lunedì 14 gennaio 2008

Nella rassegna stampa di oggi:

1) Omelia di Benedetto XVI per la festa del Battesimo di Gesù
2) Benedetto XVI: il Battesimo ci apre il cielo - Intervento in occasione dell'Angelus domenicale
3) Ultima chiamata per la Compagnia di Gesù. All'obbedienza
4) Aborto, Ferrara-day a Milano
5) Padre Pio una prova della verità cattolica Secondo Sentiero
6) Comunista indiano, ateo, sostiene la moratoria contro l’aborto


Omelia di Benedetto XVI per la festa del Battesimo di Gesù
CITTA' DEL VATICANO, domenica, 13 gennaio 2008 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito il testo dell'omelia pronunciata questa domenica da Benedetto XVI in occasione della festa del Battesimo di Gesù.
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Cari fratelli e sorelle,
l'odierna celebrazione è sempre per me motivo di gioia speciale. Amministrare il sacramento del Battesimo, nel giorno della festa del Battesimo del Signore, è infatti uno dei momenti più espressivi della nostra fede, in cui possiamo quasi vedere, attraverso i segni della liturgia, il mistero della vita. In primo luogo, vita umana, rappresentata qui in particolare da questi 13 bambini che sono il frutto del vostro amore, cari genitori, ai quali rivolgo il mio cordiale saluto, estendendolo ai padrini, alle madrine e agli altri parenti ed amici presenti. C'è poi il mistero della vita divina, che oggi Dio dona a questi piccoli mediante la rinascita dall'acqua e dallo Spirito Santo. Dio è vita, come è anche stupendamente rappresentato da alcune pitture che impreziosiscono questa Cappella Sistina.
Non sembri però fuori luogo se accostiamo subito, all'esperienza della vita, quella opposta e cioè la realtà della morte. Tutto ciò che ha inizio sulla terra prima o poi finisce, come l'erba del campo, che spunta al mattino e avvizzisce la sera. Però nel Battesimo il piccolo essere umano riceve una vita nuova, la vita della grazia, che lo rende capace di entrare in relazione personale con il Creatore, e questo per sempre, per tutta l'eternità. Sfortunatamente l'uomo è capace di spegnere questa nuova vita con il suo peccato, riducendosi ad una situazione che la Sacra Scrittura chiama "morte seconda". Mentre nelle altre creature, che non sono chiamate all'eternità, la morte significa soltanto la fine dell'esistenza sulla terra, in noi il peccato crea una voragine che rischia di inghiottirci per sempre, se il Padre che è nei cieli non ci tende la sua mano. Ecco, cari fratelli, il mistero del Battesimo: Dio ha voluto salvarci andando lui stesso fino in fondo all'abisso della morte, perché ogni uomo, anche chi è caduto tanto in basso da non vedere più il cielo, possa trovare la mano di Dio a cui aggrapparsi e risalire dalle tenebre a rivedere la luce per la quale egli è fatto. Tutti sentiamo, tutti percepiamo interiormente che la nostra esistenza è un desiderio di vita che invoca una pienezza, una salvezza. Questa pienezza di vita ci viene data nel Battesimo.
Abbiamo sentito poco fa il racconto del battesimo di Gesù nel Giordano. Fu un battesimo diverso da quello che questi bambini stanno per ricevere, ma non privo di un profondo rapporto con esso. In fondo, tutto il mistero di Cristo nel mondo si può riassumere con questa parola, "battesimo", che in greco significa "immersione". Il Figlio di Dio, che condivide dall'eternità con il Padre e con lo Spirito Santo la pienezza della vita, è stato "immerso" nella nostra realtà di peccatori, per renderci partecipi della sua stessa vita: si è incarnato, è nato come noi, è cresciuto come noi e, giunto all'età adulta, ha manifestato la sua missione iniziando proprio con il "battesimo di conversione" dato da Giovanni il Battista. Il suo primo atto pubblico, come abbiamo ascoltato poco fa, è stato scendere al Giordano, confuso tra i peccatori penitenti, per ricevere quel battesimo. Giovanni naturalmente non voleva, ma Gesù insistette, perché quella era la volontà del Padre (cfr Mt 3,13-15).
Perché dunque il Padre ha voluto questo? Perché ha mandato il suo Figlio unigenito nel mondo come Agnello a prendere su di sé il peccato del mondo (cfr Gv 1,29)? Narra l'evangelista che, quando Gesù uscì dall'acqua, scese su di lui lo Spirito Santo in apparenza di colomba, mentre la voce del Padre dal cielo lo proclamava "Figlio prediletto" (Mt 3,17). Fin da quel momento dunque Gesù fu rivelato come Colui che è venuto a battezzare l'umanità nello Spirito Santo: è venuto a portare agli uomini la vita in abbondanza (cfr Gv 10,10), la vita eterna, che risuscita l'essere umano e lo guarisce interamente, corpo e spirito, restituendolo al progetto originario per il quale è stato creato. Il fine dell'esistenza di Cristo è stato appunto donare all'umanità la vita di Dio, il suo Spirito d'amore, perché ogni uomo possa attingere da questa sorgente inesauribile di salvezza. Ecco perché san Paolo scrive ai Romani che noi siamo stati battezzati nella morte di Cristo per avere la sua stessa vita di risorto (cfr Rm 6,3-4). Ecco perché i genitori cristiani, come quest'oggi voi, portano appena possibile i loro figli al fonte battesimale, sapendo che la vita, che essi hanno loro comunicato, invoca una pienezza, una salvezza che solo Dio può dare. E in questo modo i genitori diventano collaboratori di Dio nel trasmettere ai loro figli non solo la vita fisica ma anche quella spirituale.
Cari genitori, insieme con voi ringrazio il Signore per il dono di questi bambini ed invoco la sua assistenza perché vi aiuti ad educarli e a inserirli nel Corpo spirituale della Chiesa. Mentre offrite loro ciò che è necessario alla crescita e alla salute, voi, aiutati dai padrini, siete impegnati a sviluppare in essi la fede, la speranza e la carità, le virtù teologali che sono proprie della vita nuova ad essi donata nel sacramento del Battesimo. Assicurerete ciò con la vostra presenza, con il vostro affetto; l'assicurerete prima di tutto e soprattutto con la preghiera, presentandoli quotidianamente a Dio, affidandoli a Lui in ogni stagione della loro esistenza. Certo per crescere sani e forti, questi bambini e bambine avranno bisogno di cure materiali e di tante attenzioni; ciò però che sarà loro più necessario, anzi indispensabile è conoscere, amare e servire fedelmente Dio, per avere la vita eterna. Cari genitori, siate per loro i primi testimoni di una fede autentica in Dio!
C'è nel rito del Battesimo un segno eloquente, che esprime proprio la trasmissione della fede ed è la consegna, per ognuno dei battezzandi, di una candela accesa alla fiamma del cero pasquale: è la luce di Cristo risorto che voi vi impegnate a trasmettere ai vostri figli. Così, di generazione in generazione, noi cristiani ci trasmettiamo la luce di Cristo, in modo che quando Egli ritornerà, possa trovarci con questa fiamma ardente tra le mani. Nel corso del rito io vi dirò: "A voi, genitori e padrini, è affidato questo segno pasquale, fiamma che sempre dovete alimentare". Alimentate sempre, cari fratelli e sorelle, la fiamma della fede con l'ascolto e la meditazione della Parola di Dio e l'assidua comunione con Gesù Eucaristia. Vi aiutino in questa stupenda, anche se non facile, missione i santi Protettori dei quali questi tredici bambini prenderanno i nomi. Aiutino, questi Santi, soprattutto loro, i battezzandi, a corrispondere alle vostre premure di genitori cristiani. Sia in particolare la Vergine Maria ad accompagnare loro e voi, cari genitori, ora e sempre. Amen!
[© Copyright 2007 - Libreria Editrice Vaticana]


