giovedì 31 gennaio 2008

Nella rassegna stampa di oggi:

1) Benedetto XVI: Sant'Agostino, modello nel "rapporto tra fede e ragione"
2) Antonio Zichichi: l'alleanza tra fede e scienza è possibile
3) Chi nega il fondo di saggezza che le religioni portano alla ragione pecca contro la laicità: ieri a Roma un confronto fra monsignor Ravasi e Giuliano Ferrara. Ornaghi: «Dalla lectio del Papa un invito a riflettere» Il pregiudizio contro la verità
4) Da Grossman a Neusner, ecco una lezione di metodo
5) Gb: basta dire «mamma e papà», contro l'omofobia meglio parlare di «genitori»
6) Cattolici di Hanoi continuano la protesta sfidando l’ultimatum del governo
7) Arcivescovo di Hanoi: Pronto ad andare in prigione per il mio gregge


Benedetto XVI: Sant'Agostino, modello nel "rapporto tra fede e ragione"
Intervento all'Udienza generale del mercoledì

ROMA, mercoledì, 30 gennaio 2008 (ZENIT.org).- Pubblichiamo il discorso pronunciato questo mercoledì da Benedetto XVI in occasione dell'Udienza generale nell'Aula Paolo VI, dove ha incontrato i pellegrini e i fedeli giunti dall’Italia e da ogni parte del mondo.
Nella sua riflessione, continuando il ciclo di catechesi sui Padri della Chiesa, si è soffermato nuovamente sulla figura di Sant’Agostino.
* * *
Cari amici,
dopo la Settimana di preghiera per l'unità dei cristiani ritorniamo oggi alla grande figura di sant'Agostino. Il mio caro Predecessore Giovanni Paolo II gli ha dedicato nel 1986, cioè nel sedicesimo centenario della sua conversione, un lungo e denso documento, la Lettera apostolica Augustinum Hipponensem. Il Papa stesso volle definire questo testo “un ringraziamento a Dio per il dono fatto alla Chiesa, e per essa all'umanità intera, con quella mirabile conversione”. (AAS, 74, 1982, p. 802) Sul tema della conversione vorrei tornare in una prossima Udienza. È un tema fondamentale non solo per la sua vita personale, ma anche per la nostra. Nel Vangelo di domenica scorsa il Signore stesso ha riassunto la sua predicazione con la parola: “Convertitevi”. Seguendo il cammino di sant'Agostino, potremmo meditare su che cosa sia questa conversione: è una cosa definitiva, decisiva, ma la decisione fondamentale deve svilupparsi, deve realizzarsi in tutta la nostra vita.
La catechesi oggi è dedicata invece al tema fede e ragione, che è un tema determinante, o meglio, il tema determinante per la biografia di sant'Agostino. Da bambino aveva imparato da sua madre Monica la fede cattolica. Ma da adolescente aveva abbandonato questa fede perché non poteva più vederne la ragionevolezza e non voleva una religione che non fosse anche per lui espressione della ragione, cioè della verità. La sua sete di verità era radicale e lo ha condotto quindi ad allontanarsi dalla fede cattolica. Ma la sua radicalità era tale che egli non poteva accontentarsi di filosofie che non arrivassero alla verità stessa, che non arrivassero fino a Dio. E a un Dio che non fosse soltanto un'ultima ipotesi cosmologica, ma che fosse il vero Dio, il Dio che dà la vita e che entra nella nostra stessa vita. Così tutto l'itinerario intellettuale e spirituale di sant'Agostino costituisce un modello valido anche oggi nel rapporto tra fede e ragione, tema non solo per uomini credenti ma per ogni uomo che cerca la verità, tema centrale per l'equilibrio e il destino di ogni essere umano. Queste due dimensioni, fede e ragione, non sono da separare né da contrapporre, ma piuttosto devono sempre andare insieme. Come ha scritto Agostino stesso dopo la sua conversione, fede e ragione sono “le due forze che ci portano a conoscere” (Contra Academicos, III, 20, 43). A questo proposito rimangono giustamente celebri le due formule agostiniane (Sermones, 43, 9) che esprimono questa coerente sintesi tra fede e ragione: crede ut intelligas (“credi per comprendere”) — il credere apre la strada per varcare la porta della verità — ma anche, e inseparabilmente, intellige ut credas (“comprendi per credere”), scruta la verità per poter trovare Dio e credere.
Le due affermazioni di Agostino esprimono con efficace immediatezza e con altrettanta profondità la sintesi di questo problema, nella quale la Chiesa cattolica vede espresso il proprio cammino. Storicamente questa sintesi va formandosi, prima ancora della venuta di Cristo, nell'incontro tra fede ebraica e pensiero greco nel giudaismo ellenistico. Successivamente nella storia questa sintesi è stata ripresa e sviluppata da molti pensatori cristiani. L'armonia tra fede e ragione significa soprattutto che Dio non è lontano: non è lontano dalla nostra ragione e dalla nostra vita; è vicino ad ogni essere umano, vicino al nostro cuore e vicino alla nostra ragione, se realmente ci mettiamo in cammino.
Proprio questa vicinanza di Dio all’uomo fu avvertita con straordinaria intensità da Agostino. La presenza di Dio nell’uomo è profonda e nello stesso tempo misteriosa, ma può essere riconosciuta e scoperta nel proprio intimo: non andare fuori – afferma il convertito – ma “torna in te stesso; nell’uomo interiore abita la verità; e se troverai che la tua natura è mutabile, trascendi te stesso. Ma ricordati, quando trascendi te stesso, che tu trascendi un’anima che ragiona. Tendi dunque là dove si accende la luce della ragione” (De vera religione, 39, 72). Proprio come egli stesso sottolinea, con un’affermazione famosissima, all’inizio delle Confessiones, autobiografia spirituale scritta a lode di Dio: “Ci hai fatti per te e inquieto è il nostro cuore, finché non riposa in te” (I, 1, 1).
