domenica 27 gennaio 2008

Nella rassegna stampa di oggi:

1) Il Papa all’Angelus del 27.1.2008: Gesù è venuto ad annunciare la vicinanza di Dio
2) Il cristianesimo e il futuro dell’Europa (Parte I) – intervista a Mario Mauro
3) Il cristianesimo e il futuro dell'Europa (Parte II) – intervista a Mario Mauro
4) Il Papa ridotto al silenzio - Conflitti culturali e laicismo radicale
5) Il Kenya verso il baratro per le solite rivalità tribali
6) «Così ho strappato all’aborto trecento bambini»
7) Scola e Capuozzo - «Apriamo alle pagine di frontiera»


27/01/2008 12:32
VATICANO
Papa: Gesù è venuto ad annunciare la vicinanza di Dio
All’Angelus Benedetto XVI invita i giovani a seguire la via della vera pace, insegnata da Gesù e scherza sulle colombre liberate dalla finestra del suo studio. Un pensiero per color che soffrono di lebbra.

Città del Vaticano (AsiaNews) – La “buona notizia” che Gesù è venuto ad annunciare è che “Dio, in Lui, si è fatto vicino”, “regna ormai in mezzo a noi, come dimostrano i miracoli e le guarigioni che compie”. “Dove arriva Gesù, lo Spirito creatore reca vita e gli uomini sono sanati dalle malattie del corpo e dello spirito. La signoria di Dio si manifesta allora nella guarigione integrale dell’uomo”.
Folla festante in piazza San Pietro per la recita dell’Angelus, simpaticamente caratterizzata,
dalla presenza accanto a Benedetto XVI di due ragazzi dell’Azione cattolica di Roma, per l’ormai tradizionale liberazione di due colombe dalla finestra dello studio papale. Un gesto che ha spinto Benedetto XVI ad una battuta improvvisata che ha suscitato le grida e gli apllausi delle 50mila persone presenti in piazza San Pietro per la recita dell’Angelus. “A volte ritornano…”, ha detto,, alludendo al fatto che in alcune occasioni è caitato che gli uccelli rientrassero nella finestra. “Cari piccoli amici – ha aggiunto - so che vi impegnate in favore dei vostri coetanei che soffrono per la guerra e la povertà. Continuate sulla strada che Gesù ci ha indicato per costruire la vera pace!”.
Prima della recita della preghiera mariana, il Papa aveva ricordato che “il termine ‘vangelo’, ai tempi di Gesù era usato dagli imperatori romani per i loro proclami. Indipendentemente dal contenuto, essi erano definiti ‘buone novelle’, cioè annunci di salvezza, perché l’imperatore era considerato come il signore del mondo ed ogni suo editto come foriero di bene”.
“Applicare questa parola alla predicazione di Gesù – ha proseguito - ebbe dunque un senso fortemente critico, come dire: Dio, non l’imperatore, è il Signore del mondo, e il vero Vangelo è quello di Gesù Cristo. La ‘buona notizia’ che Gesù proclama si riassume in queste parole: ‘Il regno di Dio – o regno dei cieli – è vicino’ (Mt 4,17; Mc 1,15). Che significa questa espressione? Non indica certo un regno terreno delimitato nello spazio e nel tempo, ma annuncia che è Dio a regnare, che è Dio il Signore e la sua signoria è presente, attuale, si sta realizzando. La novità del messaggio di Cristo è dunque che Dio in Lui si è fatto vicino, regna ormai in mezzo a noi, come dimostrano i miracoli e le guarigioni che compie. Dio regna nel mondo mediante il suo Figlio fatto uomo e con la forza dello Spirito Santo, che viene chiamato ‘dito di Dio’ (cfr Lc 11,20). Dove arriva Gesù, lo Spirito creatore reca vita e gli uomini sono sanati dalle malattie del corpo e dello spirito. La signoria di Dio si manifesta allora nella guarigione integrale dell’uomo. Con ciò Gesù vuole rivelare il volto del vero Dio, il Dio vicino, pieno di misericordia per ogni essere umano; il Dio che ci fa dono della vita in abbondanza, della sua stessa vita. Il regno di Dio è pertanto la vita che si afferma sulla morte, la luce della verità che disperde le tenebre dell’ignoranza e della menzogna”.
“Preghiamo Maria Santissima – ha concluso - affinché ottenga sempre alla Chiesa la stessa passione per il Regno di Dio che animò la missione di Gesù Cristo: passione per Dio, per la sua signoria d’amore e di vita; passione per l’uomo, incontrato in verità col desiderio di donargli il tesoro più prezioso: l’amore di Dio, suo Creatore e Padre”.
Dopo la recita dell’Angelus, il Papa ha avuto un pensiero per l’odierna celebrazione della Giornata mondiale dei malati di lebbra, iniziata 55 anni fa da Raoul Follereau. “A tutte le persone che soffrono per questa malattia rivolgo il mio affettuoso saluto assicurando una speciale preghiera, che estendo a quanti, in vari modi, si impegnano al loro fianco, in particolare ai volontari dell’Associazione amici di Raoul Follereau”.



