venerdì 25 gennaio 2008

Nella rassegna stampa di oggi:

1) "I mezzi di comunicazione sociale: al bivio tra protagonismo e servizio”
2) il filosofo Botturi: «Un codice info-etico contro le derive della surrealtà»
3) Prof. Veronesi, il suo nuovo valore si chiama eugenetica
4) Chieppa: sulla legge 40 sentenza contraddittoria - L’ex presidente della Consulta: giusto tutelare anche l’embrione
5) Mozioni gay, come la Corte di Strasburgo ha cambiato idea
6) Gesù gay in Australia, scoppia la polemica
7) Il segreto dell'unità, secondo la fondatrice dei Focolarini



"I mezzi di comunicazione sociale: al bivio tra protagonismo e servizio”CITTA' DEL VATICANO, giovedì, 24 gennaio 2008 (ZENIT.org).- Pubblichiamo il Messaggio di Benedetto XVI per la 42a Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali 2008 sul tema “I mezzi di comunicazione sociale: al bivio tra protagonismo e servizio. Cercare la verità per condividerla”.
* * *
Cari fratelli e sorelle!
1. Il tema della prossima Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali - "I mezzi di comunicazione sociale: al bivio tra protagonismo e servizio. Cercare la verità per condividerla" – pone in luce quanto importante sia il ruolo di questi strumenti nella vita delle persone e della società. Non c’è infatti ambito dell’esperienza umana, specialmente se consideriamo il vasto fenomeno della globalizzazione, in cui i media non siano diventati parte costitutiva delle relazioni interpersonali e dei processi sociali, economici, politici e religiosi. In proposito, scrivevo nel Messaggio per la Giornata della Pace dello scorso 1° gennaio: "I mezzi della comunicazione sociale, per le potenzialità educative di cui dispongono, hanno una speciale responsabilità nel promuovere il rispetto per la famiglia, nell’illustrarne le attese e i diritti, nel metterne in evidenza la bellezza" (n. 5).
2. Grazie ad una vorticosa evoluzione tecnologica, questi mezzi hanno acquisito potenzialità straordinarie, ponendo nello stesso tempo nuovi ed inediti interrogativi e problemi. È innegabile l’apporto che essi possono dare alla circolazione delle notizie, alla conoscenza dei fatti e alla diffusione del sapere: hanno contribuito, ad esempio, in maniera decisiva all’alfabetizzazione e alla socializzazione, come pure allo sviluppo della democrazia e del dialogo tra i popoli. Senza il loro apporto sarebbe veramente difficile favorire e migliorare la comprensione tra le nazioni, dare respiro universale ai dialoghi di pace, garantire all’uomo il bene primario dell’informazione, assicurando, nel contempo, la libera circolazione del pensiero in ordine soprattutto agli ideali di solidarietà e di giustizia sociale. Sì! I media, nel loro insieme, non sono soltanto mezzi per la diffusione delle idee, ma possono e devono essere anche strumenti al servizio di un mondo più giusto e solidale. Non manca, purtroppo, il rischio che essi si trasformino invece in sistemi volti a sottomettere l’uomo a logiche dettate dagli interessi dominanti del momento. E’ il caso di una comunicazione usata per fini ideologici o per la collocazione di prodotti di consumo mediante una pubblicità ossessiva. Con il pretesto di rappresentare la realtà, di fatto si tende a legittimare e ad imporre modelli distorti di vita personale, familiare o sociale. Inoltre, per favorire gli ascolti, la cosiddetta audience, a volte non si esita a ricorrere alla trasgressione, alla volgarità e alla violenza. Vi è infine la possibilità che, attraverso i media, vengano proposti e sostenuti modelli di sviluppo che aumentano anziché ridurre il divario tecnologico tra i paesi ricchi e quelli poveri.
3. L’umanità si trova oggi di fronte a un bivio. Anche per i media vale quanto ho scritto nell’Enciclica Spe salvi circa l’ambiguità del progresso, che offre inedite possibilità per il bene, ma apre al tempo stesso possibilità abissali di male che prima non esistevano (cfr n. 22). Occorre pertanto chiedersi se sia saggio lasciare che gli strumenti della comunicazione sociale siano asserviti a un protagonismo indiscriminato o finiscano in balia di chi se ne avvale per manipolare le coscienze. Non sarebbe piuttosto doveroso far sì che restino al servizio della persona e del bene comune e favoriscano "la formazione etica dell’uomo, nella crescita dell’uomo interiore" (ibid.)? La loro straordinaria incidenza nella vita delle persone e della società è un dato largamente riconosciuto, ma va posta oggi in evidenza la svolta, direi anzi la vera e propria mutazione di ruolo, che essi si trovano ad affrontare. Oggi, in modo sempre più marcato, la comunicazione sembra avere talora la pretesa non solo di rappresentare la realtà, ma di determinarla grazie al potere e alla forza di suggestione che possiede. Si costata, ad esempio, che su talune vicende i media non sono utilizzati per un corretto ruolo di informazione, ma per "creare" gli eventi stessi. Questo pericoloso mutamento della loro funzione è avvertito con preoccupazione da molti Pastori. Proprio perché si tratta di realtà che incidono profondamente su tutte le dimensioni della vita umana (morale, intellettuale, religiosa, relazionale, affettiva, culturale), ponendo in gioco il bene della persona, occorre ribadire che non tutto ciò che è tecnicamente possibile è anche eticamente praticabile. L’impatto degli strumenti della comunicazione sulla vita dell’uomo contemporaneo pone pertanto questioni non eludibili, che attendono scelte e risposte non più rinviabili.
