Nella rassegna stampa di oggi:
1) BENEDETTO XVI: LE SOFFERENZE SONO OCCASIONE DI CONVERSIONE - Intervento in occasione dell'Angelus nella III domenica di Quaresima
2) Mercedes Bresso: sulle nozze lesbiche "sono assolutamente d'accordo" - Massimo Introvigne
3) L'UDC, Massimo Introvigne e la Lega. Storia di un rapporto strumentale - di Massimo Introvigne (testo inviato al Centro Tocqueville-Acton con preghiera di pubblicazione)
4) IL CONDOM RIDUCE O INCREMENTA LA DIFFUSIONE DELL’AIDS? - di Renzo Puccetti*
5) L’AIDS NON SI FERMA CON IL CONDOM - di Antonio Gaspari
6) Quando Emma Bonino praticava aborti illegali con la pompa delle biciclette. Da vomito! - Se ogni politico nasconde qualche scheletro nell’armadio, Emma Bonino cela un cimitero di 10 mila bambini non nati e da lei spesso personalmente eliminati con una indifferenza orgogliosa e agghiacciante. – da http://sorvegliato.wordpress.com/2010/01/22/bonino-e-il-metodo-della-pompa-delle-biciclette/
7) Tommaso d'Aquino e la libertà fondata sulla verità - Maestro concreto e passionale - di Inos Biffi - L'Osservatore Romano - 7 marzo 2010
8) Anche tre presuli tra i fermati dopo una marcia a difesa dei dalit - Centinaia di cristiani arrestati in India - L'Osservatore Romano - 7 marzo 2010
9) Avvenire.it, 7 Marzo 2010 - Socrate riletto da Kolakowski - Il pensiero alla ricerca del Bene
BENEDETTO XVI: LE SOFFERENZE SONO OCCASIONE DI CONVERSIONE - Intervento in occasione dell'Angelus nella III domenica di Quaresima
CITTA' DEL VATICANO, domenica, 7 marzo 2010 (ZENIT.org).- Pubblichiamo il discorso che Benedetto XVI ha pronunciato questa domenica in occasione della preghiera mariana dell'Angelus, recitata insieme ai fedeli e ai pellegrini presenti in piazza San Pietro.
* * *
Cari fratelli e sorelle,
la liturgia di questa terza domenica di Quaresima ci presenta il tema della conversione. Nella prima lettura, tratta dal Libro dell’Esodo, Mosè, mentre pascola il gregge, vede un roveto in fiamme, che non si consuma. Si avvicina per osservare questo prodigio, quando una voce lo chiama per nome e, invitandolo a prendere coscienza della sua indegnità, gli comanda di togliersi i sandali, perché quel luogo è santo. "Io sono il Dio di tuo padre – gli dice la voce – il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe"; e aggiunge: "Io sono Colui che sono!" (Es 3,6a.14). Dio si manifesta in diversi modi anche nella vita di ciascuno di noi. Per poter riconoscere la sua presenza è però necessario che ci accostiamo a lui consapevoli della nostra miseria e con profondo rispetto. Diversamente ci rendiamo incapaci di incontrarlo e di entrare in comunione con Lui. Come scrive l’apostolo Paolo, anche questa vicenda è raccontata per nostro ammonimento: essa ci ricorda che Dio si rivela non a quanti sono pervasi da sufficienza e leggerezza, ma a chi è povero ed umile davanti a Lui.
Nel brano del Vangelo odierno, Gesù viene interpellato circa alcuni fatti luttuosi: l’uccisione, all’interno del tempio, di alcuni Galilei per ordine di Ponzio Pilato e il crollo di una torre su alcuni passanti (cfr Lc 13,1-5). Di fronte alla facile conclusione di considerare il male come effetto della punizione divina, Gesù restituisce la vera immagine di Dio, che è buono e non può volere il male, e mettendo in guardia dal pensare che le sventure siano l’effetto immediato delle colpe personali di chi le subisce, afferma: "Credete che quei Galilei fossero più peccatori di tutti i Galilei, per aver subito tale sorte? No, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo" (Lc 13,2-3). Gesù invita a fare una lettura diversa di quei fatti, collocandoli nella prospettiva della conversione: le sventure, gli eventi luttuosi, non devono suscitare in noi curiosità o ricerca di presunti colpevoli, ma devono rappresentare occasioni per riflettere, per vincere l’illusione di poter vivere senza Dio, e per rafforzare, con l’aiuto del Signore, l’impegno di cambiare vita. Di fronte al peccato, Dio si rivela pieno di misericordia e non manca di richiamare i peccatori ad evitare il male, a crescere nel suo amore e ad aiutare concretamente il prossimo in necessità, per vivere la gioia della grazia e non andare incontro alla morte eterna. Ma la possibilità di conversione esige che impariamo a leggere i fatti della vita nella prospettiva della fede, animati cioè dal santo timore di Dio. In presenza di sofferenze e lutti, vera saggezza è lasciarsi interpellare dalla precarietà dell’esistenza e leggere la storia umana con gli occhi di Dio, il quale, volendo sempre e solo il bene dei suoi figli, per un disegno imperscrutabile del suo amore, talora permette che siano provati dal dolore per condurli a un bene più grande.
Cari amici, preghiamo Maria Santissima, che ci accompagna nell’itinerario quaresimale, affinché aiuti ogni cristiano a ritornare al Signore con tutto il cuore. Sostenga la nostra decisione ferma di rinunciare al male e di accettare con fede la volontà di Dio nella nostra vita.
[Il Papa ha poi salutato i pellegrini in diverse lingue. In Italiano ha detto:]
Infine, saluto con affetto i pellegrini di lingua italiana, in particolare i ragazzi provenienti dalle Diocesi di Milano e di Lodi, che si preparano alla loro professione di fede; i cresimandi di Crotone e di Sabbio di Dalmine; i fedeli di Padova e il gruppo della Polizia Municipale di Agropoli, gli alunni della Scuola "Alessandro Carrisi" di Trepuzzi e i ragazzi siriaci-assiri presenti. A tutti auguro una buona domenica.
[© Copyright 2010 - Libreria Editrice Vaticana]
Mercedes Bresso: sulle nozze lesbiche "sono assolutamente d'accordo" - Massimo Introvigne
L'antefatto è noto. Il 27 febbraio il sindaco PD di Torino Sergio Chiamparino ha simbolicamente "sposato" due lesbiche. Ne è nata una controversia con l'Arcidiocesi di Torino e con il mondo cattolico in generale. Qualcuno, dalle parti dell'UDC, si è affrettato a far notare che alla cerimonia non ha partecipato la presidente della Regione e candidata alla rielezione Mercedes Bresso.
Si scopre ora che la Mercedes preferita dall'UDC non ha partecipato solo perché... non l'hanno invitata. A "La Stampa" del 6 marzo la Bresso dichiara: "Sono assolutamente d'accordo con Sergio e se mi avessero invitato avrei partecipato a quella cerimonia".
Del resto alla domanda del "Corriere della Sera" “Era seria quando ha detto che il gay pride vale una processione religiosa?" la Bresso aveva risposto: "Possono essere entrambe manifestazioni di orgoglio identitario” (Corriere della Sera, 24.2.2009). A "La Stampa" la Bresso aveva dichiarato che per le coppie omosessuali “per quanto riguarda la Regione ci muoveremo per garantire pari opportunità a tutti i cittadini e per combattere ogni discriminazione” (30.9.2005). Che cosa questo significhi davvero lo ha rivelato la Bresso al canale omosessuale "Gay TV": “Per il momento [nota bene: per il momento, n.m.] credo si debba introdurre un provvedimento simile al Pacs che garantisca diritti veri. In prospettiva, compatibilmente con il necessario cambiamento culturale, credo che si debba pensare ad un riconoscimento vero e proprio come il matrimonio” (5.6.2009).
