giovedì 17 gennaio 2008

Nella rassegna stampa di oggi:

1) Allocuzione del Papa per l'incontro all'Università “La Sapienza”
2) PAPA-SAPIENZA, APPELLO DI RUINI PER MANIFESTAZIONE A S.PIETRO (domenica ore 12.00 per l’Angelus)
3) Reazioni all'annullamento della visita del Papa a "La Sapienza" (in particolare segnalo l’iniziativa di Magdi Allam, appello "Io sto con il Papa", che troverete nell’articolo)
4) Il direttore de “L'Osservatore Romano” sulla mancata visita del Papa
5) QUELL’IDEA MALATA DI LAICITÀ
6) Uomini adatti alla fuga davanti al Papa dialogante
7) L’abilità di sparute minoranze Egemonizzare i ceti intellettuali
8) Quell’intolleranza la conosco bene. Parola di un’islamica riformista
9) Botturi: nel discorso nuova luce sul rapporto fede-ragione
10) Dichiarazione dell’Arcivescovo di Bologna – S.E. Card. Carlo Caffarra
11) ALLA SAPIENZA QUANTI CATTIVI MAESTRI...


Allocuzione del Papa per l'incontro all'Università “La Sapienza”

CITTA' DEL VATICANO, mercoledì, 16 gennaio 2008 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito il testo dell’allocuzione che Benedetto XVI avrebbe pronunciato nel corso della visita all’Università degli Studi "La Sapienza" di Roma, prevista per giovedì 17 gennaio e in seguito annullata.