4. Il ruolo che gli strumenti della comunicazione sociale hanno assunto nella società va ormai considerato parte integrante della questione antropologica, che emerge come sfida cruciale del terzo millennio. In maniera non dissimile da quanto accade sul fronte della vita umana, del matrimonio e della famiglia, e nell’ambito delle grandi questioni contemporanee concernenti la pace, la giustizia e la salvaguardia del creato, anche nel settore delle comunicazioni sociali sono in gioco dimensioni costitutive dell’uomo e della sua verità. Quando la comunicazione perde gli ancoraggi etici e sfugge al controllo sociale, finisce per non tenere più in conto la centralità e la dignità inviolabile dell’uomo, rischiando di incidere negativamente sulla sua coscienza, sulle sue scelte, e di condizionare in definitiva la libertà e la vita stessa delle persone. Ecco perché è indispensabile che le comunicazioni sociali difendano gelosamente la persona e ne rispettino appieno la dignità. Più di qualcuno pensa che sia oggi necessaria, in questo ambito, un’"info-etica" così come esiste la bio-etica nel campo della medicina e della ricerca scientifica legata alla vita.
5. Occorre evitare che i media diventino il megafono del materialismo economico e del relativismo etico, vere piaghe del nostro tempo. Essi possono e devono invece contribuire a far conoscere la verità sull’uomo, difendendola davanti a coloro che tendono a negarla o a distruggerla. Si può anzi dire che la ricerca e la presentazione della verità sull’uomo costituiscono la vocazione più alta della comunicazione sociale. Utilizzare a questo fine tutti i linguaggi, sempre più belli e raffinati di cui i media dispongono, è un compito esaltante affidato in primo luogo ai responsabili ed agli operatori del settore. E’ un compito che tuttavia, in qualche modo, ci riguarda tutti, perché tutti, nell’epoca della globalizzazione, siamo fruitori e operatori di comunicazioni sociali. I nuovi media, telefonia e internet in particolare, stanno modificando il volto stesso della comunicazione e, forse, è questa un’occasione preziosa per ridisegnarlo, per rendere meglio visibili, come ebbe a dire il mio venerato predecessore Giovanni Paolo II, i lineamenti essenziali e irrinunciabili della verità sulla persona umana (cfr Lett. ap. Il rapido sviluppo, 10).
6. L’uomo ha sete di verità, è alla ricerca della verità; lo dimostrano anche l’attenzione e il successo registrati da tanti prodotti editoriali, programmi o fiction di qualità, in cui la verità, la bellezza e la grandezza della persona, inclusa la sua dimensione religiosa, sono riconosciute e ben rappresentate. Gesù ha detto: "Conoscerete la verità e la verità vi farà liberi" (Gv 8, 32). La verità che ci rende liberi è Cristo, perché solo Lui può rispondere pienamente alla sete di vita e di amore che è nel cuore dell’uomo. Chi lo ha incontrato e si appassiona al suo messaggio sperimenta il desiderio incontenibile di condividere e comunicare questa verità: "Ciò che era fin da principio, ciò che noi abbiamo udito, ciò che noi abbiamo veduto con i nostri occhi – scrive san Giovanni -, ciò che noi abbiamo contemplato e ciò che le nostre mani hanno toccato, ossia il Verbo della vita […], noi lo annunziamo anche a voi, perché anche voi siate in comunione con noi. La nostra comunione è col Padre e col Figlio suo Gesù Cristo. Queste cose vi scriviamo, perché la nostra gioia sia perfetta" (1Gv 1, 1-3).
Invochiamo lo Spirito Santo, perché non manchino comunicatori coraggiosi e autentici testimoni della verità che, fedeli alla consegna di Cristo e appassionati del messaggio della fede, "sappiano farsi interpreti delle odierne istanze culturali, impegnandosi a vivere questa epoca della comunicazione non come tempo di alienazione e di smarrimento, ma come tempo prezioso per la ricerca della verità e per lo sviluppo della comunione tra le persone e i popoli" (Giovanni Paolo II, Discorso al Convegno Parabole mediatiche, 9 novembre 2002).
Con questo auspicio a tutti imparto con affetto la mia Benedizione.
Dal Vaticano, 24 gennaio 2008, Festa di San Francesco di Sales.
BENEDICTUS PP. XVI
[© Copyright 2008 - Libreria Editrice Vaticana]