Benedetto XVI: il Battesimo ci apre il cielo - Intervento in occasione dell'Angelus domenicale
CITTA' DEL VATICANO, domenica, 13 gennaio 2008 (ZENIT.org).- Riportiamo le parole pronunciate questa domenica a mezzogiorno da Benedetto XVI affacciandosi alla finestra del suo studio nel Palazzo Apostolico vaticano per recitare la preghiera mariana dell'Angelus insieme ai fedeli e ai pellegrini riuniti in piazza San Pietro in Vaticano.
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Cari fratelli e sorelle!
Con l'odierna festa del Battesimo di Gesù si chiude il tempo liturgico del Natale. Il Bambino, che a Betlemme i Magi vennero ad adorare dall'oriente offrendo i loro doni simbolici, lo ritroviamo ora adulto, nel momento in cui si fa battezzare nel fiume Giordano dal grande profeta Giovanni (cfr Mt 3,13). Nota il Vangelo che quando Gesù, ricevuto il battesimo, uscì dall'acqua, si aprirono i cieli e scese su di lui lo Spirito Santo come una colomba (cfr Mt 3,16). Si udì allora una voce dal cielo che diceva: "Questi è il Figlio mio prediletto, nel quale mi sono compiaciuto" (Mt 3,17). Fu quella la sua prima manifestazione pubblica, dopo trent'anni circa di vita nascosta a Nazaret. Testimoni oculari del singolare avvenimento furono, oltre al Battista, i suoi discepoli, alcuni dei quali divennero da allora seguaci di Cristo (cfr Gv 1,35-40). Si trattò contemporaneamente di cristofania e teofania: anzitutto Gesù si manifestò come il Cristo, termine greco per tradurre l'ebraico Messia, che significa "unto": Egli non fu unto con l'olio alla maniera dei re e dei sommi sacerdoti d'Israele, bensì con lo Spirito Santo. Al tempo stesso, insieme con il Figlio di Dio apparvero i segni dello Spirito Santo e del Padre celeste.
Qual è il significato di questo atto, che Gesù volle compiere - vincendo la resistenza del Battista - per obbedire alla volontà del Padre (cfr Mt 3,14-15)? Il senso profondo emergerà solo alla fine della vicenda terrena di Cristo, cioè nella sua morte e risurrezione. Facendosi battezzare da Giovanni insieme con i peccatori, Gesù ha iniziato a prendere su di sé il peso della colpa dell'intera umanità, come Agnello di Dio che "toglie" il peccato del mondo (cfr Gv 1,29). Opera che Egli portò a compimento sulla croce, quando ricevette anche il suo "battesimo" (cfr Lc 12,50). Morendo infatti si "immerse" nell'amore del Padre ed effuse lo Spirito Santo, affinché i credenti in Lui potessero rinascere da quella sorgente inesauribile di vita nuova ed eterna. Tutta la missione di Cristo si riassume in questo: battezzarci nello Spirito Santo, per liberarci dalla schiavitù della morte e "aprirci il cielo", l'accesso cioè alla vita vera e piena, che sarà "un sempre nuovo immergersi nella vastità dell'essere, mentre siamo semplicemente sopraffatti dalla gioia" (Spe salvi, 12).
E' quanto è avvenuto anche per i 13 bambini ai quali ho amministrato il sacramento del Battesimo questa mattina nella Cappella Sistina. Per essi e per i loro familiari invochiamo la materna protezione di Maria Santissima. E preghiamo per tutti i cristiani, affinché possano comprendere sempre più il dono del Battesimo e si impegnino a viverlo con coerenza, testimoniando l'amore del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo.
[Il Papa ha poi salutato i pellegrini in diverse lingue. In Italiano ha detto:]
Si celebra oggi la Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato, che quest'anno pone al centro dell'attenzione i giovani migranti. Numerosi sono infatti i giovani che vari motivi spingono a vivere lontani dalle loro famiglie e dai loro Paesi. Particolarmente a rischio sono le ragazze e i minori. Alcuni bambini e adolescenti sono nati e cresciuti in "campi-profughi": anch'essi hanno diritto ad un futuro! Esprimo il mio apprezzamento per quanti si impegnano in favore dei giovani migranti, delle loro famiglie e per la loro integrazione lavorativa e scolastica; invito le comunità ecclesiali ad accogliere con simpatia giovani e giovanissimi con i loro genitori, cercando di comprenderne le storie e di favorirne l'inserimento. Cari giovani migranti! Impegnatevi a costruire insieme ai vostri coetanei una società più giusta e fraterna, adempiendo i vostri doveri, rispettando le leggi e non lasciandovi mai trasportare dalla violenza. Vi affido tutti a Maria, Madre dell'intera umanità.
Saluto cordialmente i pellegrini di lingua italiana, in particolare i responsabili diocesani della Società di San Vincenzo de' Paoli, augurando ogni bene per la loro associazione. Saluto inoltre i cosiddetti "Consigli Comunali dei Ragazzi" della Provincia di Catania, che apprezzo per l'impegno di educazione civica, i cresimandi della parrocchia di Santa Maddalena di Canossa in Roma e la Lega Italiana per la Lotta contro i Tumori, che oggi offre speciale assistenza agli immigrati ed ai rifugiati in Italia. A tutti auguro una buona domenica.
[© Copyright 2007 - Libreria Editrice Vaticana]



