lunedì 15 marzo 2010

Nella rassegna stampa di oggi:
1) BENEDETTO XVI INVITA A SPERIMENTARE LA MISERICORDIA DIVINA - Intervento in occasione dell'Angelus domenicale - CITTA' DEL VATICANO, domenica, 14 marzo 2010 (ZENIT.org).- Riportiamo di seguito le parole pronunciate da Benedetto XVI questa domenica a mezzogiorno affacciandosi alla finestra del suo studio nel Palazzo Apostolico Vaticano per recitare l'Angelus insieme ai fedeli e ai pellegrini riuniti in Piazza San Pietro.
2) I NOSTRI 400MILA PRETI CATTOLICI - QUESTI UOMINI CHE AMANO I FIGLI D’ALTRI COME FIGLI LORO - MARINA CORRADI – Avvenire, 14 marzo 2010
3) FALLISCONO I TENTATIVI DI COINVOLGERE IL PAPA NEGLI SCANDALI SUGLI ABUSI SESSUALI - Constata il direttore della Sala Stampa della Santa Sede
4) "Gli sia messa al collo una macina da mulino..." - "... e sia gettato nel mare, piuttosto che scandalizzare uno di questi piccoli" (Luca 17, 2). Imputati, processi e condanne in dieci anni di pedofilia tra il clero. Intervista con Charles J. Scicluna, promotore di giustizia della congregazione per la dottrina della fede. Da "Avvenire" del 13 marzo 2010 - di Gianni Cardinale
5) Arrestato sacerdote del Fujian: aveva organizzato un campo con 300 universitari - P. Giovanni Battista Luo è in arresto dal 3 marzo scorso. Altri tre sacerdoti hanno ricevuto un mandato di arresto, non ancora eseguito. Altri tre devono pagare una multa. P. Luo aveva detto ad AsiaNews: “Sono pronto ad andare in prigione. Sarei felice di servire come testimone di Cristo e seguire l’esempio di tanti santi martiri”…
6) Legge 40, stoppato un altro «assalto» - Ordinanza della Corte costituzionale: ricorsi inammissibili La diagnosi preimpianto rimane fuori dalla normativa - DA MILANO - ENRICO NEGROTTI – Avvenire, 13 marzo 2010
7) Il professor Loiodice - «Il divieto di selezione degli embrioni resta in vigore» - Il giurista respinge le interpretazioni estensive: c’è il no dell’articolo 13 - DA MILANO – Enrico Negrotti Avvenire, 13 marzo 2010
8) L’ORDINANZA DI VENERDÌ SCORSO DELLA CORTE COSTITUZIONALE - Regge la diga della legge 40: arginate le derive eugenetiche - ASSUNTINA MORRESI – Avvenire, 14 marzo 2010
9) Sacconi: Ru486 solo con il ricovero – Avvenire, 14 marzo 2010
10) ELEZIONI/ 1. Giannino: così Berlusconi sta perdendo i voti dei moderati - Oscar Giannino - lunedì 15 marzo 2010 – ilsussidiario.net
11) EUTANASIA/ Lo fai per compassione? La Gran Bretagna ti dà la licenza di uccidere - Gianfranco Amato - lunedì 15 marzo 2010 – ilsussidiario.net


BENEDETTO XVI INVITA A SPERIMENTARE LA MISERICORDIA DIVINA - Intervento in occasione dell'Angelus domenicale - CITTA' DEL VATICANO, domenica, 14 marzo 2010 (ZENIT.org).- Riportiamo di seguito le parole pronunciate da Benedetto XVI questa domenica a mezzogiorno affacciandosi alla finestra del suo studio nel Palazzo Apostolico Vaticano per recitare l'Angelus insieme ai fedeli e ai pellegrini riuniti in Piazza San Pietro.

* * *

Cari fratelli e sorelle!
In questa quarta domenica di Quaresima viene proclamato il Vangelo del padre e dei due figli, più noto come parabola del "figlio prodigo" (Lc 15,11-32). Questa pagina di san Luca costituisce un vertice della spiritualità e della letteratura di tutti i tempi. Infatti, che cosa sarebbero la nostra cultura, l'arte, e più in generale la nostra civiltà senza questa rivelazione di un Dio Padre pieno di misericordia? Essa non smette mai di commuoverci, e ogni volta che l'ascoltiamo o la leggiamo è in grado di suggerirci sempre nuovi significati. Soprattutto, questo testo evangelico ha il potere di parlarci di Dio, di farci conoscere il suo volto, meglio ancora, il suo cuore. Dopo che Gesù ci ha raccontato del Padre misericordioso, le cose non sono più come prima, adesso Dio lo conosciamo: Egli è il nostro Padre, che per amore ci ha creati liberi e dotati di coscienza, che soffre se ci perdiamo e che fa festa se ritorniamo. Per questo, la relazione con Lui si costruisce attraverso una storia, analogamente a quanto accade ad ogni figlio con i propri genitori: all'inizio dipende da loro; poi rivendica la propria autonomia; e infine - se vi è un positivo sviluppo - arriva ad un rapporto maturo, basato sulla riconoscenza e sull'amore autentico.
In queste tappe possiamo leggere anche momenti del cammino dell'uomo nel rapporto con Dio. Vi può essere una fase che è come l'infanzia: una religione mossa dal bisogno, dalla dipendenza. Via via che l'uomo cresce e si emancipa, vuole affrancarsi da questa sottomissione e diventare libero, adulto, capace di regolarsi da solo e di fare le proprie scelte in modo autonomo, pensando anche di poter fare a meno di Dio. Questa fase, appunto, è delicata, può portare all'ateismo, ma anche questo, non di rado, nasconde l'esigenza di scoprire il vero volto di Dio. Per nostra fortuna, Dio non viene mai meno alla sua fedeltà e, anche se noi ci allontaniamo e ci perdiamo, continua a seguirci col suo amore, perdonando i nostri errori e parlando interiormente alla nostra coscienza per richiamarci a sé. Nella parabola, i due figli si comportano in maniera opposta: il minore se ne va e cade sempre più in basso, mentre il maggiore rimane a casa, ma anch'egli ha una relazione immatura con il Padre; infatti, quando il fratello ritorna, il maggiore non è felice come lo è, invece, il Padre, anzi, si arrabbia e non vuole rientrare in casa. I due figli rappresentano due modi immaturi di rapportarsi con Dio: la ribellione e una obbedienza infantile. Entrambe queste forme si superano attraverso l'esperienza della misericordia. Solo sperimentando il perdono, riconoscendosi amati di un amore gratuito, più grande della nostra miseria, ma anche della nostra giustizia, entriamo finalmente in un rapporto veramente filiale e libero con Dio.
Cari amici, meditiamo questa parabola. Rispecchiamoci nei due figli, e soprattutto contempliamo il cuore del Padre. Gettiamoci tra le sue braccia e lasciamoci rigenerare dal suo amore misericordioso. Ci aiuti in questo la Vergine Maria, Mater misericordiae.
[Il Papa ha poi salutato i pellegrini in diverse lingue. In Italiano ha detto:]
Rivolgo infine un cordiale saluto ai pellegrini di lingua italiana, in particolare ai seminaristi del Seminario Maggiore di Basilicata, ai ragazzi di Paderno Dugnano, ai bambini e alle Suore Francescane Elisabettine della Scuola Montessori San Giusto di Trieste e ai volontari della Fraterna Domus. A tutti auguro una buona domenica.
[© Copyright 2010 - Libreria Editrice Vaticana]


