sabato 19 gennaio 2008

Nella rassegna stampa di oggi:

1) Domani in piazza per il Papa ecco dieci motivi per andarci tutti
2) UN ARTICOLO DEL PROF. PROSPERI - CARICATURE PER ESORCIZZARE I PROBLEMI
3) Il nanismo dei laicisti
4) Alla Sorbona si insegna il pensiero di Ratzinger - Nella laicissima università parigina un corso tenuto da un non credente
5) NANI E MOLOSSI (Il Timone)
6) Moratoria sull'aborto, di Mons. Luigi Negri
7) Il rogo di Liberazione per lo psichiatra cattolico
8) Diventa anche tu un clandestino, conviene!
9) Il Vaticano nel mirino della Ue: "NON È UNO STATO DEMOCRATICO"
10) Discorso di Benedetto XVI ai Vescovi latini nelle regioni arabe


Domani in piazza per il Papa ecco dieci motivi per andarci tutti, Renato Farina.
Libero, 19.1.2008


UN ARTICOLO DEL PROF. PROSPERI - CARICATURE PER ESORCIZZARE I PROBLEMI

Avvenire, 19 gennaio 2008
PIO CEROCCHI
Ci sono dei modi di dire che avrebbe­ro la pretesa di semplificare la co­municazione, e che invece finiscono per ottenere l’effetto opposto, e cioè quello di complicarla se non - in qualche caso - ad­dirittura di stravolgerla. Così, quando si mettono in campo le usurate formule del 'Papa Re' e del Tevere più o meno largo, quasi sempre si finisce per veicolare die­tro ad esse posizioni ostili e, a dire poco, pregiudiziali. E’ questo il caso dell’edito­riale, pubblicato ieri su Repubblica, a fir­ma del professor Adriano Prosperi.
Non accorgersi volutamente che per gran­dissima fortuna sia della Chiesa sia dello Stato italiano, da molto più di un secolo il Papa non è un re, vuol dire mettere in cam­po argomenti apparentemente ad effet­to, ma in realtà inafferabilmente capzio­si, perché privi di alcun possibile aggan­cio con la realtà concreta di un Paese de­mocratico, del quale milioni di cattolici sono soci fondatori e non ospiti precari, quasi posticci. Non si capisce infatti per quale motivo chi impegna il proprio no­me e la propria autorevolezza accademi­ca in simili scritture rozzamente polemi­che, non abbia prima l’avvedutezza di guardarsi intorno, o magari mettere il na­so nella parrocchia più vicina. Potrebbe così verificare dal vivo, quali effettiva­mente siano i sentimenti dei credenti e se essi - come ha scritto lo stesso Prosperi ­siano impegnati a mettere a segno le tra­me di 'un sicuro disegno strategico' per incoronare re (ma non si sa di che cosa) il Papa.
E’ necessario a questo punto, fare un po’ di ordine su alcuni aspetti decisivi sui qua­li non è possibile sorvolare. Si lamenta, ad esempio, 'il progetto di scardinare la for­mazione delle leggi buttando sul piatto politico moltitudini incitate e folle fana­tizzate da improvvisati ayatollah cristiani', dove il riferimendo alla manifestazione romana di domani non è certo lasciato nel vago. Ora, trascurando i tratti offensi­vi, ci si chiede quale idea di partecipazio­ne democratica vi sia in un tale ragiona­mento. Forse che paventando un afflus­so notevole di fedeli all’Angelus del Papa, si vuole fin d’ora ipotecarlo, col sospetto che quel gesto di affetto verso Benedetto XVI sarebbe un atto politico neppure trop­po mascherato? Perché se no trascurare il fatto che il cardinale Ruini ha dichiara­to sulla prima pagina dell’Osservatore Ro­mano che quel raduno 'non sarà un co­mizio'?
Il professor Prosperi, riferendosi alla vi­cenda del mancato incontro del Papa al­la 'Sapienza', se la cava sbrigativamente, e la definisce 'un incidente casuale': Pec­cato che con ciò trascuri almeno due fat­ti essenziali: la portata culturale unani­memente riconosciuta del discorso scrit­to da Benedetto XVI per quella occasio­ne, e l’addolorato stupore dei cattolici e con loro di tantissimi laici per l’accaduto. E certo la lettura (anche distratta) del te­sto papale non autorizza alcuna inter­pretazione politica o strumentale, ma al contrario dalla sua qualità intellettuale traspare con evidenza, un prezioso e lai­co insegnamento circa il corretto rappor­to che può esservi (e in moltissimi casi c’è) tra la ragione e la fede.
Per quanto, invece, riguarda le reazioni dei cattolici per l’accaduto, chiunque fos­se stato attento ai fatti, avrebbe imme­diatamente osservato la loro spontaneità, tanto che l’invito di Ruini non fa altro che dare forma a quanto già tantissimi cre­denti avevano autonomamente deciso di fare, e cioè la cosa più normale per loro: andare dal Papa.
Da tempo immemorabile chi va con spi­rito religioso a San Pietro, non si preoc­cupa della larghezza del Tevere, ma del fatto che sulle tombe degli apostoli è cu­stodita quella verità storica del cristiane­simo che certo non può essere imposta, ma che è viva nella misura della libertà di coscienza di ciascuno. Ed bene chiarire che i cristiani non sono dei sudditi, ma cittadini liberi e presenze laiche al pari di ogni altro cittadino. Ed in questo senso domani si potrà pregare non solo per la libertà dei cristiani, ma anche per l’intel­ligenza vacillante dei cosiddetti laici.


