martedì 8 gennaio 2008

Nella rassegna stampa di oggi:

1) Discorso del Papa al Corpo Diplomatico accreditato presso la Santa Sede
2) IL PAPA AGLI AMBASCIATORI SULLE CRISI E LE SPERANZE DEL MONDO - «Diritti umani ovunque senza eccezioni»
3) Sulla 194 importanti concessioni ma senza tirare in ballo la RU486
4) La storia e la giustizia nella nuova enciclica di Benedetto XVI
5) Cristiani sotto attacco: La minaccia via sms: avete i giorni contati
6) Aborto: Il Papa: discuterne come si è fatto per la pena di morte
7) La storia e la giustizia nella nuova enciclica di Benedetto XVI Roberto Pertici
8) Scola: «Applicare le leggi con giustizia e misericordia»
9) Universale, non intollerante la fede secondo Ratzinger Benedetto XVI


Discorso del Papa al Corpo Diplomatico accreditato presso la Santa Sede
CITTA' DEL VATICANO, lunedì, 7 gennaio 2008 (ZENIT.org).- Pubblichiamo il discorso pronunciato da Benedetto XVI nel ricevere questo lunedì mattina in udienza i membri del Corpo Diplomatico accreditato presso la Santa Sede, per la presentazione degli auguri per il nuovo anno.