* * *
Magnifico Rettore, Autorità politiche e civili, Illustri docenti e personale tecnico amministrativo, cari giovani studenti!
È per me motivo di profonda gioia incontrare la comunità della "Sapienza - Università di Roma" in occasione della inaugurazione dell’anno accademico. Da secoli ormai questa Università segna il cammino e la vita della città di Roma, facendo fruttare le migliori energie intellettuali in ogni campo del sapere. Sia nel tempo in cui, dopo la fondazione voluta dal Papa Bonifacio VIII, l’istituzione era alle dirette dipendenze dell’Autorità ecclesiastica, sia successivamente quando lo Studium Urbis si è sviluppato come istituzione dello Stato italiano, la vostra comunità accademica ha conservato un grande livello scientifico e culturale, che la colloca tra le più prestigiose università del mondo. Da sempre la Chiesa di Roma guarda con simpatia e ammirazione a questo centro universitario, riconoscendone l’impegno, talvolta arduo e faticoso, della ricerca e della formazione delle nuove generazioni. Non sono mancati in questi ultimi anni momenti significativi di collaborazione e di dialogo. Vorrei ricordare, in particolare, l’Incontro mondiale dei Rettori in occasione del Giubileo delle Università, che ha visto la vostra comunità farsi carico non solo dell’accoglienza e dell’organizzazione, ma soprattutto della profetica e complessa proposta della elaborazione di un "nuovo umanesimo per il terzo millennio".
Mi è caro, in questa circostanza, esprimere la mia gratitudine per l’invito che mi è stato rivolto a venire nella vostra università per tenervi una lezione. In questa prospettiva mi sono posto innanzitutto la domanda: Che cosa può e deve dire un Papa in un’occasione come questa? Nella mia lezione a Ratisbona ho parlato, sì, da Papa, ma soprattutto ho parlato nella veste del già professore di quella mia università, cercando di collegare ricordi ed attualità. Nell’università "Sapienza", l’antica università di Roma, però, sono invitato proprio come Vescovo di Roma, e perciò debbo parlare come tale. Certo, la "Sapienza" era un tempo l’università del Papa, ma oggi è un’università laica con quell’autonomia che, in base al suo stesso concetto fondativo, ha fatto sempre parte della natura di università, la quale deve essere legata esclusivamente all’autorità della verità. Nella sua libertà da autorità politiche ed ecclesiastiche l’università trova la sua funzione particolare, proprio anche per la società moderna, che ha bisogno di un’istituzione del genere.
Ritorno alla mia domanda di partenza: Che cosa può e deve dire il Papa nell’incontro con l’università della sua città? Riflettendo su questo interrogativo, mi è sembrato che esso ne includesse due altri, la cui chiarificazione dovrebbe condurre da sé alla risposta. Bisogna, infatti, chiedersi: Qual è la natura e la missione del Papato? E ancora: Qual è la natura e la missione dell’università? Non vorrei in questa sede trattenere Voi e me in lunghe disquisizioni sulla natura del Papato. Basti un breve accenno. Il Papa è anzitutto Vescovo di Roma e come tale, in virtù della successione all’Apostolo Pietro, ha una responsabilità episcopale nei riguardi dell’intera Chiesa cattolica. La parola "vescovo"–episkopos, che nel suo significato immediato rimanda a "sorvegliante", già nel Nuovo Testamento è stata fusa insieme con il concetto biblico di Pastore: egli è colui che, da un punto di osservazione sopraelevato, guarda all’insieme, prendendosi cura del giusto cammino e della coesione dell’insieme. In questo senso, tale designazione del compito orienta lo sguardo anzitutto verso l’interno della comunità credente. Il Vescovo – il Pastore – è l’uomo che si prende cura di questa comunità; colui che la conserva unita mantenendola sulla via verso Dio, indicata secondo la fede cristiana da Gesù – e non soltanto indicata: Egli stesso è per noi la via. Ma questa comunità della quale il Vescovo si prende cura – grande o piccola che sia – vive nel mondo; le sue condizioni, il suo cammino, il suo esempio e la sua parola influiscono inevitabilmente su tutto il resto della comunità umana nel suo insieme. Quanto più grande essa è, tanto più le sue buone condizioni o il suo eventuale degrado si ripercuoteranno sull’insieme dell’umanità. Vediamo oggi con molta chiarezza, come le condizioni delle religioni e come la situazione della Chiesa – le sue crisi e i suoi rinnovamenti – agiscano sull’insieme dell’umanità. Così il Papa, proprio come Pastore della sua comunità, è diventato sempre di più anche una voce della ragione etica dell’umanità.
Qui, però, emerge subito l’obiezione, secondo cui il Papa, di fatto, non parlerebbe veramente in base alla ragione etica, ma trarrebbe i suoi giudizi dalla fede e per questo non potrebbe pretendere una loro validità per quanti non condividono questa fede. Dovremo ancora ritornare su questo argomento, perché si pone qui la questione assolutamente fondamentale: Che cosa è la ragione? Come può un’affermazione – soprattutto una norma morale – dimostrarsi "ragionevole"? A questo punto vorrei per il momento solo brevemente rilevare che John Rawls, pur negando a dottrine religiose comprensive il carattere della ragione "pubblica", vede tuttavia nella loro ragione "non pubblica" almeno una ragione che non potrebbe, nel nome di una razionalità secolaristicamente indurita, essere semplicemente disconosciuta a coloro che la sostengono. Egli vede un criterio di questa ragionevolezza fra l’altro nel fatto che simili dottrine derivano da una tradizione responsabile e motivata, in cui nel corso di lunghi tempi sono state sviluppate argomentazioni sufficientemente buone a sostegno della relativa dottrina. In questa affermazione mi sembra importante il riconoscimento che l’esperienza e la dimostrazione nel corso di generazioni, il fondo storico dell’umana sapienza, sono anche un segno della sua ragionevolezza e del suo perdurante significato. Di fronte ad una ragione a-storica che cerca di autocostruirsi soltanto in una razionalità a-storica, la sapienza dell’umanità come tale – la sapienza delle grandi tradizioni religiose – è da valorizzare come realtà che non si può impunemente gettare nel cestino della storia delle idee.
Ritorniamo alla domanda di partenza. Il Papa parla come rappresentante di una comunità credente, nella quale durante i secoli della sua esistenza è maturata una determinata sapienza della vita; parla come rappresentante di una comunità che custodisce in sé un tesoro di conoscenza e di esperienza etiche, che risulta importante per l’intera umanità: in questo senso parla come rappresentante di una ragione etica.
Ma ora ci si deve chiedere: E che cosa è l’università? Qual è il suo compito? È una domanda gigantesca alla quale, ancora una volta, posso cercare di rispondere soltanto in stile quasi telegrafico con qualche osservazione. Penso si possa dire che la vera, intima origine dell’università stia nella brama di conoscenza che è propria dell’uomo. Egli vuol sapere che cosa sia tutto ciò che lo circonda. Vuole verità. In questo senso si può vedere l’interrogarsi di Socrate come l’impulso dal quale è nata l’università occidentale. Penso ad esempio – per menzionare soltanto un testo – alla disputa con Eutifrone, che di fronte a Socrate difende la religione mitica e la sua devozione. A ciò Socrate contrappone la domanda: "Tu credi che fra gli dei esistano realmente una guerra vicendevole e terribili inimicizie e combattimenti … Dobbiamo, Eutifrone, effettivamente dire che tutto ciò è vero?" (6 b – c). In questa domanda apparentemente poco devota – che, però, in Socrate derivava da una religiosità più profonda e più pura, dalla ricerca del Dio veramente divino – i cristiani dei primi secoli hanno riconosciuto se stessi e il loro cammino. Hanno accolto la loro fede non in modo positivista, o come la via d’uscita da desideri non appagati; l’hanno compresa come il dissolvimento della nebbia della religione mitologica per far posto alla scoperta di quel Dio che è Ragione creatrice e al contempo Ragione-Amore. Per questo, l’interrogarsi della ragione sul Dio più grande come anche sulla vera natura e sul vero senso dell’essere umano era per loro non una forma problematica di mancanza di religiosità, ma faceva parte dell’essenza del loro modo di essere religiosi. Non avevano bisogno, quindi, di sciogliere o accantonare l’interrogarsi socratico, ma potevano, anzi, dovevano accoglierlo e riconoscere come parte della propria identità la ricerca faticosa della ragione per raggiungere la conoscenza della verità intera. Poteva, anzi doveva così, nell’ambito della fede cristiana, nel mondo cristiano, nascere l’università.
È necessario fare un ulteriore passo. L’uomo vuole conoscere – vuole verità. Verità è innanzitutto una cosa del vedere, del comprendere, della theoría, come la chiama la tradizione greca. Ma la verità non è mai soltanto teorica. Agostino, nel porre una correlazione tra le Beatitudini del Discorso della Montagna e i doni dello Spirito menzionati in Isaia 11, ha affermato una reciprocità tra "scientia" e "tristitia": il semplice sapere, dice, rende tristi. E di fatto – chi vede e apprende soltanto tutto ciò che avviene nel mondo, finisce per diventare triste. Ma verità significa di più che sapere: la conoscenza della verità ha come scopo la conoscenza del bene. Questo è anche il senso dell’interrogarsi socratico: Qual è quel bene che ci rende veri? La verità ci rende buoni, e la bontà è vera: è questo l’ottimismo che vive nella fede cristiana, perché ad essa è stata concessa la visione del Logos, della Ragione creatrice che, nell’incarnazione di Dio, si è rivelata insieme come il Bene, come la Bontà stessa.
Nella teologia medievale c’è stata una disputa approfondita sul rapporto tra teoria e prassi, sulla giusta relazione tra conoscere ed agire – una disputa che qui non dobbiamo sviluppare. Di fatto l’università medievale con le sue quattro Facoltà presenta questa correlazione. Cominciamo con la Facoltà che, secondo la comprensione di allora, era la quarta, quella di medicina. Anche se era considerata più come "arte" che non come scienza, tuttavia, il suo inserimento nel cosmo dell’universitas significava chiaramente che era collocata nell’ambito della razionalità, che l’arte del guarire stava sotto la guida della ragione e veniva sottratta all’ambito della magia. Guarire è un compito che richiede sempre più della semplice ragione, ma proprio per questo ha bisogno della connessione tra sapere e potere, ha bisogno di appartenere alla sfera della ratio. Inevitabilmente appare la questione della relazione tra prassi e teoria, tra conoscenza ed agire nella Facoltà di giurisprudenza. Si tratta del dare giusta forma alla libertà umana che è sempre libertà nella comunione reciproca: il diritto è il presupposto della libertà, non il suo antagonista. Ma qui emerge subito la domanda: Come s’individuano i criteri di giustizia che rendono possibile una libertà vissuta insieme e servono all’essere buono dell’uomo? A questo punto s’impone un salto nel presente: è la questione del come possa essere trovata una normativa giuridica che costituisca un ordinamento della libertà, della dignità umana e dei diritti dell’uomo. È la questione che ci occupa oggi nei processi democratici di formazione dell’opinione e che al contempo ci angustia come questione per il futuro dell’umanità. Jürgen Habermas esprime, a mio parere, un vasto consenso del pensiero attuale, quando dice che la legittimità di una carta costituzionale, quale presupposto della legalità, deriverebbe da due fonti: dalla partecipazione politica egualitaria di tutti i cittadini e dalla forma ragionevole in cui i contrasti politici vengono risolti. Riguardo a questa "forma ragionevole" egli annota che essa non può essere solo una lotta per maggioranze aritmetiche, ma che deve caratterizzarsi come un "processo di argomentazione sensibile alla verità" (wahrheitssensibles Argumentationsverfahren). È detto bene, ma è cosa molto difficile da trasformare in una prassi politica. I rappresentanti di quel pubblico "processo di argomentazione" sono – lo sappiamo – prevalentemente i partiti come responsabili della formazione della volontà politica. Di fatto, essi avranno immancabilmente di mira soprattutto il conseguimento di maggioranze e con ciò baderanno quasi inevitabilmente ad interessi che promettono di soddisfare; tali interessi però sono spesso particolari e non servono veramente all’insieme. La sensibilità per la verità sempre di nuovo viene sopraffatta dalla sensibilità per gli interessi. Io trovo significativo il fatto che Habermas parli della sensibilità per la verità come di elemento necessario nel processo di argomentazione politica, reinserendo così il concetto di verità nel dibattito filosofico ed in quello politico.
Ma allora diventa inevitabile la domanda di Pilato: Che cos’è la verità? E come la si riconosce? Se per questo si rimanda alla "ragione pubblica", come fa Rawls, segue necessariamente ancora la domanda: Che cosa è ragionevole? Come una ragione si dimostra ragione vera? In ogni caso, si rende in base a ciò evidente che, nella ricerca del diritto della libertà, della verità della giusta convivenza devono essere ascoltate istanze diverse rispetto a partiti e gruppi d’interesse, senza con ciò voler minimamente contestare la loro importanza. Torniamo così alla struttura dell’università medievale. Accanto a quella di giurisprudenza c’erano le Facoltà di filosofia e di teologia, a cui era affidata la ricerca sull’essere uomo nella sua totalità e con ciò il compito di tener desta la sensibilità per la verità. Si potrebbe dire addirittura che questo è il senso permanente e vero di ambedue le Facoltà: essere custodi della sensibilità per la verità, non permettere che l’uomo sia distolto dalla ricerca della verità. Ma come possono esse corrispondere a questo compito? Questa è una domanda per la quale bisogna sempre di nuovo affaticarsi e che non è mai posta e risolta definitivamente. Così, a questo punto, neppure io posso offrire propriamente una risposta, ma piuttosto un invito a restare in cammino con questa domanda – in cammino con i grandi che lungo tutta la storia hanno lottato e cercato, con le loro risposte e con la loro inquietudine per la verità, che rimanda continuamente al di là di ogni singola risposta.
Teologia e filosofia formano in ciò una peculiare coppia di gemelli, nella quale nessuna delle due può essere distaccata totalmente dall’altra e, tuttavia, ciascuna deve conservare il proprio compito e la propria identità. È merito storico di san Tommaso d’Aquino – di fronte alla differente risposta dei Padri a causa del loro contesto storico – di aver messo in luce l’autonomia della filosofia e con essa il diritto e la responsabilità propri della ragione che s’interroga in base alle sue forze. Differenziandosi dalle filosofie neoplatoniche, in cui religione e filosofia erano inseparabilmente intrecciate, i Padri avevano presentato la fede cristiana come la vera filosofia, sottolineando anche che questa fede corrisponde alle esigenze della ragione in ricerca della verità; che la fede è il "sì" alla verità, rispetto alle religioni mitiche diventate semplice consuetudine. Ma poi, al momento della nascita dell’università, in Occidente non esistevano più quelle religioni, ma solo il cristianesimo, e così bisognava sottolineare in modo nuovo la responsabilità propria della ragione, che non viene assorbita dalla fede. Tommaso si trovò ad agire in un momento privilegiato: per la prima volta gli scritti filosofici di Aristotele erano accessibili nella loro integralità; erano presenti le filosofie ebraiche ed arabe, come specifiche appropriazioni e prosecuzioni della filosofia greca. Così il cristianesimo, in un nuovo dialogo con la ragione degli altri, che veniva incontrando, dovette lottare per la propria ragionevolezza. La Facoltà di filosofia che, come cosiddetta "Facoltà degli artisti", fino a quel momento era stata solo propedeutica alla teologia, divenne ora una Facoltà vera e propria, un partner autonomo della teologia e della fede in questa riflessa. Non possiamo qui soffermarci sull’avvincente confronto che ne derivò. Io direi che l’idea di san Tommaso circa il rapporto tra filosofia e teologia potrebbe essere espressa nella formula trovata dal Concilio di Calcedonia per la cristologia: filosofia e teologia devono rapportarsi tra loro "senza confusione e senza separazione". "Senza confusione" vuol dire che ognuna delle due deve conservare la propria identità. La filosofia deve rimanere veramente una ricerca della ragione nella propria libertà e nella propria responsabilità; deve vedere i suoi limiti e proprio così anche la sua grandezza e vastità. La teologia deve continuare ad attingere ad un tesoro di conoscenza che non ha inventato essa stessa, che sempre la supera e che, non essendo mai totalmente esauribile mediante la riflessione, proprio per questo avvia sempre di nuovo il pensiero. Insieme al "senza confusione" vige anche il "senza separazione": la filosofia non ricomincia ogni volta dal punto zero del soggetto pensante in modo isolato, ma sta nel grande dialogo della sapienza storica, che essa criticamente e insieme docilmente sempre di nuovo accoglie e sviluppa; ma non deve neppure chiudersi davanti a ciò che le religioni ed in particolare la fede cristiana hanno ricevuto e donato all’umanità come indicazione del cammino. Varie cose dette da teologi nel corso della storia o anche tradotte nella pratica dalle autorità ecclesiali, sono state dimostrate false dalla storia e oggi ci confondono. Ma allo stesso tempo è vero che la storia dei santi, la storia dell’umanesimo cresciuto sulla basa della fede cristiana dimostra la verità di questa fede nel suo nucleo essenziale, rendendola con ciò anche un’istanza per la ragione pubblica. Certo, molto di ciò che dicono la teologia e la fede può essere fatto proprio soltanto all’interno della fede e quindi non può presentarsi come esigenza per coloro ai quali questa fede rimane inaccessibile. È vero, però, al contempo che il messaggio della fede cristiana non è mai soltanto una "comprehensive religious doctrine" nel senso di Rawls, ma una forza purificatrice per la ragione stessa, che aiuta ad essere più se stessa. Il messaggio cristiano, in base alla sua origine, dovrebbe essere sempre un incoraggiamento verso la verità e così una forza contro la pressione del potere e degli interessi.
Ebbene, finora ho solo parlato dell’università medievale, cercando tuttavia di lasciar trasparire la natura permanente dell’università e del suo compito. Nei tempi moderni si sono dischiuse nuove dimensioni del sapere, che nell’università sono valorizzate soprattutto in due grandi ambiti: innanzitutto nelle scienze naturali, che si sono sviluppate sulla base della connessione di sperimentazione e di presupposta razionalità della materia; in secondo luogo, nelle scienze storiche e umanistiche, in cui l’uomo, scrutando lo specchio della sua storia e chiarendo le dimensioni della sua natura, cerca di comprendere meglio se stesso. In questo sviluppo si è aperta all’umanità non solo una misura immensa di sapere e di potere; sono cresciuti anche la conoscenza e il riconoscimento dei diritti e della dignità dell’uomo, e di questo possiamo solo essere grati. Ma il cammino dell’uomo non può mai dirsi completato e il pericolo della caduta nella disumanità non è mai semplicemente scongiurato: come lo vediamo nel panorama della storia attuale! Il pericolo del mondo occidentale – per parlare solo di questo – è oggi che l’uomo, proprio in considerazione della grandezza del suo sapere e potere, si arrenda davanti alla questione della verità. E ciò significa allo stesso tempo che la ragione, alla fine, si piega davanti alla pressione degli interessi e all’attrattiva dell’utilità, costretta a riconoscerla come criterio ultimo. Detto dal punto di vista della struttura dell’università: esiste il pericolo che la filosofia, non sentendosi più capace del suo vero compito, si degradi in positivismo; che la teologia col suo messaggio rivolto alla ragione, venga confinata nella sfera privata di un gruppo più o meno grande. Se però la ragione – sollecita della sua presunta purezza – diventa sorda al grande messaggio che le viene dalla fede cristiana e dalla sua sapienza, inaridisce come un albero le cui radici non raggiungono più le acque che gli danno vita. Perde il coraggio per la verità e così non diventa più grande, ma più piccola. Applicato alla nostra cultura europea ciò significa: se essa vuole solo autocostruirsi in base al cerchio delle proprie argomentazioni e a ciò che al momento la convince e – preoccupata della sua laicità – si distacca dalle radici delle quali vive, allora non diventa più ragionevole e più pura, ma si scompone e si frantuma.
Con ciò ritorno al punto di partenza. Che cosa ha da fare o da dire il Papa nell’università? Sicuramente non deve cercare di imporre ad altri in modo autoritario la fede, che può essere solo donata in libertà. Al di là del suo ministero di Pastore nella Chiesa e in base alla natura intrinseca di questo ministero pastorale è suo compito mantenere desta la sensibilità per la verità; invitare sempre di nuovo la ragione a mettersi alla ricerca del vero, del bene, di Dio e, su questo cammino, sollecitarla a scorgere le utili luci sorte lungo la storia della fede cristiana e a percepire così Gesù Cristo come la Luce che illumina la storia ed aiuta a trovare la via verso il futuro.
Dal Vaticano, 17 gennaio 2008
BENEDICTUS XVI
[© Copyright 2008 - Libreria Editrice Vaticana]


