venerdì 11 gennaio 2008

Nella rassegna stampa di oggi:

1) Monsignor Sgreccia sostiene la moratoria sull’aborto
2) Il Papa chiede ai politici di affrontare l'"emergenza educativa"
3) «Una sana laicità non esclude Dio dalla vita pubblica»
4) Firmata la Carta dei musulmani d’Europa
5) Il Papa: l’attacco ai cristiani è contro tutti
6) Violenze anti-cristiane «Uno tsunami umano»
7) «Ue, più coraggio nel promuovere la vita»
8) Trento, aiuto alle mamme in difficoltà
9) Consultori, il Veneto dà il via alla riforma
10) NASCONDIMENTO DI DIO, MARCHIO DEL NOVECENTO
11) Omosessuali, Ferrara: capisco ma non mi adeguo

Monsignor Sgreccia sostiene la moratoria sull’aborto
CITTA’ DEL VATICANO, giovedì, 10 gennaio 2008 (ZENIT.org).- In una riflessione inviata alla redazione di ZENIT, monsignor Elio Sgreccia, Presidente della Pontificia Accademia per la Vita, sostiene la proposta di moratoria sull’aborto e auspica che essa possa suscitare un nuovo atteggiamento nei Paesi dove è praticata l’interruzione di gravidanza.


Segue la riflessione di monsignor Sgreccia:
* * *
Due fatti positivi e carichi di novità hanno rischiarato il cielo di speranza in queste giornate natalizie sempre cariche di attese ma anche di sofferenze in varie parti del mondo.
Due notizie che interessano il nostro Paese, l'Italia, ma si stanno ripercuotendo nel mondo intero: la moratoria sulla pena di morte che, partita dall'iniziativa laica e cattolica, dall'Italia ha raggiunto un giudizio positivo nell'Assemblea delle Nazioni Unite e la richiesta, sempre partita dall'Italia, di una nuova riflessione sull'aborto che susciti un nuovo atteggiamento in tutto il mondo ove sono in vigore leggi simili alla nostra 194 e, più ancora, ovunque sia praticato l'aborto clandestino o legalizzato che sia.

«Che nessuno uccida Caino!»: con questa parola biblica è partita la prima vittoriosa protesta in favore della vita di chi si fosse reso colpevole anche di delitti gravi. Che non si versi più il sangue di Abele, si è ripetuto, che «grida verso il cielo». Questo secondo messaggio è pure esigenza del diritto alla vita di ogni essere innocente.

A mio avviso, nonostante qualche protesta e accusa di ritorno al passato per la cosiddetta «intangibilità» della legge, questa ondata a favore del diritto alla vita non si fermerà e dobbiamo fare del tutto perché si affermi in Italia e nel mondo: è un impegno degno di ogni uomo di coscienza e doppiamente doveroso per ogni coscienza religiosamente ispirata.

Le motivazioni e le radici che danno vigore a questa speranza sono molte. Anzitutto è una questione di giustizia! Nessuno - è stato detto e ripetuto da parte di laici di chiara notorietà - ha diritto di sopprimere un altro individuo umano e se è giusto rispettare la vita del colpevole, sia anche e ancor di più rispettata quella dell'innocente.
Se è vero, come sembra, che in Italia la maggior parte delle interruzioni di gravidanza sono dovute a motivazioni di controllo delle nascite, perché non ritoccare la legge, affinché sia più coerente con se stessa e più vicina alla giustizia?

In secondo luogo è un'esigenza della pace: la prima pace, quella che si fonda sulla giustizia (opus iustitiae pax), è quella che rispetta la vita, ferma la mano del boia e arresta anche l'atto che strappa alla vita un bimbo innocente che attende di nascere.

La decisione di chi rispetta la vita e di chi aiuta a rispettare il diritto alla vita è il primo no alla guerra. Sarà più facile, dopo, insegnare il rispetto dell'innocenza, della fragilità dei bambini e dei malati gravi, sarà più facile e logicamente spiegabile il rispetto dell'ambiente che è la casa e il patrimonio delle generazioni future e di ogni cittadino.

C'è un'istanza di solidarietà. Si dice che la nostra Costituzione, quella italiana che ha compiuto in questi giorni 60 anni, è una Costituzione ispirata alla solidarietà e più articoli confermano questo carattere; allora per tutti gli aborti che sono suggeriti dalla miseria o dalla mancanza di lavoro, perché non far agire la solidarietà dello Stato e almeno le organizzazioni del volontariato. Queste morti provocate riguardano spesso specialmente gli ambienti dell'immigrazione e della emarginazione.

C'è una ragione più concreta ancora che è quella della economia e della sopravvivenza demografica delle nostre popolazioni occidentali. Il primo «capitale» che serve per l'economia — lo hanno scritto economisti premi Nobel come Beker — e che garantisce una buona economia, è costituito dal «capitale umano».
L'Europa (e non solo l'Italia) è demograficamente in declino ed economicamente è a rischio. Dobbiamo ringraziare gli immigrati che in qualche misura rallentano questo declino. Mancano milioni di persone nel mondo della produttività, perché soltanto in Italia in questi 30 anni della 194 gli individui soppressi con l'aborto sono stati quasi 5 milioni.
C'è anche un dovere verso la scienza che porta a modificare la legge non soltanto perché la legge è inadeguata nel definire la vivibilità del feto, ma perché la scienza conferma che l'essere umano dal momento del concepimento è un individuo umano.
Ci sono ragioni cogenti per chi ragiona con la testa, con il cuore, con la coscienza ed anche con l'economia. Ma si dice che c'è l'istanza della libertà della donna, dell'autonomia della madre: noi sappiamo — tutti lo sanno — che per la donna l'aborto è una sofferenza e una sconfitta della sua maternità.
Chi aiuta la libertà della donna ad accogliere liberamente e responsabilmente la vita del figlio, lavora anche e prima di tutto a vantaggio del bene della donna. Perché la libertà vera è quella che rispetta il bene di tutti, adulti e nascituri.