Ultima chiamata per la Compagnia di Gesù. All'obbedienza
I gesuiti eleggono il loro nuovo generale e discutono sui motivi del loro declino. Ma le autorità vaticane hanno già detto che cosa si aspettano da loro: più obbedienza al papa e più fedeltà alla dottrina

di Sandro Magister

ROMA, 11 gennaio 2008 – Dal giorno dopo l'Epifania 226 gesuiti dei cinque continenti sono riuniti a Roma in congregazione generale, la trentacinquesima da quando sant'Ignazio di Loyola (nell'illustrazione con papa Paolo III) fondò l'ordine nel 1540.

La congregazione eleggerà il nuovo superiore generale della Compagnia, al posto del dimissionario Peter-Hans Kolvenbach. E il 21 febbraio Benedetto XVI riceverà in udienza il nuovo eletto, assieme ai delegati convenuti a Roma in rappresentanza dei quasi 20 mila gesuiti di tutto il mondo,

Inoltre, la congregazione discuterà un rapporto su "luci e ombre" della Compagnia e una dozzina di questioni riguardanti l'identità e la missione dei gesuiti nel mondo d'oggi. Compreso il loro voto di obbedienza speciale al papa.

La discussione durerà alcune settimane e sarà protetta dal segreto. Ma quali siano i punti critici si sa. Li ha indicati con parole persino ruvide, nell'omelia della messa che il 7 gennaio ha inaugurato l'assise, un non gesuita autorevolissimo: il cardinale Franc Rodé, prefetto della congregazione per gli istituti di vita consacrata.

È facile indovinare che il cardinale Rodé esprimesse il pensiero e le attese di Benedetto XVI. Ciò che preoccupa il vertice della Chiesa è anche l'influsso che i gesuiti hanno sugli indirizzi di altri ordini religiosi e sulla formazione di sacerdoti e studiosi di teologia nelle numerose scuole e università che la Compagnia gestisce in tutto il mondo, a cominciare dalla Pontificia Università Gregoriana di Roma, fucina di tanti futuri vescovi.

"Vedo con tristezza e inquietudine – ha detto Rodé nell'omelia – che va decadendo sensibilmente in alcuni membri delle famiglie religiose il 'sentire cum Ecclesia' di cui parla frequentemente il vostro fondatore sant'Ignazio".

E ancora:

"Con tristezza e inquietudine vedo anche un crescente allontanamento dalla gerarchia. La spiritualità ignaziana di servizio apostolico 'sotto il Romano Pontefice' non accetta questa separazione".

E più avanti:

"La diversità dottrinale di coloro che a tutti i livelli, per vocazione e missione, sono chiamati ad annunciare il Regno di verità e di amore, disorienta i fedeli e conduce verso un relativismo senza orizzonte. [...] Gli esegeti e gli studiosi della teologia sono impegnati a collaborare per approfondire e spiegare, sotto la vigilanza del magistero, le ricchezze in essa contenute. [...] Coloro che devono vigilare sulla dottrina delle vostre riviste, delle pubblicazioni, lo facciano alla luce e secondo le regole per 'sentire cum Ecclesia' con amore e rispetto".

Non è un mistero che degli ultimi sette teologi inquisiti dalla congregazione per la dottrina della fede quattro appartengono alla Compagnia di Gesù: Jon Sobrino, Roger Haight, Jacques Dupuis, Anthony De Mello.