Il nanismo dei laicisti
Avvenire, 19.1.2008
DI LORENZO FAZZINI
Una 'scortesia' da pseudo­scienziati dimostratisi 'culturalmente adolescenti', il cui background affonda nell’idea – propagandata dai 'nuovi atei' quali Richard Dawkins e Cristopher Hitchens – che il cristianesimo sia essenzialmente violenza. Una posizione, questa, che si manifesta invece come un’inconscia reazione alla minaccia dell’islamismo radicale, in risposta al quale questi 'scientisti' attaccano la religione cristiana, la 'più debole' sulla piazza, visto il suo messaggio di mitezza e perdono. Da tempo critico con la postmodernità, nemico di ogni scientismo che si eleva ad onnicomprensiva visione del mondo, il filosofo britannico Roger Scruton indaga in profondità i recenti eventi della Sapienza per riscontrarvi quel misto di nanismo culturale e avversione ideologica che hanno sbarrato la porta dell’università romana a Benedetto XVI. Al fondo di tutto quanto accaduto, afferma il docente del’Institute for the Psychological Sciences di Arlington, in Virginia, a suo tempo grande sostenitore dei dissidenti d’Oltrecortina negli anni del socialismo reale, vi è il disconoscimento attuale del ruolo culturale della religione cristiana e un riflesso incondizionato avversario della fede.
Professor Scruton, qual è stata la sua prima reazione dopo l’annullamento della visita di Benedetto XVI all’università La Sapienza di Roma? Come valuta quanto accaduto?
«Non mi sono sorpreso, visto che si tratta di una prova ulteriore del fatto che le università hanno adottato un atteggiamento di opposizione nei confronti dell’atmosfera culturale a loro circostante. Nel momento in cui viene chiesto alle istituzioni universitarie di rafforzare la loro eredità spirituale, esse preferiscono rigettarla».
Gli studenti che hanno dimostrato contro il pontefice issavano striscioni con scritte come 'La scienza è laica' e 'La scienza non ha bisogno di padri'. Pensa si tratti di qualcosa simile al movimento sessantottino o di diverso? Le paiono sensati tali proclami sull’identità della scienza?
«Lo slogan 'la scienza è laica' è molto meno arguto di quelli che venivano gridati nel 1968. Non penso che questo tipo di petulante scortesia verso una rispettata figura come Benedetto XVI possa essere paragonata con il ’68 che – sebbene ugualmente impegnato nel negare il passato – era un movimento pericoloso e di grande estensione. La scienza è certamente laica se la si intende come indipendente dalla religione e se si pensa che può essere portata avanti da persone di qualsiasi fede o da chi, di fede, non ne professa alcuna. Ma la scienza non è nemmeno tutta la conoscenza o qualcosa capace di guidarci da sola».
La protesta contro Benedetto XVI da parte di un gruppuscolo di docenti aveva questa motivazione principale: non è possibile che una guida religiosa possa recarsi in un’università alla cerimonia di apertura dell’anno accademico. A suo giudizio, si tratta di una posizione sensata o ipocrita?
Questa opposizione è partita da docenti di fisica: veri scienziati o traditori della scienza?
«Tradizionalmente, le università sono state istituzioni religiose, dove al culto e alla preghiera erano assegnati importanti ruoli, così come avveniva per lo studio della teologia. È sempre stato considerato come qualcosa di appropriato l’invito a personalità religiose, specialmente quelle che hanno conseguito risultati significativi nell’ambito degli studi, perché assumessero funzioni importanti durante eventi di carattere accademico.
Ho il sospetto che questi professori, semplicemente, volessero mettere in mostra, un po’ alla maniera degli adolescenti, il carattere della loro mentalità di 'liberi pensatori'».
Di recente lei ha scritto che i 'nuovi atei' come Hitchens o Dawkins ignorano l’antropologia religiosa, ad esempio quella di René Girard, e sbagliano nell’attribuire al fatto religioso tout court un impulso violento. I contestatori della Sapienza hanno rilanciato il motto di Marx ed Engels 'la religione è l’oppio dei popoli' o ne hanno fatto una parodia?
«Penso certamente che ci sia un certo tipo di ateismo che ancora ragiona come facevano Marx ed Engels. Ma – come dimostrano bene i loro scritti – Marx ed Engels avevano una profonda consapevolezza dell’istinto religioso e cercavano, nella loro perversa strategia, di trovare una risposta politica e di altro tipo a tale istinto. Ora, questa nuova specie di ateisti scientisti a noi contemporanei immagina che la risposta a tale predisposizione possa per sempre dispensare dal bisogno religioso insito nell’uomo. E la stessa natura violenta e il fanatismo di tale posizione offre una stupefacente prova del fatto che quel bisogno esiste».
Più di un osservatore ha notato una recrudescenza negli attacchi contro la religione cristiana e il credente cristiano nello spazio pubblico. È d’accordo?
«La gente attacca solamente ciò che essa ritiene debole, come Tocqueville aveva osservato considerando la Rivoluzione francese.
Questi nostri propagandisti atei, sconvolti dall’islam radicale e dalla sua forza sempre più crescente, indirizzano la loro rabbia contro il cristianesimo, che appare loro come un obiettivo facile da colpire. Dopo tutti, la fede cristiana insegna l’umiltà e la mitezza, e ci chiede di perdonare i nostri nemici. Non c’è che dire: il più invitante dei bersagli».
«La contestazione all’invito rivolto al Papa dalla Sapienza è la scortesia di pseudo-scienziati culturalmente adolescenti» «Ho il sospetto che questi professori, semplicemente, volessero mettere in mostra il carattere della loro mentalità di 'liberi pensatori'»



