Nella rassegna stampa di oggi:
1) Monsignor Sgreccia sostiene la moratoria sull’aborto
2) Il Papa chiede ai politici di affrontare l'"emergenza educativa"
3) «Una sana laicità non esclude Dio dalla vita pubblica»
4) Firmata la Carta dei musulmani d’Europa
5) Il Papa: l’attacco ai cristiani è contro tutti
6) Violenze anti-cristiane «Uno tsunami umano»
7) «Ue, più coraggio nel promuovere la vita»
8) Trento, aiuto alle mamme in difficoltà
9) Consultori, il Veneto dà il via alla riforma
10) NASCONDIMENTO DI DIO, MARCHIO DEL NOVECENTO
11) Omosessuali, Ferrara: capisco ma non mi adeguo
Monsignor Sgreccia sostiene la moratoria sull’aborto
CITTA’ DEL VATICANO, giovedì, 10 gennaio 2008 (ZENIT.org).- In una riflessione inviata alla redazione di ZENIT, monsignor Elio Sgreccia, Presidente della Pontificia Accademia per la Vita, sostiene la proposta di moratoria sull’aborto e auspica che essa possa suscitare un nuovo atteggiamento nei Paesi dove è praticata l’interruzione di gravidanza.
Segue la riflessione di monsignor Sgreccia:
* * *
Due fatti positivi e carichi di novità hanno rischiarato il cielo di speranza in queste giornate natalizie sempre cariche di attese ma anche di sofferenze in varie parti del mondo.
Due notizie che interessano il nostro Paese, l'Italia, ma si stanno ripercuotendo nel mondo intero: la moratoria sulla pena di morte che, partita dall'iniziativa laica e cattolica, dall'Italia ha raggiunto un giudizio positivo nell'Assemblea delle Nazioni Unite e la richiesta, sempre partita dall'Italia, di una nuova riflessione sull'aborto che susciti un nuovo atteggiamento in tutto il mondo ove sono in vigore leggi simili alla nostra 194 e, più ancora, ovunque sia praticato l'aborto clandestino o legalizzato che sia.
«Che nessuno uccida Caino!»: con questa parola biblica è partita la prima vittoriosa protesta in favore della vita di chi si fosse reso colpevole anche di delitti gravi. Che non si versi più il sangue di Abele, si è ripetuto, che «grida verso il cielo». Questo secondo messaggio è pure esigenza del diritto alla vita di ogni essere innocente.
A mio avviso, nonostante qualche protesta e accusa di ritorno al passato per la cosiddetta «intangibilità» della legge, questa ondata a favore del diritto alla vita non si fermerà e dobbiamo fare del tutto perché si affermi in Italia e nel mondo: è un impegno degno di ogni uomo di coscienza e doppiamente doveroso per ogni coscienza religiosamente ispirata.
Le motivazioni e le radici che danno vigore a questa speranza sono molte. Anzitutto è una questione di giustizia! Nessuno - è stato detto e ripetuto da parte di laici di chiara notorietà - ha diritto di sopprimere un altro individuo umano e se è giusto rispettare la vita del colpevole, sia anche e ancor di più rispettata quella dell'innocente.
Se è vero, come sembra, che in Italia la maggior parte delle interruzioni di gravidanza sono dovute a motivazioni di controllo delle nascite, perché non ritoccare la legge, affinché sia più coerente con se stessa e più vicina alla giustizia?
In secondo luogo è un'esigenza della pace: la prima pace, quella che si fonda sulla giustizia (opus iustitiae pax), è quella che rispetta la vita, ferma la mano del boia e arresta anche l'atto che strappa alla vita un bimbo innocente che attende di nascere.
La decisione di chi rispetta la vita e di chi aiuta a rispettare il diritto alla vita è il primo no alla guerra. Sarà più facile, dopo, insegnare il rispetto dell'innocenza, della fragilità dei bambini e dei malati gravi, sarà più facile e logicamente spiegabile il rispetto dell'ambiente che è la casa e il patrimonio delle generazioni future e di ogni cittadino.
C'è un'istanza di solidarietà. Si dice che la nostra Costituzione, quella italiana che ha compiuto in questi giorni 60 anni, è una Costituzione ispirata alla solidarietà e più articoli confermano questo carattere; allora per tutti gli aborti che sono suggeriti dalla miseria o dalla mancanza di lavoro, perché non far agire la solidarietà dello Stato e almeno le organizzazioni del volontariato. Queste morti provocate riguardano spesso specialmente gli ambienti dell'immigrazione e della emarginazione.
C'è una ragione più concreta ancora che è quella della economia e della sopravvivenza demografica delle nostre popolazioni occidentali. Il primo «capitale» che serve per l'economia — lo hanno scritto economisti premi Nobel come Beker — e che garantisce una buona economia, è costituito dal «capitale umano».
L'Europa (e non solo l'Italia) è demograficamente in declino ed economicamente è a rischio. Dobbiamo ringraziare gli immigrati che in qualche misura rallentano questo declino. Mancano milioni di persone nel mondo della produttività, perché soltanto in Italia in questi 30 anni della 194 gli individui soppressi con l'aborto sono stati quasi 5 milioni.
C'è anche un dovere verso la scienza che porta a modificare la legge non soltanto perché la legge è inadeguata nel definire la vivibilità del feto, ma perché la scienza conferma che l'essere umano dal momento del concepimento è un individuo umano.
Ci sono ragioni cogenti per chi ragiona con la testa, con il cuore, con la coscienza ed anche con l'economia. Ma si dice che c'è l'istanza della libertà della donna, dell'autonomia della madre: noi sappiamo — tutti lo sanno — che per la donna l'aborto è una sofferenza e una sconfitta della sua maternità.
