mercoledì 30 gennaio 2008

Nella rassegna stampa di oggi:

1) Lettera di Julián Carrón a tutto il movimento di Cl
2) Messaggio di Benedetto XVI per la Quaresima 2008
3) IL MESSAGGIO PER LA QUARESIMA - ELEMOSINA IL PAPA SPIAZZA ANCORA
4) Monsignor Betori ai politici: il bene comune prima degli interessi di parte
5) E l'ultima figuraccia l'ha fatta con il Papa
6) Il circolo virtuoso delle staminali «etiche»
7) In fila per il processo di Erba Uno sguardo sull’abisso
8) I cristiani sotto tiro nello Stato dell’Orissa



FRATERNITÀ DI COMUNIONE E LIBERAZIONE
associazione di diritto pontificio civilmente riconosciuta

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Milano, 28 gennaio 2008
Cari amici,
domenica 20 gennaio tanti di noi si sono recati per unmoto spontaneo, come sorto
dall’intimo del cuore, a Piazza San Pietro in segno di comunione col Vescovo di Roma, che per le note vicende aveva rinunciato a partecipare all’inaugurazione dell’anno accademico all’università La Sapienza, dove era stato invitato. Non c’è dubbio che questa vostra mossa è stata il frutto dell’educazione del Movimento a rispondere alle provocazioni della realtà.
La prontezza nella risposta è qualcosa di cui dobbiamo ringraziare Dio, perché è segno dell’incidenza che ha su di noi «quella forma d’insegnamento alla quale siamo stati consegnati» (J. Ratzinger). Infatti non c’è altra spiegazione di questa mobilitazione spontanea, se non la consapevolezza del valore che la figura del Papa ha per la nostra vita. In lui il Signore risorto comunica la Sua vittoria nel tempo e nello spazio della storia umana. Senza la testimonianza autorevole del Successore di Pietro noi saremmo smarriti come tanti nostri contemporanei: l’udienza del 24 marzo dello scorso anno ne è stata una documentazione imponente e segnerà la nostra storia per sempre. Perciò la sequela al Papa coincide con la sequela al contraccolpo della Sua presenza. Ed esige da noi l’impegno di ragione e libertà.
Noi l’abbiamo potuto toccare con mano quando è stato reso pubblico il mancato discorso di Benedetto XVI all’università. In lui risplende quel «compito di mantenere desta la sensibilità per la verità». È la sua testimonianza incrollabile che costituisce per noi la speranza di non soccombere al pericolo del mondo occidentale, da lui denunciato, di arrendersi «davanti alla questione della verità», perché noi sappiamo bene che «se la ragione diventa sorda al grande messaggio che le viene dalla fede cristiana e dalla sua sapienza, inaridisce come un albero le cui radici non raggiungono più le acque che gli danno vita». E in questo modo la ragione «perde il coraggio per la verità» e si rassegna.
Questa grande testimonianza del Santo Padre costituisce per ognuno di noi un eccezionale richiamo a usare la ragione così. Egli ce l’ha offerta in contemporanea con l’inizio della nuova Scuola di comunità sul libro di don Giussani Si può vivere così?, le cui prime pagine trattano della fede come “metodo di conoscenza”. Noi siamo i primi a sentire il bisogno di un’educazione che ci consenta di conoscere la realtà fino in fondo, ad avvertire l’urgenza di cominciare un cammino di conoscenza che ci renda familiare il Mistero. A tre anni dalla sua morte, domandiamo a don Giussani di continuare a farci compagnia sulla strada che ci ha tracciato.
È seguendo la proposta fatta a noi dalla Scuola di comunità che potrà diventare sempre più nostro quello sguardo totalmente spalancato al reale che ammiriamo nel Papa.
Soltanto percorrendo quella strada possiamo veramente conoscere, attraverso il testimone, la realtà di cui parla la fede cristiana.
Questa passione per la ragionevolezza della fede ci è tanto familiare perché don Giussani non ha mai barato con noi, incoraggiandoci ad andare verso la verità in modo tale che la nostra adesione di fede sia dignitosa per la nostra natura di uomini.
Uniti più che mai in questa avventura
don Julián Carrón