Peraltro sopprimere la vita è togliere le radici della libertà di chi viene soppresso. È questo il momento in cui la legge può e deve incoraggiare l'uso responsabile della libertà.
Non si tratta di un ritorno indietro, ma di un camminare avanti: come è stata combattuta la schiavitù, la discriminazione tra bianchi e neri o tra ricchi e poveri, si deve continuare a riconoscere il diritto alla vita anche in senso verticale per i nascituri e i nati, i colpevoli e gli innocenti.

Giovanni Paolo II in uno dei suoi ultimi discorsi tenuti alla Pontificia Accademia per la Vita ha detto: «La vita vincerà: è questa per noi una sicura speranza. Sì, vincerà la vita, perché dalla parte della vita stanno la verità, il bene, la gioia, il vero progresso. Dalla parte della Vita è Dio, che ama la vita e la dona con larghezza» (Discorso ai Partecipanti alla VII Assemblea Generale della Pontificia Accademia per la Vita, 3-III-2001) e Benedetto XVI ha ricordato che «l'amore di Dio non fa differenza fra il neoconcepito ancora nel grembo di sua madre, e il bambino, o il giovane, o l'uomo maturo o l'anziano. Non fa differenza perché in ognuno di essi vede l'impronta della propria immagine e somiglianza (Gn 1,26)... Questo amore sconfinato e quasiincomprensibile di Dio per l'uomo rivela fino a che punto la persona umana sia degna di essere amata in se stessa, indipendentemente da qualsiasi altra considerazione». (Discorso ai Partecipanti alla XII Assemblea Generale della Pontificia Accademia per la Vita, febbraio 2006).



Il Papa chiede ai politici di affrontare l'"emergenza educativa"
Ricevendo i responsabili del governo di Roma e del Lazio
CITTA' DEL VATICANO, giovedì, 10 gennaio 2008 (ZENIT.org).- L'"emergenza educativa" è una situazione reale della nostra società che richiede una decisa azione da parte dei governanti, ha affermato Benedetto XVI questo giovedì.
Ricevendo in udienza gli amministratori della Regione Lazio, del Comune e della Provincia di Roma in occasione del tradizionale scambio di auguri per il nuovo anno, il Papa ha ricordato i sentimenti e i legami che hanno unito nel corso dei secoli i Successori di Pietro a queste realtà territoriali.
"Cambiano i tempi e le situazioni, ma non si indeboliscono e non si attenuano l'amore e la sollecitudine del Papa per tutti coloro che vivono in queste terre, tanto profondamente segnate dalla grande e vivente eredità del cristianesimo", ha riconosciuto.
Benedetto XVI ha definito "criterio fondamentale, sul quale possiamo facilmente convenire nell'adempimento dei nostri diversi compiti", quello della centralità della persona umana.
Come afferma il Concilio Vaticano II, ha ricordato, l'uomo è sulla terra "la sola creatura che Dio abbia voluto per se stessa" (Gaudium et spes, 24).
Per questo motivo, ha spiegato, è "decisiva" l'importanza rivestita dall'educazione e dalla formazione della persona, soprattutto nella prima parte della vita.
"Se guardiamo però alla realtà della nostra situazione, non possiamo negare che ci troviamo di fronte a una vera e grande 'emergenza educativa'", ha constatato.
"Sembra infatti sempre più difficile proporre in maniera convincente alle nuove generazioni solide certezze e criteri su cui costruire la propria vita", ha ricordato, sottolineando che "lo sanno bene sia i genitori sia gli insegnanti, che anche per questo sono spesso tentati di abdicare ai propri compiti educativi".
"Essi stessi, del resto, nell'attuale contesto sociale e culturale impregnato di relativismo e anche di nichilismo, difficilmente riescono a trovare sicuri punti di riferimento, che li possano sostenere e guidare nella missione di educatori come in tutta la loro condotta di vita".
Un'emergenza di questo tipo "non può lasciare indifferenti né la Chiesa né le vostre Amministrazioni", ha detto il Papa.
"Sono infatti chiaramente in gioco, con la formazione delle persone, le basi stesse della convivenza e il futuro della società".
Benedetto XVI ha ricordato che la diocesi di Roma sta dedicando al "difficile compito" dell'educazione "un'attenzione davvero peculiare, che si esplica nei diversi ambiti educativi, dalla famiglia e dalla scuola alle parrocchie, associazioni e movimenti, agli oratori, alle iniziative culturali, allo sport e al tempo libero".
In questo contesto, ha espresso "viva gratitudine" alla Regione Lazio "per il sostegno offerto agli oratori e ai centri per l'infanzia promossi dalle parrocchie e comunità ecclesiali" e per "i contributi finalizzati alla realizzazione di nuovi complessi parrocchiali nelle aree del Lazio che ne sono ancora prive".
Il Pontefice ha quindi incoraggiato a "un impegno convergente e di ampio respiro, attraverso il quale le istituzioni civili, ciascuna secondo le proprie competenze, moltiplichino gli sforzi per affrontare ai diversi livelli l'attuale emergenza educativa, ispirandosi costantemente al criterio-guida della centralità della persona umana".
Da questo punto di vista, ha spiegato, hanno "un'importanza prioritaria il rispetto e il sostegno per la famiglia fondata sul matrimonio".
Al giorno d'oggi, ha denunciato, si verificano "insistenti e minacciosi" attacchi e incomprensioni "nei confronti di questa fondamentale realtà umana e sociale".
"E' quindi quanto mai necessario che le pubbliche Amministrazioni non assecondino simili tendenze negative, ma al contrario offrano alle famiglie un sostegno convinto e concreto, nella certezza di operare così per il bene comune", ha concluso.