* * *
Eccellenze,
Signore e Signori!
1. Saluto cordialmente il vostro decano, l'Ambasciatore Giovanni Galassi, e lo ringrazio per le amabili parole che mi ha rivolto a nome del Corpo diplomatico accreditato. A ciascuno di voi va un saluto deferente, in particolare a coloro che partecipano per la prima volta a questo incontro. Attraverso di voi, esprimo i miei fervidi voti ai popoli e ai governi da voi rappresentati con dignità e competenza. Un lutto ha colpito la vostra comunità alcune settimane fa: l'Ambasciatore di Francia, il Signor Bernard Kessedjian, ha terminato il suo pellegrinaggio terreno; che il Signore lo accolga nella sua pace! Parimenti oggi un pensiero speciale va alle nazioni che ancora non intrattengono relazioni diplomatiche con la Santa Sede: anch'esse hanno un posto nel cuore del Papa. La Chiesa è profondamente convinta che l'umanità costituisca una famiglia, come ho voluto sottolineare nel Messaggio per la celebrazione della Giornata mondiale della Pace di quest'anno.
2. In uno spirito di famiglia, sono state allacciate le relazioni diplomatiche con gli Emirati Arabi Uniti e che si sono compiute visite a Paesi che mi sono molto cari. L'accoglienza calorosa dei Brasiliani vibra ancora nel mio cuore! In questo Paese, ho avuto la gioia di incontrare i rappresentanti della grande famiglia della Chiesa nell'America Latina e dei Caraibi, riuniti ad Aparecida per la Quinta Conferenza generale del CELAM. Nell'ambito economico e sociale, ho potuto raccogliere dei segni eloquenti di speranza per quel Continente, ma al tempo stesso motivi di preoccupazione. Come non augurarsi un'accresciuta cooperazione fra i popoli dell'America Latina e, in ciascuno dei Paesi che la compongono, l'abbandono delle tensioni interne, affinché possano convergere sui grandi valori ispirati dal Vangelo? Desidero ricordare Cuba, che si appresta a celebrare il decimo anniversario della visita del mio venerato Predecessore. Il Papa Giovanni Paolo II fu ricevuto con affetto dalle Autorità e dalla popolazione ed egli incoraggiò tutti i Cubani a collaborare per un avvenire migliore. Mi sia permesso di riprendere questo messaggio di speranza, che nulla ha perduto della sua attualità.
3. Il mio pensiero e la mia preghiera si sono rivolti soprattutto verso le popolazioni colpite da spaventose catastrofi naturali. Penso agli uragani e alle inondazioni che hanno devastato certe regioni del Messico e dell'America Centrale, come pure dei Paesi dell'Africa e dell'Asia, in particolare il Bangladesh, e una parte dell'Oceania; occorre ricordare inoltre i grandi incendi. Il Cardinale Segretario di Stato, che si è recato in Perù alla fine agosto, mi ha dato una testimonianza diretta delle distruzioni e delle desolazioni provocate dal terribili terremoto, ma anche del coraggio e della fede delle popolazioni colpite. Di fronte ad avvenimenti tragici di questo genere, occorre un impegno comune e forte. Come ho scritto nell'Enciclica sulla speranza, "la misura dell'umanità si determina essenzialmente nel rapporto con la sofferenza e col sofferente. Questo vale per il singolo come per la società" (Spe salvi, n. 38).
4. La preoccupazione della comunità internazionale continua ad essere viva per il Medio Oriente. Sono lieto che la Conferenza di Annapolis abbia manifestato segni sulla via dell'abbandono del ricorso a soluzioni parziali o unilaterali a favore di un approccio globale, rispettoso dei diritti e degli interessi dei popoli della regione. Faccio appello, ancora una volta, ad Israeliani e Palestinesi, affinché concentrino le proprie energie per l'applicazione degli impegni presi in quella occasione e non fermino il processo felicemente rimesso in moto. Invito inoltre la comunità internazionale a sostenere questi due popoli con convinzione e comprensione per le sofferenze e i timori di entrambi. Come non essere vicini al Libano, nelle prove e violenze che continuano a scuotere questo caro Paese? Formulo voti che i Libanesi possano decidere liberamente del loro futuro e chiedo al Signore di illuminarli, a cominciare dai responsabili della vita pubblica affinché, mettendo da parte gli interessi particolari, siano pronti ad impegnarsi sul cammino del dialogo e della riconciliazione. Solo in questa maniera il Paese potrà progredire nella stabilità ed essere nuovamente un esempio di convivialità fra le comunità. Anche in Iraq la riconciliazione è una urgenza! Attualmente gli attentati terroristici, le minacce e le violenze continuano, in particolare contro la comunità cristiana, e le notizie giunte ieri confermano la nostra preoccupazione; è evidente che resta da tagliare il nodo di alcune questioni politiche. In tale quadro, una riforma costituzionale appropriata dovrà salvaguardare il diritti delle minoranze. Sono necessari importanti aiuti umanitari per le popolazioni toccate dalla guerra; penso particolarmente agli sfollati all'interno del Paese e ai rifugiati all'estero, fra i quali si trovano numerosi cristiani. Invito la comunità internazionale a mostrarsi generosa verso di loro e verso i Paesi dove trovano rifugio, le capacità di accoglienza dei quali sono messi a dura prova. Desidero anche esprimere il mio incoraggiamento affinché si continui a perseguire senza sosta la via della diplomazia per risolvere la questione del programma nucleare iraniano, negoziando in buona fede, adottando misure destinate ad aumentare la trasparenza e la confidenza reciproca, e tenendo sempre conto degli autentici bisogni dei popoli e del bene comune della famiglia umana.
