Nella rassegna stampa di oggi:
1) BENEDETTO XVI: “DIO DESIDERA PER NOI SOLTANTO IL BENE E LA VITA” - Intervento all'Angelus della V domenica di Quaresima
2) La “Lettera ai cattolici dell’Irlanda”. Il Papa e la rivoluzione culturale degli anni 1960 - di Massimo Introvigne
3) Una bella lettera di Marcello Pera sui preti pedofili e l'attacco al Papa - Nota di Massimo Introvigne: Non sono sempre e su tutto d'accordo con Marcello Pera. Questa lettera aperta al "Corriere della Sera" sulla campagna mediatica contro il Papa in tema di preti pedofili mi sembra però ben scritta e capace di centrare il problema
4) BIOTECNOLOGIE VEGETALI TRA PRUDENZA E DIRITTO - Convegno all'Ateneo Pontificio "Regina Apostolorum" - di Antonio Gaspari
5) ECOLOGIA E BIOETICA - ROMA, domenica, 21 marzo 2010 (ZENIT.org).- Per la rubrica di Bioetica pubblichiamo l'articolo di prof.ssa Mariella Lombardi Ricci, docente di Bioetica presso la Facoltà Teologica dell’Italia settentrionale (sezione di Torino).
6) "Dovete rispondere di ciò davanti a Dio" - "... e davanti ai tribunali". La lettera pastorale del papa ai cattolici dell'Irlanda, sullo scandalo degli abusi sessuali su minori da parte di sacerdoti - di Benedetto XVI – dal sito http://chiesa.espresso.repubblica.it/chiesa_web
7) Pedofili... si diventa - se in «buona» compagnia - Autore: Mangiarotti, Don Gabriele - Fonte: CulturaCattolica.it - lunedì 22 marzo 2010
8) Avvenire.it, 20 Marzo 2010 - BIOETICA E POLITICA - Roccella: Ru486, ci sarà un attento monitoraggio - Pier Luigi Fornari
9) IL CASO/ La Gran Bretagna discrimina i cristiani e si affida ai tribunali islamici - Gianfranco Amato - lunedì 22 marzo 2010 – ilsussidiario.net
10) COMUNISMO/ Quel prete polacco, amico di Wojtyla, che diede la vita per l'unità della Chiesa - Angelo Bonaguro - lunedì 22 marzo 2010 – ilsussidiario.net
BENEDETTO XVI: “DIO DESIDERA PER NOI SOLTANTO IL BENE E LA VITA” - Intervento all'Angelus della V domenica di Quaresima
CITTA' DEL VATICANO, domenica, 21 marzo 2010 (ZENIT.org).- Riportiamo di seguito le parole pronunciate questa domenica da Benedetto XVI affacciandosi alla finestra del suo studio nel Palazzo Apostolico Vaticano per recitare l'Angelus insieme ai fedeli e ai pellegrini riuniti in Piazza San Pietro.
* * *
Cari fratelli e sorelle!
Siamo giunti alla Quinta Domenica di Quaresima, nella quale la liturgia ci propone, quest’anno, l’episodio evangelico di Gesù che salva una donna adultera dalla condanna a morte (Gv 8,1-11). Mentre sta insegnando nel Tempio, gli scribi e i farisei conducono a Gesù una donna sorpresa in adulterio, per la quale la legge mosaica prevedeva la lapidazione. Quegli uomini chiedono a Gesù di giudicare la peccatrice con lo scopo di"metterlo alla prova" e di spingerlo a fare un passo falso. La scena è carica di drammaticità: dalle parole di Gesù dipende la vita di quella persona, ma anche la sua stessa vita. Gli accusatori ipocriti, infatti, fingono di affidargli il giudizio, mentre in realtà è proprio Lui che vogliono accusare e giudicare. Gesù, invece, è "pieno di grazia e di verità" (Gv 1,14): Egli sa che cosa c’è nel cuore di ogni uomo, vuole condannare il peccato, ma salvare il peccatore, e smascherare l’ipocrisia. L’evangelista san Giovanni dà risalto ad un particolare: mentre gli accusatori lo interrogano con insistenza, Gesù si china e si mette a scrivere col dito per terra. Osserva sant’Agostino che quel gesto mostra Cristo come il legislatore divino: infatti, Dio scrisse la legge col suo dito sulle tavole di pietra (cfr Comm. al Vang. di Giov., 33, 5). Gesù dunque è il Legislatore, è la Giustizia in persona. E qual è la sua sentenza? "Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei". Queste parole sono piene della forza disarmante della verità, che abbatte il muro dell’ipocrisia e apre le coscienze ad una giustizia più grande, quella dell’amore, in cui consiste il pieno compimento di ogni precetto (cfr Rm 13,8-10). E’ la giustizia che ha salvato anche Saulo di Tarso, trasformandolo in san Paolo (cfr Fil 3,8-14).
Quando gli accusatori "se ne andarono uno per uno, cominciando dai più anziani", Gesù, assolvendo la donna dal suo peccato, la introduce in una nuova vita, orientata al bene: «Neanch’io ti condanno; va’ e d’ora in poi non peccare più». È la stessa grazia che farà dire all’Apostolo: "So soltanto questo: dimenticando ciò che mi sta alle spalle e proteso verso ciò che mi sta di fronte, corro verso la mèta, al premio che Dio ci chiama a ricevere lassù, in Cristo Gesù" (Fil 3,14). Dio desidera per noi soltanto il bene e la vita; Egli provvede alla salute della nostra anima per mezzo dei suoi ministri, liberandoci dal male col Sacramento della Riconciliazione, affinché nessuno vada perduto, ma tutti abbiano modo di convertirsi. In questo Anno Sacerdotale, desidero esortare i Pastori ad imitare il santo Curato d’Ars nel ministero del Perdono sacramentale, affinché i fedeli ne riscoprano il significato e la bellezza, e siano risanati dall’amore misericordioso di Dio, il quale "si spinge fino a dimenticare volontariamente il peccato, pur di perdonarci" (Lettera di indizione dell’Anno Sacerdotale).
Cari amici, impariamo dal Signore Gesù a non giudicare e a non condannare il prossimo. Impariamo ad essere intransigenti con il peccato – a partire dal nostro! – e indulgenti con le persone. Ci aiuti in questo la santa Madre di Dio che, esente da ogni colpa, è mediatrice di grazia per ogni peccatore pentito.
[Il Papa ha poi salutato i pellegrini in diverse lingue. In Italiano ha detto:]
Domenica prossima, Domenica delle Palme, ricorre il 25° anniversario dell’inizio delle Giornate Mondiali della Gioventù, volute dal Venerabile e amato Giovanni Paolo II. Per questo, giovedì prossimo, a partire dalle ore 19, aspetto numerosi qui in Piazza San Pietro i giovani di Roma e del Lazio, per uno speciale incontro di festa.
Saluto infine con affetto i pellegrini di lingua italiana, in particolare i bambini e i ragazzi della "Piccola Opera di Traona", accompagnati dalle Suore e da quanti li assistono; come pure la Cooperativa Sociale "Beautiful Days", di Vittoria. Saluto inoltre i cresimandi di Zané, di Scandicci e del Vicariato Mugello Est, i ragazzi della comunità pastorale di Fagnano Olona, i fedeli di Osimo, Sant’Angelo a Cupolo e Bagheria, il gruppo di immigrati della Diocesi di Vigevano e l’Unione Nazionale Associazioni Sportive Centenarie d’Italia. A tutti auguro una buona domenica.
[© Copyright 2010 - Libreria Editrice Vaticana]
La “Lettera ai cattolici dell’Irlanda”. Il Papa e la rivoluzione culturale degli anni 1960 - di Massimo Introvigne
È evidente che la “Lettera ai cattolici dell’Irlanda” di Benedetto XVI non è rivolta ai sociologi. Il Papa parla a una Chiesa ferita e disorientata dalle notizie relative ai preti pedofili. Denuncia con voce fortissima i “crimini abnormi”, “la vergogna e disonore”, la violazione della dignità delle vittime, il colpo inferto alla Chiesa “a un punto tale cui non erano giunti neppure secoli di persecuzione”. A nome della Chiesa “esprime apertamente la vergogna e il rimorso”. Affronta il problema dal punto di vista del diritto canonico – ribadendo con forza che è stata la sua “mancata applicazione” da parte talora anche di vescovi, non le sue norme come una certa stampa laicista pretenderebbe, a causare la “vergogna” – e della vita spirituale dei sacerdoti, la cui trascuratezza è alle radici del problema e cui chiede di ritornare attraverso l’adorazione eucaristica, le missioni, la pratica frequente della confessione. Se questi rimedi saranno presi sul serio è possibile che la Provvidenza, che sa trarre il bene anche dal peggiore di mali, possa nell’Anno Sacerdotale avviare per i sacerdoti “una stagione di rinascita e di rinnovamento spirituale”, dimostrando “a tutti che dove abbonda il peccato, sovrabbonda la grazia (cfr Rm 5, 20)”. Peraltro, “nessuno si immagini che questa penosa situazione si risolverà in breve tempo”.
Tuttavia il Papa – che pure non intende certamente rubare il mestiere ai sociologi – offre anche elementi d’interpretazione delle radici di un problema che, certo, “non è specifico né dell’Irlanda né della Chiesa”. Dopo avere evocato le glorie plurisecolari del cattolicesimo irlandese – una storia di santità che non può e non deve essere dimenticata –, Benedetto XVI fa cenno agli ultimi decenni e alle “gravi sfide alla fede scaturite dalla rapida trasformazione e secolarizzazione della società irlandese”. “Si è verificato – spiega il Papa – un rapidissimo cambiamento sociale, che spesso ha colpito con effetti avversi la tradizionale adesione del popolo all’insegnamento e ai valori cattolici”. C’è stata una “rapida” scristianizzazione della società, e c’è stata contemporaneamente anche all’interno della Chiesa “la tendenza, anche da parte di sacerdoti e religiosi, di adottare modi di pensiero e di giudizio delle realtà secolari senza sufficiente riferimento al Vangelo”. “Il programma di rinnovamento proposto dal Concilio Vaticano Secondo fu a volte frainteso”. “Molto sovente le pratiche sacramentali e devozionali che sostengono la fede e la rendono capace di crescere, come ad esempio la frequente confessione, la preghiera quotidiana e i ritiri annuali” furono “disattese”. “È in questo contesto generale” di “indebolimento della fede” e di “perdita del rispetto per la Chiesa e per i suoi insegnamenti” “che dobbiamo cercare di comprendere lo sconcertante problema dell’abuso sessuale dei ragazzi”.
In questo quarto paragrafo della “Lettera ai cattolici dell’Irlanda” Benedetto XVI entra su un terreno che è anche quello del sociologo, e che naturalmente non è rigidamente separato dagli altri elementi d’interpretazione. Certo, le norme del diritto canonico furono violate. Certo, la vita di pietà di molti sacerdoti si affievolì. Ma perché, precisamente, questo avvenne? E quando? Riprendendo temi familiari del suo magistero, Benedetto XVI elenca fra le cause il “fraintendimento” del Concilio – altrove ha parlato di una “ermeneutica della discontinuità e della rottura” –, non i documenti del Vaticano II in se stessi. Ma anche questo “fraintendimento” fu possibile in un quadro generale da cui la Chiesa non poteva completamente tenersi fuori, e che oggi è al centro di un vasto dibattito.
Benedetto XVI entra così nel vasto dibattito che è al centro della sociologia delle religioni contemporanea, quello sulla “secolarizzazione”. Il dibattito è stato particolarmente caldo alla fine del secolo XX, ma – anche attraverso scambi fra studiosi non sempre cortesi – è arrivato a un risultato che oggi la maggior parte dei sociologi condivide. Se le dimensioni della religione sono tre – le “tre B”, in inglese “believing” (credere), “belonging” (appartenere) e “behaving” (comportarsi) – tutti concordano che non c’è, in Occidente – perché è dell’Occidente che si parla, mentre per l’Africa o per l’Asia i termini sono diversi –, una significativa secolarizzazione delle credenze (believing). La grande maggioranza delle persone si dichiara ancora credente. Nonostante un’attiva propaganda, il numero degli atei non aumenta. È invece chiaro a tutti che c’è un’ampia secolarizzazione dei comportamenti (behaving). Dal divorzio all’aborto e all’omosessualità la società e le leggi tengono sempre meno conto dei precetti delle Chiese. Il dibattito rimane vivo sulla secolarizzazione delle appartenenze (belonging) e sulla diminuzione della pratica religiosa, perché sul modo di raccogliere le statistiche ci sono molte polemiche e fra Stati Uniti ed Europa, così come fra diversi Paesi europei, i numeri variano. Non c’è dubbio, però, che in alcuni Paesi il numero di praticanti cattolici e protestanti sia sceso in modo particolarmente drastico negli ultimi cinquant’anni e che fra questi ci siano le Isole Britanniche, anche se in Irlanda le cifre assolute, pure in discesa, rimangono più alte della media europea.