Bresso e Chiamparino, dunque, uniti nella lotta per il riconoscimento delle unioni gay e lesbiche. E si capisce ancora una volta che cosa voleva dire la Bresso quando ha firmato con l'UDC un impegno a sostenere la famiglia. Di che famiglia si tratti lo vediamo nella fotografia.
Va ricordato a tutti gli elettori: una croce sull'UDC è una croce per la Bresso e per i suoi programmi, unioni gay e lesbiche comprese.
Chi non è d'accordo con questi programmi può rileggersi questo punto del "Patto per la vita e per la famiglia" sottoscritto da Roberto Cota: "Rifiuto con chiarezza ogni ipotesi di omologazione della famiglia fondata sul matrimonio, a norma dell’art.29 della Costituzione, a ogni altra forma di convivenza anche omosessuale. Sono contrario a cerimonie, registri e altre iniziative che introducano surrettiziamente un’equiparazione tra unioni omosessuali e matrimonio monogamico ed eterosessuale".
L'UDC, Massimo Introvigne e la Lega. Storia di un rapporto strumentale - di Massimo Introvigne (testo inviato al Centro Tocqueville-Acton con preghiera di pubblicazione)
Ho letto con interesse la riflessione di Paolo Asolan e Flavio Felice (“La Lega Nord e la Chiesa cattolica: storia di un rapporto strumentale”, Il Riformista, 5 marzo 2010, versione completa sul sito del Centro Tocqueville-Acton) che parte dalle mie attuali critiche all’UDC per il sostegno che questo partito dà alla candidatura di Mercedes Bresso in Piemonte per proporre una riflessione su miei “importanti lavori” che risalgono a quindici anni fa dedicati alla Lega Nord. Apprezzo il tono della riflessione. Apprezzo molto meno – ma la responsabilità non è degli autori – l’uso strumentale che ne fanno in chiave elettorale i siti degli esponenti dell’UDC Pier Ferdinando Casini e Michele Vietti. Questi siti riprendono le tesi di Asolan e Felice senza citarli, o addirittura ripubblicano – senza autorizzazione da parte mia, e addirittura tagliando e cucendo per eliminare le parti che non tornano comode – brani di miei libri del 1993 o 1996 come se fossero stati scritti ieri, per accusarmi più o meno esplicitamente d’incoerenza (“Introvigne quindici anni fa criticava la Lega, oggi sostiene il leghista Cota”). Giudicheranno i lettori quale peso possa avere questa critica da parte di chi non quindici anni, ma quindici giorni prima della definizione delle candidature sosteneva a gran voce che si sarebbe alleato in Piemonte con il PD solo se il candidato fosse stato diverso dall’anti-cattolica Mercedes Bresso, mentre oggi sostiene tranquillamente la Bresso.
Il testo di Asolan e Felice, ben altrimenti serio, merita invece una riflessione ugualmente seria da parte mia. Mi limito, per brevità, a riassumerla in punti.
1. Il passaggio dalla Prima alla Seconda Repubblica comporta la transizione dal partito-Chiesa, partito ideologico cui si aderisce come a una famiglia spirituale, a partiti pragmatici che cercano il sostegno per ragioni diverse dall’identità e dall’ideologia. Quando mi sono occupato della Lega – né sono pentito di averla presa sul serio, tra i primi, come oggetto di studio accademico – con il convegno “Tra Leghe e nazionalismi”, da me organizzato all’Università di Torino, e con la pubblicazione dei successivi atti nel 1993, si era ancora nella Prima Repubblica. Lo studio dei partiti aveva ancora al suo centro il tentativo di ricostruire una loro “dottrina”. Il secondo saggio citato da Asolan e Felice – “L’ethos italiano e lo spirito del federalismo” – fu scritto quando l’esecutivo era il governo Dini, figlio del “ribaltone” cui aveva contribuito anche la Lega, e figlio a mio avviso – oltre che, naturalmente, degli attacchi a Berlusconi di alcuni magistrati – di una pratica politica ancora largamente ispirata alla Prima Repubblica. La transizione non poteva certo essersi completata in pochi anni.
2. Quei saggi si situano anche prima di numerosi atti del Magistero di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI – e della loro applicazione alla situazione italiana da parte del cardinale Camillo Ruini, fino al 2007 presidente della Conferenza Episcopale Italiana – che hanno introdotto la nozione di “principi non negoziabili”. La fondamentale nota dottrinale della Congregazione per la Dottrina della Fede Circa alcune questioni riguardanti l’impegno e il comportamento dei cattolici nella vita politica è del 2002. La lettera della stessa Congregazione ai Vescovi degli Stati Uniti Dignità a ricevere la Santa Comunione – Principi generali, che contiene indicazioni importanti in materia di scelte politiche, risale alla campagna elettorale per le elezioni presidenziali americane del 2004.
3. Ringrazio Asolan e Felice per la benevola attenzione riservata a quei miei antichi scritti. Grazie non solo a me ma a diversi altri studiosi, penso possiamo dare per scontato che, se cerchiamo una “dottrina” della Lega – una ricerca che aveva senso durante la Prima Repubblica e nella fase di transizione immediatamente successiva, molto meno oggi –, scopriamo facilmente che Umberto Bossi non si è formato in parrocchia e che questa eventuale “dottrina” non nasce dal confronto con la dottrina sociale della Chiesa, ma da una pluralità di altre fonti: il che non esclude, peraltro, il successivo incontro e dialogo anche con il pensiero sociale cattolico.
4. Questa ricerca mantiene oggi un interesse storico e culturale e, dal momento che i partiti e i movimenti – come dice il loro nome – si muovono, deve naturalmente tenere conto delle tante cose che anche nella Lega sono cambiate in quindici anni, tra l’altro con l’emergere di leader che si dichiarano esplicitamente cattolici, non solo in tema di crocefissi, come appunto Roberto Cota. Con il tramonto dei partiti-Chiesa il problema politico dei cattolici si pone però, in regime di Seconda Repubblica, in termini diversi.
5. Il Magistero oggi ci insegna che le scelte politiche non debbono più avvenire sulla base di simboli, e neppure sulla base della simpatia, della situazione familiare e matrimoniale e della frequenza ai sacramenti delle singole persone. Anche su questo punto la scelta tra Cota e la Bresso, e anche fra Cota e alcuni suoi critici dell’UDC, privilegerebbe facilmente Cota, ma applicando lo stesso criterio gli amici dell’UDC avrebbero dovuto sempre schierarsi con Prodi, che si è sposato in chiesa, non ha mai divorziato e va a Messa più volte alla settimana. Non l’hanno fatto, giustamente, perché i politici non si scelgono sulla base del numero di Messe che frequentano ma delle loro proposte politiche, e in tema di vita e famiglia quelle di Prodi e del suo governo erano inaccettabili per qualunque cattolico.