Messaggio di Benedetto XVI per la Quaresima 2008
CITTA' DEL VATICANO, martedì, 29 gennaio 2008 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito il testo del Messaggio del Santo Padre Benedetto XVI per la Quaresima 2008.
* * *
“Cristo si è fatto povero per voi” (2 Cor 8,9)
Cari fratelli e sorelle!
1. Ogni anno, la Quaresima ci offre una provvidenziale occasione per approfondire il senso e il valore del nostro essere cristiani, e ci stimola a riscoprire la misericordia di Dio perché diventiamo, a nostra volta, più misericordiosi verso i fratelli. Nel tempo quaresimale la Chiesa si preoccupa di proporre alcuni specifici impegni che accompagnino concretamente i fedeli in questo processo di rinnovamento interiore: essi sono la preghiera, il digiuno e l’elemosina. Quest’anno, nel consueto Messaggio quaresimale, desidero soffermarmi a riflettere sulla pratica dell’elemosina, che rappresenta un modo concreto di venire in aiuto a chi è nel bisogno e, al tempo stesso, un esercizio ascetico per liberarsi dall’attaccamento ai beni terreni. Quanto sia forte la suggestione delle ricchezze materiali, e quanto netta debba essere la nostra decisione di non idolatrarle, lo afferma Gesù in maniera perentoria: “Non potete servire a Dio e al denaro” (Lc 16,13). L’elemosina ci aiuta a vincere questa costante tentazione, educandoci a venire incontro alle necessità del prossimo e a condividere con gli altri quanto per bontà divina possediamo. A questo mirano le collette speciali a favore dei poveri, che in Quaresima vengono promosse in molte parti del mondo. In tal modo, alla purificazione interiore si aggiunge un gesto di comunione ecclesiale, secondo quanto avveniva già nella Chiesa primitiva. San Paolo ne parla nelle sue Lettere a proposito della colletta a favore della comunità di Gerusalemme (cfr 2 Cor 8-9; Rm 15,25-27).
2. Secondo l’insegnamento evangelico, noi non siamo proprietari bensì amministratori dei beni che possediamo: essi quindi non vanno considerati come esclusiva proprietà, ma come mezzi attraverso i quali il Signore chiama ciascuno di noi a farsi tramite della sua provvidenza verso il prossimo. Come ricorda il Catechismo della Chiesa Cattolica, i beni materiali rivestono una valenza sociale, secondo il principio della loro destinazione universale (cfr n. 2404).
Nel Vangelo è chiaro il monito di Gesù verso chi possiede e utilizza solo per sé le ricchezze terrene. Di fronte alle moltitudini che, carenti di tutto, patiscono la fame, acquistano il tono di un forte rimprovero le parole di san Giovanni: “Se uno ha ricchezze di questo mondo e vedendo il proprio fratello in necessità gli chiude il proprio cuore, come dimora in lui l’amore di Dio?” (1 Gv 3,17). Con maggiore eloquenza risuona il richiamo alla condivisione nei Paesi la cui popolazione è composta in maggioranza da cristiani, essendo ancor più grave la loro responsabilità di fronte alle moltitudini che soffrono nell’indigenza e nell’abbandono. Soccorrerle è un dovere di giustizia prima ancora che un atto di carità.
3. Il Vangelo pone in luce una caratteristica tipica dell’elemosina cristiana: deve essere nascosta. “Non sappia la tua sinistra ciò che fa la tua destra”, dice Gesù, “perché la tua elemosina resti segreta” (Mt 6,3-4). E poco prima aveva detto che non ci si deve vantare delle proprie buone azioni, per non rischiare di essere privati della ricompensa celeste (cfr Mt 6,1-2). La preoccupazione del discepolo è che tutto vada a maggior gloria di Dio. Gesù ammonisce: “Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli” (Mt 5,16). Tutto deve essere dunque compiuto a gloria di Dio e non nostra. Questa consapevolezza accompagni, cari fratelli e sorelle, ogni gesto di aiuto al prossimo evitando che si trasformi in un mezzo per porre in evidenza noi stessi. Se nel compiere una buona azione non abbiamo come fine la gloria di Dio e il vero bene dei fratelli, ma miriamo piuttosto ad un ritorno di interesse personale o semplicemente di plauso, ci poniamo fuori dell’ottica evangelica. Nella moderna società dell’immagine occorre vigilare attentamente, poiché questa tentazione è ricorrente. L’elemosina evangelica non è semplice filantropia: è piuttosto un’espressione concreta della carità, virtù teologale che esige l’interiore conversione all’amore di Dio e dei fratelli, ad imitazione di Gesù Cristo, il quale morendo in croce donò tutto se stesso per noi. Come non ringraziare Dio per le tante persone che nel silenzio, lontano dai riflettori della società mediatica, compiono con questo spirito azioni generose di sostegno al prossimo in difficoltà? A ben poco serve donare i propri beni agli altri, se per questo il cuore si gonfia di vanagloria: ecco perché non cerca un riconoscimento umano per le opere di misericordia che compie chi sa che Dio “vede nel segreto” e nel segreto ricompenserà.