Il cristianesimo e il futuro dell’Europa (Parte I)
Intervista al Vicepresidente del Parlamento Europeo

Di Antonio Gaspari
BRUXELLES, venerdì, 25 gennaio 2008 (ZENIT.org).- Dove si sta dirigendo l’Europa? Che fine faranno le radici cristiane? Sopravviverà al crollo demografico e alla crisi morale che l’attanaglia? Riuscirà a rinnovare e alimentare la speranza per le nuove generazioni? In che modo riuscirà a integrare i tanti e diversi flussi di immigrati?
Queste ed altre domande ZENIT le ha rivolte a Mario Mauro, Vicepresidente del Parlamento Europeo, docente in Storia delle Istituzioni europee e autore del volume “Il Dio dell’Europa” (Edizioni Ares, 2007, pp. 152, Euro 13).
A che punto siamo con la Costituzione Europea? Ci sono delle possibilità perché le radici cristiane vengano riconosciute?
Mauro: Pur conservando elementi di incompletezza e con modesti progressi conseguiti per quanto riguarda il processo decisionale, possiamo affermare, all’indomani della firma del Nuovo trattato sull’Unione europea, che la democraticità dell’Unione sarà certamente accresciuta.
L’organo legislativo e rappresentativo per eccellenza, quello che in tutti gli Stati nazionali ha competenza esclusiva (o quasi) per quanto riguarda l’iniziativa legislativa, vale a dire il Parlamento europeo e con esso i cittadini europei, può affermare di essere il grande vincitore del Trattato di Riforma.
Trattato che non ha più un carattere costituzionale, ma mantiene importanti realizzazioni in materia di legittimità democratica, efficacia e rafforzamento dei diritti dei cittadini (con alcune importanti eccezioni per quanto concerne il Regno Unito e altri Stati membri): uno dei primi articoli del Trattato Ue definisce chiaramente i valori su cui si fonda l’Unione europea, un altro articolo ne enuncia gli obiettivi. Non essendo più un documento dal valore costituzionale l'assenza di un rimando alle radici cristiane ha meno peso e la partita si può considerare riaperta.
Lei è autore di un libro dal titolo “Il Dio dell’Europa”, può dirci quali sono le conclusioni? In che cosa crede l’Europa di oggi?
Mauro: Il libro non nasce con l'obiettivo di proporre un metodo, una chiave di lettura, che permetta una migliore comprensione del progetto politico europeo e quindi possa aiutarci nella rispondere a domandi vitali per il futuro del nostro continente. C'è un filo conduttore della storia europea che si possa considerare riannodato dal legame e dalle decisioni storiche di De Gasperi, Adenauer e Schuman? L'Europa di oggi risponde ancora al progetto dei Padri fondatori? Come è possibile riprendere in mano e chiarire questioni fondanti, quali quella del popolo europeo e delle sue aspirazioni? Cosa manca oggi nel "respiro europeo"? Perché, nonostante le bocciature della Costituzione europea, sembra che nessuno voglia affrontare con decisione il problema cardine dell’identità europea? Quali sono gli spazi disponibili per il protagonismo della società civile europea? È presente un riconoscimento reale e concreto della sussidiarietà a livello europeo?
Benedetto XVI ricorda come i grandi pericoli contemporanei per la convivenza fra gli uomini giungano dal fondamentalismo, la pretesa di prendere Dio come pretesto per un progetto di potere, e dal relativismo, il ritenere che tutte le opinioni siano vere allo stesso modo. L'involuzione del progetto politico che chiamiamo Unione europea oggi è riconducibile proprio a questi fattori.
Il problema dell'Europa nasce dal fatto che il rapporto tra ragione e politica è sostanzialmente sviato da ciò che è la nozione stessa di verità. Il compromesso, che giustamente è presentato come senso della vita politica stessa, é oggi concepito fine a se stesso.
E' per questo che si è scelto di mettere a fuoco le principali politiche dell'Unione Europea, utilizzando come filo conduttore le intuizioni dei padri fondatori e la promozione della dignità umana insita nell'esperienza cristiana. La situazione di impasse in cui naviga l’Europa deve condurci ad una profonda riflessione.
Al di là della capacità di giungere ad un buon accordo sul bilancio, il vecchio continente sta perdendo il proprio orizzonte, la propria dimensione. Dopo l’era Kohl, l’Europa è stata dominata da politici senza il coraggio necessario per poter generare il domani e senza la forza per poter mantener fede alla costruzione politica creata poco più di cinquant’anni fa dai padri fondatori. Una generazione di politici giunta ad un’idea di Europa, bocciata dai referendum francese ed olandese, per cui l’integrazione sempre più stretta è diventata un valore in se stessa.
Attualmente nell’Unione europea viene praticato un aborto ogni 25 secondi e ogni trenta secondi c’è una separazione familiare. Nonostante la grave crisi demografica al Parlamento europeo sembra prevalere una cultura che propone forme di famiglia alternative a quella naturale, matrimoni gay, pillole abortive ed eutanasia, mentre i Paesi come la Polonia dove gli aborti diminuiscono vengono criticati. Non crede che continuare a seguire un modello culturale maltusiano segnerà la decadenza dell’Europa?

Mauro: Assolutamente sì ed è il pericolo maggiore nel quale incorre oggi il nostro continente. La decadenza del nostro continente è prima di tutto il risultato di una crisi della nostra identità di popolo europea.
A questo proposito credo che il recente discorso del Papa agli Ambasciatori accreditati presso la Santa Sede, in cui ha auspicato che la moratoria approvata dall'Onu sulla pena di morte possa "stimolare il dibattito pubblico sul carattere sacro della vita" costituisca il cuore del dibattito sulla futura Europa.