PAPA-SAPIENZA, APPELLO DI RUINI PER MANIFESTAZIONE A S.PIETRO

Il Cardinale vicario Camillo Ruini ha oggi invitato tutti i fedeli e i cittadini romani ad una manifestazione riparatoria e di solidarietà con Benedetto XVI, una sorta di "Papa-day" dopo l'"oltraggio" subito da Ratzinger ad opera dei contestatori anti-pontifici dell'Università La Sapienza. Appuntamento per le 12:00 di domenica 20 gennaio in piazza San Pietro per la preghiera dell'Angelus. L'iniziativa del porporato ha già raccolto l'adesione di partiti politici, da Forza Italia ad Alleanza Nazionale, ed ha catalizzato l'entusiasmo di movimenti e organizzazioni cattoliche, tra cui quel Forum delle Famiglie, che il 12 maggio a San Giovanni radunò centinaia di migliaia di persone. Anche se il vicariato parla sopratutto di una manifestazione di "amore e gratitudine" verso il Papa, dopo una vicenda "che colpisce dolorosamente tutta la città di Roma", è probabile che ciò si trasformi in una prova di forza della mobilitazione cattolica contro le "ristrettezze dell'ideologia", come le ha definite Ruini. Stavolta la Chiesa non ha aspettato o voluto che fossero altri a cavalcare l'ondata dell'indignazione provocata dalla mancata visita del Papa nell'Ateno romano. Ha agito in prima persona.

Nella mattinata, mentre il Papa si affacciava per l'udienza generale nell'Aula Nervi, il porporato ha diffuso il suo comunicato per indire il raduno di domenica. "La Chiesa di Roma - ha scritto il porporato - esprime la sua filiale e totale vicinanza al proprio vescovo , il Papa, e dà voce a quell'amore, a quella fiducia, a quell'ammirazione e gratitudine per Benedetto XVI che è nel cuore del popolo di Roma". "Per consentire a tutti di manifestare questi sentimenti - ha argomentato - invito i fedeli, ma anche tutti i romani, ad essere presenti in piazza San Pietro per la recita dell'Angelus di domenica prossima 20 gennaio. Sarà un gesto di affetto e di serenità, sarà espressione della gioia che proviamo nell'avere Benedetto XVI come nostro Vescovo e come nostro Papa". Poi, al Tg2, il porporato ha attaccato a testa bassa i contestatori della Sapienza.

"E' stata una vicenda triste e anche in fondo banale, perché non c'era nessun motivo per ostacolare la visita del Papa", ha detto. "Gli studenti mi hanno fatto veramente tristezza - ha aggiunto - Li ho sentiti anche in televisione dopo l'annuncio, l'esultanza, e pensavo: questi giovani, purtroppo, non hanno senso della realtà e sono fermi almeno a 40 anni fa, come se adesso, nel 2008, vivessimo la stagione del '68''. "Penso il contrario - ha affermato -, il Tevere non è mai diventato realmente più largo, diventa più largo nelle immagini pubbliche ma non nel sentimento della gente". E così, l'iniziativa di domenica servirà anche a dimostrare, secondo Ruini , che a Roma vive "un popolo solo". Il messaggio del cardinale vicario è stato subito recepito: "andremo all'Angelus", hanno promesso i dirigenti di An, Gasparri, la Russa e Ronchi; anche il leader dell'Udc, Pier Ferdinando Casini si è unito all'iniziativa, come pure gli studenti di Forza Italia, e la fondazione Magna Charta; poi a pioggia sono arrivate le adesioni dell'associazionismo cattolico: da "Rinnovamento nello Spirito" a "Scienza e Vita", dal Movimento Cristiani Lavoratori al Forum delle Famiglie.