I NOSTRI 400MILA PRETI CATTOLICI - QUESTI UOMINI CHE AMANO I FIGLI D’ALTRI COME FIGLI LORO - MARINA CORRADI – Avvenire, 14 marzo 2010
Q uasi ogni giorno dalla Germania ar rivano notizie di casi di abusi pedo fili addebitati a sacerdoti. Storie ri salenti a cinquant’anni fa, come a Rati­sbona, e difficili da verificare. O nuove de nunce, da vagliare con rigore, per fare pie na luce, come vuole il Papa, sul più intol lerabile dei crimini. Per rendere giustizia alle vittime e, eventualmente, agli inno centi. Ma sembra che una gran ruota me diatica si sia messa in moto, quella ruota che giudica e condanna già nel pronun ciare un nome; e all’infinito replica quei nomi, e quelle già decretate condanne. Al lora tra quanti si sentono appartenenti al la Chiesa percepisci un’ombra di scora mento amaro: ma la nostra Chiesa, i no stri preti, possibile che se ne parli solo per associarli alla colpa, di tutte, più terribile? Smarrimento, e il dubbio che questa on da mediatica, nel denunciare episodi an che autentici, taccia di un’altra parte, mol to più grande, della realtà. Che insegua con i riflettori colpevoli veri o presunti, e ignori la silenziosa immensa moltitudine di sacerdoti fedeli. ( Trecento, secondo il Vaticano, gli autentici casi di pedofilia im putabili a sacerdoti nell’ultimo mezzo se colo; quattrocentomila i sacerdoti catto lici nel mondo). No, non è riducibile a quelle accuse, al pu­re tragico fallimento di alcuni, la testimo nianza resa dai preti ai credenti. Che leg gono i giornali, li chiudono sgomenti, ma vanno invece con la memoria a un orato rio, a un’infanzia; alla faccia di un uomo. Al ricordo di uno che ti accoglieva, e vole va bene, quando magari attorno c’era so lo la strada; che era certo che anche nei peggiori ci fosse del buono; che era padre più del padre vero, perché, a differenza di non pochi padri di oggi, era convinto che ognuno di noi ha un compito, e un desti no buono. Ci sono milioni di uomini e donne al mon do, che nella loro infanzia e adolescenza hanno questo ricordo. Magari centrale, magari solo in un angolo – voce poco a scoltata in distratte lezioni di catechismo. Tuttavia, da adulti, anche tanti dei più lon tani rimandano i loro figli al catechismo: come nell’eco di una parola ascoltata fret tolosamente, non ben compresa, e però, intuiscono ora, importante. Come nel ri cordo della faccia di un uomo, che co munque perdonava – e che andresti a cer care, con una strana urgenza nel cuore, il giorno in cui sapessi che il tempo ormai è breve.
Fanno più rumore, certo, quegli alberi spezzati, schiantati dal male, che la gran de foresta che intorno silenziosamente cresce. La limpidezza voluta da Benedet to XVI nell’anno sacerdotale si confronta con lo sguardo degli uomini, e con il vo lano vorace dei media. Con un accani mento che, ha notato il portavoce della Santa Sede padre Lombardi, «a Ratisbona e a Monaco ha cercato elementi per coin volgere personalmente il Papa nella que stione degli abusi». E addirittura, si direb be, con un compiacimento nel cercare di disfare col fango l’immagine stessa del sa cerdozio. Come se ci fossero, sotto, altri conti da saldare con questi uomini così cocciutamente diversi, così assurdamen te celibi, così non disposti a conformarsi alla mentalità corrente. Benedetto XVI parlando venerdì scorso alla Congrega zione per il Clero ha usato una espressio ne, per indicare il cuore del sacerdozio: «essere di un Altro». (Incomprensibile al mondo: essere di un Altro, con la A maiu scola? Di un Altro, chi? Ma se ogni uomo moderno sa bene, di appartenere soltan to a se stesso). E dunque la tempesta monta. Tradimen ti veri, come colpi di scure nella storia di bambini e adolescenti, oppure voci, e an che bugie. Tempesta: ma che non tocchi, questa giostra di verità mescolate a vele ni, la memoria di quella faccia, di quel l’uomo nel campo dell’oratorio, la dome nica. Che giocava a pallone, e portava in montagna, e poneva domande che gli al tri non fanno. Quell’uomo, così certo in una speranza incrollabile. Che – essendo di un Altro – poteva amare quei figli d’al tri, come figli suoi.


FALLISCONO I TENTATIVI DI COINVOLGERE IL PAPA NEGLI SCANDALI SUGLI ABUSI SESSUALI - Constata il direttore della Sala Stampa della Santa Sede
CITTA' DEL VATICANO, domenica, 14 marzo 2010 (ZENIT.org).- I tentativi di vari mezzi di comunicazione, soprattutto in Germania, di coinvolgere Benedetto XVI nei casi di sacerdoti pederasti sono falliti, constata il portavoce vaticano.
Padre Federico Lombardi S.I., direttore della Sala Stampa della Santa Sede, ha analizzato ai microfoni della "Radio Vaticana" le ultime notizie diffuse sui casi di abusi sessuali attribuiti a sacerdoti.
"E' piuttosto evidente che negli ultimi giorni vi è chi ha cercato - con un certo accanimento, a Regensburg e a Monaco - elementi per coinvolgere personalmente il Santo Padre nelle questioni degli abusi. Per ogni osservatore obiettivo, è chiaro che questi sforzi sono falliti", constata il sacerdote.
In particolare, ricorda, si è cercato di gettare sul Cardinale Joseph Ratzinger la colpa di aver reintrodotto nel ministero quando era Arcivescovo di Monaco, nel 1980, un sacerdote che in seguito si è macchiato di abusi sessuali.
Padre Lombardi cita l'"ampio e dettagliato" dell'Arcidiocesi di Monaco in cui si spiega come il Papa non abbia alcuna responsabilità in questo caso. Il Cardinale Ratzinger si limitò ad accogliere nella sua Diocesi quel sacerdote perché potesse essere sottoposto a un trattamento terapeutico, ma non accettò la sua reintegrazione pastorale.
Il portavoce spiega che il Cardinale Ratzinger, quando era prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, ha stabilito e applicato le rigide e rigorose norme adottate dalla Chiesa cattolica in riposta ai casi di abuso scoperti negli ultimi anni.