Chi aiuta la libertà della donna ad accogliere liberamente e responsabilmente la vita del figlio, lavora anche e prima di tutto a vantaggio del bene della donna. Perché la libertà vera è quella che rispetta il bene di tutti, adulti e nascituri.
Peraltro sopprimere la vita è togliere le radici della libertà di chi viene soppresso. È questo il momento in cui la legge può e deve incoraggiare l'uso responsabile della libertà.
Non si tratta di un ritorno indietro, ma di un camminare avanti: come è stata combattuta la schiavitù, la discriminazione tra bianchi e neri o tra ricchi e poveri, si deve continuare a riconoscere il diritto alla vita anche in senso verticale per i nascituri e i nati, i colpevoli e gli innocenti.
Giovanni Paolo II in uno dei suoi ultimi discorsi tenuti alla Pontificia Accademia per la Vita ha detto: «La vita vincerà: è questa per noi una sicura speranza. Sì, vincerà la vita, perché dalla parte della vita stanno la verità, il bene, la gioia, il vero progresso. Dalla parte della Vita è Dio, che ama la vita e la dona con larghezza» (Discorso ai Partecipanti alla VII Assemblea Generale della Pontificia Accademia per la Vita, 3-III-2001) e Benedetto XVI ha ricordato che «l'amore di Dio non fa differenza fra il neoconcepito ancora nel grembo di sua madre, e il bambino, o il giovane, o l'uomo maturo o l'anziano. Non fa differenza perché in ognuno di essi vede l'impronta della propria immagine e somiglianza (Gn 1,26)... Questo amore sconfinato e quasiincomprensibile di Dio per l'uomo rivela fino a che punto la persona umana sia degna di essere amata in se stessa, indipendentemente da qualsiasi altra considerazione». (Discorso ai Partecipanti alla XII Assemblea Generale della Pontificia Accademia per la Vita, febbraio 2006).
Il Papa chiede ai politici di affrontare l'"emergenza educativa"
Ricevendo i responsabili del governo di Roma e del Lazio
CITTA' DEL VATICANO, giovedì, 10 gennaio 2008 (ZENIT.org).- L'"emergenza educativa" è una situazione reale della nostra società che richiede una decisa azione da parte dei governanti, ha affermato Benedetto XVI questo giovedì.
Ricevendo in udienza gli amministratori della Regione Lazio, del Comune e della Provincia di Roma in occasione del tradizionale scambio di auguri per il nuovo anno, il Papa ha ricordato i sentimenti e i legami che hanno unito nel corso dei secoli i Successori di Pietro a queste realtà territoriali.
"Cambiano i tempi e le situazioni, ma non si indeboliscono e non si attenuano l'amore e la sollecitudine del Papa per tutti coloro che vivono in queste terre, tanto profondamente segnate dalla grande e vivente eredità del cristianesimo", ha riconosciuto.
Benedetto XVI ha definito "criterio fondamentale, sul quale possiamo facilmente convenire nell'adempimento dei nostri diversi compiti", quello della centralità della persona umana.
Come afferma il Concilio Vaticano II, ha ricordato, l'uomo è sulla terra "la sola creatura che Dio abbia voluto per se stessa" (Gaudium et spes, 24).
Per questo motivo, ha spiegato, è "decisiva" l'importanza rivestita dall'educazione e dalla formazione della persona, soprattutto nella prima parte della vita.
"Se guardiamo però alla realtà della nostra situazione, non possiamo negare che ci troviamo di fronte a una vera e grande 'emergenza educativa'", ha constatato.
"Sembra infatti sempre più difficile proporre in maniera convincente alle nuove generazioni solide certezze e criteri su cui costruire la propria vita", ha ricordato, sottolineando che "lo sanno bene sia i genitori sia gli insegnanti, che anche per questo sono spesso tentati di abdicare ai propri compiti educativi".
"Essi stessi, del resto, nell'attuale contesto sociale e culturale impregnato di relativismo e anche di nichilismo, difficilmente riescono a trovare sicuri punti di riferimento, che li possano sostenere e guidare nella missione di educatori come in tutta la loro condotta di vita".
Un'emergenza di questo tipo "non può lasciare indifferenti né la Chiesa né le vostre Amministrazioni", ha detto il Papa.
"Sono infatti chiaramente in gioco, con la formazione delle persone, le basi stesse della convivenza e il futuro della società".
Benedetto XVI ha ricordato che la diocesi di Roma sta dedicando al "difficile compito" dell'educazione "un'attenzione davvero peculiare, che si esplica nei diversi ambiti educativi, dalla famiglia e dalla scuola alle parrocchie, associazioni e movimenti, agli oratori, alle iniziative culturali, allo sport e al tempo libero".
In questo contesto, ha espresso "viva gratitudine" alla Regione Lazio "per il sostegno offerto agli oratori e ai centri per l'infanzia promossi dalle parrocchie e comunità ecclesiali" e per "i contributi finalizzati alla realizzazione di nuovi complessi parrocchiali nelle aree del Lazio che ne sono ancora prive".
Il Pontefice ha quindi incoraggiato a "un impegno convergente e di ampio respiro, attraverso il quale le istituzioni civili, ciascuna secondo le proprie competenze, moltiplichino gli sforzi per affrontare ai diversi livelli l'attuale emergenza educativa, ispirandosi costantemente al criterio-guida della centralità della persona umana".