Ecco qui di seguito il testo integrale dell'omelia del cardinale Rodé, pronunciata in lingua spagnola il 7 gennaio 2008 nella chiesa romana del Santissimo Nome di Gesù, dove è sepolto sant'Ignazio di Loyola:


"Riunire l'amore di Dio con l'amore alla Chiesa gerarchica"

di Franc Rodé

Carissimi membri della XXXV congregazione generale della Compagnia di Gesù, per sant’Ignazio la congregazione generale è un "lavoro e una distrazione" (Const. 677) che interrompe momentaneamente gli impegni apostolici di un gran numero di persone qualificate della Compagnia di Gesù. Differenziandosi nettamente da quanto è abituale in altri Istituti religiosi, le costituzioni della Compagnia stabiliscono che venga celebrata in tempi determinati e non molto spesso.

È necessario riunirla principalmente in due occasioni: per la elezione del preposito generale e quando devono essere trattate cose di particolare importanza, o problemi molto difficili che toccano il corpo della Compagnia.

È la seconda volta nella storia della Compagnia che si riunisce una congregazione cenerale per eleggere un nuovo preposito generale, vivente ancora il suo predecessore. La prima volta fu nel 1983, quando la XXXIII congregazione cenerale accettò la rinuncia del tanto amato P. Arrupe, impossibilitato da un’improvvisa e grave infermità ad esercitare le funzioni di governo. Oggi si riunisce una seconda volta, per fare, davanti al Signore, il discernimento sopra l’accettazione della rinuncia presentata dal Rev.mo P. Kolvenbach, che ha diretto la Compagnia per quasi venticinque anni, con sapienza, prudenza, impegno e lealtà. Farà seguito l’elezione del suo successore. Desidero porgerle, reverendissimo P. Kolvenbach, a nome della Chiesa e mio personale, un vivo ringraziamento per la sua fedeltà, la sua sapienza, la sua rettitudine, il suo esempio di umiltà e povertà. Grazie, P. Kolvenbach.

L’elezione di un nuovo preposito generale ha un valore fondamentale per la vita della Compagnia, non solo perché la sua struttura gerarchica centralizzata concede costituzionalmente al generale piena autorità per il buon governo, la conservazione e la crescita di tutto il corpo della Compagnia, ma anche perché, come dice molto bene Sant’Ignazio, "il benessere del capo ridonda su tutto il corpo, e come sono i Superiori saranno a loro volta gli inferiori" (Const. 820). Perciò il vostro fondatore quando indica le qualità di cui dev’essere ornato il Preposito Generale pone al primo posto che egli sia "un uomo molto unito con Dio nostro Signore e familiare con l’orazione" (Const. 723). Dopo aver menzionato altre importanti qualità, che non è facile riscontrare riunite in una sola persona, termina dicendo "se alcuna delle qualità sopra menzionate mancasse, non manchi almeno molta bontà, amore per la Compagnia e buon giudizio" (Const. 735).

Mi unisco, pertanto, alla vostra preghiera affinché lo Spirito Santo, padre dei poveri, datore di grazie e luce dei cuori, vi assista nel vostro discernimento e nella vostra elezione.
Questa congregazione si riunisce anche per trattare materie importanti e molto difficili che riguardano tutto il corpo della Compagnia, come pure il modo in cui attualmente essa procede. Le tematiche sulle quali rifletterà la congregazione generale vertono su elementi fondamentali per la vita della Compagnia. Vi interrogherete certamente sull’identità del gesuita oggi, sul significato e valore del voto di obbedienza al Santo Padre che da sempre ha qualificato la vostra famiglia religiosa, la missione della Compagnia nel contesto della globalizzazione, dell’emarginazione, la vita comunitaria, l’obbedienza apostolica, la pastorale vocazionale, ed altre tematiche importanti.

Nel vostro carisma e nella vostra tradizione potrete trovare efficaci punti di riferimento per illuminare le scelte che la Compagnia deve compiere oggi.

Certamente e doverosamente durante questa Congregazione voi compite un lavoro importante, ma non è una “distrazione” dalla vostra attività apostolica. Dovete guardare con lo stesso sguardo delle tre persone divine la "rotondità di tutto il mondo pieno di uomini", come vi insegna Sant’Ignazio nell’opera "Esercizi Spirituali" (E. Sp. 102). Il porsi all’ascolto dello Spirito creatore che rinnova il mondo e il tornare alle fonti per conservare la vostra identità senza perdere il vostro proprio stile di vita, l’impegno per discernere i segni dei tempi, le difficoltà e le responsabilità di operare delle decisioni finali, sono attività eminentemente apostoliche perché formeranno la base di una nuova primavera dell’essere religioso e dell’impegno apostolico di ogni confratello della Compagnia di Gesù.

Ora lo sguardo si allarga. Voi non lavorate unicamente per dare una qualificazione religiosa e apostolica dei vostri confratelli gesuiti. Sono molti gli Istituti di vita consacrata che, partecipando alla spiritualità ignaziana, guardano con attenzione alle vostre scelte; sono molti i futuri sacerdoti che nelle vostre università e atenei si preparano ad esercitare un ministero; sono molte le persone che dentro e fuori la Chiesa frequentano i vostri centri di insegnamento con il desiderio di trovare una risposta alle sfide che la scienza, la tecnica, la globalizzazione, l’inculturazione, il consumismo e la miseria, pongono all’umanità, alla Chiesa e alla fede, con la speranza di ricevere una formazione che li renda capaci di costruire un mondo di verità e di libertà, di giustizia e di pace.

Il vostro operare deve essere eminentemente apostolico, con un’ampiezza universale, umana, ecclesiale, evangelica. Dev’essere sempre compiuto alla luce del vostro carisma, in modo tale che la crescente partecipazione dei laici alle vostre attività non oscuri la vostra identità, ma anzi la arricchisca con la collaborazione di coloro che, provenienti da altre culture, condividono il vostro stile e i vostri obiettivi.

