tutti i tempi e in tutti i luoghi, creano il problema. È il loro modo di capire il Corano, e di applicarlo in leggi, che pone problema.
È possibile reinterpretare il Corano? Certo! Ma è più facile dirlo che farlo. Si debbono stabilire dei criteri d’interpretazione, cioè una “ermeneutica”. È quello che manca oggi agli esegeti del Corano. Il motivo? Da almeno sette secoli non lo si fa più: il pensiero è come bloccato. Più passa il tempo, più diventa difficile questo lavoro. Oggi, chi prova a farlo sono musulmani di livello accademico, ma vengono immediatamente accusati d’ignoranza in materia religiosa o d’eresia. Quanto ai dotti in materia religiosa (gli ‘ulamâ’ o “ulema”) non fanno che ripetere le interpretazioni classiche degli antichi commenti (tafsîr).
Problema solo culturale?
Si dice spesso che il problema non è del Corano, che è perfetto. Il problema viene dall’ignoranza dei fedeli, dalle tradizioni ataviche, o dalla cultura dei vari paesi islamici. È anche vero. Ma la domanda, senza risolvere il problema, ne provoca un’altra: donde vengono questa ignoranza, queste tradizioni, questa cultura? Perché tanti musulmani attribuiscono a queste tradizioni e a questa cultura maschilista un valore religioso islamico ? Se poi il problema è delle tradizioni e delle culture in cui viene interpretato, allora con che diritto queste vengono trasformate in leggi divine?
Sostenere che è solo un problema di alcuni Paesi e alcune culture non è corretto: è un problema assai generale nel mondo islamico. Prendere la Tunisia e la Siria come esempi di uguaglianza tra i sessi, è piuttosto l’anti-dimostrazione. In effetti, se in Tunisia o in Siria c’è più libertà per la donna e più uguaglianza tra i due sessi, non è a causa dell’islam, ma per il fatto che questi due Paesi hanno fatto una scelta di laicità moderata. La Tunisia ha adottato negli anni '50, sotto l’influsso del presidente Bourguiba, una legislazione laica per risolvere questo problema, e la Siria ha fatto lo stesso con l’ideologia laica del Baath.
In realtà, laddove c’è un sistema laico, non musulmano, c’è una certa libertà. Tutte le volte che un Paese cerca di essere più “musulmano”, di “ritornare all’Islam autentico”, è la donna che ne paga le conseguenze negative! Invece, dove non viene applicata la sharia, c’è più libertà.
Problema teologico, cioè di ermeneutica
La dott.sa Himmat ha ragione a sostenere che il problema è nell’interpretazione, ma perché non si riesce a cambiare l’interpretazione del passato? Perché dietro c’è una concezione rigida della rivelazione, che non permette lo sviluppo omogeneo della esegesi. Se dico che il testo del Corano è rivelato da Dio, il quale l’ha fatto “scendere dal cielo su Maometto” e che non si tocca, allora non c’è più possibilità di interpretare. Bisogna avere l’onestà di interpretare il Corano dicendo che la rivelazione passa attraverso uomini di una determinata cultura in un determinato contesto spazio-temporale.
Invece, ciò che facciamo nel nostro mondo arabo è di dire che il Corano e la Sharia sono perfetti, ma che noi e le nostre società siamo cattivi e non siamo desiderosi di applicare la Legge divina. Vorrei evocare un aneddoto: tre anni fa è venuta a trovarmi a Beirut una coppia di studenti iraniani per fare un dottorato di ricerca con me. Il marito, che parlava meglio l’arabo, mi spiegò che la moglie voleva fare la tesi su “Il ruolo della donna nell’islam e nel cristianesimo”, per dimostrare che l’islam aveva liberato la donna. Andammo in biblioteca e mostrai loro una cinquantina di volumi scritti in arabo aventi tutti questo scopo: dimostrare che l’islam ha liberato la donna e che Corano, Sharia ed Islam sono innocenti rispetto alle discriminazioni!