"La sua linea è stata sempre quella del rigore e della coerenza nell'affrontare le situazioni anche più difficili", spiega padre Lombardi.
Per illustrare le sue parole, il sacerdote gesuita cita un'intervista concessa dal promotore di giustizia della Congregazione per la Dottrina della Fede, monsignor Charles Scicluna, in cui, come mai prima, spiega in modo dettagliato il significato delle norme canoniche specifiche stabilite dalla Chiesa negli anni passati per giudicare i gravissimi delitti di abuso sessuale contro minori da parte di ecclesiastici.
"Diventa assolutamente chiaro che tali norme non hanno inteso e non hanno favorito alcuna copertura di tali delitti, ma anzi hanno messo in atto un'intensa attività per affrontare, giudicare e punire adeguatamente questi delitti nel quadro dell'ordinamento ecclesiastico", osserva padre Lombardi.
Per questo motivo, conclude affermando che, "nonostante la tempesta, la Chiesa vede bene il cammino da seguire, sotto la guida sicura e rigorosa del Santo Padre".
"Come abbiamo già avuto modo di osservare, speriamo che questo travaglio possa essere alla fine di aiuto alla società nel suo insieme per farsi carico sempre meglio della protezione e della formazione dell'infanzia e della gioventù".


"Gli sia messa al collo una macina da mulino..." - "... e sia gettato nel mare, piuttosto che scandalizzare uno di questi piccoli" (Luca 17, 2). Imputati, processi e condanne in dieci anni di pedofilia tra il clero. Intervista con Charles J. Scicluna, promotore di giustizia della congregazione per la dottrina della fede. Da "Avvenire" del 13 marzo 2010 - di Gianni Cardinale
ROMA – Monsignor Charles J. Scicluna è il "promotore di giustizia" della congregazione per la dottrina della fede. In pratica si tratta del pubblico ministero del tribunale dell’ex Sant’Uffizio, che ha il compito di indagare sui cosiddetti "delicta graviora", i delitti che la Chiesa cattolica considera i più gravi in assoluto: e cioè quelli contro l’eucaristia, quelli contro la santità del sacramento della penitenza, e il delitto contro il sesto comandamento ("non commettere atti impuri") di un chierico con un minore di diciotto anni. Delitti che un motu proprio del 2001, "Sacramentorum sanctitatis tutela", ha riservato, come competenza, alla congregazione per la dottrina della fede. Di fatto è il "promotore di giustizia" ad avere a che fare, tra l’altro, con la terribile questione dei sacerdoti accusati di pedofilia periodicamente alla ribalta sui mass media. E monsignor Scicluna, un maltese affabile e gentile nei modi, ha la fama di adempiere il compito affidatogli con il massimo scrupolo, senza guardare in faccia a nessuno.

D. – Monsignore, lei ha la fama di essere un "duro", eppure la Chiesa cattolica viene sistematicamente accusata di essere accomodante nei confronti dei cosiddetti "preti pedofili".

R. – Può essere che in passato, forse anche per un malinteso senso di difesa del buon nome dell’istituzione, alcuni vescovi, nella prassi, siano stati troppo indulgenti verso questi tristissimi fenomeni. Nella prassi dico, perché sul piano dei principi la condanna per questa tipologia di delitti è stata sempre ferma e inequivocabile. Per rimanere al secolo scorso basta ricordare l’ormai celebre istruzione "Crimen sollicitationis" del 1922.

D. – Ma non era del 1962?

R. – No, la prima edizione risale al pontificato di Pio XI. Poi con il beato Giovanni XXIII il Sant’Uffizio ne curò una nuova edizione per i padri conciliari, ma ne vennero fatte solo duemila copie e non bastarono per la distribuzione che fu rinviata sine die. Si trattava comunque di norme procedurali da seguire nei casi di sollecitazione in confessione e di altri delitti più gravi a sfondo sessuale come l’abuso sessuale di minori.

D. – Norme che raccomandavano però il segreto…

R. – Una cattiva traduzione in inglese di questo testo ha fatto pensare che la Santa Sede imponesse il segreto per occultare i fatti. Ma non era così. Il segreto istruttorio serviva per proteggere la buona fama di tutte le persone coinvolte, prima di tutto le stesse vittime, e poi i chierici accusati, che hanno diritto – come chiunque – alla presunzione di innocenza fino a prova contraria. Alla Chiesa non piace la giustizia spettacolo. La normativa sugli abusi sessuali non è stata mai intesa come divieto di denuncia alle autorità civili.

D. – Quel documento però viene periodicamente rievocato per accusare l’attuale pontefice di essere stato – in qualità di prefetto dell’ex Sant’Uffizio – il responsabile oggettivo di una politica di occultamento dei fatti da parte della Santa Sede.

R. – Si tratta di un’accusa falsa e calunniosa. A questo proposito mi permetto di segnalare alcuni fatti. Tra il 1975 e il 1985 mi risulta che nessuna segnalazione di casi di pedofilia da parte di chierici sia arrivata all’attenzione della nostra congregazione. Comunque dopo la promulgazione del codice di diritto canonico del 1983 c’è stato un periodo di incertezza sull’elenco dei "delicta graviora" riservati alla competenza di questo dicastero. Solo col motu proprio del 2001 il delitto di pedofilia è ritornato alla nostra competenza esclusiva. E da quel momento il cardinale Ratzinger ha mostrato saggezza e fermezza nel gestire questi casi. Di più. Ha mostrato anche grande coraggio nell’affrontare alcuni casi molto difficili e spinosi, "sine acceptione personarum", cioé senza riguardi per nessuno. Quindi accusare l’attuale pontefice di occultamento è, ripeto, falso e calunnioso.

D. – Nel caso che un sacerdote sia accusato di un "delictum gravius", cosa succede?

R. – Se l’accusa è verosimile il vescovo ha l’obbligo di investigare sia l’attendibilità della denuncia che l’oggetto stesso della medesima. E se l’esito di questa indagine previa è attendibile non ha più potere di disporre della materia e deve riferire il caso alla nostra congregazione, dove viene trattato dall’ufficio disciplinare.

D. – Da chi è composto questo ufficio?

R. – Oltre a me, che essendo uno dei superiori del dicastero, mi occupo anche di altre questioni, ci sono un capo ufficio, padre Pedro Miguel Funes Diaz, sette ecclesiastici e un penalista laico che seguono queste pratiche. Altri officiali della congregazione prestano il loro prezioso contributo secondo le esigenze di lingua e di competenza.