il filosofo Botturi: «Un codice info-etico contro le derive della surrealtà» Avvenire, 25.1.2008
DA ROMA MIMMO MUOLO
In principio erano mass media.
Cioé mezzi. Oggi non è più così. Oggi sono qualcosa di più. «Incidono profondamente su tutte le dimensioni della vita umana», scrive il Papa nel Messaggio per la Giornata mondiale delle comunicazioni sociali, diffuso ieri. Dunque il ruolo che questi strumenti «hanno assunto nella società va ormai con­siderato parte integrante della que­stione antropologica». Con tutte le possibili ricadute sul piano etico. U­na intuizione «di grande importanza», commen­ta Francesco Botturi, do­cente di filosofia morale all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Mila­no. E il perché lo spiega in questa intervista ad Avvenire.
In che senso, professore, la problematica relativa ai mass media intercetta la questione antropologica?
Quello che il Messaggio mette in rilie­vo con estrema luci­dità è l’impatto che, come tutte le altre tecnologie avanzate, anche la tecnologia dei mezzi di comu­nicazione cosiddet­ti di massa ha sulle persone. Non si tratta più di un sem­plice influsso. Qui si arriva a toccare gli ambiti sensibili e radicalmente si­gnificativi della vita umana. Dunque ciò che è inedito rispetto al passato anche recente è la pervasività, che giunge a incidere sull’immagine che l’uomo ha di se stesso.
In sostanza i mass media non sono più semplici mezzi.
Certamente. E anche da questo punto di vista il Messaggio di Benedetto XVI coglie pienamente nel segno. I media non si limitano più alla informazione, ma tendono inevitabil­mente alla formazione delle co­scienze. Non si fermano alla rappre­sentazione del reale, ma sconfinano nella sua creazione. Non è chi non veda, dunque, che da un lato siamo al centro della questione antropologica, dall’altro questo ha inevitabili ricadute sul piano etico.
E infatti ha suscitato immediato in­teresse quel passaggio del testo in cui Papa Ratzinger indica la neces­sità di una 'info-etica', sul model­lo di quello che la 'bio-etica' rap­presenta per la medicina e la ricer­ca scientifica.
Sì, in effetti si tratta di un’esigenza largamente avvertita. Ma va detto che gli aspetti etici non possono essere imposti dall’esterno. Sono gli operatori e i fruitori dei mass media che vanno educati a regolarsi in mo­do conforme all’umano.
Ma è possibile delineare, già sulla base del Messaggio del Pontefi­ce, i contenuti di questo codice info-etico?
Penso proprio di sì. E direi che si tratta sia di contenuti in negativo, sia in positivo. Tra i pri­mi inserirei sicuramen­te la necessità di non u­sare i mezzi della comunicazione so­ciale per fini ideolo­gici. Occorre poi e­vitare che i media diventino, come per altro nota il Ponte­fice, «il megafono del materialismo economico e del re­lativismo etico, vere piaghe del nostro tempo». È inoltre importante che essi non si trasformino in macchine per creare quella che Aleksandr Solzenicyn chiama «la surrealtà», cioè una parvenza di realtà che per fini ideologici o commerciali prende il posto della realtà autentica. Un grande potere di cui bisogna essere consapevoli.
E in positivo?
Due contenuti soprattutto, entrambi richiamati in maniera chiara dal Messaggio. Prima di tutto il rapporto tra comunicazione e verità. «L’uomo ha sete di verità, è alla ricerca della verità», scrive il Papa. E ciò non significa solo mettere in un atto una rappresentazione speculare del mondo, ma avere un profondo rispetto per la verità dell’uomo e cooperare affinché essa sia sempre evidenziata e proclamata. Ciò in definitiva si collega al secondo contenuto in positivo indicato da Benedetto XVI. E cioè il rispetto della dignità umana. Quando la comunicazione sociale perde di vista questo assunto fondamentale, allora si rischia di incidere negativamente non solo sulla coscienza e sulle scelte delle persone, ma anche sulla loro libertà e sulla vita stessa.
È un codice etico che il Papa consegna idealmente a tutti. Si può dunque dire che in fondo la questione è educativa?
Sono d’accordo. L’educazione all’uso e alla fruizione dei mass media rientra in quella più generale 'emergenza educativa' di cui si sente sempre più spesso parlare. C’è, infatti, un aspetto specifico che riguarda gli addetti ai lavori, ma ce n’è un altro più che ci tocca tutti da vicino in quanto tutti abbiamo a che fare con la comunicazione. E qui dobbiamo ribadire che formare è compito della famiglia, della scuola e di tutte le altre agenzie in rete. Penso inoltre che, come utenti, dobbiamo esercitare rispetto ai media quella capacità di non concepirsi parte dell’apparato, ma di giudicare secondo buon senso, che deve portare – quando è necessario – anche a prenderne le distanze.
«Il Papa mette in luce il nesso decisivo fra mass media e questione antropologica e la centralità della sfida educativa»