Disuguaglianze giuridiche in nome dell’Islam
Ma nei fatti e nei principi non è così: le differenze giuridiche sono numerosissime. Per citare alcuni esempi:
- la testimonianza della donna in tribunale vale la metà di quella di un uomo ;
- la femmina (figlia, sorella, ecc.) eredità metà del maschio (figlio, fratello, ecc.). Ma nella scuola sciita giafarita, che rappresenta circa 13% dei musulmani, non si fa differenza tra maschio e femmina;
- la donna non ha il diritto di viaggiare senza permesso del marito, o del padre, o del fratello, o del figlio, insomma di un maschio. In Egitto per esempio questo principio si applica anche ai cristiani; mi sono personalmente rifiutato di dare il permesso di viaggio a mia madre, spiegando che da noi cristiani il figlio non ha autorità sulla madre … e ho finalmente ottenuto un trattamento d’eccezione!
- l’uomo non ha bisogno del permesso di una donna, fosse anche sua moglie, per viaggiare;Alcune scuole giuridiche vietano alla moglie di uscire di casa senza il permesso espresso del marito (anche in Occidente), mentre la reciprocità in merito non è sostenuta da nessuna scuola;
- il maschio può sposare fino a quattro mogli simultaneamente, se ha la possibilità di mantenerle, mentre la femmina non può sposare più di un uomo;
- l’uomo può acquistare tutte le concubine che desidera, secondo il Corano, mentre la donna non può acquistare concubini;
- il marito può ripudiare la moglie, senza neppure un processo in tribunale, mentre la moglie può solo chiedere al marito il favore di essere ripudiata;
- il musulmano può sposare una cristiana o un’ebrea, anche se rimane tale e non si converte all’islam, mentre la musulmana non può sposare un cristiano o un ebreo che rimane tale, se non si converte all’islam;
- i figli appartengono al padre; la madre può solo occuparsene fino all’età di 7 anni;
- i figli assumono obbligatoriamente la religione del padre, non della madre, anche se lo volessero.
Da notare che questi punti non derivano da una cultura tradizionale o liberale, sono tutti punti giuridici, considerati musulmani e derivano dal Corano o dalla Sunna (la Tradizione muhammadiana), ammessi dalla maggioranza dei musulmani. La tradizione maschilista viene ad aggiungere usanze che limitano di più lo spazio della donna e aumentano la disuguaglianza tra i sessi, come per esempio il terribile “crimine d’onore” largamente diffuso nelle società musulmane.
Un aspetto giuridico importante è la questione dell’impurità fisiologica della donna dovuta alle mestruazioni o al parto. Quando la donna ha le mestruazioni è ritualmente impura. Non può fare le cinque preghiere quotidiane, perché la sua preghiera non è valida. Non può toccare un Corano. Non può praticare il digiuno di Ramadan e deve ricuperare i giorni impuri dopo il Ramadan. Per questo motivo un uomo non può toccare una donna a rischio di diventare impuro se lei fosse in stato impuro; può darle la mano solo se ha un guanto o qualcosa di simile per evitare il contatto diretto che trasmette l’impurità.
Questa concezione dell’impurità della donna appartiene alla cultura semitica e si ritrova nel giudaismo come nel cristianesimo antico e in altre religioni e culture. La caratteristica dell’islam è di aver legalizzato questa dimensione culturale ancora oggi (in questo, l’islam è vicino al giudaismo ortodosso). Le conseguenze psicologiche e sociologiche per le donne sono gravi.
Disuguaglianze basate sul Corano e la Sunna
La disuguaglianza tra uomo e donna ha un fondamento in alcuni brani del Corano, e in molti detti attribuiti a Muhammad, il più frequentemente citato dice: “La donna è carente in mente e in religione” (al-Mar’ah nâqisah ‘aqlan wa-dînan).