Da questo punto di vista, ha spiegato, hanno "un'importanza prioritaria il rispetto e il sostegno per la famiglia fondata sul matrimonio".
Al giorno d'oggi, ha denunciato, si verificano "insistenti e minacciosi" attacchi e incomprensioni "nei confronti di questa fondamentale realtà umana e sociale".
"E' quindi quanto mai necessario che le pubbliche Amministrazioni non assecondino simili tendenze negative, ma al contrario offrano alle famiglie un sostegno convinto e concreto, nella certezza di operare così per il bene comune", ha concluso.
UN APPELLO A PIÙ PUNTE INDIRIZZATO A MOLTI
Avvenire, 11.1.2008
GIOVANNI RUGGIERO
La Campania che si diceva 'felix' non è più tale. Certo non oggi. È l’amarezza che traspare dal messaggio dei vescovi di questa terra ferita, che assapora calici amari di avvilimento e di mortificazione. Un documento in difesa dell’ambiente e di sostegno a un corale impegno di risanamento viene reso pubblico proprio quando lentamente si cominciano a rimuovere le montagne di rifiuti che hanno invaso strade e piazze delle sue città, a partire da Napoli, il capoluogo.
Il messaggio dei presuli della Campania parte da questa avvilente emergenza, sconcia per ogni Paese che voglia dirsi civile, ma va oltre il contingente. I sacchetti di spazzatura che, giorno dopo giorno, si sono accumulati per le vie e si sono imputriditi, sono il sintomo di un malessere più profondo, quello di una comunità che sembra abbia smesso di amare la casa comune. Quanto accade in questi giorni e soprattutto a Napoli che, ancora una volta, pare voglia confermarsi capitale delle contraddizioni, è l’effetto di «mancate ed errate scelte» e di «precise responsabilità» (basti ricordare, ancora una volta, che in quattordici anni in Campania si sono spesi 2 miliardi di euro e si sono succeduti 8 commissari straordinari senza riuscire a risolvere alla radice il problema immondizia). Ma è anche il frutto – scrivono i vescovi – dei «nostri stili di vita iperconsumistici ». Così come è la conseguenza di un vuoto di «legalità e sicurezza nella gestione del territorio» e di un’«infiltrazione malavitosa». I sacchetti che hanno inondato Napoli e la Campania, insomma, non rappresentano un semplice inquinamento ambientale, ma un inquinamento più profondo.
Gli errori commessi da tutti – e che hanno portato a «ferire la natura dell’uomo e ad attentare alla solidarietà umana» – si sono così trasformati «in strutture di peccato». I territori umiliati, oltraggiati e offesi nel paesaggio e nella loro immagine al cospetto del mondo, sostanziano questo peccato perché sfregiano la dignità delle persone che li abitano. E proprio perché lo sfregio è gravissimo e non circoscrivibile a Napoli e alla sua regione, il messaggio contiene un accorato appello a tutti gli «uomini di buona volontà», che sono parte integrante di una comunità prima locale e poi nazionale.
I vescovi – che si richiamano a Benedetto XVI – sollecitano una profonda e fattiva «solidarietà e collaborazione ». Ed è significativo che queste parole risuonino in ore nelle quali si sta manifestando un’Italia delle Regioni che stenta a dimostrarsi solidale e a collaborare per l’uscita da un’emergenza che si è fatta lezione e monito per tutto il Paese. Ma una comunità che voglia sentirsi davvero 'una', dovrebbe esser capace di generosità, ascoltando il grido di coloro che subiscono ingiustizia. E le popolazioni della Campania – che ancora non hanno avuto indicazioni chiare, precise e risolutive dalle istituzioni – stanno subendo da anni un’ingiustizia.
Il messaggio dei vescovi, che chiama tutti e ognuno anche a un serio esame di coscienza, ripercorre gli anni infelici che sono trascorsi invano. Elenca le gravi devastazioni, i danni spesso irreparabili e i colpi inferti alle attività economiche della Campania. E si fa puntuale richiamo a non arrendersi alla rassegnazione e all’avvilimento. Perché proprio in fondo ai giorni cupi di un’intollerabile emergenza potrebbe finalmente aprirsi, con realismo e creatività, un tempo di lavoro e di risoluzione dei problemi. Se davvero per risollevarsi era necessario toccare il fondo, il fondo è stato toccato.
Ora è possibile riemergere. E questa terra deve ritornare 'felix', ma occorre qualcosa di più che la rimozione dei rifiuti. Occorre, dicono ancora i vescovi campani, una ricentratura profonda da parte di tutti sul senso di stare insieme. Ma è anche necessario un «dialogo costante e informato» tra istituzioni e cittadini. Un dialogo che ancora non c’è. Parlano e gridano, tra rabbia e scoramento, soltanto i cittadini radunati davanti alle discariche stracolme e ai palazzi dentro cui le istituzioni sembrano asserragliate. Che le risposte non tardino.
«Una sana laicità non esclude Dio dalla vita pubblica» Ieri Mamberti all’Università Santa Croce
Avvenire, 11.1.2008
Nel suo intervento il segretario vaticano per i rapporti con gli Stati ha parlato dell’impegno della Santa Sede per la libertà religiosa fondata «sulla pari dignità di tutti gli esseri umani»
DA ROMA GIANNI SANTAMARIA
L a libertà religiosa si fonda nella pari dignità degli esseri umani. Perché la si eserciti occorrono misure determinate ed efficaci verso ogni tipo di discriminazione. Infine, non va messo da parte il suo caposaldo: la ricerca della verità. In questo contesto va inquadrata una «sana laicità» che «comporta la distinzione tra religione e politica, tra Chiesa e Stato. Senza, però, che ciò renda Dio una ipotesi puramente privata, né escluda la religione e la comunità ecclesiale dalla vita pubblica».