Alla Sorbona si insegna il pensiero di Ratzinger
Nella laicissima università parigina un corso tenuto da un non credente
Avvenire, 19.1.2008
DI LORENZO FAZZINI
I l Papa non può andare all’università La Sapienza di Roma, ma il suo pensiero viene insegnato e studiato nella laicissima Sorbona di Parigi. Paradossi della cultura contemporanea: Benedetto XVI è 'ostracizzato' dall’ateneo fondato da un pontefice per colpa di un manipolo di docenti e di studenti 'liberi pensatori'. Mentre nella patria del Sessantotto, all’interno della facoltà di filosofia di Parigi, un giovane professore di filosofia medievale, non credente, dedica un semestre di insegnamento istituzionale al Pensiero filosofico di Benedetto XVI. «Questo Papa è contemporaneamente rivoluzionario e molto conservatore.
Porta avanti un’interpretazione estremamente audace, e pure simbolica, dell’anima, definendola ciò che della nostra esistenza potrà sempre essere mantenuto». Classe 1971, studi di Scienze politiche e Storia a Bruxelles, Cambridge e Parigi, Jacob Schmutz è maître de conférences all’università Paris IV della Sorbona: il suo titolo corrisponde a quello che nell’ordinamento italiano è il ricercatore universitario, altrimenti detto 'assistente'. Giusto lo scorso anno ha intrattenuto i suoi studenti affrontando il pensiero di Joseph Ratzinger in quanto filosofo: Schmutz si è concentrato sulla produzione intellettuale dell’allora docente di Münster, Tubinga e Regensburg, affrontando le opere ratzingeriane degli anni Sessanta e Settanta. Ma come è successo che questo intellettuale laico – traduttore di Eric Voegelin, braccio destro del filosofo Ruedi Imbach, considerato tra i maggiori interpreti di Tommaso d’Aquino – si sia focalizzato su Ratzinger? «Ci sono arrivato tramite San Bonaventura e Sant’Agostino, visto che sono un medievalista», afferma. Nel 2006 – ha raccontato Schmutz al quotidiano francese La Croix –, al termine del suo corso su Filosofia e religione nel Medio Evo, ha tenuto una lezione su Giovanni Paolo II e Benedetto XVI lettori dei teologi del Medio Evo. Di fronte all’entusiasmo degli studenti, ecco la decisione di dedicare un intero semestre – tra febbraio e giugno 2007 – alla filosofia del pontefice tedesco, sia in prospettiva ecclesiale sia guardando all’interpretazione della religione cattolica come fenomeno di civilizzazione portata avanti dall’autore di
Introduzione al cristianesimo. Schmutz, che fa parte del Centro Pierre Abélard della Sorbona, è anche animatore del sito Internet 'Scholasticon', dedicato alla filosofia scolastica: paradosso vuole che tale sito sia stato in passato ospitato dal portale della Université libre di Bruxelles, considerata uno dei 'santuari' dell’anticlericalismo europeo. Schmutz non nasconde la sua irritazione per quella che definisce «l’ignoranza dei media» e la solita vulgata anti-Ratzinger: «Ogni volta che si parla di lui è per tirare fuori i soliti luoghi comuni sull’intellettuale freddo e sull’opposizione tra fede e ragione. Ma non sono per niente queste le sue credenziali».
Anzi, per il professore della Sorbona, «Ratzinger è un vero filosofo. Perciò conquista gli studenti, anche gli atei».
L’interesse accademico di Schmutz non ha niente di accomodante, dato che il docente pone un’obiezione: «Io giudico affascinante e 'pericoloso' il pensiero di Ratzinger.
La sua convinzione è che la sola maniera di essere razionale è essere cristiani». Ma ciononostante a lui ha dedicato studio e passione, senza ostracismi, con rigore intellettuale.
Rispettando l’allora prefetto della Congregazione per la dottrina della fede che, nel 1999, tenne proprio alla Sorbona una conferenza dal titolo «Verità del cristianesimo?». In essa Ratzinger argomentava: «Nel cristianesimo, la razionalità divenne religione e non più sua avversaria».



NANI E MOLOSSI (Il Timone)
di Gianpaolo Barra

Forse vi sorprenderete, ma a me piacciono i cani. Due o tre volte in vita mia, sono andato a vedere una esposizione canina, dove sfilano esemplari selezionati di tutte le razze. Preciso: mi piacciono i cani grossi, enormi, maestosi, quelli che i cinofili classificano con il termine di “molossi”. Alti, imponenti, muscolosi, in genere pacifici. E tra questi – ve ne sono di diverse misure – quelli che apprezzo di più sono capaci di pesare oltre cento chili, anche fino a 120.

Hanno un bel carattere. Di solito non reagiscono, se provocati tardano a rispondere, se sei un malintenzionato che tenta di entrare nel giardino di casa dove fanno buona guardia, questi giganti ti si piazzano davanti, ti fissano negli occhi, come a dirti: “pensa a quello che stai per fare”. Certo, se poi non ci pensi, peggio per te. Ti saltano addosso e non hai scampo, sei finito. Se ti atterrano, possono schiacciarti come si fa con una bistecca. Se ti mordono, la loro presa è terribile: un allevatore mi ha detto che la forza del morso del mastino inglese – un molosso enorme – equivale a molte centinaia di chili per cm2. Si capisce bene che con un paio di morsi di questo genere ti ritrovi dimagrito di dieci chili.
Insomma, mi piacciono i molossi per questa loro forza immensa.