Mi unisco ancora alla vostra preghiera affinché lo Spirito Santo vi accompagni nel vostro delicato lavoro.
Come fratello che segue con interesse e con grande aspettativa i vostri lavori e le vostre decisioni, voglio condividere con voi "le gioie e le speranze" come pure "le tristezze e le angosce" (GS 1) che ho come uomo di Chiesa chiamato ad esercitare un difficile servizio nel campo della vita consacrata, nella mia qualità di prefetto della congregazione per gli Istituti di vita consacrata e le società di vita apostolica.

Vedo con piacere e speranza le migliaia di religiose e di religiosi che generosamente rispondono alla chiamata del Signore e, lasciando tutto quanto hanno, si consacrano con cuore indiviso al Signore per stare con lui e collaborare con lui nella sua volontà salvifica di "conquistare tutto il mondo e così entrare nella gloria del Padre" (E. Sp. 95). Constato che la vita consacrata continua ad essere un "dono divino che la Chiesa ha ricevuto dal Signore" (LG 43) e perciò la Chiesa desidera vegliare con sollecitudine affinché il carisma proprio di ogni Istituto sia sempre più conosciuto e, pur con i necessari adattamenti ai tempi attuali, mantenuto sempre intatto nella propria identità per il bene di tutta la Chiesa. L’autenticità della vita religiosa è caratterizzata dalla sequela di Cristo e dalla consacrazione esclusiva a lui e al suo Regno mediante la professione dei consigli evangelici. Il Concilio Ecumenico Vaticano II insegna che "tanto più perfetta è la consacrazione quanto più solidi e stabili sono i vincoli con i quali è rappresentato Cristo indissolubilmente unito alla sua Chiesa" (LG 44). Non si può separare la consacrazione al servizio di Cristo dalla consacrazione al servizio della sua Chiesa. Così lo considerarono Ignazio e i suoi primi compagni quando redassero la Formula del vostro Istituto, nella quale viene delineata l’essenza del vostro carisma: "servire il Signore e la sua Sposa, la Chiesa, sotto il Romano Pontefice" (Formula 1). Vedo con tristezza e inquietudine che va decadendo sensibilmente anche in alcuni membri delle famiglie religiose il "sentire cum Ecclesia" di cui parla frequentemente il vostro fondatore. La Chiesa aspetta da voi una luce per restaurare il "sensus Ecclesiae". La vostra specialità sono gli esercizi spirituali di Sant’Ignazio. Di questo capolavoro della spiritualità cattolica formano parte integrante ed essenziale le regole del "sentire cum Ecclesia". Formano come un fermaglio di oro con cui si chiude il libro degli esercizi spirituali.

Nelle vostre stesse mani avete gli elementi per approfondire ed attualizzare questo desiderio, questo sentimento ignaziano ed ecclesiale.

L’amore alla Chiesa in tutta l’estensione della parola – sia Chiesa popolo di Dio sia Chiesa gerarchica – non è un sentimento umano che viene e va secondo le persone che la compongono o secondo la nostra conformità con le disposizioni emanate da coloro che il Signore ha posto a reggere la Chiesa. L’amore alla Chiesa è un amore fondato sulla fede, un dono del Signore il quale, proprio perché ci ama, ci dona la fede in lui e nella sua Sposa che è la Chiesa. L’amore alla Chiesa presuppone la fede nella Chiesa. Senza il dono della fede nella Chiesa non può esistere l’amore per la Chiesa.

Mi unisco alla vostra preghiera per chiedere al Signore che vi conceda la grazia di credere sempre più e di amare sempre più questa Chiesa che professiamo una, santa, cattolica ed apostolica.

Con tristezza e inquietudine vedo anche un crescente allontanamento dalla gerarchia. La spiritualità ignaziana di servizio apostolico "sotto il Romano Pontefice" non accetta questa separazione. Nelle costituzioni che vi ha lasciato come norma di vita, Ignazio volle veramente plasmare il vostro animo e nel libro degli Esercizi scrisse: "Dobbiamo tenere un animo apparecchiato e pronto per ubbidire in tutto alla vera Sposa di Cristo nostro Signore, che è la Santa Madre Chiesa gerarchica" (E. Sp. 353). L’obbedienza religiosa si concepisce soltanto come obbedienza nell’amore. Il nucleo fondamentale della spiritualità ignaziana consiste nel riunire l’amore di Dio con l’amore alla Chiesa gerarchica. La vostra XXXIII congregazione raccolse questa caratteristica dell’obbedienza dichiarando che: "La Compagnia riafferma in spirito di fede il tradizionale vincolo di amore e di servizio che la unisce al Romano Pontefice". Avete ripreso questo principio nel motto "In tutto amare e servire".

Su questa linea, seguita sempre dalla Compagnia nella sua storia pluricentenaria, deve porsi anche la XXXV congregazione generale che si apre con questa liturgia celebrata vicino alle spoglie del vostro fondatore per indicare la vostra volontà ed il vostro impegno di essere fedeli al carisma da lui lasciatovi in eredità e di attualizzarlo nei modi più rispondenti alle necessità della Chiesa nel nostro tempo.

Il servire della Compagnia è un servire "sotto lo stendardo della croce" (Formula 1). Ogni servizio fatto per amore implica necessariamente uno svuotamento di se, una "kenosis". Però lasciare di compiere quanto si desidera compiere per fare quanto desidera la persona amata è un trasformare la "kenosis" ad immagine di Cristo che, apprese soffrendo cosa significa obbedire (cfr. Ebrei 5,8). Per questo sant’Ignazio, realisticamente, aggiunge che il Gesuita serve la Chiesa "sotto lo stendardo della croce".