Attenuatesi le polemiche sulla nozione di secolarizzazione, il dibattito si è ampiamente spostato sulle cause e le date d’inizio del processo, con un fitto dialogo fra storici e sociologi. Oltre una decina di anni di discussioni ha convinto la maggioranza degli studiosi che non si è trattato di un processo graduale. C’è stata una drammatica accelerazione della secolarizzazione – dei comportamenti e delle appartenenze, non delle credenze – negli anni 1960. Quelli che gli inglesi e gli americani chiamano “the Sixties” (“gli anni Sessanta”) e noi, concentrandoci sull’anno emblematico, “il Sessantotto” appare sempre di più come il tempo di un profondo sconvolgimento dei costumi, con effetti cruciali e duraturi sulla religione. C’è stato del resto un Sessantotto nella società e anche un Sessantotto nella Chiesa: proprio il 1968 è l’anno del dissenso pubblico contro l’enciclica Humanae Vitae di Paolo VI, una contestazione che secondo un pregevole e influente studio del filosofo americano recentemente scomparso Ralph McInerny – Vaticano II - Che cosa è andato storto? – rappresenta un punto di non ritorno nella crisi del principio di autorità nella Chiesa Cattolica. Ci si può anche chiedere se sia venuto prima l’uovo o la gallina, cioè se sia stato il Sessantotto nella società a influenzare quello nella Chiesa, o se non sia anche avvenuto il contrario. All’inizio degli anni 1990 un teologo cattolico poteva per esempio scrivere che la “rivoluzione culturale” del 1968 “non fu un fenomeno d’urto abbattutosi dall’esterno contro la Chiesa bensì è stata preparata e innescata dai fermenti postconciliari del cattolicesimo”; lo stesso “processo di formazione del terrorismo italiano dei primi anni ’70”, il cui legame con il 1968 è a sua volta decisivo “rimane incomprensibile se si prescinde dalla crisi e dai fermenti interni al cattolicesimo postconciliare”. Il teologo in questione era il cardinale Joseph Ratzinger, allora prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, nel suo libro Svolta dell’Europa?.
Ma – ancora – perché gli anni 1960? Sul tema, per rimanere nelle Isole Britanniche, Hugh McLeod ha pubblicato nel 2007 presso Oxford University Press, un importante volume – The Religious Crisis of the 1960s – che fa il punto sulle discussioni in corso. Due tesi si sono contrapposte: quella di Alan Gilbert secondo cui a determinare la rivoluzione degli anni 1960 è stato il boom economico, che ha diffuso il consumismo e ha allontanato le popolazioni dalle chiese, e quella di Callum Brown secondo cui il fattore decisivo è stata l’emancipazione delle donne dopo la diffusione dell’ideologia femminista, del divorzio, della pillola anticoncezionale e dell’aborto. McLeod pensa, a mio avviso giustamente, che un solo fattore non può spiegare una rivoluzione di questa portata. C’entrano il boom economico e il femminismo, ma anche aspetti più strettamente culturali sia all’esterno delle Chiese e comunità cristiane (l’incontro fra psicanalisi e marxismo) sia all’interno (le “nuove teologie”).
Senza entrare negli elementi più tecnici di questa discussione, Benedetto XVI nella sua “Lettera” si mostra consapevole del fatto che ci fu negli anni 1960 un’autentica rivoluzione, non meno importante della Riforma protestante o della Rivoluzione francese, che fu “rapidissima” e che assestò un colpo durissimo alla “tradizionale adesione del popolo all’insegnamento e ai valori cattolici”. Con molto acume un pensatore cattolico brasiliano, Plinio Corrêa de Oliveira, parlò a suo tempo di una Quarta Rivoluzione – successiva appunto alla Riforma, alla Rivoluzione francese e a quella sovietica – più radicale delle precedenti perché capace di penetrare “in interiore homine” e di sconvolgere non solo il corpo sociale, ma il corpo umano.
Nella Chiesa Cattolica della portata di questa rivoluzione non ci fu subito sufficiente consapevolezza. Anzi, essa contagiò – ritiene oggi Benedetto XVI – “anche sacerdoti e religiosi”, determinò fraintendimenti nell’interpretazione del Concilio, causò “insufficiente formazione, umana, morale e spirituale nei seminari e nei noviziati”. In questo clima certamente non tutti i sacerdoti insufficientemente formati o contagiati dal clima successivo agli anni Sessanta, e nemmeno una loro percentuale significativa, divennero pedofili: sappiamo dalle statistiche che il numero reale dei preti pedofili è molto inferiore a quello proposto da certi media. E tuttavia questo numero non è uguale – come tutti vorremmo – a zero, e giustifica le severissime parole del Papa. Ma lo studio della “Quarta Rivoluzione” degli anni 1960, e del 1968, è cruciale per capire quanto è successo dopo, pedofilia compresa. E per trovare rimedi reali. Se questa rivoluzione, a differenza delle precedenti, è morale e spirituale e tocca l’interiorità dell’uomo, solo dalla restaurazione della moralità, della vita spirituale e di una verità integrale sulla persona umana potranno ultimamente venire i rimedi. Ma per questo i sociologi, come sempre, non bastano: occorrono i padri e i maestri, gli educatori e i santi. E abbiamo tutti molto bisogno del Papa: di questo Papa, che ancora una volta – per riprendere il titolo della sua ultima enciclica – dice la verità nella carità e pratica la carità nella verità.
Una bella lettera di Marcello Pera sui preti pedofili e l'attacco al Papa - Nota di Massimo Introvigne: Non sono sempre e su tutto d'accordo con Marcello Pera. Questa lettera aperta al "Corriere della Sera" sulla campagna mediatica contro il Papa in tema di preti pedofili mi sembra però ben scritta e capace di centrare il problema
Caro Direttore,
La questione dei sacerdoti pedofili o omosessuali scoppiata da ultimo in Germania ha come bersaglio il Papa. Si commetterebbe però un grave errore se si pensasse che il colpo non andrà a segno data l'enormità temeraria dell'impresa. E si commetterebbe un errore ancora più grave se si ritenesse che la questione finalmente si chiuderà presto come tante simili. Non è cosí.
È in corso una guerra. Non propriamente contro la persona del Papa, perchè, su questo terreno, essa è impossibile. Benedetto XVI è reso inespugnabile dalla sua immagine, la sua serenità, la sua limpidezza, fermezza e dottrina. Basta il suo sorriso mite per sbaragliare un esercito di avversari. No, la guerra è fra il laicismo e il cristianesimo. I laicisti sanno bene che, se uno schizzo di fango arrivasse sulla tonaca bianca, verrebbe sporcata la Chiesa, e se fosse sporcata la Chiesa allora lo sarebbe anche la religione cristiana. Per questo i laicisti accompagnano la loro campagna con domande del tipo "chi porterà più i nostri figli in Chiesa?", oppure "chi manderà più i nostri ragazzi in una scuola cattolica?", oppure ancora "chi farà curare i nostri piccoli in un ospedale o una clinica cattolica?".
Qualche giorno fa una laicista si è lasciata sfuggire l'intenzione. Ha scritto: "l'entità della diffusione dell'abuso sessuale su bambini da parte di sacerdoti mina la stessa legittimazione della Chiesa cattolica come garante della educazione dei più piccoli". Non importa che questa sentenza sia senza prove, perchè viene accuratamente nascosta "l'entità della diffusione": un per cento di sacerdoti pedofili? dieci per cento? tutti? Non importa neppure che la sentenza sia priva di logica: basterebbe sostituire "sacerdoti" con "maestri" o con "politici" o con "giornalisti" per "minare la legittimazione" della scuola pubblica, dei parlamenti o della stampa. Ciò che importa è l'insinuazione, anche a spese della grossolanità dell'argomento: i preti sono pedofili, dunque la Chiesa non ha autorità morale, dunque l'educazione cattolica è pericolosa, dunque il cristianesimo è un inganno e un pericolo.
Questa guerra del laicismo contro il cristianesimo è campale. Si deve portare la memoria al nazismo e al comunismo per trovarne una simile. Cambiano i mezzi, ma il fine è lo stesso: oggi come ieri, ciò che si vuole è la distruzione della religione. Allora l'Europa pagò a questa furia distruttrice il prezzo della propria libertà. à incredibile che soprattutto la Germania, mentre si batte continuamente il petto per la memoria di quel prezzo che essa inflisse a tutta l'Europa, oggi, che è tornata democratica, se ne dimentichi e non capisca che la stessa democrazia sarebbe perduta se il cristianesimo venisse ancora cancellato. La distruzione della religione comportò allora la distruzione della ragione. Oggi non comporterà il trionfo della ragion laica, ma un'altra barbarie.
Sul piano etico, è la barbarie di chi uccide un feto perchè la sua vita nuocerebbe alla "salute psichica" della madre. Di chi dice che un embrione è un "grumo di cellule" buono per esperimenti. Di chi ammazza un vecchio perchè non ha più una famiglia che se ne curi. Di chi affretta la fine di un figlio perchè non è più cosciente ed è incurabile. Di chi pensa che "genitore A" e "genitore B" sia lo stesso che "padre" e "madre". Di chi ritiene che la fede sia come il coccige, un organo che non partecipa più all'evoluzione perchè l'uomo non ha più bisogno della coda e sta eretto da solo. E cosí via.
Oppure, per considerare il lato politico della guerra dei laicisti al cristianesimo, la barbarie sarà la distruzione dell'Europa. Perchè, abbattuto il cristianesimo, resterà il multiculturalismo, che ritiene che ciascun gruppo ha diritto alla propria cultura. Il relativismo, che pensa che ogni cultura sia buona quanto qualunque altra. Il pacifismo che nega che il male esiste. Oppure resterà quell'europeismo retorico e irresponsabile che dice che l'Europa non deve avere una propria specifica identità, ma essere il contenitore di tutte le identità. Salvo poi ricredersi e andare nella cattedrale di Strasburgo a dire: "ora abbiamo bisogno dell'anima cristiana dell'Europa".
Questa guerra al cristianesimo non sarebbe cosí pericolosa se i cristiani la capissero. Invece, all'incomprensione partecipano molti di loro. Sono quei teologi frustrati dalla supremazia intellettuale di Benedetto XVI. Quei vescovi incerti che ritengono che venire a compromesso con la modernità sia il modo migliore per aggiornare il messaggio cristiano. Quei cardinali in crisi di fede che cominciano a insinuare che il celibato dei sacerdoti non è un dogma e che forse sarebbe meglio ripensarlo. Quegli intellettuali cattolici felpati che pensano che esista una questione femminile dentro la Chiesa e un non risolto problema fra cristianesimo e sessualità. Quelle conferenze episcopali che sbagliano l'ordine del giorno e, mentre auspicano la politica delle frontiere aperte a tutti, non hanno il coraggio di denunciare le aggressioni che i cristiani subiscono e l'umiliazione che sono costretti a provare dall'essere tutti, indiscriminatamente, portati sul banco degli imputati. Oppure quei cancellieri venuti dall'Est che esibiscono un bel ministro degli esteri omosessuale mentre attaccano il Papa su ogni argomento etico, o quelli nati nell'Ovest, i quali pensano che l'Occidente deve essere laico, cioè anticristiano.
La guerra dei laicisti continuerà, se non altro perchè un Papa come Benedetto XVI che sorride ma non arretra di un millimetro la alimenta. Ma se si capisce perchè non si sposta, allora si prende la situazione in mano e non si aspetta il prossimo colpo. Chi si limita soltanto a solidarizzare con lui o è uno entrato nell'orto degli ulivi di notte e di nascosto oppure è uno che non ha capito perchè ci sta.
BIOTECNOLOGIE VEGETALI TRA PRUDENZA E DIRITTO - Convegno all'Ateneo Pontificio "Regina Apostolorum" - di Antonio Gaspari
ROMA, domenica, 21 marzo 2010 (ZENIT.org).- Si è svolto giovedì 18 marzo a Roma il convegno sul tema "Biotecnologie tra sviluppo, bioetica e diritto" organizzato dall'Ufficio per la pastorale universitaria del Vicariato di Roma in collaborazione con l'Università Europea di Roma (UER).
Presentando il convegno padre Paolo Scarafoni, Rettore della UER, ha spiegato che la Chiesa cattolica è molto attenta a tutto ciò che riguarda le persone, il loro sviluppo e la loro alimentazione.
Citando la lettera Enciclica Caritas in veritate, padre Scarafoni ha ricordato che il Pontefice, nel capitolo dedicato alla crisi alimentare mondiale, ha scritto che "potrebbe risultare utile considerare le nuove frontiere che vengono aperte da un corretto impiego delle tecniche di produzione agricola tradizionali e di quelle innovative, supposto che esse siano state dopo adeguata verifica riconosciute opportune, rispettose dell'ambiente e attente alle popolazioni più svantaggiate".
"Le biotecnologie vegetali - ha precisato il Rettore della UER - si collocano tra profitto e carità e possono essere una speranza tecnologica per lo sviluppo dei popoli".
La UER - ha ricordato poi - e prima ancora l'Ateneo Pontificio "Regina Apostolorum" hanno sollevato la discussione sulle biotecnologie vegetali già dieci anni fa nella prima edizione del Master di Scienze Ambientali.