Tuttavia, qualche volta – anzi: spesso – succede che se uno di questi bestioni si trova di fronte un cane “nano”, uno di quei “chiwawa” notoriamente attaccabrighe e abbaiatore, il molosso non reagisca. Anzi, contrariamente a quanto ci si potrebbe aspettare, si limita ad osservare, con sguardo languido e compassionevole, piegando il capo da un lato, come se provasse tenerezza, ma ben consapevole che basterebbe un soffio per polverizzare la bestiola “rompiscatole”. Non solo: “pro bono pacis”, il gigante è capace pure di scostarsi, indietreggiare, cedere il passo o lasciare il posto.
Osservando la scena, un marziano, che ignora tutto sulla cinofilia, dirà che il chiwawa è più coraggioso, determinato e perfino più forte del povero molosso.
Un intenditore, invece, sa che il gigante non vuole approfittare della sua forza e lascia perdere. Non vale la pena sprecare un millesimo di energia per farsi valere.
Perché ho scritto queste cose? Perché mi sono venute in mente appena ho saputo della vicenda accaduta all’Università “La Sapienza” di Roma.

Come è noto, poco più di una sessantina di docenti hanno brigato – riuscendoci – per impedire al Papa di partecipare all’inaugurazione dell’anno accademico. Il Pontefice avrebbe dovuto tenere un discorso davanti al Rettore, al corpo docenti e agli studenti. Ma ha preferito soprassedere di fronte alla reazione scatenata dai contestatori.
Il Papa ha fatto bene, naturalmente. E il mondo ha coperto di ridicolo l’Università, quei professori, quegli studenti e – forse – anche il nostro povero Paese.
Ma sì, pensateci bene. Il mondo ha visto ripetersi esattamente quella scena sopra descritta.

Di fronte a un gigante del pensiero teologico, a un fine cultore del pensiero filosofico, di fronte a un intellettuale di statura molossoide, un gruppo di “chiwawa” del pensiero, un manipolo di nanetti della docenza, dei quali la storia non ricorderà nemmeno il nome, tanto insignificante è la loro statura intellettuale e rozza la loro educazione, ha deciso di emettere un “abbaio”.
E il gigante, come succede in questi casi, li ha guardati con compassione. E ha lasciato perdere.
Il nostro marziano, ignaro di come funzionano le cose sulla terra, si farà probabilmente impressionare da cotanta prova di forza.
Chi se ne intende, invece, vede l’abisso che separa le intelligenze dei protagonisti.
Quella del Papa giganteggia.
Quella dei contestatori non risponde all’appello. É fuggita tempo fa, spaventata dal proprio stesso abbaio


Moratoria sull'aborto
Autore: Negri, Mons. Luigi Curatore: Mangiarotti, Don Gabriele
sabato 19 gennaio 2008
Mons. Luigi Negri sulla richiesta di moratoria sull’aborto avanzata da Giuliano Ferrara
Io ritengo, come ho detto nella mia lettera di adesione alla sua iniziativa, che Ferrara abbia individuato un punto di partenza importantissimo di dialogo culturale e, magari, successivamente anche di indicazione politica. Che una legge dopo 30 anni possa essere sottoposta ad una revisione, anche quella minimale indicata da Ferrara, indicata dall’On. Bondi, risuonata nelle parole del Card. Ruini e del Card. Bagnasco è cosa logica; è indispensabile una revisione delle linee guida che riducano le eventualità, ormai largamente prevalenti, che la legge sia usata solo per procurare aborto e non in difesa del diritto alla vita e alla maternità. Anche soltanto una informazione di tutte le altre possibilità che ci sono accanto e a oltre all’aborto, cosa che non viene normalmente praticata nei nostri ospedali. Ma per individuare questa linea di intervento e di dialogo ed eventualmente di collaborazione non è neppure necessaria la fede, è necessario l’uso spassionato della ragione. Della ragione che c’è di penetrare nel senso della realtà tenendo presenti tutti gli aspetti: nel caso specifico la vita nella sua misteriosa e gratuita origine, nel diritto fondamentale della donna e dell’ uomo alla paternità e alla maternità. Se la nostra società è in crisi, è in crisi prima e di più che per difetto di fede, per difetto di ragione; e in questo senso una iniziativa come quella della moratoria proposta da Giuliano Ferrara costituisce una base molto importante per avviare quel dialogo fra laici non laicisti e cristiani non clericali, in cui sembra esserci una grande possibilità di novità per la vita sociale del presente e del futuro. Mi auguro che a tutti i livelli i cristiani si lascino coinvolgere in questo ambito di dibattito portando certamente il contributo, assolutamente originale e innegabile, della rivelazione cristiana che da’ al senso della vita e al rispetto della vita una fondazione radicale e un aiuto particolarissimo. La reazione largamente prevedibile delle fasce più livide del laicismo, sia a livello culturale che a livello politico, è realmente un perdurare di una stagione culturale che è finita. Quello che mi stupisce non è tanto la reazione del mondo politico che ormai, evidentemente, tira a campare ed è più preoccupato della sopravvivenza nei suoi ruoli istituzionali che non nell’affrontare concretamente i problemi reali del paese; mi stupisce l’ambiente culturale perché c’è un livello di arretratezza nella cultura laicista che sembra, addirittura, incredibile, oltre che insostenibile. Per esempio ho letto l’adesione di alcuni esponenti radicali e addirittura di esponenti del PD alla iniziativa di Ferrara: ebbene mi sono realmente compiaciuto perché quanto meno affermano che le ricerche scientifiche sulla vita, dal punto di vista medico, sono andate progredendo al punto che oggi è, sostanzialmente, insostenibile dal punto di vista scientifico, che le 23 settimane costituiscano un argine oggettivo dal punto di vista biologico. Un paese civile dopo 30 anni può e deve aver la possibilità di ridiscutere questa legge per adeguarla sempre di più ai bisogni reali del popolo; rifiutare questo è chiudersi un una situazione di miopia di potere che, come è stato accennato da qualche organo di stampa, può portare alla rovina di questa classe dirigente, di questa classe politica.
Pennabilli, 4 Gennaio 2008
+ Luigi Negri, Vescovo di San Marino-Montefeltro