5. Allargando il nostro sguardo all'intero continente asiatico, vorrei attirare la vostra attenzione sua qualche altra situazione di crisi. Sul Pakistan, in primo luogo, che è stato duramente colpito dalla violenza negli ultimi mesi. Mi auguro che tutte le forze politiche e sociali si impegnino nella costruzione di una società pacifica, che rispetti i diritti di tutti. In Afghanistan alla violenza si aggiungono altri gravi problemi sociali, come la produzione di droga; è necessario offrire ancor più sostegni agli sforzi di sviluppo e si dovrebbe operare ancor più intensamente per edificare un avvenire sereno. Nello Sri Lanka non è più possibile rinviare a un dopo degli sforzi decisivi per dar rimedio alle immense sofferenze causate dal conflitto in corso. E io chiedo al Signore che in Myanmar, con il sostegno della comunità internazionale, si apra una stagione di dialogo fra il governo e l'opposizione, che assicuri un vero rispetto di tutti i diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali.
6. Rivolgendomi ora all'Africa, vorrei in primo luogo manifestare nuovamente la mia profonda sofferenza nel constatare come la speranza appaia quasi vinta dal sinistro corteo di fame e di morte che continua nel Darfur. Auspico di vero cuore che l'operazione congiunta delle Nazioni Unite e dell'Unione Africana, la cui missione è appena iniziata, porti aiuto e conforto alle popolazioni provate. Il processo di pace nella Repubblica Democratica del Congo si scontra con forti resistenze presso i Grandi Laghi, soprattutto nelle regioni orientali, e la Somalia, in particolare a Mogadiscio, continua ad essere afflitta da violenze e dalla povertà. Faccio appello alle parti in conflitto perché cessino le operazioni militari, che sia facilitato il passaggio degli aiuti umanitari e che i civili siano rispettati. Il Kenya in questi ultimi giorni ha conosciuto una brusca esplosione di violenza. Associandomi all'appello lanciato dai Vescovi il 2 gennaio, invito tutti gli abitanti, e in particolare i responsabili politici, a ricercare mediante il dialogo una soluzione pacifica, fondata sulla giustizia e sulla fraternità. La Chiesa cattolica non è indifferente ai gemiti di dolore che si innalzano da queste regioni. Ella fa proprie le richieste di aiuto dei rifugiati e degli sfollati, e si impegna per favorire la riconciliazione, la giustizia e la pace. Quest'anno l'Etiopia festeggia l'entrata nel terzo millennio cristiano e sono sicuro che le celebrazioni organizzate per questo evento contribuiranno anche a ricordare l'opera immensa, sociale ed apostolica, adempiuta dai cristiani in Africa.
7. Terminando con l'Europa, mi compiaccio per i progressi compiuti nei diversi Paesi della regione dei Balcani ed esprimo ancora una volta l'augurio che lo statuto definitivo del Kosovo prenda in considerazione le legittime rivendicazioni delle parti in causa e garantisca sicurezza e rispetto dei loro diritti a quanti abitano questa terra, perché si allontani definitivamente lo spettro del confronto violento e sia rafforzata la stabilità europea. Vorrei citare ugualmente Cipro, nel ricordo gioioso della visita di Sua Beatitudine l'Arcivescovo Crisostomo II, nello scorso mese di giugno. Esprimo l'augurio che, nel contesto dell'Unione Europea, non si risparmi alcuno sforzo per trovare soluzione ad una crisi che dura da troppo tempo. Lo scorso mese di settembre ho compiuto una visita in Austria, che ha voluto sottolineare anche il contributo essenziale che la Chiesa cattolica può e vuole dare all'unificazione dell'Europa. E a proposito di Europa, vorrei assicurarvi che seguo con attenzione il periodo che si apre con la firma del "Trattato di Lisbona". Tale tappa rilancia il processo di costruzione della "casa Europa", che "sarà per tutti gradevolmente abitabile solo se verrà costruita su un solido fondamento culturale e morale di valori comuni che traiamo dalla nostra storia e dalle nostre tradizioni" (Incontro con le Autorità e il Corpo Diplomatico, Vienna, 7 settembre 2007) e se essa non rinnegherà le proprie radici cristiane.
8. Da questo rapido giro d'orizzonte appare chiaramente che la sicurezza e la stabilità del mondo permangono fragili. I fattori di preoccupazione sono diversi, testimoniano tutti che la libertà umana non è assoluta, bensì che si tratta di un bene condiviso e la cui responsabilità incombe su tutti. Di conseguenza, l'ordine e il diritto ne sono elementi di garanzia. Ma il diritto può essere una forza di pace efficace solo se i suoi fondamenti sono solidamente ancorati nel diritto naturale, dato dal Creatore. È anche per tale ragione che non si può mai escludere Dio dall'orizzonte dell'uomo e della storia. Il nome di Dio è un nome di giustizia; esso rappresenta un appello pressante alla pace.