La lontananza di Dio equivale allora alla lontananza da se stessi: “Tu infatti – riconosce Agostino (Confessiones, III, 6, 11) rivolgendosi direttamente a Dio – eri all’interno di me più del mio intimo e più in alto della mia parte più alta”, interior intimo meo et superior summo meo; tanto che – aggiunge in un altro passo ricordando il tempo antecedente la conversione – “tu eri davanti a me; e io invece mi ero allontanato da me stesso, e non mi ritrovavo; e ancora meno ritrovavo te” (Confessiones, V, 2, 2). Proprio perché Agostino ha vissuto in prima persona questo itinerario intellettuale e spirituale, ha saputo renderlo nelle sue opere con tanta immediatezza, profondità e sapienza, riconoscendo in due altri celebri passi delle Confessiones (IV, 4, 9 e 14, 22) che l’uomo è “un grande enigma” (magna quaestio) e “un grande abisso” (grande profundum), enigma e abisso che solo Cristo illumina e salva. Questo è importante: un uomo che è lontano da Dio è anche lontano da sé, alienato da se stesso, e può ritrovare se stesso solo incontrandosi con Dio. Così arriva anche a sé, al suo vero io, alla sua vera identità.
L’essere umano – sottolinea poi Agostino nel De civitate Dei (XII, 27) – è sociale per natura ma antisociale per vizio, ed è salvato da Cristo, unico mediatore tra Dio e l’umanità e “via universale della libertà e della salvezza”, come ha ripetuto il mio predecessore Giovanni Paolo II (Augustinum Hipponensem, 21): al di fuori di questa via, che mai è mancata al genere umano – afferma ancora Agostino nella stessa opera – “nessuno è stato mai liberato, nessuno viene liberato, nessuno sarà liberato” (De civitate Dei, X, 32, 2). In quanto unico mediatore della salvezza, Cristo è capo della Chiesa e a essa è misticamente unito al punto che Agostino può affermare: “Siamo diventati Cristo. Infatti se egli è il capo, noi le sue membra, l’uomo totale è lui e noi” (In Iohannis evangelium tractatus, 21, 8).
Popolo di Dio e casa di Dio, la Chiesa nella visione agostiniana è dunque legata strettamente al concetto di Corpo di Cristo, fondata sulla rilettura cristologica dell’Antico Testamento e sulla vita sacramentale centrata sull’Eucaristia, nella quale il Signore ci dà il suo Corpo e ci trasforma in suo Corpo. È allora fondamentale che la Chiesa, popolo di Dio in senso cristologico e non in senso sociologico, sia davvero inserita in Cristo, il quale – afferma Agostino in una bellissima pagina – “prega per noi, prega in noi, è pregato da noi; prega per noi come nostro sacerdote, prega in noi come nostro capo, è pregato da noi come nostro Dio: riconosciamo pertanto in lui la nostra voce e in noi la sua” (Enarrationes in Psalmos, 85, 1).
Nella conclusione della lettera apostolica Augustinum Hipponensem Giovanni Paolo II ha voluto chiedere allo stesso santo che cosa abbia da dire agli uomini di oggi e risponde innanzi tutto con le parole che Agostino affidò a una lettera dettata poco dopo la sua conversione: “A me sembra che si debbano ricondurre gli uomini alla speranza di trovare la verità” (Epistulae, 1, 1); quella verità che è Cristo stesso, Dio vero, al quale è rivolta una delle preghiere più belle e più famose delle Confessiones (X, 27, 38): “Tardi ti ho amato, bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi ti ho amato! Ed ecco tu eri dentro e io fuori, e lì ti cercavo, e nelle bellezze che hai creato, deforme, mi gettavo. Eri con me, ma io non ero con te. Da te mi tenevano lontano quelle cose che, se non fossero in te, non esisterebbero. Hai chiamato e hai gridato e hai rotto la mia sordità, hai brillato, hai mostrato il tuo splendore e hai dissipato la mia cecità, hai sparso il tuo profumo e ho respirato e aspiro a te, ho gustato e ho fame e sete, mi hai toccato e mi sono infiammato nella tua pace”.
Ecco, Agostino ha incontrato Dio e durante tutta la sua vita ne ha fatto esperienza al punto che questa realtà – che è innanzi tutto incontro con una Persona, Gesù – ha cambiato la sua vita, come cambia quella di quanti, donne e uomini, in ogni tempo hanno la grazia di incontrarlo. Preghiamo che il Signore ci dia questa grazia e ci faccia trovare così la sua pace.

[Il Papa ha poi salutato i pellegrini in diverse lingue. In Italiano ha detto:]
Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. In particolare, saluto i Vescovi qui convenuti in occasione del 40° anniversario di fondazione della Comunità di Sant’Egidio, assicurando il mio orante ricordo affinché si rafforzi in ciascuno il fermo desiderio di annunciare a tutti Gesù Cristo, unico Salvatore del mondo. Saluto con particolare affetto i fedeli della Parrocchia di Santa Caterina di Nardò – dove mi dicono che c’è un bellissimo mare - , con un pensiero speciale per i giovani musicisti. Cari amici, vi ringrazio per la vostra presenza ed auspico che questo incontro possa accrescere in ciascuno il desiderio di testimoniare con gioia il Vangelo nella vita di ogni giorno. Vi accompagno con la mia preghiera, affinché possiate edificare ogni vostro progetto sulle solide basi della fedeltà a Dio. Saluto poi gli Operatori Caritas della diocesi di Sabina-Poggio Mirteto e li incoraggio a proseguire con generosità la loro opera in favore dei più bisognosi.
Mi rivolgo, infine, ai giovani, ai malati e agli sposi novelli.