Sulla base della mia esperienza ritengo che i cinque nodi su cui si gioca il futuro dell'Europa siano rappresentati dalla crisi demografica, dall'immigrazione, dall'allargamento, dalla strategia di Lisbona e dalla politica estera. Nodi strettamente collegati fra loro da un minimo comune denominatore: l'identità dell'Europa. Senza aver chiara la sua identità, l'Europa non potrà infatti fare alcun passo in avanti rispetto a queste cinque sfide.
Corriamo il rischio che la risposta alla crisi demografica sia puramente ideologica, privilegiando opere di ingegneria sociale. L'Ue non può ignorare il fattore culturale nell’incidenza sui tassi di fertilità, ovvero le convinzioni personali che sostengono l’apertura alla vita.
Se si esce dai palazzi della politica di Bruxelles e Strasburgo, però, sembra che tra le nuove generazioni sia nata una cultura, ottimista e pro vita. A Londra c’è stata una manifestazione contraria all’aborto. A Madrid le famiglie sono scese in piazza. Il 20 gennaio a Parigi si è svolta una manifestazione europea a favore della vita. Prima di Natale a Strasburgo i movimenti per la vita europei si sono riuniti e vogliono raccogliere dieci milioni di firme per chiedere al Parlamento europeo il riconoscimento della persona dal concepimento alla morte naturale. A 40 anni del 1968, è un segno dei tempi che cambiano? Lei che ne pensa?

Mauro: Da molti anni si continuano a diffondere, soprattutto da parte dei mezzi di comunicazione più potenti e persuasivi e da parte della maggior parte degli schieramenti politici in Europa, idee sulla famiglia a dir poco distorte o fuorvianti che non contribuiscono assolutamente ad aiutare la società civile, che non è resa assolutamente più libera ma è invece svuotata da qualsiasi certezza per la propria vita.
In questo contesto allarmante, le manifestazioni e le iniziative in difesa della vita e della famiglia tradizionale che in tutta Europa stanno riscontrando sempre più consensi sono un chiaro segno che ci sono persone che ancora credono, e che sono disposte a lottare per questo, nel rispetto della dignità e della sacralità della vita umana; vita che dal concepimento si compie appieno attraverso la nascita, la crescita, il matrimonio, la procreazione e la morte naturale.
Credo che in questa epoca dominata dall’incertezza tanto più forti sino gli stravolgimenti dello scenario intenzionale e le provocazioni dei governi, dei partiti e dei movimenti nel proprio paese, tanto più ci sono presone che si ribellano e rispondono, ance dalle piazze, con una ricerca di vita, di stabilità, di verità.
La sfida, prima ancora che politica, è a livello educativo e culturale, parte dalla concezione della vita e della persona che viene messa in gioco e dall’onestà intellettuale con cui ci si confronta. Anche se resistono posizioni fortemente ideologizzate, sta aumentando la disponibilità a un confronto a partire da elementi di razionalità piuttosto che da reazioni di tipo emotivo.
E questo, a livello europeo, emerge sia tra i politici sia nell’opinione pubblica. A parte alcuni atteggiamenti aprioristicamente chiusi e votati alla contrapposizione o alla demonizzazione dell’avversario sta prendendo piede una disponibilità nuova al confronto, che prende le mosse da una crescente sensibilità alla dignità della vita e dalle risultanze che la scienza fornisce.
Come ha dichiarato recentemente il presidente della Cei, cardinale Bagnasco, è necessario che le leggi si adeguino allo stato delle conoscenze, che muta col tempo, specie in campo bioetico, ed è per questo che ho presentato, assieme ad altri miei colleghi, un’ interrogazione scritta alla Commissione europea a proposito del finanziamento della ricerca sulle cellule staminali embrionali in cui chiediamo “di valutare alla luce delle recenti scoperte scientifiche operate da scienziati giapponesi se sia ancora necessario dare seguito a ricerche che distruggono embrioni erogando fondi a progetti per la ricerca sulle cellule staminali embrionali che distruggono embrioni umani".
[Domenica, la seconda parte dell'intervista]


Il cristianesimo e il futuro dell'Europa (Parte II)
Intervista al Vicepresidente del Parlamento Europeo

Di Antonio Gaspari
BRUXELLES, domenica, 27 gennaio 2008 (ZENIT.org).- Le dodici stelle sulla bandiera dell'Unione Europea provengono dal culto della Vergine Maria, afferma Mario Mauro, vicepresidente del Parlamento Europeo, nella seconda parte dell'intervista che ha concesso a ZENIT sul futuro dell'Europa e il ruolo del cristianesimo in questo processo.
Mauro è docente in Storia delle Istituzioni europee e autore del volume "Il Dio dell'Europa" (Edizioni Ares, 2007, pp. 152, Euro 13).
La prima parte dell'intervista è stata pubblicata da ZENIT il 25 gennaio.
Dopo la vittoria al referendum sulla legge 40 e il Family Day in Italia, sta avendo un certo successo la proposta di moratoria sull'aborto lanciata da "Il Foglio". Cosa ne pensa?
Mauro: Come a Londra, Madrid, Parigi, Strasburgo, anche a Roma gli Italiani sono scesi in piazza per riaffermare un'idea di vita e di famiglia "alternativa" ai modelli che la società e la politica stanno cercando di imporci. Un modello che pone al centro l'uomo e la sua ricerca della verità. .