6. Le scelte vanno compiute dunque sulla base non di simboli e di identità vere o presunte ma di questioni concrete, verificando caso per caso la posizione dei candidati e degli schieramenti anzitutto sui “principi non negoziabili”, espressione tecnica che nel Magistero di Benedetto XVI comprende la vita – con il no all’aborto e all’eutanasia –, la famiglia – con il no, in particolare, al riconoscimento delle unioni omosessuali – e la libertà di educazione, con il sostegno all’effettiva parità fra i genitori che scelgono per i loro figli la scuola statale e quelli che scelgono la scuola non statale. Sulle altre questioni, secondo il documento del 2004 Dignità a ricevere la Santa Comunione, “ci può essere una legittima diversità di opinione anche tra i cattolici”. Gli esempi di materie su cui è lecito avere diverse opinioni si riferivano nel documento, destinato a vescovi americani durante la guerra in Iraq, a materie non meno serie dell’economia e dell’immigrazione: “ci può essere una legittima diversità di opinione anche tra i cattolici – esemplificava la Congregazione – sul fare la guerra e sull’applicare la pena di morte”, questioni che “non hanno lo stesso peso morale” rispetto all’aborto e all’eutanasia.
7. Nel contesto italiano della Seconda Repubblica si deve riconoscere che nessuno schieramento rispetta integralmente e completamente i principi non negoziabili. Nel centro-destra vi sono, per esempio, le posizioni ben note e notoriamente discutibili dell’onorevole Gianfranco Fini. Tuttavia altre sono le posizioni personali di questo o di quello, altri i comportamenti e i programmi. Sul caso Eluana, nonostante il dissenso dell’onorevole Fini, la stragrande maggioranza del centro-destra si è schierata per la vita, mentre la stragrande maggioranza del centro-sinistra, nonostante la presenza di eccezioni anche qui individuali, si è schierata per la morte. Lo stesso vale per la RU486, per i PACS e per le altre materie non negoziabili. I due schieramenti, dunque, giudicati alla luce dei principi non negoziabili, non si equivalgono.
8. Sempre nel contesto della Seconda Repubblica, non potendo più scegliere partiti sulla base della loro identità – perché questo elemento, che pure non è del tutto sparito, è diventato secondario – occorre scegliere sulla base di comportamenti e programmi: in materia anzitutto, e ancora, di principi non negoziabili. Sul punto, la scelta fra Cota e Bresso in Piemonte è ovvia. Ho documentato ampiamente, ma tutti i piemontesi lo sanno, come non sulle declamazioni astratte in favore della vita e della salute – dove la Bresso ha trovato un accordo con l’UDC senza troppe difficoltà – ma sulle materie concretissime del protocollo di applicazione della legge 194, della scelta di somministrare in day hospital la RU486 e di distribuire la pillola del giorno dopo senza ricetta medica, del riconoscimento delle unioni civili anche omosessuali e della franca ammissione del diritto al matrimonio, non solo ai PACS, di gay e lesbiche, dell’ostilità alla scuola cattolica, le posizioni della presidente uscente sono antitetiche a quelle dei cattolici. Roberto Cota ha invece sottoscritto un “Patto per la vita e per la famiglia” con sei impegni non astratti, ma assolutamente concreti e suscettibili nel caso di sua elezione d’immediata verifica, che coprono questi punti e che sono in pieno accordo con gli insegnamenti del Magistero cattolico. Dal momento che chi fa la croce sull’UDC – a meno di voto disgiunto – vota automaticamente anche la Bresso, queste sono altrettante ottime ragioni per non votare in Piemonte UDC.
9. A questo – e alla campagna di Alleanza Cattolica, di cui sono vice-responsabile nazionale, a favore di Cota e contro la Bresso – si rivolgono tre obiezioni. La prima è che nell’UDC piemontese ci sono ottime persone, anche fra i candidati alle regionali. Non lo nego. Ottime persone – insieme ad altre meno buone – ci sono in molti partiti. Il Magistero, con il richiamo a privilegiare i principi non negoziabili, c’insegna però che quello delle “ottime persone” non può essere il primo criterio di scelta. Un’“ottima persona” che sostiene direttamente – ovvero indirettamente, contribuendo all’elezione di una presidente di regione che ha queste posizioni – la banalizzazione dell’aborto o il riconoscimento delle unioni omosessuali non ha particolare diritto al suffragio dei cattolici.
10. La seconda obiezione è che, se pure i cattolici e Cota sono in piena sintonia sui “principi non negoziabili”, non lo sono però su altri temi importanti, in particolare l’immigrazione. La risposta è duplice. Anzitutto, se secondo l’insegnamento del Magistero la materia della vita e della famiglia prevale su temi come “la guerra” e “la pena di morte”, certamente prevale anche rispetto al tema dell’immigrazione che, pure serissimo, non è certo più decisivo della guerra o della pena di morte. Ma soprattutto è un semplice mantra continuamente ripetuto ma nello stesso tempo sempre falso quello secondo cui le proposte della Bresso in tema d’immigrazione sono più conformi alla dottrina sociale della Chiesa di quelle di Cota. Non è così: il piano immigrazione della Bresso esalta un multiculturalismo i cui presupposti sono l’eclettismo culturale e l’idea secondo cui tutte le culture sono di uguale valore, espressioni tipiche della “dittatura del relativismo” denunciata da Benedetto XVI, oltre a essere irrealistico e inapplicabile. Le proposte di Cota sono ragionevoli e moderate, e tra l’altro non dimenticano che anche per gli immigrati il primo diritto è il diritto alla vita. Il volontariato pro life, non a caso unanimemente schierato con Cota che si è impegnato a sostenerlo ed escluso dalla Bresso dalla fase di prevenzione dell’aborto, in molte città piemontesi assiste in maggioranza donne immigrate, presso le quali il tasso di aborto è particolarmente elevato. È uno strano modo di volere bene alle donne immigrate quello che consiste nel favorirne anzitutto in ogni modo l’aborto.
11. La terza obiezione – che oggi usa strumentalmente anche il testo di Asolan e Felice, e magari qualche brano di miei scritti di tanti anni fa, tagliando opportunamente i passi degli stessi testi dove esprimevo apprezzamento per il federalismo – è che Cota è della Lega, e che la Lega “adora il dio Po” ed è intrinsecamente neopagana. È chiaro che come cattolico non apprezzo il neo-paganesimo, e neppure certe battute di esponenti leghisti che criticherei oggi come le criticavo nei primi anni 1990. In un’ideale anti-gerarchia degli errori ogni forma di religiosità, anche anacronistica e bizzarra, è comunque meno lontana dalla verità dall’ateismo di cui fa aperta professione la Bresso. Nel 2001 ho diretto e pubblicato una ricerca scientifica sul tema “Aspetti spirituali dei revival celtici e tradizionali in Lombardia” che ha indagato in modo molto minuto sulla presenza di un’effettiva religione neo-pagana – distinta dalle semplice partecipazione a feste o sagre turistiche – tra gli iscritti e gli elettori della Lega in Lombardia. Con notevoli sforzi, abbiamo trovato ben quindici persone che dichiarano di professare tale religione e partecipano a riti neo-pagani: una minoranza colorita, dunque, ma infima. La definizione ricorrente nella propaganda della Bresso e dell’UDC del cattolico Cota come “adoratore del dio Po” è semplicemente un esempio particolarmente sgradevole dell’involgarimento di una campagna elettorale condotta dalle sinistre senza esclusione di colpi.
