mercoledì 9 gennaio 2008

Nella rassegna stampa di oggi:

1) COMUNICATO STAMPA - Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII, fondata da don Oreste Benzi su moratoria aborto
2) Cesana dice che è in gioco l'uomo
3) 09 Gennaio 2008 - Corriere della sera, Aborto, L'apertura di Veltroni
4) Aborto, le lettere dello "scandalo", di Michele Brambilla
5) La banalizzazione delle procedure ha reso la legge ancora peggiore
6) La Turco tra le polemiche avalla la pillola abortiva
7) PERCHÉ SIAMO ANCORA NELLA CHIESA



Rimini, 06 gennaio '08
COMUNICATO STAMPA

L'Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII, fondata da don Oreste
Benzi, attraverso il Servizio "Maternità Difficile" e il
Servizio "Antitratta" in merito all'intervento del Ministro On. Rosy
Bindi riguardo la moratoria sull'aborto e alle notizie sul grave
episodio di sangue delle due ragazze rumene invia le seguenti
dichiarazioni:

Ancora una volta i diritti dei più deboli vengono calpestati nel
silenzio assordante di coloro che ci governano e che dovrebbero
garantire sempre e per chiunque l'inviolabilità della vita fin dal
suo concepimento. A proposito della vita nascente, la nostra
Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII fondata da don Oreste Benzi
che da oltre dieci anni ha istituito il servizio "Maternità
Difficile" per tutelare la vita, aiutando le mamme ad accogliere e
riconoscere la persona nascente, la sua dignità e irrepetibilità, è
rimasta sbalordita dalle parole contraddittorie del Ministro della
Famiglia On.Rosy Bindi, pronunciate ieri 5 gennaio a Jesi
sull'applicazione della Legge 194. Ci sembra che l'On.Rosy Bindi, che
si definisce cattolica, non faccia altro che cogliere occasione per
osteggiare e criticare coloro che rappresentano il mondo cattolico
nelle più alte cariche magisteriali.

Ricordiamo al Ministro che la moratoria sull'aborto benché non sia
partita dal mondo cattolico è plaudita e sostenuta dalla Chiesa
Italiana, dai medici cattolici, da suoi colleghi senatori e
deputati,anche del suo partito, e da numerose associazioni che ogni
giorno si prodigano per difendere e tutelare la maternità e la vita
nascente.

Come può il Ministro accusare coloro che da sempre lottano per
l'inviolabilità della persona fin dal suo concepimento e quindi
contro la logica dell'aborto legiferata nella legge 194? Come può
sostenere che i cattolici siano la causa del disimpegno delle
istituzioni di fronte alla maternità? Siamo amareggiati nel sentire
il ministro della famiglia tradire il suo stesso mandato accusando i
cattolici di ciò che lei non sta facendo a tutela della gravidanza e
della vita.

Chiediamo all'On. Bindi che renda conto del suo mandato e di ciò ha
operato a favore della famiglia, della maternità e della vita oltre
ad aver difeso difendere quella sciagurata proposta di legge sulle
coppie di fatto; la invitiamo ad interpellare la sua coscienza sul
perché il suo governo anziché potenziare la tutela della maternità ha
aumentato le spese militare del 11%?

Inoltre prendiamo tristemente atto come le istituzioni continuino a
scegliere su vari fronti la via dell'ipocrisia e dell'indifferenza e
per questo ci rivolgiamo anche al Ministro dell'Interno On.Amato che
non ha speso una parola per le due ragazze rumene che ieri sono state
selvaggiamente sgozzate e uccise perché vittime della prostituzione.

Perché nessuno parla del dramma che si cela dietro alla prostituzione
schiavizzata di cui fanno parte migliaia di giovani donne straniere?
E' vergognoso e inaccettabile il silenzio e l'ipocrisia di coloro che
non vogliono dare risalto a questa tragedia. Forse Alina Bulai di 19
anni e Ionica Urda di anni 21 si prostituivano per libera scelta? Ci
appelliamo all'On. Amato affinché ci dica se queste due ragazze hanno
liberamente scelto la loro condizione o vi sono state costrette!