UN APPELLO A PIÙ PUNTE INDIRIZZATO A MOLTI
Avvenire, 11.1.2008
GIOVANNI RUGGIERO
La Campania che si diceva 'felix' non è più tale. Certo non oggi. È l’amarezza che traspare dal mes­saggio dei vescovi di questa terra fe­rita, che assapora calici amari di av­vilimento e di mortificazione. Un documento in difesa dell’ambiente e di sostegno a un corale impegno di risanamento viene reso pubblico proprio quando lentamente si co­minciano a rimuovere le montagne di rifiuti che hanno invaso strade e piazze delle sue città, a partire da Napoli, il capoluogo.
Il messaggio dei presuli della Cam­pania parte da questa avvilente e­mergenza, sconcia per ogni Paese che voglia dirsi civile, ma va oltre il contingente. I sacchetti di spazza­tura che, giorno dopo giorno, si so­no accumulati per le vie e si sono imputriditi, sono il sintomo di un malessere più profondo, quello di una comunità che sembra abbia smesso di amare la casa comune. Quanto accade in questi giorni e so­prattutto a Napoli che, ancora una volta, pare voglia confermarsi capi­tale delle contraddizioni, è l’effetto di «mancate ed errate scelte» e di «precise responsabilità» (basti ri­cordare, ancora una volta, che in quattordici anni in Campania si so­no spesi 2 miliardi di euro e si sono succeduti 8 commissari straordina­ri senza riuscire a risolvere alla ra­dice il problema immondizia). Ma è anche il frutto – scrivono i vescovi – dei «nostri stili di vita iperconsumi­stici ». Così come è la conseguenza di un vuoto di «legalità e sicurezza nella gestione del territorio» e di un’«infiltrazione malavitosa». I sac­chetti che hanno inondato Napoli e la Campania, insomma, non rap­presentano un semplice inquina­mento ambientale, ma un inquina­mento più profondo.
Gli errori commessi da tutti – e che hanno portato a «ferire la natura del­l’uomo e ad attentare alla solidarietà umana» – si sono così trasformati «in strutture di peccato». I territori umiliati, oltraggiati e offesi nel pae­saggio e nella loro immagine al co­spetto del mondo, sostanziano que­sto peccato perché sfregiano la di­gnità delle persone che li abitano. E proprio perché lo sfregio è gravissi­mo e non circoscrivibile a Napoli e alla sua regione, il messaggio con­tiene un accorato appello a tutti gli «uomini di buona volontà», che so­no parte integrante di una comu­nità prima locale e poi nazionale.
I vescovi – che si richiamano a Benedetto XVI – sollecitano una profonda e fattiva «solidarietà e col­laborazione ». Ed è significativo che queste parole risuonino in ore nel­le quali si sta manifestando un’Ita­lia delle Regioni che stenta a dimo­strarsi solidale e a collaborare per l’uscita da un’emergenza che si è fat­ta lezione e monito per tutto il Pae­se. Ma una comunità che voglia sen­tirsi davvero 'una', dovrebbe esser capace di generosità, ascoltando il grido di coloro che subiscono in­giustizia. E le popolazioni della Campania – che ancora non hanno avuto indicazioni chiare, precise e risolutive dalle istituzioni – stanno subendo da anni un’ingiustizia.
Il messaggio dei vescovi, che chia­ma tutti e ognuno anche a un serio esame di coscienza, ripercorre gli anni infelici che sono trascorsi in­vano. Elenca le gravi devastazioni, i danni spesso irreparabili e i colpi in­ferti alle attività economiche della Campania. E si fa puntuale richia­mo a non arrendersi alla rasse­gnazione e all’avvilimento. Perché proprio in fondo ai giorni cupi di un’intollerabile emergenza po­trebbe finalmente aprirsi, con rea­lismo e creatività, un tempo di la­voro e di risoluzione dei problemi. Se davvero per risollevarsi era ne­cessario toccare il fondo, il fondo è stato toccato.
Ora è possibile riemergere. E questa terra deve ritornare 'felix', ma oc­corre qualcosa di più che la rimo­zione dei rifiuti. Occorre, dicono an­cora i vescovi campani, una ricen­tratura profonda da parte di tutti sul senso di stare insieme. Ma è anche necessario un «dialogo costante e informato» tra istituzioni e cittadi­ni. Un dialogo che ancora non c’è. Parlano e gridano, tra rabbia e sco­ramento, soltanto i cittadini radu­nati davanti alle discariche stracol­me e ai palazzi dentro cui le istitu­zioni sembrano asserragliate. Che le risposte non tardino.


«Una sana laicità non esclude Dio dalla vita pubblica» Ieri Mamberti all’Università Santa Croce
Avvenire, 11.1.2008