L’arcivescovo francese Dominique Mamberti, segretario vaticano per i rapporti con gli Stati, della questione si occupa praticamente tutti i giorni. E ieri alla Pontificia Università della Santa Croce ha fornito una panoramica sui principi e sulle azioni che la Santa Sede porta avanti nel mondo per garantire il fondamentale diritto a professare liberamente un credo. Lo fa negli accordi bilaterali con gli Stati, ma anche nell’attività in seno agli organismi internazionali come Onu, Osce e Unione europea. «La natura religiosa della Santa Sede e la sua vocazione universale fanno sì che la sua diplomazia non determini le proprie priorità sulla base di interessi economici e politici, e che non abbia neppure ambizioni geopolitiche », ha premesso il pastore e diplomatico di origini corse, che il Papa nel 2006 ha chiamato al delicato ruolo. La Santa Sede cerca, dunque, di favorire le migliori condizioni per l’esercizio della fede cristiana, ma «senza perdere di vista che la libertà religiosa è un valore di tutti».
L’alto prelato parlava nell’ateneo dell’Opus Dei su invito della facoltà di Diritto canonico in occasione della festa del patrono Raimondo di Peñafort (caduta lunedì, ma spostata a ieri per motivi accademici). E davanti al decano Luis Navarro, a numerosi studenti e a un drappello di ambasciatori accreditati presso la Santa Sede, ha fatto riferimento al recente discorso rivolto da Benedetto XVI al corpo diplomatico e anche al pensiero di Giovanni Paolo II, che nel 2003 definì la libertà religiosa «la cartina di tornasole» per verificare il rispetto di tutti gli altri diritti. Sono, però, tante nel mondo le restrizioni a quello che già la Dignitatis humanae, ha detto Mamberti, qualificava come «un diritto insopprimibile, inalienabile e inviolabile». Senza toccare situazioni specifiche il rappresentante vaticano ha ribadito che «si devono combattere con efficacia la cosiddetta cristianofobia, come l’islamofobia e l’antisemitismo».
La prima espressione è nuova, del 2003, e, spiega l’alto prelato, ancora non definita precisamente. Essa può essere dovuta a «erronea educazione o addirittura la disinformazione sui cristiani e la loro religione, in particolare sui media», «a legislazioni o provvedimenti amministrativi », infine a vera e propria «persecuzione». Ne sono prova i 21 missionari uccisi nel 2007.
Ma anche senza arrivare alla testimonianza del sangue Mamberti ha ricordato che in molti luoghi «i cristiani sono vittime alle volte di pregiudizi, di stereotipi, di intolleranza, magari di caratte- re culturale».
Il «ministro degli esteri» del Vaticano ha, infine, citato tre necessità. Di superare il concetto di tolleranza. Di armonizzare la libertà di espressione – «acquisizione fondamentale delle democrazie pluraliste», da esercitare però «responsabilmente» – con il rispetto delle fedi e dei loro simboli. Infine di intensificare la collaborazione tra Stati e religioni. Soprattutto in Europa, dove nella società secolarizzata la libertà religiosa è sottoposta a due attacchi: «Il distacco della religione dalla ragione», quasi a farne un sentimento, e la sua «separazione dalla vita pubblica ».
Allora va ribadito che «il diritto della libertà religiosa presuppone il dovere di cercare la verità su Dio». E va intensificato il dialogo con le religioni come soggetto portatore di una specifica identità (senza confonderle, dunque, con altri soggetti sociali), impegno messo per iscritto nel Trattato costituzionale. Esso «crea i presupposti per una collaborazione feconda», utile a superare le difficoltà sorte riguardo al mancato riferimento alle radici cristiane. Un «silenzio» che Mamberti ha definito «talmente rumoroso da suscitare un vasto dibattito e da smuovere le coscienze di numerosi cittadini».
Firmata la Carta dei musulmani d’Europa
Avvenire, 11.1.2008
DA BRUXELLES FRANCO SERRA
O ltre 400 organizzazioni musulmane attive nell’Ue hanno firmato ieri la Carta dei musulmani d’Europa, un documento che da un lato chiede «il riconoscimento dei musulmani come comunità religiosa europea» e dall’altro li esorta ad integrarsi senza perdere «l’identità musulmana ».
La Carta condanna il terrorismo e la violenza del jihad, mentre invita al rispetto delle altre religioni, dei diritti umani e alla «uguaglianza fra uomo e donna». Un «codice isla- mico di buona condotta», dunque, come lo ha definito Mario Mauro (Fi), vicepresidente dell’Europarlamento con delega per i rapporti tra le comunità religiose. Si tratta, osserva Mauro, del primo documento che «impegna la comunità musulmana europea a partecipare alla costruzione di un’Europa comune e di una società unita, a partecipare allo sviluppo dell’armonia e del benessere nelle nostre società e a svolgere pienamente il ruolo di cittadini nel rispetto della giustizia, dell’uguaglianza e della differenza».
L’iniziativa è partita dalla Federazione delle organizzazioni islamiche in Europa (Fioe), numericamente dominata dalla Unione delle organizzazioni islamiche di Francia e vicina alle posizioni del movimento dei Fratelli Musulmani. Il politologo francese Vincent Geisser ha definito la Fioe «una nebulosa assai più mobile ed eterogenea di quanto non si pensi generalmente », nella quale i conservatori fedeli all’organizzazione- madre egiziana sono solo una delle componenti. «La Carta ha una portata storica – assicura Farid El Mashud, portavoce della Lega dei musulmani del Belgio – perché sancisce l’impegno solenne di migliaia e migliaia di musulmani in tutta Europa a sostenere i valori di comprensione reciproca, invitando alla moderazione e al dialogo interculturale».