Ignazio si pose agli ordini del romano pontefice "per non sbagliare in via Domini" (Const. 605) nella distribuzione dei suoi religiosi per il mondo e farsi presenti là dove le necessità della Chiesa fossero maggiori.

I tempi sono cambiati e la Chiesa deve oggi affrontare nuove ed urgenti necessità. Ne menziono una, e la propongo alla vostra considerazione, poiché a mio giudizio è oggi urgente e allo stesso tempo complessa. È la necessità di presentare ai fedeli e al mondo l’autentica verità rivelata nella Scrittura e nella Tradizione. La diversità dottrinale di coloro che a tutti i livelli, per vocazione e missione, sono chiamati ad annunciare il Regno di verità e di amore, disorienta i fedeli e conduce verso un relativismo senza orizzonte. La verità è una, anche se può essere sempre più profondamente conosciuta. E garante della verità rivelata è il "magistero vivo della Chiesa esercitato in nome di Gesù Cristo" (DV 10). Gli esegeti e gli studiosi della teologia sono impegnati a collaborare per "approfondire e spiegare, sotto la vigilanza del magistero, le ricchezze in essa contenute" (DV 23). Voi, attraverso la vostra lunga e solida formazione, i vostri centri di ricerca, l’insegnamento nel campo filosofico-teologico-biblico, vi trovate in una situazione privilegiata per realizzare questa difficile missione. Realizzatela con lo studio e l’approfondimento, realizzatela con umiltà, realizzatela con la fede nella Chiesa, realizzatela con l’amore per la Chiesa.

Coloro che, secondo la vostra legislazione, devono vigilare sulla dottrina delle vostre riviste, delle pubblicazioni, lo facciano alla luce e secondo le regole per "sentire cum Ecclesia" con amore e rispetto.

Mi preoccupa, inoltre, avvertire la separazione sempre crescente tra fede e cultura, separazione che costituisce un impedimento grave per l’evangelizzazione (Sapientia Cristiana, Proemio).

Una cultura intrisa di vero spirito cristiano è uno strumento che favorisce la diffusione del Vangelo, la fede in Dio creatore del cielo e della terra. La tradizione della Compagnia, fin dai primi tempi del Collegio Romano, si è posta sempre all’incrocio tra la Chiesa e la società, tra la fede e la cultura, tra la religione e il secolarismo. Recuperate tali posizioni di avanguardia così necessarie per trasmettere la verità eterna al mondo di oggi, con un linguaggio di oggi. Non abbandonate questa sfida. Siamo coscienti che il compito è difficile, scomodo e rischioso, e a volte poco apprezzato, se non addirittura mal compreso, ma è un compito necessario per la Chiesa ed è parte del vostro modo di procedere. Gli impegni apostolici a voi richiesti dalla Chiesa sono molti e molto diversi, ma tutti hanno un denominatore comune: lo strumento che li realizza deve, secondo una frase ignaziana, essere uno strumento unito a Dio. È l’eco ignaziana al Vangelo proclamato oggi: Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me e io in lui, fa molto frutto (Giovanni 15,15). L’unione con la vite che è amore si realizza solo attraverso l’interscambio di amore silenzioso e personale che nasce, nell’orazione, "dal conoscimento interno del Signore il quale per me si è fatto uomo e si estende integro e vivo a quanti sono vicino a noi e a quanto è vicino a noi". Non è possibile trasformare il mondo, né rispondere alle sfide di un mondo che ha dimenticato l’amore, senza stare ben radicati nell’amore.

A Ignazio fu concessa la grazia mistica di essere “contemplativo nell’azione” (Anotaciones ad examen, MNAD 5, 172). Fu una grazia speciale donata gratuitamente da Dio a Ignazio che aveva percorso un faticoso cammino di fedeltà e lunghe ore di orazione nel ritiro di Manresa. È una grazia che, secondo il Padre Nadal, è contenuta nella chiamata di ogni gesuita. Guidati dal vostro "magis" ignatiano tenete aperto il vostro cuore a ricevere il medesimo dono, seguendo il medesimo cammino percorso da sant’Ignazio di Loyola a Roma, che fu un cammino di generosità, di penitenza, di discernimento, di orazione, di zelo apostolico, di obbedienza, di carità, di fedeltà e di amore alla Chiesa gerarchica.

Mantenete e sviluppate, nonostante le urgenti necessità apostoliche, il vostro carisma, fino ad essere e mostrarvi davanti al mondo come "contemplativi nell’azione", che comunicano agli uomini e alla creazione l’amore ricevuto da Dio e li orientano di nuovo verso l’amore di Dio. Tutti comprendono il linguaggio dell’amore.

Il Signore vi ha scelti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto permanga. Andate, portate frutto nella fiducia che tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome ve lo darà (cfr. Giovanni 15,16).

Mi unisco a voi nella preghiera al Padre, per Gesù Cristo suo Figlio e nello Spirito Santo, insieme a Maria, madre della Divina Grazia, invocata da tutti i membri della Compagnia sotto il titolo di Santa Maria della Strada, affinché vi conceda la grazia di "cercare e scoprire la volontà di Dio sulla Compagnia di oggi che costruisce la Compagnia di domani".