9. Questa presa di coscienza potrebbe aiutare, fra l'altro, a orientare le iniziative di dialogo interculturale e interreligioso. Tali iniziative sono sempre più numerose e possono stimolare la collaborazione su temi di interesse reciproco, come la dignità della persona umana, la ricerca del bene comune, la costruzione della pace e lo sviluppo. A tale proposito, la Santa Sede ha voluto dare un rilievo particolare alla propria partecipazione al dialogo ad alto livello sulla comprensione fra le religioni e le culture e la cooperazione per la pace, nel quadro della 62ª Assemblea Generale delle Nazioni Unite (4-5 ottobre 2007). Per esser vero, questo dialogo deve essere chiaro, evitando relativismi e sincretismi, ma animato da un sincero rispetto per gli altri e da uno spirito di riconciliazione e di fraternità. La Chiesa cattolica vi è profondamente impegnata e mi piace evocare nuovamente la lettera indirizzatami, lo scorso 13 ottobre, da 138 personalità musulmane e rinnovare la mia gratitudine per i nobili sentimenti che vi sono espressi.
10. Giustamente la nostra società ha incastonato la grandezza e la dignità della persona umana in diverse dichiarazioni dei diritti, formulate a partire dalla Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo, adottata giusto sessant'anni fa. Questo atto solenne è stato, secondo l'espressione di Papa Paolo VI, uno dei più grandi titoli di gloria delle Nazioni Unite. In tutti i continenti la Chiesa cattolica si impegna affinché i diritti dell'uomo siano non solamente proclamati, ma applicati. Bisogna augurarsi che gli organismi, creati per la difesa e la promozione dei diritti dell'uomo, consacrino tutte le proprie energie a tale scopo e, in particolare, che il Consiglio dei Diritti dell'Uomo sappia rispondere alle attese suscitate per la sua creazione.
11. La Santa Sede, per parte sua, non si stancherà di riaffermare tali principi e tali diritti fondati su ciò che è permanente ed essenziale alla persona umana. È un servizio che la Chiesa desidera rendere alla vera dignità dell'uomo, creato ad immagine di Dio. E partendo precisamente da queste considerazioni non posso non deplorare ancora una volta gli attacchi continui perpetrati in tutti i Continenti contro la vita umana. Vorrei richiamare, insieme con tanti ricercatori e scienziati, che le nuove frontiere della bioetica non impongono una scelta fra la scienza e la morale, ma che esigono piuttosto un uso morale della scienza. D'altra parte, ricordando l'appello del Papa Giovanni Paolo II in occasione del Grande Giubileo dell'Anno 2000, mi rallegro che lo scorso 18 dicembre l'Assemblea Generale delle Nazioni Unite abbia adottato una risoluzione chiamando gli Stati ad istituire una moratoria sull'applicazione della pena di morte ed io faccio voti che tale iniziativa stimoli il dibattito pubblico sul carattere sacro della vita umana. Mi rammarico ancora una volta per i preoccupanti attacchi all'integrità della famiglia, fondata sul matrimonio fra un uomo e una donna. I responsabili della politica di qualsiasi parte essi siano dovrebbero difendere questa istituzione, cellula base della società. Che dire di più! Anche la libertà religiosa, esigenza inalienabile della dignità di ogni uomo e pietra angolare nell'edificio dei diritti umani" (Messaggio per la celebrazione della Giornata Mondiale della Pace 1988, preambolo), è spesso compromessa. Effettivamente, vi sono molti luoghi nei quali essa non può esercitarsi pienamente. La Santa Sede la difende e ne domanda il rispetto per tutti. Essa è preoccupata per le discriminazioni contro i cristiani e contro i seguaci di altre religioni.
12. La pace non può essere una semplice parola o un'aspirazione illusoria. La pace è un impegno e un modo di vita che esige che si soddisfino le legittime attese di tutti, come l'accesso al cibo, all'acqua e all'energia, alla medicina e alla tecnologia, come pure il controllo dei cambiamenti climatici. Solo così si può costruire l'avvenire dell'umanità; soltanto così si favorisce lo sviluppo integrale per oggi e per domani. Forgiando un'espressione particolarmente felice, il Papa Paolo VI sottolineava 40 anni fa, nell'enciclica Populorum progressio, che "lo sviluppo è il nuovo nome della pace". Per tale ragione, per consolidare la pace occorre che i risultati macroeconomici positivi, ottenuti da numerosi Paesi in via di sviluppo nel 2007, siano sostenuti da politiche sociali efficaci, e con la posa in opera di impegni di assistenza da parte dei Paesi ricchi.
13. Infine, vorrei esortare la Comunità internazionale ad un impegno globale a favore della sicurezza. Uno sforzo congiunto da parte degli Stati per applicare tutti gli obblighi sottoscritti e per impedire l'accesso dei terroristi alle armi di distruzione di massa rinforzerebbe, senza alcun dubbio, il regime di non proliferazione nucleare e lo renderebbe più efficace. Saluto l'accordo concluso per lo smantellamento del programma di armamento nucleare in Corea del Nord ed incoraggio l'adozione di misure appropriate per la riduzione degli armamenti di tipo classico, e per affrontare il problema umanitario posto dalle munizioni a grappolo.
Signore e Signori Ambasciatori!
14. La diplomazia e, in un certo modo, l'arte della speranza. Essa vive della speranza e cerca di discernerne persino i segni più tenui. La diplomazia deve dare speranza. La celebrazione del Natale viene ogni anno a ricordarci che, quando Dio si è fatto piccolo bambino, la Speranza è venuta ad abitare nel mondo, al cuore della famiglia umana. Questa certezza diventa oggi preghiera: che Dio apra il cuore di quanti governano la famiglia dei popoli alla Speranza che mai delude! Animato da tali sentimenti, rivolgo a ciascuno di voi i miei migliori auguri, affinché anche voi, i vostri collaboratori e i popoli da voi rappresentati siano illuminati dalla Grazia e dalla Pace che ci vengono dal Bambino di Betlemme.