Che Paese sarà l'Italia fra trent'anni? E' una domanda che riguarda tutti, di destra di sinistra, cattolici e laici, come riguardano tutti l'evidente deteriorarsi della società italiana e la sua clamorosa debolezza nel formare le nuove generazioni.
Poiché se una società libera non riesce a formare nuovi individui in grado di gestire responsabilmente la libertà, il suo livello di autoritarismo sarà fatalmente destinato a crescere.
Ho ricordato prima il recente discorso del Santo Padre che il 7 gennaio fa appello alla comunità internazionale affinché la moratoria approvata dall'ONU sulla pena di morte possa stimolare il dibattito pubblico sul carattere sacro della vita umana, e l'8 gennaio, Giuliano Ferrara, su "Il Foglio", raccoglie questa richiesta e lancia una proposta di moratoria sull'aborto che solleva subito un animato dibattito.
Il mio auspicio è che i Governi nazionali e gli organismi internazionali facciano chiarezza sull'uso ambiguo di termini come ‘salute riproduttiva', che nelle loro applicazioni tendono a rendere le pratiche abortive come un comportamento standard. Le istituzioni internazionali, come le Nazioni Unite e l'UE, non possono trasformarsi in una sorta di supermarket dei diritti; sono nate per favorire la pace e lo sviluppo, cioè per tutelare la vita umana e per garantire la legittimità di un diritto naturale, a cui tutta l'umanità faccia riferimento.
Insieme a Elisa Chiappa lei ha scritto un libro per bambini, "Piccolo dizionario delle radici cristiane d'Europa" (edizioni Ares). Quali sono le storie, i personaggi e le immagini che lei userebbe per spiegare l'Europa cristiana ai bambini?
Mauro: Con questo libro Elisabetta ed io abbiamo cercato di raccontare ai più piccoli l'Unione Europea di oggi, l'Europa che è stata e che ha maturato attraverso i secoli una fisionomia precisa, l'Europa che sarà, per far loro capire il mondo e la civiltà in cui sono nati e in cui daranno da grandi il loro apporto.
Abbiamo cercato di farlo attraverso un dizionario, parole scelte con cura e spiegate, oltre che da un breve testo, dalle bellissime immagini di Benedetto Chieffo. Per rendere ancora più semplice e interessante la conoscenza dell'Europa, al volume è allegato Eurovia, il magnifico gioco della Bandiera Europea che propone una gara avvincente e istruttiva attraverso tutti i Paesi dell'Unione.
Sono convinto che l'identità civile e nazionale dell'Europa si fondi sulle radici culturali e religiose di una tradizione bimillenaria di storia. Dobbiamo essere capaci oggi di dire ciò che siamo. In che cosa crediamo.
Per avere un'Europa migliore dobbiamo tornare a credere, lavorare, batterci per essa. L'Europa nasce cristiana, sotto la protezione di San Bendetto da Norcia, dei Santi Cirillo e Metodio, di Santa Caterina da Siena, di Santa Brigida, di Santa Teresa Benedetta della Croce, Edith Stein; non possiamo lasciarla preda di mistificazioni e strumentalizzazioni. Basti un esempio.
Il richiamo al Cristianesimo è presente proprio sul simbolo per eccellenza, sulla bandiera, perché quelle dodici stelle provengono dal culto della Vergine Maria e sono svincolate dal numero di Stati aderenti. Non tutti lo sanno perché la vera origine della bandiera a dodici stelle è stata oggetto di una colpevole dimenticanza all'interno delle istituzioni comunitarie.
Occorre insomma un passaggio ulteriore: c'è l'occasione per un'intera società di ritrovare se stessa e di ritrovare la propria identità, la propria faccia, ma anche il proprio scopo, la ragione per cui siamo quello che siamo. Abbiamo o non abbiamo il dovere di rispondere a questa sfida? La forma del dizionario ha il senso di chiarire e restituire il significato delle parole che definiscono l'Europa. Un primo passo verso la sfida cui siamo chiamati.
Giovedì 10 gennaio Lei ha presieduto la sessione plenaria per la firma della Carta dei Musulmani europei tenendo il discorso introduttivo. Può dirci di che cosa si tratta? Quale significato assume tale documento nell'anno che l'UE dedica al dialogo interreligioso per il quale Lei ha la delega? Ha previsto altre occasioni di confronto e dibattito?
Mauro: Oltre 400 organizzazioni musulmane provenienti da 28 Paesi del continente, compresa la Turchia, hanno firmato la Carta dei Musulmani d'Europa, elaborata per iniziativa della Federazione delle organizzazioni islamiche in Europa.
Nei 26 punti del documento si ricordano i diritti e le responsabilità dei musulmani, invitati da "un'integrazione positiva", si sancisce la parità tra uomo e donna e si rigetta il terrorismo fondamentalista.
La Carta costituisce un codice islamico di buona condotta, impegna la comunità musulmana europea a partecipare alla costruzione di un'Europa comune e di una società unita, a partecipare altresì allo sviluppo dell'armonia e del benessere nelle nostre società e a svolgere pienamente il ruolo di cittadini nel rispetto della giustizia, dell'uguaglianza di diritti e della differenza. Per la prima volta una Carta dà un codice di condotta ai musulmani d'Europa che non deve essere in contraddizione con le legislazioni europee. Si tratta di un'ottima spinta per rafforzare il dialogo interculturale ed interreligioso anche alla luce dell'insistenza sul dovere che ha il musulmano di rispettare il non musulmano. E' incoraggiante che nella Carta dei diritti una parte sia dedicata alla famiglia come condizione indispensabile per la felicità degli individui e per una società stabile, e che ci sia l'apertura ad una parità tra uomo e donna.