D. – Questo ufficio è stato accusato di lavorare poco e con lentezza.

R. – Si tratta di rilievi ingiusti. Nel 2003 e 2004 c’è stata una valanga di casi che ha investito le nostre scrivanie. Molti dei quali venivano dagli Stati Uniti e riguardavano il passato. Negli ultimi anni, grazie a Dio, il fenomeno si è di gran lunga ridotto. E quindi adesso cerchiamo di trattare i casi nuovi in tempo reale.

D. – Quanti casi avete trattato finora?

R. – Complessivamente in questi ultimi nove anni, dal 2001 al 2010, abbiamo valutato le accuse riguardanti circa tremila casi di sacerdoti diocesani e religiosi che si riferiscono a delitti commessi negli ultimi cinquanta anni.

D. – Quindi di tremila casi di preti pedofili?

R. – Non è corretto dire così. Possiamo dire che grosso modo nel 60 per cento di questi casi si tratta più che altro di atti di efebofilia, cioè dovuti ad attrazione sessuale per adolescenti dello stesso sesso, in un altro 30 per cento di rapporti eterosessuali e nel 10 per cento di atti di vera e propria pedofilia, cioè determinati da una attrazione sessuale per bambini impuberi. I casi di preti accusati di pedofilia vera e propria sono quindi circa trecento in nove anni. Si tratta sempre di troppi casi – per carità! – ma bisogna riconoscere che il fenomeno non è così esteso come si vorrebbe far credere.

D. – Tremila quindi gli accusati. Quanti i processati e condannati?

R. – Intanto si può dire che un processo vero e proprio, penale o amministrativo, si è svolto nel 20 per cento dei casi e normalmente è stato celebrato nelle diocesi di provenienza – sempre sotto la nostra supervisione – e solo rarissimamente qui a Roma. Facciamo così anche per una maggiore speditezza dell’iter. Nel 60 per cento dei casi poi, soprattutto a motivo dell’età avanzata degli accusati, non c’è stato processo, ma, nei loro confronti, sono stati emanati dei provvedimenti amministrativi e disciplinari, come l’obbligo a non celebrare messa coi fedeli, a non confessare, a condurre una vita ritirata e di preghiera. È bene ribadire che in questi casi, tra i quali ce ne sono alcuni particolarmente eclatanti di cui si sono occupati i media, non si tratta di assoluzioni. Certo non c’è stata una condanna formale, ma se si è obbligati al silenzio e alla preghiera qualche motivo ci sarà...

D. – All’appello manca ancora il 20 per cento dei casi.

R. – Diciamo che in un 10 per cento di casi, quelli particolarmente gravi e con prove schiaccianti, il Santo Padre si è assunto la dolorosa responsabilità di autorizzare un decreto di dimissione dallo stato clericale. Un provvedimento gravissimo, preso per via amministrativa, ma inevitabile. Nell’altro 10 per cento dei casi poi, sono stati gli stessi chierici accusati a chiedere la dispensa dagli obblighi derivati dal sacerdozio. Che è stata prontamente accettata. Coinvolti in questi ultimi casi ci sono stati sacerdoti trovati in possesso di materiale pedopornografico e che per questo sono stati condannati dall’autorità civile.

D. – Da dove vengono questi tremila casi?

R. – Soprattutto dagli Stati Uniti che per gli anni 2003-2004 rappresentavano circa l’80 per cento del totale di casi. Per il 2009 la percentuale statunitense è scesa a circa il 25 per cento dei 223 nuovi casi segnalati da tutto il mondo. Negli ultimi due anni, dal 2007 al 2009, infatti, la media annuale dei casi segnalati alla congregazione dal mondo è stata proprio di 250 casi. Molti paesi segnalano solo uno o due casi. Crescono quindi la diversità e il numero dei paesi di provenienza dei casi ma il fenomeno è assai ridotto. Bisogna ricordare infatti che il numero complessivo di sacerdoti diocesani e religiosi nel mondo è di 400 mila. Questo dato statistico non corrisponde alla percezione che si crea quando questi casi così tristi occupano le prime pagine dei giornali.

D. – E dall’Italia?

R. – Finora il fenomeno non sembra abbia dimensioni drammatiche, anche se ciò che mi preoccupa è una certa cultura del silenzio che vedo ancora troppo diffusa. La conferenza episcopale italiana offre un ottimo servizio di consulenza tecnico-giuridica per i vescovi che devono trattare questi casi. Noto con grande soddisfazione un impegno sempre maggiore da parte dei vescovi italiani di fare chiarezza sui casi a loro segnalati.

D. – Lei diceva che i processi veri e propri riguardano circa il 20 per cento dei circa tremila casi che avete esaminato negli ultimi nove anni. Sono finiti tutti con la condanna degli accusati?

R. – Molti dei processi ormai celebrati sono finiti con una condanna dell’accusato. Ma non sono mancati quelli in cui il sacerdote è stato dichiarato innocente o dove le accuse non sono state ritenute sufficientemente provate. In tutti i casi comunque si fa non solo lo studio sulla colpevolezza o meno del chierico accusato, ma anche il discernimento sull’idoneità dello stesso al ministero pubblico.

D. – Un’accusa ricorrente fatta alle gerarchie ecclesiastiche è quella di non denunciare anche alle autorità civili i reati di pedofilia di cui vengono a conoscenza.

R. – In alcuni paesi di cultura giuridica anglosassone, ma anche in Francia, i vescovi, se vengono a conoscenza di reati commessi dai propri sacerdoti al di fuori del sigillo sacramentale della confessione, sono obbligati a denunciarli all’autorità giudiziaria. Si tratta di un dovere gravoso perché questi vescovi sono costretti a compiere un gesto paragonabile a quello compiuto da un genitore che denuncia un proprio figlio. Ciononostante, la nostra indicazione in questi casi è di rispettare la legge.

D. – E nei casi in cui i vescovi non hanno questo obbligo per legge?

R. – In questi casi noi non imponiamo ai vescovi di denunciare i propri sacerdoti, ma li incoraggiamo a rivolgersi alle vittime per invitarle a denunciare quei sacerdoti di cui sono state vittime. Inoltre li invitiamo a dare tutta l’assistenza spirituale, ma non solo spirituale, a queste vittime. In un recente caso riguardante un sacerdote condannato da un tribunale civile italiano, è stata proprio questa congregazione a suggerire ai denunciatori, che si erano rivolti a noi per un processo canonico, di adire anche alle autorità civili nell’interesse delle vittime e per evitare altri reati.