LA BUONA SALUTE È IL CRITERIO PER CUI VALE VIVERE
Prof. Veronesi, il suo nuovo valore si chiama eugenetica

Avvenire, 25.1.2008
ASSUNTINA MORRESI
C’è chi ritiene la sentenza del Tar del Lazio – che pronunciandosi in merito alla legge 40 e alle sue linee guida avrebbe annullato il divieto della diagnosi preimpianto – una decisione «coraggiosa» dei giudici, una «difesa dei diritti fondamentali dei cittadini» e una «risposta ai loro nuovi valori». Lo ha scritto ieri il professor Umberto Veronesi, spiegando che eseguire la diagnosi preimpianto, cioè «la scelta, tra gli embrioni prodotti in vitro, di quello che non porta il seme della malattia, per impiantarlo» vuole dire «la certezza di un figlio sano».
Tralasciamo pure il fatto che questa tecnica, quando non altera pesantemente lo sviluppo embrionale, non dà la certezza della salute del nascituro, ma si limita a identificare alcune patologie legate al suo codice genetico.
Seguendo le considerazioni del professor Veronesi, si deduce quindi che avere un figlio sano non solo è un legittimo desiderio di ogni genitore, non solo è diventato un diritto fondamentale (come è stato ripetuto durante tutta la campagna referendaria del 2005), ma si è trasformato pure in 'nuovo valore'. A rigor di logica, quindi, avere un figlio non sano, malato o disabile, sarebbe un 'vecchio valore', cioè qualcosa di superato, o addirittura un disvalore, qualcosa che è visto dalla società come moralmente inaccettabile. Ammettiamo onestamente che è di questo che si sta parlando, quando si chiede di poter scegliere un embrione: la scelta presuppone sempre un 'migliore' e un 'peggiore', qualcosa che vale di più, a discapito di qualcosa di minor valore; e in questo caso, cioè nella scelta fra embrioni prodotti in laboratorio, il criterio per stabilire i migliori e i peggiori è la salute. Potrà non piacere, ma in questo modo si stabilisce ad esempio che un futuro malato di talassemia sarà in quanto tale peggiore di uno che non abbia questa malattia, o anche che una persona con una certa probabilità di sviluppare un cancro sarà peggiore di chi ha una probabilità inferiore, o di chi non ne avrà affatto (come sta già accadendo in Gran Bretagna, dove si usa la diagnosi preimpianto anche per questi casi). La qualità della vita diventa, nella filosofia propagandata dal professor Veronesi, misura del valore della vita stessa: è questa la sostanza etica dei 'nuovi valori'. Eppure, se si afferma che questa è eugenetica, c’è chi si ritrae, indignato.
L’eugenetica, per molti, è quella che produce figli biondi con gli occhi azzurri, o quella imposta dallo Stato. Ma scegliere l’embrione sano e scartare quello difettato, dire 'tu sì, tu no', che altro è, allora? Chiariamo una volta per tutte questo punto: ogni forma di selezione genetica sulle persone, è eugenetica.
Nella normativa italiana del dopoguerra l’eugenetica non è mai stata introdotta: non la prevede la legge 194 che regolamenta l’aborto, e neppure la legge 40, che nell’articolo 13 vieta espressamente la selezione genetica degli embrioni, e che infatti non permette a coppie portatrici di malattie ereditarie di accedere alle nuove tecniche di fecondazione in vitro. La tanto contestata legge sulla procreazione medicalmente assistita è stata formulata per dare un’opportunità a coppie infertili di diventare genitori, non certo per consentire la scelta di chi diventare genitori. Mai come in questi anni si parla di pari opportunità, di non discriminazione, di accettazione delle diversità, eppure al tempo stesso mai come nei nostri tempi la malattia e la disabilità sono così poco tollerate, tanto da ritenere lecita la possibilità di scelta del figlio: teniamo il sano, buttiamo il malato. Sono questi i nuovi valori?
Mai come nei nostri tempi la malattia e la disabilità sono così poco tollerate: teniamo il figlio sano buttiamo quello malato



