domenica 20 gennaio 2008

Nella rassegna stampa di oggi:

1) Duecentomila in solidarietà al Papa escluso dall’università La Sapienza
2) Dio fa politica. La sua Costituzione si chiama Angelus
3) Al cuore dell’impero moderno di una cultura senza Dio
4) ABBRACCIARE IL PAPA ABBRACCIANDO INSIEME L’ITALIA INTERA
5) Matematico ebreo paga il prezzo per aver difeso il Papa Intervista a Giorgio Israel, professore ordinario a “La Sapienza”



20/01/2008 12:37, VATICANO
Duecentomila in solidarietà al Papa escluso dall’università La Sapienza
Piazza san Pietro e via della Conciliazione stracolme di giovani studenti e fedeli, dopo la censura della sua presenza all’università di Roma. Benedetto XVI chiede a tutti di costruire “una società fraterna e tollerante”. L’invito a pregare per l’unità dei cristiani e l’appuntamento ai vespri in san Paolo fuori le mura.

Città del Vaticano (AsiaNews) – Decine di migliaia di giovani e adulti – oltre 200 mila se si calcolano i collegamenti televisivi in altre città - sono affluiti in piazza san Pietro da tutta l’Italia per esprimere la loro solidarietà a Benedetto XVI rispondendo all’invito del card. Camillo Ruini, vicario di Roma, dopo le violenti polemiche sorte all’università La Sapienza che ha portato la Santa Sede a cancellare la presenza del pontefice invitato all’apertura dell’anno accademico. Senza alcuna polemica, il pontefice ha esortato tutti a lavorare in un clima di “fraternità” e di “ricerca della verità e della libertà, nell’impegno comune per una società fraterna e tollerante”.
Quando Benedetto XVI appare alla finestra del suo studio per la recita dell’Angelus, sale un’ovazione dalla piazza piena di gente e di striscioni. “Noi sei venuto da noi; noi veniamo da te!”.
Il papa saluta, ma poi passa subito al tema spirituale della sua riflessione, dedicato alla Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani, che quest’anno celebra il suo 100mo anniversario.
Benedetto XVI ricorda che “oggi sono presenti in piazza San Pietro i figli e le figlie spirituali del Padre Wattson, i Frati e le Suore dell’Atonement”, che hanno iniziato la tradizione dell’ottavario.
Egli commenta poi in breve il tema scelto per la Settimana di quest’anno, "Pregate continuamente" (1 Ts 5,17). “Con questo suo invito, [san Paolo]… vuole far comprendere che dalla nuova vita in Cristo e nello Spirito Santo proviene la capacità di superare ogni egoismo, di vivere insieme in pace e in unione fraterna, di portare ognuno, di buon grado, i pesi e le sofferenze degli altri. Non dobbiamo mai stancarci di pregare per l’unità dei cristiani!”.
Il papa invita poi tutti a partecipare ai Vespri solenni che egli presiederà il 25 gennaio nella basilica di san Paolo fuori le mura, “per invocare da Dio il dono prezioso della riconciliazione tra tutti i battezzati”.
Solo dopo la preghiera dell’Angelus il pontefice accenna alla folla venuta in piazza san Pietro “per esprimermi la vostra solidarietà”, dopo l'incidente alla Sapienza. Fra gli applausi e gli sventolii degli striscioni, Benedetto XVI ringrazia tutti “di cuore” e ringrazia il card. Ruini “che si è fatto promotore di questo momento di incontro”.
Senza toni polemici, il pontefice ricorda quanto è accaduto: “Come sapete - egli dice - avevo accolto molto volentieri il cortese invito che mi era stato rivolto ad intervenire giovedì scorso all’inaugurazione dell’anno accademico della ‘Sapienza – Università di Roma’. Conosco bene questo Ateneo, lo stimo e sono affezionato agli studenti che lo frequentano: ogni anno in più occasioni molti di essi vengono ad incontrarmi in Vaticano, insieme ai colleghi delle altre Università. Purtroppo, com’è noto, il clima che si era creato ha reso inopportuna la mia presenza alla cerimonia. Ho soprasseduto mio malgrado, ma ho voluto comunque inviare il testo da me preparato per l’occasione”.
E come aveva fatto nel suo intervento scritto, inviato all’università, spiega cosa dovrebbe essere l’università: “All’ambiente universitario, che per lunghi anni è stato il mio mondo, mi legano l’amore per la ricerca della verità, per il confronto, per il dialogo franco e rispettoso delle reciproche posizioni. Tutto ciò è anche missione della Chiesa, impegnata a seguire fedelmente Gesù, Maestro di vita, di verità e di amore. Come professore, per così dire, emerito che ha incontrato tanti studenti nella sua vita, vi incoraggio tutti, cari universitari, ad essere sempre rispettosi delle opinioni altrui e a ricercare, con spirito libero e responsabile, la verità e il bene”. Tale rispetto fa parte della “missione della Chiesa, impegnata a seguire fedelmente Gesù, Maestro di vita, di verità e di amore”.