Nel suo intervento il segretario vaticano per i rapporti con gli Stati ha parlato dell’impegno della Santa Sede per la libertà religiosa fondata «sulla pari dignità di tutti gli esseri umani»
DA ROMA GIANNI SANTAMARIA
L a libertà religiosa si fonda nella pari dignità degli es­seri umani. Perché la si e­serciti occorrono misure deter­minate ed efficaci verso ogni ti­po di discriminazione. Infine, non va messo da parte il suo ca­posaldo: la ricerca della verità. In questo contesto va inquadra­ta una «sana laicità» che «com­porta la distinzione tra religione e politica, tra Chiesa e Stato. Sen­za, però, che ciò renda Dio una ipotesi puramente privata, né e­scluda la religione e la comunità ecclesiale dalla vita pubblica».
L’arcivescovo francese Domini­que Mamberti, segretario vati­cano per i rapporti con gli Stati, della questione si occupa prati­camente tutti i giorni. E ieri alla Pontificia Università della San­ta Croce ha fornito una panora­mica sui principi e sulle azioni che la Santa Sede porta avanti nel mondo per garantire il fon­damentale diritto a professare liberamente un credo. Lo fa ne­gli accordi bilaterali con gli Sta­ti, ma anche nell’attività in seno agli organismi internazionali co­me Onu, Osce e Unione europea. «La natura religiosa della Santa Sede e la sua vocazione univer­sale fanno sì che la sua diplo­mazia non determini le proprie priorità sulla base di interessi e­conomici e politici, e che non abbia neppure ambizioni geo­politiche », ha premesso il pa­store e diplomatico di origini corse, che il Papa nel 2006 ha chiamato al delicato ruolo. La Santa Sede cerca, dunque, di fa­vorire le migliori condizioni per l’esercizio della fede cristiana, ma «senza perdere di vista che la libertà religiosa è un valore di tutti».
L’alto prelato parlava nell’ateneo dell’Opus Dei su invito della fa­coltà di Diritto canonico in oc­casione della festa del patrono Raimondo di Peñafort (caduta lunedì, ma spostata a ieri per motivi accademici). E davanti al decano Luis Navarro, a numero­si studenti e a un drappello di ambasciatori accreditati presso la Santa Sede, ha fatto riferi­mento al recente discorso rivol­to da Benedetto XVI al corpo di­plomatico e anche al pensiero di Giovanni Paolo II, che nel 2003 definì la libertà religiosa «la car­tina di tornasole» per verificare il rispetto di tutti gli altri diritti. Sono, però, tante nel mondo le restrizioni a quello che già la Di­gnitatis humanae, ha detto Mamberti, qualificava come «un diritto insopprimibile, inaliena­bile e inviolabile». Senza tocca­re situazioni specifiche il rap­presentante vaticano ha ribadi­to che «si devono combattere con efficacia la cosiddetta cri­stianofobia, come l’islamofobia e l’antisemitismo».
La prima espressione è nuova, del 2003, e, spiega l’alto prelato, ancora non definita precisa­mente. Essa può essere dovuta a «erronea educazione o addirit­tura la disinformazione sui cri­stiani e la loro religione, in par­ticolare sui media», «a legisla­zioni o provvedimenti ammini­­strativi », infine a vera e propria «persecuzione». Ne sono prova i 21 missionari uccisi nel 2007.
Ma anche senza arrivare alla te­stimonianza del san­gue Mamberti ha ri­cordato che in molti luoghi «i cristiani so­no vittime alle volte di pregiudizi, di ste­reotipi, di intolleran­za, magari di caratte- re culturale».
Il «ministro degli esteri» del Va­ticano ha, infine, citato tre ne­cessità. Di superare il concetto di tolleranza. Di armonizzare la libertà di espressione – «acqui­sizione fondamentale delle de­mocrazie pluraliste», da eserci­tare però «responsabilmente» – con il rispetto delle fedi e dei lo­ro simboli. Infine di intensifica­re la collaborazione tra Stati e re­ligioni. Soprattutto in Europa, dove nella società secolarizzata la libertà religiosa è sottoposta a due attacchi: «Il distacco della religione dalla ragione», quasi a farne un sentimento, e la sua «separazione dalla vita pubbli­ca ».
Allora va ribadito che «il diritto della libertà religiosa presuppo­ne il dovere di cercare la verità su Dio». E va intensificato il dia­logo con le religioni come sog­getto portatore di una specifica identità (senza confonderle, dunque, con altri soggetti socia­li), impegno messo per iscritto nel Trattato costituzionale. Esso «crea i presupposti per una col­laborazione feconda», utile a su­perare le difficoltà sorte riguar­do al mancato riferimento alle radici cristiane. Un «silenzio» che Mamberti ha definito «talmente rumoroso da suscitare un vasto dibattito e da smuovere le co­scienze di numerosi cittadini».


Firmata la Carta dei musulmani d’Europa
Avvenire, 11.1.2008

DA BRUXELLES FRANCO SERRA
O ltre 400 organizza­zioni musulmane attive nell’Ue han­no firmato ieri la Carta dei musulmani d’Europa, un documento che da un la­to chiede «il riconosci­mento dei musulmani come comunità religiosa europea» e dall’altro li e­sorta ad integrarsi senza perdere «l’identità mu­sulmana ».
La Carta condanna il ter­rorismo e la violenza del jihad, mentre invita al ri­spetto delle altre religioni, dei diritti umani e alla «u­guaglianza fra uomo e donna». Un «codice isla- mico di buona condotta», dunque, come lo ha defi­nito Mario Mauro (Fi), vi­cepresidente dell’Euro­parlamento con delega per i rapporti tra le comu­nità religiose. Si tratta, os­serva Mauro, del primo documento che «impegna la comunità musulmana europea a partecipare al­la costruzione di un’Euro­pa comune e di una so­cietà unita, a partecipare allo sviluppo dell’armonia e del benessere nelle no­stre società e a svolgere pienamente il ruolo di cit­tadini nel rispetto della giustizia, dell’uguaglianza e della differenza».
L’iniziativa è partita dalla Federazione delle orga­nizzazioni islamiche in Europa (Fioe), numerica­mente dominata dalla U­nione delle organizzazio­ni islamiche di Francia e vicina alle posizioni del movimento dei Fratelli Musulmani. Il politologo francese Vincent Geisser ha definito la Fioe «una nebulosa assai più mobi­le ed eterogenea di quan­to non si pensi general­mente », nella quale i con­servatori fedeli all’orga­nizzazione- madre egizia­na sono solo una delle componenti. «La Carta ha una portata storica – assi­cura Farid El Mashud, portavoce della Lega dei musulmani del Belgio – perché sancisce l’impe­gno solenne di migliaia e migliaia di musulmani in tutta Europa a sostenere i valori di comprensione re­ciproca, invitando alla moderazione e al dialogo interculturale».
È proprio nel dialogo tra le culture e tra le religioni che l’Ue intende valoriz­zare la Carta firmata ieri, due giorni dopo che a Lu­biana il premier sloveno e presidente di turno del­l’Unione Janez Jansa, con il presidente della Com­missione Jose Manuel Barroso, hanno dichiara­to il 2008 “Anno europeo del dialogo interculturale”.


