sabato 26 gennaio 2008

Nella rassegna stampa di oggi:

1) Madonna di Medjugorje messaggio del 25.1.2008
2) Il profetico Guareschi e quei bambini fatti d’aria – con il suo embrione Giovannino capì tutto
3) "Spe Salvi": studenti e professori a confronto
4) L’INFO-ETICA PREZIOSA COME LA BIOETICA
5) Meglio Nietzsche o il cristianesimo?


Madonna di Medjugorje – messaggio del 25.1.2008

"Cari figli, con il tempo quaresimale voi vi avvicinate ad un tempo di grazia. Il vostro cuore è come terra arata ed è pronto a ricevere il frutto che crescerà nel bene. Figlioli, voi siete liberi di scegliere il bene oppure il male. Per questo vi invito: pregate e digiunate. Seminate la gioia e nei vostri cuori il frutto della gioia crescerà per il vostro bene e gli altri lo vedranno e lo riceveranno attraverso la vostra vita. Rinunciate al peccato e scegliete la vita eterna. Io sono con voi e intercedo per voi presso mio Figlio. Grazie per aver risposto alla mia chiamata. "


Il profetico Guareschi e quei bambini fatti d’aria - CON IL SUO EMBRIONE GIOVANNINO CAPÌ TUTTO
Il racconto venne cestinato dal direttore del settimanale Oggi e rimase inedito. Così lo scrittore anticipò di 40 anni il dibattito sull’aborto…
Pubblichiamo uno stralcio del racconto “L’embrione” (1967) di Giovannino Guareschi tratto dal volume “Baffo racconta” (Rizzoli, 2004, pp. 196, euro 8,4).

Fosse ancora tra noi, sarebbe stato certamente il primo firmatario e forse anche qualcosa di più, dell’appello lanciato da Giuliano Ferrara per la moratoria mondiale sull’aborto. Anzi, lui di quel Manifesto a difesa degli embrioni dallo sterminio e dal freezer, sarebbe stato senza dubbio l’interprete più efficace. La secca prosa di Giovannino Guareschi ha anticipato di quarant’anni le raffinate argomentazioni dell’Elefantino di Ferrara. E come l’ateo devoto e raziocinante direttore fogliante, Guareschi si prese lo scomodo della censura e pagò intero il prezzo della vigliaccheria editoriale.
Prima che Oriana aprisse il ranch
Forse il primo a prestare voce a quel pezzetto di vita, capo di una classifica che a tutt’oggi non arriva a cinque. L’incazzosa antipapista, poi convertita sulla brucica a Ratzinger, Oriana Fallaci doveva ancora venire con la sua “Lettera a una bambino mai nato”. A gettare scompiglio nel ranch delle puledre femministe e un po’ di polvere negli occhi degli arieti radicali. Lo straordinario creatore di Peppone e don Camillo aveva compreso tutto già alla fine degli anni Sessanta, intuito in quale secca di disgregazione e follia umana si sarebbe cacciata la società italiana. A quei tempi, i termini sottoghiaccio di bioetica, tecnoscienza, eugenetica, ancora non erano entrati nel lessico orwelliano (oggi così famigliare) della nuova civiltà del desiderio unico e del diritto omicida. Il racconto di Guareschi, infatti, è del 1967: si intitola “L’Embrione” e resterà inedito perché il direttore del settimanale che doveva pubblicarlo anziché in pagina lo imbucò direttamente nel cestino. L’aborto letterario ha un luogo e una data: Milano, 23 marzo 1967. Guareschi, ci informa il professor Mario Palmaro, nonostante le condizioni di salute non siano le migliori (un cuore matto e l’ulcera che lo tormenta) continua a lavorare alacremente, e ad annotare con l’abituale meticolosità i suoi impegni, registrandoli in un lunario. Un po’ come ai tempi della prigionia in Germania, documentata nel “Diario clandestino”. Accanto al giorno 23 di marzo, nel calendario Giovannino annota di aver inviato il racconto al settimanale “Oggi”, e subito dopo scrive un “No” con tanto di punto esclamativo. Il direttore del periodico Rizzoli, Vittorio Buttafava, seppure a malincuore, ha deciso di non pubblicare la storia destinata alla rubrica “Telecorrierino delle famiglie”. Scrive Buttafava: «Caro Guareschi, al momento di impaginare il tuo ultimo pezzo mi è mancato il coraggio. Figurati se non condivido le tue opinioni, ma come posso pubblicare su questo giornaletto per famiglie un attacco così provocatorio verso i magistrati?» Il direttore di “Oggi” si riferisce al «vecchio signore in toga intento a consultare certe carte» di cui si parla nel racconto, e che Guareschi definisce un usciere,ma che in realtà incarna proprio la magistratura. L’obiettivo della satira guareschiana è, questa volta, la normativa sul delitto d’onore: Giovannino non riesce ad accettare la logica che tende a giustificare l’omicidio compiuto dal coniuge tradito. Soprattutto quando a fare le spese dell’odio e della violenza è un innocente, il più innocente e indifeso essere umano: il nascituro. «Un bambino piccolo piccolo», scrive Guareschi, «che pareva fatto d’aria». E ancora: «Ammazzando mia madre, mio padre ha ammazzato anche me».