Monsignor Lorenzo Leuzzi, Direttore della Pastorale Universitaria del Vicariato di Roma, ha illustrato come tale convegno si collochi nel programma della settimana culturale dedicata alla scienza e alla tecnologia (dal 14 al 21 marzo) e miri ad approfondire il rapporto tra metodo e verità scientifica, tra natura e cultura.
Per monsignor Leuzzi bisogna considerare con raziocinio e saggezza le implicazioni della variazioni genetiche in agricoltura, senza tralasciare il piano antropologico e quello culturale.
Il prof. Alberto Gambino, coordinatore del centro Dipartimentale per la Ricerca della UER, ha affermato che il convegno in oggetto è una dimostrazione di quanto siano libere e aperte di vedute le Università di ispirazione cristiana come la UER.
Il prof. Francesco Sala, ordinario di Botanica e direttore dell'Orto Botanico presso l'Università degli studi di Milano, ha risposto ai tanti dubbi che sono stati sollevati circa l'utilizzazione di piante geneticamente migliorate (Gm).
Ha spiegato come prima del 1999, quando tutti gli studi e le sperimentazioni sono state bloccate, i ricercatori italiani erano tra i migliori al mondo.
Tra le piante Gm di ideazione italiana figura il pomodoro San Marzano che ormai quasi distrutto dai parassiti era stato ingegnerizzato e pronto alla nuova produzione.
Il prof. Sala ha dimostrato come sia dal punto di vista scientifico che da quello sanitario, le piante Gm siano migliori di quelle tradizionali.
Un risultato riconosciuto anche dalla Unione europea, la quale pur essendo notoriamente critica, ha condotto uno studio dal 1986 fino al 2001, finanziato con 70 milioni di euro, con 400 centri di ricerca pubblica coinvolti, i cui risultati affermano che "le piante Gm sono pari se non migliori di quelle tradizionali".
Il prof. Giuliano D'Agnolo, già Direttore del Dipartimento di Biologia Cellulare e Neuroscienze dell'Istituto Superiore di Sanità e attuale vice presidente del Comitato Nazionale per la Biosicurezza, le Biotecnologie e le Scienze della Vita, ha mostrato gli enormi avanzamenti apportati dalle biotecnologie nel campo della medicina.
Sono attualmente presenti nel mercato più di 230 farmaci sviluppati per via biotecnologica, dalla produzione dell'insulina fino ai nuovi farmaci anti tumorali.
La ricerca sui geni ha fatto compiere passi da gigante alla conoscenza scientifica, anche se persistono molti luoghi comuni e cattive percezioni di tale ricerca.
Il prof. D'Agnolo ha infatti sconsigliato di prestarsi all'analisi del proprio genoma con l'idea di conoscere a quale malattie si è predisposti, perchè sul piano della realtà non è affatto verificato che le predisposizioni diventino malattie.
Il prof. Giuseppe Bertoni, Direttore dell'Istituto di Zootecnia presso l'Università Cattolica di Piacenza, ha mostrato quanto sia necessario sviluppare piante geneticamente selezionate al fine di aumentare e migliorare la produzione e ridurre la superficie utilizzata.
Il docente della Cattolica di Piacenza ha ricordato che su una superficie delle terre emerse: di 148.647.000 kmq, solo l'11,5% del totale è coltivata.
Dalla terra coltivata e da quella destinata agli allevamenti l'umanità produce una quantità tale di derrate alimentari che sfamano la quasi totalità (sei miliardi e 500 milioni) delle persone che popolano il pianeta Terra.
Nel 2025 le proiezioni prevedono una popolazione mondiale di 8 miliardi di persone. A questo proposito, il prof. Bertoni ha spiegato che non sarà possibile scegliere sistemi di produzioni arretrati o biologici, perchè questo significherebbe utilizzare almeno la metà della superficie emersa, tagliando boschi ed erodendo terreni.
Bertoni ha spiegato anche come con le piante Gm aumenti la disponibilità e diminuisca il prezzo.
Padre Gonzalo Miranda, ordinario di Bioetica presso l'Ateneo Pontificio Regina Apostolorum, ha precisato il senso del principio di precauzione, che è virtuoso solo se favorisce lo sviluppo e la responsabilità, altrimenti diventa dannoso e irresponsabile.
Il prof. Andrea Stazi docente di Diritto privato comparato presso la UER, ha illustrato l'evoluzione delle diverse legislazioni nazionali ed europee in merito agli OGM, chiarendo come la sentenza della Corte di Stato del 19 gennaio scorso confermi il diritto degli agricoltori che desiderano coltivare i prodotti già autorizzati in sede europea.
Silvano Dalla Libera, vicepresidente di Futuragra, l'associazione di agricoltori che intendono coltivare mais OGM, ha illustrato le ragioni delle sue richieste, precisando che attualmente gli agricoltori italiani sono penalizzati perchè impediti a coltivare con le sementi migliori.
"I raccolti sono falcidiati da diabrotica e piralide, (due parassiti molto resistenti) - ha spiegato Dalla Libera - la produzione e la produttività calano, la qualità si riduce, stiamo aumentando le dosi fitofarmaci e parte del nostro mais non viene accattato nei mercato internazionali".
"Non capiamo perchè ci viene impedito di trovare una giusta soluzione utilizzando sementi Gm, autorizzate dall'Europa e coltivate negli altri paesi?", ha chiesto Dalla Libera.
Il vicepresidente di Futuragra ha concluso affermando di voler mettere a disposizione i suoi campi con sementi OGM a scienziati e altri agricoltori come prova sperimentale per una migliore produzione di mais.
ECOLOGIA E BIOETICA - ROMA, domenica, 21 marzo 2010 (ZENIT.org).- Per la rubrica di Bioetica pubblichiamo l'articolo di prof.ssa Mariella Lombardi Ricci, docente di Bioetica presso la Facoltà Teologica dell’Italia settentrionale (sezione di Torino).
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SINTESI DEL CAPITOLO
Le parole che usiamo evocano un insieme di significati e di suggestioni. Così avviene anche per la parola ecologia. Sennonché la rivoluzione del sapere scientifico, spalancando all'uomo il potere di modificare la struttura del vivente, ha aperto nuove frontiere anche nel rapporto tra l'uomo e l'habitat in cui egli vive. Problematiche nuove sono entrate prepotentemente nell'ambito della questione ecologica, di per sè vecchia quanto l'uomo, arricchendola di prospettive inedite, che ancora non sono immediatamente comprese nel campo semantico del termine ecologia e dunque rischiano di restare esterne ad essa.
L'ecologia è una questione affrontata e dibattuta in vari ambiti: amministrativo, economico, sanitario, politico, giuridico, filosofico-antropologico; è oggetto di una vasta letteratura specifica; è tema ben noto al pubblico, perché frequentemente trattato dai mezzi di informazione.
Per avvicinare il tema dell'ecologia partiamo dalla bioetica, la prospettiva più nuova. Solitamente si associa la bioetica alla medicina, ma se pensiamo alle ragioni che hanno provocato la nascita di questa nuova disciplina appare plausibile riconoscere anche l'ecologia oggetto della riflessione bioetica. L'intendimento proprio della bioetica non è tanto quello di suggerire tecniche per affrontare singole questioni, quanto piuttosto di indicare spunti per una riflessione etica. L'approccio è quello tipicamente interdisciplinare e attento alla concretezza dei fatti che prende in esame, cioè il risultato e le procedure mediante le quali esso si raggiunge. Si presume, in tal modo, che la partecipazione alla conservazione dell'ambiente possa divenire più consapevole.
Il percorso che faremo ci porterà innanzitutto a conoscere le nuove questioni ecologiche che stanno suscitando, tra entusiasmi e timori, anche il bisogno di prendere tempo per capire il significato di quanto sta accadendo nei laboratori di ricerca; quindi cercheremo di valutare aspetti positivi, rischi e prospettive, per accedere a quelle aperture tecno-scientifiche che possono migliorare la qualità di vita. Le tecno-scienze sono e devono restare uno strumento nelle mani dell'uomo per il bene del singolo e della comunità umana tutta. E su questo nuovo settore dell'ecologia, nuovo e in rapida espansione, credo sia importante soffermarci. Esso costituirà presumibilmente uno spazio nel quale molti giovani troveranno lavoro e potranno indirizzare la loro attività pratica o di ricerca; per questo è bene cercare insieme di capire quale sia la posta in gioco.
L'EVOLUZIONE DELLA QUESTIONE ECOLOGICA
Quando l'uomo è apparso sulla terra, è entrato nel mondo dei viventi in condizioni di totale interscambio. Da allora egli ha cercato di modificare l'ambiente per renderlo meno ostile, proteggendo e favorendo forme vegetali e animali ritenute vantaggiose per la sua esistenza. Ha, così, addomesticato gli animali, ha trasformato i prodotti agricoli mediante vari procedimenti, tra cui la fermentazione per ottenere alimenti, quali, per esempio, pane birra e vino; ha cercato di intervenire sulla popolazione di piante e animali, creando innesti e ibridi. Nonostante l'evoluzione culturale sia venuta ponendo l'uomo in posizione diversa da quella iniziale, non è mai stato possibile annullare lo stato di interdipendenza, perché esso costituisce la possibilità dell'esistenza stessa dell'uomo. Di qui l'esigenza di salvaguardare l'ambiente.
Per renderci conto di quanto sia antica la necessità di salvaguardare l'ambiente basta ricordare che già Artaserse ritenne opportuno mantenere controllato l'abbattimento dei cedri del Libano; ma è solo verso la fine del milleottocento che si acquista consapevolezza che dalla conservazione dell'ambiente dipende la sopravvivenza dell'uomo e del pianeta. Con il progredire della tecnica, l'avanzare dell'industrializzazione, e quindi il ricorso sempre più incisivo alle risorse naturali, ci si rende conto che l'intervento dell'uomo comincia ad alterare le condizioni dell'ambiente naturale in modo così significativo da far sorgere il dubbio che la sopravvivenza stessa del pianeta possa essere messa a repentaglio.
La questione ambientale assume tale consistenza che si sente il bisogno di affrontarla in modo sistematico e organico. L'ecologia diviene una disciplina a sè, il cui scopo è individuare la forma del corretto rapporto tra ambiente e singola specie o raggruppamenti di più specie e tra l'uomo e l'ambiente.
Inquinamento idrico e atmosferico, effetto serra e buco nell'ozono, piogge acide e scorie radioattive, sono solo alcuni degli attuali problemi ecologici. In tempi più recenti sono state prese in considerazione anche le esigenze ambientali dell'uomo in quanto individuo con abitudini sociali, abitudini che si differenziano a seconda dell'età, del sesso, del lavoro. In altre parole si è sviluppata l'ecologia delle città, dove degrado urbano, droga, violenza costituiscono altrettanti aspetti che devono divenire oggetto di intervento per una valida ecologia umana. L'ambiente intero in cui l'uomo vive, naturale e culturale - peraltro non facilmente separabili, costituisce un patrimonio che va protetto.
L'ATTIVITÀ DELL'UOMO SULLA TERRA
La ricerca di modificare il vivente per renderlo più consono alle proprie esigenze, si diceva, ha accompagnato l'uomo fin dal suo apparire sulla terra; ma questo sforzo restava soggetto più al caso, all'incompatibilità tra specie diverse, alla lotteria genetica che alla sua volontà.
Le cose cominciano a cambiare nel momento in cui, intorno alla metà del XX secolo, l'uomo individua la struttura della molecola di DNA (la molecola della vita in quanto è responsabile dell'essenziale del materiale che passa in eredità) e impara a interpretarne il "linguaggio". Se già alla fine dell'ottocento grazie agli studi del monaco Mendel era stato possibile conoscere alcuni meccanismi di trasmissione dei caratteri ereditari, la biologia molecolare del secondo novecento apre la possibilità di controllare tali meccanismi.
La cellula diviene oggetto di ricerca e in particolare si studia la struttura genetica di vegetali e animali. Di molte specie si decodifica posizione e funzione dei singoli geni che compongono la molecola di DNA e che costituiscono la parte del patrimonio genetico che si trasmette ai discendenti. Tra le specie di cui si studia il DNA e le sue funzioni c'è anche l'uomo. Un esempio è il Progetto Genoma Umano.
Prende corpo così l'idea che sia possibile alterare un carattere ereditario mediante modificazione genetica o introduzione di materiale genetico proveniente da altra specie.
Contemporaneamente altre novità tecnologiche si impongono; da un lato è necessario che i mezzi che si usano siano adeguati all'oggetto su cui si interviene, ricordiamo che si tratta della cellula, e così divengono biologici anche gli strumenti per "tagliare" e "cucire" il materiale genetico, per immettere informazioni: nascono le biotecnologie. Dall'altro l'informatica accompagna questa ricerca, strutturando programmi per identificare, archiviare, assemblare i dati che provengono dai vari laboratori di ricerca e rendendo in tal modo molto più rapido il cammino della ricerca stessa. Si tratta della bioinformatica.