Il Papa: l’attacco ai cristiani è contro tutti
Avvenire, 11.1.2008
A BAGHDAD
Telegramma di Benedetto XVI a monsignor Sako L’arcivescovo di Kirkuk: «Prosegue il nostro dialogo interreligioso»
DA BAGHDAD
«Siamo preoccu­pati per gli at­tacchi di mer­coledì, ma continuiamo ad avere speranza e prosegui­remo nel dialogo interreli­gioso ». Louis Sako, arcivescovo caldeo di Kirkuk, dove mercoledì due autobom­ba hanno colpito la catte­drale caldea del Sacro Cuore e la chiesa siro-or­todossa di Mar Ephrem, definisce le esplosioni che hanno provocato solo danni materiali e un paio di feriti dei «messaggi po­litici ai cristiani».
Gli attentati hanno provo­cato solo danni materiali e «uno o due feriti lievi». «Non sappiamo chi siano i responsabili – spiega il presule ad AsiaNews – ma una cosa è sicura: queste azioni vogliono mandare un messaggio politico ai cristiani iracheni». «Sono attacchi coordinati – con­tinua monsignor Sako – ri­volti contro luoghi di cul­to cristiani. Non hanno vo­luto fare morti, ma non ci fanno stare tranquilli». Lo scorso 6 gennaio, con le stesse modalità (auto­bomba coordinate, ma senza intenzioni di strage) sono stati attaccati 7 o­biettivi cristiani tra Mosul e Baghdad. Attacchi che, ha affermato Benedetto X­VI, «sono rivolti anche contro tutto il popolo ira­cheno ». È quanto sostiene Benedetto XVI esprimen­do la propria vicinanza u­mana e spirituale alla co­munità cristiana in Iraq e chiedendo «una negozia­zione pacifica» diretta a «una risoluzione giusta delle difficoltà del Paese». In un telegramma, a firma del cardinale segretario di Stato, Tarcisio Bertone, in­viato al patriarca caldeo di Baghdad, cardinale Em­manuel III Delli, il Papa of­fre pure ai vescovi cattoli­ci iracheni «assicurazioni fraterne di preghiera men­tre cercate di offrire spe­ranza e forza al vostro po­polo ». Benedetto XVI pre­ga quindi «per un ritorno alla coesistenza pacifica dei diversi gruppi che co­stituiscono la popolazio­ne » del Paese.
Oltre al telegramma dal Va­ticano, parole e gesti di so­lidarietà alla comunità cri­stiana di Kirkuk sono giun­ti su da personalità politi­che e religiose come pure «a mostrare partecipazio­ne è stata la gente comu­ne » racconta l’arcivescovo Sako che assicura: «Qui a Kirkuk continuerà il dialo­go con tutti per costruire e rafforzare la convivenza pacifica».
Intanto ieri, nell’ambito di un attacco massiccio con­tro obiettivi legati ad al­Qaeda, aerei statunitensi hanno scaricato oltre 18 tonnellate di bombe sulla periferia meridionale di Baghdad. È invece di al- meno tre morti e undici fe­riti il bilancio di un dupli­ce attentato dinamitardo nel cuore di Baghdad, do­ve di primo mattino, du­rante l’ora di punta, una bomba nascosta a bordo di un’auto in sosta è scop­piata in via Sadoun, sulla sponda orientale del Tigri, senza peraltro causare vit­time. Sul posto sono ac­corsi soldati e poliziotti, e a quel punto è scattata la trappola: un secondo or­digno è esploso a una quindicina di metri di di­stanza, uccidendo due mi­litari e un agente, e forse investendo anche alcuni passanti.
Raid dei bombardieri Usa su basi di al-Qaeda: sganciate 18 tonnellate di esplosivo. Duplice attentato nella capitale: tre morti e 11 feriti




Violenze anti-cristiane «Uno tsunami umano»
Il cardinale Toppo in Orissa tra i perseguitati
Avvenire, 11.1.2008