Dedicato a tutti i Veronesi d’Italia
Buttafava decise di cancellare il racconto, ma il primo a soffrirne fu proprio lui: «Mi spiace usarti una scortesia proprio a Pasqua (quell’anno si celebrò il 26 marzo, ndr), mentre dovrei mandarti centomila auguri e ringraziamenti, ma come posso rischiare così? “Oggi” è sotto milioni di occhi spesso malevoli; i più malevoli (detto tra noi) sono all’interno della stessa Rizzoli». E qui Buttafava sembra alludere in particolare a un importante giornalista che non vedeva di buon occhio la collaborazione di Guareschi con la casa editrice. Insomma, nulla di nuovo. Oggi, miliardi di bimbi urlano nel vento. A loro, come al figlio di Esterina viene ribattuto: «Non si può uccidere chi non è nato. Se un individuo non è nato, legalmente non esiste». Ci si affida agli acchiappafarfalle del diritto e delle linee guida. Che come il giudice di Guareschi, scuotono il capo e indignati esclamano: «Che gioventù. Non sono ancora nati e già accampano diritti». Ironia amara e profetica, che fa piazza pulita del bon ton dell’abortista dalle mani pulite. Per cui si chiama Ivg (interruzione volontaria della gravidanza) ciò che è omicidio, e feto il bambino nell’utero. Commenta Palmaro: «Guareschi prefigura il drammatico scenario del rapporto tra la vita umana prenatale e la società moderna. Scenari per i quali aveva già trovato una risposta decisa, inoppugnabile, espressa in quella frase ironica che contiene una verità rovesciata. Sembrano fatti d’aria anche oggi quei bambini, perché il mondo non riesce a vederli, a coglierne la presenza. Quasi fossero una verità di fede, un dogma cattolico. E non una faccenda di carne e sangue, di muscoli e di tendini, un cuore pulsante». E questa semplice verità, la ragione, senz’altri attributi, davvero non la può capire? Consigliamo la lettura di Guareschi anche a tutti i professoroni Veronesi d’Italia che simpaticamente e col sorriso sulle labbra vorrebbero ripulire l’aria dove quei “piccolini” invisibili vagano come microbi solitari e senza pace. E per quelli che ce la faranno ad uscire dal ventre materno, ci sarà sempre una buona morte a toglierli dall’impaccio della vita. Ci penseranno gli stessi eutanasici medici da fitness-room che poi ti consigliano la dieta vegetariana: perché ingollarsi di carne fa venire il cancro. Prosit a Umberto, grande chirurgo-manager, e a tutti i doctor House dell’eugeneticamente corretto. Noi, invece, facciamo parlare Guareschi: l’embrione che fantasticamente torna in vita a rivendicare i suoi diritti, vale più di un meeting all’Ieo (la casa madre dello sciccoso Veronesi). La narrazione parte da un fatto di cronaca nera, un delitto d’onore. L’embrione è il bambino dell’Esterina, uccisa dal marito, Nazareno. Guareschi dialoga con un’immaginaria Giò, la colf «l’unica che non aspiri a diventare una diva tv».