Reazioni all'annullamento della visita del Papa a "La Sapienza"
ROMA, mercoledì, 16 gennaio 2008 (ZENIT.org).- Riportiamo di seguito alcune delle reazioni all'annullamento della visita di Benedetto XVI all'Università "La Sapienza" giunte alla redazione di ZENIT.
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CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA
A seguito della decisione di soprassedere alla visita del Santo Padre all'Università "La Sapienza" di Roma, programmata per giovedì 17 gennaio, la Presidenza della Conferenza Episcopale Italiana esprime la propria incondizionata vicinanza a Benedetto XVI oggetto di un gravissimo rifiuto che manifesta intolleranza antidemocratica e chiusura culturale. Tanto più che la visita del Santo Padre era cordiale risposta a un invito espresso dagli organi responsabili dell'Università, ma reso inefficace dalla violenza ideologica e rissosa di pochi.
Auspichiamo che attraverso il ripristino dell'identità culturale e della funzione educativa dell'Università, mediante l'opera dei docenti e la responsabile partecipazione degli studenti, la vita dell'Ateneo possa ritornare a quella forma ordinata che sola permette l'acquisizione e il confronto culturale, a servizio della persona e della società.
La Presidenza della C.E.I.
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VICARIATO DI ROMA
Il Cardinale Ruini sulla mancata visita di Benedetto XVI alla Sapienza
Rendiamo nota la posizione del Cardinale Vicario Camillo Ruini in merito alle manifestazioni di protesta che hanno portato ad annullare la visita del Santo Padre Benedetto XVI alla Sapienza prevista per domani.
Il Vicariato di Roma ha seguito passo dopo passo, in stretta collaborazione con i competenti organi della Santa Sede, le tristi vicende che hanno costretto il Santo Padre a rinunciare alla visita all'Università "La Sapienza", alla quale era stato da molto tempo invitato.
In questa circostanza, che colpisce tanto dolorosamente tutta la nostra città, la Chiesa di Roma esprime la sua filiale e totale vicinanza al proprio Vescovo, il Papa, e dà voce a quell'amore, a quella fiducia, a quell'ammirazione e gratitudine per Benedetto XVI che è nel cuore del popolo di Roma.
Per consentire a tutti di manifestare questi sentimenti, invito i fedeli, ma anche tutti i romani, ad essere presenti in Piazza San Pietro per la recita dell'Angelus di domenica prossima 20 gennaio. Sarà un gesto di affetto e di serenità, sarà espressione della gioia che proviamo nell'avere Benedetto XVI come nostro Vescovo e nostro Papa.
Roma, 16 gennaio 2008
Camillo Card. Ruini
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UNIONE CATTOLICA DELLA STAMPA ITALIANA
Benedetto XVI: per l'UCSI "vittima di una violenza culturale che rischia di sconfiggere la democrazia basata sul dialogo". Dai media "troppe volte distorta e falsata l'immagine della Chiesa".
"C'è una malattia che sta inquinando la società italiana: si chiama violenza. Violenza di esigue minoranze, violenza di un laicismo senza radici, violenza di un antagonismo super pubblicizzato: Benedetto XVI vittima di questa violenza. Lui, grande testimone della speranza, guida di una Chiesa cattolica che percorre la strada del dialogo per favorire l'intesa tra diverse culture, tradizioni e sapienze religiose". Così l'Unione Cattolica della stampa Italiana in riferimento alla mancata visita del papa all'Università La Sapienza di Roma.
"Non è solo la sconfitta dell'Università italiana e dunque della cultura istituzionale ma rischia di essere anche la sconfitta di un sistema democratico basato sul dialogo che, non annullando le differenze, arricchisce la vita di tutti".
Per i media, dall'UCSI, una riflessione: "quanta cultura, quanta scienza, quanta economia, quanta cronaca sono raccontate ogni giorno più per le ragioni del mercato dell'audience e di esigue minoranze politico-culturali rispetto al sentire della larga maggioranza degli italiani? Quante volte risulta distorta e falsata l'immagine della Chiesa perché presentata con le categorie improprie della politica, dell'economia e della cronaca mondana? Dalla vicenda Sapienza una lezione anche per i media. Oggi più che mai occorre essere costruttori coraggiosi, in tutte le culture e con tutte le sensibilità, più che pseudo-rivoluzionari pateticamente fuori dalla storia".
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FISM - FEDERAZIONE ITALIANA SCUOLE MATERNE
LA FISM ESPRIME AFFETTO E VICINANZA FILIALE AL PAPA BENEDETTO XVI E RILEVA IL PERMANERE NELLA SOCIETA' DI FRANGE, NON SOLO ESTREMISTE, INCAPACI DI USCIRE DAL DOGMATISMO DELLE IDEOLOGIE. UNA SOCIETA' CIVILE SI MISURA SULLA CAPACITA' DI DIALOGO E NON SUI VETI.
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ASSOCIAZIONE MEDICINA E PERSONA
La Sapienza e l'ideologia
Quanto accaduto all'Università La Sapienza di Roma è di una gravità inaudita.
-E' IL SEGNO che nel "luogo del sapere", l'universitas, da sempre luogo libero di confronto ed arricchimento intellettuale, dettano ancora legge gruppi di facinorosi ed intolleranti che niente hanno a che vedere con un' autentica laicità;
-CHI HA PERSO in tutta questa vicenda è proprio questo laicismo intollerante, già sconfitto dalla storia, capace solo di generare violenza e non convivenza civile e democrazia;
-CHI HA PERSO, sono le Istituzioni, l'Università e la politica, troppo spesso concilianti con questi "nuovi inquisitori" per ragioni di potere;
Dobbiamo ringraziare il Papa, testimone di una Verità non ideologica, che non si impone ma si propone alla ragione ed alla libertà di tutti gli uomini, fondamento per secoli di costruzione e convivenza civile;
Esprimiamo profonda indignazione per quanto accaduto, sentiamo la responsabilità di costruire con il Papa e con tutti coloro che lo desiderano, luoghi e spazi in cui la libertà e la ragione dell'uomosiano valorizzati per il bene comune.
Medicina e Persona
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COPERCOM (COORDINAMENTO DELLE ASSOCIAZIONI PER LA COMUNICAZIONE)
Si vuole censurare il Papa per mettere a tacere tutta la Chiesa
Il rifiuto di accogliere il Papa all'Università "La Sapienza" di Roma è un evento drammatico per la cultura, la Chiesa e la società intera. Indignazione, dolore e preoccupazione sono espressi da Franco Mugerli, presidente del Copercom, il coordinamento di 25 associazioni per la comunicazione con oltre due milioni di aderenti.
Mai si era impedito al Papa di parlare nei suoi viaggi in tutto il mondo. E' gravissimo che ciò sia accaduto per la prima volta a Roma e che né l'Università né lo Stato italiano abbiano saputo garantire libertà di parola a una delle voci più appassionate dell'uomo e al suo inesausto richiamo ad allargare la ragione da cui dipende la scienza e il futuro della nostra convivenza e civiltà.
Una minoranza ideologica, intollerante e antidemocratica colpendo il Papa vuole censurare e mettere a tacere tutta la Chiesa. Quanto è accaduto al Papa potrà accadere ad ognuno di noi. Al Santo Padre esprimiamo tutto la nostra appassionata adesione e gratitudine per il suo ministero a difesa della fede, della libertà e della ragione di ogni uomo.
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SCIENZA & VITA
NON DARE VOCE AL PAPA L'ULTIMA INTOLLERANZA LAICISTA
L'Associazione Scienza & Vita è profondamente amareggiata dall'epilogo della contestazione di professori e studenti della "Sapienza" che hanno sbattuto la porta in faccia ad un uomo del dialogo come Benedetto XVI. Se oggi il solo richiamare i limiti della ricerca scientifica che inevitabilmente coincidono con i confini di una coscienza retta, può divenire motivo di intollerante rifiuto all'ascolto - rimarca l'Associazione - vuol dire che una sindrome autoritaria si sta lentamente ma inesorabilmente facendosi strada nelle aule delle università italiane. Proprio là dove dovrebbe essere massima cura degli scienziati garantire non solo la qualità del dialogo, ma l'efficacia di una ricerca a servizio dell'uomo, senza se e senza ma. Siamo sicuri che il Papa - conclude Scienza & Vita - non si farà intimorire e continuerà a parlare in difesa dell'uomo e di tutti gli uomini, anche nei riguardi dei sostenitori di una scienza priva di uno statuto di responsabilità. Infine si augura che i mondi accademico e studentesco sappiano far maturare gli anticorpi necessari a respingere la violenza di chi, in nome di un laicismo fattosi ideologia, vuol togliere la voce ad un uomo come Benedetto XVI.
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OSSERVATORIO VAN THUÂN
TUTTI I RETTORI DELLE UNIVERSITA' ITALIANE INVITINO IL PAPA AD INAUGURARE IL PROSSIMO ANNO ACCADEMICO
LO PROPONE L'OSSERVATORIO VAN THUÂN
DOPO LA RINUNCIA DEL PAPA ALLA SAPIENZA
Stefano Fontana
Direttore dell'Osservatorio
La notizia della rinuncia del Santo Padre Benedetto XVI a presenziare alle cerimonia di inaugurazione dell'anno accademico presso l'Università di Roma "La Sapienza" ha profondamente rattristato il nostro Osservatorio. La rinuncia è stata opportunamente decisa a seguito di una situazione deterioratasi per volontà ideologica e politica da un lato e meschinità culturale dall'altro. Già la stessa organizzazione della visita alla Sapienza, così come era stata progettata prima della rinuncia del Santo Padre, lasciava molto perplessi sul conveniente riconoscimento che a Benedetto XVI sarebbe stato attribuito. Come è noto il papa non avrebbe dovuto tenere la vera e propria Lectio inaugurale dell'atto accademico, ma intervenire in un secondo momento, a cerimonia ufficiale conclusa. Già questa insolita organizzazione ci era sembrata lesiva della dignità dell'ospite e una eccessiva concessione agli equilibri ideologici interni al Rettorato e al Senato Accademico. A maggior ragione amareggiano quindi le successive astiose opposizioni alla visita del papa, a partire dalla cosiddetta "lettera del 67", fino ai manifesti e alle dichiarazioni degli studenti, molto sprovvedute nel linguaggio e nei contenuti. Sia nelle idee dei professori sia in quelle degli studenti abbiamo riscontrato solo vecchi luoghi comuni, privi di dignità argomentativa. Prevale puerilmente una visione della scienza come chiusa in se stessa, mentre l'apertura agli altri cambi del sapere è pane quotidiano per ogni ricercatore. Prevale una visione dello spazio pubblico di una università statale come luogo in cui un discorso teologico non può avere accesso, in pratica una laicità antireligiosa, che proprio per questo non è laicità ma ideologia. Prevale una visione della Chiesa, della sua storia, e del suo posto nel mondo di oggi degna di livelli cognitivi molto elementari. Amareggia la grande povertà intellettuale o addirittura l'asineria conclamata che si sono potute riscontrare nelle dichiarazioni dei protagonisti di questa sceneggiata. Sono riusciti nientemeno che a ritirare fuori Galileo Galilei, ma non quello vero, quello della vulgata anticlericale che Giovanni Paolo II credeva di avere definitivamente debellato dopo i lavori della Commissione da lui costituita e di cui nessuno alla Sapienza certamente sa.
E' senz'altro un disonore per l'Università la Sapienza e in generale per l'università italiana e lo Stato italiano. E' spiaciuto che gli altri docenti, senz'altro molto più numerosi dei "67", si siano fatti sentire poco. Spiace anche che la grande maggioranza degli studenti abbia lasciato fare. Tutti si aspettano,e noi tra essi, un qualche atto riparatore. Da parte nostra suggeriamo che tutti i Rettori di tutte le Università italiane invitino Benedetto XVI all'inaugurazione del prossimo anno accademico.
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COMUNITA' DI SANT'EGIDIO