4. Invitandoci a considerare l’elemosina con uno sguardo più profondo, che trascenda la dimensione puramente materiale, la Scrittura ci insegna che c’è più gioia nel dare che nel ricevere (cfr At 20,35). Quando agiamo con amore esprimiamo la verità del nostro essere: siamo stati infatti creati non per noi stessi, ma per Dio e per i fratelli (cfr 2 Cor 5,15). Ogni volta che per amore di Dio condividiamo i nostri beni con il prossimo bisognoso, sperimentiamo che la pienezza di vita viene dall’amore e tutto ci ritorna come benedizione in forma di pace, di interiore soddisfazione e di gioia. Il Padre celeste ricompensa le nostre elemosine con la sua gioia. E c’è di più: san Pietro cita tra i frutti spirituali dell’elemosina il perdono dei peccati. “La carità - egli scrive - copre una moltitudine di peccati” (1 Pt 4,8). Come spesso ripete la liturgia quaresimale, Iddio offre a noi peccatori la possibilità di essere perdonati. Il fatto di condividere con i poveri ciò che possediamo ci dispone a ricevere tale dono. Penso, in questo momento, a quanti avvertono il peso del male compiuto e, proprio per questo, si sentono lontani da Dio, timorosi e quasi incapaci di ricorrere a Lui. L’elemosina, avvicinandoci agli altri, ci avvicina a Dio e può diventare strumento di autentica conversione e riconciliazione con Lui e con i fratelli.
5. L’elemosina educa alla generosità dell’amore. San Giuseppe Benedetto Cottolengo soleva raccomandare: “Non contate mai le monete che date, perché io dico sempre così: se nel fare l’elemosina la mano sinistra non ha da sapere ciò che fa la destra, anche la destra non ha da sapere ciò che fa essa medesima” (Detti e pensieri, Edilibri, n. 201). Al riguardo, è quanto mai significativo l’episodio evangelico della vedova che, nella sua miseria, getta nel tesoro del tempio “tutto quanto aveva per vivere” (Mc 12,44). La sua piccola e insignificante moneta diviene un simbolo eloquente: questa vedova dona a Dio non del suo superfluo, non tanto ciò che ha, ma quello che è. Tutta se stessa.
Questo episodio commovente si trova inserito nella descrizione dei giorni che precedono immediatamente la passione e morte di Gesù, il quale, come nota san Paolo, si è fatto povero per arricchirci della sua povertà (cfr 2 Cor 8,9); ha dato tutto se stesso per noi. La Quaresima, anche attraverso la pratica dell’elemosina ci spinge a seguire il suo esempio. Alla sua scuola possiamo imparare a fare della nostra vita un dono totale; imitandolo riusciamo a renderci disponibili, non tanto a dare qualcosa di ciò che possediamo, bensì noi stessi. L’intero Vangelo non si riassume forse nell’unico comandamento della carità? La pratica quaresimale dell’elemosina diviene pertanto un mezzo per approfondire la nostra vocazione cristiana. Quando gratuitamente offre se stesso, il cristiano testimonia che non è la ricchezza materiale a dettare le leggi dell’esistenza, ma l’amore. Ciò che dà valore all’elemosina è dunque l’amore, che ispira forme diverse di dono, secondo le possibilità e le condizioni di ciascuno.
6. Cari fratelli e sorelle, la Quaresima ci invita ad “allenarci” spiritualmente, anche mediante la pratica dell’elemosina, per crescere nella carità e riconoscere nei poveri Cristo stesso. Negli Atti degli Apostoli si racconta che l’apostolo Pietro allo storpio che chiedeva l’elemosina alla porta del tempio disse: “Non possiedo né argento né oro, ma quello che ho te lo do: nel nome di Gesù Cristo, il Nazareno, cammina” (At 3,6). Con l’elemosina regaliamo qualcosa di materiale, segno del dono più grande che possiamo offrire agli altri con l’annuncio e la testimonianza di Cristo, nel Cui nome c’è la vita vera. Questo periodo sia pertanto caratterizzato da uno sforzo personale e comunitario di adesione a Cristo per essere testimoni del suo amore. Maria, Madre e Serva fedele del Signore, aiuti i credenti a condurre il “combattimento spirituale” della Quaresima armati della preghiera, del digiuno e della pratica dell’elemosina, per giungere alle celebrazioni delle Feste pasquali rinnovati nello spirito. Con questi voti imparto volentieri a tutti l’Apostolica Benedizione.