D. – Un’ultima domanda: è prevista la prescrizione per i "delicta graviora"?

R. – Lei tocca un punto – a mio avviso – dolente. In passato, cioè prima del 1898, quello della prescrizione dell’azione penale era un istituto estraneo al diritto canonico. E per i delitti più gravi solo con il motu proprio del 2001 è stata introdotta una prescrizione di dieci anni. In base a queste norme nei casi di abuso sessuale il decennio incomincia a decorrere dal giorno in cui il minore compie i diciotto anni.

D. – È sufficiente?

R. – La prassi indica che il termine di dieci anni non è adeguato a questo tipo di casi e sarebbe auspicabile un ritorno al sistema precedente dell’imprescrittibilità dei "delicta graviora". Il 7 novembre 2002, comunque, il servo di Dio venerabile Giovanni Paolo II ha concesso a questo dicastero la facoltà di derogare dalla prescrizione caso per caso, su motivata domanda dei singoli vescovi. E la deroga viene normalmente concessa.

__________


Il giornale della conferenza episcopale italiana, che il 13 marzo 2010 ha pubblicato l'intervista:

> Avvenire

__________


Il motu proprio di Giovanni Paolo II del 30 aprile 2001:

> "Sacramentorum sanctitate tutela"

La lettera appplicativa della congregazione per la dottrina della fede del 18 maggio dello stesso anno, nell’originale latino:

> "De delictis gravioribus"

E in una traduzione italiana:

> "Circa i delitti più gravi


Arrestato sacerdote del Fujian: aveva organizzato un campo con 300 universitari - P. Giovanni Battista Luo è in arresto dal 3 marzo scorso. Altri tre sacerdoti hanno ricevuto un mandato di arresto, non ancora eseguito. Altri tre devono pagare una multa. P. Luo aveva detto ad AsiaNews: “Sono pronto ad andare in prigione. Sarei felice di servire come testimone di Cristo e seguire l’esempio di tanti santi martiri”…
AsiaNews) – Un sacerdote sotterraneo della diocesi di Mindong (Fujian) è stato arrestato per aver organizzato un campo con 300 studenti universitari. Altri tre sacerdoti suoi collaboratori hanno ricevuto un mandato di arresto, non ancora eseguito; ad altri tre sono state comminate multe fino a 500 yuan (circa 50 euro). Settimane prima del suo arresto, il sacerdote aveva dichiarato: “Sarei felice di servire come testimone di Cristo e seguire l’esempio di tanti santi martiri”.
P. Giovanni Battista Luo, 39 anni, e altri 6 sacerdoti della Chiesa sotterranea, avevano organizzato un campo invernale di quattro giorni con 300 studenti universitari, divisi in due tranche, alla fine di gennaio e all’inizio di febbraio. Il 3 febbraio scorso la pubblica sicurezza è arrivata al campo (nella chiesa di Saiqi) e hanno ordinato ai sacerdoti di cancellare l’evento. I sacerdoti si sono rifiutati e hanno spiegato la situazione agli studenti lì presenti, invitando coloro che avevano paura a lasciare il campo e rassicurando gli altri che i sacerdoti sarebbero stati sempre con loro. Solo 20 dei presenti sono andati via. Il giorno dopo i membri della pubblica sicurezza hanno sottoposto a un lungo interrogatorio i sacerdoti, ma non hanno fatto alcun arresto.
In quei giorni, p. Luo aveva detto ad AsiaNews che egli era “pronto ad andare in prigione”, che non aveva “nulla da temere” e che era “orgoglioso di essere un sacerdote cattolico, desideroso di professare la fede anche con le azioni”. E ha aggiunto: “Sarei felice di servire come testimone di Cristo e seguire l’esempio di tanti santi martiri”.
P. Luo è un evangelizzatore molto attivo, anche su internet, dove tiene un blog molto visitato: http://blog.sina.com.cn/frluo.
Dal 3 marzo scorso egli è “detenzione amministrativa” in una guest-house (prigione) del goveno a Fuan. Altri tre sacerdoti, i padri Guo Xijin, Miu Yong e Liu Maochun hanno ricevuto mandato di arresto ma finora la polizia non l’ha eseguito. Altri tre sono stati penalizzati a pagare 500 yuan, ma i fedeli dicono che essi preferiscono andare in prigione piuttosto che pagare la multa.
La diocesi di Mindong è nella quasi totalità costituita da fedeli della Chiesa sotterranea: su 80 mila cattolici, più di 70 mila sono clandestini, molto organizzati e vivi, con oltre 50 sacerdoti, 96 suore e 400 laici catechisti.Il loro vescovo è mons. Vincenzo Huang Shoucheng, di 86 anni. Mindong ha anche un vescovo patriottico, mons. Zhan Silu, seguito da pochi fedeli.
AsiaNews 12/03/2010 12:09