Nel Corano, l’uguaglianza davanti a Dio tra l’uomo e la donna è totale. Il migliore dei due è il più devoto. Ma la questione non è “davanti a Dio” o “agli occhi di Dio”: è nella vita quotidiana.
Tre versetti sono spesso citati, che riferisco secondo la versione “ufficiale” dell’UCOII:
2/223 “Le vostre spose sono per voi come un campo [da arare]. Venite pure al vostro campo come volete” (Nisâ’ukum harthun lakum, fa’tû harthakum annâ shi’tum). Tre parole sono importante: Harth = “campo da arare”; lakum = “che vi appartiene”; annâ = come, molte traduzioni spiegano “come e quando”. Il versetto significa dunque: “Le vostre spose sono un campo da arare che vi appartiene. Venite dunque ad arare il vostro campo come e quando volete”. Da questo, si deduce spesso che la moglie è proprietà sessuale del marito, che ha diritto a possederla come e quando vuole”. Per il “come”, la versione inglese dell’Arabia Saudita precisa: “have sexual relations with your wives in any manner as long as it is in the vagina and not in the anus”; altri invece non riconoscono questa limitazione.
2/228 “Le donne divorziate osservino un ritiro della durata di tre cicli, e non è loro permesso nascondere quello che Allah ha creato nei loro ventri (arhâm = litt. uteri), se credono in Allah e nell'Ultimo Giorno. E i loro sposi (bu’ûl = litt. signori) avranno priorità se, volendosi riconciliare, le riprenderanno durante questo periodo. Esse hanno diritti equivalenti ai loro doveri, in base alle buone consuetudini, ma gli uomini sono superiori. Allah è potente, è saggio”. L’espressione “ma gli uomini sono superiori” traduce wa-li-l-rigâli ‘alayhinna daragah, che significa letteralmente “e gli uomini le superano di un grado”.
4/34 “Gli uomini sono preposti (qawwâmûn) alle donne, a causa della preferenza che Allah concede agli uni rispetto alle altre e perché spendono [per esse] i loro beni. Le [donne] virtuose sono le devote, che proteggono nel segreto quello che Allah ha preservato. Ammonite quelle di cui temete l'insubordinazione, lasciatele sole nei loro letti, battetele. Se poi vi obbediscono, non fate più nulla contro di esse. Allah è altissimo, grande”.
È il versetto più frequentemente citato. Qawwâmûn si traduce spesso con “hanno autorità”. Il motivo dato dal Corano per questa predominanza è doppio: il primo è la preferenza divina (faddala Allah), il secondo è d’ordine finanziario. Se l’uomo teme l’insubordinazione (nushûz) della donna, userà tre mezzi per riportarla alla subordinazione: l’esortazione, la privazione sessuale (ma lui ha le altre spose, più le schiave acquistate, come specifica il Corano), infine le battiture.
È ovvio che, sul piano umano, non c’è uguaglianza tra uomo e donna, marito e moglie. Questo fatto non sorprenderà nessuno: siamo in Arabia, all’inizio del settimo secolo. Il Corano si rivolge a persone concrete, usando della loro cultura. Come quando parla delle pene (hudûd) da infliggere a chi ruba o commette adulterio, ecc. Sorprende invece il fatto che i musulmani non abbiano ripensato i testi che considerano rivelati da Dio per adattarli alla situazione e alla cultura di oggi.
Riflessione personale conclusiva
Mi sia permesso una riflessione personale. Tutte le religioni sono confrontate con questa problematica, non solo l’islam; come tutte le civiltà devono ripensare regolarmente le loro costituzioni e leggi, per salvare la motivazione iniziale esprimendola in concretizzazioni nuove. Questo ripensamento non è un tradimento, bensì una fedeltà allo spirito.