Dal Vaticano, 30 ottobre 2007
BENEDICTUS PP. XVI


IL MESSAGGIO PER LA QUARESIMA - ELEMOSINA IL PAPA SPIAZZA ANCORA
Avvenire, 30.1.2008
DAVIDE RONDONI
Come uno che, mentre la folla si dirige in un senso, va dall’altra parte. E però, mostrando il volto alla folla controcorren­te, ridesta in coloro che lo osservano qual­cosa di grande: un desiderio, un ricordo. Sembra questo il destino del cristiano di oggi. Lo si vede anche leggendo il messag­gio per la Quaresima di Benedetto XVI.
Mentre tutti parlano di crisi economica, di difficoltà a guadagnare abbastanza, di spre­chi della politica e di prezzi alle stelle per il gas come per i quadri d’arte, ecco che il Pa­pa si mette a parlare dell’elemosina. Anco­ra prendendo in contropiede, ma ancora rammentando a tutti qualcosa di essen­ziale. Senza l’essenziale, infatti, ogni preoc­cupazione anche legittima e giusta – come quella di cavarsela con i soldi – rischia di tra­sformarsi in ansia quasi patologica degli in­dividui e della società. Perciò, mentre tutti si preoccupano dei soldi, il Papa ci parla dell’elemosina. Di quel gesto che si com­pie per aiutare il povero e per rammentarsi che non siamo padroni della vita e dei suoi beni. E per ricordarci quella verità straordinariamente semplice e che però spesso dimentichiamo: c’è più soddisfazione nel donare che nel ricevere. Il che equivale a dire che la natura umana è fatta per amare.
Senza la gioia di do­nare, una società non riesce a far fronte nemmeno alla necessità dello sviluppo e della cre­scita. L’elemosina è un gesto realista, non eccezionale. Realista perché prende atto che il bisogno dei poveri intorno a noi è tale che tante nostre pretese e lamenti suonano spesso addirittura indegni. E si tratta di un gesto non eccezionale, perché dovrebbe avvenire, come ricorda il Vange­lo, senza che la mano sinistra sappia cosa fa la destra.
Il Papa, dopo aver ricordato che i beni ci vengono dati per aiutare tutti, insiste sul rischio di quel che chiamerei 'carità-spetta­colo'. Ovvero, la tendenza in una società dell’immagine a usare anche un’opera di elemosina per avere un tornaconto di autopromozione. Mentre, insiste con pacata fermezza Benedetto XVI, la carità implica l’atteggiamento interiore e, dunque, di­screto di una conversione a Cristo. L’elemosina fatta con il cuore gonfio di vanagloria è fuori del Vangelo. Fare la carità non è filantropia strombazzata ai quattro venti. Gesù come esempio di carità non porta l’azione eccezionale di qualche filantropo, ma il gesto dell’unica moneta donata al tempio dalla vedova povera. Lei a Dio offre tutto di sé, certi filantropi danno il surplus e a patto che si parli molto di loro.
Il Papa, nel suo messaggio, ricorda quei tan­ti che nel nostro popolo in modo discreto, a volte anonimo, aiutano il prossimo. L’Ita­lia dei bisognosi, dei veri indigenti – di qua­lunque razza –, deve la propria sussistenza molto di più a tante persone come la 've­dova povera' che a Istituzioni e a filantro­pi da spot televisivo.
Con sano realismo, il cardinale Cordes, pre­sentando il documento papale, ha inoltre richiamato il fatto che negli organismi ecclesiali dedicati alla carità la percentuale delle offerte raccolte usata per le spese amministrative oscilla tra il 3% e il 9%, mentre in tante istituzioni filantropiche si arriva a volte al 50%.
Di recente, anche alcuni noti uomini di cultura si sono interrogati su che cosa signifi­chi aiutare il prossimo. Un grande scritto­re, penna di punta di un grande quotidia­no laico (e laicista), Pietro Citati, ha rac­contato del suo normale gesto di elemosi­na. Non lo ha fatto certo per vanagloria, ma per ricordare quanto tali gesti semplici for­mano la qualità della vita e dell’anima. Nel più fine intellettuale come nel più illettera­to. Infatti la Quaresima di cui parla il Papa è proposta a tutti. Momento in cui ci si sco­pre poveri tutti. E bisognosi tutti, mendi­canti di Cristo e dei fratelli.



Monsignor Betori ai politici: il bene comune prima degli interessi di parte
Presentate le conclusioni della Consiglio permanente della CEI
Di Mirko Testa
ROMA, martedì, 29 gennaio 2008 (ZENIT.org).- A fronte della crisi attraversata dall'Italia in questo momento, il Segretario generale della Conferenza episcopale italiana (CEI), monsignor Giuseppe Betori, ha invitato i politici ad anteporre il bene comune agli interessi di parte.
E' quanto ha detto, questo martedì, il presule durante la conferenza stampa tenutasi presso la “Radio Vaticana” a conclusione dei lavori del Consiglio episcopale permanente della CEI, che si è riunito a Roma dal 21 al 24 gennaio.
Alle domande dei giornalisti circa una indicazione dei Vescovi per la crisi apertasi con la caduta del governo Prodi, monsignor Betori ha detto che “la Chiesa non deve e non intende coinvolgersi in alcuna scelta di schieramento politico o di partito”.
“Non si esprimono quindi preferenze per l’una o l’altra soluzione istituzionale o costituzionale o elettorale purché sia sempre rispettosa della democrazia”, ha aggiunto.
Successivamente, ha espresso pieno appoggio e fiducia per l’operato del Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, per “l’amore che egli ha per il Paese e nelle sue capacità di giudizio, ovviamente all’interno delle possibilità che gli saranno permesse”.
Senza avanzare giudizi sull'ipotesi di un nuova leadership di potere, il presule ha poi rivolto “a tutti i soggetti politici l’esortazione a mettere anzitutto avanti il bene comune rispetto agli interessi di parte”.
In merito, invece, ai lavori del Consiglio episcopale permanente, monsignor Betori ha spiegato che "non si è parlato della crisi di governo" e che i Vescovi italiani hanno condiviso l’ispirazione di fondo sviluppata nella sua prolusione dal Presidente della CEI, il Cardinale Angelo Bagnasco, individuando nell'enciclica Spe salvi la chiave di lettura del delicato momento presente.
Come si afferma, infatti, nel comunicato finale l'enciclica “fornisce le categorie per un’analisi realistica anche della vita del nostro Paese, attraversato da molteplici contraddizioni sia sul versante antropologico – in cui sono posti radicalmente in questione i valori della vita e della famiglia fondata sul matrimonio – sia su quello sociale – con la crisi di fiducia nei confronti delle istituzioni, il vacillare della coesione sociale e il crescere delle situazioni di povertà e di degrado ambientale”.
“In un contesto tanto problematico, i cristiani sono chiamati a offrire una credibile testimonianza in tutti i campi”, perché la fede, affermano i presuli citando la Spe salvi, “lungi dal falsare la lettura dei fatti, offre all’analisi un valore aggiunto, che è 'quella resistenza, quella lucidità di giudizio, quella carità profonda che fanno sperimentare la vita, e la vita in abbondanza'”.
Per questo, i membri del Consiglio Permanente si sono detti convinti che, “con la sua testimonianza pubblica e grazie alla capillarità della sua presenza vicina alla gente, la Chiesa vuole aiutare il Paese a riprendere il cammino, a recuperare fiducia nelle proprie possibilità, a riguadagnare un orizzonte comune”.
Come prova di questa rinnovata volontà di accompagnare il cammino del Paese i presuli hanno scelto il tema dei giovani e della loro educazione come argomento principale della prossima Assemblea generale dei Vescovi, che si terrà a Roma dal 26 al 30 maggio prossimo.
“Infatti – aggiungono ancora i presuli nel comunicato finale – , sono proprio le giovani generazioni l’ambito sociale ed ecclesiale più esposto ai turbamenti e alle incertezze del tempo presente, e perciò più bisognoso di essere accompagnato nel processo di discernimento e di maturazione, stimolandolo a esplicitare tutte le potenzialità che lo caratterizzano”.
Il Segretario generale della CEI ha poi parlato delle prove affrontate dalla fede cristiana, che la spingono sempre più verso una sorta di “criptodiaspora”, cioè a “rinchiudersi in spazi intraecclesiali”, oppure a “derive di una religione puramente civile”, “che toglie all’evangelizzazione la sua nota di eccedenza rispetto a ogni ideologia meramente umana”.
Riguardo al clima dominante in Italia, il presule ha lamentato la presenza di “una sottile vena anticlericale” sempre all’opera nella cultura italiana, e che “acquisisce credibilità qua e là sia negli ambiti culturali sia in ambiti sociali e qualche volta anche negli ambiti politici”.
Durante i lavori assembleari i presuli hanno lavorato alle linee portanti di alcuni documenti di prossima pubblicazione e riguardanti: la pastorale dei matrimoni tra cattolici e battisti in Italia; la formazione all’impegno sociale attraverso una educazione alla vita cristiana e una sensibilizzazione al volontariato; i venti anni della riforma del sistema di sostegno economico della Chiesa in Italia; e infine alcuni orientamenti pratici per i rapporti in ambito pastorale con migranti appartenenti a Chiese ortodosse.