[Traduzione dell'originale in francese distribuita dalla Santa Sede
© Copyright 2008 - Libreria Editrice Vaticana]



IL PAPA AGLI AMBASCIATORI SULLE CRISI E LE SPERANZE DEL MONDO - «Diritti umani ovunque senza eccezioni» DISCUSSIONE LAICA, RAZIONALE, NON EMOTIVA - CORAGGIO DI PORRE A TEMA IL VALORE PRIMORDIALE DELLA VITA
Avvenire, 8.1.2008
MARINA CORRADI
Che la moratoria dell’Onu sulla pena di morte «stimo­li il dibattito pubblico sul carat­tere sacro della vita umana». È pacato l’inciso del Papa, nel di­scorso rivolto ai rappresentanti del Corpo diplomatico, e dedi­cato agli scenari mondiali. Pen­soso, quasi denso di una acco­rata umiltà: quella comunità in­ternazionale che dice 'no' alla pena capitale, riconoscendo in sostanza una intangibilità della vita umana, si interroghi pub­blicamente sul diritto alla vita, fin dal suo inizio. È un invito, an­zi un 'fare voti', secondo l’e­spressione letterale di Benedet­to XVI: se la morte non può es­sere data per una intrinseca sa­cralità della vita anche del peg­giore degli uomini, andiamo ol­tre, vediamo in quale direzione ci porta questo asserto, quando parliamo di principio della vita. Guardate, sembra dire il Papa: la vita che la comunità politica internazionale difende con la moratoria dell’Onu, non è la stessa, non incomincia già in quel tempo in cui viene invece 'normalmente' eliminata nel mondo 50 milioni di volte al­l’anno?
Non ha toni da anatema quella frase, né è, tra le righe, l’'ordi­ne' dal Vaticano di smantellare la legge sull’aborto di questo o quello Stato. Coloro che, in Ita­lia ad esempio, ripetono sempre e soltanto che «la 194 non si toc­ca » non hanno motivo di inal­berarsi. Il Papa dice una cosa al­tra o precedente: che si apra, o­vunque, una riflessione pubbli­ca sul carattere sacro della vita. Come una spinta, sul tema del­l’aborto, a ricominciare dalla 'cultura', intesa come dibatti­to, visione del mondo, educa­zione.
L’inciso del Papa sottolinea una contraddizione: se sulla inam­missibilità della pena capitale oggi l’occidente democratico è d’accordo, sull’aborto inteso co­me diritto intangibile invece re­siste almeno in Italia una sorta di tabù, di stereotipata reazione pavloviana: «La 194 non si toc­ca ». Ma – fermo restando che, visti i progressi delle tecniche di rianimazione neonatale, sem­bra necessario porre almeno un limite temporale all’aborto te­rapeutico – l’accento posto da Benedetto XVI va innanzitutto sul piano culturale. Più sull’a­pertura a un nuovo sguardo che a battaglie politiche contro una legge che resta sostanzialmente iniqua per le quali, oggi in Italia, non paiono esserci le condizio­ni; battaglie che invece – ciò che alcuni pro-life non colgono su­bito – potrebbero schiudere la porta a derive gravi sul fronte ampio della legislazione in ma­terie bioetiche.
Sul Corriere di ieri il vicediretto­re Pierluigi Battista diceva, da laico, qualcosa di non molto di­verso su quello che potremmo chiamare il 'primato della cul­tura': e cioè che l’unico modo per tornare a discutere di abor­to è nello «sfidare il senso co­mune sulla base di un argo­mento culturale». La 194 non si tocca, scrive Battista, ma perché, si domanda lealmente, anche la cultura sull’aborto deve aspira­re a uno statuto di intoccabilità? È una domanda interessante da girare a quanti abbiano il corag­gio di guardare all’aborto come è oggi: fenomeno di massa, in buona parte di extracomunita­rie, o prassi normale tanto da pensare di risolverla con una pil­lola. È una domanda molto lai­ca, là dove invece alcuni, come Antonio Scurati sulla 'Stampa', nell’inneggiare a un’Italia mo­noliticamente «laica e materia­lista » definiscono l’embrione «macchia di gelatina fetale» o «poltiglia di materia cieca». Mac­chia, poltiglia, come dire un nul­la. Espressioni stranamente vi­rulente in bocca a un 'laico' che poi accusa cattolici e 'atei de­voti' di agire in preda a un «pa­nico morale».
Mentre a noi pare che solo un inconfessato panico possa far chiamare un embrione «gelati­na ». Il panico di chi ha come i­dolo la assoluta libertà indivi­duale, indifferente a ogni altra i­stanza etica. E non intende fare un solo passo per vedere una di­versa realtà, che potrebbe nuo­cere al suo personale diritto – cioè al suo unico dio, feroce­mente difeso da un 'laico' tabù.