Manmohan Singh: «Si è trattato – ha detto – di atti premeditati e attuati da forze settarie»
DA BANGKOK STEFANO VECCHIA
N on usa mezzi termini il presidente della Confe­renza episcopale india­na, il cardinale Telesphore Toppo, per definire la situazione nelle a­ree dello stato nordorientale del­l’Orissa funestato nell’ultima set­timana dell’anno da violenze an­ti- cristiane. Uno «tsunami pro­vocato da essere umani» sembra essersi abbattuto sulle sparute presenze cristiane del distretto di Kandhamal, non lontano dal­la grande città di Bhubaneswar. È l’impressione che il cardinale Toppo ha riportato dalla sua vi­sita nelle aree colpita dalle re­centi violenze scatenate dagli hindu fondamentalisti del Vish­va Hindu Parishad ( Vhp).
Nel periodo natalizio, tra il 24 e il 27 dicembre, gli estremisti si sono scagliati contro proprietà dei cristiani, fuoricasta e tribali, con un bilancio di 6 morti, una settantina tra chiese e istituzio­ni attaccate e devastate; circa 500 case danneggiate o distrutte e in totale 5mila persone coinvolte nelle violenze iniziate la vigilia di Natale.
Come riferisce l’agenzia Asia­News, il cardinale Toppo, arcive­scovo di Ranchi e di origine tri­bale, è stato ospite dell’arcive­scovo di Cuttack-Bhubaneshwar, monsignor Raphael Cheenath, dal 2 al 4 gennaio scorso. Il car­dinale è riuscito ad incontrare al­cune delle vittime di aggressio­ne ricevendole presso la sede e­piscopale, in quanto gli è stato impedito di incontrare i leader delle comunità cristiane coin­volte. Ha inoltre visitato alcune delle aree aggredite, dove «la gen­te è ancora scioccata e vive in u­na grande paura e ansia».
Al suo rientro a Delhi, il Presi­dente della conferenza episco­pale indiana, ha incontrato il pri­mo ministro Manmohan Singh per aggiornarlo sulla situazione. Nella lettera consegnata al capo del governo indiano, il porpora­to ha definito «veramente tragi­ca » la situazione successiva alla serie di attacchi «ingiustificati» condotti contro i cristiani nel di­stretto di Kandhamal. «Senza dubbio – ha scritto – si tratta di atti premeditati e attuati da for­ze settarie». In una circolare dif­fusa del 7 gennaio il cardinale in­vita tutte le diocesi e le istituzio­ni cattoliche del Paese ad invia- re alle comunità colpite, attra­verso la Caritas India, aiuti ma­teriali ed economici. Il parla­mentare Francis George, che si è recato in Orissa dopo i disordini concorda con il Cardinale nel sottolineare l’incapacità del go­verno locale, di cui il Vhp fa par­te, di proteggere «la vita e le pro­prietà » dei cittadini di religione cristiana. Sempre il 7 gennaio, le comunità interessate delle vio­lenze sono state raggiunte da u­na delegazione della Commis­sione nazionale per le minoran­ze. Loro compito è di accertare le cause degli attacchi.
Per chiedere giustizia e sensibi­lizzare l’opinione pubblica in­diana, infine, ieri a Bhubane­shwar si è tenuta una manifesta­zione congiunta delle maggiori organizzazioni laicali cristiane, che ha portato la protesta fino a ridosso del Parlamento locale dello Stato di Orissa.
Gli estremisti indù hanno provocato la morte di 6 persone, devastato 70 tra chiese e istituzioni, distrutto 500 case: 5mila le vittime degli attacchi iniziati la vigilia di Natale


«Ue, più coraggio nel promuovere la vita»
Avvenire, 11.1.2008

Mauro, vicepresidente del Parlamento europeo: basta con finanziamenti a programmi che favoriscono la diffusione dell’aborto. «Si sta diffondendo una sensibilità nuova»
DI GIORGIO PAOLUCCI

Pochi giorni fa, parlando al corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede, Benedetto XVI auspicava che la moratoria approvata dal­l’Onu sulla pena di morte possa stimolare il dibattito pubblico sul carattere sacro della vita umana. Un ri­chiamo fatto in un’occasio­ne altamente simbolica: l’incontro con gli amba­sciatori dei 176 Paesi accre­ditati in Vaticano. Mentre in Italia si riaccende il dibatti­to sulla revisione della leg­ge 194, da Bruxelles il vice­presidente del Parlamento europeo, Mario Mauro, sot­tolinea le responsabilità delle istituzioni internazio­nali. Non risparmia le criti­che alle politiche di piani­ficazione familiare adotta­te, nelle quali si annida una concezione dell’aborto co­me strumento di controllo delle nascite. E rilancia la necessità di un maggiore protagonismo dell’Unione Europea nella promozione della vita, che inverta le tendenze affermatesi in questi anni. «Gli organismi internazionali devono fare chiarezza sull’uso ambiguo di termini come 'salute ri­produttiva', che nelle loro applicazioni pratiche ten­dono a rendere le pratiche abortive come un compor­tamento- standard. Mi chiedo perché, ad esempio, l’Unione Europea debba fi- nanziare programmi im­prontati a una filosofia di ti­po abortista, come quelli dell’Unfpa, l’agenzia del­l’Onu per la popolazione, che ha preparato un piano quadriennale da 224 milio­ni di dollari per sostenere e far crescere quella che de­finisce 'la consapevolezza dei diritti riproduttivi'. Fondi europei vengono u­tilizzati per sostenere asso­ciazioni che promuovono l’aborto e la contraccezione nel mondo. Nel momento in cui l’aborto viene accol­to nella categoria dei dirit­ti umani, si nega la natura stessa di istituzioni inter­nazionali (come appunto le Nazioni Unite e l’Ue) nate per favorire la pace e lo svi­luppo, cioè per tutelare la vita umana. Si svilisce la na­tura dell’Unione riducen­dola a una sorta di super­market dei diritti, dove si può trovare di tutto, e vie­ne così demolita l’idea che possa esistere un diritto na­turale, a cui tutta l’umanità faccia riferimento».
La sfida, prima ancora che politica, è a livello educati­vo e culturale, parte dalla concezione della vita e del­la persona che viene mes­sa in gioco e dall’onestà in­tellettuale con cui ci si con­fronta. Anche se resistono posizioni fortemente ideo­logizzate, sta aumentando la disponibilità a un con­fronto a partire da elemen­ti di razionalità piuttosto che da reazioni di tipo e­motivo.
E questo, a livello europeo, emerge sia tra i politici sia nell’opinione pubblica. «A parte alcuni atteggiamenti aprioristicamente chiusi e votati alla contrapposizione o alla demonizzazione dell’avversario – osserva il vicepresidente del Parlamento di Strasburgo – sta prendendo piede una disponibilità nuova al confronto, che prende le mosse da una crescente sensibilità alla di­gnità della vita e dalle ri­sultanze che la scienza for­nisce. Come ha ribadito re­centemente il presidente della Cei, cardinale Bagnasco, è necessario che le leggi si adeguino allo stato delle conoscenze, che muta col tempo, specie in cam­po bioetico. I legislatori non possono evitare di confrontarsi con le acquisizioni della scienza per formulare o adeguare normative che promuovano la vita u­mana in maniera sempre più efficace. È un approccio realistico, non confessionale, che favorisce nuove modalità di confronto. E che può coinvolgere sia tanti laici illuminati, come dimostra il successo della moratoria sull’aborto lan­ciata in Italia da Ferrara, sia persone che si rifanno a diverse tradizioni religiose. Penso alla possibilità di un cammino comune tra cristiani, musulmani ed ebrei su un valore condiviso come la sacralità della vita».