Ricorre domani la memoria liturgica di san Giovanni Bosco, sacerdote ed educatore. Guardate a lui, cari giovani, specialmente voi cresimandi di Serroni di Battipaglia, come a un autentico maestro di vita. Voi, cari ammalati, apprendete dalla sua esperienza spirituale a confidare in ogni circostanza in Cristo crocifisso. E voi, cari sposi novelli, ricorrete alla sua intercessione per assumere con impegno generoso la vostra missione di sposi.
[© Copyright 2008 - Libreria Editrice Vaticana]


Antonio Zichichi: l'alleanza tra fede e scienza è possibile
Intervista dopo la mancata visita del Papa a “La Sapienza”
Paolo Centofanti
ROMA, mercoledì, 30 gennaio 2008 (ZENIT.org).- Il professor Antonio Zichichi, Presidente della World Federation of Scientists, sostiene che una alleanza tra fede e scienza è possibile.
In una intervista a ZENIT, il noto scienziato ha affermato che l’opposizione alla visita di Benedetto XVI all’Università “La Sapienza” di Roma è stata la manifestazione di una cultura “pre-aristotelica”.
Zichichi ha lavorato nell'ambito della fisica subnucleare presso i laboratori Fermilab di Chicago e CERN di Ginevra, dove nel 1965 ha coordinato il gruppo di ricerca che ha scoperto un antinucleo di deuterio (nucleo di antideuterio), nucleo di antimateria. Nel 1963 ha fondato presso Erice il Centro “Ettore Majorana” di cultura scientifica.
È stato Presidente dell'Istituto nazionale di fisica nucleare. Attualmente è docente emerito di Fisica superiore all'Università di Bologna.
Parlando del rapporto tra scienza e fede, tema affrontato da Benedetto XVI nel suo interevento all'Udienza generale di questo mercoledì, il professor Zichichi ha ricordato che i risultati raggiunti dalla scienza odierna sarebbero impensabili senza “quell’atto di fede e di umiltà intellettuale, maturato nel cuore della cultura cattolica con Galileo Galilei”.
Cos’è per lei la ragione?
Zichichi: Noi siamo l’unica forma di materia vivente a cui è stato dato il privilegio del dono della ragione; ed è grazie alla ragione che la forma di materia vivente cui noi apparteniamo ha potuto scoprire il linguaggio, la logica e la scienza.
Esistono infatti centinaia di migliaia di forme di materia vivente, vegetale ed animale, ma nessuna di esse ha saputo scoprire la memoria collettiva permanente – meglio nota come linguaggio scritto – né le forme di logica rigorosa come la matematica o la scienza che, tra tutte le logiche possibili, è quella che ha scelto il Creatore per fare l’Universo così come possiamo vederlo e studiarlo, e noi stessi.
Una logica che ci è permesso di studiare e capire ma che nessuno sarà mai in grado, anche minimamente, di alterare. Senza ragione non avremmo potuto scoprire la scienza, questa straordinaria avventura intellettuale, iniziata solo 400 anni fa, con Galileo Galilei e le prime Leggi fondamentali della natura da lui scoperte.
Galilei le chiamava “Impronte del Creatore”, impronte che potevano anche non esistere. Invece lui era convinto che esistessero, e che fossero presenti sia nelle stelle, sia nella materia “volgare” come le pietre, nelle quali in quel tempo tutti erano certi che non fosse possibile trovare verità fondamentali. È proprio studiando le pietre che Galilei iniziò a cercare quelle impronte, per un atto di fede nel Creatore.
Un atto di fede e di umiltà, che ci ha permesso di arrivare oggi, in soli quattro secoli, a concepire l'esistenza del "supermondo": la più alta vetta delle conoscenze scientifiche galileiane, quindi del sapere rigoroso, nell'immanente. Le frontiere stesse del supermondo confermano quanto dicevo prima, ovvero che siamo l'unica forma di materia vivente dotata di ragione.
Sono state attribuite al Pontefice false dichiarazioni di condanna nei confronti di Galileo Galilei, poi smentite. Come pensa che Papa Benedetto XVI veda realmente la figura di Galileo Galilei?
Zichichi: Per Papa Benedetto XVI, la ragione è al centro della cultura del nostro tempo. Il suo pensiero su Galileo Galilei è stato mistificato, estrapolando una citazione di Feyerabend (che dichiarava giusta la condanna a Galilei), da un discorso che in realtà mirava a sostenere proprio la tesi opposta. E proprio in Galilei, il Pontefice vede una unione ideale tra scienza e fede.
Il 6 aprile 2006, alla domanda di un giovane che partecipava in Piazza San Pietro a un incontro in preparazione della Giornata Mondiale della Gioventù, Benedetto XVI rispose che “il grande Galileo” Galilei considerava la Natura e la Bibbia due libri scritti dallo stesso Autore. Il libro della Natura in lingua matematica, perché per costruire l’Universo è necessario il rigore della matematica; la Bibbia, essendo parola di Dio, doveva invece essere scritta in linguaggio semplice e accessibile a tutti, come debbono essere i valori della nostra esistenza, che è una simbiosi della sfera immanentistica e della sfera trascendentale.
Cos’è la scienza?
Zichichi: La scienza, ci ricorda Benedetto XVI, nasce dall’atto galileiano di umiltà intellettuale: Colui che ha fatto il mondo è più intelligente di tutti noi, scienziati, filosofi, artisti, matematici, nessuno escluso. Per conoscere quale logica abbia scelto il Creatore per creare il mondo e noi stessi c’è una sola possibilità: porGli domande in modo rigoroso. È questo il significato di “esperimento di stampo galileiano”, e da qui nasce la scienza galileiana, che esige rigore e riproducibilità.
Se nel 1965 avessi potuto dimostrare l’esistenza dell’antimateria nucleare solamente con carta e penna e utilizzando il rigore della matematica, non avrei avuto bisogno di fare un esperimento estremamente difficile e per il quale fu necessario inventare un circuito elettronico speciale, che misurasse i tempi di volo delle particelle subnucleari con precisioni fino ad allora mai ottenute: frazioni di miliardesimi di secondo.