di Luigi Santambrogio
LIBERO 26 gennaio
«Caro feto, lei non esiste. Non si azzardi ad accampare alcun diritto»
Pubblichiamo uno stralcio del racconto “L’embrione” (1967) di Giovannino Guareschi, tratto dal volume “Baffo racconta” (Rizzoli, 2004, pp. 196, euro 8,4). Il racconto, scritto nel 1967, è rimasto a lungo inedito. Fu rifiutato in quell’anno dalla rivista “Oggi”.
di GIOVANNINO GUARESCHI
«Come s’è detto, il caso era di normale amministrazione: il bravo Nazzareno fu condannato a due anni di carcere e, avendo interposto appello, “uscì liberamente dall’aula con un sorriso trionfante e fu accolto nel corridoio con applausi dal pubblico numeroso che aveva seguito il processo...”»
«Scusi - esclamò Giò interrompendomi. - ma questo è semplicemente quanto sta scritto sul giornale!»
«No, - risposi. - Sul giornale si dice pur che la giovane donna stava per diventare madre ed è logico pensare che il bravo Nazzareno abbia tenuto presente questo particolare e, mentre collocava qualcuno dei tanti colpi nel ventre della traditrice, abbia esclamato: “Crepa anche tu, figlio di malafemmina!”. Ed è qui che incomincia la mia storia.
«Accadde infatti che, allorquando era già finito da un’ora, un vecchio signore in toga ancora sostasse in ufficio, intento a consultare certe carte.
«A un tratto, sentì qualcuno tirargli l’orlo della toga e, chinatosi, vide che si trattava d’un bambino piccolo piccolo, che pareva fatto d’aria.
- Che cerchi? - domandò burbero l’uomo togato.
- Cerco giustizia - rispose il piccolino.
- E vieni a cercare giustizia proprio qui? - ridacchiò l’uomo. - Tu devi davvero essere piovuto giù da un altro mondo.
- Effettivamente sì - rispose il piccolino. - Io sono il figlio dell’Esterina. Ammazzando mia madre, mio padre ha ammazzato anche me. E di questo si doveva pure tener conto!
- No, ragazzino. Non si può uccidere chi non è nato. Se un individuo non è nato, legalmente non esiste. Il Codice parla chiaro: “La capacità giuridica si acquista dal momento della nascita. I diritti che la legge riconosce a favore del concepito, sono subordinati all’evento della nascita”.
«Il piccolino che, mentre aspettava s’era sfogliato i Codici, replicò: - E allora come mai è stabilito che chi interrompe la maternità di una donna senza il consenso di lei è punibile con la reclusione da 7 a 12 anni? Mia madre non aveva davvero acconsentito che lui ammazzasse anche me!
- Non facciamo confusione, ragazzino - disse l’uomo togato. - Prima di tutto, qualora la maternità venga interrotta per “motivi d’onore”, si può ottenere lo sconto anche del 50 per cento. Secondariamente, l’art. 554 non è qui applicabile perché l’azione di Nazzareno non aveva lo scopo di interrompere la gravidanza di tua madre, bensì quello di uccidere tua madre. Se Nazzareno voleva semplicemente interrompere la gravidanza di una madre, non occorreva davvero che ammazzasse anche il suo amante. Il fatto che abbia ucciso anche l’amante della moglie, dimostra le intenzioni perfettamente legali della sua azione.
- D’accordo - esclamò il piccolino. - Ma siccome, ammazzando mia madre ha ammazzato anche me, praticamente si tratta di un crimine contro la maternità!
- No, ragazzino. Prima di tutto, quando si agisce per “motivi d’onore”, le pratiche cosiddette “illecite” non sono da considerare contro la maternità. Esempio: secondo un marito, il figlio che la moglie sta per dargli è il prodotto di una relazione extraconiugale: se il marito interrompe la gravidanza della moglie non si tratta di pratiche contro la maternità, ma contro la paternità. Egli non agisce contro il figlio della moglie ma contro il figlio dell’amante della moglie. Secondariamente tu non hai nessun diritto da accampare perché non sei una persona fisica. Tant’è vero che non sei nato! - Però sono morto!