A PROPOSITO DI DICHIARAZIONI DEL SEN. TONINI E DEL PROF . C ECCANTI
Sulla 194 importanti concessioni ma senza tirare in ballo la RU486
Avvenire, 8.1.2008
ASSUNTINA MORRESI
Ancora una buona notizia dalla Lombardia: dopo il sostegno economico al Centro di Aiuto alla Vita della Clinica Mangiagalli di Milano, è in arrivo un atto amministrativo orientato alla piena applicazione della legge 194 sul territorio regionale. Si sta verificando la possibilità di estendere a tutta la Lombardia le regole che si sono dati due ospedali milanesi, il San Paolo e la Mangiagalli, e altri tre nosocomi della regione nei quali dopo la ventunesima-ventiduesima settimana di gravidanza non è più possibile effettuare aborti. È un esempio concreto di piena e corretta attuazione della legge 194, in cui (precisamente all’articolo 7) è detto che quando c’è possibilità di vita autonoma del feto è vietato abortire. Va sottolineato che il testo della legge parla di semplice «possibilità», non di probabilità; significa che non valgono le statistiche di sopravvivenza, ma basta che anche solo in qualche caso un bimbo fortemente prematuro ce l’abbia fatta, perché sia proibito ucciderlo.
La 194 non ha posto un limite fisso agli aborti tardivi, ma ha fornito un criterio chiaro; questo perché gli avanzamenti delle terapie e delle tecniche mediche possono spostare il limite anche di molto.
Infatti, se al momento dell’entrata in vigore della legge la prassi medica indicava nelle 28 settimane di gravidanza il termine oltre il quale era possibile la vita autonoma del feto, adesso, dopo trent’anni, la scienza ci dice che si può vivere anche alla ventiduesima settimana. Nessuna forzatura ideologica, quindi, nell’iniziativa assunta dai sanitari lombardi, ma una responsabile applicazione della legge alla luce dei progressi della medicina neonatale.
Fa, poi, piacere registrare che due esponenti del Partito democratico del livello di Giorgio Tonini e Stefano Ceccanti abbiano convenuto sulla necessità di applicare la 194 nel punto che riguarda gli aborti tardivi, riconoscendo che è giusto emanare una regola attuativa che fissi un limite; non si capisce, però, perché abbiano messo nel calderone anche l’introduzione della pillola abortiva Ru486. Se la proposta si ponesse come una sorta di 'scambio' (limite agli aborti oltre la 22° settimana contro pillola abortiva), non sarebbe proponibile né accettabile. Ma, conoscendo la serietà sia del senatore Tonini che del professor Ceccanti, siamo sicuri che l’intenzione non è questa.
L’argomentazione adottata è che, se si chiede l’adeguamento della legge alle tecniche mediche più aggiornate, bisogna farlo a tutti i livelli: dunque sì alle garanzie per i prematuri, ma sì anche all’aborto farmacologico.
È importante, allora, chiarire bene i termini della questione. Nessuno, finora, ha posto alcun divieto all’uso della pillola abortiva: semplicemente la ditta che produce la Ru486 non aveva presentato la richiesta di commercializzazione fino allo scorso novembre, e attualmente la pratica è sotto esame dell’ente di farmacovigilanza. Nel caso in cui la richiesta fosse accolta non ci sarebbe alcun vuoto normativo da riempire: la legge prevede che le interruzioni di gravidanza debbano avvenire all’interno delle strutture sanitarie pubbliche. Le donne che scelgono l’aborto chimico, quindi, dovrebbero essere ricoverate per almeno tre giorni, perché questo è il tempo mediamente necessario per effettuare l’aborto. Per il resto, le 'novità scientifiche' della pillola abortiva sono note: una mortalità dieci volte maggiore rispetto a quella dell’aborto chirurgico, pesanti effetti collaterali ed eventi avversi, e un’altissima probabilità, per le donne, di vedere l’embrione abortito. La Ru486, ovunque è stata adottata, ha introdotto l’aborto a domicilio, che vuol dire abortire nel bagno di casa, da sole, con in tasca il numero di telefono dell’ospedale più vicino, controllando continuamente le perdite di sangue, e una percentuale altissima (tra il 20 e il 30%) di donne che non si presenta alla visita finale, con i rischi sanitari che ne conseguono.
Importante chiedere finalmente una piena applicazione della legge 194, ma l’aborto fai-da-te, implica, al contrario, una totale disapplicazione della legge, oppure una modifica legislativa che cancelli l’obbligo di effettuare l’aborto nelle strutture sanitarie pubbliche. Se è questo l’«adeguamento» che qualcuno chiede, lo dica chiaramente.