Infine il pontefice invita tutti i presenti, fra cui molti studenti universitari, a vivere l’università come “ricerca della verità” e come “rispetto per le opinioni altrui” : “Come professore, per così dire, emerito che ha incontrato tanti studenti nella sua vita, vi incoraggio tutti, cari universitari, ad essere sempre rispettosi delle opinioni altrui e a ricercare, con spirito libero e responsabile, la verità e il bene. A tutti e a ciascuno rinnovo l’espressione della mia gratitudine, assicurando il mio affetto e la mia preghiera”.
Dopo il saluto nelle diverse lingue, i presenti scoppiano in applausi e slogan che gridano “Viva il papa” e “Libertà”. Il papa sorride e agitando la mano per salutare aggiunge: “Continuiamo a vivere in questo clima di fraternità, nella ricerca della verità e della libertà, nell’impegno comune per una società fraterna e tollerante”. Insomma, una lezione di piena laicità dal capo della Chiesa cattolica.



Dio fa politica. La sua Costituzione si chiama Angelus
L’orazione che oggi pronuncia Ratzinger sintetizza la rivoluzione cristiana: a vincere sono i crocifissi…
di ANTONIO SOCCI
La preghiera dell'Angelus (che ricorda l'Annunciazione, il "sì" di Maria e l'incarnazione di Dio) è politica con la P maiuscola. Politica vera, non politichetta. È la politica di Dio: annuncia il ribaltamento del potere nel mondo, l'annientamento di tutti i poteri, l'inizio della loro fine (anche il presuntuoso potere degli intellettuali di cui Dio si infischia). È l'unica vera rivoluzione ed ha un bel volto di fanciulla: è la rivoluzione della tenerezza e dello stupore. Nessun potere può sentirsi più sicuro da quell'attimo in cui, alla periferia dell'Impero romano (e di tutti gli imperi della storia), una bellissima fanciulla quindicenne, inerme e indifesa, ma coraggiosissima e decisa a tutto per il Signore, ha detto il suo "sì" a Dio. È da quel "sì" che Dio volle domandare e a cui volle sottoporsi, che tutte le donne, considerate fino ad allora nulla in quelle civiltà, acquistarono il diritto, nella storia, di poter dire "sì" o "no", come creature libere. Grazie a quel "sì" è entrato nella storia l'unico vero Potente, l'unico vero Re. Pochi giorni dopo il suo sì, Maria, col cuore che scoppiava di felicità, cantando e danzando, ha svelato alla cugina Elisabetta cosa sarebbe accaduto. È la sua profezia: «(Dio) ha spiegato la potenza del suo braccio/ ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore/ ha rovesciato i potenti dai troni/ ha innalzato gli umili». Ha rovesciato i potenti dai troni? Ha innalzato gli umili? Ma quando e dove? La nostra generazione ha visto come il più vasto, duraturo e disumano degli Imperi del Male, quello che aveva provocato il più oceanico macello di cristiani della storia (più di 100 milioni di vittime), quello che si estendeva da Trieste all'Alaska e che nessuno immaginava di poter mai abbattere, in una notte si è totalmente disintegrato. Afflosciato su se stesso. La bandiera rossa è stata ammainata dal Cremlino il 25 dicembre del 1991, il giorno di Natale, quando nasce il Leone di Giuda, il vero Re. E la fine dell'Unione Sovietica era stata decretata l'8 dicembre 1991. Vi dice niente questa data? L'8 dicembre è la festa liturgica dell'Immacolata concezione che ci porta a Fatima. Dove la Madonna apparve ai tre bambini portoghesi, proprio nel 1917, preannunciando la rivoluzione bolscevica in Russia che infatti si sarebbe perpetrata di lì a poche settimane. E, dopo aver messo in guardia da immani persecuzioni, la Vergine concluse il suo drammatico messaggio così: «Alla fine il mio Cuore Immacolato trionferà». E così è stato l'8 dicembre '91, festa dell'Immacolata. Contro qualunque immaginazione umana o calcolo politico, sorprendendo tutti. Il crollo del potere più granitico e orrendo porta il segno dell'Immacolata. Questo è l'evento a cui ha assistito la nostra generazione. Ma da duemila anni, da quel "sì" pronunciato da una ragazzina ignota a tutti in terra, tutta la storia umana è stata ribaltata. Perché prima dominavano le tenebre più disumane e barbare. Tutti gli imperi e tutte le religioni della storia - come ha insegnato il grande René Girard - si fondavano sui sacrifici umani. Non solo quelli agli dèi, a migliaia, ma quelli decretati da re e imperatori per lotte e conquiste. Tutta la struttura sociale e civile si fondava sulla schiavizzazione, sull'arbitrio del potente sul debole. Non a caso nel Vangelo, nell'episodio delle tentazioni, Satana dice a Gesù (e rivela a noi: è un grande scoop politico) che tutti i regni della terra sono nelle sue mani. Tutti i poteri (anche quello che ciascuno di noi impone nei rapporti quotidiani). È per spazzar via questo crudele padrone che il Re è venuto. E ha vinto. Non con la forza, ma con l'amore. Non uccidendo, ma lasciandosi uccidere. E mostrando - come ripete Benedetto XVI che a vincere nella storia sono i crocifissi. A vincere