Il Papa ridotto al silenzio Conflitti culturali e laicismo radicale
Di Padre John Flynn, L.C.
ROMA, domenica, 27 gennaio 2008 (ZENIT.org).- Le proteste che hanno indotto Benedetto XVI a cancellare la sua visita e il suo discorso all'Università di Roma "La Sapienza" ben illustrano l'intolleranza di un certo laicismo radicale.
Le obiezioni di chi si è opposto alla sua presenza spaziano dalla sua presunta ostilità nei confronti della scienza e di Galileo ad argomenti più specificamente antireligiosi, secondo cui il capo della Chiesa cattolica non avrebbe potuto recarsi in un'università laica.
L'incidente è solo l'ultimo di una serie che secondo alcuni si inscrive in quella che è stata definita "cristianofobia".
Ogni anno, a dicembre, nei luoghi pubblici e nelle scuole vengono riproposte le rappresentazioni della natività e altri simboli cristiani, ma negli ultimi anni in Europa vi sono stati numerosi tentativi di eliminarli. Ne è un esempio la questione della rimozione dei crocifissi dalle aule delle scuole e degli edifici pubblici.
In Gran Bretagna un tribunale del lavoro ha da poco confermato la decisione del 2006 di British Airways di vietare a Nadia Eweida di indossare una piccola croce al collo durante il lavoro, secondo quanto riferito dal quotidiano britannico Independent il 9 gennaio.
Una riflessione sulle questioni del contrasto tra religione e cultura laicista è svolta dal vescovo Donal Murray di Limerick nell'ultima edizione della rivista "Culture e fede" (Vol. XV, No. 4), pubblicata dal Pontificio Consiglio della Cultura.
Iniziando il suo commento - tratto da un discorso che egli stesso ha pronunciato nel novembre scorso durante una conferenza -, osserva: "Molte voci affermano che la religione non ha posto nella varietà, complessità e sofisticazione della vita moderna".
Molte aree del mondo odierno sono infatti diventate, secondo il Vescovo, delle "zone franche" rispetto alla religione. I casi in cui invece la fede trova posto nella vita pubblica, inoltre, sono quelli in cui si tratta di polemiche, scandali e personaggi, tanto che la religione è dipinta come un elemento di conflittualità.
La religione ignorata
Alla base di questa tendenza, monsignor Murray identifica due assunti principali: il primo, che la religione non ha posto nell'arena pubblica, tanto da essere ignorata; il secondo, che se le idee di una persona in tema di questioni sociali sono ispirate da una tradizione religiosa, non potranno avere spazio in una discussione razionale.
Pertanto, ciò che veramente sta avvenendo - spiega il Vescovo - non è un conflitto tra religione e laicità, ma un conflitto tra chi pensa che Dio sia irrilevante e chi pensa che tale posizione contraddica non solo la fede, ma anche una laicità correttamente intesa. E tale conflitto è provocato da chi tenta di imporre l'ideologia del secolarismo, ha affermato il presule irlandese.
Non si chiede che la società adotti una determinata fede religiosa, chiarisce monsignor Murray, ma che comprenda che la vita non può fare a meno di una dimensione religiosa. La società non potrà che trarre beneficio da cittadini che riflettono sulle profonde domande sul nostro destino e sul senso della nostra esistenza. La questione "cos'è un essere umano?", asserisce, non può trovare risposta adeguata con una mera elencazione dei suoi componenti chimici.
Purtroppo il progresso della scienza, sebbene abbia portato molti benefici, ci ha indotto a pensare che solo ciò che può essere scientificamente provato può essere vero, aggiunge monsignor Murray. Questa è una visione molto riduttiva della vita umana, mentre la religione ha un importante ruolo da svolgere nell'aiutarci a scoprire il senso della vita.
Anche altri commentatori hanno sottolineato la tendenza a voler negare un ruolo alla religione nel dibattito attuale. Scrivendo sul quotidiano Scotsman dell'8 giugno, John Haldane, professore di filosofia presso l'Università di St. Andrews, ha fatto riferimento alle obiezioni che vengono manifestate ogni volta che la Chiesa afferma che l'aborto è moralmente inaccettabile.
Cercare la verità
Vi è una pervasiva influenza del relativismo - spiega -, secondo cui non esiste una verità morale oggettiva. Questo passaggio da una verità oggettiva ad una convinzione soggettiva ha impoverito il dibattito pubblico, secondo Haldane.
"La stessa idea che la felicità dipenda dalla capacità di dare risposta alle questioni esistenziali fondamentali e che vi siano strumenti filosofici e teologici che aiutino a questo scopo sembra di essere stata persa di vista, o perfino rigettata", aggiunge.
Riguardo al contrasto tra religione e scienza, sollevato da coloro che hanno manifestato contro la visita del Papa all'Università "La Sapienza", una recente pubblicazione getta un po' di luce su questo tema. Il libro, dal titolo "God's Undertaker: Has Science Buried God" (ed. Lion), scritto da John Lennox, assistente di matematica presso l'Università di Oxford, sostiene che la scienza non va a braccetto con l'ateismo.