Il rogo di Liberazione per lo psichiatra cattolico

Il rogo di Liberazione per lo psichiatra cattolico brucia ancora, alimentato da sotterfugio e violenza

Triste, e preoccupante, quando il dibattito culturale si muove attraverso le tecniche della violenza e del sotterfugio.
Tuttavia, nel nostro amato (detto senza alcuna ironia, anzi con autentico dolore) paese, è sempre più spesso così.
Ecco la storia.

Tempo fa si presenta dal professore Tonino Cantelmi, presidente dell'Associazione psichiatri cattolici, un uomo, che dichiara di aver bisogno delle sue cure.
Cantelmi accetta.
Dopo qualche mese escono su Liberazione degli articoli del "paziente" di Cantelmi, che racconta come in Italia esista una rete nascosta di terapeuti cattolici che pretendono di guarire i gay dalla loro omosessualità, malgrado sia stranoto che la stessa non è una patologia.
Indignazione dello stesso giornale, del partito di cui è espressione, di Arcigay ed altri che non ricordo, che, dando voce all'anima liberale che li contraddistingue, chiedono immediati interventi repressivi, in particolare dall'Ordine degli psicologi, contro Cantelmi e gli altri reprobi che congiurano per convincere i gay ad abbandonare ogni gaiezza.

Cantelmi ha nel frattempo querelato penalmente il finto paziente/giornalista e scritto su Avvenire che le opinioni personali dei pazienti vanno certamente rispettate (come lui fa da sempre): quelle dei gay, ma (già che ci siamo) anche quelle dei credenti che vengono assai spesso irrise e derise da psicoterapeuti per nulla tolleranti verso i sentimenti di fede.

A questo punto il presidente dell'Ordine degli psicologi, Giuseppe Luigi Palma, scrive una lettera a Liberazione (o gli trasmette un documento dell'Ordine, non si capisce se l'iniziativa è personale o dell'Ordine) che il quotidiano di Rifondazione presenta così: "L'Ordine degli psicologi condanna Cantelmi".
Il che non può essere, perché io sono stato nel direttivo dell'Ordine (lombardo) e so che per dare una condanna ci vuole prima un procedimento, con accuse precise, difesa dell'imputato, eccetera.

Ma in tempi di roghi, e non solo di spazzatura, anche di idee e di uomini, non si va per il sottile. Una lettera del presidente diventa una condanna.
In realtà, poi, Palma, com'è sua funzione, cita il codice deontologico: «Nell'esercizio della professione, lo psicologo rispetta la dignità, il diritto alla riservatezza, all'autodeterminazione e all'autonomia di coloro che si avvalgono delle sue prestazioni; ne rispetta opinioni e credenze, non opera discriminazioni.».

Quindi, verrebbe da dire, lo psicologo prende in terapia l'omosessuale scontento della sua sessualità, come fa con l'eterosessuale.

No, la storia è un'altra.
Come proclama il presidente di Arcigay in prima pagina di Liberazione, esultando, «da qualche anno denunciamo, come associazioni lgbt, una campagna di propaganda portata avanti da diversi medici e psicologi che sostengono come con la fede, la disciplina, la volontà sia possibile redimere i fratelli e le sorelle omosessuali e lesbiche».

Ecco finalmente la verità, ottenuta con metodi, naturalmente, veritieri!
Un pubblicista si spaccia per paziente.
Una citazione del codice deontologico viene spacciata per condanna.
In questa vittoria della trasparenza, preparate i roghi, campioni del libero pensiero.
Ci sono dei bei polli da arrostire.