Legge 40, stoppato un altro «assalto» - Ordinanza della Corte costituzionale: ricorsi inammissibili La diagnosi preimpianto rimane fuori dalla normativa - DA MILANO - ENRICO NEGROTTI – Avvenire, 13 marzo 2010
L a Consulta ha ritenuto inammissibili le que stioni di legittimità co­stituzionale di alcune nor me della legge 40 sulla pro creazione medicalmente as sistita, sollevate dal Tribu nale di Milano nel discutere i ricorsi di due coppie che chiedevano di poter effettua re la diagnosi preimpianto in quanto portatori di ma lattie genetiche. La Corte ha emesso un ordinanza ( n. 97 del 2010) in cui si limita a ri badire che l’unica « deroga » al divieto di crioconserva zione è quella stabilita dalla precedente sentenza 151 del 2009, che aveva abrogato il limite della produzione di tre embrioni da trasferire con un unico impianto. No nostante dunque alcune as sociazioni che hanno pro mosso le cause davanti al Tribunale di Milano abbia no commentato favorevol mente l’ordinanza, come se la Consulta avesse stabilito un « diritto alla diagnosi preimpianto » , le norme in vigore ( articolo 13) conti nuano a prevedere un divie to della selezione eugeneti ca degli embrioni.
La questione sollevata da vanti alla Consulta dal Tri bunale di Milano riguarda va due coppie infertili ( a ri schio di trasmettere anoma lie genetiche), che ritenen do violati gli articoli 2, 3 e 32 della Costituzione, chiede vano di abolire alcune parti della legge 40, per poter ef fettuare la diagnosi preim pianto. In particolare le cop pie volevano abolire l’arti colo 6 comma 3 e gran par te dell’articolo 14. Il primo prevede che « la volontà di entrambi i soggetti di acce dere alle tecniche di pro creazione medicalmente as sistita... può essere revocata da ciascuno dei soggetti in dicati dal presente comma fino al momento della fe condazione dell’ovulo». L’ar ticolo 14, che stabilisce limi ti all’applicazione delle tec­niche sugli embrioni, vieta la crioconservazione degli embrioni, stabilisce che non deve essere creato un nu mero di embrioni superiore a quello strettamente neces sario e prevede che se il tra sferimento in utero degli embrioni non è possibile per motivi di forza maggiore re- lativi allo stato di salute del la donna, si possa rimanda re tale trasferimento non ap pena sia possibile.
La Corte Costituzionale ha riunito in uno solo i due giu dizi perché svolgevano ar gomentazioni analoghe e ha ricordato di essere già inter­venuta sulla costituzionalità della legge 40 con la senten za 151 del 2009, con la quale aveva dichiarato in costituzionale una parte del comma 2 dell’articolo 14 in cui si poneva a tre il limite di embrioni da produrre e tra­sferire. Tale decisione, ripe te la Consulta ( riunitasi per decidere lo scorso 8 marzo sotto la presidenza di Ugo De Siervo, redattore Alfio Fi nocchiaro), ha introdotto « una deroga al principio ge nerale di divieto di criocon­servazione » che comporta la possibilità di ricorrere « alla tecnica del congelamento con riguardo agli embrioni prodotti, ma non impian tati per scelta medica » . Per tanto senza andare oltre la sentenza del 2009, la Corte respinge le eccezioni di co stituzionalità sollevate agli articoli 6 e 14.
Alcune associazioni che hanno promosso i ricorsi al tribunale (Cittadinanzattiva, Hera e Sos infertilità) invece ritengono che l’ordinanza della Consulta rappresenti una « nuova bocciatura del la legge 40». Gli avvocati Ma ria Paola Costantini e Mari lisa D’Amico sostengono che « i cittadini hanno diritto al la diagnosi preimpianto e al la crioconser vazione » . Ma i ricorsi in realtà sono stati re spinti e di tale diritto non si trova traccia: la motivazione della sentenza 151 faceva ri ferimento a valutazioni me diche sulla salute della don na come norma per stabili re il miglior trattamento.
Valutate questioni poste dal Tribunale di Milano I promotori dei ricorsi: ribadita la bocciatura delle norme


Il professor Loiodice - «Il divieto di selezione degli embrioni resta in vigore» - Il giurista respinge le interpretazioni estensive: c’è il no dell’articolo 13 - DA MILANO – Enrico Negrotti Avvenire, 13 marzo 2010
«Non viene presa in esame la possibilità di diagnosi preimpianto e il massimo delle modi fiche alla legge 40 so no state già decise lo scorso anno con la sentenza 151 della stessa Consulta». Al do Loiodice, docente di Diritto costituzio nale all’Università Eu ropea di Roma e av vocato amministrati vista, respinge le interpretazioni «e stensive » che fanno dire all’ordinan za 97 della Corte Costituzionale che è ormai possibile la diagnosi preim pianto: «Basta pensare che non è sta to toccato il divieto di selezione de gli embrioni a scopo eugenetico».
Che cosa ha stabilito la Corte Costi tuzionale?
La Consulta ha respinto le questio ni di legittimità costituzionale – sol­levate dal Tribunale di Milano – de gli articoli 6 (sulla revoca del con senso dopo la fecondazione dell’o vulo) e 14 (divieto di crioconserva zione e soppressione degli embrio ni). Nel farlo ha ricordato di avere già previsto (sentenza 151/2009) la de roga al divieto di crioconservazione, ammettendo che «per scelta medi ca » possa essere necessario produr re più di tre embrioni e crioconser varne alcuni.
E la diagnosi preimpianto che veni va richiesta dalle coppie che hanno
fatto ricorso al giudi ce?
Resta vietata, basta guardare alla legge nel suo complesso. Sono in vigore l’articolo 13 che vieta «ogni sele zione a scopo euge netico degli embrio ni »: è evidente che la diagnosi preimpianto è finalizzata a valuta re la qualità della sa lute del concepito e «scartare» quelli affet ti da patologie. E la stessa sentenza 151 non ha cancellato l’obbligo di impianto, anche se non immediato, di tutti gli embrioni prodotti (art. 14 comma 3). Senza dimenticare che è stato man tenuto l’articolo 6 che vieta di ritira re il consenso alla procreazione assi stita dopo il momento della fecon­dazione.
Eppure le associazioni che hanno promosso il ricorso parlano di «di­ritto alla diagnosi preimpianto». Co me mai?
Mi pare un tentativo di manipolare le parole dell’ordinanza, che ha un peso minore della sentenza e non ha effetto giuridico su leggi esistenti. L’ordinanza restituisce gli atti al Tri bunale di Milano chiudendo il pro cesso rimanda al contenuto della sentenza 151. Resta ambigua solo dove sembra indicare che la deroga prevista in tale sentenza si esprima «negli stessi termini» richiesti dal Tri bunale. Questo è un equivoco che va dissolto.
Enrico Negrotti