12. Non si può neppure creare una dicotomia fra Cota “buono” – ma individualmente – e la Lega “cattiva”. A Milano l’Associazione Nuove Onde pubblica interessantissimi rapporti su come votano i partiti in Parlamento, in Europa e nelle Regioni su temi che attengono ai “principi non negoziabili”. Sull’aborto, il fine vita, le unioni omosessuali, la libertà di educazione la Lega – di cui Cota è il capogruppo alla Camera, ma dove i voti li esprimono tutti i parlamentari – è tra i partiti che votano in maggiore conformità ai principi del diritto naturale difesi anche – ma in nome della ragione, così che non si tratta di clericalismo o di ingerenze – dal Magistero della Chiesa. Questi sono fatti, non chiacchiere o propaganda. L’auto-riflessione della Lega sull’identità dei popoli italiani, che oggi è in una fase diversa rispetto a quindici anni fa, è un argomento certamente interessante: ma che attiene meno direttamente alle immediate scelte elettorali.
IL CONDOM RIDUCE O INCREMENTA LA DIFFUSIONE DELL’AIDS? - di Renzo Puccetti*
ROMA, domenica, 7 marzo 2010 (ZENIT.org).- E’ sempre più evidente la scarsa efficacia della promozione del preservativo come misura sostanziale di prevenzione dall’HIV a livello di popolazione generale.
Il problema che si pone è se oltre ad essere scarsamente efficace la diffusione di profilattici può diventare oggetto di maggiore diffusione dell’AIDS come denunciato da scienziati, medici, educatori e dallo stesso Pontefice Benedetto XVI.
In fin dei conti, una cosa è un intervento inutile, cosa ben diversa è un intervento nocivo. In quale modo adoperarsi per la diffusione dei preservativi, anziché attenuare, potrebbe “aumentare il problema”?
Una tale evenienza potrebbe attuarsi se in questo campo gli eventi seguissero la linea prevista dalla teoria del risk homestasis (omeostasi del rischio), conosciuta anche come risk compensation (compensazione del rischio), o anche come effetto Peltzman, dall’economista, che ne scrisse negli anni‘70.[1]
In base a tale teoria le persone effettuano determinati comportamenti sulla base di un livello di rischio percepito come accettabile. L’introduzione di un qualsiasi presidio che abbassi la percezione del rischio comporterà l’adozione di comportamenti più rischiosi, tali da portare ad una compensazione del rischio percepito e possibilmente anche ad una super-compensazione del rischio reale.[2]
La compensazione del rischio è un elemento tenuto in considerazione dagli esperti quando si tratta di analizzare l’impatto sull’incidenza dell’HIV di pratiche come la circoncisione maschile, o la somministrazione di farmaci antiretrovirali a scopo preventivo.[3]
La stessa organizzazione UNAIDS sembra essere al corrente del problema, dal momento che tale evenienza è espressamente citata, all’interno delle linee guida etiche nei protocolli di ricerca sulla prevenzione dell’AIDS, tra le attenzioni che i ricercatori devono avere quando svolgono programmi di prevenzione per l’HIV.[4]
Quando però si tratta di applicare le stesse preoccupazioni al condom, dal campo delle grandi agenzie della salute e di molti potentati scientifici inspiegabilmente si levano delle nebbie misteriose.
Secondo lo schema della compensazione del rischio la promozione del preservativo potrebbe condurre ad un indebolimento dell’autocontrollo delle persone con conseguente maggiore diffusione di comportamenti sessuali a rischio d’infezione.
Vi sono indizi di una tale possibilità? La risposta consentita dalle conoscenze attuali è affermativa: che la diffusione del condom possa condurre ad un incremento compensatorio dei comportamenti a rischio è una possibilità che le attuali evidenze non possono escludere.
Nel 2000, proprio sulla rivista The Lancet, comparve un articolo che raggiunse una certa notorietà tra gli addetti ai lavori.
Gli autori mettevano in guardia nei confronti della possibilità che l’affidarsi al preservativo potesse essere di gran beneficio teoricamente, ma al dunque non raccogliere gli effetti previsti sul campo, allo stesso modo di come l’introduzione delle cinture di sicurezza non aveva portato alla riduzione auspicata del numero di morti sulle strade.[5]
Nel 2003, ad un meeting organizzato dal Presidential Avisory Council on HIV/AIDS, il professor Hearst presentò una serie di dati longitudinali che mostravano come l’incremento della vendita di preservativi in Kenia, Botswana, Camerun, si accompagnava ad un parallelo incremento della sieroprevalenza da HIV.[6]
Anche valutazioni trasversali hanno mostrato nelle nazioni sub-sahariane la correlazione positiva tra l’uso del preservativo e i tassi di prevalenza d’infezione da HIV; cioè nei paesi dove più si usa il preservativo, maggiore è il tasso di diffusione dell’AIDS nella popolazione.[7]
È importante precisare che la presenza di una correlazione statisticamente significativa tra due fattori non ne stabilisce affatto un rapporto di dipendenza causale. Teoricamente la vendita dei preservativi potrebbe tendere a concentrarsi nelle nazioni dove più è diffusa l’epidemia.
Che l’uso del preservativo si associ ad un maggiore tasso di HIV e di AIDS non è però una caratteristica africana.
In un contributo personale redatto insieme alla professoressa Di Pietro pubblicato dal British Medical Journal, è stato dimostrato che la correlazione tra preservativo e HIV è presente anche negli Stati Uniti.[8]
Poiché vi sono dati che indicano come in occidente il condom è impiegato più con finalità contraccettive che protettive,[9] è più probabile che nell’associazione tra condom e HIV il maggiore uso del preservativo preceda l’incremento dell’HIV e non viceversa.
In uno studio d’intervento attuato in Uganda è stato dimostrato che una più aggressiva campagna di promozione dell’uso del condom si associa al contatto sessuale con un numero maggiore di partner.[10]
In controtendenza rispetto a questi dati sono i risultati di una meta-analisi che ha valutato l’effetto sui comportamenti sessuali degli interventi atti a promuovere la riduzione del rischio.
Secondo i risultati di questo studio tali interventi, compresi quelli che promuovono l’uso del condom, non si associano a variazioni significative, né in un senso, né nell’altro, dei comportamenti a rischio.[11]
Tale studio, ha però preso in evidenza non la mera distribuzione dei preservativi, ma programmi, quasi sempre integrati, comprendenti anche di interventi di educazione alle nozioni di fedeltà.
È altresì di recente pubblicazione una revisione della letteratura che conferma invece la presenza di comportamenti disinibitori a seguito degli interventi di profilassi della malattia.[12]
Risultati discordanti di questo genere possono essere spiegati dalla diversa selezione degli studi e dal diverso processo di analisi dei dati.
[Per approfondire l'argomento si legga di Cesare Davide Cavoni e Renzo Puccetti, “Il Papa ha ragione! L’aids non si ferma con il condom” (edizioni Fede & Cultura)]
----------
* Il dott. Renzo Puccetti è specialista in Medicina Interna e segretario del Comitato “Scienza & Vita” di Pisa-Livorno.
1) Peltzman, S. The Effects of Automobile Safety Regulation. Journal of Political Economy. 1975; 83: 677-725.
2) Tazi-Preve I, Roloff J. Abortion in West and East Europe: problems of access and services, in CICRED Seminar on Reproductive Health, Unmet Needs, and Poverty: Issues of Access and Quality of Services, Bangkok, 25-30 November 2002.http://www.cicred.org/Eng/Seminars/Details/Seminars/Bangkok2002/32BangkokTazi&Rolof.pdf (ultimo accesso del 08-07-2009). Vedi pure Levine PB. The Sexual Activity and Birth Control Use of American Teenagers. In: Jonathan Gruber, editor. Risky Behavior among Youths: An Economic Analysis (National Bureau of Economic Research Conference Report). Cambridge MA: University of Chicago Press 2001: 167-218.