30.01.2008, E l'ultima figuraccia l'ha fatta con il Papa, di Andrea Tornielli, IlGiornale


Il circolo virtuoso delle staminali «etiche» Avvenire, 30.1.2008
ASSUNTINA MORRESI
N egli Stati Uniti saranno forse aumentati i fondi federali a favore della 'ricerca etica', cioè di quelle indagini medico-scientifiche rispettose della vita umana fin dal suo inizio, e quindi – per intenderci – che non manipolino o distruggano embrioni umani. L’ha annunciato George Bush nell’annuale 'discorso sullo stato dell’Unione' – l’ultimo prima della fine del mandato – confermando il ruolo chiave svolto dalla sua presidenza nell’influenzare la ricerca scientifica mondiale. Nel 2001 Bush decise di finanziare solamente la ricerca su embrioni che a quella data fossero già stati trasformati in linee cellulari, negando soldi pubblici a progetti che prevedessero la creazione o l’uso di nuovi embrioni. Cinque anni dopo confermò la decisione ponendo il veto a una legge che avrebbe concesso di utilizzare embrioni congelati, considerati in eccesso nelle cliniche per la fecondazione assistita. Significativamente, il veto fu annunciato alla stampa in presenza dei bambini ribattezzati 'fiocchi di neve', nati cioè da embrioni dapprima congelati e poi dati in adozione. L’amministrazione Bush ha così impedito che un fiume immenso di denaro e una quantità proporzionale di energie umane fossero impegnati nella creazione e distruzione seriale di embrioni umani in laboratorio. Il blocco al finanziamento pubblico di questo tipo di ricerca, lungi dal deprimere la ricerca, ha finito per spingere gli scienziati del settore a trovare strade alternative. E i risultati non hanno tardato ad arrivare: negli ultimi mesi si sono moltiplicate infatti le pubblicazioni scientifiche sulle cosiddette 'staminali etiche', cioè quelle cellule potenti quanto le embrionali ma ricavate dalla pelle dell’adulto e fatte regredire grazie a una particolare forma di manipolazione. Lo scienziato giapponese Shinya Yamanaka ha scovato il principio alla base di questa procedura e l’ha messo a punto utilizzando esclusivamente topi, dimostrando che tutto questo filone di ricerca si sarebbe potuto sviluppare con modelli animali, senza mai distruggere embrioni umani. Ed è stato lo stesso Yamanaka a dichiarare che l’idea di lavorare per questo scopo gli venne dopo aver guardato un embrione umano al microscopio, avendolo trovato molto simile a sua figlia. Il rilancio di Bush alla luce di questa scoperta ha un significato che non deve sfuggire. Potenziare questo nuovo settore con fondi pubblici innescherà infatti un circolo virtuoso, aumentando il numero degli scienziati coinvolti e le loro risorse, e quindi anche le probabilità di ottenere risultati. Non dimentichiamo che, a tutt’oggi, non esistono protocolli terapeutici che prevedono l’utilizzo di staminali embrionali, a differenza di quanto accade per quelle adulte, già utilizzate con successo per numerose patologie.
Mentre l’America scommette senza indugi sulle nuove linee di ricerca, l’Europa arranca. Il ministro della ricerca scientifica Fabio Mussi sarà ricordato per aver sdoganato in Europa una ricerca ormai vecchia, rendendo disponibili fondi pubblici europei per studi che comportano la distruzione di embrioni umani. Un atto miope e ideologico.
Mussi ha poi perso l’ultima occasione per recuperare il passo falso, snobbando la proposta di moratoria europea sulla ricerca embrionale lanciata dalle colonne di questo giornale perché si continui a lavorare solamente sulle linee cellulari già esistenti – come insegna Bush – concentrando tutti gli sforzi nel perfezionamento delle nuove tecniche 'etiche'. Nel frattempo in Gran Bretagna sono state concesse due licenze per la creazione di embrioni ibridi uomo-animale, una ricerca con basi scientifiche fumose, ma in compenso con tanti problemi giuridici.
In un panorama simile, non è difficile prevedere che ancora una volta sarà la scelta americana a dimostrarsi vincente.