L’ORDINANZA DI VENERDÌ SCORSO DELLA CORTE COSTITUZIONALE - Regge la diga della legge 40: arginate le derive eugenetiche - ASSUNTINA MORRESI – Avvenire, 14 marzo 2010
Un silenzio as sordante è se guito ieri all’or dinanza con la quale venerdì la Corte Costi tuzionale ha escluso qualsiasi altro ritocco alla legge 40, quella che regola la procreazione medicalmen te assistita (Pma). Quando i giudici della Consulta, cioè gli unici legittimati a mo dificare le leggi vigenti, confermano che questa legge rimane così com’è la 'grande' stampa non ritiene opportuno darne notizia (e Avvenire resta solo o quasi a informare l’opinione pubblica).
La Corte era stata chiamata a pronun ciarsi sulla legittimità costituzionale di alcuni articoli della legge 40, e in parti colare l’articolo 6 – quando stabilisce che la coppia può ritirare il proprio con senso alla Pma solo fino alla feconda zione e non più dopo, quando l’embrio ne è già creato –, e l’articolo 14, nella parte che vieta il congelamento e la sop pressione degli embrioni e che ne rego la realizzazione in laboratorio e trasferi mento in utero. La richiesta veniva da due coppie infer tili e portatrici sane di malattie geneti che, che domandavano di sottoporre gli embrioni alla diagnosi preimpianto. La Consulta ha risposto dichiarando l’i nammissibilità dei quesiti posti e quindi rigettando i ricorsi, visto che sugli stessi argomenti si era già espressa con la sen tenza dello scorso anno, la 151 del 2009: restano i divieti di crioconservazione e soppressione degli embrioni, che devo no essere prodotti in numero «stretta mente necessario», stabilito di volta in volta dal medico curante nel rispetto della salute della donna. Nell’ordinanza si ricorda che le modifiche introdotte dalla sentenza dell’anno scorso posso no significare una deroga al congela mento degli embrioni, vietata per prin cipio e ammessa quindi solo in via ecce zionale. Resta, dunque, intatto il divieto di ritirare il consenso alla Pma quando si è formato l’embrione. In altre parole: la Corte Costituzionale riconosce la le­gittimità della legge 40 e la lascia inva riata, con le poche modifiche dello scor so anno. A sei anni dall’approvazione, dopo un referendum, passate numerose richie ste di intervento alla Corte, e soprattut to superato un gran numero di attacchi mediatici, giuridici e politici senza pre cedenti, l’impianto della legge 40 resta sostanzialmente immutato: le fantasio se sentenze di alcuni tribunali civili evi dentemente non hanno fatto breccia nei giudici della Consulta, che non han no ritenuto opportuno intervenire con 'modifiche' rilevanti pur avendo avuto la possibilità di farlo.
La legge italiana riserva dunque le tec niche di Pma solo alle coppie sterili o infertili, ed essere portatori di malattie genetiche continua a non consentire – di per sé – l’accesso alla fecondazione in vitro. D’altra parte, oltre al divieto di soppressione degli embrioni, resta an che quello della loro selezione e quindi anche della diagnosi preimpianto, cioè di quella tecnica con la quale si esamina il patrimonio genetico di una o due tra le pochissime cellule degli embrioni al l’inizio dello sviluppo per individuare tra loro gli eventuali portatori di alcune malattie e poi scartarli, trasferendo in u tero solo quelli sani. Si tratta di una sele zione su base genetica, indubbiamente.
Cioè una procedura «eugenetica». Se ammettessimo di poter selezionare una vita umana – perché tale è un embrione, anche per chi non lo ritiene pienamente persona – in base a un criterio genetico allora affermeremmo il principio in ba se al quale qualcuno ha meno diritto a nascere di qualcun altro, dichiarando così lecito che di fronte a due vite uma ne si possa dire 'tu sì, tu no' per un cri terio puramente biologico. È in questo modo che in alcuni Paesi già si scelgono i sani e si scartano i malati, mentre in al tri – come la Cina e l’India – saranno i maschi a nascere a discapito delle fem mine: cambia il criterio della scelta, ma sempre di eugenetica si tratta. Ed euge netica resta anche quando non è impo sta dallo Stato, ma decisa dai singoli.
La legge 40 continua quindi a vietare o gni pratica eugenetica: una scelta di ci viltà, di cui dobbiamo essere consape voli e, a pensarci bene, anche orgogliosi.


Sacconi: Ru486 solo con il ricovero – Avvenire, 14 marzo 2010
TORINO. «Il governo, soprattutto se incoraggiato dal Consiglio superiore di sanità, ribadirà quello che ha sempre detto: il processo farmacologico della Ru486 deve svolgersi in ambito ospedaliero». Lo ha detto ieri a Torino il ministro del Welfare, Maurizio Sacconi. «Siamo in attesa – ha aggiunto – del parere del Consiglio superiore della Sanità», relativo alle indicazioni per l’uso della pillola abortiva Ru486 e atteso per metà marzo.
«Ma questo governo – ha ribadito – confermerà quello che ha sempre detto: il suo utilizzo deve avvenire sotto il pieno controllo e monitoraggio per la salute della persone. È un percorso non banale sotto il profilo etico, ma anche dal punto di vista medico». Sacconi ha sottolineato inoltre che «la legge 194, sempre difesa dal governo perché riduce il ricorso all’interruzione di gravidanza, rischia di essere messa in discussione qualora dovesse essere diffusa la pratica dell’assunzione della Ru486 al di fuori dal ricovero ospedaliero». Mentre Silvio Viale, ginecologo dell’ospedale S. Anna di Torino e primo sperimentatore della Ru486 in Italia, continua a ripetere che «il ricovero è un falso problema». E rifiuta a priori il parere che dovrà venire dal Consiglio superiore di sanità (era stato lo ministro della Salute Ferruccio Fazio all’inizio di febbraio ad annunciarlo): «Si attaccano al ricovero perché hanno perso la battaglia sulla Ru486 e cercano di scoraggiarne l’uso, con la complicità di finti esperti del Consiglio superiore di sanità». Il Consiglio superiore di sanità si era peraltro già espresso, nel 2004 e nel 2005, sull’utilizzo della Ru486 come strumento per l’aborto, e aveva concluso che le condizioni di rischio per la donna rispetto all’intervento chiurgico erano pari solo se l’intera procedura avveniva all’interno di una struttura ospedaliera. Dopo l’introduzione della pillola in Italia, voluta dall’Agenzia italiana del farmaco, il Consiglio dovrebbe dare un parere sull’utilizzo in conformità con la legge 194: il punto cruciale resta quello della possibilità di somministrare la pillola abortiva in day hospital, con conseguenti dimissioni della donna, che verrebbe controllata solo a distanza e sarebbe in ultima analisi sola di fronte alla procedura abortiva.