Bagnasco: la fede ha una valenza pubblica

Avvenire, 8.1.2008
GENOVA. Non confinare la religione nell’ambito individuale e «riconoscere la valenza pubblica della fede» perché per creare una società giusta «non bastano leggi più severe» ma è necessario «promuovere una coscienza morale dei singoli e dei popoli». Pochi giorni dopo il discorso di fine anno, l’arcivescovo di Genova e presidente della Conferenza episcopale italiana, cardinale Angelo Bagnasco, è ritornato sul tema della laicità e sul rapporto tra cristianesimo e democrazia. «A volte – ha affermato il porporato durante la sua omelia della Messa per la solenne festività dell’Epifania nella cattedrale di San Lorenzo – si teme che la religione in genere, e la fede cristiana in concreto, non sia compatibile con una democrazia laica, pluralista, tollerante» per cui «si cerca di confinare la dimensione religiosa nel recinto della coscienza individuale e nella semplice libertà di culto, senza riconoscere la valenza pubblica della fede e il diritto delle diverse comunità religiose ad avere un ruolo costruttivo, anche se chiaramente delimitato, negli ambiti della vita civile». «Si ritiene – ha aggiunto – che solo l’irrilevanza delle religioni potrebbe permettere ad uno Stato laico di essere veramente aconfessionale e quindi tollerante e garante di tutti». Questa visione, però, secondo il cardinale, è riduttiva perché «non tiene conto di due dati fondamentali». Il primo deriva dal «cuore dell’evento cristiano» per cui «Dio è uno e trino». Pertanto, ha spiegato il presidente della Cei, «nel Dna del cristianesimo vi è il principio della differenza nell’unità», grazie al quale «nonostante errori e contraddizioni, è nata nei secoli la benefica distinzione tra società civile e dimensione religiosa». «È in questo quadro – ha argomentato poi Bagnasco – che si è sviluppata la concezione della democrazia». Il secondo dato, di carattere storico è «la constatazione che il cristianesimo si è rivelato come una autentica fucina di vita culturale e sociale.
Basta passare in rassegna le numerose istituzioni religiose che lottano in prima linea contro l’emarginazione e il degrado». È proprio grazie alla sua intima struttura che il cristianesimo «nonostante ombre e lentezze – ha concluso l’arcivescovo di Genova –, si presenta come potente antidoto contro il pericolo sempre in agguato di una mercificazione dell’uomo».
Adriano Torti