PROCREAZIONE ASSISTITA «Esistono preoccupazioni scientificamente fondate che motivano i limiti posti dall’attuale normativa Anche altri Paesi hanno condiviso le scelte dell’Italia per non creare embrioni in eccesso»
Chieppa: sulla legge 40 sentenza contraddittoria - L’ex presidente della Consulta: giusto tutelare anche l’embrione
Avvenire, 25 gennaio 2008
DA MILANO ILARIA NAVA
L a recente sentenza emessa dal Tribunale am­ministrativo del Lazio sulla diagnosi preim­pianto, con cui sono state annullate le linee guida nella parte in cui prescrivono che l’indagi­ne sull’embrione sia solo di tipo osservazionale, «contiene diversi profili di contraddittorietà». A pensarla così è Riccardo Chieppa, giudice della Corte costituzionale dal 1995 al 2004 e presidente della stessa dal 2002 al 2004.
Presidente quali sarebbero gli aspetti contraddit­tori contenuti nella sentenza pronuncia del Tar?
I giudici amministrativi hanno deciso di sollevare la questione di legittimità costituzionale relativa­mente al limite della creazione di tre embrioni, tut­tavia, seguendo il ragionamento dei magistrati – che sottolineano in più punti la necessità di tute­lare l’embrione – non si coglie se, al fine di rende­re la legge compatibile con la Costituzione, auspi­cano l’abbattimento di tale limite o una restrizio­ne maggiore.
Qual è la sua opinione in proposito?
So che nel corso del dibattito sulla legge tale limi­te era stato dettato non solo per tutelare l’embrio­ne, ma anche la donna. È scientificamente prova­to che la iperstimolazione ovarica mette in pericolo la salute della madre e rende i successivi tentativi sempre più rischiosi. Questa scelta del legislatore è frutto di un compromesso necessario, visto che penso non sarebbe possibile non stabilire un li­mite da parte della legge, lasciando tutto alla di­screzionalità del medico. Una preoccupazione con­divisa anche da altri Paesi europei, che hanno fat­to la stessa scelta dell’Italia. Lo scopo è evitare u­na creazione di embrioni in soprannumero, te­nendo presente che dietro a queste operazioni, e penso anche dietro questa causa, ci sono ingenti interessi economici legati al mercato della fecon­dazione. In ogni caso è bene sottolineare che tale limite è elastico, visto che si possono fecondare anche meno di tre embrioni, se le circostanze lo consigliano. In questo senso penso che l’interpre­tazione della legge data dal Tar sia piuttosto rigi­da.
In pratica cosa comporta l’annullamento delle li­nee guida compiuto dal Tar, nella parte in cui pre­vedevano che l’indagine sull’embrione fosse solo di tipo osservazionale?
Penso che gli effetti pratici di questa pronuncia siano del tutto marginali. Anche da questo punto di vista, penso che il Tar avrebbe potuto compiere un’interpretazione delle linee guida maggiormente conforme a quanto previsto dalla legge.
In che senso?
Lo spirito della legge è volto a tutelare la salute del­la donna ma anche l’embrione, e ne vieta la di­struzione. Diagnosi aventi finalità terapeutiche, ossia di cura, sono consentite, purché non metta­no in pericolo la vita dell’embrione. La legge è mol­to chiara nel vietare queste pratiche quando han­no finalità diverse da quelle prescritte. In ogni ca­so è bene tenere presente che in organismi così delicati, anche il prelevamento di poche cellule può essere fatale e mettere a repentaglio la sua in­tegrità; per questo motivo la legge contiene un principio di cautela rispetto a questo aspetto.
Questa sentenza può incidere sulla revisione del­le linee guida?
Anche se le linee guida sono attualmente in corso di modifica, penso che per il Ministro Turco sia quantomeno opportuno attendere la sentenza del­la Corte Costituzionale, visto che la questione ri­messa alla sua attenzione riguarda punti piuttosto nevralgici della normativa.




Mozioni gay, come la Corte di Strasburgo ha cambiato idea
La condanna inflitta dalla Corte europea dei diritti dell'uomo alla Francia, colpevole di aver rifiutato a un'insegnante lesbica la possibilità di adottare un bambino, pesa molto più di quanto diecimila euro di ammenda possano far pensare…