In fila per il processo di Erba Uno sguardo sull’abisso
Avvenire, 30.1.2008
MARINA CORRADI
Q ualcuno si è messo in coda dalle cinque del mattino, come per accaparrarsi i biglietti della prima della Scala. Qualcuno, dotato di senso degli affari, quel biglietto l’ha rivenduto al migliore offerente – e di offerenti non ne sono mancati. E ora gli spettatori (anche se meno numerosi del previsto) si accalcano davanti all’ingresso del tribunale di Como, casalinghe, pensionati, ma anche ragazzi di vent’anni. E a chi chiede loro perché, e cosa vengono a vedere, rispondono: le facce di quei due.
Quei due, Rosa Bazzi e Olindo Romano, che hanno confessato e poi ritrattato, e ora lottano contro prove come macigni, in corsa contro l’ergastolo. Quei due assassini presunti per la legge, per cui alcuni fuori dall’aula hanno già deciso la condanna, e stabilirebbero forse volentieri anche la pena - una sommessa nostalgia di pena di morte si aggirava il giorno dell’arresto, nei crocchi davanti al cancello di via Diaz 25.
E dunque questa volta non è il 'giallo', non è un mistero come a Garlasco o come a Cogne a accendere una curiosità morbosa. La gente in coda non dubita un istante che gli autori del massacro siano i coniugi Romano. E’ un’altra, l’ansia: vedere in faccia, piantare gli occhi addosso ai prigionieri. Che ora se ne stanno, dietro le sbarre, mano nella mano. Così normali, così banali. Anche prima di quella notte d’inverno Olindo e Rosa apparivano, agli occhi della gente di Erba, la coppia più normale del mondo. Gran lavoratori, lui netturbino, lei una colf perfetta. La casa acquistata con tanti sacrifici sempre tirata a lustro. Sì, in lite coi vicini rumorosi, ma in quale cortile non succedono queste cose? Olindo e Rosa parevano una coppia modello. Proprio questo turba ancora di più, dopo il massacro – dopo che in quella casa sono stati uccisi in quattro, e anche, pensiero intollerabile, il bambino. Che uomini apparentemente come tanti possano essere stati capaci di un simile male, genera un sussulto viscerale di sgomento.
(Se due lavoratori onesti, la fedina penale intonsa, hanno fatto questo, vogliamo vederli in faccia. Fateceli vedere – quasi a cercare negli sguardi, nelle parole qualcosa di radicalmente diverso da noi).
E però questa esigenza coatta di vedere sembra celare, insieme all’ansia di prendere le distanze, simmetrico e uguale, anche il suo contrario. Come la voglia oscura di affacciarsi su un abisso. Seduti dietro le transenne in un’aula d’Assise, voglia di sporgersi in giù verso quel pozzo nero di male scoppiato una notte in una quieta città. Cos’è stato quel gorgo venuto su improvvisamente come dal nulla, da quali inferi è uscito, e quei due, perché proprio loro ne sono stati ingoiati?
Sembravano gente a posto. (Anche noi, tante volte, abbiamo la vaga idea di fare del male, e poi restano soltanto pensieri.
Come mai quell’uomo e quella donna, invece, così avvinghiati nell’odio, e dall’odio ciecamente manovrati?) Sporgersi sull’abisso in un’aula di tribunale, oppure anche seduti davanti alla tv. E certo è vero che a queste pulsioni i media fanno da volano, e ne allargano il contagio. Ma non ne sono in realtà gli autori. Le folle che nei secoli si raccoglievano attorno ai patiboli non obbedivano forse a una simile inquietudine? Vedere coi propri occhi gli assassini. Guardarli da vicino, tra la ripugnanza e la paura, quegli stranieri che ora, passata la furia, hanno facce di uomini non così diversi da noi. Avvicinarsi all’abisso, e rassicurarsi: a noi, quella voragine buia non potrà prenderci.
Accarezzare – senza magari ammetterlo apertamente – forse perfino l’idea di una morte data come in un rito catartico, che ricomponga l’ordine e la pace violati. Per affermare che non c’entriamo, noi, con quella oscura vertigine. Immemori, dimentichi della più antica nostra preghiera. Liberaci dal Male, dicono da duemila anni i cristiani: consci d’averlo addosso, come un’orma antica.