Trento, aiuto alle mamme in difficoltà
Fondo alle madri che non vogliono interrompere la gravidanza
Avvenire, 11.1.2008

DA TRENTO
DIEGO ANDREATTA
Un contributo straordi­nario a favore delle donne che, dopo aver avanzato la richiesta di aborti­re per ragioni economiche, so­no disposte a rivedere la loro decisione.
Lo ha stabilito la Provincia au­tonoma di Trento il 28 dicem­bre scorso prevedendo questa misura – attiva dal primo gen­naio – all’interno di una deli­bera molto ampia dedicata al potenziamento dei consultori nel loro raccordo con i servizi sociali territoriali.
Nella delibera della Giunta, ap­provata all’unanimità (succes­sivamente l’assessore verde I­va Berasi ha preso pubblica­mente le distanze da questo specifico intervento), non ven­gono precisati l’entità del con­tributo e la sua durata (una rigi­dità eccessiva è ritenuta vinco­­lante), ma si fissa però l’obiettivo del sostegno psi­co- sociale alla donna nella prosecuzione della gravidan­za: «Vogliamo favorire la sua presa in carico urgente, su con­senso dell’interessata - spiega l’assessore Dalmaso – e laddo­ve la richiesta di IVG sia deter­minata da necessità economi­che prevediamo la concessio­ne di un intervento economi­co subordinato però alla dispo­nibilità della donna ad aderi­re ad un progetto individualizzato. Sarà quindi il ser­vizio sociale a se­guirla con atten­zione e con le misure più ido­nee ». Più articolato il provve­dimento annunciato da Pino Morandini, consigliere provin­ciale Udc e vice presidente na­zionale del Movimento per la Vita, che ha presentato il suo disegno di legge il 4 gennaio sulla scia del dibattito sulla re­visione della legge 194.
Oltre a prevedere – sull’esem­pio della Regione Lombardia – l’abbassamento a 21 settimane della soglia per l’aborto tera­peutico, la proposta legislativa punta a dare alle donne che scelgono di non abortire «aiu­ti finanziari fino ad un massi­mo di mille euro al mese per un anno». Secondo Morandini, oggi urgono misure concrete come questa per «fare il possi­bile per rimuovere le cause del­l’aborto ».


Consultori, il Veneto dà il via alla riforma
Avvenire, 11.1.2008

Sostegno alla difesa della vita nascente, sia nelle strutture pubbliche sia tramite l’appoggio al volontariato sociale; qualificazione delle assistenti familiari (badanti) e abbattimento dei costi per i servizi delle famiglie numerose, cioè quelle con 4 o più figli. Si concretizza in questi tre punti l’accordo – simile a quello stipulato con altre Regioni, come Liguria, Sardegna, Sicilia Toscana e Lazio – firmato nelle scorse settimane tra il ministero per le Politiche della famiglia e la Regione Veneto.
Dal punto di vista economico il ministero ha messo sul piatto 7 milioni di euro, così ripartiti: 3,5 milioni a favore delle famiglie numerose, 3 milioni per i consultori e 600 mila per la voce 'badanti'. Da parte veneta, invece, sono stati stanziati 2,7 milioni di euro: 1 milione di euro per i nuclei con più di 4 figli, 1,5 milioni per rilanciare la funzione dei consultori (che in Veneto sono 159, di cui 28 privati) e 200 mila euro per le operatrici domestiche.
L’assessore ai Servizi sociali Stefano Valdegamberi precisa che i fondi stanziati dalla Regione in tandem con il ministero a favore dei consultori si vanno ad aggiungere a quelli già stanziati autonomamente «per interventi a favore di queste strutture.
Vogliamo che il consultorio diventi un servizio più rispondente alle esigenze della famiglia veneta, focalizzandosi come servizio relazionale».
Gli obiettivi dei progetti in corso e di quelli che verranno finanziati con l’apposito stanziamento previsto dal protocollo Stato­Regione si focalizzano su tre settori: sostegno alla genitorialità, in particolare alle coppie che hanno un primo figlio, quindi l’accompagnamento giovanile, infine l’aumento dei servizi di mediazione familiare.
Guardando più da vicino il ruolo dei consultori, Valdegamberi, esponente dell’Udc, precisa così il suo obiettivo: «Vogliamo mettere in atto un insieme di azioni di coinvolgimento dell’associazionismo perché operino in maniera sinergica con le istituzioni in modo da arrivare a prevenire il maggior numero di aborti». Detto in altri termini, Valdegamberi intende dare un contenuto di tutela della vita alle politiche sociali venete: «Guardando ai consultori, il mio obiettivo primario è la difesa della vita nascente. Su questo punto la Regione ha una grande attenzione e incrementeremo anche il nostro impegno».