Come è possibile che sia frutto di una libera scelta una condizione
che mette i soggetti in continuo pericolo di violenza, o peggio, di
vita? Come è possibile "disciplinare" o regolamentare quanto è solo
espressione di abuso e quindi di negazione dell'altro? L'appello
della nostra Comunità alle Istituzioni è forte e costantemente
ripetuto: che si operi per sconfiggere il male, non per regolarlo,
per garantire una pace che non sia solo espressione di un generico
benessere ma della piena libertà di ogni persona.

Per l'Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII

Il Vice-Responsabile Generale
Giovanni Ramonda

L'Animatore Generale del Servizio Maternità Difficile
Enrico Masini

L'Animatore Generale del Servizio Antitratta
Roberto Gerali



09.01.2008, Cesana dice che è in gioco l'uomo>, Il Foglio



09 Gennaio 2008 - Corriere della sera, Aborto, L'apertura di Veltroni


Aborto, le lettere dello "scandalo", di Michele Brambilla
Il Giornale
09/01/2008
«Caro Giuliano Ferrara, grazie per quello che stai facendo...», «Caro direttore del più bel giornale che c’è...», «Caro direttore coraggio, la battaglia per la verità è sempre sacrosanta al di là di tutte le confessioni, le sono vicino con sincera ammirazione»... Sono ormai più di due settimane che, ogni giorno, almeno due pagine intere de Il Foglio sono occupate da lettere di adesione alla richiesta di moratoria sull’aborto avanzata da Giuliano Ferrara.
Di adesioni ma non solo: di riflessioni sulla vita e sulla morte, di interrogativi su Dio o comunque sul grande mistero che ci avvolge, perfino di storie personali: nomi illustri e (soprattutto) gente comune raccontano, come in un confessionale, le loro piccole grandi vicende private, la gioia per la nascita di un figlio, la convivenza con una malattia, il dolore e il rimorso per aver pronunciato, un giorno ormai lontano ma sempre presente e pungente, un «no» alla vita.
Gli scherzi del destino. Non doveva essere, quello di Ferrara, un giornale laico? Un foglio d’élite? Un pensatoio per la classe dirigente? Non viene forse, il suo direttore e fondatore, dalla scuola del vecchio Pci, e poi dalla sinistra libertaria del Sessantotto, e poi ancora dall’epopea craxiana, con i suoi richiami a Garibaldi e al Risorgimento? Non era forse determinante, nella truppa che fondò il Foglio, la componente radicale? Non era forse palpabile la comunanza - a tratti la fratellanza - con Marco Pannella e le sue «battaglie» per le «conquiste civili»?
E invece. Invece scrive un’ostetrica di settant’anni: «Penso di aver sottratto alla pena d’aborto diverse centinaia di bambini. Sono passate da casa mia vergini e prostitute. In questi quarantaquattro anni mai nessuna è tornata pentita di avere accolto la maternità: né la undicenne incinta né la donna vittima di violenza». Scrive una giovane coppia di Napoli: «Nel prossimo marzo nascerà il nostro primo figlio (...) Dalla prima ecografia abbiamo visto un puntino bianco in continuo movimento, poi un embrione meglio formato, poi una piccola testa, poi delle piccole braccia, poi delle piccole gambe, poi un bambino e poi...». Una lettrice racconta di quando, studentessa di medicina, con le lacrime agli occhi battezzò un feto di cinque mesi «adagiato malamente su un pezzo di lenzuolo, pronto per l’autopsia che confermasse la diagnosi della sua malattia, curabile solo con l’«aborto terapeutico»...».