oltrecortina non è stato il feroce Stalin che sembrava onnipotente e che oggi è polvere, ma i tanti inermi martiri, macellati in odio a Cristo. Alla fine il loro amore e la loro fede hanno aperto la strada alla potenza di Dio che domina la storia e vince. Per questo i cristiani sentono la preghiera dell'Angelus con tanta commozione. Perché è l'annuncio che la notte è finita. La storia umana secondo Hegel è una immensa macelleria. Ebbene, da quel "sì" di Maria sulla notte della storia, che gronda sangue innocente e crudeltà, è esplosa l'alba, il volto di un Re potente e buono che vince. Dante, nella Divina Commedia, racchiude in una bellissima terzina l'attimo cruciale dell'Annunciazione come il momento in cui finalmente il Cielo si apre sul mondo, soccorre gli uomini e piove una pace nuova, sconosciuta alla storia umana: "L'angel che venne in terra col decreto/ de la molt'anni lagrimata pace, / ch'aperse il ciel del suo lungo divieto". Per restare a Firenze, c'è un bellissimo filmato della Rai, in bianco e nero, dove compare Giorgio La Pira che si lancia in una vertiginosa lettura teologica del pianeta terra. Il sindaco santo è inquadrato davanti all'antico convento di San Marco, dove lui viveva, e dice col suo candido sorriso: «Firenze è il centro del mondo, San Marco è il centro di Firenze e l'Annunciazione del Beato Angelico (che è affrescata lì, nda) è il centro di San Marco. Quindi l'Annunciazione è il cuore della storia». Da quell'Annuncio nel mondo è entrata la luce. E di conseguenza - tutto quello che nella nostra civiltà c'è di vero, di buono e di bello. In quella terra, l'Europa, che ha accolto l'annuncio cristiano è fiorita l'umanità. È sbocciata la pietà per gli ammalati e sono stati inventati gli ospedali, la passione per la conoscenza (e sono nate le università e la scienza), la sacralità di ogni persona umana ed è sorta la libertà dei popoli. E la passione per la bellezza che ha fatto fiorire di arte la nostra terra, soprattutto nel ricordo di quella ragazzina di Nazaret, la donna più rappresentata e amata, in ogni angolo d'Italia e d'Europa. La preghiera dell'Angelus - che fu carissima a Giovanni Paolo II - forse è di origine francescana. E non stupisce, considerato l'amore di Francesco per la Madre di Gesù. La prima notizia infatti è datata 1269, quando san Bonaventura da Bagnoregio, generale dell'ordine, a un Capitolo prescrisse ai suoi frati di salutare ogni sera la Madonna col suono della campana e la recita di alcune Ave Maria in ricordo dell'Incarnazione di Dio. Fece propria questa pratica anche fra' Bonvesin de la Riva, grande letterato milanese (12401313), dell'Ordine degli Umiliati, cosicché nella città di Milano si cominciò ogni sera a suonare l'Ave Maria. Da Milano questa pratica dilagò. Accade perciò che Papa Giovanni XXII (1245-1334) ordina al suo Vicario che a Roma si suonino ogni giorno le campane affinché ciascuno "si ricordi" di recitare tre Ave Maria in memoria dell'Annunciazione. La preghiera si chiamerà popolarmente "il saluto dell'Angelo". E dal 1400 si cominciò a recitarla anche al mattino, finché nel 1456 papa Callisto III ordinò che le campane suonassero l'Angelus anche a Mezzogiorno. Il re di Francia, a quel suono, s'inginocchia va sulla nuda terra come il più umile dei suoi contadini. In ricordo di quel "sì" di Maria. Memorabile resta il quadro del pittore francese Jean François Millet (1814-1875), intitolato "Angelus", dove un giovane contadino e la sua giovane donna, in un campo, al tramonto interrompono il lavoro e recitano, raccolti, quella preghiera. Perché dopo quell' "Ave" (che è l'in verso di "Eva"), la Vergine, la nuova Eva, ci ha donato il Liberatore ed è iniziata la nuova storia del mondo, la nuova creazione. Non solo "un altro mondo è possibile", ma c'è già.
www.antoniosocci.it
LIBERO 20 gennaio 2008


Al cuore dell’impero moderno di una cultura senza Dio

Avvenire, 20.1.2008
DAVIDE RONDONI
È un po’ quello che fece Paolo agli inizi del cristianesimo. Paolo di Tarso alla fine della sua avventurosa vita, ad un certo punto, dicono le cronache, decise di farsi portare a Roma. E di farsi giudicare là dove sedeva l’Imperatore. Il fatto che in questo periodo – anche a seguito dei fatti della Sapienza – si parlerà a lungo del rapporto tra fede e ragione, e tra conoscenza e cristianesimo, è dovuto a qualcosa di simile a quel che fece Paolo. Lui scelse di non restare in prigionia in una lontana provincia sperduta dell’Impero, ostaggio di una lunga diatriba tra ebrei e governatori. Si fece portare al cuore dell’impero. Così anche Benedetto XVI, in un certo senso, ha deciso di farsi portare ai piedi dell’Imperatore di questo mondo. Che non è il denaro, come molti pensano. E che non è nemmeno il potere. Questi semmai sono le sue guardie del corpo. L’imperatore della nostra epoca è la cultura. E più precisamente, la cultura che vuole evitare il problema e la presenza di Dio.