- E come può morire chi non è nato? D’altra parte, se non volevi grane, dovevi sceglierti una madre più onesta!
- O magari un padre meno cornuto! - replicò il piccolino perdendo la calma.
- «Il vecchio togato s’indignò:
- Screanzato! Come osi offendere un uomo che, per tutelare il suo onore, non ha esitato ad ammazzare la moglie e l’amante di lei? Nessuno ha più il diritto di chiamare il buon Nazzareno con quel termine dispregiativo. Perché Nazzareno è a posto con la coscienza e con la legge. Gli articoli 551, 578, 587 eccetera del codice penale sono stati creati per consentire a tutti i galantuomini offesi nell’onore, di ammazzare la moglie infedele!
- Ma signor Giudice!...
- Io non sono un giudice! Io sono l’usciere e mi sono appartato qui per studiarmi in pace gli ambi ritardati. La toga me la sono buttata sulle spalle perché avevo freddo. Comunque anche un giudice non avrebbe potuto risponderti diversamente. Credi, non c’è niente da fare: dura lex sed lex. Oltre al resto io non capisco come tu ce l’abbia tanto con quel bravo giovanotto di tuo padre. Alla fine, che t’ha fatto di male?
- «Il piccolino spalancò le braccine:
- Visto in che razza di mondo avrei dovuto vivere - borbottò - direi che mi ha reso un buon servizio. «Poi s’infilò in una fessura del pavimento e scomparve.
«Il vecchio scosse il capo:
- Che gioventù - gridò indignato.
- Non sono ancora nati e già accampano dei diritti ! E si erigono a giudici del padre!...
«Non è una grande cosa, ma la storia c’è - ammise Giò. - Però non è valida perché basata su elementi fuori dalla realtà. Non è verosimile che il figlio di uno che ha ammazzato la moglie per motivi d’onore, parli così male del padre. Io ho letto fior d’inchieste e sempre i figli che avevano avuto la madre uccisa per motivi d’onore parlavano con entusiasmo ed orgoglio del padre. Si dicevano fieri che il padre fosse universalmente ammirato e stimato come “uomo d’onore”.»
«E se il ragazzino non fosse figlio...» prese a insinuare Margherita. Ma io l’interruppi:
«No, Margherita! Qui niente applausi per gli assassini! Qui non siamo in tribunale e qui i morti si rispettano!»
LIBERO 26 gennaio



"Spe Salvi": studenti e professori a confronto

Dibattito tra monsignor Fisichella e il filosofo Botturi
Di Luca Marcolivio
ROMA, venerdì, 25 gennaio 2008 (ZENIT.org).- Nuova tappa ieri al Teatro Argentina per il ciclo di incontri “Una cultura per la città”, promossi dai collegi universitari di Roma, in collaborazione con la Pastorale Universitaria. La serata ha avuto quale tema “La vita eterna: alienazione o speranza? Un percorso teologico-culturale per conoscere l’enciclica Spe Salvi di Benedetto XVI”.
Sulla scia delle riflessioni del Santo Padre, alcuni studenti hanno elaborato una serie domande sui motivi profondi dell’esistenza. Il dibattito ha coinvolto, in qualità di relatori, monsignor Rino Fisichella, Rettore della Pontificia Università Lateranense e il filosofo Francesco Botturi, docente all’Università Cattolica del Sacro Cuore.
Il primo tema sviluppato è stato ‘il desiderio di vivere’, inteso come aspirazione concreta e presente. Traendo spunto dall’Infinito di Giacomo Leopardi, recitato per l’occasione da una studentessa, i relatori hanno riflettuto insieme agli studenti sulla dualità tra le cose terrene (“il vento odo stormir tra queste piante”) e il desiderio di eterno (“mi sovvien l’eterno”) che emerge anche nei versi del poeta di Recanati.
“Non è vero che i giovani non si interroghino mai sulla vita eterna – ha esordito monsignor Fisichella -. Ciò avviene soprattutto di fronte drammi della vita, quali possono essere, ad esempio, la morte di una persona giovane in un incidente stradale”.