È proprio nel dialogo tra le culture e tra le religioni che l’Ue intende valorizzare la Carta firmata ieri, due giorni dopo che a Lubiana il premier sloveno e presidente di turno dell’Unione Janez Jansa, con il presidente della Commissione Jose Manuel Barroso, hanno dichiarato il 2008 “Anno europeo del dialogo interculturale”.
Il Papa: l’attacco ai cristiani è contro tutti
Avvenire, 11.1.2008
A BAGHDAD
Telegramma di Benedetto XVI a monsignor Sako L’arcivescovo di Kirkuk: «Prosegue il nostro dialogo interreligioso»
DA BAGHDAD
«Siamo preoccupati per gli attacchi di mercoledì, ma continuiamo ad avere speranza e proseguiremo nel dialogo interreligioso ». Louis Sako, arcivescovo caldeo di Kirkuk, dove mercoledì due autobomba hanno colpito la cattedrale caldea del Sacro Cuore e la chiesa siro-ortodossa di Mar Ephrem, definisce le esplosioni che hanno provocato solo danni materiali e un paio di feriti dei «messaggi politici ai cristiani».
Gli attentati hanno provocato solo danni materiali e «uno o due feriti lievi». «Non sappiamo chi siano i responsabili – spiega il presule ad AsiaNews – ma una cosa è sicura: queste azioni vogliono mandare un messaggio politico ai cristiani iracheni». «Sono attacchi coordinati – continua monsignor Sako – rivolti contro luoghi di culto cristiani. Non hanno voluto fare morti, ma non ci fanno stare tranquilli». Lo scorso 6 gennaio, con le stesse modalità (autobomba coordinate, ma senza intenzioni di strage) sono stati attaccati 7 obiettivi cristiani tra Mosul e Baghdad. Attacchi che, ha affermato Benedetto XVI, «sono rivolti anche contro tutto il popolo iracheno ». È quanto sostiene Benedetto XVI esprimendo la propria vicinanza umana e spirituale alla comunità cristiana in Iraq e chiedendo «una negoziazione pacifica» diretta a «una risoluzione giusta delle difficoltà del Paese». In un telegramma, a firma del cardinale segretario di Stato, Tarcisio Bertone, inviato al patriarca caldeo di Baghdad, cardinale Emmanuel III Delli, il Papa offre pure ai vescovi cattolici iracheni «assicurazioni fraterne di preghiera mentre cercate di offrire speranza e forza al vostro popolo ». Benedetto XVI prega quindi «per un ritorno alla coesistenza pacifica dei diversi gruppi che costituiscono la popolazione » del Paese.
Oltre al telegramma dal Vaticano, parole e gesti di solidarietà alla comunità cristiana di Kirkuk sono giunti su da personalità politiche e religiose come pure «a mostrare partecipazione è stata la gente comune » racconta l’arcivescovo Sako che assicura: «Qui a Kirkuk continuerà il dialogo con tutti per costruire e rafforzare la convivenza pacifica».
Intanto ieri, nell’ambito di un attacco massiccio contro obiettivi legati ad alQaeda, aerei statunitensi hanno scaricato oltre 18 tonnellate di bombe sulla periferia meridionale di Baghdad. È invece di al- meno tre morti e undici feriti il bilancio di un duplice attentato dinamitardo nel cuore di Baghdad, dove di primo mattino, durante l’ora di punta, una bomba nascosta a bordo di un’auto in sosta è scoppiata in via Sadoun, sulla sponda orientale del Tigri, senza peraltro causare vittime. Sul posto sono accorsi soldati e poliziotti, e a quel punto è scattata la trappola: un secondo ordigno è esploso a una quindicina di metri di distanza, uccidendo due militari e un agente, e forse investendo anche alcuni passanti.
Raid dei bombardieri Usa su basi di al-Qaeda: sganciate 18 tonnellate di esplosivo. Duplice attentato nella capitale: tre morti e 11 feriti
Violenze anti-cristiane «Uno tsunami umano» Il cardinale Toppo in Orissa tra i perseguitati
Avvenire, 11.1.2008
Manmohan Singh: «Si è trattato – ha detto – di atti premeditati e attuati da forze settarie»
DA BANGKOK STEFANO VECCHIA
N on usa mezzi termini il presidente della Conferenza episcopale indiana, il cardinale Telesphore Toppo, per definire la situazione nelle aree dello stato nordorientale dell’Orissa funestato nell’ultima settimana dell’anno da violenze anti- cristiane. Uno «tsunami provocato da essere umani» sembra essersi abbattuto sulle sparute presenze cristiane del distretto di Kandhamal, non lontano dalla grande città di Bhubaneswar. È l’impressione che il cardinale Toppo ha riportato dalla sua visita nelle aree colpita dalle recenti violenze scatenate dagli hindu fondamentalisti del Vishva Hindu Parishad ( Vhp).
Nel periodo natalizio, tra il 24 e il 27 dicembre, gli estremisti si sono scagliati contro proprietà dei cristiani, fuoricasta e tribali, con un bilancio di 6 morti, una settantina tra chiese e istituzioni attaccate e devastate; circa 500 case danneggiate o distrutte e in totale 5mila persone coinvolte nelle violenze iniziate la vigilia di Natale.