Questa connessione di conoscenza scientifica e tecnologie nuove, trasforma radicalmente la qualità dell'intervento dell'uomo sull'ambiente: al caso e all'aleatorio si sostituisce la trasmissione ereditaria delle modificazioni volute dall'uomo in quella data specie di vivente: anche le generazioni future avranno la nuova caratteristica immessa artificialmente nel loro DNA.
LE BIOTECNOLOGIE
L'applicazione dell'ingegneria genetica, cioè la tecnica di correzione genetica, riguarda in particolare due situazioni, una è la transgenia, che consiste nell'immissione di geni estranei alla specie che li riceve il risultato è quello di un vegetale o di un animale transgenico. L'altra la riproduzione asessuata di animali identici a quello di origine o clonazione, che consente di trasmettere ai discendenti la struttura modificata.
Se il gene viene inserito in una cellula sessuale o in un embrione, l'individuo che nascerà conserverà nel suo patrimonio genetico questa modificazione e la trasmetterà ai discendenti. La trasmissione genetica presenta ancora molti aspetti problematici, che sono punto di partenza per nuove ricerche.
La ragione per cui l'uomo ritiene opportuno introdurre geni estranei in una pianta o un animale deriva dal desiderio di renderlo più consono alle sue esigenze. Qualche esempio: oggi esistono capre che producono farmaci nel loro latte; suini con geni umani, primo passo verso la possibilità di utilizzare organi animali o parti di essi per trapianti umani, in quanto essi sono resi geneticamente più affini alla biologia umana in modo da "ingannare" l'organismo ricevente. Si spera in questo modo di abbattere l'incidenza del fenomeno del rigetto, aspetto critico nella medicina dei trapianti.
Recenti ricerche genetiche sono indirizzate ad alterare i ritmi di accrescimento di alcuni animali (potremmo dire di "condensarne" la durata della vita) in modo da renderne più attiva la funzione riproduttiva; migliorarne l'immunità alle malattie; accrescere il valore nutritivo ai prodotti da loro derivati.
In campo agricolo il fine è migliorare la produzione rendendo le coltivazioni più resistenti a condizioni ambientali sfavorevoli (per esempio a climi freddi, aridi, terreni troppo salini); più tolleranti nei confronti di certi componenti chimici (per esempio a diserbanti anche potenti che quindi possono essere usati in dosi minori rispetto a quelle dei tradizionali diserbanti, sebbene questo aspetto sia uno molto dibattuto). Anche per il prodotto finito si rincorre una migliore qualità, regolando il tempo di maturazione a seconda dei bisogni del mercato: il pomodoro, di cui il gene che regola la maturazione è stato "corretto", marcirà molto lentamente.
PROSPETTIVE, BENEFICI E RISCHI
Le applicazioni dell'ingegneria genetica e i benefici che ne derivano sono ben noti. In campo medico si affacciano nuovi strumenti diagnostici e nuove terapie, la produzione di alcuni farmaci prima rari e/o molto costosi è facilitata, la costruzione di tessuti umani è possibile mediante il clonaggio cellulare. In campo alimentare la prospettiva di rendere coltivabili terreni finora dimostratisi improduttivi apre a risposte inedite al problema della fame nel mondo. In campo agricolo si registra un miglioramento produttivo per quantità e qualità del prodotto. In campo zootecnico è facilitata la selezione e il controllo sulle razze pregiate, la produzione di organismi con caratteristiche rispondenti alle esigenze dell'uomo (si pensi ai batteri i grado di pulire le acque del mare da inquinamento petrolifero).
Neppure il campo economico è esente da benefici: le grandi industrie di biotecnologie come le aziende farmaceutiche che finanziano le ricerche di bioingegneria traggono vantaggi economici dalle applicazioni delle innovazioni a cui hanno contribuito. Proprio in difesa di questo benefico economico è nata la contesa circa la brevettabilità o meno degli organismi manipolati geneticamente.
Lo stato della questione
Il cuore della questione ecologica in riferimento alle biotecnologie riguarda una questione di fondo che successivamente si articola nella concretezza delle singole situazioni. Essa riguarda la difesa di due valori, riconosciuti unanimemente come valori da tutelare, che rischiano spesso di entrare in collisione, da un lato la libertà della scienza e della ricerca a progredire, perché esse costituiscono, se ben usate, uno strumento per il bene dell'uomo, dall'altro la tutela della salute e dell'ambiente.
É questa la ragione del nascere di Comitati di Etica (o Etici o di bioetica)e Commissioni di inchiesta, istituite a vari livelli, fin da quando l'uomo ha scoperto di essere in grado di modificare il patrimonio genetico di un batterio.
Va ricordato che la bioetica non è chiamata ad esprimere giudizi su contenuti scientifici, sono altre le sfere chiamate a questa competenza, ma a capire il senso dell'agire tecnologico dell'uomo. É l'attività umana che ha valore morale, non la conoscenza scientifica in sè.
Rischi interni ai luoghi di ricerca
Inizialmente il timore di rischi riguardava le tecniche e i laboratori di ricerca. Si temeva un'eventuale patogenicità derivante dalla modificazione genetica, donde la necessità di valutare la natura del mutamento indotto nell'individuo transgenico. Così si è deciso di mantenere l'organismo manipolato all'interno dei laboratori e di costituirlo in modo da essere inadatto a vivere in ambiente esterno. Ora la fase iniziale è superata e le biotecnologie sono ritenute sufficientemente sicure; infatti si è raggiunto un consenso diffuso sulle procedure di sicurezza da seguire nei laboratori.
Rischi ecologici
Oggi il problema si è postato dai laboratori all'ambiente esterno, poiché è iniziata l'immissione nell'ambiente di organismi geneticamente modificati. Per quanto riguarda gli animali un problema preliminare concerne le motivazioni e le finalità della ricerca (devono esserci garanzie che la costruzione di animali transgenici sia davvero benefica per l'umanità), che la procedura sia sicura ed efficace (non comporti rischi o effetti secondari indesiderati), che si tenga conto della sofferenza inflitta agli animali, per la quale dovrebbero essere fissati dei limiti.
Il grosso problema etico delle biotecnologie riguarda il fatto che, per vari fattori, non è possibile prevedere interamente gli effetti dell'immissione nell'ambiente di questi organismi. Trattandosi di viventi, entra in crisi la possibilità di controllare rigidamente il processo riproduttivo. Soprattutto a livello botanico il controllo della diffusione della pianta transgenica è molto difficile per il fenomeno dell'impollinazione; nei confronti degli animali transgenici il controllo risulta invece meno complesso. É, quindi, verosimile il rischio di proliferazione dell'individuo transgenico come lo scambio di materiale genetico ad altri organismi. Non solo, ma è anche problematico prevedere quale potrà essere l'equilibrio naturale, dal momento che questi organismi si trovano in assenza di nemici naturali. Ricordiamo che la mutazione genetica induce necessariamente dei cambiamenti fisiologici che non rendono l'organismo riconoscibile dai quelli che dovrebbero essere i suoi naturali nemici. Il rischio di sovrappopolazione di un tale individuo con effetto dannoso sull'ambiente è pertanto reale.
Valutare i rischi è possibile ma non è sufficiente, perché bisogna attuare misure di prevenzione e correzione. Per questo scopo occorrono certezze nelle previsioni, cosa per il momento difficile perché sono ancora in via di studio sistemi di modello per simulare le dinamiche ecologiche relative al rilascio nell'ambiente degli organismi manipolati geneticamente. Inoltre gli effetti a lungo termine sono poco prevedibili.
MASS MEDIA E OPINIONE PUBBLICA
Dal punto di vista scientifico esiste una buona capacità di identificazione del rischio, pur nella consapevolezza dell'impossibilità attuale di previsione certe. Questo spiega il giudizio di accettabilità delle biotecnologie da parte della comunità scientifica. Perché allora dibattiti, talk show, polemiche su questi nuovi organismi? soprattutto perché sembra serpeggiare tra l'opinione pubblica tanta ritrosia verso le biotecnologie ?
Credo si possa affermare che la perplessità diffusa, sociale e psicologica, deriva dal carattere rivoluzionario - e non soltanto evolutivo - dell'intervento genetico sulla vita e quindi sull'ambiente. Si tratta di un intervento che non soltanto muta la struttura fisiologica e funzionale dell'organismo trattato, ma resta permanente ed ereditario; il che significa che influenza sia la struttura delle generazioni future sia l'ambiente in cui esse vivranno. Si comprende perché susciti non soltanto giusta prudenza e accurata riflessione, ma anche reazioni emotive che rischiano di inquinare il dibattito e, in parte, la connessa attività decisionale.
Si percepisce che in questo settore dell'attività umana, le reazioni dell'opinione pubblica hanno un peso notevole sia nel momento normativo sia nel momento della ricerca.
Nel momento normativo perché la questione ecologica è anche, come buona parte ormai delle questioni bioetiche, questione politica.
Nel momento euristico, da un lato perché buona parte della ricerca oggi si avvale di denaro proveniente da industrie private, le quali guidano una ricerca già finalizzata a dei traguardi da raggiungere per poter recuperare gli alti finanziamenti emessi. Dall'altro, perché l'altra fonte cospicua di finanziamenti proviene da denaro pubblico, pubblico nel senso di denaro donato dalla popolazione (sono note le serate televisive in raccolta di fondi da donare alla ricerca scientifica). Occorre quindi che la popolazione non sia lasciata ad una informazione parziale, magari scandalistica o strumentalizzata, ma che sia correttamente informata, su base scientifica chiara e comprensibile, che si enuncino coraggiosamente i rischi e i relativi programmi di copertura, le prospettive benefiche ma anche i limiti che ora, al momento presente, forse è bene porre, per eliminarli non appena le misure di sicurezza saranno perfezionate.
Questo potrebbe essere un modo per definire indici di priorità nella ricerca e nell'uso delle innovazioni, badando ai benefici nel rispetto dei vantaggi per tutta l'umanità (e non solo per la parte di popolazione che è in grado di avanzare nelle tecno-scienze).
ECOLOGIA E UMANITÀ, QUALE RAPPORTO?
L'identificazione dei rischi biologici e ambientali, di cui finora ci siamo occupati, è essenziale per una valutazione etica delle biotecnologie, ma sarebbe riduttivo limitarsi a valutare la sicurezza per l'ambiente e per l'uomo restando soltanto nell'ambito della sicurezza biologica.
Una tale semplificazione darebbe protezione all'uomo in quanto specie vivente tra le altre specie, come "animale umano", e non come essere biologico che poggia la sua specificità nell'inserimento in un tessuto culturale e simbolico. Che altro significherebbero espressioni del tipo "essere trattato con umanità" o "dar prova di umanità"? Le rappresentazioni simboliche che costituiscono la trama della cultura umana sono situate esse stesso entro un rapporto ecologico.
Il rapporto tra l'uomo e l'animale non è certo esente da simbolismi culturali; "correggere" la pecora, la capra, il maiale, il toro, il topo è difficile presupporre che non abbiano un'influenza sull'immaginario individuale e collettivo. Forse, in modo magari intuitivo più che consapevole e riflesso, la percezione del rischio di rottura, di perdita di questo simbolismo è alla base delle forti remore sociali a fronte degli aspetti più sensazionali della nuova manipolazione dell'uomo sulla vita. La questione ecologia è ben più complessa di quanto non siamo soliti stimare.
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[Fonte: www.portaledibioetica.it]
"Dovete rispondere di ciò davanti a Dio" - "... e davanti ai tribunali". La lettera pastorale del papa ai cattolici dell'Irlanda, sullo scandalo degli abusi sessuali su minori da parte di sacerdoti - di Benedetto XVI – dal sito http://chiesa.espresso.repubblica.it/chiesa_web
1. CARI FRATELLI E SORELLE DELLA CHIESA IN IRLANDA, è con grande preoccupazione che vi scrivo come Pastore della Chiesa universale. Come voi, sono stato profondamente turbato dalle notizie apparse circa l’abuso di ragazzi e giovani vulnerabili da parte di membri della Chiesa in Irlanda, in particolare da sacerdoti e da religiosi. Non posso che condividere lo sgomento e il senso di tradimento che molti di voi hanno sperimentato al venire a conoscenza di questi atti peccaminosi e criminali e del modo in cui le autorità della Chiesa in Irlanda li hanno affrontati.
Come sapete, ho recentemente invitato i vescovi irlandesi ad un incontro qui a Roma per riferire su come hanno affrontato queste questioni nel passato e indicare i passi che hanno preso per rispondere a questa grave situazione. Insieme con alcuni alti Prelati della Curia Romana ho ascoltato quanto avevano da dire, sia individualmente che come gruppo, mentre proponevano un’analisi degli errori compiuti e delle lezioni apprese, e una descrizione dei programmi e dei protocolli oggi in essere. Le nostre riflessioni sono state franche e costruttive. Nutro la fiducia che, come risultato, i vescovi si trovino ora in una posizione più forte per portare avanti il compito di riparare alle ingiustizie del passato e per affrontare le tematiche più ampie legate all’abuso dei minori secondo modalità conformi alle esigenze della giustizia e agli insegnamenti del Vangelo.