Per fare una scoperta scientifica è quindi necessario arrendersi alla superiorità intellettuale del Creatore di tutte le cose visibili e invisibili, e realizzare un esperimento. È stato così per l’antimateria nucleare, come per tante altre scoperte.
Ogni scoperta è stata ottenuta sempre dopo un esperimento che ha richiesto almeno un’invenzione tecnologica, come ad esempio il più potente rivelatore di neutroni, che ha permesso di scoprire una formidabile proprietà dell’Universo subnucleare: l’enorme divario esistente tra le miscele mesoniche vettoriali e quelle pseudoscalari. Non è una proprietà banale delle strutture subnucleari ma il risultato delle leggi che governano l’Universo le cui regolarità e le cui leggi nessun filosofo, logico matematico, pensatore, nessuno, aveva saputo prevedere.
Se fosse sufficiente il rigore logico-matematico per comprendere com’è strutturato l’Universo subnucleare, non avremmo bisogno di costruire strutture complesse e gigantesche come la nuova macchina che entrerà in funzione entro la fine di quest’anno al CERN di Ginevra: una pista magnetica lunga 27 km, con una quantità enorme di rivelatori, cosa finora mai realizzata, per avere una risposta alla domanda: “com’era l’Universo un decimo di miliardesimo di secondo dopo il Big Bang”?
Lei parla spesso della necessità di umiltà intellettuale nella ricerca scientifica....
Zichichi: Se non fosse per l’atto di umiltà intellettuale del padre della scienza moderna, saremmo rimasti fermi, chissà per quanti secoli ancora, a ciò che pensavano i nostri antenati: basta essere intelligenti per capire com’è fatto il mondo.
Nel corso di diecimila anni, dall’alba della civiltà al sedicesimo secolo, tutte le culture si erano illuse di sapere decifrare il Libro della natura senza mai porre una sola domanda al Suo Autore. Ecco perché a nessuna cultura era toccato il privilegio di scoprire una Legge fondamentale della natura.
Oggi la scienza è arrivata alla soglia del supermondo, per quell’atto di fede e di umiltà intellettuale, maturato nel cuore della cultura cattolica con Galileo Galilei, che Giovanni Paolo II, il 30 marzo 1979, in Vaticano, presenti i rappresentanti dei fisici di tutta Europa, definì figlio legittimo e prediletto della Chiesa cattolica.
Con il suo coraggio intellettuale e spirituale Giovanni Paolo II riportò finalmente a casa i tesori della scienza galileiana che sono autentiche conquiste della cultura cattolica. E Benedetto XVI di questi tesori è oggi il massimo custode nella continuità culturale del Suo apostolato con quello di Giovanni Paolo II.
Questo si collega all’alleanza tra scienza e fede da lei sempre sostenuta?
Zichichi: Papa Giovanni Paolo II, spalancando le porte della Chiesa cattolica alla scienza galileiana, dette vita a questa grande alleanza tra fede e scienza. Una allenza di cui è prova la frase “scienza e fede sono entrambe doni di Dio” incisa su ferro ed esposta agli scienziati di tutto il mondo al Centro di cultura scientifica “Ettore Majorana” a Erice.
La cultura del nostro tempo è detta moderna, ma in effetti è pre-aristotelica, come è provato da quella lettera cui hanno aderito, prima 67 persone che oggi sono diventate – mi è stato detto – molte migliaia.
Insegna però Enrico Fermi che la scienza è fondata sulla meritocrazia, non sui numeri di chi sottoscrive una presunta verità. Non si possono mettere ai voti le “Forze di Fermi” né l’equazione di Dirac. Né le leggi che continuiamo a scoprire nell’Universo subnucleare. La democrazia va bene per la politica, non per le verità scientifiche. Se vivessimo – come pretende la cultura dominante atea – nell’era della scienza quella lettera sarebbe rimasta con zero firme: non sarebbe mai stata scritta. Le radici di quella lettera sono nella cultura del nostro tempo che – come dicevo prima – è detta moderna mentre in effetti è pre-aristotelica. Infatti né la logica rigorosa né la scienza sono ancora entrate nel cuore di questa cultura che – come ha scritto Papa Benedetto XVI nel discorso preparato per la visita a “La Sapienza” – “costringe la ragione ad essere sorda al grande messaggio che viene dalla fede cristiana e dalla sua sapienza. Così facendo questa cultura agisce in modo da non permettere più alle radici della ragione di raggiungere le sorgenti che ne alimentano la linfa vitale”.
La sintesi più bella del pensiero di Papa Benedetto XVI è incisa nella cupola della Basilica di Santa Maria degli Angeli e dei Martiri a Roma, dove c’è un’altra famosa frase di Giovanni Paolo II: “La scienza ha radici nell’Immanente ma porta l’uomo verso il Trascendente”. Negare a Benedetto XVI il diritto di portare ai giovani il messaggio della grande alleanza tra fede e scienza è stato un atto di oscurantismo, non di laicità.


il «caso Sapienza»
Chi nega il fondo di saggezza che le religioni portano alla ragione pecca contro la laicità: ieri a Roma un confronto fra monsignor Ravasi e Giuliano Ferrara. Ornaghi: «Dalla lectio del Papa un invito a riflettere» Il pregiudizio contro la verità

Avvenire, 31.1.2008
DA ROMA MIMMO MUOLO
L a prima parola chiave è «pre­venzioni ». La seconda «verità». Miscelandole, monsignor Gianfranco Ravasi conia quella che si potrebbe definire la «morale» del­la brutta vicenda che ha costretto il Papa a rinunciare alla visita all’uni­versità 'La Sapienza'. Argomenta, infatti, il presidente del Pontificio Consiglio per la cultura: «Questa vi­cenda ci deve spingere a superare le prevenzioni della nostra epoca nei confronti della verità». Il che signifi­ca «uscire dal sospetto che la verità sia una cappa che ci sta sopra e non una meta di luce da raggiungere». Benedetto XVI questo l’ha mostrato con chiarezza nel discorso inviato al rettore Renato Guarini. Dunque, conclude il vescovo, «il suo è un in­vito a intraprendere il cammino che porta a quella meta, perché una vi­ta senza la ricerca della verità non mette conto di essere vissuta».