Benedetto XVI, come Paolo agli inizi del cristianesimo, con la stessa lucidità e la stessa umiltà dell’uomo che come nessun altro sapeva che la sua forza risiedeva solo nella fede, ha portato la sfida al cuore dell’impero. Accettando di farsi giudicare non in un governatorato di provincia. Ma nelle grandi università occidentali. Là dove si elabora e domina un’idea di uomo staccato da Dio, padrone del proprio destino e piccola misura per capire ogni cosa. Là dove si insegna quella idea a coloro che poi l’applicheranno nelle loro professioni. Là dove si elabora un certo tipo di sguardo da medico, o da giornalista. Da scrittore o da critico d’arte. Là dove si dà la patente a cosa è scientifico e cosa non lo è. Andando o non andando nelle Università, parlando o non potendo parlare, onorato o reso martire (a Regensburg e anche a Roma), ormai Benedetto XVI è arrivato, come Paolo, al cuore dell’Impero.
Come allora, i potenti pensavano che tale minuscolo uomo che sulla piazza dell’Areopago sembrò non convincere nessuno, non poteva portare molto danno. Non capirono che con il processo di Paolo a Roma – come con quello dei tanti martiri come lui – una cosa nuova era iniziata proprio nel cuore dell’Impero. Paolo non si era messo a combattere contro le legioni. Non 'odiava' l’Imperatore, anzi utilizzava le sue leggi.
Finché non si trattò di portare il suo attacco al cuore stesso dell’Impero. Di mostrare che la sua autorità era niente senza Dio. Lo fece senza paura di trovare la derisione o la morte. Successe che il piccolo uomo di nome Paolo aveva portato la fede in Gesù Cristo dove sembrava non potesse esserci altra fede che nell’Impero e nel potere. Anzi di più, ed era questo che fece uscire dai gangheri l’Imperatore. Quell’uomo portava la certezza che senza il Dio Padre rivelato da Gesù Cristo tutto il potere che rendeva l’Imperatore importante era vano, e pari a zero. Allo stesso modo, il Papa sta mostrando che tutto il potere del sapere, della ricerca, dell’entusiasmante inseguimento delle certezze sui fenomeni, se non si interroga seriamente su Dio, se non ne assume l’esistenza come ipotesi, diviene una corsa cieca e pericolosa. E allora come ora, certi uomini nel cuore dell’Impero furono colpiti da Paolo, e ammirati e aperti intellettualmente iniziarono lo stupore e a volte anche la conversione. Altri ci furono e ci sono che irritati dalla messa in questione del loro potere e dalla assolutezza del loro impero, perseguono le diverse strade del martirio.
Il Papa sta mostrando che tutto il potere del sapere, se non si interroga seriamente su Dio, diviene corsa cieca e pericolosa



ABBRACCIARE IL PAPA ABBRACCIANDO INSIEME L’ITALIA INTERA
Avvenire, 20.1.2008
DINO BOFFO
« Ti vogliamo bene. Se possibile, te ne vogliamo più di prima. Non ti fanno parlare? Noi veniamo ad ascoltarti. Perché solo così si risponde alla violenza. Tu, Padre Santo, lo sai: siamo preoccupati per l’Italia. E quanto. Ma insieme a te, con il tuo stile, vo­gliamo imparare ad amarla ancora di più». Ecco i pensieri che – immagino – alberghe­ranno stamattina nella folla straordinaria che riempirà Piazza San Pietro e le zone vicine, e in quella ancora più sconfinata che si unirà spiritualmente in tutto il Paese. Pensieri sem­plici, pensieri positivi. Perché non si va dal Papa covando ragionamenti complicati o o­stili, come quelli che a questo popolo disar­mato, in qualche blog e su troppi giornali, so­no stati preventivamente affibbiati. Né cro­ciate riparatrici, né vittimismi arroganti.
Non occorre peraltro essere filosofi per sape­re quello che tutti ormai intuiscono: quando non ci si ascolta più, quando si elimina pre­giudizialmente l’altro, vuol dire che qualcosa di serio e di tremendo sta accadendo. Davve­ro stanno saltando i cardini (i princìpi) che ci hanno sorretto fino ad oggi. Forse, non tutti tra i presenti in piazza si ricorderanno di So­crate e della sua lezione in punto di morte, ma tutti intuiscono che se si rifiuta l’altro che parla, se non si ascolta il maestro che ha tito­lo morale per prendere la parola, allora si va ad uccidere la nostra civiltà. Com’è possibile che non si faccia parlare un uomo come il Pa­pa? E se non si lascia parlare lui, chi altro po­trà parlare? Questo la gente si chiede. E, strin­gendosi al Papa, paradossalmente si stringe anche all’Italia intera: 'Attenzione - avverte ­stiamo precipitando. Per parte nostra però, vogliamo anzitutto amare, e amare ancora di più, perché il male che ci affligge si cura pri­ma di ogni altra cosa con un amore più gran­de, e con un’amicizia più larga'.