Come riferisce l’agenzia AsiaNews, il cardinale Toppo, arcivescovo di Ranchi e di origine tribale, è stato ospite dell’arcivescovo di Cuttack-Bhubaneshwar, monsignor Raphael Cheenath, dal 2 al 4 gennaio scorso. Il cardinale è riuscito ad incontrare alcune delle vittime di aggressione ricevendole presso la sede episcopale, in quanto gli è stato impedito di incontrare i leader delle comunità cristiane coinvolte. Ha inoltre visitato alcune delle aree aggredite, dove «la gente è ancora scioccata e vive in una grande paura e ansia».
Al suo rientro a Delhi, il Presidente della conferenza episcopale indiana, ha incontrato il primo ministro Manmohan Singh per aggiornarlo sulla situazione. Nella lettera consegnata al capo del governo indiano, il porporato ha definito «veramente tragica » la situazione successiva alla serie di attacchi «ingiustificati» condotti contro i cristiani nel distretto di Kandhamal. «Senza dubbio – ha scritto – si tratta di atti premeditati e attuati da forze settarie». In una circolare diffusa del 7 gennaio il cardinale invita tutte le diocesi e le istituzioni cattoliche del Paese ad invia- re alle comunità colpite, attraverso la Caritas India, aiuti materiali ed economici. Il parlamentare Francis George, che si è recato in Orissa dopo i disordini concorda con il Cardinale nel sottolineare l’incapacità del governo locale, di cui il Vhp fa parte, di proteggere «la vita e le proprietà » dei cittadini di religione cristiana. Sempre il 7 gennaio, le comunità interessate delle violenze sono state raggiunte da una delegazione della Commissione nazionale per le minoranze. Loro compito è di accertare le cause degli attacchi.
Per chiedere giustizia e sensibilizzare l’opinione pubblica indiana, infine, ieri a Bhubaneshwar si è tenuta una manifestazione congiunta delle maggiori organizzazioni laicali cristiane, che ha portato la protesta fino a ridosso del Parlamento locale dello Stato di Orissa.
Gli estremisti indù hanno provocato la morte di 6 persone, devastato 70 tra chiese e istituzioni, distrutto 500 case: 5mila le vittime degli attacchi iniziati la vigilia di Natale
«Ue, più coraggio nel promuovere la vita» Avvenire, 11.1.2008
Mauro, vicepresidente del Parlamento europeo: basta con finanziamenti a programmi che favoriscono la diffusione dell’aborto. «Si sta diffondendo una sensibilità nuova»
DI GIORGIO PAOLUCCI
Pochi giorni fa, parlando al corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede, Benedetto XVI auspicava che la moratoria approvata dall’Onu sulla pena di morte possa stimolare il dibattito pubblico sul carattere sacro della vita umana. Un richiamo fatto in un’occasione altamente simbolica: l’incontro con gli ambasciatori dei 176 Paesi accreditati in Vaticano. Mentre in Italia si riaccende il dibattito sulla revisione della legge 194, da Bruxelles il vicepresidente del Parlamento europeo, Mario Mauro, sottolinea le responsabilità delle istituzioni internazionali. Non risparmia le critiche alle politiche di pianificazione familiare adottate, nelle quali si annida una concezione dell’aborto come strumento di controllo delle nascite. E rilancia la necessità di un maggiore protagonismo dell’Unione Europea nella promozione della vita, che inverta le tendenze affermatesi in questi anni. «Gli organismi internazionali devono fare chiarezza sull’uso ambiguo di termini come 'salute riproduttiva', che nelle loro applicazioni pratiche tendono a rendere le pratiche abortive come un comportamento- standard. Mi chiedo perché, ad esempio, l’Unione Europea debba fi- nanziare programmi improntati a una filosofia di tipo abortista, come quelli dell’Unfpa, l’agenzia dell’Onu per la popolazione, che ha preparato un piano quadriennale da 224 milioni di dollari per sostenere e far crescere quella che definisce 'la consapevolezza dei diritti riproduttivi'. Fondi europei vengono utilizzati per sostenere associazioni che promuovono l’aborto e la contraccezione nel mondo. Nel momento in cui l’aborto viene accolto nella categoria dei diritti umani, si nega la natura stessa di istituzioni internazionali (come appunto le Nazioni Unite e l’Ue) nate per favorire la pace e lo sviluppo, cioè per tutelare la vita umana. Si svilisce la natura dell’Unione riducendola a una sorta di supermarket dei diritti, dove si può trovare di tutto, e viene così demolita l’idea che possa esistere un diritto naturale, a cui tutta l’umanità faccia riferimento».
La sfida, prima ancora che politica, è a livello educativo e culturale, parte dalla concezione della vita e della persona che viene messa in gioco e dall’onestà intellettuale con cui ci si confronta. Anche se resistono posizioni fortemente ideologizzate, sta aumentando la disponibilità a un confronto a partire da elementi di razionalità piuttosto che da reazioni di tipo emotivo.