Ravasi è intervenuto, ieri pomerig­gio, insieme con il direttore de Il Fo­glio Giuliano Ferrara, al primo dei due colloqui organizzati dall’Uni­versità Cattolica del Sacro Cuore sul discorso del Pontefice alla 'Sapien­za'. Un incontro, svoltosi nella sede della Facoltà di Medicina a Roma e moderato (come del resto lo sarà an­che il secondo in programma a Mi­lano lunedì prossimo) dal rettore magnifico Lorenzo Ornaghi. Il qua­le nella sua introduzione non ha mancato come il testo di Benedetto XVI sia davvero contro corrente. «In un’epoca come la nostra che si fer­ma alla superficie dei fenomeni e non si interessa più all’essenza del­le cose, un’epoca in cui sappiamo più distinguere il giusto dall’ingiu­sto, il vero da ciò che non lo è, il Pa­pa invita a riflettere». E il suo invito è particolarmente importante per l’università nel suo complesso, che «Benedetto XVI esorta a riprendere un’opera di composizione del sape­re, anziché contribuire a scompor­lo ».
Il successivo dibattitto tra Ravasi e Ferrara ha visto un’ampia conver­genza proprio su questa necessità. Il vescovo e il giornalista si sono trovati innanzitutto d’accordo nell’indivi­duare il passaggio chiave del discor­so. Quello in cui il Papa invita a «non gettare nel cestino della storia delle idee», la sapienza delle grandi tradi­zioni religiose, che contribuisce a formare «il fondo storico dell’uma­na sapienza». Il direttore de 'Il Fo­glio', ad esempio, dopo aver ricor­dato che la contestazione è nata da «un’interpretazione equivoca e fon­damentalmente sbagliata di un vec­chio intervento del cardinale Rat­zinger, un 'super-professore' che sa benissimo cos’è il mondo universi­tario », ha definito il suo discorso al­la 'Sapienza' «strepitoso, folgoran­te e anche intellettualmente ironi­co, specie nell’affermazione di par­tenza, in cui il Pontefice rende o­maggio all’università laica, alla sua autonomia, che deve essere legata esclusivamente alla verità».
La «perla» di tutto l’intervento, se­condo Ferrara, è però quella in cui «Joseph Ratzinger denuncia il rischio di un Occidente che tende a esclu­dere in maniera sistematica e pre­ventiva il ricorso a quel 'fondo sto­rico dell’umana sapienza' che è la fede come esperienza concreta». Ri­nuncia «poco coraggiosa», che di­venta anche «un pericolo», in quan­to «si può risolvere nella mancanza di volontà a collaborare insieme al­la ricerca della verità».
Ciò ha delle ripercussioni in ambito politico, che Ferrara ha sottolineato in riferimento all’esperienza con­creta di Zapatero. «Il suo modo di governare – ha detto – costituisce l’inveramento storico-politico del­l’esclusione del ricorso al 'fondo sto­rico dell’umana sapienza'». «Non solo si fa ciò che dice la maggioran­za, ma questa volontà maggioritaria diventa anche misura del vero e del giusto».
Per Ferrara, invece, la strada indica­ta da Benedetto XVI nella conclu­sione del suo discorso può offrire u­tili spunti anche a chi non crede. «Ve lo dico da laico – ha concluso – Quel­la di Cristo è una luce che illumina il cammino non solo per chi ha den­tro di sé la fede, ma anche per non possiede questo tesoro».
Anche per Ravasi punto nodale del­la riflessione di Benedetto XVI è quello in cui il Papa ricorda che «il vero concetto di ragione non è e­sauribile nella sola logica formale». «Esiste una Ragione-creatrice che è al contempo RagioneAmore. E an­che la logica dell’amore fa parte del­la brama di conoscenza, che il Be­nedetto XVI ha ricordato essere 'la vera, intima origine dell’università'». Non solo. Citando Platone, il presi­dente del Pontificio Consiglio per la cultura, ha fatto notare che esiste an­che una logica estetica, che la verità contiene in sé la bellezza e che la ri­cerca della verità diviene anche ar­te e poesia.
Benedetto XVI, dunque, «contraria­mente alla cultura filosofica domi­nante – secondo cui la verità è una questione di retroguardia o, come afferma Michel Foucault, è «paraliz­zante e impositiva» – propone di ri­portare questo tema dentro l’uni­versità ». Perciò, ha notato ancora Ravasi, «il ritorno alla cultura greca è un dato fondamentale del suo ma­gistero, in quanto il Papa sa che quel­la cultura ha creato tutte le regole per far sì che la ragione si orienti ver­so la luce che ci trascende e che sem­pre ci interpella». La prova? Ancora una volta Platone, secondo cui «il ci­bo profondo dell’anima e della stes­sa ragione sta proprio nella pianura della verità, verso cui bisogna met­tersi in cammino come se fosse un pellegrinaggio».


intervento
Da Grossman a Neusner, ecco una lezione di metodo
Avvenire, 31.1.2008
DI ARIEL S. LEWIN
I n occasione del Giorno della memoria, il 27 gennaio, l’Università di Firenze ha conferito una laurea honoris causa allo scrittore israelia­no David Grossman. L’autore ha letto un testo di elevato spessore in cui la vicenda della Shoah racchiudeva in sé la necessità di un continuo interrogarci sulla nostra coscienza, sul nostro agire. Si è trattato, dunque, di un evento significativo, che ha commosso e offerto tanti motivi di ri­flessione.