Ma perché l’accorrere sereno, quasi felice, di tanta gente? C’è stato, è vero, un invito del car­dinal Vicario, ma sembra di intuire che le per­sone non ne avessero quasi bisogno. C’è una spontaneità gioiosa, in questa presenza, che nessuno potrà misconoscere. A ben guarda­re, si annida qui quell’affetto per il Papa che da sempre muove gli italiani. Per generazio­ni, siamo stati educati a tre amori: l’Eucare­stia, la Madonna, il Papa. Sul ceppo antico, si sono poi innestate le Gmg. Puoi anche non es­sere un bacchettone, ma questi amori non svaniscono facilmente. Sono instillati dentro l’anima, direi quasi che sono congeniali allo spirito del nostro popolo. Talvolta sembrano sopiti, ma basta un nonnulla, e rifioriscono.
Il Papa, dunque. Ogni Papa. Ieri gagliardo e forte, oggi delicato e timido. Ovvio che vi sia attrazione per quest’uomo buono e gentile, coltissimo e indifeso. Indifeso anche davan­ti al sinedrio della Sapienza, a quanti gli han­no chiuso la porta in faccia senza neppure interrogarsi su quello che avrebbe detto, in un discorso che è risultato a tutti abissalmente diverso e migliore dei suoi critici. Regressio­ne spaventevole di tutto un ambiente o falli­mento educativo di qualcuno?
Il Papa certo ha subìto un’ingiustizia, non gli è stato consentito di andare là dov’era invita­to, e dove legittimamente lo aspettavano per­ché quell’Università è da oltre settecento an­ni nel cuore di Roma, addirittura fondata a suo tempo da un papa. Qualcuno l’ha respinto come un estraneo, quasi un abusivo, lui che ha trascorso una vita in università, lui con le sue cinque cattedre in cinque atenei statali diver­si. Né – altro fatto inaudito – sono state poste le condizioni per le quali avrebbe potuto an­che stavolta svolgere in Roma la sua missio­ne. L’umiliazione inflitta al Papa è stata però sentita dalla gente come sulla propria pelle. E di conseguenza reagisce. E avanza propositi nuovi. Ripensando alla verità di quel versetto evangelico (Mt 18,7) in cui Gesù spiega: 'O­portet ut scandala eveniant', ben vengano gli scandali se scuotono, se risvegliano ed obbli­gano ciascuno ad assumersi le proprie re­sponsabilità, trasformando il male in un’oc­casione di crescita. Il laicismo ad aprirsi, u­scendo dal vicolo cieco dei propri pretesti per confrontarsi con gli altri, accantonando l’idea banale e triviale della fede come superstizio­ne. E i cattolici indotti a praticare di più la cul­tura, a stare con senso compiuto in università, a snidare l’intolleranza e il settarismo, a saper replicare con maturità e ironia a quella ideo­logia illiberale e oppressiva che continua in­comprensibilmente ad ammorbare il Paese.
Allora non sarà stata un’occasione perduta.


Morin: l’umanesimo è sia laico sia religioso
Avvenire, 20.1.2008
DA PARIGI
«A differenza di quanto credono ancora cer­ti ambienti intellettuali, non si può ri­durre l’umanesimo europeo alla sua fon­te laica, così come non si può ridurlo esclusivamente alla sua fonte religiosa». A riaffermare questo presup­posto dell’identità del Continente che ha fatto da culla storica alle università è il grande sociologo e filosofo francese Edgar Mo­rin, che ha appreso con stupore delle contestazioni roma­ne alla visita del Pa­pa. Anche nella Francia così fiera dei suoi moderni prin­cipi laici, ricorda Morin, «i rappre­sentanti religiosi so­no invitati regolarmente da istituzioni culturali pub­bliche ». Niente di strano, dato che anche per molti in­tellettuali non credenti vale un vecchio principio: «L’u­manesimo europeo è nato dalla simbiosi e dalla sinte­si fra il messaggio evangelico, e più in generale giudeo­cristiano, in cui Dio ha fatto l’uomo a sua immagine, e il messaggio ateniese secondo il quale sono i cittadini che dirigono lo Stato, e non la Dea Atena, che lo pro­tegge ».
Professore, qual è la sua reazione di fronte ai disordi­ni contro la visita del Papa alla Sapienza?
È evidente che si deve sempre accettare il dialogo. È un principio fondamentale dell’università. Chi ha ricevu­to l’invito di un’università, dunque naturalmente anche il Papa, ha pienamente il diritto di parlare in simili oc­casioni. Qualcuno potrebbe essere tentato di spiegare quanto è accaduto a Roma legandolo alle contingenze della politica italiana. Ma ciò non muta in nulla il prin­cipio di fondo. Anche coloro che sono ostili ad alcune prese di posizione del Papa non hanno per questo il di­ritto di farlo tacere.