“Per un cristiano – ha proseguito Fisichella – la risposta a queste inquietudini è riassumibile nelle seguenti parole: Questa è la vita eterna: che conoscano te, l’unico vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo (Gv 17/3)”. Se viviamo la nostra felicità terrena alla luce di un rapporto di amore, fedeltà e comunione con Cristo, allora soddisfiamo il nostro desiderio più autentico e profondo”.
“La speranza è vivere una esistenza desiderante – ha affermato il professor Botturi –. Non si pone solo il problema di quanto c’è dopo la vita, quanto ciò che è dentro la vita stessa. La modernità, in questo senso, ha sottratto terreno a questa domanda, riducendo la speranza a progettualità storica, ovvero traslando la speranza ad un piano esclusivamente collettivo”.
“L’uomo post-moderno porta quindi con sé le cicatrici delle delusioni e dei fallimenti delle ideologie che, negando una vita eterna, hanno concentrato tutta l’attenzione all’hic et nunc. Invece la vita si compone di entrambe le dimensioni: il presente e l’eterno. È importante, per dirla con Leopardi, sia ciò che è al di qua della siepe, che ciò che è al di là della stessa”, ha aggiunto.
Il secondo tema suggerito dagli studenti ha avuto come oggetto ‘amare la vita’. “La speranza – ha affermato in proposito Botturi – è necessaria perché rientra nelle strutture del vivere. E all’uomo, diceva Tommaso d’Aquino, non è concesso di realizzare la propria felicità da solo. Proprio per questo si può affermare che l’indispensabile non può essere opera delle nostre mani, può solo esserci donato: ebbene la modernità ha completamente perduto questa prospettiva”.
Nell’analizzare il rapporto tra le tre virtù teologali, Fisichella ha fatto riferimento al pensiero dello scrittore francese Charles Peguy. “Peguy affermava – ha detto il teologo – che la speranza è la sorella minore della fede e della carità. Essa nasce con la venuta al mondo di Gesù, quindi in totale ‘anonimato’. Eppure la speranza, prendendo per mano entrambe le sue sorelle maggiori, le trascina e le fa camminare con il suo entusiasmo”.
Parlando del rapporto tra amore e speranza Fisichella ha affermato: “La speranza dà certezza alla certezza dell’amore. E l’amore o è per sempre o non è. Esso deve vivere in una dimensione che vada oltre la morte. Se non amo non posso comprendere la verità su me stesso. Inoltre l’amore non può essere tale se non è gratuito. Tentare di comprarlo o venderlo, snatura la sua identità”.
L’ultimo argomento trattato è stato la ‘dotta ignoranza’. “Più che negare la fede – ha affermato in proposito Fisichella – l’uomo contemporaneo tende a non conoscerla. Conosce tuttavia la speranza che il cristiano ha il dovere di testimoniare come speranza di fede. Essa non toglie automaticamente il male dal mondo ma ci dice che esso può essere vinto”.
“Mi piace la metafora del bambino che gioca con il mondo e i suoi simboli – ha detto Botturi nell’intervento conclusivo –. Egli rappresenta la speranza fondamento del desiderio; con il gioco manifesta di volere essere amico del mondo e a monte di ciò c’è la figura della madre che asseconda il suo gioco-speranza. Questo triangolo bambino-mondo simbolico-madre è la metafora della condizione umana”, ha poi concluso.
Al termine della serata, caratterizzata anche da brevi monologhi e performance musicali, in armonia con i temi dibattuti, il Direttore della Pastorale Universitaria del Vicariato di Roma, monsignor Lorenzo Leuzzi, ha salutato il pubblico in sala dando appuntamento agli studenti a sabato 1 marzo, per la VI Giornata Europea degli Universitari.


CHE SERVA UN COMITATO GARANTE?