Galileo, Newton e la maggior parte dei grandi scienziati del passato non hanno considerato inibitoria la fede in un Dio creatore, sottolinea Lennox. Anche l'idea che la fede sia del tutto irrazionale è falsa. "Certamente la fede è una risposta all'evidenza e non un'espressione di gioia in assenza di evidenza", osserva.
Lennox non condivide quindi la posizione di chi vede il rapporto fra scienza e religione unicamente in termini conflittuali. Egli osserva anche che è un errore concepire la scienza come filosoficamente o teologicamente neutrale.
La scienza, prosegue, non dovrebbe essere considerata come l'unica via per scoprire la verità, né come un qualcosa che consente di spiegare tutto. Per esempio, spiegare perché l'universo esiste e perché le leggi della fisica sono quelle che sono va oltre ciò che compete alla scienza.
La dittatura del relativismo
Benedetto XVI stigmatizza da tempo l'intolleranza religiosa presente nella cultura contemporanea. "Avere una fede chiara, secondo il Credo della Chiesa, viene spesso etichettato come fondamentalismo", ha osservato nell'omelia pronunciata durante la Messa per l'elezione del Romano Pontefice, celebrata il 18 aprile 2005.
Il relativismo - proseguiva - viene proposto come l'unico atteggiamento in linea con le esigenze dell'epoca attuale, ma il pericolo è che "si va costituendo una dittatura del relativismo che non riconosce nulla come definitivo e che lascia come ultima misura solo il proprio io e le sue voglie".
La Chiesa offre qualcosa di diverso, spiegava l'allora cardinale Joseph Ratzinger. Offre il Figlio di Dio e una fede adulta, non soggetta all'ultima moda, ma radicata nell'amicizia con Cristo.
"É quest'amicizia che ci apre a tutto ciò che è buono e ci dona il criterio per discernere tra vero e falso, tra inganno e verità", affermava.
Nel discorso che avrebbe dovuto pronunciare all'Università "La Sapienza" - pubblicato da ZENIT il 16 gennaio -, Benedetto XVI ha ribadito l'importanza di distinguere tale verità.
L'autorità posta a governo dell'università, ha insistito il Papa, dovrebbe essere quella della verità.
Parlando della verità, il Pontefice ha osservato che alcuni potrebbero obiettare che i suoi giudizi sarebbero tratti dalla fede e che quindi non abbiano una validità razionale. Richiamando un'argomentazione del filosofo John Rawls, il Papa ha sostenuto che la Chiesa presenta un corpo di idee e principi elaborati nel corso dei secoli, che costituiscono un patrimonio per l'intera umanità.
Tale bagaglio di conoscenza, accumulato dalle grandi tradizioni religiose, non dovrebbe essere gettato via da una ragione che tenta di edificarsi senza alcun riferimento alla storia, ha avvertito Benedetto XVI.
Una buona parte del testo del discorso del Papa è dedicato a riflettere sulla natura dell'università. Alla fine del suo intervento, egli mette in guardia dal pericolo di una cultura europea che rischia di preoccuparsi troppo di mantenere una forma di laicismo radicale, che quindi escluda del tutto il Cristianesimo.
Questo, tuttavia - avverte il Pontefice -, non renderà più pura la ragione, ma la conduce alla sua distruzione. La Chiesa non impone la fede, ma offre la luce di Cristo per aiutare la ragione a scoprire la verità, ha concluso. Una luce che alcuni vorrebbero fosse estinta.



Il Kenya verso il baratro per le solite rivalità tribali
Avvenire, 27.1.2008
GIULIO ALBANESE
Padre Kamau Michael Ithodeka era da tutti conosciuto come uomo generoso, studioso delle Sacre Scritture e sempre al servizio dei più sfortunati, dei più dimenticati. La sua uccisione, avvenuta ieri nella provincia occidentale della Rift Valley, è l’ennesimo episodio di violenza in una zona del Kenya dove, nell’arco delle ultime 48 ore, hanno perso la vita quasi una cinquantina di persone. Se da una parte il delitto è sintomatico dell’insicurezza in cui versa l’intera regione, unitamente alle grandi baraccopoli che costellano Nairobi, dall’altra esso impone ancora una volta l’esigenza di interpretare i retroscena di una situazione socio­politica in progressivo deterioramento in vasti settori dell’ex colonia britannica. Il fatto stesso che l’ex segretario generale delle Nazioni Unite Kofi Annan, impegnato in una difficile mediazione fra il presidente Mwai Kibaki e il leader dell’opposizione Raila Odinga, abbia denunciato «gravi e sistematiche» violazioni dei diritti umani in Kenya, dovrebbe indurre alla riflessione tutti coloro che hanno in mano le redini del Paese, governo e opposizione. La violenza «sarà anche partita dai risultati elettorali della consultazione del 27 dicembre scorso, ma si è trasformata – ha giustamente stigmatizzato Annan – in qualche cosa d’altro». Ed è proprio questo il punto: la matrice etnica di questi efferati crimini perpetrati contro gente innocente è la risultante di un retaggio storico e di un’azione propagandistica svolta dagli opposti schieramenti politici con l’intento di demonizzare l’avversario. Una strategia già attuata nel passato, fin dai tempi del padre della Patria Jomo Kenyatta, che pare stia assumendo sempre più connotazioni inquietanti. Le rivalità etniche, fomentate tradizionalmente dalle leadership locali per scopi egemonici, destabilizzano il quadro istituzionale. L’ex segretario generale dell’Onu ha auspicato un impegno da