Come il suo predecessore Giovanni Paolo II, papa Be­nedetto XVI ha fatto parte del mondo universitario. La grande familiarità del Pontefice con i dibattiti intel­lettuali 'disturba' certi ambienti che amano presen­tarsi come unici detentori del sapere?
È sempre molto difficile comprendere le reali intenzio­ni di certi ambienti di contestazione. Ogni pretesto può essere buono per animare forme di rifiuto del dialogo. In ogni caso, non credo che le ragioni siano da ricerca­re solo in una reazione specifica verso dei Pontefici ri­conosciuti come grandi intellettuali. È in gioco il prin­cipio stesso: accettare o meno il dialogo.
Crede che il fatto che Benedetto XVI difenda con for­za la ragione prenda in contropiede certi vecchi ste­reotipi intellettuali?
Dal punto di vista della religione, la ragione giunge co­me ausilio della fede. Al contempo, per i laici, può es­servi una contraddizione fra fede e ragione. Si tratta di due tradizioni parallele e di un dibattito antico. La con­ciliazione di fede e ragione risale alla tradizione tomi­sta. Ma non occorre dimenticare che persino san Pao­lo ha parlato della Resurrezione di Cristo come di uno scandalo per la ragione. Pascal, d’altra parte, diceva che il cuore ha le sue ragioni che la ragione non conosce. Si può ben riconoscere che fede e ragione possano com­binarsi. Ma ciò non implica una loro conciliazione ar­moniosa, almeno non per tutti.
In Francia, in queste settimane, si parla molto di limi­ti del concetto di laicità, soprattutto dopo gli interventi in cui il presidente Sarkozy ha perorato la causa di un maggior impegno dei poteri pubblici per «facilitare la vita quotidiana delle grandi correnti spirituali». Che ne pensa?
Finora, i presidenti francesi sono rimasti sempre piut­tosto riservati sulla religione, anche quando erano cre­denti e si recavano in chiesa, come nel caso di Charles De Gaulle. Per il momento, Sarkozy ha espresso il pro­prio pensiero. Ma il vero problema di fondo è che oggi è in crisi in Europa quella fede tutta repubblicana nel­la ragione, la scienza e il progresso come portatori di sal­vezza per l’umanità. Oggi ci si rende ben conto che la scienza è ambivalente, che la ragione ha le sue perver­sioni e che il progresso storico non è assicurato, dato che esso si sposa con la regressione storica. Ad essere in cri­si è dunque la fede dei repubblicani del XX secolo. Non escludo che la laicità possa divenire, di fatto, anche un esame critico sulla scienza, la ragione e il progresso.
Daniele Zappalà


Delumeau: pericoloso l’«ateismo aggressivo»
Avvenire, 20.1.2008

DA PARIGI DANIELE ZAPPALÀ
«Qualche anno fa, quando era ancora car­dinale, Joseph Ratzinger è venuto a Pari­gi su invito dell’Università della Sorbona. Il Papa ha parlato senza problemi e l’in­domani il suo discorso è stato pubblicato sui giornali». A ricordarlo commentando i fatti di Roma è Jean De­lumeau, fra i maggiori storici mondiali del cristianesi­mo, oltre che illustre saggista da sempre attento alle evolu­zioni presenti del fatto religioso.
Professore, è sor­preso da quanto è appena accaduto?
Mi sembra chiaro che il civismo e la democrazia avreb­bero voluto che il ristretto gruppo di professori e stu­denti contestatori si astenessero semplicemente dal partecipare, se proprio in disaccordo col Papa. In ogni caso, non avevano alcuna ragione per impedire, con modalità che definirei totalitarie, la pronuncia del di­scorso del Papa.
Pensa che dietro simili manifestazioni antidemocra­tiche ci siano rigurgiti legati al cosiddetto ateismo mi­litante?
Credo di sì, e si tratta di un fenomeno davvero euro­peo, dato che per esempio anche in Francia rispunta un ateismo militante che è stato del resto denunciato molto bene qualche anno fa da René Rémond. L’in­fluenza di questa corrente è per il momento limitata, anche negli ambienti accademici, ma essa non esita più a prendere in prestito metodi totalitari per cercare di imporre a tutta la società il proprio punto di vista.
È possibile tracciare parallelismi con il passato?
Non si tratta di fenomeni totalmente nuovi, ma essi prendono oggi spazio nell’attualità con un vigore in­quietante. Sono personalmente preoccupato. In Fran­cia, in particolare, abbiamo assistito nei decenni più recenti a tensioni relativamente limitate. Ma, ripen­sando a un passato più lontano, è davvero preoccu­pante osservare l’aggravarsi dell’ostilità antireligiosa fino a questi livelli.
Quest’ateismo militante è in parte una degenerazio­ne di certe ideologie razionalistiche oggi in crisi, co­me il positivismo o il marxismo?
Nella storia europea, credo che esso risalga almeno al­la Rivoluzione francese. La crisi delle vecchie ideolo­gie razionalistiche tende invece oggi piuttosto a dege­nerare, sempre più spesso, in rigurgiti esoterici. Dun­que in forme di religiosità in senso lato molto diverse dalle religioni.