2. Da parte mia, considerando la gravità di queste colpe e la risposta spesso inadeguata ad esse riservata da parte delle autorità ecclesiastiche nel vostro Paese, ho deciso di scrivere questa Lettera Pastorale per esprimere la mia vicinanza a voi, e per proporvi un cammino di guarigione, di rinnovamento e di riparazione.
In realtà, come molti nel vostro Paese hanno rilevato, il problema dell’abuso dei minori non è specifico né dell’Irlanda né della Chiesa. Tuttavia il compito che ora vi sta dinnanzi è quello di affrontare il problema degli abusi verificatosi all’interno della comunità cattolica irlandese e di farlo con coraggio e determinazione. Nessuno si immagini che questa penosa situazione si risolverà in breve tempo. Positivi passi in avanti sono stati fatti, ma molto di più resta da fare. C’è bisogno di perseveranza e di preghiera, con grande fiducia nella forza risanatrice della grazia di Dio.
Al tempo stesso, devo anche esprimere la mia convinzione che, per riprendersi da questa dolorosa ferita, la Chiesa in Irlanda deve in primo luogo riconoscere davanti al Signore e davanti agli altri, i gravi peccati commessi contro ragazzi indifesi. Una tale consapevolezza, accompagnata da sincero dolore per il danno arrecato alle vittime e alle loro famiglie, deve condurre ad uno sforzo concertato per assicurare la protezione dei ragazzi nei confronti di crimini simili in futuro.
Mentre affrontate le sfide di questo momento, vi chiedo di ricordarvi della "roccia da cui siete stati tagliati" (Is 51, 1). Riflettete sui contributi generosi, spesso eroici, offerti alla Chiesa e all’umanità come tale dalle passate generazioni di uomini e donne irlandesi, e lasciate che ciò generi slancio per un onesto auto-esame e un convinto programma di rinnovamento ecclesiale e individuale. La mia preghiera è che, assistita dall’intercessione dei suoi molti santi e purificata dalla penitenza, la Chiesa in Irlanda superi la presente crisi e ritorni ad essere un testimone convincente della verità e della bontà di Dio onnipotente, rese manifeste nel suo Figlio Gesù Cristo.
3. Storicamente i cattolici d’Irlanda si sono dimostrati una enorme forza di bene sia in patria che fuori. Monaci celtici come San Colombano diffusero il vangelo nell’Europa Occidentale gettando le fondamenta della cultura monastica medievale. Gli ideali di santità, di carità e di sapienza trascendente che derivano dalla fede cristiana, hanno trovato espressione nella costruzione di chiese e monasteri e nell’istituzione di scuole, biblioteche e ospedali che consolidarono l’identità spirituale dell’Europa. Quei missionari irlandesi trassero la loro forza e ispirazione dalla solida fede, dalla forte guida e dai retti comportamenti morali della Chiesa nella loro terra natìa.
Dal ’500 in poi, i cattolici in Irlanda subirono un lungo periodo di persecuzione, durante il quale lottarono per mantenere viva la fiamma della fede in circostanze pericolose e difficili. Sant’Oliver Plunkett, l’Arcivescovo martire di Armagh, è l’esempio più famoso di una schiera di coraggiosi figli e figlie dell’Irlanda disposti a dare la propria vita per la fedeltà al Vangelo. Dopo l’Emancipazione Cattolica, la Chiesa fu libera di crescere di nuovo. Famiglie e innumerevoli persone che avevano preservato la fede durante i tempi della prova divennero la scintilla di una grande rinascita del cattolicesimo irlandese nell’800. La Chiesa fornì scolarizzazione, specialmente ai poveri, e questo avrebbe apportato un grande contributo alla società irlandese. Tra i frutti delle nuove scuole cattoliche vi fu un aumento di vocazioni: generazioni di sacerdoti, suore e fratelli missionari lasciarono la patria per servire in ogni continente, specie nel mondo di lingua inglese. Furono ammirevoli non solo per la vastità del loro numero, ma anche per la robustezza della fede e la solidità del loro impegno pastorale. Molte diocesi, specialmente in Africa, America e Australia, hanno beneficiato della presenza di clero e religiosi irlandesi che predicarono il Vangelo e fondarono parrocchie, scuole e università, cliniche e ospedali, che servirono sia i cattolici, sia la società in genere, con particolare attenzione alle necessità dei poveri.
In quasi tutte le famiglie dell’Irlanda vi è stato qualcuno – un figlio o una figlia, una zia o uno zio – che ha dato la propria vita alla Chiesa. Giustamente le famiglie irlandesi hanno in grande stima ed affetto i loro cari, che hanno offerto la propria vita a Cristo, condividendo il dono della fede con altri e attualizzandola in un’amorevole servizio di Dio e del prossimo.
4. Negli ultimi decenni, tuttavia, la Chiesa nel vostro Paese ha dovuto confrontarsi con nuove e gravi sfide alla fede scaturite dalla rapida trasformazione e secolarizzazione della società irlandese. Si è verificato un rapidissimo cambiamento sociale, che spesso ha colpito con effetti avversi la tradizionale adesione del popolo all’insegnamento e ai valori cattolici. Molto sovente le pratiche sacramentali e devozionali che sostengono la fede e la rendono capace di crescere, come ad esempio la frequente confessione, la preghiera quotidiana e i ritiri annuali, sono state disattese. Fu anche determinante in questo periodo la tendenza, anche da parte di sacerdoti e religiosi, di adottare modi di pensiero e di giudizio delle realtà secolari senza sufficiente riferimento al Vangelo. Il programma di rinnovamento proposto dal Concilio Vaticano Secondo fu a volte frainteso e in verità, alla luce dei profondi cambiamenti sociali che si stavano verificando, era tutt’altro che facile valutare il modo migliore per portarlo avanti. In particolare, vi fu una tendenza, dettata da retta intenzione ma errata, ad evitare approcci penali nei confronti di situazioni canoniche irregolari. È in questo contesto generale che dobbiamo cercare di comprendere lo sconcertante problema dell’abuso sessuale dei ragazzi, che ha contribuito in misura tutt’altro che piccola all’indebolimento della fede e alla perdita del rispetto per la Chiesa e per i suoi insegnamenti.
Solo esaminando con attenzione i molti elementi che diedero origine alla presente crisi è possibile intraprendere una chiara diagnosi delle sue cause e trovare rimedi efficaci. Certamente, tra i fattori che vi contribuirono possiamo enumerare: procedure inadeguate per determinare l’idoneità dei candidati al sacerdozio e alla vita religiosa; insufficiente formazione umana, morale, intellettuale e spirituale nei seminari e nei noviziati; una tendenza nella società a favorire il clero e altre figure in autorità e una preoccupazione fuori luogo per il buon nome della Chiesa e per evitare gli scandali, che hanno portato come risultato alla mancata applicazione delle pene canoniche in vigore e alla mancata tutela della dignità di ogni persona. Bisogna agire con urgenza per affrontare questi fattori, che hanno avuto conseguenze tanto tragiche per le vite delle vittime e delle loro famiglie e hanno oscurato la luce del Vangelo a un punto tale cui non erano giunti neppure secoli di persecuzione.
5. In diverse occasioni sin dalla mia elezione alla Sede di Pietro, ho incontrato vittime di abusi sessuali, così come sono disponibile a farlo in futuro. Mi sono soffermato con loro, ho ascoltato le loro vicende, ho preso atto della loro sofferenza, ho pregato con e per loro. Precedentemente nel mio pontificato, nella preoccupazione di affrontare questo tema, chiesi ai Vescovi d’Irlanda, in occasione della visita ad Limina del 2006, di "stabilire la verità di ciò che è accaduto in passato, prendere tutte le misure atte ad evitare che si ripeta in futuro, assicurare che i princìpi di giustizia vengano pienamente rispettati e, soprattutto, guarire le vittime e tutti coloro che sono colpiti da questi crimini abnormi" (Discorso ai Vescovi dell’Irlanda, 28 ottobre 2006).
Con questa Lettera, intendo esortare tutti voi, come popolo di Dio in Irlanda, a riflettere sulle ferite inferte al corpo di Cristo, sui rimedi, a volte dolorosi, necessari per fasciarle e guarirle, e sul bisogno di unità, di carità e di vicendevole aiuto nel lungo processo di ripresa e di rinnovamento ecclesiale. Mi rivolgo ora a voi con parole che mi vengono dal cuore, e desidero parlare a ciascuno di voi individualmente e a tutti voi come fratelli e sorelle nel Signore.
6. Alle vittime di abuso e alle loro famiglie
Avete sofferto tremendamente e io ne sono veramente dispiaciuto. So che nulla può cancellare il male che avete sopportato. È stata tradita la vostra fiducia, e la vostra dignità è stata violata. Molti di voi avete sperimentato che, quando eravate sufficientemente coraggiosi per parlare di quanto vi era accaduto, nessuno vi ascoltava. Quelli di voi che avete subito abusi nei convitti dovete aver percepito che non vi era modo di fuggire dalle vostre sofferenze. È comprensibile che voi troviate difficile perdonare o essere riconciliati con la Chiesa. A suo nome esprimo apertamente la vergogna e il rimorso che tutti proviamo. Allo stesso tempo vi chiedo di non perdere la speranza. È nella comunione della Chiesa che incontriamo la persona di Gesù Cristo, egli stesso vittima di ingiustizia e di peccato. Come voi, egli porta ancora le ferite del suo ingiusto patire. Egli comprende la profondità della vostra pena e il persistere del suo effetto nelle vostre vite e nei vostri rapporti con altri, compresi i vostri rapporti con la Chiesa. So che alcuni di voi trovano difficile anche entrare in una chiesa dopo quanto è avvenuto. Tuttavia, le stesse ferite di Cristo, trasformate dalle sue sofferenze redentrici, sono gli strumenti grazie ai quali il potere del male è infranto e noi rinasciamo alla vita e alla speranza. Credo fermamente nel potere risanatore del suo amore sacrificale – anche nelle situazioni più buie e senza speranza – che porta la liberazione e la promessa di un nuovo inizio.
Rivolgendomi a voi come pastore, preoccupato per il bene di tutti i figli di Dio, vi chiedo con umiltà di riflettere su quanto vi ho detto. Prego che, avvicinandovi a Cristo e partecipando alla vita della sua Chiesa – una Chiesa purificata dalla penitenza e rinnovata nella carità pastorale – possiate arrivare a riscoprire l’infinito amore di Cristo per ciascuno di voi. Sono fiducioso che in questo modo sarete capaci di trovare riconciliazione, profonda guarigione interiore e pace.
7. Ai sacerdoti e ai religiosi che hanno abusato dei ragazzi
Avete tradito la fiducia riposta in voi da giovani innocenti e dai loro genitori. Dovete rispondere di ciò davanti a Dio onnipotente, come pure davanti a tribunali debitamente costituiti. Avete perso la stima della gente dell’Irlanda e rovesciato vergogna e disonore sui vostri confratelli. Quelli di voi che siete sacerdoti avete violato la santità del sacramento dell’Ordine Sacro, in cui Cristo si rende presente in noi e nelle nostre azioni. Insieme al danno immenso causato alle vittime, un grande danno è stato perpetrato alla Chiesa e alla pubblica percezione del sacerdozio e della vita religiosa.
Vi esorto ad esaminare la vostra coscienza, ad assumervi la responsabilità dei peccati che avete commesso e ad esprimere con umiltà il vostro rincrescimento. Il pentimento sincero apre la porta al perdono di Dio e alla grazia del vero emendamento. Offrendo preghiere e penitenze per coloro che avete offeso, dovete cercare di fare personalmente ammenda per le vostre azioni. Il sacrificio redentore di Cristo ha il potere di perdonare persino il più grave dei peccati e di trarre il bene anche dal più terribile dei mali. Allo stesso tempo, la giustizia di Dio esige che rendiamo conto delle nostre azioni senza nascondere nulla. Riconoscete apertamente la vostra colpa, sottomettetevi alle esigenze della giustizia, ma non disperate della misericordia di Dio.
8. Ai genitori
Siete stati profondamente sconvolti nell’apprendere le cose terribili che ebbero luogo in quello che avrebbe dovuto essere l’ambiente più sicuro di tutti. Nel mondo di oggi non è facile costruire un focolare domestico ed educare i figli. Essi meritano di crescere in un ambiente sicuro, amati e desiderati, con un forte senso della loro identità e del loro valore. Hanno diritto ad essere educati ai valori morali autentici, radicati nella dignità della persona umana, ad essere ispirati dalla verità della nostra fede cattolica e ad apprendere modi di comportamento e di azione che li portino ad una sana stima di sé e alla felicità duratura. Questo compito nobile ed esigente è affidato in primo luogo a voi, loro genitori. Vi esorto a fare la vostra parte per assicurare la miglior cura possibile dei ragazzi, sia in casa che nella società in genere, mentre la Chiesa, da parte sua, continua a mettere in pratica le misure adottate negli ultimi anni per tutelare i giovani negli ambienti parrocchiali ed educativi. Mentre portate avanti le vostre importanti responsabilità, siate certi che sono vicino a voi e che vi porgo il sostegno della mia preghiera.