ELEZIONI/ 1. Giannino: così Berlusconi sta perdendo i voti dei moderati - Oscar Giannino - lunedì 15 marzo 2010 – ilsussidiario.net
Francamente, non sono stupito neanche un po’ dal tumulto in atto sulla scena politica italiana. Nel senso che mi aspettavo con ragionevole certezza che ogni Procura italiana avesse nel cassetto intercettazioni e indagini a effetto politico assicurato, e le riversasse puntualmente sul tavolo all’approssimarsi del voto regionale. Da Bertolaso a Di Girolamo alle telefonate di Trani, mi stupirei anzi se fosse finita qui, l’elenco delle nuove cannonate giudiziarie. Non ne sono stupito perché dopo la caduta del Lodo Alfano per decisione della Corte costituzionale, era sin troppo facile immaginare che il tentativo di risolvere “l’anomalia Berlusconi” per via giudiziaria prendesse un’accelerazione conseguente.
Francamente, dirò anche che a mio giudizio siamo entrati in una fase dello scontro Berlusconi sì-Berlusconi no che non lascia più molto spazio per considerazioni ispirate a saggezza istituzionale. Si può benissimo continuare a dire che opposizione e maggioranza dovrebbero astenersi dal darsi addosso accusandosi reciprocamente di eversione e barbarie, che le intercettazioni date in pasto ai giornali sono improprie, come è del tutto inane ridurre la campagna per le regionali a due piazze urlanti l’una contro l’altra. Temo però che sia un esercizio retorico, oggi più che mai. Lo può fare chi spera in politica di accumulare punti dal nuovo abbassamento del livello di confronto - come Casini e Rutelli, e aggiungiamoci Montezemolo per non sbagliare, va - o chi sceglie di fare l’osservatore alla finestra, nel mondo dell’informazione.
Ma temo che pur restando saldamente nel campo degli osservatori - sono risolutamente contrario ai giornali-bastone che Berlusconi si è dato nell’ultimo anno, il problema dei moderati è di non avere un proprio grande Corriere della Sera, non quello di avere un nuovo Popolo d’Italia - sia meglio “sporgersi”, per così dire, usare argomenti e strumenti interpretativi adeguati al caos, invece di mitizzare una normalità che non c’è e non ci sarà.
Dopo il Lodo Alfano, sarebbe stata ed è battaglia finale, contro Berlusconi. Giocata per intero sulla legalità e sulla moralità. Lo sapeva benissimo il centrodestra, e anche il centrosinistra che con Bersani-mediatore alla testa del Pd si era messo in una posizione di attesa, più che di promozione di nuove linee politiche. L’errore che Berlusconi corre il rischio di pagare caro, dopo le Regionali, è l’essere apparso improvvisamente e drammaticamente non più all’altezza di quella “etica del fare” che agli occhi dei moderati aveva sin qui giustificato anche i suoi innegabili eccessi, a fronte dei disastri fatti dal centrosinistra al governo. Il buco nero delle liste respinte a Roma e Milano non ha solo rivelato un pressapochismo ingiustificabile. Ha anche scoperto una profonda incapacità di valutazione e reazione a ciò che stava concretamente avvenendo.
Lo scontro con il Quirinale sulla prima bozza di decreto respinto, e il secondo decreto che a Milano non serviva e che a Roma si è rivelato inutile oltre che dannoso nell’elettorato, hanno messo in luce un appannamento molto serio. È più che comprensibile che molti moderati vogliano stare a casa, attualmente. Non condividono il moralismo diepetresco e non votano un Pd di cui ancora non si capisce nulla. Ma avvertono che dietro l’appannamento di Berlusconi si è mostrata una macchina-partito fatta di molti incapaci e non pochi profittatori, oltre che di modesti leader locali che hanno spesso indicato candidati presidenti che perderanno, pur di non perdere il controllo del Pdl locale. Se Silvio avesse capito al volo che bastava ricoprire l’Italia di manifesti giganteschi riproducenti le firme annullate a Formigoni e accettate a Penati, con le stesse identiche irregolarità formali per le quali nel primo caso in Corte d’Appello a Milano si era detto no ma alle seconde si era detto sì, le cose sarebbero andate diversamente. In altri tempi, Berlusconi avrebbe avuto il guizzo. Ora è mancato. Non voglio dire poi dell’autogol della sospensione dei talk televisivi in campagna elettorale: a destra dovrebbero sapere che accanirsi sull’avversario gli regala voti, come è successe tante volte a vantaggio di Berlusconi.
Il centrodestra si è così inoltrato su un sentiero che lo porta a perdere pezzi di proprio elettorato. Nel Nord, i flussi andranno a tutto vantaggio della Lega, che rischia il successone anche dove il suo candidato presidente non dovesse vincere, come in Piemonte. Nel resto d’Italia, la diatriba con Fini è parte del problema, e non bisogna aspettarsi certo da Fini altro che una sua radicalizzazione, all’indomani di un risultato elettorale che suonasse allarme rosso per la tenuta di Silvio.
La situazione è questa. Per chi ha in mente che moderati e centrodestra si identifichino solo in Berlusconi, non si tratta che di sperare nell’ennesimo miracolo che Silvio riserva spesso quando tutti lo danno fuori dal ring. Per gli altri, massime per chi ha in mente che esista un problema di rappresentanza seria di un modello di buona gestione amministrativa che da tre legislature in Lombardia ha fatto vedere di che cosa fosse capace senza per questo risolversi né in Berlusconi né in Bossi, c’è un altro problema. Quello di metter mano da subito, all’indomani delle Regionali, a un modulo di rappresentanza proprio. Per non finire ridotto e triturato in un Ok Corral centrato sul “dagli al puzzone”.


EUTANASIA/ Lo fai per compassione? La Gran Bretagna ti dà la licenza di uccidere - Gianfranco Amato - lunedì 15 marzo 2010 – ilsussidiario.net
La Gran Bretagna si sta avviando oramai verso la legalizzazione dell’eutanasia. Non si è avuto il coraggio di farlo attraverso una legge del Parlamento e si è, quindi, optato per la soluzione ipocrita della via giudiziaria. Infatti, un sostanziale contributo a questo processo di legalizzazione lo hanno dato le guideline predisposte da Keir Starmer, il Director of Public Prosecutions per l’Inghilterra ed il Galles, attraverso cui sono stati delineati i presupposti per procedere penalmente nei confronti di chi partecipa attivamente ad un suicidio assistito. Le sei esimenti previste in quelle direttive rischiano di rappresentare, infatti, un vero e proprio disco verde alle pratiche eutanasiche.

Secondo le nuove regole di Starmer, l’azione penale non verrà esercitata quando: 1) la vittima ha assunto una volontaria, chiara, determinata e consapevole decisione di commettere suicidio; 2) l’indagato ha agito esclusivamente per motivi di compassione; 3) l’azione commessa dall’indagato, sebbene idonea ad integrare un’ipotesi di reato, si è in realtà risolta in una lieve istigazione o in semplice assistenza; 4) l’indagato ha tentato di dissuadere la vittima dalla commissione del suicidio;
5) le azioni dell’indagato si possono qualificare come una debole istigazione o come mera assistenza rispetto ad una precisa volontà della vittima di commettere suicidio; 6) l’indagato ha denunciato il suicidio della vittima alla polizia giudiziaria collaborando pienamente all’inchiesta sulle circostanze del suicidio o del tentato suicidio, e sul suo ruolo nell’istigazione o nell’assistenza.

È ormai chiaro, quindi, come da oggi sia possibile in Gran Bretagna ricorrere all’eutanasia senza rischiare di incorrere nella giustizia penale. I criteri contenuti nelle guideline del Director of Pubblic Prosecutions rappresentano un calderone dove ciascuno può attingere facilmente una motivazione giuridica per praticare la dolce morte. Concetti come la «lieve istigazione» o la «compassione» consentono, a tutti gli effetti, di autorizzare l’omicidio di chi chiede di porre fine alla propria esistenza.
La prova migliore di quanto affermo la fornisce l’esultanza di Debbie Purdy, accanita sostenitrice del suicidio assistito, che ha definito le nuove guideline una vera e propria “victory”. Per la precisione, ha dichiarato di essere «entusiasta e felice per questa vittoria». Sentimenti riecheggiati anche nelle parole di Sarah Wooton, responsabile di un gruppo pro-eutanasia, che ha parlato di una «vittoria del buon senso».