L’INFO-ETICA PREZIOSA COME LA BIOETICA
Avvenire, 26.1.2008
GIORGIO FERRARI
Un uso distorto dei mass media può ribaltare i benefici che il villaggio globalizzato, in cui l’informazione diffusa contribuisce a svecchiare le oligarchie e a mettere a nudo le prevaricazioni del potere, finora ha in qualche modo garantito. E l’allarme lan­ciato senza usare mezzi termini da Benedetto XVI in occasione della quarantaduesima Giornata mondiale delle Comunicazioni sociali non è casuale.
«Sistemi volti a sottomettere l’uo­mo a logiche dettate dagli inte­ressi dominanti del momento», i mass media si avvalgono sempre più spesso - e il non essersene ac­corti sarebbe la più incresciosa delle colpe - di «volgarità, vio­lenza, trasgressione, pubblicità ossessiva, modelli di vita distorta e fuorvianti, manipolazioni ideo­logiche ».
Di qui la necessità e l’urgenza di un’etica dell’informazione, una info-etica, come dice il Papa, omologa a quella che nel campo della medicina e della ricerca scientifica chiamiamo bio-etica.
Già immaginiamo cosa potranno obiettare i volonterosi difensori della libertà di informazione ad ogni costo: che si voglia istigare qualcuno o qualcosa ad allestire una sorta di Minculpop in grado di controllare e filtrare notizie e immagini in modo da non turba­re lo spirito delle persone sem­plici e influenzabili.
Non è così, per niente. Ci viene vi­ceversa di fare una modesta ri­flessione, mediata da quelle pa­role ed ammettere che non da og­gi il rumore di fondo dei mezzi di comunicazione si è sensibilmen­te elevato fino ad una soglia di di­sturbo che in molti avvertono ma che non sanno come contrastare. La soglia di una perdita genera­lizzata della decenza; e per de­cenza intendiamo quel pudore condiviso (o per lo meno un tem­po lo era) che di fronte a certe e­sasperazioni della curiosità mor­bosa attorno alle intimità, alla vi­ta privata, alla sfera inviolabile (inviolabile?) dell’individuo, di fronte a certe inaccettabili forza­ture del diritto di cronaca, di fron­te a certe patenti falsificazioni della realtà (pensiamo solo ai rea­lity show, imbarazzante ossimoro semantico perché a dispetto del nome vi è tutto fuorché qualcosa di reale) dovrebbe reagire con un diffuso rifiuto, con una scontrosa ma sacrosanta ribellione.
Un rifiuto, una ribellione che nei confronti delle reti televisive pub­bliche e dei grandi organi di informazione a mezzo stampa si vanno facendo sempre più tenui, come se questa progressiva eclis­si della necessità della verità fos­se il segno ineluttabile dei tempi, il marchio di riconoscimento di un trapasso epocale. E’ l’«ambi­guità del progresso - dice Joseph Ratzinger - che offre inedite pos­sibilità per il bene, ma apre al tempo stesso possibilità abissali di male che prima non esisteva­no ».
Ma come regolamentare, come concepire un’etica dell’informazione visto che l’autoregolamen­tazione e le varie Carte dei diritti del lettore che ridondano di prin­ipi e di propositi raramente hanno efficacia?
Ci vorrebbe forse un comitato di saggi, indipendenti ed estranei ad ogni logica di potere e di ideologia, chiamati a segnalare di volta in volta a tutti noi fabbricanti di informazione quando usciamo dalla linea della decenza. Perché almeno non si dica che non ce n’eravamo mai accorti.




Meglio Nietzsche o il cristianesimo?
Gli adolescenti sono «catturati» dalla sua carica trasgressiva e anticristiana. Ma non conoscono la spietatezza con cui giustifica l’eugenetica. Per lui il cristianesimo è colpevole per il suo messaggio di amore per il prossimo, per i deboli, i malati, i diseredati. Un buon motivo per non congedarsene…
di Giacomo Samek Lodovici


Friedrich Nietzsche è un pensatore geniale ed il suo pensiero ha trattato moltissime tematiche, riuscendo ad esprimere diverse istanze veramente importanti, in uno stile accattivante e suggestivo. Quando gli adolescenti lo incontrano, restano spesso affascinati e catturati dalla sua personalità magnetica e dalla sua dirompente carica «trasgressiva» ad anticristiana. Ovviamente, non è intento di queste brevi righe tracciare una disamina complessiva della sua speculazione; lo scopo di quanto segue è soltanto attenuare la fascinazione che Nietzsche è capace di esercitare sugli adolescenti. Senza per questo volere fare di tutta l’erba un fascio del suo pensiero: sarebbe un’operazione metodologicamente scorretta.