9. Ai ragazzi e ai giovani dell’Irlanda
Desidero offrirvi una particolare parola di incoraggiamento. La vostra esperienza di Chiesa è molto diversa da quella dei vostri genitori e dei vostri nonni. Il mondo è molto cambiato da quando essi avevano la vostra età. Nonostante ciò, tutti, in ogni generazione, sono chiamati a percorrere lo stesso cammino della vita, qualunque possano essere le circostanze. Siamo tutti scandalizzati per i peccati e i fallimenti di alcuni membri della Chiesa, particolarmente di coloro che furono scelti in modo speciale per guidare e servire i giovani. Ma è nella Chiesa che voi troverete Gesù Cristo che è lo stesso ieri, oggi e sempre (cfr Eb 13, 8). Egli vi ama e per voi ha offerto se stesso sulla croce. Cercate un rapporto personale con lui nella comunione della sua Chiesa, perché lui non tradirà mai la vostra fiducia! Lui solo può soddisfare le vostre attese più profonde e dare alle vostre vite il loro significato più pieno indirizzandole al servizio degli altri. Tenete gli occhi fissi su Gesù e sulla sua bontà e proteggete nel vostro cuore la fiamma della fede. Insieme con i vostri fratelli cattolici in Irlanda guardo a voi perché siate fedeli discepoli del nostro Dio e contribuiate con il vostro entusiasmo e il vostro idealismo tanto necessari alla ricostruzione e al rinnovamento della nostra amata Chiesa.
10. Ai sacerdoti e ai religiosi dell’Irlanda
Tutti noi stiamo soffrendo come conseguenza dei peccati di nostri confratelli che hanno tradito una consegna sacra o non hanno affrontato in modo giusto e responsabile le accuse di abuso. Di fronte all’oltraggio e all’indignazione che ciò ha provocato, non soltanto tra i laici ma anche tra voi e le vostre comunità religiose, molti di voi si sentono personalmente scoraggiati e anche abbandonati. Sono consapevole inoltre che agli occhi di alcuni apparite colpevoli per associazione, e siete visti come se foste in qualche nodo responsabili dei misfatti di altri. In questo tempo di sofferenza, voglio darvi atto della dedizione della vostra vita di sacerdoti e religiosi e dei vostri apostolati, e vi invito a riaffermare la vostra fede in Cristo, il vostro amore verso la sua Chiesa e la vostra fiducia nella promessa di redenzione, di perdono e di rinnovamento interiore del Vangelo. In questo modo, dimostrerete a tutti che dove abbonda il peccato, sovrabbonda la grazia (cfr Rm 5, 20).
So che molti di voi sono delusi, sconcertati e adirati per il modo in cui queste questioni sono state affrontate da alcuni vostri superiori. Ciononostante, è essenziale che collaboriate da vicino con coloro che sono in autorità e che di adoperiate a far sì che le misure adottate per rispondere alla crisi siano veramente evangeliche, giuste ed efficaci. Soprattutto, vi esorto a diventare sempre più chiaramente uomini e donne di preghiera, seguendo con coraggio la via della conversione, della purificazione e della riconciliazione. In questo modo, la Chiesa in Irlanda trarrà nuova vita e vitalità dalla vostra testimonianza al potere redentore del Signore reso visibile nella vostra vita.
11. Ai miei fratelli vescovi
Non si può negare che alcuni di voi e dei vostri predecessori avete mancato, a volte gravemente, nell’applicare le norme del diritto canonico codificate da lungo tempo circa i crimini di abusi di ragazzi. Seri errori furono commessi nel trattare le accuse. Capisco quanto era difficile afferrare l’estensione e la complessità del problema, ottenere informazioni affidabili e prendere decisioni giuste alla luce di consigli divergenti di esperti. Ciononostante, si deve ammettere che furono commessi gravi errori di giudizio e che si sono verificate mancanze di governo. Tutto questo ha seriamente minato la vostra credibilità ed efficacia. Apprezzo gli sforzi che avete fatto per porre rimedio agli errori del passato e per assicurare che non si ripetano. Oltre a mettere pienamente in atto le norme del diritto canonico nell’affrontare i casi di abuso dei ragazzi, continuate a cooperare con le autorità civili nell’ambito di loro competenza. Chiaramente, i superiori religiosi devono fare altrettanto. Anch’essi hanno partecipato a recenti incontri qui a Roma intesi a stabilire un approccio chiaro e coerente a queste questioni. È doveroso che le norme della Chiesa in Irlanda per la tutela dei ragazzi siano costantemente riviste ed aggiornate e che siano applicate in modo pieno ed imparziale in conformità con il diritto canonico.
Soltanto un’azione decisa portata avanti con piena onestà e trasparenza potranno ripristinare il rispetto e il benvolere degli Irlandesi verso la Chiesa alla quale abbiamo consacrato la nostra vita. Ciò deve scaturire, prima di tutto, dal vostro esame di voi stessi, dalla purificazione interiore e dal rinnovamento spirituale. La gente dell’Irlanda giustamente si attende che siate uomini di Dio, che siate santi, che viviate con semplicità, che ricerchiate ogni giorno la conversione personale. Per loro, secondo l’espressione di Sant’Agostino, siete vescovi; eppure con loro siete chiamati ad essere seguaci di Cristo (cfr Discorso 340, 1). Vi esorto dunque a rinnovare il vostro senso di responsabilità davanti a Dio, a crescere in solidarietà con la vostra gente e ad approfondire la vostra sollecitudine pastorale per tutti i membri del vostro gregge. In particolare, siate sensibili alla vita spirituale e morale di ciascuno dei vostri sacerdoti. Siate un esempio con le vostre stesse vite, siate loro vicini, prestate ascolto alle loro preoccupazioni, offrite loro incoraggiamento in questo tempo di difficoltà e alimentate la fiamma del loro amore per Cristo e il loro impegno nel servizio dei loro fratelli e sorelle.
Anche i laici devono essere incoraggiati a fare la loro parte nella vita della Chiesa. Fate in modo che siano formati in modo tale che possano dare ragione in modo articolato e convincente del Vangelo nella società moderna (cfr 1 Pt 3, 15), e cooperino più pienamente alla vita e alla missione della Chiesa. Questo, a sua volta, vi aiuterà a ritornare ad essere guide e testimoni credibili della verità redentrice di Cristo.
12. A tutti i fedeli dell’Irlanda
L’esperienza che un giovane fa della Chiesa dovrebbe sempre portare frutto in un incontro personale e vivificante con Gesù Cristo in una comunità che ama e che offre nutrimento. In questo ambiente, i giovani devono essere incoraggiati a crescere fino alla loro piena statura umana e spirituale, ad aspirare ad alti ideali di santità, di carità e di verità e a trarre ispirazione dalle ricchezze di una grande tradizione religiosa e culturale. Nella nostra società sempre più secolarizzata, in cui anche noi cristiani sovente troviamo difficile parlare della dimensione trascendente della nostra esistenza, abbiamo bisogno di trovare nuove vie per trasmettere ai giovani la bellezza e la ricchezza dell’amicizia con Gesù Cristo nella comunione della sua Chiesa. Nell’affrontare la presente crisi, le misure per occuparsi in modo giusto dei singoli crimini sono essenziali, tuttavia da sole non sono sufficienti: vi è bisogno di una nuova visione per ispirare la generazione presente e quelle future a far tesoro del dono della nostra comune fede. Camminando sulla via indicata dal Vangelo, osservando i comandamenti e conformando la vostra vita in modo sempre più vicino alla persona di Gesù Cristo, farete esperienza del profondo rinnovamento di cui oggi vi è così urgente bisogno. Vi invito tutti a perseverare lungo questo cammino.
13. Cari fratelli e sorelle in Cristo, è con profonda preoccupazione verso voi tutti in questo tempo di dolore, nel quale la fragilità della condizione umana è stata così chiaramente rivelata, che ho desiderato offrirvi queste parole di incoraggiamento e di sostegno. Spero che le accoglierete come un segno della mia spirituale vicinanza e della mia fiducia nella vostra capacità di rispondere alle sfide dell’ora presente traendo rinnovata ispirazione e forza dalle nobili tradizioni dell’Irlanda di fedeltà al Vangelo, di perseveranza nella fede e di risolutezza nel conseguimento della santità. Insieme con tutti voi, prego con insistenza che, con la grazia di Dio, le ferite che hanno colpito molte persone e famiglie possano essere guarite e che la Chiesa in Irlanda possa sperimentare una stagione di rinascita e di rinnovamento spirituale.
14. Desidero proporvi alcune iniziative concrete per affrontare la situazione.
Al termine del mio incontro con i vescovi dell’Irlanda, ho chiesto che la quaresima di quest’anno sia considerata tempo di preghiera per una effusione della misericordia di Dio e dei doni di santità e di forza dello Spirito Santo sulla Chiesa nel vostro Paese. Invito ora voi tutti a dedicare le vostre penitenze del venerdì, per un intero anno, da ora fino alla Pasqua del 2011, per questa finalità. Vi chiedo di offrire il vostro digiuno, la vostra preghiera, la vostra lettura della Sacra Scrittura e le vostre opere di misericordia per ottenere la grazia della guarigione e del rinnovamento per la Chiesa in Irlanda. Vi incoraggio a riscoprire il sacramento della Riconciliazione e ad avvalervi con maggiore frequenza della forza trasformatrice della sua grazia.
Particolare attenzione dovrà anche essere riservata all’adorazione eucaristica, e in ogni diocesi vi dovranno essere chiese o cappelle specificamente riservate a questo fine. Chiedo che le parrocchie, i seminari, le case religiose e i monasteri organizzino tempi per l’adorazione eucaristica, in modo che tutti abbiano la possibilità di prendervi parte. Con la preghiera fervorosa di fronte alla reale presenza del Signore, potete compiere la riparazione per i peccati di abuso che hanno recato tanto danno, e al tempo stesso implorare la grazia di una rinnovata forza e di un più profondo senso della missione da parte di tutti i vescovi, i sacerdoti, i religiosi e i fedeli.
Sono fiducioso che questo programma porterà ad una rinascita della Chiesa in Irlanda nella pienezza della verità stessa di Dio, poiché è la verità che ci rende liberi (cfr Gv 8, 32).
Inoltre, dopo essermi consultato e aver pregato sulla questione, intendo indire una Visita Apostolica in alcune diocesi dell’Irlanda, come pure in seminari e congregazioni religiose. La Visita si propone di aiutare la Chiesa locale nel suo cammino di rinnovamento e sarà stabilita in cooperazione con i competenti uffici della Curia Romana e la Conferenza Episcopale Irlandese. I particolari saranno resi noti a suo tempo.
Propongo inoltre che si tenga una Missione a livello nazionale per tutti i vescovi, i sacerdoti e i religiosi. Nutro la speranza che, attingendo dalla competenza di esperti predicatori e organizzatori di ritiri sia dall’Irlanda che da altrove, e riesaminando i documenti conciliari, i riti liturgici dell’ordinazione e della professione e i recenti insegnamenti pontifici, giungiate ad un più profondo apprezzamento delle vostre rispettive vocazioni, in modo da riscoprire le radici della vostra fede in Gesù Cristo e da bere abbondantemente dalle sorgenti dell’acqua viva che egli vi offre attraverso la sua Chiesa.
In questo Anno dedicato ai Sacerdoti, vi do in consegna in modo del tutto particolare la figura di San Giovanni Maria Vianney, che ebbe una così ricca comprensione del mistero del sacerdozio. "Il sacerdote, scrisse, ha la chiave dei tesori del cielo: è lui che apre la porta, è lui il dispensiere del buon Dio, l’amministratore dei suoi beni". Il Curato d’Ars ben comprese quanto grandemente benedetta è una comunità quando è servita da un sacerdote buono e santo: "Un buon pastore, un pastore secondo il cuore di Dio, è il tesoro più grande che il buon Dio può dare ad una parrocchia e uno dei doni più preziosi della divina misericordia". Per intercessione di San Giovanni Maria Vianney possa il sacerdozio in Irlanda riprendere vita e possa l’intera Chiesa in Irlanda crescere nella stima del grande dono del ministero sacerdotale.
Colgo questa opportunità per ringraziare fin d’ora tutti coloro che saranno coinvolti nell’impegno di organizzare la Visita Apostolica e la Missione, come pure i molti uomini e donne che in tutta l’Irlanda stanno già adoperandosi per la tutela dei ragazzi negli ambienti ecclesiali. Fin da quando la gravità e l’estensione del problema degli abusi sessuali dei ragazzi in istituzioni cattoliche incominciò ad essere pienamente compreso, la Chiesa ha compiuto una grande mole di lavoro in molte parti del mondo, al fine di affrontarlo e di porvi rimedio. Mentre non si deve risparmiare alcuno sforzo per migliorare ed aggiornare procedure già esistenti, mi incoraggia il fatto che le prassi vigenti di tutela, fatte proprie dalle Chiese locali, sono considerate, in alcune parti del mondo, un modello da seguire per altre istituzioni.