Ma negli ultimi tempi non sempre nelle università c’è stato un clima a­perto al dialogo. Appare immancabile ripensare alla forzata rinuncia di Benedetto XVI a tenere la prolusione alla Sapienza di Roma. L’elemento centrale del ragionamento di molti – anche coloro che poi finivano con l’ammettere che non bisognasse negare al Pontefice di parlare in quella occasione – era che la circostanza fosse inade­guata. In altre parole, l’inaugurazione dell’an­no accademico avrebbe rappresentato un mo­mento di vita dell’università incompatibile con un intervento papale. Contro di ciò si può ra­gionevolmente sostenere che una cerimonia festiva come quella dell’inaugurazione del­l’anno accademico sarebbe stata una situazio­ne opportuna per celebrare la nostra cultura.
Proprio una prolusione da parte di Benedetto XVI avrebbe garantito un elevato spessore all’evento, come vediamo bene dal testo che poi è sta­to reso noto. Diciamolo francamente: le motivazioni addotte per porre dubbi sulla sede ed il momento del discorso di Benedetto XVI oltre che erronee nelle loro premesse erano speciose. Esse riflettono un certo mo­do di pensare prevenuto in cui non trova spazio la tensione verso il dia­logo.
Un paio di anni fa pochi studenti impedirono all’ambasciatore israelia­no Ehud Gol, invitato all’Università di Firenze, di tenere il proprio intervento. In seguito un noto intellettuale e scrittore, in uno dei più diffusi quotidiani, difese l’operato dei contestatori sostenendo che l’ambasciatore, in quanto rappresentante del governo di Sharon, non aveva diritto alla parola: si è mai visto un ambasciatore che venga a parlare nelle università? Secondo questo intellettuale, la presenza dell’ambasciatore costituiva, dunque, un’autentica provocazione. Sfortunatamente è vero esattamente il contrario: aprendo il mio computer, entrato in rete, verificai come accada assai di frequente che gli ambasciatori parlino nelle università. Per ironia della sorte risultava che proprio in quei giorni l’ambasciatore brasiliano teneva una lezione all’Università ebraica di Gerusalemme. Ritenni opportuno segnalare la mia 'scoperta' al caporedattore di quello stesso giornale e chiedere la pubblicazione del mio intervento in merito, in cui fra l’altro era precisato che probabilmente io stesso non avrei aderito a tutte le posizioni sostenute da quell’ambasciatore, ma che comunque egli aveva diritto alla parola. Tuttavia ciò mi fu negato.
La mia preoccupazione verte, dunque, sul metodo. Mi pare allora bello e consolante leggere pagine che denotano l’applicazione di un metodo nobile di dialogo negli scritti del rabbino ebreo Jacob Neusner e di Benedetto XVI. Neusner, molto probabilmente ai nostri tempi il più insigne studioso dell’ebraismo nei primi secoli dell’era cristiana, in un libro u­scito originariamente in inglese nel 1993 immaginava di essere un ebreo vissuto all’epoca di Gesù di cui avrebbe ascoltato il Discorso della Mon­tagna a noi noto attraverso il Vangelo di Matteo. Con estremo rispetto, ma anche con fermezza, Neusner esponeva dunque i motivi che gli a­vrebbero impedito di aderire a quel messaggio. E tuttavia - occorre sot­tolinearlo - lo scopo di Neusner non era polemico, ma costituiva la fon­dazione per un dialogo autentico: «In questa discussione non mi inte­ressa vincere. Essa vuole spiegare, sia agli ebrei sia ai cristiani l’altra po­sizione, quella della Torah». Neusner sottolinea come il proprio obietti­vo sia quello di dare elementi perché il credente di ciascuna delle due re­ligioni rafforzi la propria fede. L’esame scrupoloso del testo del Vangelo di Matteo da parte del dotto ebreo prova in modo molto chiaro come il Gesù della storia coincida con quello della fe­de: «Quando paragoniamo quello che Gesù disse sul comandamento che prescrive di o­norare il padre e la madre con quello che dis­sero gli altri saggi, vediamo nel Gesù della sto­ria precisamente quel Cristo della fede che, per venti secoli, i cristiani hanno ritrovato tan­to nel Gesù di Matteo quanto nel Cristo di Pao­lo ». Benedetto XVI nel suo libro Gesù di Na­zaret ha dedicato molte pagine a prendere in esame il lavoro di Neusner denotando una medesima impostazione di grande rispetto per la reli­gione del suo interlocutore. E’ di particolare rilievo notare che egli abbia affermato: «Per il cristiano credente le disposizioni della Torah restano decisamente un punto di riferimento, al quale gli guarda sempre. Alla cri­stianità farebbe bene guardare con rispetto a questa obbedienza di I­sraele e così cogliere meglio i grandi imperativi del Decalogo, che essa deve tradurre nell’ambito della famiglia universale di Dio».
Vorrei terminare ritornando a David Grossman il cui impegno per la pa­ce ed il dialogo è di una coerenza esemplare. Quando nell’estate di due anni fa suo figlio – che militava nell’esercito israeliano – fu ucciso in Li­bano, egli affermò, pur nell’immenso dolore, di non odiare né chi lo a­veva mandato a combattere, né chi lo aveva ucciso. Mi pare interessan­te ricordare come nel suo intervento in occasione del conferimento del­la laurea allo scrittore il rettore di Firenze abbia ricordato un avvenimento che lo aveva colpito: per le vie della città Grossman era stato riconosciu­to e molti lo avevano abbracciato. È bello osservare ancora oggi come u­na persona cresciuta nella cultura della Torah e nel desiderio di conoscere e di comprendere l’altro possa costruire amore intorno a sé.