Roma. La condanna inflitta dalla Corte europea dei diritti dell'uomo alla Francia, colpevole di aver rifiutato a un'insegnante lesbica la possibilità di adottare un bambino, pesa molto più di quanto diecimila euro di ammenda possano far pensare. E' un importante precedente che segna un drastico cambio di rotta da parte della Corte.
La quale, non più tardi del 2002, in un caso simile, aveva optato per la decisione opposta. Sei anni fa, i giudici di Strasburgo riconoscevano come la comunità scientifica fosse "divisa sulle eventuali conseguenze dell'accoglimento di un bambino da parte di un genitore o di genitori omosessuali, tenuto conto, in particolare, del numero limitato di studi scientifici disponibili", e che "profonde divergenze" sul tema animavano l'opinione pubblica nazionale e internazionale. Ma quando, martedì scorso, il rappresentante dello stato francese ha avanzato gli stessi argomenti, la Corte li ha ritenuti insufficienti, e con dieci voti contro sette ha dato ragione a Emmanuelle B., insegnante quarantacinquenne di scuola materna nel Jura, dal 1990 convivente di una psicologa. Contro di lei, secondo la Corte, si è consumata una discriminazione legata ai suoi "orientamenti sessuali, che non hanno mai smesso di essere al centro del dibattito che la riguardava", tanto che "l'influenza della sua omosessualità dichiarata sulla valutazione della sua domanda (...) ha rivestito un carattere decisivo, conducendo alla decisione di rifiutarle l'idoneità ad adottare".
I fatti. Nel 1998, la donna aveva chiesto di poter adottare un bimbo, così come la legge francese consente dal 1966 anche a persone sole. Emmanuelle B, che non ha mai nascosto ai servizi sociali né la propria omosessualità né il legame stabile con una donna, ricevette all'epoca due risposte negative, motivate dalla mancanza di "punti di riferimento paterni" e dall'ambiguità della posizione della sua compagna rispetto alla procedura di adozione. Dopo una serie di vicissitudini giudiziarie che hanno via via investito la Corte amministrativa d'appello, la Cassazione e il Consiglio di stato, quest'ultimo stabilì che il mancato riconoscimento dell'idoneità all'adozione nel caso di Emmanuelle B. non era fondato sulle scelte di vita della donna, che non si configurava nessuna violazione dell'articolo 8 (diritto al rispetto della vita private e familiare) e 14 (proibizione di ogni discriminazione) della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, e che non erano in discussione gli orientamenti sessuali dell'interessata, ma i bisogni e l'interesse di un bambino adottato. Conclusione contestata da Emmanuelle B., che ha deciso di ricorrere alla Corte europea, perché il criterio di "assenza di referenti paterni" finiva di fatto per rimettere in questione il diritto di una donna nubile ad adottare, a meno che non si volesse discriminare tra omosessuali ed eterosessuali. C'è da notare che la giurisprudenza della Corte di Strasburgo accetta "differenze di trattamento" tra gli individui, purché siano "obiettive e ragionevoli". Lo erano nel 2002, non lo sono più oggi, e questo giudizio, sottolinea il quotidiano cattolico La Croix, "si imporrà da ora in poi al giudice amministrativo francese". Non sarà più possibile opporre a un omosessuale "l'assenza di referenti paterni (o materni)" per giustificare un rifiuto all'adozione. E se c'è chi minimizza, come il giurista Jaen Hauser, esperto di diritto di famiglia, secondo il quale "siamo di fronte all'adozione da parte di una persona sola, non si tratta in nessun caso di riconoscimento dell'omoparentalità, vale a dire di adozione da parte di una coppia omosessuale", a smentirlo è la stessa Emmanuelle B., che in un messaggio trasmesso all'Associazione dei genitori gay e lesbiche dice di provare "profonda gioia per le coppie omosessuali, che in Francia, oggi, non hanno gli stessi diritti delle altre e sono considerate composte da cittadini di seconda categoria".
Il Foglio 24 gennaio 2008



Gesù gay in Australia, scoppia la polemica

Sedotto da Giuda: infuriati i responsabili della chiesa anglicana.

In Iran in arrivo un telefilm su Cristo

MILANO - Come scrive quest'oggi il Sydney Morning Herald, il Gesù australiano verrà sedotto da Giuda Iscariota. Nel controverso spettacolo, che nel 1997 era andato in scena negli Usa, Gesù celebra anche un matrimonio gay tra due apostoli. Infuriati i responsabili della Chiesa anglicana australiana che bollano la rappresentazione come "falsa e offensiva".

ATTACCO - «E' un nonsense storico. Non andrò a vederla. La vita è già troppo breve», ha detto l'arcivescovo di South Sydney, Robert Forsyth. La pièce, intitolata "Corpus Christi" è dell'americano Terrence McNally e dovrebbe andare in scena il prossimo 7 febbraio al New Theatre di Newtown nel quadro del Martedì grasso gay e lesbico di Sydney. Il regista Leigh Rowney, che si definisce cristiano, ammette che lo spettacolo possa offendere i credenti ma sottolinea che l'intento è aprire un dibattito in seno alla Chiesa sull'omosessualità. Contrari anche le associazioni delle famiglie che hanno definito tale idea "blasfema".