Desidero concludere questa Lettera con una speciale Preghiera per la Chiesa in Irlanda, che vi invio con la cura che un padre ha per i suoi figli e con l’affetto di un cristiano come voi, scandalizzato e ferito per quanto è accaduto nella nostra amata Chiesa. Mentre utilizzerete questa preghiera nelle vostre famiglie, parrocchie e comunità, possa la Beata Vergine Maria proteggervi e guidarvi lungo la via che conduce ad una più stretta unione con il suo Figlio, crocifisso e risorto. Con grande affetto e ferma fiducia nelle promesse di Dio, di cuore imparto a tutti voi la mia Benedizione Apostolica come pegno di forza e pace nel Signore.
Dal Vaticano, 19 marzo 2010, Solennità di San Giuseppe
BENEDICTUS PP. XVI
Preghiera per la Chiesa in Irlanda
Dio dei padri nostri,
rinnovaci nella fede che è per noi vita e salvezza,
nella speranza che promette perdono e rinnovamento interiore,
nella carità che purifica ed apre i nostri cuori
ad amare te, e in te, tutti i nostri fratelli e sorelle.
Signore Gesù Cristo,
possa la Chiesa in Irlanda rinnovare il suo millenario impegno
alla formazione dei nostri giovani sulla via della verità,
della bontà, della santità e del generoso servizio alla società.
Spirito Santo, consolatore, avvocato e guida,
ispira una nuova primavera di santità e di zelo apostolico
per la Chiesa in Irlanda.
Possano la nostra tristezza e le nostre lacrime,
il nostro sforzo sincero di raddrizzare gli errori del passato,
e il nostro fermo proposito di correzione,
portare abbondanti frutti di grazia
per l’approfondimento della fede
nelle nostre famiglie, parrocchie, scuole e associazioni,
per il progresso spirituale della società irlandese,
e per la crescita della carità. della giustizia, della gioia e della pace, nell’intera famiglia umana.
A te, Trinità,
con piena fiducia nell’amorosa protezione di Maria,
Regina dell’Irlanda, Madre nostra,
e di San Patrizio, di Santa Brigida e di tutti i santi,
affidiamo noi stessi, i nostri ragazzi,
e le necessità della Chiesa in Irlanda.
Amen.
Pedofili... si diventa - se in «buona» compagnia - Autore: Mangiarotti, Don Gabriele - Fonte: CulturaCattolica.it - lunedì 22 marzo 2010
Sulla pedofilia e sugli abusi sessuali dei preti sembra che ora tutti conoscano e abbiano le ricette giuste. Peccato che la loro unica ricetta sia la scomparsa della chiesa cattolica dalla faccia della terra.
Guardo con dolore quanto accaduto nei confronti di alcuni giovani a causa di uomini di chiesa, e non riesco a nascondere il mio disgusto. Ma non posso nascondere anche il mio profondo disprezzo per chi guarda e commenta questi fatti con l’occhio cinico di chi non ama la vita, ritiene il sesso un gioco di liberazione, e inneggia ad ogni comportamento trasgressivo, purché però non sia compiuto da uomini di chiesa. Per questi ultimi c’è solo condanna e riprovazione, la «gogna mediatica», preludio di quella giudiziaria.
Ho letto con dolore l’accorata lettera del Papa ai cristiani d’Irlanda, e ne condivido lo spirito e la sostanza. E mi colpisce il richiamo che fa a chi avrebbe dovuto vigilare e non l’ha fatto. So bene quanto certi uomini di chiesa amino più che la testimonianza della fede l’affermazione di un loro potere o progetto. So bene però anche quanto certi ecclesiastici amanti del “politically correct” abbiano sempre snobbato l’insegnamento e il magistero della Chiesa, in particolare ciò che sia Giovanni Paolo II che Benedetto XVI hanno affermato a proposito della chiesa e della sua missione. Sono i teologi amati da questo mondo, sono i vari Küng (e – forse – anche Mancuso) che amano più se stessi che la presenza viva e vivificante del popolo di Dio. E per questo hanno spazio sui vari mezzi di comunicazione, che diventano spesso tribune per cancellare quello che non riescono ad accettare.
Penso che l’unica vera ricetta per questo scandalo (che purtroppo però sembra lasciare in ombra altri veri e drammatici comportamenti negativi, diffusi tra persone insospettabili, e tra le mura domestiche) sia una autentica testimonianza di fede e carità che si vive nella chiesa oggi. I movimenti sono la risposta a questa grave emergenza educativa e morale, testimonianze di fede vissuta, di cultura nuova, di amore al popolo cristiano, sempre più incidenti e reali.
Mi spiace dovere constatare che anche nel mondo dell’informazione sono sempre i soliti che parlano, e spesso sono i voltagabbana (quanti fascisti sono diventati fautori della resistenza, quanti servi della ideologia più disumana che c’è stata – il comunismo – ora si fanno paladini di libertà, quanti di coloro che odiano la vita – basta pensare all’aborto come diritto – ora affermano amore e pietà per l’uomo…).
Quanti parlano e scrivono senza amore alla vita, all’uomo, ai giovani, alla realtà. Quanta falsa compassione in tanti ragionamenti, quanta pseudo-libertà.
Bisognerebbe adottare questa regola, dire solo ciò che si può vivere, e vivere solo ciò che si può comunicare (senza vergogna). Non sono mai stato “illuminista”, ma quanta profondità e saggezza in ciò che affermava il buon vecchio Kant, nei suoi imperativi categorici: «Agisci in modo che tu possa volere che la massima delle tue azioni divenga universale; agisci in modo da trattare l'uomo così in te come negli altri sempre anche come fine, non mai solo come mezzo; agisci in modo che la tua volontà possa istituire una legislazione universale».
Certo questo è il tempo di una nuova costruzione, e di uomini che sappiano realizzare luoghi di amore e di verità. Tempo di testimonianza di forza e di libertà da schemi e pregiudizi, da ideologie e schieramenti, da meschinità e sterili contrapposizioni. Tempo meraviglioso, in cui fare propria la parola di un autentico martire, Pavel Florenskij, fucilato dal potere comunista nel 1937, l’8 dicembre: «Il destino della grandezza è la sofferenza, quella causata dal mondo esterno e la sofferenza interiore. Così è stato, così è e così sarà. Perché sia così è assolutamente chiaro: c'è una sorta di ritardo, della società rispetto alla grandezza e dell’io rispetto alla sua propria grandezza... è chiaro che il mondo è fatto in modo che non gli si possa donare nulla se non pagandolo con sofferenza e persecuzioni. E tanto più disinteressato è il dono, tanto più crudeli saranno le persecuzioni e atroci le sofferenze. Tale è la legge della vita, il suo assioma fondamentale... per il proprio dono, la grandezza, bisogna pagare con il sangue».
C’è bisogno di uomini così, in ogni campo, in ogni ambiente, a contatto con i giovani. Peccato che in questi giorni si abbiano notizie che – anche nelle scuole – gli unici che parlano e sono applauditi siano i «testimonial» della morte, come Beppino Englaro, che fa della morte procurata alla figlia una bandiera per reclamizzare un falso modello di libertà. Che questo sia il tempo di sofferte libertà. Di verità!
Avvenire.it, 20 Marzo 2010 - BIOETICA E POLITICA - Roccella: Ru486, ci sarà un attento monitoraggio - Pier Luigi Fornari
Tutelare la salute della donna, scongiurando che i paletti posti a sua garanzia da una legge dello Stato siano scardinati in modo surrettizio, a prescindere dalle decisioni del Parlamento. Il sottosegretario alla Salute, Eugenia Roccella, spiega l’approccio seguito dal governo sull’uso della Ru486 in Italia. Una linea ribadita e rafforzata dall’ultimo parere del Consiglio superiore di sanità (Css) in materia, notificato giovedì dal ministro della Salute, Ferruccio Fazio, alle regioni. Il parere conferma che l’unico modo legittimo di usare la Ru486 nel nostro Paese è il ricovero ordinario fino all’avvenuta espulsione del feto.
«Adesso nessuna regione può esimersi da un rigoroso rispetto delle modalità indicate dal Css – argomenta il sottosegretario alla Salute –, perfettamente in linea con i suoi precedenti pronunciamenti e anche con il parere di compatibilità con la legge sull’aborto già espresso dal ministro del Welfare, Maurizio Sacconi. Quel documento, peraltro, si basava sulle conclusioni dell’indagine svolta dalla commissione Sanità del Senato in materia».
Ma per evitare il ricovero ordinario, basta che le donne firmino per uscire dall’ospedale...
Se questo avvenisse, come evidenzia il Css, non sarebbero assicurate alle donne le stesse garanzie dell’aborto chirurgico. Non avrebbero, infatti, nessun supporto medico-sanitario di fronte ai sintomi successivi alla somministrazione del farmaco, sarebbero lasciate da sole a valutarli, con grave rischio per la loro salute. La letteratura scientifica a livello internazionale ha documentato che vari decessi sono stati provocati dalla sottovalutazione delle avvisaglie di una emorragia.
La donna – si obietta – non può essere costretta a restare in ospedale...
Sarà decisiva l’informazione fornita dalle strutture sanitarie. Il parere del Css implica che essa sia corretta e dettagliata anche in merito agli eventi avversi, gli effetti collaterali e le possibili complicanze. È evidente che non ci si può limitare ad applicare quelle indicazioni solo in modo formale e ipocrita, con un rispetto solo di facciata, in realtà perseguendo solo obiettivi economici, organizzativi o magari politici. Se, di conseguenza, la donna decidesse di uscire senza conoscere i reali rischi che corre, tornerebbe a porsi il problema della incompatibilità dell’uso della Ru486 con la legge 194.
In che senso?
Il nostro ordinamento non consente né l’aborto a domicilio né una sua banalizzazione. In Italia l’interruzione volontaria della gravidanza non è un diritto privato e individuale ma un problema di tutta la collettività. La maternità ha un valore sociale. Infatti per evitare la sua negazione la legge prevede tutta una serie di interventi di sostegno. Questa scelta del legislatore, anche se in buona parte è ancora da attuare, ha già dato dei frutti. Per questo il numero degli aborti in Italia è nettamente in controtendenza rispetto agli altri Paesi europei.
Ma in che modo evitare una banalizzazione dell’aborto per via farmacologica?
La conferma da parte del Css della linea seguita dal governo comporta, adesso, un attento monitoraggio della sua applicazione su tutto il territorio nazionale. Dopo la notifica di Fazio dobbiamo chiedere alle regioni di fornire dati dettagliati sull’uso della Ru486, che documentino se esso avverrà effettivamente in regime di ricovero ordinario.
Se così non fosse, il governo prevede qualche intervento straordinario?
Nessun intervento straordinario. È la stessa normativa di mutuo riconoscimento avviata a livello europeo per l’introduzione in Italia della Ru486 a subordinare l’immissione di farmaci abortivi alla compatibilità con i limiti previsti dalle legislazioni nazionali. Il ministro Sacconi del resto ha già comunicato alla Commissione della Ue che l’uso di quella pillola è compatibile con le nostre norme solo a condizione che l’intera procedura abortiva si svolga in ospedale. Ma questa garanzia non può essere data a priori, deve risultare da una attento monitoraggio dell’assunzione della Ru486.
Pier Luigi Fornari
IL CASO/ La Gran Bretagna discrimina i cristiani e si affida ai tribunali islamici - Gianfranco Amato - lunedì 22 marzo 2010 – ilsussidiario.net
Hamilton Burns WS, Solicitors & Solicitor Advocates, è il primo studio legale britannico specializzato in diritto islamico. L’iniziativa è partita dalla Scozia, Glasgow per la precisione, e rappresenta un ulteriore allarmante segnale della crescente diffusione della sharia nel Regno Unito. Non tutti sanno, infatti, che proprio in virtù di una legge varata quattordici anni fa (Arbitration Act 1996) l’applicazione stragiudiziale della sharia su questioni attinenti al diritto di famiglia (divorzio e custodia dei figli), e su questioni economico-finanziarie, è oggi pienamente riconosciuta in Gran Bretagna.
Proprio a seguito di quella legge sono sorti i Muslim Arbitration Tribunal (MAT), le cui decisioni hanno valore legale al pari delle sentenze emesse dai tribunali ordinari di Sua Maestà. Sono attualmente più di un’ottantina (ma continuano ad aumentare in maniera esponenziale) le “corti islamiche” giudicanti su materie che sono, comunque, lasciate alla libera disponibilità delle parti.
Il punto è che a tali arbitrati stanno sempre più ricorrendo anche non musulmani, attratti dall’informalità del relativo procedimento, ritenuto “less cumbersome” (meno gravoso) rispetto al sistema giudiziario britannico. Ad esempio, la sharia tiene conto anche di semplici accordi verbali su questioni per le quali la legge inglese prescrive come obbligatoria la forma scritta.