3) Mastro TD, Cates W Jr, Cohen MS. Antiretroviral Products for HIV Prevention: Looking toward 2031.
http://www.fhi.org/NR/rdonlyres/eelhp77qb7vtrhcrzdc6z2sevegzymnhha7nz4iuobbmjdwxq2tmyqlpnq5avb5wkabzqhsjenf5wd/arvproductsforprevention.pdf (ultimo accesso del 08-07-2009).
4) UNAIDS/WHO. Ethical considerations in biomedical HIV prevention trials.
http://data.unaids.org/pub/Report/2007/JC1399_ethical_considerations_en.pdf (ultimo accesso del 08-07-2009).
5) 74 Richens J, Imrie J, Copas A. Condoms and seat belts: the parallels and the lessons. Lancet. 2000; 355(9201): 400-3.
6) Hearst N, Chen S. Condom Promotion for AIDS Prevention in the Developing World: Is it Working?
http://www.pacha.gov/meetings/presentations/p0803/p0803.html (ultimo accesso 4-7-2009).
7) Green EC. New Evidence Guiding How We Conduct AIDS Prevention. Presentation to the Manhattan Institute, Jan 9, 2008. http://www.harvardaidsprp.org/research/green-manhattan-institute-lecture-010908.pdf.
8) Puccetti R, Di Pietro ML. Catholic Magisterium and scientific community: possible dialogue on the bridge of numbers. British Medical Journal. 2 Apr. 2009. [letter] http://www.bmjcom/cgi/eletters/338/mar25_1/b1217.
9) Stigum H, Magnus P, Veierød M, Bakketeig LS. Impact on sexually transmitted disease spread of increased condom use by young females, 1987-1992. Int J Epidemiol. 1995; 24(4): 813-20.
Vedi pure Faílde Garrido JM, Lameiras Fernández M, Bimbela Pedrola JL. Sexual Behavior in a Spanish Sample Aged 14 to 24 Years Old. Gaceta Sanitaria. 2008; 22:6: 511-9.
10) Kajubi P, Kamya MR, Kamya S, Chen S, McFarland W, Hearst N. Increasing condom use without reducing HIV risk: results of a controlled community trial in Uganda. J Acquir Immune Defic Syndr. 2005; 40(1): 77-82.
11) Smoak ND, Scott-Sheldon LA, Johnson BT, Carey MP. Sexual risk reduction interventions do not inadvertently increasethe overall frequency of sexual behavior: a meta-analysis of 174 studies with 116,735 participants. J Acquir Immune Defic Syndr. 2006; 41(3): 374-84.
12) Eaton LA, Kalichman S. Risk compensation in HIV prevention: implications for vaccines, microbicides, and other biomedical HIV prevention technologies. Curr HIV/AIDS Rep. 2007; 4(4) :165-72.
L’AIDS NON SI FERMA CON IL CONDOM - di Antonio Gaspari
ROMA, venerdì, 5 marzo 2010 (ZENIT.org).- “Il Papa ha ragione! L’Aids non si ferma con il condom”: è questo il titolo del saggio scritto da Cesare Davide Cavoni e Renzo Puccetti e pubblicato dall’editrice "Fede & Cultura".
Il libro ricostruisce in maniera precisa l'ennesimo caso di disinformazione che nel marzo del 2009, nel corso del suo primo viaggio in Africa, ha coinvolto il Pontefice Benedetto XVI. Al centro delle polemiche allora c'erano il condom e l'Aids.
Nella prima parte del volume viene ricostruita la cronaca di come e perché le parole del Papa sono state prima inascoltate e poi travisate; mentre nella seconda parte vengono riportati gli studi scientifici che attraverso i dati pubblicati nella letteratura medica internazionale mostrano che il profilattico non solo non è la soluzione dei mali del continente africano, ma addirittura che la distribuzione a pioggia di preservativi porta a condotte che aggravano ancora di più il problema.
Nella prefazione Francesco Agnoli sottolinea che il vero problema in Africa è culturale e cioè “la concezione dell’uomo e della donna” e che questa non si può risolvere con “una maggiore o minore disponibilità di caucciù”.
Si chiede Agnoli: possono bastare camionate di preservativi, con il loro indice, per quanto basso di fallibilità, a cambiare il modo di pensare di un continente? Serviranno a ridare alla donna e al rapporto coniugale la loro dignità e grandezza? Presentare il preservativo come la ricetta contro l’Aids non significa forse proporre una falsa sicurezza, che finisce alla lunga per determinare un aumento dei contagi?
Nel volume Cesare Cavoni scrive: “la Chiesa è da molto impegnata a far fronte all’emergenza generata dal sorgere del virus ma, nello stesso tempo, ha l’ardire di affermare che uno dei metodi da molti considerato ineludibile per impedire il contagio, è in realtà un mezzo non solo fallace ma addirittura peggiorativo della situazione”.
Mentre il dott. Renzo Puccetti spiega: “se davvero si è convinti che mediante la diffusione dei preservativi si possa efficacemente contrastare l’epidemia nel continente africano, allora paesi e istituzioni internazionali avrebbero il dovere di provvedere ad una massiccia intensificazione della quantità di condom donati all’Africa”.
Dagli studi di due ricercatori, James Shelton e Beverly Johnston, apparsi sulla rivista British Medical Journal nel 2001 risulta infatti che nel 1999, 724 milioni di preservativi, di cui oltre 500 milioni derivanti dalle donazioni estere, sono stati messi a disposizione dei paesi sub-africani, dove vivono i due terzi dei 33,2 milioni di persone colpite nel mondo dall’HIV.
È stato calcolato che tale cifra corrisponde ad una provvista annuale di 4,6 preservativi per ogni uomo che vive nella regione di età compresa tra i 15 e i 59 anni. Ipotizzando per ciascuno di essi un rapporto sessuale a settimana, è abbastanza facile comprendere come il numero di preservativi messi a disposizione sia del tutto insufficiente ad assicurare quel livello di protezione che il Papa avrebbe minacciato con le sue parole.
L’insufficienza della copertura della popolazione mediante preservativi è confermata dal rapporto tecnico finale di un gruppo di esperti che sotto l’egida dell’organizzazione inter-governativa Southern African Development Community si è riunita a Maseru, in Lesotho, dal 10 al 12 maggio 2006. Secondo tale rapporto il condom maschile è assicurato solamente al 19% della popolazione sub-sahariana.
L’inefficacia del profilattico è dimostrata da un rapporto pubblicato dalle autorità sanitarie del Distretto di Columbia in cui si scopre che nella capitale degli Stati Uniti, dove l’accesso ai preservativi è indiscutibilmente oltremodo ampio e senza interruzioni, la percentuale di adolescenti e adulti sieropositivi per l’HIV è pari al 3%, un livello nettamente superiore a quell’1% che l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) considera la soglia oltre la quale si può parlare di epidemia.
La prevalenza individuata a Washington, seppure anche frutto di un miglioramento della rete diagnostica e delle possibilità terapeutiche, è paragonabile a quella dell’Uganda e di certe zone del Kenia, dove il numero di preservativi disponibili non è certo equivalente.
Quando Emma Bonino praticava aborti illegali con la pompa delle biciclette. Da vomito! - Se ogni politico nasconde qualche scheletro nell’armadio, Emma Bonino cela un cimitero di 10 mila bambini non nati e da lei spesso personalmente eliminati con una indifferenza orgogliosa e agghiacciante. – da http://sorvegliato.wordpress.com/2010/01/22/bonino-e-il-metodo-della-pompa-delle-biciclette/
Negli anni ‘74-75, quelli in cui infiamma la battaglia che poterà alla legge 194, la Bonino diviene con Adele Faccio una leader di quella che ancora oggi Marco Pannella chiama una “battaglia per i diritti civili”.