IRAN - Nel frattempo, il canale di stato dell'Iran vuole portare sul piccolo schermo entro quest'anno per la prima volta un telefilm su Gesù Cristo. A quanto riferisce l'agenzia di stampa iraniana Fars, il progetto televisivo prevede un budget di oltre 3,5 milioni di euro. Sono previste 20 puntate e la sceneggiatura vedrà la vita di Gesù da un punto di vista dei musulmani. Infatti, secondo la dottrina religiosa musulmana Gesù non è altro che un profeta, e non il figlio di Dio. Per girare la serie, "Jesus, the Spirit of God" ("Gesù, lo Spirito del Signore"), tratta dall'omonimo film per il grande schermo, premiato lo scorso anno anche al "Religion Today Filmfest" di Roma, è stato chiamato il regista iraniano Nader Talebzadeh.

MUSULMANI - Il film propone un originale punto di vista sulla vita e sul messaggio di Gesù, facendo incontrare la narrazione cristiana e quella islamica. Il regista è nato a Teheran nel 1953, si è diplomato in letteratura inglese e laureato in regia alla Columbia University negli U.S.A. È autore di molti documentari, e "Jesus, the Spirit of God" è il suo primo film. E' stato proiettato, senza grande successo di pubblico, in soli cinque cinema iraniani durante lo scorso mese del Ramadan. Di particolare c'è che Gesù, come conosciuto dal pubblico occidentale, avrà anche in questo caso capelli biondi e la pelle chiara. Tuttavia, a differenza del film di Mel Gibson "La Passione di Cristo" non ci sarà alcuna scena della crocifissione. Nel film di Talebzadeh, Dio salverà Gesù dalla croce e salirà direttamente in Cielo.



Il segreto dell'unità, secondo la fondatrice dei Focolarini
CITTA' DEL VATICANO, giovedì, 24 gennaio 2008 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito una riflessione di Chiara Lubich, fondatrice del movimento dei Focolari, apparsa sul quotidiano “L'Osservatore Romano”.
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Molte voci in questa Settimana di preghiera per l'unità dei cristiani, così ricca di iniziative in tutto il mondo, hanno evidenziato quanto l'ecumenismo spirituale sia sempre più l'anima del cammino verso la piena unità visibile dei cristiani e susciti nuova speranza per il futuro. Dalla "vita nuova in Cristo e nello Spirito Santo, proviene la capacità di superare ogni egoismo, di vivere insieme in pace e in unione fraterna e portare ognuno i pesi e le sofferenze degli altri". Lo ha ripetuto il Papa in questi giorni, definendo "provvidenziale" l'iniziativa dell'Ottavario di preghiera, nata cento anni fa per opera di padre Paul Wattson. Era questo uno dei primi segni del risveglio che lo Spirito Santo suscitava, chiamando i cristiani al rinnovamento, alla riconciliazione e alla comunione dopo secoli di lotte, incomprensioni e pregiudizi. La memoria della conversione di san Paolo che si celebra a conclusione della Settimana di preghiera, ci richiama proprio a questa testimonianza evangelica.
Molte sono le vie percorse dallo Spirito per richiamare con forza la cristianità a questa conversione. In tutti i tempi, infatti, sa "far cavare" dal Vangelo quel che serve all'umanità di quell'epoca e che di secolo in secolo appare talmente nuovo e rivoluzionario da sembrare prima quasi ignorato. È per me una meraviglia sempre nuova costatare la varietà dei doni, ancora sconosciuti ai più, che lo Spirito Santo ha riversato nel nostro tempo nelle diverse Chiese cristiane, facendo scoprire le molteplici ricchezze contenute nel Vangelo di Cristo e nella redenzione da Lui operata. Lo sperimentiamo reciprocamente, man mano che si approfondisce il cammino di comunione avviato da quasi un decennio tra movimenti, gruppi e comunità non solo cattolici, ma anche evangelico-luterani, ortodossi, anglicani e anche delle Chiese libere. Comunione che diventa possibile per la comune esperienza dell'incontro con Gesù, per il capovolgimento di vita che provoca. È un'esperienza del dialogo della vita, quella nuova via auspicata da vari ecumenisti in questo momento in cui si parla di una riconfigurazione del movimento ecumenico e che può costituire un humus su cui possono svilupparsi le varie espressioni del dialogo.