Vogliamo qui segnalare alcuni passi davvero spietati e crudeli delle sue opere, raramente noti agli adolescenti, per insinuare in loro almeno qualche ripensamento.
Non vogliamo certo prendere posizione sulla questione storiografica del rapporto tra il pensiero di Nietzsche ed il nazismo. Ma quello che sarebbe importante che gli adolescenti sapessero è, almeno, che (come ha sottolineato in particolare Renè Girard) Nietzsche è un sostenitore dell’eugenetica e dell’uccisione dei deboli, dei malati, del ritardati, degli infermi, in favore di una «purificazione» della razza umana. Inoltre, è bene sapere che quel cristianesimo che molti rifiutano, anche sulla scorta dei feroci attacchi nietzscheani, viene attaccato da questo filosofo anche (sebbene non solo) per la sua funzione di baluardo a protezione della dignità di ogni essere umano, per il suo messaggio di amore e solidarietà verso il prossimo.
Infatti, Nietzsche sosteneva una concezione evoluzionistica applicata all’uomo, secondo la quale il genere umano deve progredire verso il superuomo attraverso la selezione dei migliori e l’eliminazione dei deboli e, pertanto, accusava il cristianesimo di essere uno pseudoumanesimo, che si opponeva alla vera (vera secondo Nietzsche) filantropia, proprio per avere sempre difeso ogni uomo, nessuno escluso: «I deboli e i malriusciti devono perire, questo è il principio del nostro amore per gli uomini. […] Che cos’è più dannoso di qualsiasi vizio? Agire pietosamente verso tutti i malriusciti e i deboli — il cristianesimo» (L’anticristo, Adelphi, 1970, p. 169). Similmente: «l’individuo fu considerato dal cristianesimo cosi importante, posto in modo così assoluto, che non lo si poté più sacrificare, ma la specie sussiste solo grazie a sacrifici umani» (Frammenti postumi 1888-1889, vol. VIII, tomo III, 15 [110], Adelphi, 1974, pp. 257-258).
Nietzsche non può tollerare che il cristianesimo e la morale cristiana abbiano sancito che ogni uomo ha la stessa dignità di fronte a Dio e, perciò, è inviolabile: «la morale ha preservato [...] i disgraziati attribuendo a ciascuno un valore infinito» (Il nichilismo europeo. Frammento di Lenzerheide, Adelphi, 2006, p. 16); «Davanti a Dio tutte le “anime” diventano uguali; ma questa è proprio la più pericolosa di tutte le valutazioni possibili! Se si pongono gli individui come uguali, si mette in questione la specie, si favorisce una prassi che mette capo alla rovina della specie; il cristianesimo è il principio opposto a quello della selezione. Se il degenerato e il malato devono avere altrettanto valore del sano […] allora il corso naturale dell’evoluzione è impedito. […] questo amore universale per gli uomini è in pratica un trattamento preferenziale per tutti i sofferenti, falliti degenerati: esso ha in realtà abbassato la forza, la responsabilità, l’alto dovere di sacrificare uomini. […] la specie ha bisogno del sacrificio dei falliti, deboli, degenerati; ma proprio a questi ultimi si rivolse il cristianesimo […] che cos’è la virtù e l’amore per gli uomini nel cristianesimo, se non appunto questa reciprocità nel sostegno, questa solidarietà del debole, questo ostacolo frapposto alla selezione? La vera filantropia vuole il sacrificio per il bene della specie. […] È questo pseudoumanesimo che si chiama cristianesimo vuole giungere appunto a far sì che nessuno venga sacrificato» (Frammenti postumi, p. 258).
E ancora: «la legge suprema della vita vuole che si sia senza compassione per ogni scarto e rifiuto della vita; che si distrugga ciò che per la vita ascendente sarebbe solo ostacolo, veleno […] — in una parola cristianesimo —; è immorale nel senso più profondo dire “non uccidere”» (ibidem, p. 23).