La proposta fatta propria dal ministro per la scuola e l’infanzia Ed Balls
Gb: basta dire «mamma e papà», contro l'omofobia meglio parlare di «genitori»

Per abituare i bambini delle elementari all'idea che ci potrebbero essere genitori dello stesso sesso

LONDRA - Nelle scuole elementari britanniche sarà proibito usare l'espressione «mamma e papà» e diventerà obbligatorio utilizzare l'espressione neutra «genitori», in modo particolare nelle comunicazioni a casa. Come scrive mercoledì il popolare quotidiano Daily Mail, il ministro per la Scuola e l’infanzia Ed Balls farà propria la proposta lanciata dall'organizzazione per i diritti degli omosessuali Stonewall, mirante ad abituare i bambini britannici delle elementari all'idea che potrebbero esserci genitori dello stesso sesso.
DIRITTI GAY - Secondo gli attivisti di Stonewall, l'espressione «mamma e papà» lede i diritti dei genitori omosessuali e favorirebbe pregiudizi anti-gay, inoltre ritengono che i bambini non dovrebbero avere un'idea «convenzionale» della famiglia. Ma non solo: l'iniziativa prevede che, quando si discuterà di matrimonio nelle scuole medie, gli insegnanti dovranno parlare anche delle unioni civili e dei diritti sulle adozioni gay.
TOLLERANZA ZERO - La proposta di Balls tende inoltre a combattere l'intolleranza nei confronti degli omosessuali e prevede punizioni per chi offenderà un compagno chiamandolo gay. Tra le espressioni che dovrano essere bandite dalle scuole britanniche ci sono anche: «comportati da uomo» e «siete un branco di donnicciole». Il ministro Balls si è detto «orgoglioso che il governo e il dipartimento siano stati fermi su questa strada. Il nostro punto di vista è che ogni scuola debba mettere in pratica azioni chiare contro ogni forma di bullismo, incluso quello a sfondo omofobico».
CorSera 30-1-2008



Cattolici di Hanoi continuano la protesta sfidando l’ultimatum del governo
Il governo locale minaccia “azioni estreme” se le dimostrazioni non cessano. I media accusano la Chiesa di violenze contro pubblici ufficiali e di minare l’ordine pubblico. La diocesi risponde accusando i media di manipolazione e rivendicando la proprietà della nunziatura da parte della Chiesa.
Hanoi (AsiaNews) – Più di 3 mila cattolici si sono radunati nel giardino della nunziatura apostolica di Hanoi a pregare, in aperta sfida all’ultimatum posto dal governo della città di liberare l’area e terminare le manifestazioni entro le 5 di ieri pomeriggio. Molti cattolici hanno perfino dormito nel giardino dell’edificio, sequestrato dal governo nel 1959 e che la Chiesa vietnamita continua a richiedere indietro, ora che si vuole utilizzare per costruire ristoranti e night club. Intanto l’arcivescovo di Hanoi, mons. Joseph Ngô Quang Kiệt ha diramato oggi un comunicato in cui rivendica il diritto dei cattolici a manifestare in un’area della Chiesa cattolica, sottratta ingiustamente dallo stato.
Il 26 gennaio scorso il Comitato del popolo di Hanoi ha emesso un comunicato, minacciando “azioni estreme” se le manifestazioni e il sit in - che continua dal 23 dicembre scorso – non terminavano entro le 5 del pomeriggio di ieri.
La dichiarazione a firma di Ngo Thi Thang Hang, la vice-presidente, esige dall’arcivescovo della città di ordinare ai cattolici di togliere la statua della Madonna, presente nel giardino della nunziatura, e la croce che i fedeli hanno piantato davanti all’entrata dell’edificio. Ngo Thi Thang Hang ha anche ordinato al vescovo di “presentare a lei un rapporto entro le 18” di ieri.
Intanto la stampa governativa ha aperto una campagna di disinformazione sui tafferugli avvenuti lo scorso 25 gennaio, in cui alcuni cattolici sono entrati nel giardino dell’edificio per salvare una donna picchiata dalla polizia perché era penetrata nell’area per portare dei fiori alla statua della Madonna presente in giardino.
La stampa accusa i cattolici di Hanoi di aver attaccato le forze di sicurezza e domandano la governo di ristabilire l’ordine prendendo le misure più severe.
Il p. Joseph Nguyen, che ha assistito agli scontri del 25 gennaio, bolla la lettura dei giornali comne una “svergognata distorsione”. E ad AsiaNews spiega: La preghiera di protesta si è tenuta alle 11.30, dopo la messa. Durante la dimostrazione, una donna Hmong ha saltato il cancello della nunziatura e ha deposto alcuni fiori alla statua della Madonna nell’area dell’edificio”.
“Il personale di sicurezza l’ha scoperta e ha cercato di afferrarla. Senza badare alle sue spiegazioni, essi hanno cominciato a picchiarla e a darle calci. Erano presenti almeno 2 mila cattolici come testimoni. Un comandante del personale di sicurezza ha perfino ordinato ad alta voce alle sue guardie di picchiare la donna fino a farla morire”.
“L’avvocato Lê Quoc Quan, lì presente, è intervenuto in difesa della donna, accusando le guardie di violare la legge. Le guardie allora hanno cominciato a picchiare anche lui, trascinandolo in un ufficio interno”.
“Vedendo tutto questo, i dimostranti non hanno avuto altra scelta che forzare il cancello e scontrarsi con la pubblica sicurezza. Dire però che i cattolici hanno attaccato il personale di sicurezza è una grossa menzogna”.
Ieri in tutte le messe nella capitale, i cattolici sono stati informati sull’ultimatum. Ma nonostante ciò, essi hanno deciso di manifestare ancora davanti alla nunziatura, con canti e preghiere.
Quest’oggi l’ufficio dell’arcidiocesi di Hanoi ha emesso un comunicato in cui si criticano i media statali di non presentare in modo “accurato” gli eventi di questi giorni.