E questo, a livello europeo, emerge sia tra i politici sia nell’opinione pubblica. «A parte alcuni atteggiamenti aprioristicamente chiusi e votati alla contrapposizione o alla demonizzazione dell’avversario – osserva il vicepresidente del Parlamento di Strasburgo – sta prendendo piede una disponibilità nuova al confronto, che prende le mosse da una crescente sensibilità alla dignità della vita e dalle risultanze che la scienza fornisce. Come ha ribadito recentemente il presidente della Cei, cardinale Bagnasco, è necessario che le leggi si adeguino allo stato delle conoscenze, che muta col tempo, specie in campo bioetico. I legislatori non possono evitare di confrontarsi con le acquisizioni della scienza per formulare o adeguare normative che promuovano la vita umana in maniera sempre più efficace. È un approccio realistico, non confessionale, che favorisce nuove modalità di confronto. E che può coinvolgere sia tanti laici illuminati, come dimostra il successo della moratoria sull’aborto lanciata in Italia da Ferrara, sia persone che si rifanno a diverse tradizioni religiose. Penso alla possibilità di un cammino comune tra cristiani, musulmani ed ebrei su un valore condiviso come la sacralità della vita».
Trento, aiuto alle mamme in difficoltà
Fondo alle madri che non vogliono interrompere la gravidanza
Avvenire, 11.1.2008
DA TRENTO
DIEGO ANDREATTA
Un contributo straordinario a favore delle donne che, dopo aver avanzato la richiesta di abortire per ragioni economiche, sono disposte a rivedere la loro decisione.
Lo ha stabilito la Provincia autonoma di Trento il 28 dicembre scorso prevedendo questa misura – attiva dal primo gennaio – all’interno di una delibera molto ampia dedicata al potenziamento dei consultori nel loro raccordo con i servizi sociali territoriali.
Nella delibera della Giunta, approvata all’unanimità (successivamente l’assessore verde Iva Berasi ha preso pubblicamente le distanze da questo specifico intervento), non vengono precisati l’entità del contributo e la sua durata (una rigidità eccessiva è ritenuta vincolante), ma si fissa però l’obiettivo del sostegno psico- sociale alla donna nella prosecuzione della gravidanza: «Vogliamo favorire la sua presa in carico urgente, su consenso dell’interessata - spiega l’assessore Dalmaso – e laddove la richiesta di IVG sia determinata da necessità economiche prevediamo la concessione di un intervento economico subordinato però alla disponibilità della donna ad aderire ad un progetto individualizzato. Sarà quindi il servizio sociale a seguirla con attenzione e con le misure più idonee ». Più articolato il provvedimento annunciato da Pino Morandini, consigliere provinciale Udc e vice presidente nazionale del Movimento per la Vita, che ha presentato il suo disegno di legge il 4 gennaio sulla scia del dibattito sulla revisione della legge 194.
Oltre a prevedere – sull’esempio della Regione Lombardia – l’abbassamento a 21 settimane della soglia per l’aborto terapeutico, la proposta legislativa punta a dare alle donne che scelgono di non abortire «aiuti finanziari fino ad un massimo di mille euro al mese per un anno». Secondo Morandini, oggi urgono misure concrete come questa per «fare il possibile per rimuovere le cause dell’aborto ».
Consultori, il Veneto dà il via alla riforma
Avvenire, 11.1.2008
Sostegno alla difesa della vita nascente, sia nelle strutture pubbliche sia tramite l’appoggio al volontariato sociale; qualificazione delle assistenti familiari (badanti) e abbattimento dei costi per i servizi delle famiglie numerose, cioè quelle con 4 o più figli. Si concretizza in questi tre punti l’accordo – simile a quello stipulato con altre Regioni, come Liguria, Sardegna, Sicilia Toscana e Lazio – firmato nelle scorse settimane tra il ministero per le Politiche della famiglia e la Regione Veneto.
Dal punto di vista economico il ministero ha messo sul piatto 7 milioni di euro, così ripartiti: 3,5 milioni a favore delle famiglie numerose, 3 milioni per i consultori e 600 mila per la voce 'badanti'. Da parte veneta, invece, sono stati stanziati 2,7 milioni di euro: 1 milione di euro per i nuclei con più di 4 figli, 1,5 milioni per rilanciare la funzione dei consultori (che in Veneto sono 159, di cui 28 privati) e 200 mila euro per le operatrici domestiche.
L’assessore ai Servizi sociali Stefano Valdegamberi precisa che i fondi stanziati dalla Regione in tandem con il ministero a favore dei consultori si vanno ad aggiungere a quelli già stanziati autonomamente «per interventi a favore di queste strutture.
Vogliamo che il consultorio diventi un servizio più rispondente alle esigenze della famiglia veneta, focalizzandosi come servizio relazionale».
Gli obiettivi dei progetti in corso e di quelli che verranno finanziati con l’apposito stanziamento previsto dal protocollo StatoRegione si focalizzano su tre settori: sostegno alla genitorialità, in particolare alle coppie che hanno un primo figlio, quindi l’accompagnamento giovanile, infine l’aumento dei servizi di mediazione familiare.
Guardando più da vicino il ruolo dei consultori, Valdegamberi, esponente dell’Udc, precisa così il suo obiettivo: «Vogliamo mettere in atto un insieme di azioni di coinvolgimento dell’associazionismo perché operino in maniera sinergica con le istituzioni in modo da arrivare a prevenire il maggior numero di aborti». Detto in altri termini, Valdegamberi intende dare un contenuto di tutela della vita alle politiche sociali venete: «Guardando ai consultori, il mio obiettivo primario è la difesa della vita nascente. Su questo punto la Regione ha una grande attenzione e incrementeremo anche il nostro impegno».
Del resto il testo del protocollo firmato tra ministero e Regione Veneto, al punto 'Riorganizzazione dei consultori familiari', parla chiaro: si dovrà lavorare per «un supporto psicologico in relazione alle richieste di interruzione volontaria della gravidanza» e portare avanti «interventi per la procreazione consapevole e per la prevenzione del ricorso alle interruzioni volontarie». Inoltre, il documento chiede la «rimozione di eventuali difficoltà psicologiche, sociali, economiche che determinano l’interruzione».