di Claudio Risè
Tempi num.3 del 17/01/2008


Diventa anche tu un clandestino, conviene!«Asilo, prima in lista perché clandestina»
Fingersi un’immigrata e cercare di iscrivere il figlio in un asilo di Genova. Una nostra cronista, calatasi nei panni di «Myriam Sputtin», ucraina senza permesso di soggiorno, ha contattato le istituzioni scolastiche. Risultato: accolta a braccia aperte, invece di essere denunciata trova subito il posto, scavalcando gli altri in graduatoria e non versando la quota, pagata invece dalle famiglie regolari.
Fonte: Il Giornale
"Mio figlio, clandestino, è primo in graduatoria"
di Stefania Antonetti - venerdì 11 gennaio 2008, 09:08
Genova - Io, madre del piccolo Greghor, nell’arco di pochi minuti sono riuscita a sistemare il mio adorato figlioletto in una bella struttura scolastica, non lontana da Piazza Principe. L’ideale, visto che tra treni metropolitani, autobus di linea e metro, difficoltà a portare il pargolo a scuola, non ne avrei avute. Uso il condizionale perché non ho nessun bambino e la mia disperata ricerca di un posto in una scuola comunale genovese è una bugia. Piccola sicuramente, ma strumento utile per capire cosa accade quando una madre clandestina telefona o si presenta nei vari distretti scolastici per chiedere che suo figlio venga accolto tra i banchi di scuola.
Dunque, con tanto di passaporto dimenticato, senza permesso di soggiorno, senza identità certa o comprovata, io, Myriam Sputtin, ho varcato la soglia di un cancello di una direzione territoriale, sono salita al primo piano e ho chiesto informazioni. Più che parlare mi sono trascinata in un linguaggio a dir poco improvvisato e per alcuni tratti quasi teatrale. Mi sono finta semplicemente ucraina.
Infreddolita, sono stata accolta a braccia aperte. Mi hanno fatto accomodare e, con l’ausilio della gestualità, mi hanno chiaramente invitato a ripresentarmi la settimana prossima. Ma la signora in questione, alla fine, non mi ha mandata via a mani vuote. Così, con fare dolce e cortese, la gentile impiegata ha lasciato intendere che - pur non avendo nessuna identità - io in città non avrei avuto difficoltà nel trovare un posto dove mandare mio figlio a scuola. A meno che, le liste di attesa non siano già complete.
Sono le 14. Non mi arrendo e non intendo aspettare lunedì per avere conferme delle notizie appena ricevute. Inizio a tempestare i centralini di alcune scuole materne comunali. Qui il personale conferma esattamente quanto detto dalla signora. E mentre il ministro della Pubblica istruzione, Giuseppe Fioroni, avverte il sindaco di Milano Letizia Moratti: «Se i piccoli extracomunitari figli di clandestini non verranno subito ammessi negli asili comunali, niente contributi statali», Genova risponde con una gara di solidarietà nei confronti del «mio» piccolo Greghor.

«Parli pure con la signora. E qualora la scuola scelta fosse per la signora Sputtin troppo lontana dalla propria abitazione, cercheremo di trovarle una soluzione più consona», precisa una voce gentile dall’altra parte della cornetta. Attaccata al mio telefonino, questa volta ne ho detta un’altra di bugia. Mi sono finta un’amica italiana di Myriam Sputtin, l’ucraina in cerca di sistemazione per il suo bambino, e ho chiesto chiarimenti. Apriti cielo. Una valanga di informazioni, di cortesia e una vera e propria gara di solidarietà nei confronti di questa mia «amica immaginaria» a cui tutti avrebbero voluto trovare una soluzione. Addirittura c’è chi mi invita ad andare direttamente nel proprio ufficio per risolvere la questione. Purché ci vada anche io: «Con lei la signora Myriam potrebbe sentirsi al sicuro e a suo agio», conclude la voce amica. C’è chi infine mi spiega che per la mia amica c’è anche la possibilità di riempire in sede una dichiarazione Isee (che non deve ritirare neanche al Caf), e dichiarare che è senza reddito. Così facendo si ha diritto all’acquisizione di cinque punti per la graduatoria nella lista di attesa.
Non ci sto. Continuo a chiamare e mi accerto ulteriormente. E alla fine scopro che io, clandestina, ho diritto, visto che non ho reddito, non ho lavoro, casa e quant’altro, anche alla eventuale esenzione della quota fissa d’iscrizione (che ruota intorno ai diciotto euro). Chi invece lavora e possiede un reddito familiare superiore ai 35mila euro, l’iscrizione la paga, i buoni pasto anche. E soprattutto non ha diritto ad alcun punteggio. Zero punti in graduatoria.
Dunque, riassumendo, mi ripresento: sono Myriam Sputtin. Sono ucraina. Sono una clandestina. Non possiedo documenti e foglio di soggiorno. Ho a carico un figlio di appena tre anni e senza nessuna fatica, nell’arco di pochi minuti, l’ho già sistemato in un asilo comunale genovese. Ho cinque punti di accredito, diverse agevolazioni e non pago l’iscrizione. Non è male alla fine quest’Italia.

Fonte: Il Giornale


Il Vaticano nel mirino della Ue: "NON È UNO STATO DEMOCRATICO"
Secondo l’assemblea di Strasburgo il Vaticano non sarebbe un vero e proprio Stato democratico e, soprattutto, avrebbe posizioni sulle tematiche riguardanti i diritti dell’uomo non proprio conformi a quelle dello stesso Consiglio…