A mio parere, il mondo musulmano si trova in una fase difficile, una crisi di crescita. L’occidente esercita una forte attrazione-ripulsione sul mondo musulmano. La tentazione è di adottare totalmente l’occidente o di rigettarlo totalmente. Ambedue le soluzioni sono errate. Dobbiamo, noi arabi e musulmani, discernere: attenersi ai grandi principi umanistici dell’Occidente, per ridare all’uomo arabo e musulmano la sua dignità e libertà; e rigettare tutto ciò che degrada e avvilisce l’Uomo (cioè donna e uomo) e la sua dignità spirituale, sia che venga dall’islam o dal cristianesimo, dalla modernità o dalla tradizione. Soprattutto, è odioso stabilire una qualunque disuguaglianza tra gli esseri umani (basata sul sesso, o sulla religione, o sullo statuto sociale, o sulla razza, ecc.) fondandola sulla religione, com’è odioso giustificare la violenza in nome della religione o di Dio.
Questo cammino è da percorrere insieme, credenti e no, occidentali e stranieri, gente del “primo mondo” e del “terzo mondo”. Al di là della fede o dell’ateismo, l’umanesimo vero e profondo, impregnato di spiritualità – essendo l’uomo fatto di corpo, anima e spirito –, ci permetterà di trovare insieme una certa armonia che sembra oggi in via di sparizione. L’islam non è il nemico, nemmeno il cristianesimo, l’ebraismo, o altre religioni lo sono. L’intolleranza e la scomunica dell’altro (takfîr) sono i veri nemici. Il compito del credente consiste nel ripensare la fede per rispondere con profondità alle attese del mondo odierno.
Creazione, complessità ed evoluzione - Una casualità troppo intelligente per essere casuale - di Fiorenzo Facchini - L'Osservatore Romano - 3 marzo 2010
Il lungo periodo dei 400.000 anni seguito al Big Bang ha visto interazioni di quark, radiazioni e particelle che hanno portato alle prime aggregazioni in forma di protoni, neutroni, quindi di atomi e molecole. Materia ed energia, variamente combinate, formavano la "zuppa cosmica" in cui si sono formate le prime strutture complesse della materia. Se n'è parlato nel seminario internazionale organizzato a Bologna dall'Istituto Veritatis Splendor nel mese scorso, sulla complessità e sullo specifico umano nella evoluzione della vita.
Con il tempo le relazioni fra atomi e molecole sono diventate via via più complesse facendo emergere strutture nuove, nelle condizioni ambientali idonee, fino alla prime forme viventi. La crescita della complessità ha caratterizzato la fase prebiotica che non si è ancora riusciti a ricostruire. Si parla di assemblaggi molecolari e multi molecolari, di autorganizzazione, di fenomeni di autocatalisi. Ovviamente le modalità non possono essere quelle supposte da Darwin per la formazione delle specie. Ma il fatto che ancora non si sia ancora riusciti a spiegare o ricostruire le reazioni chimiche che hanno portato alla/alle cellule primordiali non è un buon motivo per ricorrere necessariamente a forze esterne alla natura o a una origine extraterrestre, come pensava Francis H.C. Crick. D'altra parte l'affermazione che la vita si sia originata per intervento diretto di Dio esorbita dall'ambito scientifico e non può essere contestata né dimostrata con i metodi della scienza.
Certo è che la vita ha avuto un inizio sulla terra e, in seguito, a partire dalle prime molecole di Rna e Dna e dalla loro replicazione, è venuta avanti dapprima con i viventi unicellulari procarioti poi, intorno a due miliardi di anni fa, con gli unicellulari eucarioti, forniti di nucleo. Da allora i rivoli della vita si sono accresciuti portando a viventi pluricellulari con destini diversi. Cinquecento milioni di anni fa si ritrovano i lontani antenati dei principali raggruppamenti viventi. Si formano direzioni e linee evolutive alcune delle quali si arrestano, altre giungono fino ad oggi. Le trasformazioni dell'ambiente hanno certo condizionato o favorito la complessificazione della vita, ma sono state necessarie modificazioni di ordine genetico.