C’è anche una donna che è viva perché la 194 non era ancora in vigore: «Se fossi stata concepita anni dopo avrei avuto tutte le «carte in regola» per essere abortita. Ma era il 1976 e io, «feto malformato», sono nata e anche se la mia «prima madre» non se l’è sentita di tenermi io la ringrazio di avermi messo al mondo». Che scandalo, per un certo milieu che Ferrara ben conosce. Che scandalo dar voce perfino a chi ricorda quel che non si vorrebbe ricordare, e cioè che c’è perfino la possibilità - per la donna in difficoltà - di partorire un figlio e poi di affidarlo ad altri, perché c’è sempre un popolo pronto ad accogliere la vita. È il popolo che ora, forse con sorpresa dello stesso Ferrara, è diventato il popolo de Il Foglio. Gli esperti di mass media, che come gran parte degli esperti vivono ben distanti dalla realtà, si stupiscono.
Ma la realtà gioca brutti scherzi, e il grande successo dell’iniziativa di Ferrara dimostra che c’è anche un popolo (forse non maggioritario, ma comunque un popolo) che ha idee ben differenti da quelle della cultura dominante, da quelle dei filosofi à la page, dei direttori-predicatori-della-domenica con la barba bianca. La proposta di una moratoria sull’aborto ha reso finalmente visibile, dalle colonne de Il Foglio, un popolo mai rappresentato dai grandi giornaloni, e nemmeno da una stampa cattolica resa prudente dal timore di venir tagliata fuori dal mondo. Perché diciamo la verità: neanche Avvenire e Famiglia Cristiana parlano così forte e chiaro come parla oggi Giuliano Ferrara. Là si legge pure che la 194 è «una buona legge», da «non toccare» ma semmai «da applicare meglio». (Che strano. Ventisette anni fa, quegli stessi giornali diedero battaglia per abrogarla, questa legge varata con l’ipocrita nome di «tutela della maternità»: è forse cambiato qualcosa da allora?).
Qua, voglio dire sul Foglio, Ferrara scrive invece che «l’aborto è un omicidio». Ecco perché questo popolo ha trovato solo ora una casa. Dicevamo che è uno scherzo del destino, perché Il Foglio è nato come giornale laico e per dea esibiva la Ragione. Ma in fondo: non è forse anche laica una battaglia per la difesa della vita? E c’è forse qualcosa di più ragionevole che interrogarsi sulla nostra origine e sul nostro destino, magari con quegli «Appunti per il dopo» che sono un’altra straordinaria iniziativa del Foglio? Ferrara scherza, Ferrara ci gioca, Ferrara ci marcia e fa solo politica, dicono per screditare non tanto lui, ma quello che scrive. Qualcuno addirittura sostiene che il fine ultimo è l’aumento della diffusione del giornale. Che fesserie. Chi conosce Ferrara sa bene che di aumentare le vendite non gliene frega niente.
Chi lo conosce bene sa anche che sono altri i momenti in cui Ferrara gode nel creare un caso, o un personaggio, in cui egli stesso non crede. Quando lancia qualche bizzarria politica per sparigliare le carte, ad esempio. Ma non adesso, non sulla vita, non sulle grandi domande dell’uomo. Bleffa? E perché mai. Non dice di essersi convertito, anzi si lamenta perché vorrebbe crederci, ma non ci crede. Il paradosso de Il Foglio è un paradosso solo fino a un certo punto. Ferrara continua ad appoggiarsi sulle due risorse cui ha sempre fatto affidamento: l’intelligenza e la ragione. Sono l’intelligenza e la ragione a fargli prendere atto che né la politica né l’economia, né la sociologia né la scienza possono rispondere ai bisogni più profondi dell’uomo. Come diceva Pascal: «L’ultimo passo della ragione è riconoscere che c’è.