UNA VERGOGNA PER L'ITALIA E PER LA LAICITA'.
GRAVE LA RESPONSABILITA' DI CHI HA LAVORATO PER ANNULLARE LA VISITA DI PAPA BENEDETTO XVI ALL'UNIVERSITA' "LA SAPIENZA" DI ROMA
E' con grande tristezza, che come abbiamo commentato ieri a caldo, abbiamo registrato l'annullamento della visita di Papa Benedetto XVI all'Università La Sapienza di Roma.
Gli autori della lettera, che ha innescato il patetico riemergere di un anticlericalismo usurato e una bagarre mediatica che ha resuscitato toni ghibellini e spaccature nell'opinione pubblica, hanno una grave responsabilità.
Il Papa, come vescovo di Roma, come grande intellettuale europeo, può e deve andare in ogni luogo ritenga opportuno e tanto più nell'Università che rappresenta Roma nel mondo. E' una brutta pagina, da chiudere in fretta sotto il segno della tolleranza e del superamento di ogni strumentale estremismo ideologico, che rischia di mettere in angolo le grandi tradizioni religiose, umanistiche, culturali e democratiche dell'Italia.
E' una pagina triste e irresponsabile, con l'aggravante che è stata fondata su una lettura ignorante e travisata del pensiero del card. Ratzinger, a cui sono state attribuite anche affermazioni virgolettate completamente erronee, essendo di ben altro autore e già contraddette dal card.Ratzinger proprio nel corso dell'intervento sul "processo a Galileo" tirato in ballo a sproposito.
E' surreale che solo le opinioni del Papa vengano scrutinate come biglietto di accesso in una istituzione culturale che dalla sua visita trae solo onore, e nella sua città, quando presenze di ogni tipo hanno cittadinanza sui media più importanti e anche in istituzioni universitarie senza alcun dibattito nazionale o "veto".
I tempi in cui le opinioni e le presenze venivano limitati e impediti nel dibattito pubblico e nei luoghi della cultura sono stati tempi di oscurantismo, intolleranza e sonno della ragione e hanno sempre coinciso con climi dittatoriali e con tragedie europee e mondiali.
La prassi della provocazione e dei diritti di veto di piccole minoranze sta rendendo irrespirabile la vita quotidiana in un paese come l'Italia e oggi anche in una città come Roma.
E' una sconfitta della laicità in nome di un anticlericalismo miope e, come sempre, approssimativo e ignorante. Un paese di grandi tradizioni umanistiche e culturali come l'Italia non può permettersi la paralisi e l'umiliazione ripetuta a causa di minoranze aggressive ed estremiste, che hanno il diritto di parlare e farsi giudicare per quello che sono, ma nessun diritto di impedire o umiliare il regolare svolgersi della vita in un grande paese democratico.
Mario Marazziti
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MAGDI ALLAM
Appello "Io sto con il Papa" (per aderire invia una mail a iostoconilpapa@magdiallam.it)
Cari amici,
L'inaudita e sofferta decisione del Santo Padre di annullare la sua visita all'Università La Sapienza di Roma, programmata per giovedì 17 gennaio, a causa della predicazione d'intolleranza laicista da parte di un manipolo di docenti e dell'intimidazione violenta da parte di una banda di studenti, impone a tutti noi l'assunzione della consapevolezza della gravità di un atto che va ben oltre all'evidente marciume ideologico diffuso nel mondo accademico e culturale italiano e al manifesto arbitrio comportamentale di squadracce comuniste e radicali che si sono annidate in seno alla nostra società. Il gesto, comprensibile e saggio del Papa, attesta di fatto la sconfitta dello Stato di diritto che non è più in grado di salvaguardare la propria sovranità e il rispetto dell'esercizio dei diritti costituzionali all'interno del proprio territorio nazionale, nonché la deriva dell'insieme della classe politica che ha profanato e trasformato lo Stato e le sue istituzioni in un bordello dove si svendono i valori e si calpestano le regole in cambio di denaro e di potere per soddisfare il proprio egoistico e miope interesse.
Noi diciamo con estrema chiarezza e totale determinazione che stiamo in modo inequivocabile dalla parte del Papa, del suo diritto ad esprimere nella più assoluta libertà il suo pensiero, del suo dovere spirituale e morale a illuminarci sulla posizione della Chiesa e della fede cattolica in tutte le questioni che concernono l'insieme del nostro vissuto, fermo restando la libertà di scelta di tutti. Ma diciamo altresì che oggi non è più sufficiente esprimere la propria solidarietà a Benedetto XVI, che non vogliamo associarci all'atteggiamento ipocrita dei politici che denunciano una "vergogna" da loro stessi generata e auspicano il rispetto di una civiltà che loro stessi stanno uccidendo.
Cari amici, dobbiamo avere la lucidità e il coraggio di andare alla radice del male, rappresentando correttamente la realtà, individuando il valore che corrisponde al bene comune e identificandoci nell'azione che realizza l'autentico interesse nazionale. Dobbiamo prendere atto che oggi l'università e più in generale il mondo dell'Istruzione, i docenti e più in generale il mondo della Cultura, sono profondamente ammalati di relativismo cognitivo, etico e culturale; sono totalmente accecati dall'ideologia del laicismo che li porta a odiare e a infierire contro la propria civiltà che ha il suo radicamento storico e scientifico nella fede e nella tradizione giudaico-cristiana; sono profondamente immersi nelle tenebre del politicamente corretto che li dispensa aprioristicamente dall'assumere dei parametri valutativi e critici nei confronti degli altri; sono a tal punto spregiudicati e immorali da non avere remore a schierarsi e a favorire chi è dedito a combattere e ad annientare la nostra civiltà occidentale. L'università italiana oggi non ha alcuna esitazione ad accogliere dei predicatori d'odio e degli apologeti del terrorismo islamico, come Tariq Ramadan, Rached Ghannoushi e Nadia Yassine, ma non permette al Papa o all'ambasciatore d'Israele e degli Stati Uniti di accedervi. Il pregiudizio ideologico prevale su tutto, con il risultato che oggi l'Occidente è diventato il peggior nemico di se stesso.
E non ha alcun senso sostenere che tutto sommato si tratta di una piccola minoranza, 67 docenti su 4500, che hanno firmato l'appello contro il Papa o uno sparuto gruppo di studenti, un centinaio su 150 mila, che hanno occupato il Rettorato e hanno minacciato di impedire a tutti i costi l'intervento del Pontefice. Perché se questa minoranza di fanatici ideologizzati e violenti è in grado di conseguire il suo scopo, significa che la maggioranza si è di fatto arresa all'arbitrio e alla tirannia della minoranza. Ecco perché diciamo che si tratta di una cocente sconfitta dello Stato di diritto e del trionfo dell'estremismo e dell'oscurantismo. In uno Stato di diritto la predicazione d'odio e l'intimidazione violenta che hanno costretto il capo spirituale della Chiesa cattolica e capo dello Stato Vaticano ad annullare la sua visita alla Sapienza su invito formale del Rettore, dovrebbero essere sanzionati come reato penale. Invece difficilmente un magistrato solleverà il caso perché siamo in un paese dove l'istigazione all'intolleranza e la predicazione d'odio vengono considerati "libertà d'espressione" e dove fin troppo spesso la flagrante violazione della legge viene giustificata invocando la specificità sociale e politica di chi delinque. Peggio ancora siamo in balia di uno Stato e di istituzioni che si sono spinte fino a legittimare e a finanziare i cosiddetti "centri sociali", che sono palesemente dei covi di sovversione e rivolta violenta contro lo stesso Stato e le stesse istituzioni. Ed è in questa assoluta commistione del lecito e dell'illecito e omologazione della legalità e dell'illegalità, che nel Tg1 delle ore 13,30 del 15 gennaio si è sostenuto che la sede del Rettorato della Sapienza sarebbe stato "occupato pacificamente". Ora, se l'occupazione di un edificio o di un locale altrui è sancito dalla legge come reato, come si può immaginare che un reato possa essere compiuto "pacificamente", con il sottinteso che non sarebbe stata violata la legge?
Ebbene, cari amici, anche se è alquanto probabile che la magistratura non perseguirà i docenti che hanno istigato all'intolleranza e gli studenti che hanno intimidito con la violenza, noi non possiamo sottrarci alla condanna netta e assoluta del loro operato. Noi chiediamo che ci sia quantomeno una sanzione disciplinare e morale nei confronti di educatori che diseducano e di studenti che praticano la violenza. Chiediamo che ci sia un provvedimento pubblico da parte del Rettore della Sapienza che vada al di là della ritualità formale delle scuse al Papa. Coloro che hanno incitato all'odio e minacciato Benedetto XVI devono essere sanzionati. Se ciò non dovesse avvenire, come è verosimile, ebbene avremo la conferma che è l'insieme dell'università italiana da bonificare e riscattare alla piena legalità prima ancora da poter essere riformata e ricostruita, affinché possa svolgere il suo ruolo istituzionale di veicolo di trasmissione del sapere scientifico e dei valori che incarnano la nostra civiltà. Ha ragione monsignor Rino Fisichella, vescovo ausiliare di Roma e rettore dell'Università Lateranense, quando dice in un'intervista pubblicata oggi sul Corriere della Sera, che "ormai viviamo sotto il fattore 'i': come ignoranza, intolleranza accademica e intransigenza laicista".
Ugualmente noi dovremmo chiedere al governo e al Parlamento di assumere dei provvedimenti urgenti e seri per riformare dalle radici l'università e il sistema dell'istruzione. Uso il condizionale perché dubito assai che lo farebbero. Perché prima di riformare l'università, è proprio la classe politica che deve essere bonificata e riformata. Fintantoché non prevarranno il senso dello Stato, la cultura del bene comune e il primato dell'interesse nazionale, non cambierà assolutamente nulla di sostanziale. Per ora a noi basta esserne consapevoli. Conoscere la realtà senza infingimenti e mistificazione è il nostro traguardo iniziale. Perché solo quando saremo in grado di distinguere il vero dal falso, potremo discernere tra il bene e il male e scegliere tra la buona e la cattiva azione.
Ecco perché cari amici, oggi noi dobbiamo assumere un'iniziativa che ci veda da protagonisti schierati dalla parte della verità. E la verità oggi significa dire: "Io sto con il Papa. Io condanno l'intolleranza laicista e l'intimidazione violenta. Io denuncio l'ipocrisia dei politici che sono i veri responsabili del degrado etico in cui versa l'Italia".
Se siete anche voi d'accordo, vi prego di inviare un messaggio di adesione all'appello "Io sto con il Papa" all'indirizzo iostoconilpapa@magdiallam.it
Per farlo è necessario indicare:
Nome
Cognome
Professione
Motivazione per cui si aderisce all'Appello
Non saranno accettati i messaggi di adesione che non contengano queste quattro indicazioni.
Trattandosi di una iniziativa straordinaria, tutti coloro che vorranno aderire all'Appello lo potranno fare anche se non sono registrati nel sito.
Vi saluto con i miei migliori auguri di successo e di ogni bene.
Magdi Allam
Inviate la vostra adesione all'Appello all'indirizzo iostoconilpapa@magdiallam.it
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ASSOCIAZIONE PAPABOYS

ANNULLATA LA VISITA DEL PAPA ALLA SAPIENZA
L'Associazione dei Papaboys: rammarico per i tanti giovani che aspettavano Benedetto XVI
Gravi responsabilità politiche
C'è innanzitutto molto rammarico tra i numerosi giovani dell'Associazione Nazionale Papaboys iscritti all'Università ‘La Sapienza' di Roma che aspettavano il Santo Padre Benedetto XVI per l'inaugurazione prevista dell'apertura dell'anno Accademico. Rammarico soprattutto per il piacere e la gioia dell'incontro con il Successore di Pietro e con il Vescovo di Roma, ma anche attesa per l'intervento che il Papa avrebbe pronunciato, che sarà comunque letto.
‘A parte l'incapacità politica nel gestire una così delicata situazione da parte delle autorità locali e l'inopinabile sbaglio di 67 professori SOMARI che hanno parlato a vanvera senza studiare prima - dichiara il Presidente Nazionale dell'Associazione Daniele Venturi - emerge la drammaticità che l'Italia intera sta attraversando dal lato culturale e sociale. Possono minoranze condizionare a questi livelli la vita di un paese? Se la risposta è ‘si!' Siamo contenti, poiché noi Papaboys siamo una minoranza che in questo paese non si riconosce più nelle Istituzioni laicizzate a livelli di allarme rosso. Mi auguro di cuore che questo evento possa portare a ripercussioni politiche a livelli nazionali: è certo che un Sindaco che non sa garantire la visita di un Vescovo ad una Istituzione cittadina, saprà garantire ancora di meno la libertà religiosa ad un intero paese'. Chi ha orecchie per intendere, veda di capire.
‘I ragazzi dell'Associazione presenti nella Università romana, ma anche gli studenti di tutta Italia che fanno a noi riferimento - continua il Presidente dell'Associazione Nazionale Papaboys - attendono comunque le importanti parole del Santo Padre sempre gradite e sempre ‘faro' di luce e speranza in una società che davvero sta perdendo pezzi di... sapienza quotidianamente per strada.'. La migliore riflessione da fare viene comunque dal Vangelo di Luca, ed è la lettura che crediamo abbia dato il Papa stesso di questa vicenda, applicandolo alla perfezione:
Ma quando entrerete in una città e non vi accoglieranno, uscite sulle piazze e dite: Anche la polvere della vostra città che si è attaccata ai nostri piedi, noi la scuotiamo contro di voi; sappiate però che il regno di Dio è vicino. Io vi dico che in quel giorno Sòdoma sarà trattata meno duramente di quella città.
Associazione Nazionale Papaboys
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COMUNIONE E LIBERAZIONE
Sapienza, un'altra vergogna per l'Italia
I Papi hanno potuto parlare ovunque nel mondo (Cuba, Nicaragua, Turchia, etc.). L'unico posto dove il Papa non può parla re è La Sapienza,un'università fondata, tra l'altro, proprio da un pontefice.
Questo mette in evidenza due fatti gravissimi:
1- l'incapacità del governo italiano a garantire la possibilità di espressione sul territorio italiano di un Capo di Stato estero, nonché Vescovo di Roma e guida spirituale di unmiliardo di persone. Piccoli gruppi trovano, di fatto, protezioni anche autorevoli nell'impedire ciò che la stragrande maggioranza della gente attende e desidera;
2- la fatiscenza culturale dell'università italiana, per cui un ateneo come La Sapienza rischia di trasformarsi in una "discarica" ideologica.
Come cittadini e come cattolici siamo indignati per quanto avvenuto e siamo addolorati per Benedetto XVI, a cui ci sentiamo ancora più legati, riconoscendo in lui il difensore - in forza della sua fede - della ragione e della libertà.