Del resto il testo del protocollo firmato tra ministero e Regione Veneto, al punto 'Riorganizzazione dei consultori familiari', parla chiaro: si dovrà lavorare per «un supporto psicologico in relazione alle richieste di interruzione volontaria della gravidanza» e portare avanti «interventi per la procreazione consapevole e per la prevenzione del ricorso alle interruzioni volontarie». Inoltre, il documento chiede la «rimozione di eventuali difficoltà psicologiche, sociali, economiche che determinano l’interruzione».
Afferma Valdegamberi: «Dobbiamo cercare in tutti i modi di appoggiare la vita nascente; dal nostro intervento non deve essere esclusa nessuna azione che possa prevenire l’aborto. Per questo motivo è mia ferma intenzione aprire ai Centri di aiuto alla vita, all’associazionismo e al volontariato che già lavora su questo fronte». I consultori, nell’intenzione dell’assessore, «non devono essere un posto dove si ottiene solo il certificato per abortire ma dove lavorare per salvare una vita».
Ad esempio, precisa l’esponente politico veneto «ci vuole più informazione verso quelle donne incinte che dicono di non riuscire a portare avanti la gravidanza: tra le extracomunitarie, molte non sanno che è possibile dare alla luce un bambino e non riconoscerlo, affidandolo a dei centri che poi daranno il bimbo in adozione». La 'sterzata' pro-life che la Regione Veneto vuole dare nelle sue politiche sociali si è di recente concretizzata simbolicamente in un finanziamento alla 'Culla per la vita', una versione 'aggiornata' della ruota degli esposti, predisposta dalla onlus Operazione vivere di Verona, che ha installato questa struttura nella chiesa del Tempio Votivo, a due passi dalla stazione ferroviaria del capoluogo scaligero.

Lorenzo Fazzini


NASCONDIMENTO DI DIO, MARCHIO DEL NOVECENTO
Avvenire, 11.1.2008
MARINA CORRADI
« Certamente, nel cristianesimo c’è un primato del logos, della parola rispetto al silenzio. Dio ha parlato, Dio è la parola. Ma oltre a ciò noi non dovremmo dimenticare la verità del duraturo nascondi­mento di Dio. Solo quando lo ab­biamo conosciuto come silenzio, possiamo sperare di sentire an­che il suo parlare, che emana dal suo silenzio». Nelle primissime righe di un testo di Benedetto XVI pubblicato in Perché siamo ancora nella Chiesa incroci que­sta frase, tratta da un discorso pronunciato dal teologo Ratzin­ger a Monaco, nel 1968. Eppure la modernità di quelle parole ti sorprende, tanto che quasi in­ciampandoci dentro torni indie­tro, e rileggi: «Non dovremmo di­menticare la verità del duraturo nascondimento di Dio». Lo affer­ma l’uomo che oggi siede sul so­glio di Pietro. Lo dice il Papa. Che cosa ci colpisce? Il limpido co­raggio dell’assunzione su di sé della frattura che ha segnato il Novecento: la constatazione del «duraturo nascondimento di Dio». Il non negare, e anzi assu­mere apertamente come sfida il dubbio che ha tagliato e corroso la generazione dei nostri padri, e che noi, anche credenti, abbia­mo in tanti ereditato, e come ta­citamente inciso addosso. Ven­gono in mente, leggendo di quel «duraturo nascondimento», le
Ultime lettere da Stalingrado di 39 soldati tedeschi. Quelle lettere arrivate alle madri in Germania quando i figli erano morti in una delle peggiori carneficine della storia. In cui uomini cresciuti nel cristianesimo scrivevano: «Ho cercato Dio in ogni fossa, in ogni casa distrutta, in ogni mio came­rata, quando ero in trincea. Dio non si è mostrato. Soltanto Dio non c’era. E se proprio c’è, c’è so­lo nei libri dei salmi. A Stalingra­do, no». Viene in mente, nel «du­raturo nascondimento» ammes­so da un futuro pontefice tede­sco, la signora Margarethe Bakker, fondatrice vent’anni fa della prima associazione olande­se per l’eutanasia, che racconta­va quasi con nostalgia di essere stata una ragazza cattolica, ma di avere smesso di credere dopo che la sua migliore amica, ebrea, era morta a Auschwitz: «Se Dio ci fosse, non lo avrebbe permesso». Quel «nascondimento» non è forse il marchio del Novecento?
Chi scrive ha a casa un vecchissi­mo Vangelo ingiallito, superstite in uno zaino riportato a casa dal­lo sfacelo della sacca del Don. E le uniche parole sottolineate con una matita rossa sono quelle di Marco 15, 34: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?» (E tuo padre dal Don è tornato, ma di Dio, non ti ha mai detto una parola). Ce l’abbiamo scritto ad­dosso, consapevoli o distratti o cinici, quel «duraturo nascondi­mento » che il futuro Papa addita, come una sfida che però non te­me. Infatti, scrive Ratzinger, «So­lo quando lo abbiamo conosciu­to come silenzio, possiamo spe­rare di sentire anche il suo parla­re, che emana dal suo silenzio».
Quel silenzio dunque non è di annientamento, non è il vuoto desolato che segue alla morte di Dio. Dal fondo del silenzio ema­na, per chi abbia la speranza e l’ostinazione di voler ascoltare, una nuova e eterna parola. Ab­biamo forse perso la certezza so­lare dei primi cristiani, e non sappiamo più, come i nostri an­tenati del Medioevo, riconoscere Dio nei segni della natura e della vita quotidiana. Eppure «solo quando lo abbiamo conosciuto come silenzio, possiamo sperare di sentire ancora il suo parlare».
Come l’esortazione di un uomo che cammina accanto a noi, e che conosce i nostri dubbi. Uno che nel Gesù di Nazareth ci esor­ta a essere come il vir desiderio­rum, l’uomo dei desideri del li­bro di Daniele: «Capaci di vedere e di udire i deboli segnali che Dio manda nel mondo, e che in que­sto modo rompono la dittatura della consuetudine».


17 Gennaio 2008 – Panorama, Omosessuali, Ferrara: capisco ma non mi adeguo