I fatti di Roma sono avvenuti in corrispondenza di u­na nuova polemica sulla laicità in Francia. Il presi­dente Sarkozy ha pronunciato a Roma, davanti a Be­nedetto XVI, e poi nella capitale saudita Riad, due di­scorsi che hanno evocato il fatto religioso, subito mol­to attaccati.
In Francia, la nozione di laicità è di nuovo oggetto di una suscettibilità estrema. Credo in proposito che oc­correrà cercare di evitare qualsiasi slittamento ver­bale non controllato, sia da parte degli organismi sta­tali sia da parte delle istituzioni ecclesiastiche. Mi vie­ne da pensare alla prudenza del generale De Gaulle che, cattolico praticante, non faceva la comunione in occasione di cerimonie religiose ufficiali. Mentre la fa­ceva sempre quando andava in privato alla messa domenicale.
Qual è il suo parere sugli interventi di Sarkozy?
La mia opinione personale è che egli sia andato un po’ troppo lontano a Riad, dove ha citato «il Dio trascen­dente che è nel pensiero e nel cuore di ogni uomo», per poi aggiungere che dietro ogni civiltà vi è qualcosa di religioso. Credo che, in qualità di presidente della Re­pubblica, ciò possa prestare il fianco a molti frainten­dimenti. Non è inoltre esatto, almeno per quanto ri­guarda una parte dell’Europa di oggi, sostenere che Dio è nel pensiero e nel cuore di ogni uomo.
Che impressione le ha lasciato invece il discorso pro­nunciato davanti a Benedetto XVI?
A Roma, Sarkozy ha detto soprattutto che «la laicità non ha il potere di tagliare la Francia dalle sue radici cristiane». Si tratta di un’evidenza storica. In proposito, approvo la sua concezione di una «laicità positiva», dato che corrisponde al riconoscimento del fatto reli­gioso come fatto insostituibile della nostra civiltà.
«Alla Sapienza modalità totalitarie contro il Papa. Sono preoccupato per la diffusione di queste posizioni in Europa»



Matematico ebreo paga il prezzo per aver difeso il Papa Intervista a Giorgio Israel, professore ordinario a “La Sapienza”
Paolo Centofanti
ROMA, venerdì, 18 gennaio 2008 (ZENIT.org).- Difendere Benedetto XVI dagli attacchi di chi si è opposto alla sua visita all’Università “La Sapienza” di Roma implica un prezzo da pagare, afferma Giorgio Israel, docente ordinario di Matematiche complementari presso questo Ateneo romano.
Il professore di origine ebraica è intervenuto con un articolo su “L’Osservatore Romano” e con altre dichiarazioni per spiegare che Joseph Ratzinger ha difeso Galileo in una conferenza pronunciata nel 1990, e incriminata da 67 docenti (su circa 4.500) de “La Sapienza”.
ZENIT ha intervistato questo sostenitore del dialogo tra scienza e fede.
Come valuta il possibile danno di immagine e di credibilità, a livello nazionale e internazionale, della polemica innescata dalla mancata visita del Pontefice all'Università “La Sapienza”?
Prof. Israel: Penso che il danno sia abbastanza serio. Ho ricevuto delle lettere da parte anche di docenti americani, che erano sconcertati; negli Stati Uniti uno può trovare tutte le posizioni possibili e immaginabili, ma non questa forma così virulenta di rifiuto del dialogo nei confronti del Papa, e poi soltanto del Papa, perché “La Sapienza” ha invitato tutti. E' una cosa sconcertante, quindi secondo me il danno di immagine è molto elevato.
Quindi all'estero la notizia è stata diffusa e conosciuta...
Prof. Israel: Assolutamente sì. Una persona che mi ha scritto, addirittura aveva ascoltato alla radio, non so se a onde corte, un dibattito. Basta andare su Internet e rendersi conto, guardando un po' la stampa dei vari Paesi, di quanto la cosa abbia avuto delle ripercussioni fortissime.
Dal suo punto di vista, e per i suoi contatti come docente, pensa che ci sia un motivo reale che forse è stato nascosto dietro alcuni pretesti?
Prof. Israel: Non credo. So che c'è chi ha detto che tutto questo aveva anche come motivazione degli scontri tra gruppi accademici per la rielezione del Rettore. Però francamente non ci credo. Che poi qualcuno possa cavalcare questo, è più che probabile, però, in verità, la mia valutazione è che nel mondo universitario, che è stato sempre tradizionalmente legato all'estrema sinistra, in particolare al partito comunista, la fine dell'ideologia marxista abbia reso molti "orfani", in un certo senso, di questa ideologia. E in qualche modo hanno costruito come una sorta di teologia sostitutiva, come dice George Steiner: lo scientismo e il laicismo più accaniti. Secondo me è questo.
Adesso si può dire tutto quello che si vuole del comunismo, però ricordo un personaggio come Lucio Lombardo Radice, il matematico del partito comunista, che ho conosciuto personalmente. Se fosse accaduto un episodio come questo di oggi, penso che si sarebbe letteralmente scandalizzato. Allora esisteva un atteggiamento molto diverso. Paradossalmente, proprio il crollo di questo riferimento dell'ideologia marxista, ha prodotto un vuoto che è stato riempito con questa ideologia di tipo appunto laicista e scientista. E' così evidente, quando uno vede in che modo reagiscono le persone e i docenti universitari.