Il direttore de “L'Osservatore Romano” sulla mancata visita del Papa
CITTA' DEL VATICANO, mercoledì, 16 gennaio 2008 (ZENIT.org).- Pubblichiamo l'articolo scritto per l'edizione del 17 gennaio de “L'Osservatore Romano” dal suo Direttore, Giovanni Maria Vian, sulla mancata visita di Benedetto XVI all'Università “La Sapienza” di Roma.
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La paura della verità
Quello che era inimmaginabile è accaduto: la visita di Benedetto XVI alla Sapienza in occasione dell'inaugurazione dell'anno accademico non si terrà. La notizia ha scosso l'Italia e ha poi cominciato a fare il giro del mondo, mentre cresce la marea delle reazioni, sincere o strumentali: incredule, addolorate, indignate, enfatiche, in alcuni casi persino più o meno soddisfatte. L'ondata decrescerà, naturalmente, ma resta il fatto grave che il Papa ha dovuto rinunciare a recarsi nella prima università di Roma, la città di cui è vescovo, nell'ateneo più grande del Paese del quale è primate. Perché si è arrivati a tanto? La risposta è semplice: a causa dell'intolleranza, radicalmente antidemocratica, di pochi, anzi di pochissimi.
E ora, come nella favola dell'apprendista stregone, tra quanti, a diversi livelli, hanno lasciato, in modo irresponsabile, che montasse questa opposizione preconcetta e ottusa - che va distinta da possibili dissensi, ovviamente legittimi quando siano espressi in modi civili e con metodi democratici - alla visita papale, vi è addirittura chi si preoccupa e rammarica. Dopo aver osservato nei giorni precedenti un silenzio pressoché totale. E la gravità del fatto, senza precedenti nella storia della Repubblica italiana, è confermata dalla lettera al Papa del capo dello Stato, un gesto sincero e nobile che attenua in parte l'incidente.
L'intenzione di Benedetto XVI era evidente: dimostrare interesse e simpatia nei confronti della più vasta comunità accademica italiana, da decenni afflitta da molteplici problemi e che vive in questi ultimi tempi la crisi più ampia delle istituzioni universitarie, in Italia e più in generale nel contesto europeo. Per dire la sua sul ruolo dell'università, certo, ma con una chiarezza ragionevole e desiderosa di confronto che si accompagna a una mitezza fuori del comune. Da teologo e pastore quale è sempre stato. Senza dimenticare la statura intellettuale e accademica, di respiro davvero internazionale, in genere riconosciutagli anche dai suoi avversari.
Per di più in una istituzione laica e autonoma la cui storia secolare è profondamente intrecciata a quella del papato - sin dalla fondazione nel 1303 da parte di Bonifacio VIII, e con benemerenze culturali indubbie - e dove i successori di Pietro si sono di conseguenza sentiti quasi come a casa propria, come sottolineò il 15 marzo 1964 durante la sua visita Paolo VI, antico studente nell'ateneo romano, e come mostrò il 19 aprile 1991 Giovanni Paolo II, quel giorno ospite dell'antico studium urbis.
In continuità con i suoi predecessori, Benedetto XVI avrebbe voluto tornare in un luogo dov'era già stato da cardinale il 15 febbraio 1990 per sostenere la necessità di una dialettica positiva tra fede e ragione, ma ha dovuto rinunciare. Già Paolo VI, avvertendo l'atteggiamento oppositorio fondato su luoghi comuni e toni polemici di quanti mantengono occhi chiusi e animo ostile, volle rassicurarli: il Papa - disse - non forzerà il loro raziocinio chiuso, non scardinerà alcuna porta e starà fuori a bussare, come il "testimone" descritto dall'Apocalisse (3, 20), dicendo a chi non apre: studia, capisci te stesso, leggi nella tua anima, guarda l'esperienza autentica che il nostro tempo sta vivendo proprio nella negazione dei valori religiosi e delle verità trascendenti, e troverai, in così diffuso tormento, un numero ingente di paurose rovine; a cominciare dalla più ampia e desolata: la disperazione, l'assurdo, l'arido nulla.
Ora anche Benedetto XVI bussa senza stancarsi alla porta di ogni essere umano, fiducioso che la ragione non vorrà chiudersi alla fede, all'incontro con Cristo. Davvero c'è qualcuno che onestamente può considerare questo atteggiamento oscurantista, prevaricatore, nemico della scienza? Chi può davvero temere quest'uomo mite e ragionevole, questo pastore che appena eletto alla sede di Roma ha dichiarato di avere assunto il suo ministero nella consapevolezza di non essere solo? E il Papa non è solo: tutta la Chiesa oggi prega per lui, come pregava per Pietro a Gerusalemme, e sono moltissimi anche i non cattolici e i non cristiani che gli sono vicini. Senza paura di confrontarsi con la verità.


QUELL’IDEA MALATA DI LAICITÀ

Avvenire, 17 gennaio 2008
FRANCESCO D’AGOSTINO
Una giornata «nera», quella in cui Be­nedetto XVI ha declinato l’invito fat­togli dalla Sapienza. Nera per quegli stu­denti, contestatori attardati, che hanno creduto con le loro provocazioni di con­tribuire alla crescita politica e culturale del loro Ateneo. Nera per quei docenti che avevano protestato contro l’invito fatto al pontefice dal loro rettore e che non solo non sono riusciti a dare una sia pur minima adeguata motivazione alla loro insofferenza ideologica, ma che al contrario hanno dato prova di scarsa informazione e della incredibile povertà del loro orizzonte epistemologico. Nera per la Sapienza, la maggiore Università del nostro paese e la più nota all’estero: l’immagine di intolleranza che ha dato di sé non può che comprometterne ulte­riormente il prestigio, già da tempo vi­stosamente deteriorato. Nera per tutto il nostro Paese, che continua ad offrire al mondo un’immagine negativa di sé, ag­giungendo alle sue tante pecche quella dell’incapacità di porsi in libero ascolto di una delle poche voci, come quella del Papa, capaci oggi di creare cultura (per­ché è proprietà della cultura vera e viva attivare dibattiti, polemiche, approfon­dimenti, confronti di intelligenze, come appunto sistematicamente fanno le pre­se di posizione di Benedetto XVI).
Ma soprattutto una giornata nera per la laicità, e per la laicità italiana in partico­lare, che ha rivelato all’improvviso (e per molti inaspettatamente) tutta la sua de­bolezza intrinseca, tutta la sua fragilità. Ezio Mauro, direttore di 'Repubblica' ha usato un’espressione ancora più forte: l’idea (di laicità), nel nome della quale si è riusciti a ostacolare l’ingresso del Papa alla Sapienza, sarebbe un’'idea malata'. Se è vero (come dubitarne?), questo è qualcosa che ci deve accomunare nella costernazione, credenti e non credenti: perché la laicità (lo ripetiamo da sem­pre!) è un valore umano e cristiano fon­damentale, che deve stare a cuore in pa­ri misura a tutti. Laicità infatti è perce­pire e rispettare fino in fondo il più gran­de dono che Dio abbia fatto all’uomo: quello di poter giudicare le cose 'terre­ne' con la propria testa, affidandosi al buon uso della ragione, operando per il bene umano oggettivo, che non è un be­ne esclusivo dei credenti, ma un bene che va difeso e promosso da tutti e per tutti. Quando la laicità 'si ammala' tut­ti inevitabilmente ne soffrono.
È possibile che la laicità italiana 'guari­sca'? Deve essere possibile, perché è ne­cessario, necessario, per il bene di tutti. Ma non si tratterà di una guarigione né facile, né rapida. Per risanare l’idea di lai­cità si chiede ai 'laici' un grosso, anche se non difficile, sforzo di onestà intellet­tuale: si tratta semplicemente di ricono­scere che se esiste una laicità 'malata', è perché si può - e, ripeto, si deve - ipo­tizzare l’esistenza di una laicità 'sana'.
L’espressione 'sana laicità' appartiene da tempo al linguaggio della Chiesa ed è stata a volte oggetto di incomprensione, se non di irrisione: ma mai come oggi es­sa appare in tutta la sua immediata evi­denza. È 'sana' la laicità, che resta fe­dele ai propri fondamenti: il buon uso della ragione, il dialogo, la rinuncia ad ogni sopraffazione e intimidazione in­tellettuale, il rispetto per i diritti umani fondamentali e in particolare per la li­bertà religiosa. È 'sana' quella laicità che, se da una parte esige che le cose ter­rene siano gestite senza pregiudiziali confessionali, dall’altra riconosce però senza timidezze e senza ambiguità l’im­menso contributo della religione (e in particolare, nel nostro Paese, del cristia­nesimo) alla civiltà e al bene umano. Sen­za questi riferimenti vitali la laicità 'si ammala' e si trasforma in intolleranza, pregiudizio, dogmatismo e, all’estremo, in violenza.
È troppo chiedere a quei laici (per fortu­na non pochi!), che stigmatizzando la vi­cenda della Sapienza, hanno salvato la dignità della loro visione del mondo, di 'fare ancora uno sforzo' per sciogliere definitivamente quanto di patologico si annida nel laicismo italiano?