La casualità degli eventi genetici, che è alla base della teoria darwiniana, ha giocato un ruolo, ma in modo diverso da come si pensava in passato. I salti morfologici ammessi da Stephen Gould e Niels Eldredge con la teoria degli equilibri punteggiati potrebbero essere meglio capiti alla luce degli studi sulle mutazioni dei geni multifunzionali regolatori dello sviluppo, piuttosto che secondo la gradualità delle variazioni morfologiche supposta da Darwin. La biologia evolutiva e dello sviluppo ha allargato gli orizzonti. Ma cosa ha messo in azione i fattori genetici, solo una piccola parte dei quali favorevoli? La pura casualità delle mutazioni, secondo la sfida del darwinismo?
Si è visto che strutture simili si formano e si riformano in linee evolutive diverse. Gli stessi geni regolano strutture o piani organizzativi che si ripetono e si ritrovano in serie evolutive diverse - a esempio: la struttura dell'occhio, i geni che controllano i segmenti corporei negli artropodi, come nei vertebrati. I neodarwinisti sostengono che la selezione naturale ha operato con i meccanismi del bricolage utilizzando quello che aveva a disposizione e quindi ha incontrato inevitabili restrizioni a livello genetico. In ogni caso ci si può domandare se è bastata la pressione selettiva dell'ambiente. A questo proposito le ricerche sulla eredità epigenetica suggeriscono una interazione stretta dei geni, nella loro espressione, con le informazioni fornite dall'ambiente, trasmissibile alla discendenza senza variazioni nella sequenze del Dna (Jablonka). Un nodo ancora non risolto è quello dei parallelismi evolutivi. Secondo Conway Morris le convergenze di caratteristiche che si osservano in varie serie evolutive lontane geograficamente e nel tempo, evolutesi indipendentemente, fanno pensare all'emergenza molto probabile, non proprio casuale, di varie proprietà biologiche. E se vi fossero regole di ordine che non conosciamo? Sotto vari aspetti si può ritenere che il darwinismo non rappresenti l'ultima parola per spiegare l'evoluzione.
Non ci sono state solo restrizioni sul piano genetico, ma anche per le condizioni ambientali che hanno finito per incanalare le novità genetiche riducendo le possibilità dei cammini evolutivi. Possono essersi così formate le diverse direzioni e linee che danno l'impressione di un cespuglio di forme, più che di un albero, o di una rete, caratterizzata da connessioni, in cui ogni linea ha imboccato la strada possibile.
La crescita della complessità nei viventi rappresenta un fatto incontrovertibile nella storia della vita, ma con modalità e risultati finali diversi nei vari raggruppamenti. È un cammino in parte ancora da decifrare, che si aggiunge alla crescita della complessità nel campo della fisica e della chimica in cui le proprietà delle particelle e la condizioni ambientali debbono avere giocato un ruolo fondamentale, ma di ordine diverso da quello che si ammette per gli esseri viventi. Si può parlare di qualche tendenza alla complessità nel mondo inorganico, organico e vivente? Alcuni filosofi, come Bergson, Blondel, Guitton, in modi diversi, lo ammettono. Teilhard de Chardin parlava di una energia radiale che porta alla crescita della complessità. Ma non ne abbiamo le prove. A oggi si può ritenere che una proprietà della materia sia quella di stabilire relazioni e di realizzare aggregazioni nuove in condizioni ambientali idonee. Una particolare importanza viene riconosciuta alla cooperazione che si stabilisce ai vari livelli (molecolare, cellulare, pluricellulare, popolazionistico) per il successo evolutivo (Novak). La relazionalità e la cooperazione potrebbero fare emergere e favorire nuove strutture competitive con l'ambiente, senza che si debba pensare a cause esterne al sistema della natura, una supposizione che peraltro non potrebbe basarsi sui metodi della scienza. Possono essere bastate queste proprietà della materia per la evoluzione?