Dal momento che questo tipo di figure è largamente diffuso all'università, in essa troviamo una concentrazione estremamente elevata di persone che hanno una visione di questo genere, molto più che non nel complesso della società civile.
Pensa che l'intervento del Pontefice avrebbe potuto minare questo tipo di ideologie?
Prof. Israel: No, perché è un processo estremamente lento. Sotto un certo aspetto invece penso che visto che c'è stata una opposizione, una situazione difficile di questo genere, sia stato meglio. La scelta che è stata fatta è stata una scelta molto giusta, cioè di non forzare la mano, visto che esisteva un atteggiamento di questo genere, non tanto tra gli studenti.
Ecco io distinguerei fortemente. Direi tre cose. Tra gli studenti, il gruppo che si è opposto è una strettissima minoranza, e questa è la maledizione de “La Sapienza”, cioè il fatto che esista sempre qualche gruppo di scalmanati che riesce a imporre la sua volontà alla stragrande maggioranza degli studenti. Io non credo che tra gli studenti questa posizione sia non dico maggioritaria, ma neanche estesa.
Tra i docenti è diverso. Hanno firmato solo in 67, ma io credo che siano molti di più quelli che invece hanno una posizione di questo tipo. Lo dico positivamente, per conoscenza. Poi ci sono anche moltissimi, che invece la pensano in modo differente. E già so di raccolte di firme, in queste ore. Non c'è dubbio, ecco. Mi riesce difficile stimare le percentuali, non ne ho idea. Però è chiaro che forse si divide metà e metà; però appunto non è una minoranza stretta, non sono i 67, sono di più.
Quindi di fronte a una cosa di questo genere, secondo me è stato giusto non venire e dare anche una una lezione di stile, inviando un discorso che in qualche modo smantella tutti i pretesti che sono stati alla base del rifiuto, dell'opposizione alla venuta del Papa.
Dopo di che, secondo me il cambiamento di questa mentalità può avvenire solo con un processo molto lento, di discussione, in cui si mostri progressivamente che queste posizioni di tipo scientista, laicista, oltranziste, sono delle posizioni di tipo sbagliato. Però, ripeto, per fare andare avanti questi processi ci vuole molto tempo; non è una cosa che si realizza nel giro di giorni, neanche di mesi o di un anno. Ci vuole tempo.
Quindi lei pensa che sia possibile all'interno dell'Università pubblica italiana iniziare un dialogo tra fede e ragione?
Prof. Israel: Penso senz'altro di si. Il vantaggio, ciò che di positivo può uscire da questa vicenda, è che si crei una rete di persone, che si è trovata a condividere le stesse idee, e che si conosca. Perché quello che si vede in queste circostanze lo sto vedendo anche nelle lezioni: ci sono molte persone che non sono d'accordo con quello che è avvenuto, però non si conoscono tra loro.
Secondo me ci vuole che si crei una rete di persone che sia interessata a questa tematica e che la sviluppi. Anche per questo ci vuole un po' di tempo, ma le condizioni certamente ci sono. Penso che sia una situazione molto difficile, ma penso che in prospettiva ci siano le condizioni perché migliori la situazione. Bisogna avere un po' di pazienza...
L'Università è stata sempre terreno di ideologie piuttosto estremiste. In Italia, come anche in molti altri Paesi d'Europa, è così. Non come negli Stati Uniti, dove si trovano tutti i tipi di realtà. Questo è il punto.
Dal suo punto di vista, oltre a estrapolare dal contesto la citazione del Pontefice della frase di Feyerabend o a parlare del “caso” Galileo, quali possono essere stati gli altri errori o artifici retorici nella comunicazione?
Prof. Israel: Non so se siano errori di comunicazione. A mio parere riflettono da un lato un degrado culturale, perché chi fa una cosa del genere e non se ne vergogna, o addirittura non se ne rende conto (come in certi casi ho constatato), è una persona che culturalmente è caduta di livello.
In altri casi ho constatato che c'è un accanimento viscerale che preme su qualsiasi cosa. Ho avuto una discussione proprio poco fa per posta elettronica con un collega. Alla fine si è rivelato sordo a qualsiasi argomento, e non riuscendo a rispondere, mi ha detto semplicemente che il Papa non doveva venire, che deve solo chiedere scusa per il resto della sua vita, e cose di questo tipo. O addirittura scrivendo che solo chi conosce tutti i teoremi della matematica può permettersi di parlare di scienze. Che dire? Penso che ci sia una componente di astio anche estremamente forte in molte persone.
Ha avuto delle ripercussioni o ha subito critiche e attacchi per essersi schierato in questi giorni?
Prof. Israel: Non ho visto molta gente in questo periodo, ma è la solita situazione. Cioè chi prende posizioni come quelle che prendo io, paga un prezzo. Ci sono persone che non ti parlano più, perché, ripeto, è un clima fortemente fazioso.