Uomini adatti alla fuga davanti al Papa dialogante

Avvenire, 17.1.2008
DAVIDE RONDONI
U na volta si diceva che la miglior difesa è l’attacco.
Ma poiché il coraggio, come insegnava Manzoni, uno da solo non se lo da, i vili più spesso scelgono la fuga come modo per salvare le penne, anche a costo di lasciare sul campo la dignità. È quel che successo al robusto manipolo di 'coraggiosi' docenti de La Sapienza che han deciso di fuggire dal confronto con la parola di Benedetto XVI. Poiché di questo si è trattato.
Mandando avanti fumosi documenti, la minaccia di fumogeni, mandando avanti le teste affumicate da vecchi slogan di pattuglie di ragazzi sempre replicanti sogni invecchiati di costoro, hanno coperto la loro fuga. Benedetto XVI ha preso atto che costoro hanno costretto l’università La Sapienza alla fuga.
Tale viltà segnala un deficit non solo di laicità e di senso istituzionale e storico; soprattutto segnala paura e irresponsabilità. Due caratteristiche che in un ricercatore stanno come a un calciatore la lentezza e il piede a banana. La paura è quella che non accetta l’ospite. Lo lascia fuori dalla porta poiché teme che possa turbare il castelluccio di convinzioni e il tran tran di un piccolo potere.
L’irresponsabilità - che è più grave - è quella speciale viltà per cui si preferisce evitare di dare risposte alle urgenze, alle scoperte e alle novità del reale, e ci si limita nel cerchio tranquillizzante della propria ideologia, o della propria strategia di carriera. Una irresponsabilità dinanzi alle nuove acquisizioni della scienza - quelle sulla cui base Benedetto XVI sta richiamando tutti a uno sguardo umano e attento alla vita della persona. E una irresponsabilità dinanzi ai giovani che invece di essere introdotti al senso critico della realtà, considerandola il più largamente e profondamente possibile, vengono educati a slogans e a semplificazioni. E’ il viver come bruti, denunciato da Dante. Il documento dei Professori - che non passerebbe un serio esame di ammissione a qualsiasi Facoltà - e le successive dichiarazioni di alcuni, denunciano la vile attitudine a non entrar in 'mare aperto', nel merito delle questioni, preferendo buttare addosso all’interlocutore da cui si fugge una serie di luoghi comuni, di riduzioni che non solo mancano di rispetto ma, il che è quasi più grave in sessantottini di lungo corso, mancano di fantasia.
Sappiamo dalle statistiche che La Sapienza è al 150° posto per qualità, e un motivo ci sarà. In tale declassamento un peso lo deve avere anche questo tipo di viltà irresponsabile. Che convivendo con l’impegno ammirevole di tanti docenti, stavolta è emersa con la sua grigia e buffa divisa di gendarmi in fuga, e che nutre una ragnatela continua, dentro e fuori le aule. Questo non è un problema per il Papa, ma per l’Italia.
Nessun ragazzo, nessun intellettuale minimamente dotato di libero cervello presume che il Papa oggi abbia altra forza se non la persuasività del suo pensiero e della testimonianza dei cristiani. Solo un occhio offuscato può descrivere l’Italia in preda a falangi oscurantiste vaticane sui media e nelle aule politiche. Il fatto è, invece, che uomini liberi, credenti e non, menti aperte e ragazzi vivaci vedono in Benedetto XVI uno dei riferimenti più alti e sinceri con cui paragonare esistenza e scelte. E questo fa paura a chi invece cerca una supponente, cieca tranquillità. Si tratta di un eroismo da pantofolai, abituati alle coccole di media e di tribuni. Uomini adatti alla fuga di fronte a un Papa come di fronte alla realtà.
Ma, come hanno sempre scritto i poeti, la realtà è testarda. E si ripresenta, cercando uomini avventurosi, non vili.
Solo un occhio offuscato può descrivere l’Italia in preda a falangi oscurantiste vaticane


L’abilità di sparute minoranze Egemonizzare i ceti intellettuali
Avvenire, 17.1.2008
LUCA DIOTALLEVI

M inimizzare la crisi della nostra comunità nazionale non è più un fatto di prudenza, ora è divenuta un’imprudenza. Da Napoli a Roma, non ce la facciamo più a mantenere lo spazio pubblico sgombero da immondizia e ideologia.
La situazione è tanto grave da far sì che la sanzione pubblica delle responsabi­lità politiche individuali, pur necessaria, non sia neppure la cosa più urgente. Ci sono piuttosto alcune cose che dobbia­mo dirci alla svelta. Tra queste c’è che
laïcité
e modernità non coincidono. La modernità è istanza di differenziazione, è istanza di relazione e di responsabilità fondate sulla distinzione tra diversi am­biti e codici sociali: ma la laïcité
è una pessima risposta a questa istanza.
La laïcité
non è distinzione né relazione, ma pretesa da parte della politica di e­gemonizzare lo spazio pubblico, perse­guendo il progetto di una sovranità as­soluta per cui 'pubblico' si riduce a 'statale'. Una sovranità che si esprime innanzitutto su ogni forma di legge e di diritto, tutto riducendo alla legge dello stato.
La laïcité
non è distinzione né relazione, perché prima ancora che pretesa di ne­gare dignità pubblica al fenomeno reli­gioso, è pretesa di asservirlo ai propri scopi. Non si dimentichi che radici im­portanti della laïcité
sono nell’eresia 'gallicana' e nelle politiche giacobine di sottomissione del clero al servizio dello stato. La laïcité
è il culto fonda­mentalista di una ragione assoluta che vuole giungere ad imporre persino cre­denze e riti propri, è quella ' seculocracy'
ostile al cristianesimo, al sapere critico ed alla democrazia libera­le. La laïcité
non è distinzione né rela­zione, perché è negazione del passato e delle radici storiche: utopia pericolosa dell’autofondamento. Insomma, la laï­cité
non è modernità, perché la moder­nità non è solo né innanzitutto giacobi­nismo.
La modernità è anche quella, teoretica­mente meno incoerente e ormai quan­titativamente prevalente, della religious freedom,
è quella che vive nei regimi di libertà religiosa (come quelli anglosas­soni, certo, ma anche in contesti come quello italiano in cui la costituzione sancisce la pluralità degli ordinamenti). È la libertà delle società in cui 'pubbli­co' non è sinonimo di 'statale', dove lo spazio pubblico è variegato perché pubbliche sono politica e scienza, reli­gione, economia e famiglia; società in cui il reciproco limitarsi delle istituzioni nega ogni monopolio e desacralizza o­gni potere. Quella della libertà religiosa è la libertà di società in cui la legge ed il diritto non sono solo quelli dello stato, ma innanzitutto quelli delle persone ( common law).
In questi regimi, istituzioni religiose e politiche non si minacciano assoggetta­menti né si risparmiano critiche. Men­tre per la laïcité
il 'muro di separazio­ne' tra religione e politica coincide con quello tra privato e pubblico, nei regimi di libertà religiosa quel muro corre at­traverso lo spazio pubblico, come il mu­ro che separa politica da economia.
Nella coscienza di queste società non è negata la memoria. La coscienza storica ricorda invece che le radici permanenti delle società aperte stanno anche nelle tradizioni ebraico-cristiane. La Chiesa cattolica, dal canto suo, ha dato voce col Concilio a questa responsabilità per la libertà religiosa, sancendo nella Di­gnitatis Humanae
i principi insieme cri­stiani e moderni del 'non obbligare, non impedire' e della distinzione tra di­ritto e morale.
Non smettiamo di parlarci perché la gravità del momento non risiede nel fatto che la opinione pubblica italiana abbia dubbi sul valore della religione, anche pubblico. Il pericolo sta nella ca­pacità mostrata da sparute minoranze di egemonizzare i ceti intellettuali. Sarà un caso, ma ancora una volta la sconfit­ta della libertà accompagna la sconfitta della maggioranza.


Quell’intolleranza la conosco bene. Parola di un’islamica riformista
SOUAD SBAI
Q uando la notizia è arrivata, a metà pomeriggio, per un momento si è fermato tutto. La sede del centro culturale Averroè, a Roma, era affollata come sempre di amiche e collaboratrici: incredule e in silenzio ci siamo passate di mano in mano quei primi flash di agenzia. Non ci sembrava possibile quello che stava succedendo, che il Papa, questo Papa, fosse stato costretto a rinunciare al suo intervento nella più grande università italiana. Un uomo che per noi donne di cultura musulmana è prima di tutto l’uomo della pace e del dialogo, una figura mite e generosa che si adopera per far incontrare le diversità, soccorrere gli indifesi e gli oppressi, difendere in ogni parte del mondo i diritti della persona.
E non ci sembrava possibile che a metterlo alla porta fosse stata propria una di quelle università dell’Occidente a cui noi donne arabe – che ci ispiriamo a un pensatore come Averroè, paladino della ragione – guardiamo come una terra promessa del libero confronto di conoscenze e di saperi. Un luogo di speranza e non di intolleranza, per noi che sappiamo bene a cosa conduce l’intolleranza, tanto più quando si proclama intoccabile e si propone come depositaria di una ragione assoluta che si fa un merito di rifiutare le ragioni degli altri.
Anche per noi è stato un giorno di tristezza e di vergogna perché si è celebrata l’affermazione di un’ideologia faziosa e arrogante, di un laicismo illiberale e opportunista che vuole avere mani libere nella costruzione di una società italiana a sua immagine e somiglianza. Priva di valori, di contenuti, di spiritualità e di impulsi ideali. L’ideologia che impedisce a Benedetto XVI di prendere la parola in un ateneo della sua città è la stessa che invita a parlare negli atenei alcuni estremisti islamici ed esponenti della sinistra più estrema. Accomunati, non a caso, dalla stessa ripulsa delle grandi verità della storia e dallo stesso rifiuto del pensiero umanistico così come dell’appassionante confronto sul rapporto tra fede e ragione che proprio Benedetto XVI ha messo al centro del confronto tra islam e Occidente.
Anziché raccogliere il suo ripetuto invito ad «allargare la ragione», si restringe irrazionalmente l’orizzonte della conoscenza e del dibattito, a detrimento degli studenti che stanno formando il loro bagaglio umano e intellettuale e del patrimonio culturale dell’intero ateneo.
Le prove generali della deriva dispotica e illiberale di un Paese, ce lo insegna proprio la storia, si fanno spesso nelle aule delle università. In alcuni Paesi arabi incamminati sulla strada delle riforme liberali e dove pure l’estremismo islamico è un pericolo ben presente, se un ospite viene invitato in un’università nessuno può permettersi di metterlo alla porta. E se questo dovesse capitare, i primi a ribellarsi sarebbero proprio i suoi studenti e i suoi insegnanti. Tutti, nessuno escluso, qualunque sia il loro credo politico, religioso o culturale. Se in Italia non è così vuol dire che quello a cui abbiamo assistito non è solo il giorno della tristezza e della vergogna. È l’alba della sconfitta della civiltà di un intero Paese.
Ma noi, come tanti insieme a noi, non ci stiamo.
Anche per noi è stato un giorno di tristezza perché si è celebrata l’affermazione di un’ideologia arrogante