parte delle autorità investigative per appurare le responsabilità sia dei mandanti sia degli esecutori dei tragici fatti che stanno seminando morte e distruzione nel Paese. Ma non v’è dubbio che qualora vi fosse la volontà politica di appurare fino in fondo la verità su questo terribile bagno di sangue, sarebbero in molti tra i politici di ogni schieramento a dover rispondere per quanto sta avvenendo. Ecco perché mai come oggi è importante che la comunità internazionale esca allo scoperto invocando un’inchiesta mirata che possa svelare i retroscena di una lotta fratricida tra poveri. Una cosa è certa: l’opera di mediazione richiesta ad Annan dall’Unione Africana è un’impresa improba, che va ben oltre l’antagonismo personale tra i due contendenti: Kibaki da una parte e Odinga dall’altra. In gioco, è bene rammentarlo, vi sono interessi tra due opposte oligarchie che si contendono strenuamente il potere. In questa prospettiva è urgente proporre una riforma del dettato costituzionale che non solo ha una caratterizzazione fortemente presidenzialista, ma che – più che promuovere un’autentica unificazione nazionale – concede tutto al vincitore politico di turno – gestione del potere politico, dell’economia, del mercato del lavoro – innescando un meccanismo di governo clientelare su base etnica, con caratteristiche predatorie. E come affermato dal professor Alberto Parise, docente di pastorale sociale al Tangaza College di Nairobi: «Il Paese ha urgente bisogno di un sistema politico che renda possibile il superamento della logica del potere a tutti costi attraverso l’affermazione del bene comune».


«Così ho strappato all’aborto trecento bambini»
Storia di Carla, del Cav di Vicenza: «Aiuto le donne in gravidanza a liberarsi dalla paura e dai pregiudizi»
Avvenire, 27.1.2008
DA MILANO NICOLETTA MARTINELLI
Ti travolge con le parole seppellendoti sotto il suo entusiasmo: quando la ac­cendi, Carla non si spegne più. E par­la, parla, parla... Dei tanti bambini che sono nati grazie a lei. E grazie alla sua parlantina semplice da toccare il cuore, così stringente da averla vinta contro ogni obiezione. Carla Tonello sa anche che dopo i discorsi servo­no i fatti: volontaria storica del Movimento per la vita, a Vicenza, attiva nel Cav fin dal 1979, anno della sua apertura, di donne in difficoltà ne ha viste parecchie. E parecchie non lo sono state più dopo averla incontra­ta.
Dal 1979 a oggi, Carla ha aiutato a nascere «al­meno 300, 350 bambini, così a occhio. Ma forse anche di più» dice. Se li ricorda uno per uno, nome e cognome, anche se la prima ha ormai una trentina d’anni. «Ero di turno – Carla, prima della pensione, lavorava come infermiera professionale nel reparto di ria­nimazione dell’ospedale di Vicenza – quan­do mi si presentò una coppia. Li aveva indi­rizzati da me, mi spiegarono, il medico a cui si erano rivolti per abortire il loro quarto fi­glio. Volevano sapere quali danni fisici e psi­chici lascia dietro di sé un’interruzione di gravidanza». In sostanza, i due si erano de­cisi a rinunciare al bambino a causa della malattia del marito, diabetico: secondo il gi­necologo c’erano cinquanta possibilità su cento che il feto fosse malato. «La donna a­veva due bellissimi occhi azzurri e i capelli biondi. Durante la conversa­zione, ci teneva a ribadire di continuo che, malgrado ciò che avrei potuto dire, la deci­sione toccava a loro. Ho spie­gato che i danni fisici erano pochissimi – racconta Carla – ma che per quelli psichici era meglio chiedere a un’altra persona. Ma no, mi dice la signora, a noi han­no detto che era con lei che dovevamo par­lare....
». Par di vederla Carla mentre indica la perso­na in questione. Meglio, la ritrae nell’aria con il suo ditino: due sopracciglia, gli occhietti, la bocca che ride: «E sono sicura che avrà gli occhi azzurri e i capelli biondi come i suoi – dice alla mamma – chiediamolo al bambino quali sono i danni psichici...». Un colpo da maestro: il marito non ci dorme la notte, e so­gna quel visetto che l’infermiera gli ha mo­strato, nell’aria, e già se lo immagina di car­ne e di sangue. Dell’aborto non si parla più: verrà al mon­do una femminuccia. Nata e cresciuta in salute.
Dal primo all’ultimo, il caso più recente che ha visto scendere in campo Carla To­nello: la mamma era già in sa­la operatoria, pronta per dire addio al suo quinto bambino. Una donna straniera, nigeriana, cattolica, un uomo la­borioso, quattro figli educati e sempre in or­dine, pochissimi soldi: una bocca in più da sfamare sarebbe stata un problema. Mentre l’anestesista sta per procedere, la signora co­mincia a tossire. La tosse è tale da insospet­tire il medico che ferma l’operazione e pre­vede altri esami per accertare di cosa si trat­ti. «Ad accompagnare la donna in un altro reparto – racconta Carla – è un assistente o­spedaliero. Mi dispiace che butti via il tuo bambino, dice alla donna. Non farlo». In la­crime, la paziente sulla barella spiega che è colpa dei soldi che mancano sempre. «Sai che fa allora quell’uomo? Apre il portafogli e le consegna tutto quello che ha, cinquanta euro e cinquanta centesimi. La porta in ca­mera e poi mi chiama»: Carla parla e ascol­ta, ascolta e parla... Il pancione oggi è già no­tevole e tra due mesi arriva il bebè. La ma­­lattia ai polmoni? Banale, guarirà.