La minaccia via sms: avete i giorni contati

Avvenire, 8.1.2008

Filo spinato e strade sbarrate dai cavalli di fri­sia. In un angolo l’auto della polizia di pattu­glia. Si presentavano così le chiese di Bagh­dad ieri. Domenica per la liturgia mediorientale e­ra la festa solenne del Battesimo di Gesù. Un bat­tesimo di violenza anche se vi è incertezza sul nu­mero delle vittime: solo un ferito secondo le fonti ufficiali anche se in molti vociferano di cifre addo­mesticate. Almeno cinque morti e altrettanti i feri­ti.
Quella serie di attentati domenica mattina è stata come una pugnalata alla schiena che ha rotto l’il­lusione di celebrare, dopo quattro anni, un Natale nella serenità. Dopo aver ottenuto dal governo al­Maliki la proclamazione del 25 dicembre come gior­no di festa nazionale, alla prima festa cristiana è scattata inequivocabile la persecuzione.
«Poco dopo le 11 un grande botto, in lontananza», racconta Sabri, commerciante caldeo quaranten­ne. La solita autobomba, il solito attentato deve a­ver pensato assieme agli altri pochi caldei rimasti nel quartiere Ghadir. «Nessuno ha pensato alla chie­sa di San Giorgio, alla nostra chiesa». L’illusione di un Natale sereno, in cui si erano potute celebrare regolarmente le liturgie, sembrava una realtà. «Un quarto d’ora, poco più, e un vicino di casa è arriva­to correndo: hanno colpito San Giorgio, l’auto­bomba ha distrutto il muro di cinta». A quell’ora doveva esserci la Messa solenne, ma la continua fu­ga dei cristiani aveva convinto il parroco ad annul­lare la liturgia.
Uno dei primi ad accorrere davanti alla chiesa è sta­to Sanharib. A Baghdad ci sta il meno possibile do­po che, in seguito alle minacce, ha preferito porta­re la sua famiglia in uno sperduto villaggio del nord. Resta a dormire nelle capitale quando è costretto dal suo lavori di autista. «Impossibile pensare di es­sere al sicuro a Baghdad, ma quando ho sentito l’e­splosione venire dal fondo del quartiere mi sono chiesto: cosa avranno mai colpito? Non ci sono ca­serme, non ci sono sedi di partiti politici». Una cor­sa in macchina, ma la strada era già sbarrata dalla polizia e dalla folla di curiosi. Un messaggio trop­po chiaro per i pochi cristiani rimasti: «Bombarda­no le chiese, attaccano i nostri simboli. È un modo per dirci: siete nel mirino. Ma non solo qui nella ca­pitale ». Un suo amico di nome Ammo, rifugiatosi nei villaggi alla periferia di Mosul, nel Nord, ha ri­cevuto un sms: «A tutti gli abitanti di Telkef, Buthaya e Telusquf: i vostri giorni sono contati».
Un’intimidazione chiara, che vuol far sentire stra­niero anche chi in Iraq vive da generazioni. A Mo­sul sono state bombardate tre chiese ricorda Dahud, dirigente del Movimento assiriano democratico. Colpite chiese chiuse perché i cristiani ormai se ne sono andati dalla città: chi ha potuto è scappato in Siria, gli altri nei villaggi del nord. «Noi siamo fug­giti, ma colpiscono i nostri simboli. Voglio farci ca­pire che Mosul è una città musulmana».
Luca Geronico e Anderios Oraha



08 Gennaio 2008 - Corriere della sera, Aborto: Il Papa: discuterne come si è fatto per la pena di morte

07/01/2008 , La storia e la giustizia nella nuova enciclica di Benedetto XVI Roberto Pertici



06.01.2008, Scola: «Applicare le leggi con giustizia e misericordia», Francesco Dal Mas, Avvenire



08.01.2008, Universale, non intollerante la fede secondo Ratzinger Benedetto XVI, Corriere della Sera