La banalizzazione delle procedure ha reso la legge ancora peggiore
Avvenire, 9.1.2008
GIUSEPPE DALLA TORRE
F orse perché è vecchia di trent’anni: certo è che il dibattito di questi giorni sull’aborto dà l’impressione che, da parte di molti, non si conosca neppure la legge 194 del 1978. Che cosa dice la legge?
Sostanzialmente tre cose.
Primo: che lo Stato tutela la vita umana 'dal suo inizio' (art. 1), quindi senza distinzione di tempi nel processo che va dalla fecondazione dell’ovulo alla nascita. Perciò lo Stato, in tutte le sue articolazioni, è impegnato a fare di tutto per salvare vite umane innocenti e, contestualmente, a venire incontro alla donna onde rimuovere le cause che la inducono ad abortire.
Giova notare che la disposizione in questione, in quanto espressione di un principio costituzionale, ha una valenza generale che va oltre il tema dell’aborto.
Secondo: che conseguentemente l’aborto procurato continua ad essere un reato, punito con la pena della reclusione; pena che a seconda delle fattispecie può essere anche di diversi anni (artt. 17-21). Se ciò non fosse, la solenne affermazione del primo articolo della legge sarebbe un mero flatus vocis, inutile e farisaico. E però l’art. 54 della Costituzione, che impone a tutti i cittadini il dovere di osservare le leggi, comporta che il disposto legislativo per cui la vita umana è tutelata dall’inizio non possa essere applicato (o disapplicato) a proprio piacimento.
Del resto se così non fosse, si tratterebbe di normativa chiaramente incostituzionale, come ebbe a precisare per ben due volte la Corte costituzionale: nel 1975 e nel 1997. In particolare in quest’ultima sentenza si parla chiaramente di un 'diritto del concepito alla vita', riconducibile all’art. 2 della Costituzione e quindi rapportabile all’essenza dei valori supremi sui quali si fonda il nostro ordinamento costituzionale.
Terzo: che l’interruzione volontaria della gravidanza è ammessa solo nei casi tassativamente previsti dalla legge, solo seguendo le procedure previste dalla legge e solo nelle strutture sanitarie pubbliche o autorizzate (artt. 4-8). Questo significa sostanzialmente due cose: innanzitutto che l’ordinamento non prevede nessuna libera scelta in materia, né tantomeno configura un diritto all’aborto. Non a caso nella ricordata sentenza del 1997 la Corte costituzionale non ammise un referendum sulla legge 194 perché con esso si mirava alla 'pura e semplice soppressione di ogni regolamentazione legale' delle pratiche interruttive della gravidanza. La Corte cioè venne a censurare la legittimità costituzionale di un eventuale 'regime di totale libera disponibilità da parte della singola gestante'.
In secondo luogo significa in sostanza che, per scelte discrezionali - per quanto discutibili e discusse - a suo tempo fatte dal legislatore, l’ordinamento si limita a non perseguire l’interruzione della gravidanza laddove ricorrano quei casi ed essa avvenga secondo quelle definite procedure. O, come meglio detto dalla sentenza costituzionale del 1997, la Costituzione non consente di toccare 'quel nucleo di disposizioni che attengono alla protezione della vita del concepito quando non siano presenti esigenze di vita o di salute della madre'.
La legge poi prevede una serie di misure dirette a far superare le cause che potrebbero indurre la donna all’interruzione della gravidanza.
La realtà è che la banalizzazione delle procedure abortive da un lato e l’assoluta mancanza di una seria politica di prevenzione e di aiuto dall’altro, hanno fatto sì che il 'diritto vivente' in materia parrebbe assai lontano dal rigore del diritto scritto. E su questo dovrebbe vertere, innanzitutto, una seria verifica sull’applicazione della legge.