Scola e Capuozzo - «Apriamo alle pagine di frontiera»
Il patriarca: «Il cristiano guarda in faccia la realtà così com’è e non tace differenze e contraddizioni»
Avvenire, 27.1.2008
DA VENEZIA MARIA LAURA CONTE
Se un ragazzino un giorno si lega con una catena sotto un tir per attraversare un confine e nel buio della corsa muore, cosa ha da dire quella frontiera a chi scrive la notizia o la legge? Quando la storica cortina di ferro tra Italia e l’Europa dell’Est sparisce o quando la tv ci porta in casa l’immagine di migliaia di persone che oltrepassano la barriera tra Gaza e Egitto, come va intesa quella frontiera? Come un’opportunità, un pon­te che unisce, o un ven­tre molle e un luogo di scontro?
È stato questo, un conti­nuo rimbalzare dall’attualità incalzante al la­voro di chi costruisce pa­gine di giornali, il dialo­go tra il patriarca di Ve­nezia, Angelo Scola, e i giornalisti della città, in occasione della festa di san Francesco di Sales, ieri mattina nella sede del municipio di Mestre. Il dialogo sulla professio­ne del giornalista è par­tito dagli spunti offerti da Toni Capuozzo, inviato di guerra, vicedirettore del Tg5 ed editorialista del 'Foglio', che ha tratteggiato il tema scelto: «Informare quando cadono le frontiere e i popoli si mescolano», in una serie di provocazioni tratte dalla sua esperien­za in 'trincea'.
Ne è nato un percorso ar­ticolato che ha accom­pagnato i presenti dal tentativo di focalizzare cos’è un confine, alla di­scesa in profondità negli aspetti ine­diti della storia di oggi, fino alla defi­nizione di orizzonti nuovi che si a­prono per chi si cimenta per mestie­re con il racconto. «Il tema della frontiera è drammatico - ha risposto Scola a Capuozzo - nel senso che porta in sé la dimensione del rischio e del­l’imprevisto sempre contenuta nel- l’agire personale e comune dell’uo­mo nella nostra società in violenta trasformazione. Può essere una sana provocazione o un fattore di perico­lo, l’elemento dell’incontro o dello scontro, ma io credo che vada guar­dato nel suo aspetto positivo». È evi­dente per il patriarca che il processo di unificazione del globo si è forte­mente accelerato e ci ha posto di fronte a trasformazioni che non pos­siamo chiamare soltanto epocali, ma che sono in un certo senso assolute. La trasformazione in atto at­torno al bios, per esempio, cioè la possibilità che ab­biamo raggiunto di mani­polare la nostra stessa vi­ta, è una novità assoluta che ci colpisce e ci rende come «pugili barcollanti dopo un colpo duro sul ring». La storia sta diven­tando l’unica oggettiva chiave interpretativa del­l’uomo, della convivenza sociale e del cosmo, e il fat­to che possiamo vedere la fotografia del cosmo qua­si subito dopo il big bang cancella l’idea che siamo l’ultimo granello di polve­re nell’arena del cosmo perché diventiamo quasi interattivi: «In questo quadro - ha osservato ancora Scola - e nel gran­de processo che mi osti­no a chiamare di 'metic­ciato di civiltà e culture', che è un processo, non uno schema mentale, e quindi convulso, la pa­rola frontiera, pur man­tenendo tutta la sua am­bivalenza, deve essere af­frontata coraggiosamen­te e considerata luogo di incontro». Non va di­menticato, infatti, per il patriarca che la storia è fatta di processi e di sog­getti: «Noi dobbiamo entrare in que­sta realtà consapevoli che non sia­mo gli unici, che c’è il Maligno, ma anche soprattutto che c’è un Padre che ama la nostra libertà e lascia a noi la responsabilità dell’azione per­sonale e comunitaria».
Ma proprio per questa accelerazio­ne in cui siamo immersi, ha incalza­to Capuozzo, è difficile distinguere, tra quelli che sono diritti fondamen­tali e desideri, tra una forma quasi di timore per le nostre stesse radici e un’apertura acritica verso ciò che ve­ramente è altro tra noi.
«Il cristiano - ha concluso Scola ­guarda in faccia la realtà così com’è e persegue la vita buona nelle forme che sono possibili, non tace le differenze e le contraddizioni, ma in ulti­ma analisi appoggia il suo cammi­nare sulla consapevolezza che c’è un Dio che è Padre di tutti e ha un dise­gno buono sulla storia. E si confron­ta con il più grande valore della so­cietà plurale che è il valore dell’esse­re insieme. Questa è la base della nuova laicità. Tutti viviamo di affet­ti, lavoro e riposo, e da qui, da que­sto valore pratico, dobbiamo co­minciare a costruire». E da qui parte anche la ricerca della verità da con­dividere, cioè il racconto del giorna­lista- testimone.