In una visione evolutiva aperta al trascendente la crescita della complessità rivela le potenzialità di una creazione che è causa di quello che esiste, non solo all'origine delle cose, ma nelle proprietà rivelate nel tempo. Dio realizza le condizioni iniziali, ma è sempre presente, come causa prima, e opera per mezzo delle cause seconde, i fattori della natura, come ricorda il Catechismo della Chiesa Cattolica. Dunque una creazione è sviluppata nel tempo attraverso l'evoluzione della materia e dei viventi.
Resta lo stupore di fronte all'infinitamente piccolo nelle relazioni a livello subatomico, atomico, molecolare, nella materia inanimata e più ancora di fronte alla crescita della complessità che caratterizza la storia della vita. È bello ammirare il funzionamento perfetto di una molecola di Dna o lo sviluppo del seme o le funzioni di un cervello. Non è meno affascinante cercare di conoscere e ricostruire come si siano formate le strutture che ammiriamo.
(©L'Osservatore Romano - 3 marzo 2010)
SPAGNA - Approvata nuova legge sull'aborto - Notizia 25 febbraio 2010 – da sito ADUC
Entro le prime 14 settimane di gravidanza, le donne spagnole potranno decidere da sole se vogliono essere madre o no. Senza interferenze. Il 24 febbraio, il Senato, che ha una maggioranza di conservatori, ha approvato in via definitiva la riforma legale dell'aborto. Dopo un anno e mezzo di difficili negoziati e un acceso dibattito mediatico, il Governo ha ottenuto che il suo testo venisse approvato dal Parlamento. Respinti gli 88 emendamenti presentati, il voto finale è stato di 132 sì, 126 no e un'astensione. La nuova Ley de Salud Sexual y Reproductiva y de Interrupcion Voluntaria del embarazo sarà pubblicata in gazzetta ufficiale (BOE) nei prossimi giorni ed entrerà in vigore tra quattro mesi.
Sono passati 25 anni dalla prima depenalizzazione dell'aborto. La legge del 1985 lo consentiva in base a tre condizioni: stupro, malformazione fetale, grave rischio fisico o psichico per la madre. Quest'ultimo criterio consente interpretazioni le più varie e non offre garanzie né alla donna né al medico, e dunque, per il Consiglio di Stato, la legge doveva essere "adeguata" alla realtà, "poiché nulla è più contrario a uno Stato di diritto che un divorzio radicale tra le norme e la loro applicazione".
I punti cardini della nuova legge:
- aborto libero fino a 14 settimane previa informazione sui vari aspetti e tre giorni di riflessione;
- interruzione entro la 22esima settimana in caso di grave rischio per la propria salute o per gravi anomalie del feto;
- nessun limite dopo la 22esima settimana se la malformazione è incompatibile con la vita del feto oppure se questi dovesse soffrire di una "malattia di estrema gravità e incurabile", accertata da un comitato di tre medici;
- per le minorenni tra i 16 e i 17 anni la decisione spetta esclusivamente a loro, ma ne dovranno informare almeno uno dei legali rappresentanti (padre, madre, tutore) a meno che la notizia non sia l'occasione di un grave conflitto in famiglia, suscettibile di sfociare in violenza, minacce, coazioni, maltrattamenti.