In questa maniera, in modo (per Nietzsche) imperdonabile, nel cristianesimo Dio è diventato un «bastone per gli stanchi […] un’àncora di salvezza per tutti coloro che stanno per annegare, il dio-della-povera-gente, il dio-dei-peccatori, il dio-degli-infermi» (L’anticristo, p. 184). Perciò Nietzsche disprezza «quello strano mondo malato in cui in cui ci introducono i vangeli […] in cui i rifiuti della società, le malattie nervose e un’”infantile” idiozia sembrano essersi dati convegno», (ibidem, p. 204).
O, ancora, la colpa del cristianesimo è quella di essere una proposta universale e non razziale: «Il cristianesimo non era “nazionale”, non era condizionato dalla razza — si volgeva a ogni specie di diseredati della vita, trovava ovunque i suoi alleati. Il cristianesimo ha alla sua base la rancune [il risentimento] del malati, l’istinto diretto contro i sani, contro la salute. […] quel che per il mondo è debole, quel che per il mondo è insensato, quel che per il mondo è volgare e spregevole, Dio lo ha eletto: questa era la formula [del cristianesimo]» ed è per questo che, secondo Nietzsche «il cristianesimo è stato fino ad oggi la più grande sciagura dell’umanità» (L’anticristo, p. 237).
Non c’è da stupirsi che Nietzsche proclami il dovere di sbarazzarsi dei malati, in un modo che anticipa alcuni odierni sostenitori dell’eutanasia: «Il malato è un parassita della società. In certe condizioni non è decoroso vivere più a lungo. Continuare a vegetare in una imbelle dipendenza dai medici e dalle pratiche mediche, dopo che è andato perduto il senso della vita, il diritto alla vita, dovrebbe suscitare nella società un profondo disprezzo». Ed ecco il compito del medici: «I medici, dal canto loro, dovrebbero essere i mediatori di questo disprezzo — non [dovrebbero dare] ricette, ma ogni giorno [esprimere] una nuova dose di nausea di fronte ai loro pazienti». E bisogna «Creare una nuova responsabilità, quella del medico» perché «il supremo interesse della vita, della vita ascendente, esige che […] si sopprima senza riguardo la vita in via di degenerazione». E, cosi, conclude Nietzsche: «Non è in nostro potere impedire di essere nati: ma possiamo riparare a questo errore — giacché talora [essere nati] è un errore. Quando ci si sopprime, si fa la cosa più degna di rispetto che esista: con ciò, quasi, si merita di vivere... La società, ma the dico!, la vita stessa risulta avvantaggiata da questo più che da qualsiasi altra “vita” vissuta nella rinuncia» (Crepuscolo degli idoli, § 36).
Forse qualcuno si sforzerà di attenuare il senso del passi nietszcheani che abbiamo ripercorso, ma, in definitiva, non se ne può cambiare il significato.
E, allora, le domande finali che insorgono sono queste: siamo proprio sicuri che il pensiero di Nietzsche sia così affascinate? E vale proprio la pena di sbarazzarsi del cristianesimo, come vuole fare Nietzsche?
Ricorda «Nietzsche non perde mai l’occasione dl fustigare ogni senso di pietà per i deboli e per i malati. Vero Don Chisciotte della morte, il filosofo condanna qualunque misura in favore dei diseredati, e denuncia nella preoccupazione per le vittime la causa di ciò che egli interpreta come invecchiamento precoce della nostra civiltà. [...] non vi è dubbio che la difesa evangelica delle vittime sia più umana del nietzscheanesimo […]. È il cristianesimo a detenere la verità contro la follia nietzscheana».
(René Girard, Vedo Satana cadere come la folgore, Adelphi, p. 228).
Bibliografia
René Girard, Vedo Satana Cadere come la folgore, Adelphi, 2001, pp. 223-236. René Girard, Giuseppe Fornari, Il caso Nietzsche. La ribellione fallita dell’anticristo, Marietti,2002.
Il Timone, n. 64, giugno 2007