I non musulmani ricorrono ai Muslim Arbitration Tribunal quasi esclusivamente per questioni di carattere patrimoniale, e i loro contenziosi rappresentano il cinque per cento dei casi affrontati da quei particolari organi giudicanti. Ciò che appare incredibile in questa vicenda è la sottovalutazione del fenomeno da parte degli addetti ai lavori. Anzi, due anni fa il barone Nicholas Phillips of Worth Matravers, che ricopre la prestigiosa carica di Lord Chief Justice ed è uno dei più autorevoli magistrati inglesi, parlando in una moschea di Londra, non esitò ad affermare che, secondo la sua opinione, alcune parti del sistema legale islamico potevano benissimo essere utilizzate per dirimere questioni tra musulmani britannici.
L’illustre giurista non vedeva alcuna ragione al mondo perché i principi della sharia non dovessero essere utilizzati per regolare in via compromissoria contenziosi legali. In realtà non si è tenuto conto di due fattori niente affatto secondari. Il primo è che questa forma di giustizia alternativa, capace di attirare sempre più anche individui non musulmani, rientra comunque nella prospettiva di conversione tipica dell’Islam.
E’ pur sempre una forma culturale di espansione che riesce oggettivamente ad avere una sua presa, soprattutto in chi oggi – e sono molti purtroppo in Gran Bretagna –, avendo completamente smarrito la propria identità, è perennemente in cerca di un quid che riesca a definirlo. Fosse anche la proposta religiosa di Maometto.
Il secondo fattore sottovalutato è costituito dalla condizione della donna. Non è un caso che la notizia dell’iniziativa da parte dello studio legale di Glasgow abbia scatenato la reazione di Maryam Namazie, portavoce dell’associazione “One Law for All” (Una legge per tutti) che da anni promuove una campagna anti-sharia.
Maryam Namazie ha ribadito, parlando proprio a proposito dello studio Hamilton Burns WS, quanto il diritto islamico sia «antitetico rispetto alle leggi per cui hanno duramente combattuto e vinto i movimenti sociali progressisti, in particolare nell’ambito del diritto di famiglia», precisando, inoltre, che «l’applicazione della sharia in campo civile si pone in perfetta sintonia e continuità culturale rispetto alla stessa legge adottata in campo penale nei Paesi islamici, quella che prevede, tra l’altro, pene corporali come la lapidazione, l’amputazione, la fustigazione».
Sempre a proposito dell’iniziativa degli avvocati scozzesi dello studio Hamilton Burns WS, Joshua Rozenberg, uno dei più noti commentatori britannici in ambito legale ed una delle rare voci che attualmente mettono in guardia l’opinione pubblica sui rischi della diffusione della sharia nel Regno Unito, ha tenuto a precisare: «Per la legge islamica una donna non è considerata uguale all’uomo. Per cui si può arrivare al paradosso che una donna britannica sia trattata diversamente a seconda che a decidere sia un tribunale islamico o una corte laica». «Senza parlare del rischio», ha continuato Rozemberg, «che le donne musulmane possano non essere libere di scegliere ed essere, invece, fortemente condizionate dalla comunità ad adire un Muslim Arbitration Tribunal, anziché un tribunale ordinario». La questione mi ha particolarmente colpito. Anche perché ero curioso di conoscere quale tipo di consigli legali lo studio Hamilton Burns WS avrebbe fornito ai clienti islamici in materia di diritto di famiglia.
Sono così riuscito a recuperare le norme oggi applicate dai Muslim Tribunal Arbitration, peraltro facilmente accessibili anche online e comunque raccolte in diverse pubblicazioni, tra cui quella di Dennis MacEoin, edita nel febbraio 2009 per conto della londinese Civitas: Institue for the Study of Civil Society. Ne è venuto fuori un interessante florilegio.
Ad esempio: «una donna musulmana non può, in nessuna circostanza, sposare un uomo non musulmano, a meno che questi non si converta all’Islam, e nel caso tale regola venisse violata, alla donna verrebbe sottratta la custodia del figlio, a meno che non risposi un uomo musulmano»; «la moglie non può rifiutare di concedersi sessualmente ogni volta che il marito lo pretenda» (ma non vale il contrario); «una donna non può più convivere col marito se questi dovesse abbandonare l’Islam»; «i non-musulmani possono essere privati dei propri diritti in caso di successione»; «una donna non ha alcun diritto patrimoniale in caso di divorzio»; «la sharia deve comunque prevalere sui giudizi delle corti britanniche»; «i diritti sulla custodia dei minori possono differire da quelli previsti dalla vigente normativa britannica in materia»; «sottoscrivere assicurazioni per i musulmani è proibito, anche se imposto dalla legge statale»; «non esiste alcun obbligo di registrare un matrimonio, nonostante quanto prevedano le leggi britanniche»; «un avvocato musulmano ha il dovere morale di ignorare una legge del Regno Unito quando questa contrasti con i principi della sharia»; «una donna non può lasciare la propria abitazione senza il consenso del marito» (cosa che, peraltro, potrebbe integrare il reato di sequestro di persona); «l’adozione legale è proibita»; «una donna non può avere la custodia dei propri figli una volta che compiano 7 anni (per i maschi) e 9 anni (per le femmine)»; «una donna non può sposarsi senza la presenza ed il permesso di tutore maschio»; «un figlio illegittimo non può ereditare dalla linea paterna»; e così via.
Resta l’amarezza per la situazione sempre più schizofrenica in cui vive la società britannica. Da una parte vi è una sorta di odioso accanimento discriminatorio nei confronti dei cristiani e dall’altra una pavida accondiscendenza nei confronti della sempre più potente e temuta comunità islamica. Inimmaginabile sarebbe stata la reazione dell’anticlericale ed iperlaicista Terry Sanderson, presidente della National Secular Society, o dell’ateissima Polly Toynbee, presidente della British Humanist Association, se si fosse solamente ipotizzata l’idea di creare dei Christian Arbitration Tribunal, nei quali la regola fosse che «un avvocato cristiano ha il dovere morale di ignorare una legge del Regno Unito quando questa contrasti con i principi del diritto naturale». Apriti cielo!
Un’altra grave contraddizione di questa fragilissima società ormai alla deriva, emerge dal fatto che mentre si rasenta il ridicolo nell’esasperata esaltazione del principio di parità tra uomo e donna, si tollera, attraverso un connivente silenzio, il modo con cui vengono trattate le donne nei Muslim Arbitration Tribunal. Proprio nella patria del politically correct.
Solo pochi giorni fa, la House of Commons, su proposta di Harriet Harman – considerata un’icona dei diritti per le donne –, ha approvato con 206 voti favorevoli e 90 contrari, l’abolizione dal vocabolario parlamentare della parola “chairman” (presidente), ritenuta sessista, e la sostituzione con quella più neutra di “chair”. Le femministe hanno esultato per la grande conquista. Ormai il senso del ridicolo ha ceduto alla malinconia della pateticità. Che tristezza!
COMUNISMO/ Quel prete polacco, amico di Wojtyla, che diede la vita per l'unità della Chiesa - Angelo Bonaguro - lunedì 22 marzo 2010 – ilsussidiario.net
«Il frutto più bello di questo movimento sono i suoi aderenti, migliaia di giovani pieni di entusiasmo, pronti a dare la propria vita per il Vangelo»: così un periodico tedesco sintetizzava nel 1978 l’esperienza del movimento polacco Luce-Vita fondato da don Franciszek Blachnicki (1921-1987).
Nato in Slesia nel 1921, Franciszek partecipa alla resistenza antinazista. Arrestato dalla Gestapo nel ‘40, è internato ad Auschwitz e successivamente condannato a morte, pena poi commutata in 10 anni di carcere.
È in questo duro periodo che sceglie di consacrarsi totalmente a Dio. Dopo la liberazione, mentre la Polonia finisce nell’orbita sovietica, Franciszek entra nel seminario di Cracovia e viene ordinato nel 1950. Il novello sacerdote riceve l’incarico di organizzare i ritiri spirituali per i bambini della diocesi di Katowice, un’esperienza che gli suggerisce l’idea delle «oasi», esercizi estivi rivolti soprattutto agli studenti. Le Oasi, che la propaganda statale definisce «gruppi chiusi dediti all’indottrinamento», contribuiscono ad approfondire e riprendere l’esperienza religiosa fra i giovani disorientati dall’ateismo militante.
Nel ‘57 don Blachnicki lancia la «crociata per l’astinenza» contro il fumo e l’alcolismo. La crescente popolarità delle sue iniziative allarma le autorità: nel ‘60 viene arrestato e incarcerato per un anno. Stabilìtosi a Kroscienko, nel ‘63 rilancia le Oasi, e così il paesino sui monti Tatra diventa la sede del nascente movimento Luce-Vita (1976), che unisce la fedeltà alla tradizione culturale e religiosa polacca alla chiarezza metodologica ed educativa, incentrata sui momenti di convivenza, e contribuisce a superare la paura e la diffidenza tipiche delle società totalitarie.
Come ricordava uno studioso, «fu uno dei metodi più significativi di formazione giovanile negli anni ‘70 e ‘80, basato sull’esperienza della fede personale strettamente legata a quella comunitaria, e con l’Eucarestia al centro della vita». Dal ‘64 al ‘72 Blachnicki insegna all’Università Cattolica di Lublino, dove è molto stimato per i suoi studi di teologia pastorale secondo le indicazioni del Concilio. Nei primi anni ‘70 avviene l’incontro con don Giussani: «Nel corso dell’incontro - racconterà il fondatore di CL in un’intervista nell’81 - ho recepito due parole per me molto importanti: Chiesa e Comunione. Ricordo che ci siamo alzati ed abbracciati: avevamo molto in comune... Luce e Vita, che indicano il simbolo cristiano: Cristo è la luce che porta la via».
Nel giugno ‘73 Blachnicki invita a Kroscienko don Giussani, in occasione dell’atto di affidamento di Luce-Vita alla Madonna, alla presenza del cardinal Wojtyla, che da papa ricorderà: «Come vescovo presi parte a quell’esperienza, e lo feci con tutto il cuore. Molte volte andavo, insieme con don Blachnicki, a trovare i gruppi delle Oasi che facevano i ritiri in vari luoghi dell’arcidiocesi… Tutti sapevano che il cardinale di Cracovia era con loro, che li appoggiava, li sosteneva e che era pronto a difenderli in caso di pericolo».
La polizia infatti non sta a guardare. Irritata persino dalle croci erette dai giovani sui monti di Slesia, sorveglia e ostacola l’attività di Luce-Vita con una serie di provvedimenti amministrativi. Ciononostante il movimento cresce: dal migliaio di partecipanti agli esercizi estivi del ‘70, nel ‘75 sono già 14mila, 30mila nel ‘78. Nel dicembre ‘81, nei giorni drammatici dell’introduzione dello stato di guerra in Polonia, Blachnicki si trova all’estero. Decide di fermarsi in Germania, a Carslberg, dove c’è una comunità di esuli polacchi, e da dove continua a coordinare il suo movimento. Qui fonda anche il «Servizio cristiano di liberazione dei popoli», che intende riunire gli esuli dei paesi centro-europei contro la dittatura comunista.
Per le autorità polacche è una spina nel fianco. Su di lui pende già un mandato di cattura, e per sorvegliarlo inviano in Germania i coniugi Gomtarczyk, agenti esperti già infiltrati in Solidarnosc. «Alla fine dell’84 - si legge nel rapporto di un loro superiore - i due agenti si prodigavano nel lavoro per don Blachnicki, diventando suoi stretti collaboratori... Sfruttando le divergenze fra gli attivisti anticomunisti dell’emigrazione, assumevano infine la gestione dell’organizzazione». Agli inizi dell’87 però vengono scoperti. Dai documenti raccolti dall’Istituto polacco per la memoria nazionale, risulta che il 26 febbraio don Franciszek ha un’accesa discussione con i due. Il giorno dopo, misteriosamente, muore. La coppia rientra in Polonia l’anno dopo, prima che nel loro appartamento faccia irruzione il controspionaggio tedesco-occidentale.
Nel ‘95 viene aperto il processo di beatificazione di questo «costruttore del Regno di Dio», che – come disse papa Wojtyla – se ne impadroniva evangelicamente con la forza. Riportiamo un passo di una sua riflessione quaresimale: «Cristo va al fondo del cuore umano, ne conosce tutti i peccati, ma questo non lo scoraggia. Come si rivolse alla Samaritana, così si muove verso tutti, perché tutti sono peccatori. Cristo ci porta un dono. Non guarda ai nostri peccati, non si domanda se siamo degni o indegni, non chiede conto dei nostri meriti».
«Il dono è qualcosa di immeritato… Quello che Gesù porta alla Samaritana e a tutti noi è la nuova religione della verità e dello Spirito. Il cristianesimo non è una magia, non sono riti da compiere in questa vita per evitare le sciagure. Il cristianesimo non è la litania dei comandamenti da osservare per non essere condannati, non sono le medagliette, gli scapolari o i santini - strumenti utili, ma che non possono rappresentare il contenuto e l’essenza del cristianesimo. Il cristianesimo… è l’incontro con il Dio vivo, che in Gesù Cristo si dona a noi, e che è dunque amore».