LIBERTÀ NEGATA
India segreta
I cristiani sotto tiro nello Stato dell’Orissa

Avvenire, 30.1.2008
DI STEFANO VECCHIA
« S ono arrivati attorno alle 7,30 di sera del 24 dicembre, armati di spade, pistole, sbarre di ferro e asce. Sono entrati nel complesso della par­rocchia sfondando il portone. Una volta dentro, hanno e minacciato sacerdoti e suore. Poi hanno puntato le armi contro i laici che stavano preparando gli addobbi per la messa di Natale. Siamo scappati nel­la foresta, da dove abbiamo visto levarsi le fiamme che distruggevano la chiesa, la re­sidenza del parroco e l’ostello per i nostri ragazzi. Tutto è bruciato...». La testimo­nianza di padre Laxmikanta Pradhan, par­roco di Balliguda, nei giorni scorsi anco­ra nascosto nei dintorni della parrocchia, esprime il dramma vissuto dai cristiani del distretto di Kandhamal, Stato indiano o­rientale di Orissa, lo scorso Natale. Un e­pisodio di una sequenza che sembra in­terminabile.
Oggi, l’India ricorda il 60° anniversario del­l’assassinio del Mahatma Gandhi da par­te di un fanatico hindu. Gli eventi di un mese fa in Orissa e la manifesta incapacità delle autorità di controllare il fanatismo religioso e, dietro ad esso, gli interessi che incentivano odio e distruzione tre le co­munità, ricordano al Paese e al mondo che oggi 'la più grande democrazia del mon­do' è ancora lontana dall’ideale di convi­venza e dialogo che la Grande Anima a­vrebbe voluto e per cui si è sacrificato.
Il Natale, un evento mondiale di gioia e di pace, si è trasformato in incubo per le co­munità cristiane dell’Orissa. Una settan­tina di chiese, scuole, orfanotrofi, ostelli, conventi dati alle fiamme o comunque de­vastati. Almeno sei i morti e decine i feri­ti. Al punto da far dire ai responsabili ec­clesiali locali che, «mentre il mondo ri­cordava il terzo anniversario dello tsuna­mi del 26 dicembre 2004 che devastò le coste dell’Oceano Indiano, il distretto di Kandhamal veniva colpito dall’'onda a­nomala' della violenza interreligiosa». Il distretto, e l’intero stato di Orissa, sono tutt’altro che paradisi della convivenza e del benessere. Qui, la popolazione è tra le più povere dell’India e gli hindu tra i più accaniti sostenitori delle discriminazioni legati all’appartenenza o all’esclusione dal sistema delle caste.
La fede cristiana si è affacciata in Orissa ol­tre tre secoli fa, ma il suo sviluppo è più re­cente, risalendo agli ultimi 150 anni. Le cinque diocesi raccolgono 500mila catto­lici su 37 milioni di abitanti. Complessi­vamente i cristiani di varie denominazio­ni sono un milione, in questo Stato carat­terizzato da un’alta percentuale di caste basse, gruppi fuoricasta e tribali (il 39% della popolazione). «Nonostante le diffi­coltà la nostra Chiesa è fiorente e in cre­scita, con un buon numero di vocazioni al sacerdozio e alla vita religiosa –, dice l’ar­civescovo di Cuttack-Bhubaneswar, mon­signor Raphael Cheenath –. La ricostru­zione materiale è sempre possibile, anche per la solidarietà dei cattolici di tutta l’In­dia, ma per ricostruire la fiducia occorrerà lungo tempo, e molto dipenderà da come le autorità dimostreranno di essere in gra­do di controllare la situazione».
I problemi per Kandhamal erano iniziati la Vigilia di Natale, alle 8 del mattino nel villaggio di Bamunigam, non lontano dal posto di polizia di Daringabadi. Qui, la Hui Kalyan Samiti, una comunità tribale, ave­va organizzato una protesta che nulla ha a che fare con la religione, ma riguarda e­sclusivamente la politica, una miccia da accendere. I cristiani, sospettando un tra­nello, avevano già informato dei loro ti­mori il sovrintendente di polizia del di­stretto di Kandhamal due giorni prima, ot­tenendo una promessa di protezione in caso di incidenti.
«Avevo raccomandato ai miei sacerdoti di mettersi in salvo non appena fossero ve­nuti a conoscenza di un attacco immi­nente. Questo ha probabilmente salvato altre vite, ma ha permesso ai fondamen­talisti di distruggere a loro piacimento», testimonia ancora l’arcivescovo Cheenath. Da mesi il gruppo hindu Sangh Parivar, sotto la guida di Swami Laxmananda Sa­raswati – un estremista autroproclamato­si sadhu (asceta) – stava preparandosi. Co­me dimostra la rapidità degli attacchi e la convergenza quasi dal nulla di oltre 200 facinorosi nella parrocchia di Bamunigam e tra 400 e 500 a Balliguda, luogo dei di­sordini peggiori. Qui gli assalitori sono ar­rivati su camion e fuoristrada, dotati di strumenti che potessero provocare la mas­sima distruzione nel minore tempo pos­sibile.
Tutte le vie di accesso a Kandhamal erano state bloccate in poche ore, utilizzando grossi alberi messi di traverso sulle strade, un fatto, questo, tra i pochi ammessi dal­l’amministrazione locale. Gli assalitori e­rano raggruppati in modo da potere assa­lire contemporaneamente sette diverse lo­calità.
Insomma, le testimonianze concordano sul fatto che senza una pianificazione at­tenta non sarebbe stato possibile il sac­cheggio di Kandhamal in soli tre giorni. E senza connivenze e protezioni, oltre che con il disinteresse delle forze dell’ordine. Un gruppo di esponenti cattolici che ave­va raggiunto la regione per indagare sui disordini è stato espulso dal distretto dal­la stessa polizia e soltanto successiva­mente a esso è stato concesso di tornare, ma contando soltanto – come conferma John Dayal, giornalista e leader laico – sul sostegno delle comunità cristiane e di al­cuni hindu.
A fine dicembre un’ondata di attacchi degli estremisti hindu contro la comunità di Kandhamal. Almeno sei i morti e decine i feriti. Una settantina di chiese, scuole, orfanotrofi, ostelli, conventi dati alle fiamme o comunque devastati. Nel silenzio delle autorità