Soprattutto, fonda il Cisa e si fa promotrice dell’aborto “per aspirazione”, alternativa pratica ed economica ai “cucchiai d’oro”, cioè agli infami interventi compiuti – fuorilegge ma dietro prezzolatissima parcella – da alcuni medici o praticono nostrani. Quello mostrato dalla foto è proprio un intervento di quel tipo, eseguito con la pompa di bicicletta davanti al fotografo al quale la giovane e bella militante rivolge il suo sorriso. Il metodo è chiamato Karman e normalmente viene eseguito con un aspiratore elettrico, che però costa “un mucchio di quattrini e poi pesa a trasportarlo nelle case per fare aborti nelle case”. Così spiega la deputata radicale alla giornalista Neera Fallaci di Oggi, mostrando gli oggetti accanto a lei (a sinistra nella foto), bastano una pompa da bicicletta, un dilatatore di plastica e un vaso dentro cui si fa il vuoto e in cui finisce “il contenuto dell’utero”. Un kit per il fai-da-te, come oggi usano fare le iper-femministe per ingravidarsi da sole. “Io – spiega Emma – uso un barattolo da un chilo che aveva contenuto della marmellata. Alle donne non importa nulla che io non usi un vaso acquistato in un negozio di sanitari, anzi è un buon motivo per farsi quattro risate”. Un’allegra scampagnata: “L’essenziale per le donne è fare l’aborto senza pericolo e senza soffrire, non sentirsi sole e angosciate”. Già perché mai? “Entro il secondo mese non ci sono problemi: si può fare il self-help, l’auto assistenza, un discorso rivoluzionario delle femministe francesi e italiane. Dopo il secondo mese mandiamo le donne a Londra”. La Bonino, oltre a essersi sottoposta a un aborto clandestino, tramite il Cisa nel 1975 ha eseguito in Italia e a Londra, in dieci mesi, 10.141 aborti. Cioè diecimila omicidi, secondo la legge vigente all’epoca. Per sua stessa ammissione.
Tommaso d'Aquino e la libertà fondata sulla verità - Maestro concreto e passionale - di Inos Biffi - L'Osservatore Romano - 7 marzo 2010
Chi frequenti le opere di Tommaso d'Aquino - morto il 7 marzo 1274 presso il monastero cistercense di Fossanova - resta sorpreso vedendo convivere in lui l'acutezza speculativa e l'attenzione all'esperienza, la rigorosa sottigliezza logica e la penetrante lettura della fenomenologia. Se la sua capacità astrattiva e riflessiva nell'ambito del pensiero è altissima, non meno lucida e fine appare la sua sagacia nel campo dell'azione, che specialmente risalta nella meravigliosa Pars secunda della Summa Theologiae.
E sia nella scienza speculativa sia nella scienza pratica Tommaso procede con un linguaggio preciso e insieme trasparente e semplice, dove gli importa "il significato dell'espressione" (significatio nominis), ma soprattutto si rivela interessato alla "realtà significata" (res significata), convinto com'è che "la realtà" (res) eccede sempre il "nome" (vox) e ne rappresenta l'inesauribile risorsa. Egli sa che in ogni porzione del sapere l'"enunciazione" (l'enuntiabile) non traduce mai adeguatamente l'"enunciato".
Tommaso non si compiace degli intrecci linguistici, che finiscono nell'aridità e talora nella stravaganza; e neppure trova gusto nell'esuberanza del linguaggio appariscente delle immagini a cascata: egli non è né Scoto né Bonaventura. Da qui il tono pacato, preciso e denso della sua scrittura, appunto interamente tesa a far trasparire la "sostanza" della cosa.
L'Angelico non si propone di meravigliare, ma di dire la realtà, cioè la verità: disinteressatamente. Il che non vuol dire senza passione. L'indole di Tommaso è passionale e, quando occorra, sa essere sferzante. Si pensi al De unitate intellectus che termina con queste parole: "Se qualcuno, vantandosi di conoscenze pseudo-scientifiche, intende dire qualcosa contro ciò che abbiamo scritto, non parli nei crocicchi o di fronte a dei ragazzi, che non sono in grado di giudicare cose così difficili, ma scriva contro questo opuscolo, se ne ha il coraggio", e troverà gente capace di ribattere e di "colmare le lacune della sua ignoranza".
Del resto, possiamo ricordare i limiti e le imperfezione della "scrittura" di Tommaso, stesa in stato di normale assillo, quasi di impazienza, come ha ben messo in luce Pierre-Marie Gils.
In ogni caso, il clima diffuso che si respira nelle opere dell'Angelico è quello della libertà fondata sulla verità. Egli appare totalmente allergico sia al conformismo sia all'eccesso; solo che il suo "equilibrio" nasce proprio dalla sua preoccupazione di essere vero, la quale fonda e spiega la sua audacia.
Egli scrive tranquillamente che, per esaltare Dio, non si devono umiliare e misconoscere le creature; anzi: "Sminuire la perfezione delle creature significherebbe sminuire la perfezione delle prerogative di Dio" (detrahere perfectioni creaturarum est detrahere perfectioni divinae virtutis); "Sottrarre le azioni proprie alle cose, significherebbe sottrarre qualche cosa alla bontà di Dio" (Detrahere ergo actiones proprias rebus, est divinae bonitati derogare (Summa contra Gentiles, ii, 69).
È la vittoria radicale sul manicheismo, che aveva lasciato qualche sua pericolosa traccia nella tradizione cristiana; ed è un atteggiamento appartenente al "talento istintivo", o "caratteriale" del Dottor Comune: il rilievo è del geniale Chesterton, nel suo San Tommaso d'Aquino, che Étienne Gilson considerava "senza possibilità di paragone il miglior libro mai scritto su san Tommaso".
Ho accennato alla diligente attenzione che questi aveva per la scienza sperimentale o per la fenomenologia, riscontrabile, in particolare, nella Pars secunda della Summa Theologiae.
Qui la materia è offerta dall'agire umano, dai suoi principi, dalle "passioni", dalle virtù, teologali e cardinali, destinate a rifrangersi e a ramificare in una molteplicità di temi. Si può allora percorrere specialmente la Pars secunda secundae della stessa Summa, e ritrovare le considerazioni tomistiche per esempio sull'amicizia e l'ironia, la presunzione e la vana gloria, l'ambizione e la pusillanimità, la studiosità e la curiosità, dove ricorre tutta una sapienza pratica filosofica illustrata e ritratta dal profilo cristiano e dove l'etica di Aristotele rivive e si rinnova: sarà "verso la fine dell'epoca medievale" che "l'aristotelismo finì per irrancidire" (Chesterton).
Questa parte offre tutto un programma di formazione spirituale umana e cristiana di alta qualità: uno splendido trattato e tracciato di educazione. Bisogna solo aver il coraggio di percorrerlo, anche se il cammino è molto arduo. La forma e disposizione scolastica delle questioni e degli articoli non è di immediato accesso; la lingua stessa può essere un'obiezione non lieve. È però possibile oltrepassare questa osticità, con l'ascolto paziente dei testi, lo scioglimento dell'apparato tecnico scolastico. E allora si raggiunge - rimanendone attratti - la vena che scorre in fondo all'espressione.