La logica dell'Annunciazione - Articolo di Massimo Introvigne sul periodico "Donna Vestita di Sole", anno XV, n. 129, marzo 2010
L’Annunciazione ci offre un’occasione straordinaria per riflettere sulla natura dell’incontro cristiano, che non è incontro con un insegnamento – per quanto elevato – o con un pensiero – per quanto sublime – ma con una persona. In tempi di confronto interreligioso, è sempre più di moda parlare di «religioni del Libro» con riferimento all’ebraismo, al cristianesimo e all’islam. Ma questa espressione è veramente corretta quando la riferiamo al cristianesimo, e in particolare alla fede predicata dalla Chiesa cattolica? In parte, certo, lo è: in un’indagine sul successo del cristianesimo dei primi secoli nelle grandi città dell’Impero romano il sociologo Rodney Stark conclude che i cristiani prevalgono con relativa facilità sulla concorrenza rappresentata dal paganesimo perché «offrono dei testi scritti lunghi e complessi» che «affascinano la mente delle persone colte» (le quali sono assai più numerose di quanto non si creda fra i primi cristiani), mentre «se si considera che le loro società abbondano di profondi testi scritti di carattere filosofico, diventa ancora più degno di nota il fatto che le religioni tradizionali greca e romana non avessero scritture» (R. Stark, Cities of God, 2006, p. 89).
Ma – da un punto di vista strettamente dottrinale – il cristianesimo non è una religione del Libro nello stesso senso dell’islam. È sbagliato, quando si confronta l’islam con il cristianesimo, paragonare Muhammad a Gesù Cristo. È più corretto paragonare Gesù Cristo, Dio incarnato, al Corano. Se per i cristiani «in principio era il Verbo» (Gv 1,1), per i musulmani in principio era il Libro. Le scuole teologiche discutono se il Corano sia creato o addirittura increato, cioè esista da sempre insieme ad Allah. Ma certamente il Corano non è per i musulmani un libro «ispirato», nello stesso senso in cui lo è la Bibbia per i cristiani: un libro dove Dio ispira autori umani, che comprendono l’ispirazione di Dio secondo le loro capacità e nel contesto in cui si trovano a vivere. Per avere sostenuto che il Corano è un libro «ispirato» nello stesso senso della Bibbia, autori islamici sono stati imprigionati e anche giustiziati, dall’Arabia Saudita al Sudan. No: il Corano – creato o no – è molto di più. Se è increato, coesiste con Dio da tutta l’eternità. Se è creato, è comunque un libro dettato da Dio, parola per parola e perfino lettera per lettera, così che se una singola lettera sembra scritta in modo sbagliato al teologo musulmano non resta che chiedersi per quale ragione Dio ha voluto così, e quale messaggio ci è trasmesso tramite l’apparente errore. Il profeta Muhammad per i musulmani non è «ispirato», ma ha lo stesso ruolo di un foglio di carta su cui Dio stesso scrive.
Il Dio cristiano, invece, non si è incarnato in un libro. Né ha scagliato dal Cielo un libro fatto e finito. Per quanto la Sacra Scrittura sia fondamentale e imprescindibile nella tradizione cristiana, il cristianesimo riposa ultimamente sul fatto storico che inizia con l’Annunciazione: l’incarnazione di Dio in Gesù Cristo, il quale – tra l’altro – non ha scritto nulla, ma ha fondato una comunità, la Chiesa, nel cui seno si sono formati anche i Vangeli. Incarnandosi in Gesù Cristo, Dio ha camminato sulla Terra: e lo si è potuto incontrare.
Incontrare Dio che si fa uomo in Gesù Cristo… È un privilegio riservato a poche persone che sono vissute in Palestina nel primo secolo? No: Gesù resta incontrabile oggi, grazie alla Chiesa raccolta intorno alla Sua presenza reale nell’Eucarestia e ordinata come società perfetta con una gerarchia al cui vertice sta il Papa. La logica dell’Annunciazione diventa così la logica di un incontro non con un libro ma con una comunità: la Chiesa. Qui l’Annunciazione continua nella lettura della Scrittura «interpretata autenticamente dal Magistero della Chiesa» (Vaticano II, Dei Verbum, n. 10), nella partecipazione all’Eucarestia, nell’ascolto del Papa e dei vescovi uniti con lui, nell’amore per la Madonna cui oggi come ieri a Nazareth e come domani, per sempre, Gesù ha affidato tutti i suoi discepoli.