Vescovi: ci sono prove scientifiche

Avvenire, 30.1.2008
DA MILANO ENRICO NEGROTTI
«Si tratta di un filone di ricerca talmente pro­mettente che il Giappone ha recentemen­te deciso di fare investimenti strategici e­normi. Quel che spiace è che in Italia da almeno quat­tro anni potevamo metterci su questo filone di ricer­ca, ma per motivi ideologici siamo rimasti prigionieri del dibattito con coloro che difendevano l’utilità del­la clonazione». Angelo Vescovi, docente di Biologia al­l’Università di Milano-Bicocca e direttore scientifico del Centro «Brain Repair» di Terni, non si stupisce delle pa­role del presidente americano, ma puntualizza: «Gli scienziati, ovviamente, spostano il loro interesse do­ve la presenza di risorse offre la possibilità di lavorare meglio. E in questo caso, la scelta etica di Bush ha a­vuto il sostegno dell’evidenza scientifica».
Come valuta le parole del presidente Bush che invita gli scienziati a puntare su ricerche «etiche» e promette fondi in questo senso?
Non mi stupiscono. Il presidente americano aveva già fatto sapere di ritenere importante il movente etico­morale nelle ricerche basato sul rispetto della vita u­mana. È una sua visione, che peraltro condivido. Ma in questo caso c’è una spiegazione molto logica e ra­zionale, visto che i lavori di Yamanaka e di Thomson hanno dimostrato la bontà di una linea di ricerca che può fare a meno degli embrioni.
Queste ricerche sono state infatti citate dal presiden­te Usa. Sono sufficienti a garantire la svolta?
Credo di sì. Le ottime prospettive di questo filone di ricerca sono confermate dal fatto che proprio James Thomson, che nel 1998 aveva dato avvio agli studi sul­le staminali embrionali umane, abbia deciso di dedi­carsi a questa nuova via. E scommetterei che lo scien­ziato americano sia stato revisore per il lavoro di Ya­manaka su Cell.
Ma dal punto di vista dei finanziamenti, la scelta a­mericana potrà influenzare anche altri soggetti?
La svolta è già arrivata. Il governo giapponese ha già deciso di finanziare massicciamente questo tipo di ri­cerche, ne ha capito l’importanza e ne farà un settore strategico della biomedicina, così come ha investito in passato nelle tecnologie informatiche e delle teleco­municazioni. La notizia delle scelta giapponese, tra l’altro, è stata pubblicata su «Nature», ma da noi non è stata evidenziata da noi perché forse non piaceva. Quello che mi dispiace è che in Italia potevamo esse­re all’avanguardia in questo settore di ricerca, quan­do quattro anni fa io (e pochi altri) sottolineavo che si potevano tentare altre strade che non fossero la clo­nazione. Invece si preferì insistere in un dibattito i­deologico per sostenere l’importanza della clonazio­ne. E lo stesso sta accadendo ora con gli embrioni i­bridi.
È stata una scelta etica a sorreggere gli scienziati?
Non solo e non del tutto. Sicuramente in ambito bio­tecnologico, dove ruotano anche forti interessi eco­nomici, la ricerca si sviluppa in primo luogo lungo le linee che appaiono più foriere di risultati. In secondo luogo su quelle più moralmente accettabili, perché in tal modo incontrano minori resistenze da parte della società civile. E oserei dire che la ricerca moralmente accettabile tende a essere quella più proficuamente perseguibile.
Ma è solo una questione di finanziamenti a spingere la ricerca? O gli scienziati, come spesso si sente ripe­tere, sono in grado di autoregolamentarsi verso so­luzioni eticamente accettabili?
È normale che gli scienziati seguano le ricerche che of­frono maggiori possibilità di sviluppo perché attirano più finanziamenti. E il governo statunitense è un po­tere forte, in grado di dirottare ingenti risorse. Ma in questo caso occorre anche rimarcare che il sollevare il problema etico ha costretto gli scienziati a cercare al­tre vie dalla clonazione, che solo solo apparentemen­te era la più facile: in realtà è assurda, si vuole andare da Milano a Varese passando per Pechino. Yamanaka ha cercato una strada diversa, ma l’obiezione etica è stata sollevata dalla società civile.
Il biologo: anche il Giappone ha deciso enormi stanziamenti per quello che appare ormai un settore strategico promettente Peccato che in Italia siamo rimasti indietro a discutere sull’utilità della clonazione