La Santa Sede è ormai al centro non solo delle debacle nazionali ma è anche sotto osservazione al Consiglio d’Europa. E questo perchè secondo l’assemblea di Strasburgo il Vaticano non sarebbe un vero e proprio Stato democratico e, soprattutto, avrebbe posizioni sulle tematiche riguardanti i diritti dell’uomo non proprio conformi a quelle dello stesso Consiglio. Un aspetto questo che a Strasburgo deve essere ora attentamente considerato. In questa settimana, infatti, dovrebbe essere approvato a Strasburgo una risoluzione sullo statuto degli Stati Osservatori, Paesi non europei che comunque partecipano alle sessioni dell’assemblea: ovvero Santa Sede, Stati Uniti, Canada, Giappone, Messico. Nel documento 11471, presentato al Consiglio lo scorso 20 dicembre dal rappresentante della Gran Bretagna, David Wilshire, dopo aver premesso l’utilità e la necessità di integrare questi Stati all’interno dei vari dibattiti dell’assemblea, al punto 10 si legge testualmente: «Lo status della Santa Sede non ha a che vedere con la Risoluzione statuaria e non le è stato chiesto di assumere alcun impegno. La sua mancanza di istituzioni democratiche e alcune sue posizioni in materia di diritti umani ne fanno un caso a parte. Deve essere accettato lo status quo». Si legge ancora nel documento: il Vaticano è l’unico Stato che ha acquisito questo status presso il Consiglio «prima che esistessero disposizioni ufficiali», vale a dire nel 1970, «senza che l’organizzazione avesse chiesto, né la Santa Sede avesse assunto alcun impegno rispetto agli ideali e ai valori del Consiglio d’Europa». Questa inaspettata posizione rispetto al Vaticano, a quanto raccontano a Strasburgo, ha destato parecchie perplessità, sia in molti rappresentanti italiani dell’Assemblea, ma anche nelle stanze di Oltretevere. Il timore, come spiega un esponente del Consiglio, è che «far passare la Santa Sede come uno Stato non democratico», vorrebbe dire «indebolire il Vaticano nel suo ruolo di Stato Osservatore». Un segnale, fra l’altro non il primo (basti pensare alle esenzioni fiscali di cui gode la Santa Sede messe sotto osservazione mesi fa a Straburgo), di un’atmosfera che sta prendendo piede in molti Paesi del nord Europa nei confronti del Vaticano.
Da qui la decisione di un gruppo di deputati italiani, che siedono al Consiglio, di prendere carta e penna e presentare lunedì prossimo a Strasburgo un emendamento. I firmatari, tra cui gli esponenti del Ppe Claudio Azzolini (Forza Italia) e Lorenzo Cesa (segretario dell’Udc) chiedono di sostituire la formulazione riportata nel punto 10 con una versione «più rispettosa della Santa Sede e del suo ruolo». Vale a dire: il Vaticano partecipa al Consiglio come Stato Osservatore «in base alla sua specifica natura e alla sua missione». Rimane assodato il fatto che la Santa Sede «non ha a che vedere con la Risoluzione statuaria», non le è stato chiesto di assumere alcun impegno, e «lo status quo dovrebbe essere accettato». Ma va eliminata la parte riguardante le «mancanti istituzioni democratiche» e l’accenno alle posizioni del Vaticano «riguardo i diritti umani».
Per avere il verdetto finale bisognerà aspettare fino a giovedì prossimo quando l’assemblea di Strasburgo voterà il testo. «Se guardiamo quali sono i compiti principali del Consiglio - spiega Cesa - troviamo la tutela dei diritti dell’uomo e la ricerca di soluzioni comuni per problemi sociali, quali la discriminazione delle minoranze, la xenofobia, la violenza nei confronti dei bambini. Di fronte a questi temi il ruolo del Vaticano, anche se solo come Stato Osservatore, è fondamentale. E questo non può essere in discussione». Insomma quella che sta per cominciare a Strasburgo potrebbe essere un’altra settimana calda per Oltretevere. E stavolta la partita si sposta tutta su terreno internazionale.
di Giancarla Rondinelli
Il Giornale 19 gennaio 2008


Discorso di Benedetto XVI ai Vescovi latini nelle regioni arabe
CITTA' DEL VATICANO, venerdì, 18 gennaio 2008 (ZENIT.org).- Pubblichiamo il discorso di Benedetto XVI ai Vescovi di rito latino nelle regioni arabe, ricevuti venerdì mattina in occasione della visita "ad limina Apostolorum".
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Cari Fratelli nell'Episcopato e nel Sacerdozio,

Sono lieto di accogliervi mentre realizzate la vostra visita ad limina, rafforzando così la vostra comunione con il Successore di Pietro e anche quella delle Chiese locali di cui siete i pastori. Ringrazio vivamente Sua Beatitudine Michel Sabbah, patriarca latino di Gerusalemme e presidente della vostra Conferenza episcopale, per la sua presentazione dei tratti principali della vita della Chiesa nei vostri paesi. Che il vostro pellegrinaggio presso le tombe degli apostoli sia l'occasione di un rinnovamento spirituale delle vostre comunità, fondato sulla persona di Cristo! La Conferenza dei vescovi latini nelle regioni arabe racchiude una grande diversità di situazioni. Solitamente i fedeli, originari di numerosi paesi, sono raggruppati in piccole comunità, in società composte in maggioranza da credenti di altre religioni. Dite loro quanto il Papa è spiritualmente vicino ad essi e che condivide le loro preoccupazioni e le loro speranze. A tutti rivolgo i miei voti affettuosi, affinché vivano nella serenità e nella pace.

Desidero prima di tutto ribadirvi l'importanza che attribuisco alla testimonianza delle vostre Chiese locali, ricordandovi il messaggio che ho rivolto ai cattolici del Medio Oriente, il 21 dicembre 2006, per manifestare la solidarietà della Chiesa universale. Nella vostra regione, lo scatenarsi senza fine della violenza, l'insicurezza e l'odio rendono molto difficile la coabitazione fra tutti, facendo a volte temere per l'esistenza delle vostre comunità. È una sfida seria posta al vostro servizio pastorale, che vi spinge a rafforzare la fede dei fedeli e il loro senso fraterno, affinché tutti possano vivere nella speranza fondata sulla certezza che il Signore non abbandona mai coloro che si volgono a Lui, perché Lui solo è la nostra speranza vera, in virtù della quale possiamo affrontare il nostro presente (cfr Spes salvi, n. 1). Vi invito vivamente a restare vicini alle persone affidate al vostro ministero, sostenendole nelle prove e indicando loro sempre il cammino di un'autentica fedeltà al Vangelo nell'adempimento dei loro doveri di discepoli di Cristo. Che tutti, nelle situazioni difficili che attraversano, possano avere la forza e il coraggio di vivere come testimoni ardenti della carità di Cristo!