«Dal Papa un contributo all’idea laica di verità»
Botturi: nel discorso nuova luce sul rapporto fede-ragione
Avvenire, 17.1.2008
DI ANDREA GALLI
F rancesco Botturi, ordinario di filosofia morale all’Università Cattolica di Milano, è un esegeta qualificato del pensiero ratzingeriano. A lui chiediamo a caldo un’opinione sul testo che avrebbe rappresentato, per molti, un attentato alla laicità del mondo accademico...
Professore, il primo autore citato è il filosofo americano John Rawls, non proprio un autore papalino.
«Con ammirevole senso critico il Papa inizia il suo discorso ponendo il problema della giustificazione del suo intervento, come Vescovo di Roma, nell’Università. Lo fa osservando come il Papa sia 'diventato sempre di più anche una voce della ragione etica dell’umanità'. Come tale Egli è espressione di una 'ragione pubblica'. A questo livello si pone l’incontro anche con J. Rawls - grande autorità del neoliberalismo contemporaneo - che giunge a riconoscere la ragionevolezza dell’attenzione da rivolgere alle tradizioni religiose. Anche la ragione pubblica infatti ­sostiene il Papa - ha a che fare con al verità. Così l’università è un luogo 'laico', dotato di autonomia da 'autorità politiche ed ecclesiastiche', ma 'legata esclusivamente all’autorità della verità'.
Questo mi sembra il tema centrale del discorso. Una prospettiva ben significativa: indipendenza dal potere per dipendere dalla ricerca della verità, che è l’essenza della laicità culturale. Una notevole lezione di stile intellettuale».
Il Papa riprende quello che altrove ha definito come la portata illuministica del cristianesimo degli inizi, nel rapporto con le mitologie antiche…
«Implicitamente il discorso alla Sapienza riprende quello di Regensburg quanto alla connessione della fede cristiana con la questione della verità: si fa notare come la figura di Socrate fu accolta dal cristianesimo come emblema della 'brama di conoscenza che è propria dell’uomo', che il cristianesimo non dovette abbandonare in nome della sua fede, bensì valorizzare e conservare, quasi come germe dell’idea di quello che sarà a suo tempo l’università medievale, un luogo che riconosce l’'autorità della verità' e che svolge l’interrogazione sulla verità in modo sistematico. Questo intimo rapporto tra fede e ragione è anche il codice del rapporto di filosofia e teologia, che viene assimilato acutamente alla formula cristologica del rapporto fra le due nature, umana e divina, 'senza confusione e senza separazione'. Questo per dire che il cristianesimo è portatore di un’esperienza intellettuale profonda ed eccezionale nell’unità di ragione e fede, di ragione credente e di fede ragionevole, che è un grande contributo offerto all’umanità».
«Il messaggio cristiano, in base alla sua origine, dovrebbe essere sempre un incoraggiamento verso la verità…». Può essere percepita come un’affermazione irriverente da orecchie laiche...?
«Nel suo passato dialogo con Habermas (ricordato anche in questo discorso) il Papa parlava di una reciproca purificazione che ragione e fede possono favorire l’una dell’altra. Se oggi c’è un’espressione che può suonare provocatoria, ma sanamente provocatoria, è quando il Papa indica il rischio per la ragione contemporanea di perdere 'il coraggio per la verità', il pericolo di arrendersi 'di fronte alla questione della verità' e quindi di piegarsi 'davanti ala pressione degli interessi'. La ragione umana - aveva detto ricordando Agostino - non è mai solo esercizio teorico, ma si nutre anche del rapporto con il bene e quindi della fiducia nella bontà della vita e del mondo: la ragione ha radici in fonti vive, come quelle rese disponibili dalla fede cristiana. Osserva allora il Papa, che 'se però la ragione – sollecita della sua presunta purezza – diventa sorda al grande messaggio che le viene dalla fede cristiana e dalla sua sapienza, inaridisce come un albero le cui radici non raggiungono più le acque che gli danno vita'. Questa è l’offerta ancor oggi che la tradizione cristiana fa al mondo e allo stanco Occidente. Colpisce come tutto ciò sia detto in un percorso fermo e insieme dialettico: è un discorso tempestato di domande non retoriche, un discorso intessuto della ricerca di ragioni e del loro buon argomento. Tutto tranne che un discorso autoritario, ma una grande testimonianza di rispetto e di amore per l’'autorità della verità'».
Alla fine sarà il rettore della Sapienza, Renato Guarini, a leggere oggi, nell’aula magna dell’ateneo romano, l’«allo­cuzione » di Benedetto XVI scritta per l’inaugurazione del­l’anno accademico. Un discorso reso noto ieri e la cui pa­catezza nei toni, assieme alla grande stima espressa per il corpo docente («Da sempre la Chiesa di Roma guarda con simpatia e ammirazione a questo centro universitario, ri­conoscendone l’impegno, talvolta arduo e faticoso, della ricerca e della formazione delle nuove generazioni») cer­to stride e striderà a lungo con le considerazioni al vetrio­lo arrivate dai cosiddetti «cattedratici contestatori». Ma soprattutto un testo che ha poco o nulla della composizione di circostanza, molto, invece, dell’elaborazione propria di chi, sul rapporto tra fede e laicità, fede e ricerca intellettuale 'libera', ha scritto alcune tra le pagine più stimolanti de­gli ultimi anni.
Joseph Ratzinger inizia ricordando che «nella sua libertà da autorità politiche ed ecclesiastiche l’università trova la sua funzione particolare, proprio anche per la società mo­derna, che ha bisogno di un’istituzione del genere». Af­fronta quindi la possibile obiezione ad un suo intervento in un contesto come, appunto, quello universitario: quel­la «secondo cui il Papa, di fatto, non parlerebbe veramen­te in base alla ragione etica, ma trarrebbe i suoi giudizi dal­la fede e per questo non potrebbe pretendere una loro va­lidità per quanti non condividono questa fede». E da qui, passa alla questione di fondo: quale sarebbe il contributo che la fede cristiana è in grado di offrire all’etica pubblica, che per forza di cose non può essere confessionale? La ri­sposta, partendo dalle posizioni espresse da uno dei mas­simi teorici del pensiero liberale nel XX secolo, John Rawls, richiama la ricezione dell’insegnamento socratico da par­te del cristianesimo delle origini, lo sforzo della patristica medievale nella distinzione di filosofia e teologia, fino a tornare alla contemporaneità, alla possibilità di recupe­rare il nesso profondo tra le grandi tradizioni religiose e l’ethos civile. «Con ciò ritorno al punto di partenza – si leg­ge nella chiusa –. Che cosa ha da fare o da dire il Papa nel­l’università? Sicuramente non deve cercare di imporre ad altri in modo autoritario la fede, che può essere solo do­nata in libertà. Al di là del suo ministero di Pastore nella Chiesa e in base alla natura intrinseca di questo ministe­ro pastorale è suo compito mantenere desta la sensibilità per la verità; invitare sempre di nuovo la ragione a met­tersi alla ricerca del vero, del bene, di Dio...»


Dichiarazione dell’Arcivescovo di Bologna – S.E. Card. Carlo Caffarra
Oggi il Santo Padre Benedetto XVI avrebbe dovuto visitare l’Università di Roma ‘La Sapienza’: ne è stato impedito.
È una grave umiliazione inferta all’istituzione universitaria e la negazione pura e semplice della sua identità. L’Università come luogo in cui senza alcun pregiudizio uomini e donne si appassionano nella ricerca della verità: una ricerca che esige il confronto.
È una grave umiliazione inferta alla ragione, perché la violenza ed il pregiudizio le hanno impedito di esercitarsi secondo tutta la sua ampiezza.
È una grave umiliazione inferta all’uomo nella sua più profonda dignità che ha fondamento nella libertà.
È una grave umiliazione inferta alla comunità cattolica che si vede impedita, nella persona di chi essa venera ed ama come vicario di Cristo, di dire le ragioni della sua speranza ad un uomo sempre più smarrito.
La Chiesa di Bologna non può in questo momento non pensare al devastante effetto diseducativo che questo squallido episodio ha sulle giovani generazioni: sono state deluse nel loro desiderio di essere guidate a "seguir virtute e conoscenza".
Ai fedeli tutti ancora una volta dico che la comunione col Santo Padre è la pietra su cui si è edificata nei secoli ed ancora si edifica la nostra Chiesa.
Ad ogni uomo chiedo di riflettere sul capolinea a cui conduce un’idea e un’esperienza corrotta di laicità.
Bologna 17 gennaio 2008


ALLA SAPIENZA QUANTI CATTIVI MAESTRI...

Avvenire, 17.1.2008
PAOLO SIMONCELLI
Chissà se i 67 firmatari che hanno evocato Galileo per impedire al Papa di intervenire alle pur barbose cerimonie d’inaugurazione dell’anno accademico alla 'Sapienza' di Roma, sanno che i primi accusatori dello scienziato furono i suoi colleghi aristotelici dell’Università di Padova che videro tracollare le loro radicate convinzioni sulle sfere celesti, e che rifiutarono di por l’occhio nel cannocchiale per non veder le prove dell’improvvisa vacuità del loro sapere. E che furono questi accademici, ben prima di domenicani e gesuiti, a spostare le accuse contro Galilei dal piano scientifico a quello teologico. Comprensibilmente; con Galilei nasceva infatti il 'revisionismo', metodo di accertamento scientifico del sapere tradizionale acriticamente tramandato.
Chissà quanti dei 67 firmatari seguono quel metodo quando viene applicato alla storia contemporanea con i frutti offerti alla riflessione e alla ricerca da un Nolte o un De Felice, o non piuttosto preferiscono allora gli arcigni inquisitori del dogmatismo ideologico. Ce lo chiediamo intanto noi, dubitando di una loro pronta risposta e di un più comodo sonno (anche della ragione). E c’è da sospettare della persistenza di questo sonno o di una disattenzione costante. Chissà infatti dov’erano quando veniva impedito a De Felice e Romeo e Saitta e Del Noce e Cotta e poi Colletti ecc. di far lezione e diffondere un metodo critico radicalmente antitetico a quello basato sulla violenza ideologica e la sopraffazione fisica? Libertà e metodo, aggrediti chissà se anche da parte di alcuni degli odierni 'difensori', allora non godevano neanche d’una difesa d’ufficio, in pieno silenzio laico (e accademico).
Oggi è difficile evadere dal ripristino (già di per sé sconvolgente) dell’ovvietà, ma va pur detto che è stato arrecato un vulnus profondo al concetto stesso di 'universitas studentium et studiorum', ossia all’insieme centripeta delle forze della cultura, dei saperi, della sinergia intellettuale ecc.
che è forza tradizionale ed esclusiva delle Università pubbliche, dove infatti tiene o ha tenuto lezioni e conferenze anche il padre delle Brigate rosse, Renato Curcio. Alla 'Sapienza' di Roma (che già con equanimità e grande disinvoltura aveva conferito lauree ad honorem, durante la guerra a ministri nazisti come Rust e Funke, e subito dopo la guerra a ufficiali e politici americani come Poletti e Myron Taylor) sono stati presenti a vario titolo noti testimoni di libertà e pace, come Scalzone, Feltrinelli…, ma il Papa no; verrebbe da dire che effettivamente è meglio di no.
Ah, dimenticavamo nella lista, la conferenza di Ahmadinejad alla Columbia University di New York (ma, si obietterà, quella è un’Università americana, privata, per entrare e assistere alle lezioni bisogna pagare una retta alta, mica è italiana e pubblica dove chiunque può entrare e presenziare a lezioni e conferenze; beh, non proprio chiunque).