Afferma Valdegamberi: «Dobbiamo cercare in tutti i modi di appoggiare la vita nascente; dal nostro intervento non deve essere esclusa nessuna azione che possa prevenire l’aborto. Per questo motivo è mia ferma intenzione aprire ai Centri di aiuto alla vita, all’associazionismo e al volontariato che già lavora su questo fronte». I consultori, nell’intenzione dell’assessore, «non devono essere un posto dove si ottiene solo il certificato per abortire ma dove lavorare per salvare una vita».
Ad esempio, precisa l’esponente politico veneto «ci vuole più informazione verso quelle donne incinte che dicono di non riuscire a portare avanti la gravidanza: tra le extracomunitarie, molte non sanno che è possibile dare alla luce un bambino e non riconoscerlo, affidandolo a dei centri che poi daranno il bimbo in adozione». La 'sterzata' pro-life che la Regione Veneto vuole dare nelle sue politiche sociali si è di recente concretizzata simbolicamente in un finanziamento alla 'Culla per la vita', una versione 'aggiornata' della ruota degli esposti, predisposta dalla onlus Operazione vivere di Verona, che ha installato questa struttura nella chiesa del Tempio Votivo, a due passi dalla stazione ferroviaria del capoluogo scaligero.
Lorenzo Fazzini
NASCONDIMENTO DI DIO, MARCHIO DEL NOVECENTO
Avvenire, 11.1.2008
MARINA CORRADI
« Certamente, nel cristianesimo c’è un primato del logos, della parola rispetto al silenzio. Dio ha parlato, Dio è la parola. Ma oltre a ciò noi non dovremmo dimenticare la verità del duraturo nascondimento di Dio. Solo quando lo abbiamo conosciuto come silenzio, possiamo sperare di sentire anche il suo parlare, che emana dal suo silenzio». Nelle primissime righe di un testo di Benedetto XVI pubblicato in Perché siamo ancora nella Chiesa incroci questa frase, tratta da un discorso pronunciato dal teologo Ratzinger a Monaco, nel 1968. Eppure la modernità di quelle parole ti sorprende, tanto che quasi inciampandoci dentro torni indietro, e rileggi: «Non dovremmo dimenticare la verità del duraturo nascondimento di Dio». Lo afferma l’uomo che oggi siede sul soglio di Pietro. Lo dice il Papa. Che cosa ci colpisce? Il limpido coraggio dell’assunzione su di sé della frattura che ha segnato il Novecento: la constatazione del «duraturo nascondimento di Dio». Il non negare, e anzi assumere apertamente come sfida il dubbio che ha tagliato e corroso la generazione dei nostri padri, e che noi, anche credenti, abbiamo in tanti ereditato, e come tacitamente inciso addosso. Vengono in mente, leggendo di quel «duraturo nascondimento», le
Ultime lettere da Stalingrado di 39 soldati tedeschi. Quelle lettere arrivate alle madri in Germania quando i figli erano morti in una delle peggiori carneficine della storia. In cui uomini cresciuti nel cristianesimo scrivevano: «Ho cercato Dio in ogni fossa, in ogni casa distrutta, in ogni mio camerata, quando ero in trincea. Dio non si è mostrato. Soltanto Dio non c’era. E se proprio c’è, c’è solo nei libri dei salmi. A Stalingrado, no». Viene in mente, nel «duraturo nascondimento» ammesso da un futuro pontefice tedesco, la signora Margarethe Bakker, fondatrice vent’anni fa della prima associazione olandese per l’eutanasia, che raccontava quasi con nostalgia di essere stata una ragazza cattolica, ma di avere smesso di credere dopo che la sua migliore amica, ebrea, era morta a Auschwitz: «Se Dio ci fosse, non lo avrebbe permesso». Quel «nascondimento» non è forse il marchio del Novecento?
Chi scrive ha a casa un vecchissimo Vangelo ingiallito, superstite in uno zaino riportato a casa dallo sfacelo della sacca del Don. E le uniche parole sottolineate con una matita rossa sono quelle di Marco 15, 34: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?» (E tuo padre dal Don è tornato, ma di Dio, non ti ha mai detto una parola). Ce l’abbiamo scritto addosso, consapevoli o distratti o cinici, quel «duraturo nascondimento » che il futuro Papa addita, come una sfida che però non teme. Infatti, scrive Ratzinger, «Solo quando lo abbiamo conosciuto come silenzio, possiamo sperare di sentire anche il suo parlare, che emana dal suo silenzio».
Quel silenzio dunque non è di annientamento, non è il vuoto desolato che segue alla morte di Dio. Dal fondo del silenzio emana, per chi abbia la speranza e l’ostinazione di voler ascoltare, una nuova e eterna parola. Abbiamo forse perso la certezza solare dei primi cristiani, e non sappiamo più, come i nostri antenati del Medioevo, riconoscere Dio nei segni della natura e della vita quotidiana. Eppure «solo quando lo abbiamo conosciuto come silenzio, possiamo sperare di sentire ancora il suo parlare».
Come l’esortazione di un uomo che cammina accanto a noi, e che conosce i nostri dubbi. Uno che nel Gesù di Nazareth ci esorta a essere come il vir desideriorum, l’uomo dei desideri del libro di Daniele: «Capaci di vedere e di udire i deboli segnali che Dio manda nel mondo, e che in questo modo rompono la dittatura della consuetudine».
17 Gennaio 2008 – Panorama, Omosessuali, Ferrara: capisco ma non mi adeguo