È comprensibile che le circostanze spingano a volte i cristiani a lasciare il loro paese per trovare una terra accogliente che permetta loro di vivere convenientemente. Occorre tuttavia incoraggiare e sostenere fermamente quanti fanno la scelta di restare fedeli alla loro terra, affinché non divenga un sito archeologico privo di vita ecclesiale. Sviluppando una vita fraterna salda, troveranno un sostegno nelle loro prove. Offro quindi tutto il mio appoggio alle iniziative che prendete per contribuire alla creazione di condizioni socio-economiche atte ad aiutare i cristiani che sono rimasti nel loro paese e esorto l'intera Chiesa ad apportare un sostegno vigoroso a tali sforzi.

La vocazione dei cristiani nei vostri paesi riveste un'importanza fondamentale. Quali artefici di pace e di giustizia, sono una presenza viva di Cristo venuto a riconciliare il mondo con il Padre e a riunire tutti i suoi figli dispersi. Pertanto una comunione autentica e una collaborazione serena e rispettosa fra i cattolici dei diversi riti devono essere sempre più consolidate e sviluppate. Sono in effetti segni eloquenti per gli altri cristiani e per tutta la società. Inoltre la preghiera di Cristo nel Cenacolo, "Che tutti siano una cosa sola", è un invito pressante a ricercare incessantemente l'unità fra i discepoli di Cristo. Sono quindi lieto di sapere che conferite un posto importante all'approfondimento di relazioni fraterne con le altre Chiese e comunità ecclesiali. Queste sono un elemento fondamentale sul cammino dell'unità e una testimonianza resa a Cristo, "perché il mondo creda" (Gv 17, 21). Gli ostacoli lungo le vie dell'unità non devono mai spegnere l'entusiasmo per tessere le condizioni di un dialogo quotidiano che è preludio all'unità.

L'incontro con i membri di altre religioni, ebrei e musulmani, è per voi una realtà quotidiana. Nei vostri paesi, la qualità dei rapporti fra i credenti assume un significato del tutto particolare, essendo al contempo testimonianza resa al Dio unico e contributo all'instaurazione di relazioni più fraterne fra le persone e fra le diverse componenti delle vostre società. È pertanto necessaria una migliore conoscenza reciproca per favorire un rispetto sempre più grande della dignità umana, l'uguaglianza dei diritti e dei doveri delle persone e un'attenzione rinnovata ai bisogni di ognuno, in particolare dei più poveri. Inoltre auspico vivamente che un'autentica libertà religiosa sia ovunque effettiva e che il diritto di ognuno di praticare liberamente la propria religione, o di cambiarla, non venga ostacolato. Si tratta di un diritto primordiale di ogni essere umano.

Cari fratelli, il sostegno alle famiglie cristiane, che devono affrontare numerose sfide, come il relativismo religioso, il materialismo e tutte le minacce contro i valori morali familiari e sociali, deve restare una delle vostre priorità. Vi invito in particolare a proseguire i vostri sforzi per offrire una salda formazione ai giovani e agli adulti, al fine di aiutarli a fortificare la loro identità cristiana e ad affrontare coraggiosamente e serenamente le situazioni che si presentano loro, nel rispetto delle persone che non condividono le loro convinzioni.
Conosco l'impegno delle vostre comunità nell'ambito dell'educazione e del servizio sanitario e sociale, impegno apprezzato dalle autorità e dalla popolazione dei vostri paesi. Nelle vostre condizioni, sviluppando i valori di solidarietà, di fraternità e di amore reciproco, annunciate nelle vostre società l'amore universale di Dio, in particolare per i più poveri e i più bisognosi. In effetti, "l'amore nella sua purezza e nella sua gratuità è la migliore testimonianza del Dio nel quale crediamo e dal quale siamo spinti ad amare" (Deus caritas est, n. 31). Rendo omaggio anche all'impegno coraggioso dei sacerdoti, dei religiosi e delle religiose, per assistere le vostre comunità nella loro vita quotidiana e nella loro testimonianza. Il sostegno umano e spirituale deve essere una preoccupazione fondamentale di voi Pastori.

Infine, desidero esprimere nuovamente la mia vicinanza a tutte le persone che, nella vostra regione, subiscono molteplici forme di violenza. Potete contare sulla solidarietà della Chiesa universale. Faccio anche appello alla saggezza di tutti gli uomini di buona volontà, in particolare di quanti hanno delle responsabilità nella vita collettiva, affinché, privilegiando il dialogo fra tutte le parti, cessi la violenza, s'instauri ovunque una pace vera e duratura, e si stabiliscano rapporti di solidarietà e di collaborazione. Affidando ognuno dei vostri paesi e ognuna delle vostre comunità all'intercessione materna di Maria, imploro Dio perché faccia a tutti il dono della pace. Vi concedo di tutto cuore un'affettuosa benedizione apostolica, che estendo ai sacerdoti, ai religiosi, alle religiose e a tutti i fedeli delle vostre diocesi.

[Traduzione dell'originale francese a cura de "L'Osservatore Romano"]