Vorrei cogliere un esempio di questo amore di san Tommaso per la verità, di questa sua audacia e senso della misura, là dove tratta della correzione di un "prelato", di un superiore, da parte di un suddito (Summa Theologiae, ii-ii, 33, 4).
Dalla Scrittura e da alcune "autorità" patristiche, sembrerebbe, osserva l'Angelico, che "i prelati non debbano essere corretti dai loro sudditi" (Praelati non sunt corrigendi a subditis). Ma c'è, al riguardo, un'affermazione di sant'Agostino, secondo il quale bisogna aver misericordia anche dei superiori, e "la correzione fraterna è un atto di misericordia" (correctio fraterna est opus misericordiae). L'Angelico risponde: "La correzione fraterna, proprio perché è un atto di carità, è un dovere che riguarda tutti nei confronti di qualsiasi persona verso la quale siamo tenuti ad avere la carità, qualora troviamo in essa qualche cosa da correggere" (correctio fraterna, quae est actus caritatis, pertinet ad unumquemque respectu cuiuslibet personae ad quam caritatem debet habere, si in eo aliquid corrigibile invenitur).
In altre parole: la correzione fraterna non ammette eccezioni.
D'altra parte, perché un atto sia virtuoso bisogna tener conto delle circostanze. Perciò "nelle correzioni che i sudditi fanno ai loro superiori si deve rispettare il debito modo: essa cioè non va fatta con insolenza, né con durezza, ma con mansuetudine e con rispetto. E infatti l'Apostolo (1 Timoteo, 5, 1) ammonisce: "Non essere aspro nel riprendere un anziano, ma esortalo come se fosse tuo padre"".
Tommaso si chiede anche se sia lecito un rimprovero pubblico, e non esita a rispondere: "Quando ci fosse un pericolo per la fede, i sudditi sarebbero tenuti a rimproverare i loro prelati anche pubblicamente" e, citando Agostino (Glossa ordinaria su Galati, 2, 14), prosegue: "Pietro stesso diede l'esempio ai superiori di non sdegnare di essere corretti dai sudditi, quando capitasse loro di allontanarsi dalla giusta via".
Né questo significherebbe presunzione: "Presumere di essere in modo assoluto migliore del proprio prelato è un atto di presuntuosa superbia, ma stimarsi migliore in qualcosa non è presunzione, poiché nessuno in questa vita è senza qualche difetto. E si deve anche notare che, quando un suddito ammonisce con carità il suo prelato, non per questo si stima superiore a lui, ma offre solo un aiuto a colui che, stando a S. Agostino (Epistola, 211), "quanto più si trova in alto, tanto più è in grave pericolo"".
Più avanti, realisticamente, aggiungerà: "Quando perciò si giudica probabile che il peccatore non accetterà l'ammonizione, ma farà peggio, si deve desistere dal correggerlo".
Esattamente questo senso della misura, che coincide con la forza della verità, conferisce a Tommaso la libertà del pensiero e della parola, e fa di lui un maestro non invadente, ma esigente.
(©L'Osservatore Romano - 7 marzo 2010)
Anche tre presuli tra i fermati dopo una marcia a difesa dei dalit - Centinaia di cristiani arrestati in India - L'Osservatore Romano - 7 marzo 2010
Chennai, 6. Una pacifica marcia a sostegno dei diritti dei dalit cristiani in India, è degenerata nei giorni scorsi nell'arresto, per alcune ore, di centinaia di cristiani, tra cui tre presuli cattolici. Il fatto è accaduto a Chennai, capoluogo dello Stato del Tamil Nadu. La marcia aveva preso le mosse il 10 febbraio dalla città di Kanyakumari e in varie tappe, lungo un percorso di ben ottocento chilometri, è poi approdata a Chennai, dove ai manifestanti si sono uniti i membri della comunità cristiana locale, tra cui i leader religiosi. L'iniziativa ha visto l'adesione di migliaia di persone e intendeva sensibilizzare le autorità statali sulle discriminazioni subite dai cosiddetti "fuori casta". Quando il corteo si è snodato per le vie di Chennai, la polizia ha reagito compiendo numerosi fermi tra la folla, inclusi i presuli. Tra i fermati ci sono stati l'arcivescovo di Madurai, Peter Fernando, l'arcivescovo di Madras and Mylapore (Meliapor), A. Malayappan Chinnappa e il vescovo di Chingleput, Anthonisamy Neethinathan.
"Migliaia di cattolici e protestanti si sono riuniti a Chennai - ha raccontato il segretario della commissione per i dalit dell'episcopato, padre Cosmon Arokiaraj - per concludere la lunga marcia organizzata per chiedere uguaglianza per i dalit cristiani. A centinaia sono stati fermati e rinchiusi senza una giustificazione, a riprova della discriminazione di cui siamo fatti oggetto". In un breve comunicato della Catholic Bishop's Conference of India (Cbci) si stigmatizza l'accaduto, sottolineando che "questo è il modo con il quale il governo del Tamil Nadu e quello centrale rispondono alle legittime e democratiche istanze di pace e di amore della comunità cristiana". Peraltro, due presuli volevano incontrare il primo ministro del Tamil Nadu, ma questi ha replicato "che non era preparato all'incontro con i leader cattolici". La questione dei dalit è stata al centro anche dell'ultima assemblea della Cbci a Guwahati.
La marcia, si sottolinea, era un'iniziativa annunciata da tempo e, proprio per questo, conosciuta da parte delle autorità e le forze dell'ordine. I leader della comunità cristiana hanno chiesto alle autorità di compiere un'indagine su quanto avvenuto ed evidenziano che, nonostante gli arresti, continueranno a sostenere i diritti dei dalit. Il giorno prima della manifestazione a Chennai, l'arcivescovo Chinnappa, che fra l'altro presiede il consiglio dell'episcopato nel Tamil Nadu, aveva denunciato nel corso di una conferenza stampa i ritardi che sta subendo l'iter di approvazione di un provvedimento legislativo che consente un uguale trattamento tra i dalit delle varie minoranze presenti nel Paese. Ai "fuori casta" cristiani e musulmani, per esempio, è tuttora inibito l'accesso al lavoro e ai servizi di base, concesso invece ai dalit indù; oppure i dalit che si convertono al cristianesimo o all'islam perdono ogni diritto goduto in precedenza. In pratica, i dalit cristiani e musulmani chiedono al Governo centrale di cancellare il terzo paragrafo del Constitution Scheduled Castes Order del 1950 che concede lo status e i diritti previsti per i fuori casta solo a indù, buddisti e sikh. Peraltro, la commissione nazionale per le minoranze linguistiche e religiose ha definito la norma discriminatoria e contraria ai dettami della Costituzione.
In occasione delle celebrazioni per il 60° anniversario della proclamazione della Repubblica e dell'entrata in vigore della Costituzione, avvenuti il 26 gennaio 1950, il presidente della Cbci, il cardinale arcivescovo di Bombay, Oswald Gracias, aveva affermato: "In India, la Chiesa cattolica è sempre stata al servizio della nazione per realizzare il bene comune. Dopo lo Stato, la Chiesa è la principale istituzione che provvede all'istruzione per formare persone che possano dare un effettivo contributo alla società e al Paese. I cattolici sono promotori del dialogo per costruire ponti di comprensione, fiducia e armonia tra persone di ogni casta, credo politico e religioso e appartenenza etnica".