È stata proprio l'esperienza del Vangelo vissuto narrata ad alcuni pastori e religiose in Germania più di 40 anni or sono, che ci ha aperto il dialogo della vita con il mondo evangelico-luterano e poi con le diverse Chiese cristiane. Ero rimasta colpita dalla sorpresa di quel piccolo gruppo che mi aveva ascoltato: "Come? Anche i cattolici vivono il Vangelo?". In verità agli inizi non pensavo affatto all'ecumenismo. Per diversi anni ho creduto che il carisma dell'unità fosse unicamente per contribuire a ravvivare il mondo cattolico. I piani di Dio, infatti, mi erano del tutto sconosciuti.
Negli anni '40, era stata per me folgorante la scoperta di un Dio che mi amava immensamente. Era stata più forte dei bombardamenti che colpivano Trento. E tale che ha cambiato radicalmente la mia vita. Ero alla ricerca della verità: m'è nata la certezza che Gesù sarebbe stato il mio maestro. Un'unica cosa volevo: amare Dio come voleva essere amato. Insieme alle mie prime compagne correvo nei rifugi antiaerei anche undici volte al giorno. Portavo solo il Vangelo. Quanto mi sono apparsi annacquati in quel tempo i libri spirituali che avevo letto e meditato! Ogni parola di Gesù, invece, era un fascio di luce incandescente: tutto divino!
Vivendole tutto cambia: il rapporto con Dio e con i fratelli. Dal Vangelo apprendo la difficile arte d'amare che esige di immedesimarmi con gli altri, sentendomi peccato col fratello peccatore, errore col fratello errante, fame col fratello affamato. "Entrare" nel fratello, suscita la sua rinascita: rivede la luce perché sente l'amore e nella luce la speranza che allontana la disperazione. Ho l'impressione che si scarceri la redenzione, agendo Gesù - mistica vite - attraverso i suoi tralci uniti a lui.
"Che tutti siano uno... come Io e Te". Queste parole lette a lume di candela in un rifugio, mi sono rimaste impresse a caratteri di fuoco. Avevo una certezza: per quella pagina eravamo nate! Avevo intuito che vi era racchiuso un disegno che avrebbe illuminato cultura e politica, economia, arte e scienze. Un disegno di unità che abbracciava il mondo, tanto che sullo stipite delle porte del nostro piccolo appartamento a Trento, avevamo scritto i nomi dei cinque continenti.
Prima di spalancarmi gli orizzonti dei grandi dialoghi aperti poi dal Concilio, lo Spirito mi sottolineava con forza che prima di tutto eravamo chiamate noi a mantener sempre viva l'unità, a tutti i costi, giorno per giorno. Come scrivevo negli anni '40: "Tutti saranno uno, se noi saremo uno". Diventa nostro motto: "Far dell'unità tra noi il trampolino per correre dove non c'è l'unità e farla". L'unità diventa la nostra passione.
Tra le molte parole che Gesù aveva detto, scopro che c'è un comando che chiama "mio" e "nuovo": "Che vi amiate gli uni gli altri come io vi ho amati". Da allora non facciamo un passo se non siamo unite dalla mutua carità: Ante omnia... (cfr 1 Pietro, 4, 8). Non è sentimentalismo. È costante sacrificio di tutto il proprio io per vivere la vita del fratello. È la perfetta rinuncia di sé, il portar l'uno i pesi dell'altro. È un partecipare di tutto ciò che possiedo, beni materiali e spirituali, al fratello.
La vita ha un balzo di qualità. Sperimentiamo una gioia, una pace nuova, una pienezza di vita, una luce inconfondibile. È Gesù che realizza fra noi quella sua promessa: "Dove due o più sono riuniti nel mio nome, Io sono in mezzo a loro". "Dove due o più": quante volte l'ho sperimentato in seguito anche con fratelli ortodossi, luterani e anglicani. È Lui che lega noi, membra sparse, in unità col Padre, e in unità fra noi, quell'unità sinora possibile.
Ma questa via dell'unità ha un segreto: è racchiuso in quel "come" Gesù ha amato noi: dando tutto di sé sulla croce sino a lanciare al cielo quel misterioso grido "Dio mio Dio mio perché mi hai abbandonato?". È il dramma di un Dio abbandonato da Dio. Il sentimento della presenza del Padre non doveva farsi più sentire. L'amore era annientato, la luce spenta, la sapienza taceva. Eravamo staccati dal Padre, bisognava che il Figlio provasse la disunità dal Padre per riunirci tutti a Lui, per far di noi Lui: figli di Dio, pieni di luce, del suo amore, della sua potenza, ricolmi di dignità altissima. La sua è una nuova chiamata forte e decisiva. Mi affascinava. Lo vedo dovunque. Ogni divisione, trauma, ogni dolore fisico, morale, spirituale è come un'ombra del suo grande dolore da amare, volere per dare con la morte di me, la vita a molti. Sgorga una preghiera: "T'ho trovato. Ti cerco e spesso ti trovo, ma dove sempre ti trovo è nel dolore. In un qualsiasi dolore sei Tu che mi vieni a visitare. Ed io ti rispondo: Eccomi". E in questo incontro, per un'alchimia divina il dolore si tramuta in amore, e tante volte, la divisione in unità, che si ricompone. Se non avessi amato Lui nelle prove della vita questa via dell'unità non ci sarebbe. Gesù abbandonato ha vinto tutte le battaglie. È Lui la risposta alla preghiera che gli avevo rivolto insieme alle mie prime compagne, quando affascinate dal suo testamento, gli avevamo chiesto di insegnarci lui come realizzare l'unità.


(©L'Osservatore Romano - 25 gennaio 2008)