Secondo radio, televisione e giornali di stato, l’arcidiocesi non può pretendere la proprietà dell’edificio perchè “il 24 novembre 1961, il p. Nguyễn Tùng Cương, allora amministratore della diocesi,… ha donato la proprietà al governo”.
L’arcivescovado risponde che l’autorità competente per tale transazione è solo “il vescovo diocesano, col consenso del consiglio finanziario e il collegio dei consultori”. Il comunicato precisa che “di sicuro egli [il p. Nguyễn Tùng Cương] non ha mai fatto alcuna donazione”. Esso ricorda pure che la Costituzione vietnamita difende la libertà religiosa e i luoghi di preghiera; inoltre, l’ordinanza 21/2004/PL-UBTVQH11 del 18 giugno 2004 specifica che le proprietà legali delle organizzazioni religiose sono protette dalla legge e che ogni violazione di tale diritto è proibito.
I media statali accusano i cattolici di Hanoi di distruggere proprietà dello stato, occupare suolo statale, radunarsi e pregare illegalmente su suolo pubblico, disturbare l’ordine publico erigendo una croce nel giardino della nunziatura, diffondere notizie distorte su internet.
Il comunicato della diocesi precisa che la proprietà in questione non è dello stato. “Il governo non ha alcuna prova che la Chiesa del Vietnam glielo ha donato, né vi è un decreto di confisca. Essa è perciò ancora proprietà della diocesi”. Da questo punto di vista, i raduni e le preghiere su una proprietà della Chiesa sono perfettamente legali e non possono essere interpretati come “raduni illegali su aree pubbliche”. Anche la statua della Vergine e la croce “erano lì in origine. I fedeli li hanno solo riportati dove erano prima”.
Sulle accuse di diffondere notizie distorte su internet, la diocesi sottolinea che tali articoli “sono stati messi da molte persone e l’arcidiocesi di Hanoi non ne è responsabile”. Ma, continua, “la maggior parte di essi sono accurati ed è diritto dei cittadini, protetto dalla Costituzione” il diffonderli. Al contrario, conclude il comunicato dell’arcidiocesi, “sono la radio e la televisione di Hanoi, il giornale ‘La Nuova Hanoi’ e il ‘Capital security’ ad aver in modo intenzionale distorto la In una dichiarazione del 14 gennaio scorso, il Comitato del popolo di Hanoi ha accusato l’arcivescovo della capitale di “usare la libertà di religione per provocare proteste contro il governo” e così “danneggiare le relazioni fra il Vietnam e il Vaticano”.
di J.B. An Dang
AsiaNews 28/01/2008

2) Arcivescovo di Hanoi: Pronto ad andare in prigione per il mio gregge
Hanoi (AsiaNews) – Continua il sit-in dei cattolici di Hanoi nel giardino dell’ex nunziatura, nonostante l’ultimatum lanciato dal governo di liberare il sito dalle 5 del pomeriggio di domenica scorsa. I giornali statali lanciano una nuova ondata di insulti su vescovo e fedeli. Alcuni cattolici pensano che questo sia un preparare il terreno a un gesto di forza.
Dal 23 dicembre l’edificio della ex nunziatura vaticana nella capitale è punto di raccolta di migliaia di cattolici che domandano di riavere indietro l’edificio sequestrato dallo stato nel ’59 e che ora sta per essere venduto per fare ristoranti e night club. Il governo locale ha già minacciato “azioni estreme” se i gruppi di fedeli che continuano a pregare davanti l’edificio e nel giardino non smettono di “minare all’ordine pubblico”.
P. Joseph Nguyen commenta ad AsiaNews: “Attualmente, nel giardino della ex nunziatura vi sono centinaia di religiosi e religiose, insieme a tanti laici che pregano. Ma vi sono anche un gran numero di poliziotti della sicurezza, in uniforme e in borghese. Si mescolano alla gente e prendono foto, filmano con delle videocamere. Temo che ci possa essere un attacco da un momento all’altro.
L’arcivescovo, mons. Joseph Ngô Quang Kiệt, ci ha detto che pregare è un diritto umano basilare, protetto dalla legge e che lui è pronto ad andare anche in prigione per il suo gregge, se il governo fa una prova di forza”.
Intanto una nuova campagna stampa accusa i fedeli cattolici di essere “ingenui” e di confidare troppo nei loro leader che vogliono “impadronirsi illegalmente dell’edificio”. Anche il giornale della polizia, il Capital security, accusa il clero di Hanoi di “mentire al loro popolo” e di “costringerli a dimostrare contro il governo”.
Joseph Vu Van Khoat,che da venerdì scorso continua il sit-in nel giardino della residenza, bolla le cose dei giornali come “senza senso”. “Non mi interessa quello che scrivono – dice ad AsiaNews. Basta andare per le strade e domandare a chiunque: nessuno crede loro. Tutti sanno che siamo qui per pregare pacificamente e per chiedere giustizia. Ma è il loro lavoro raccontare bugie”.
“Perché non pubblicano sui giornali la dichiarazione dell’arcivescovo?” si domanda Maria Doan Thi Tuyet. Il 28 gennaio a diocesi ha infatti diffuso una dichiarazione in cui si spiega che l’edificio della nunziatura non è mai stato “donato” (come invece pretende il governo locale). Esso inoltre afferma che il raduno dei cattolici è perfettamente legale.
“In quel comunicato – continua la signora Doan Thi Tuyet – l’arcivescovo risponde punto per punto a tutte le accuse della stampa. Noi continuiamo a protestare perché siamo vittime di uno spirito ideologico. Per 30 anni abbiamo presentato richiesta di riavere indietro l’edificio e non abbiamo mai ricevuto risposta. Il governo tratta sempre noi cattolici come cittadini di seconda classe”.
di J.B. An Dang
AsiaNews 30/01/2008