Intanto, nei giorni scorsi a Sagar, nel Madhya Pradesh, si è svolta un'altra manifestazione di sostegno per i diritti delle donne, alla quale, fra gli altri, ha partecipato un gruppo di religiose. In particolare, la protesta verteva sull'esigenza di migliorare l'accesso al sistema scolastico. Anche se il Governo indiano ha espresso un forte impegno verso l'istruzione a favore di tutti, senza distinzioni tra sessi, il Paese risulta ancora tra quelli nel mondo con l'indice di analfabetizzazione più alto per quanto riguarda le donne. Questo, ha aggiunto, non ha soltanto un impatto negativo sulla vita delle stesse donne, ma anche su quella delle loro famiglie e, in generale, sullo sviluppo economico della nazione.
(©L'Osservatore Romano - 7 marzo 2010)
Avvenire.it, 7 Marzo 2010 - Socrate riletto da Kolakowski - Il pensiero alla ricerca del Bene
Come sappiamo tutti, i due uomini che hanno contribuito in modo decisivo alla costruzione della cultura europea, Gesù e Socrate, non hanno mai scritto una riga; li conosciamo entrambi solo da quanto riferito da altri. Le fonti per la conoscenza di Socrate sono, naturalmente, i dialoghi di Platone e, in misura minore, gli scritti di Senofonte; ancora oggi non si cessa di dibattere su che cosa Socrate pensasse effettivamente e che cosa invece gli abbia messo in bocca Platone. Non saprei inserirmi in questo dibattito, vorrei solo sollevare una questione che appare nei primi dialoghi, quelli che, più verosimilmente, tramandano il pensiero di Socrate.
Socrate l’Ateniese non è il primo dei grandi spiriti che conosciamo, ma è stato forse il più grande architetto della cultura europea, apparendo tale anche agli occhi di chi non condivide per nulla la sua filosofia. Se è il nostro maestro, il maestro dell’Europa, non lo è tanto per una particolare dottrina da lui enunciata, quanto piuttosto per il metodo con cui aspirava a scoprire la verità. Ma quale verità? Da giovane si applicava allo studio della natura, ma poi abbandonò queste indagini, ritenendo che ci si dovesse occupare di ciò che è immutabile e non della realtà fisica, in cui tutto si trasforma e alla fine muore. E che cosa è immutabile? Immutabili sono le idee fondamentali, soprattutto quelle che hanno un significato morale.
Voleva sapere che cosa fossero la giustizia o la virtù, il coraggio, l’uguaglianza; quello che gl’interessava non era come queste parole fossero usate comunemente dagli uomini, bensì che cosa fossero in se stesse, che cosa fossero davvero realtà come la giustizia o l’uguaglianza. Come perveniamo a tali verità? Ponendo incessanti, martellanti e perentorie domande. Filosofo che vaga per la strada, Socrate interrogava i suoi interlocutori costringendoli a spingersi sempre oltre, addentrandosi più profondamente in queste domande.
Talvolta ci pare che Socrate si limiti a fingere di non sapere, di non conoscere la risposta (è sua l’asserzione «so di non sapere nulla»), in tal modo obbligando l’interlocutore al dialogo perché giunga da solo a una verità o corregga proprie convinzioni poco intelligenti. Voleva essere una levatrice, come sua madre, voleva portare allo scoperto una verità che era già esistente, ma ancora non pervenuta alla coscienza. Non ambiva ad essere originale (nessuno dei grandi filosofi coltivava tale ambizione, che lo avrebbe emarginato dalla cultura), ma solo a cogliere la verità e a capire come servire il bene, perché gli interessava sempre una verità che aiutasse la vita.
Viveva in accordo col proprio insegnamento: conduceva un’esistenza ascetica, ci raccomandava di non curarci dei beni terreni e dei piaceri del corpo, e non se ne curava egli stesso; a differenza dei sofisti, non riceveva denaro per il suo insegnamento, viveva in povertà senza lamentarsi; era valoroso nel fronteggiare i nemici, in guerra o negli scontri verbali. L’oracolo di Delfi decretò che non v’era alcun uomo più sapiente di Socrate, e lui stesso non mancò dì ricordarlo nel suo discorso in tribunale, sapendo per certo che queste parole lo avrebbero compromesso ancora di più agli occhi dei giudici, come pure l’affermazione di essere stato mandato da Dio ad Atene per essere come un tafano che col suo pungiglione stimola un cavallo pigro a muoversi. Diceva anche di ascoltare un "demone", una voce interiore che lo distoglieva dal male. Che cosa fosse questo daimonion non lo sappiamo, ma possiamo immaginare che non si trattasse di una sua "creatura" (in questo caso non avrebbe potuto essere un’autorità), bensì di una forza morale di origine divina.
Se però Socrate pensava di riuscire con le sue domande a condurre alla verità gli ascoltatori, era perché credeva che la verità fosse già dentro di noi, anche se il più delle volte inconsapevole, avendola mutuata dalla nostra precedente incarnazione; per questo, non impariamo veramente, ma semplicemente ricordiamo una conoscenza dimenticata. Per conoscere tutto ciò che è importante abbiamo la Ragione, che ci consente di distinguere il male dal bene. Nietzsche odiava Socrate proprio per il fatto che questi venerava la Ragione, identificava la Ragione con la virtù e la virtù con la felicità e l’utile, il vero utile, quello che vivifica le anime. Nietzsche affermava che gli spiriti veramente grandi, nobili eletti del destino, agivano in base all’istinto, mentre la Ragione socratica, fredda e sicura di sé, che si opponeva agli istinti, era segno di decadenza; in qualche modo Socrate aveva condotto lo spirito greco al declino, era il sintomo di una vecchia cultura aristocratica (e Platone con lui); è anche possibile che Socrate non fosse nemmeno greco: sappiamo infatti che era brutto, e, secondo Nietzsche, la bruttezza era un sintomo di corruzione tipico dei mezzosangue; brutto di viso, brutto nell’anima, secondo l’adagio antico.
Così il migliore degli uomini, condannato a morte a causa della Ragione, avrebbe avuto in sé il germe della decadenza spirituale. Ed ecco l’interrogativo che sorge da questo culto della Ragione. Socrate sostiene che sia impossibile che io faccia di mia spontanea volontà qualcosa che so essere cattivo; se faccio il male, ciò è il risultato della mia ignoranza; se so che cosa è buono, faccio il bene. Questo pensiero ci può sembrare assolutamente improbabile, perché siamo piuttosto inclini a ritenere che spesso facciamo il male poiché siamo dominati dalle passioni (odio, amore, invidia, cupidigia, desiderio, superbia, brama di potere) e sappiamo che cosa è bene e che cosa è male, ma, come si suol dire, non riusciamo a contrastare i nostri impulsi.
Consideriamo, dunque, assolutamente veritiero il detto di Ovidio, spesso citato: «Vedo e approvo le cose migliori, ma seguo quelle peggiori»; allo stesso modo, approviamo la conclusione dell’apostolo Paolo nella Lettera ai Romani, laddove dice che, in quanto uomo di carne, venduto come schiavo del peccato, non compie il bene che vuole, bensì il male che non vuole, ben sapendo, tuttavia, che cosa gli ordina la legge divina. Ciò pare conforme al buon senso, ma fermiamoci un attimo a riflettere se forse Socrate non abbia ragione, almeno un po’, quando afferma che il male che compiamo è causato dalla nostra ignoranza; la nostra manchevole Ragione non riesce a distinguere il male dal bene; ma chiediamoci anche se, in tal caso, non ne conseguirebbe che siamo innocenti, qualunque cosa facciamo.
Leszek Kolakowski