14 Gennaio 2008 – Giornale. Aborto, Ferrara-day a Milano


Dal sito itresentieri.it
Circolare n° 80
Padre Pio una prova della verità cattolica Secondo Sentiero
Il recente libro di Sergio Luzzatto, Padre Pio. Miracoli e politica nell’Italia del Novecento, getta fango sulla stupenda figura di san Pio da Pietrelcina. Si tratta di una sortita che -a nostro parere- trova ascolto e terreno fertile all’interno di un clima di generale attacco al Cattolicesimo, in quanto vera religione che unicamente possiede miracoli apologetici (cioè miracoli a dimostrazione della veridicità della religione). La vita di Padre Pio, così ricca di elementi straordinari (non solo le stimmate, ma anche visioni, bilocazioni, guarigioni, conversioni inimmaginabili, frequentissime scrutazioni dei cuori) è stata tutta una dimostrazione della veridicità del Cattolicesimo.
Luzzatto pretende servirsi di una testimonianza in cui si parla del fatto che Padre Pio chiese ad una sua figlia spirituale di acquistare dell’acido fenico. Dunque -si conclude- il Frate utilizzava questa sostanza per procurarsi le stigmate.
Vediamo di precisare degli elementi importanti. Schematizziamo per rendere più semplice la comprensione.
1. L’acido fenico non può produrre fori nelle mani. Tutt’al più può produrre bruciature ed arrossamenti. Le stigmate di Padre Pio erano invece dei propri fori!
2. Il dottor Bignami decise di bendare le mani del Cappuccino e di apporre sulle bende dei sigilli di ceralacca in maniera tale che nessuno avesse potuto manometterle. Dopo dei giorni, quando le bende furono tolte, le stigmate erano lì, senza nessun segno di cicatrizzazione.
3. Ma allora perché Padre Pio chiese l’acido fenico? La risposta è più semplice del previsto. Perché l’acido fenico veniva utilizzato per disinfettare le siringhe utilizzate per le iniezioni.
4.C’è un altro elemento da considerare e che è chiaro nel libro di Luzzatto; ovvero il pregiudizio di ritenere la poca serietà dei processi di beatificazione e canonizzazione. Ora, una simile convinzione non convince proprio nessuno. Un non-cattolico, ma anche un anti-cattolico ben documentato, sa bene con quante difficoltà procedono le cause di canonizzazione e come sia accurata, da parte della Chiesa stessa, la ricerca di prove contrarie per capire meglio ed essere sicura nel giudizio.
Allora che dire? Che Quella di Padre Pio è una grandezza straordinaria, una “prova” inequivocabile della veridicità del Cattolicesimo…e questo dà fastidio! L’immagine del sacerdote vittima e alter Christus, in un tempo che sarebbe stato contrassegnato proprio dalla crisi del sacerdozio.
A gloria di questo grande Santo, vogliamo riportare un fatto (ce ne sarebbero tantissimi da raccontare) tratto dal prezioso libro di Antonio Socci, Il segreto di Padre Pio, edito da Rizzoli (libro di cui raccomandiamo la lettura agli amici de I Tre Sentieri). Un fatto che pochi conoscono ma che ci fa capire bene come Padre Pio riuscisse a guadagnare anime al Signore in maniera rapidissima, a prezzo però di numerosissime sofferenze. Lui stesso dirà al convertito. “Mi sei costato il meglio del mio sangue!”
Leggiamo dal libro di Socci: Padre Pio convertiva tanta gente, fra cui molti -atei, massoni, comunisti, anticlericali, libertini, miscredenti- sulla cui conversione nessuno avrebbe scommesso un centesimo. E’ il caso dell’avvocato Alberto Del Fante, bolognese, ex 33 della massoneria. Tutto iniziò con la malattia della moglie: tumore senza speranza. La morte era certa e prossima. Il marito, affranto, le stava vicino in ospedale e l’assisteva. Ma un giorno lei, piangendo, gli chiese di andare a San Giovanni Rotondo per implorare da Padre Pio l’intercessione di un miracolo. Aveva tanto sentito parlare delle innumerevoli grazie che aveva propiziato. La signora sapeva che il marito era massone e accanitamente anticlericale, ma quella era la sua ultima speranza. L’avvocato Del Fante d’istinto ebbe una reazione irritata, beffarda. Ma quando la moglie disperata scoppiò a piangere a dirotto, per compassione verso le sue penose condizioni, decise di accontentarla: “Va bene, ci vado.” Le disse. “E non perché ci credo, ma per giocare un terno al lotto.” Parte dunque da Bologna e in un giorno arriva. Partecipa alla messa del mattino, fa la lunga fila delle confessioni e quando viene il suo turno, restando in piedi, senza inginocchiarsi, dice a padre Pio che voleva parlargli un minuto. “Giovanotto, non mi fate perdere tempo!” gli rispose. “Che siete venuto a fare, a giocare un terno al lotto? Se volete confessarvi inginocchiatevi, se no lasciatemi confessore questa povera gente che aspetta.” L’avvocato fu interiormente abbagliato al sentirsi ripetere alla lettera, da padre Pio, quella stessa frase che aveva detto alla moglie due giorni prima e poi il tono del frate non ammetteva repliche. Quasi senza pensarci s’inginocchiò, ma non aveva neanche pensato ai suoi peccati, non sapeva che dire. Per un attimo si sentì come una pagina bianca, ammutolito e col recondito timore che quel confessore gli ripetesse la scenata: “Invece, appena mi inginocchiai, il Padre cambiò voce e tatto: divenne dolce e paterno. Anzi, sotto forma di domande, mi svelava via via ogni peccato della mia vita passata e di peccati ne avevo tanti! Io ascoltavo col capo chino la domanda e sempre rispondevo: “Sì”. Stupito e commosso, diventavo sempre più immobile. Alla fine Padre Pio mi chiese: “Hai nessun altro peccato da dire?”. “No” risposi, convinto che, avendomeli detti tutti lui, che mostrava di conoscere perfettamente la mia vita, io non avessi altro da confessare. “Non ti vergogni?” cominciò con imprevedibile durezza: “Quella giovane, che tu poco tempo fa hai lasciato partire per l’America, ha avuto un figlio. E quella creatura è sangue tuo. E tu, sciagurato, hai abbandonato madre e figlio.” Era tutto vero. Non risposi. Scoppiai in un pianto incontenibile. Non ne potevo più. Mentre, col volto nascosto fra le mani, piangevo, curvo, sull’inginocchiatoio, il Padre dolcemente mi poggiò il braccio sulle spalle e, avvicinandosi all’orecchio, mi sussurrò, singhiozzando: “Figlio mio, mi sei costato il meglio del mio sangue!”. A queste parole sentii il mio cuore come spaccarsi in due, come da una dolcissima lama. Piangevo, curvo e, a tratti, alzando il volto bagnato di lacrime, gli ripetevo: “Padre, perdono, perdono, perdono!”. Il Padre che aveva già il braccio sulla mia spalla, mi avvicinò di più a lui e cominciò a piangere con me. Una dolcissima pace pervase il mio spirito. D’un tratto sentii l’assurdo dolore mutarsi in incredibile gaudio. “Padre -gli disse- sono tuo! Fa’ di me quello che vuoi!” Ed egli, asciugandosi gli occhi, mi sussurrò: “Dammi una mano ad aiutare gli altri”. Poi aggiunse: “Salutami tua moglie!”. Tornai a casa, mia moglie era guarita.


14/01/2008 09:29, MORATORIA ABORTO – INDIA
Comunista indiano, ateo, sostiene la moratoria contro l’aborto
di Nirmala Carvalho
Lenin Raghavarshi, vincitore del premio Gwangju 2007 per i diritti umani difende il diritto alla vita dell’embrione, contro l’aborto selettivo. E più di tutti denuncia i metodi di controllo delle nascite che colpevolizzano la crescita della popolazione, quale causa della povertà per non giungere a una condivisione delle risorse mondiali.

New Delhi (AsiaNews) - Ogni anno in India vi sono circa 13 milioni di aborti; ameno 80 mila donne muoiono a causa dell’operazione; in più vi è la piaga degli aborti selettivi, che ha portato all’eliminazione di almeno 10 milioni di feti femminili negli ultimi 20 anni. Eppure l’India ha una delle leggi sull’aborto fra le più permissive e l’aborto viene ancora pubblicizzato come metodo per il controllo delle nascite e per garantire un maggior sviluppo economico delle famiglie.
“La cosa più ridicola e assurda è suggerire che l’aborto è una soluzione alla fame, perché permette il controllo sulla popolazione. In più la concezione - così tipica delle agenzie Onu - che la sovrappopolazione è il pericolo maggiore alla salute di una nazione non ha proprio alcuna base di verità… In realtà il mondo dovrebbe guardare con urgenza ai temi socio-economici e politici per eliminare fame, povertà, miseria fra la gente”.
Per tutti questi motivi, Lenin Raghavarshi, ateo, comunista, attivista per i diritti umani, dice ad AsiaNews che egli è favorevole alla moratoria contro l’aborto: “Alla base di tutti i diritti umani vi è il diritto a vivere”.
Lenin Raghavarshi, 37 anni, di Varanasi (Uttar Pradesh) è presidente del Comitato di vigilanza del popolo per i diritti umani (People's Vigilance Committee On Human Rights, Pvchr) . Lotta contro il sistema delle caste e per i diritti dei Dalit. La sua organizzazione è pure impegnata contro la tortura e il lavoro minorile, che in India rasenta la schiavitù. Tempo fa essi hanno denunciato la sorte di 3500 bambini che lavoravano incatenati.
Per questo impegno a largo raggio, nel maggio scorso, egli ha vinto il premio coreano Gwangju per i diritti umani.
“È stato Malthus – spiega Raghavarshi - a diffondere l’idea che i maggiori problemi del mondo, come la povertà e altre situazioni di miseria, sono dovuti alla (sovrap)popolazione. Ma tutto questo è totalmente a-scientifico e falso….I responsabili del degrado della dignità umana sono le compagnie multinazionali che sostengono l’industria degli aborti e del controllo della popolazione per i loro scopi di lucro. Sono esse a creare povertà e fame nel mondo”.
“In India abbiamo questo grave male sociale dell’aborto selettivo [dei feti femminili]. Sono contrario a questa pratica in modo assoluto. È anzi allarmante che in India e in Cina si proceda all’uccisione delle bambine: ciò dà adito a squilibri fra uomini e donne, che produrrà pericoli per il futuro delle nazioni. Dobbiamo sostenere il diritto alla vita dell’embrione fin dal seno materno”.
“In India l’aborto è una delle cause maggiori di mortalità fra le donne”. Tutto questo spinge agenzie dell’Onu e gruppi per il controllo della popolazione, come l’International Family Planning Association, si danno da fare a diffondere “mezzi di contraccezione” d’emergenza.
Raghavarshi precisa che la mortalità delle madri “è dovuta in massima parte al fallimento di programmi di welfare e alla mancanza di sistemi di base per la cura della salute…. Difendere il diritto alla vita, come una cosa sacra, porta poi al difendere il diritto al cibo, all’educazione e alla salute”.
“La comunità internazionale deve comprendere che il problema maggiore è la non equa distribuzione delle risorse: il 20% della popolazione mondiale (i popoli del G7) usano l’80% delle risorse del mondo. È necessario che il mondo e i governi si impegnino ad eliminare fame e povertà, salvaguardando e promuovendo a dignità della persona nel suo diritto alla vita, all’educazione, alla salute”.