La Turco tra le polemiche avalla la pillola abortiva
Avvenire, 9.1.2008
Il ministro rivela: «L’Aifa non ha trovato ostacoli alla Ru486. Sarà usata in ospedale». Al Consiglio superiore di sanità chiede tre pareri: sulla possibilità di vita autonoma del feto, sulle cure ai neonati prematuri e sull’aborto chimico
DA ROMA
PIER LUIGI FORNARI
Il ministro della Salute, Livia Turco, chiede tre pare­ri al Consiglio superiore di Sanità: sulla definizione di vita autonoma del feto, sulle modalità di impie­go in Italia della pillola abortiva Ru486 e sull’assistenza ai nati molto in anticipo al termine naturale. Questioni a cui il Css, assicura il presidente Franco Cuccurullo, ri­sponderà in tempi rapidi.
La definizione di «sussistenza di vita autonoma del fe­to » tocca uno dei punti più critici della applicazione della legge 194, perché come ricorda lo stesso mini­stro nella missiva inviata al presidente del Css, in ba­se all’articolo 7 della norma in questo caso l’aborto può essere praticato solo se «la gravidanza o il parto comportano un grave pericolo per la vita della don­na », e inoltre «il medico che esegue l’intervento deve adottare ogni misura idonea a salvaguardare la vita del feto». Questione cruciale perché dal 1978, anno di entrata in vigore della 194, i progressi della scienza hanno profondamente modificato i termini della que­stione, di fatto lasciando aperta la porta a tragici abu­si. La Turco chiede dunque al Css un parere «sulla pos­sibilità di estendere a tutto il territorio nazionale spe­cifiche indicazioni sulla definizione di possibilità di vita autonoma del feto».
Il ministro sollecita anche un pronunciamento per quan­to riguarda i nati pre termine per definire ambiti tem­porali e «modalità di assistenza più idonei a garantire la tutela della salute e la dignità del neonato e della madre» in linea con l’aggiornamento scientifico.
La Turco ricorda inoltre che l’Agenzia italiana del far­maco (Aifa) nelle prossime settimane terminerà l’iter dell’autorizzazione all’immissione in commercio della Ru486 con la procedura «di mutuo riconoscimento» della Ue. Cita una lettera del direttore generale dell’Ai­fa, Nello Martini, secondo cui «la registrazione, la com­mercializzazione e l’impiego della Ru486 risultano com­patibili e coerenti con la legge 194» e «non hanno di per sè effetto induttivo o facilitante delle procedure aborti­ve ». Infatti la pillola sarà autorizzata per l’impiego e­sclusivamente in Ospedale, secondo le procedure e le modalità previste dalla 194. Il ministro comunque chie­de al Css un parere sulle modalità di impiego nel ri­spetto della legge. Nella missiva la Turco premette che «non si presenta alcuna necessità» di modificare la 194, «né di prevedere linee guida», perché, il suo successo sa­rebbe «indiscutibile».
Ma intanto il presidente onorario del Comitato nazio­nale per la Bioetica, Francesco D’Agostino, esprime «me­raviglia » per il fatto che il ministro «non abbia ritenuto di sentire anche il Cnb» sulla questione delle cure ai na­ti molto prematuri, perché in merito il Comitato «ha in fase di avanzata elaborazione un documento». Rocco Buttiglione manifesta apprezzamento al ministro, per­ché così «avrà conferma ufficiale del fatto che oggi la me­dicina perinatale è in grado di salvare feti che trenta an­ni fa, al tempo della approvazione della 194, non a­vrebbero avuto nessuna possibilità di vivere». «Si può ancora parlare di aborto in questi casi? – incalza il pre­sidente dell’Udc – Non si tratta di infanticidio?». Per E­lisabetta Gardini portavoce di Fi, poi, è «davvero preoc­cupante che nelle parole del ministro vi siano solo cer­tezze e nemmeno un dubbio a proposito della Ru486». Nonostante l’opposizione della Turco, il presidente del­la Lombardia, Roberto Formigoni, conferma che entro gennaio emanerà «linee di indirizzo operativo a tutela della donna e del bambino e nel rispetto della 194» e in­vita il ministro a «ritrovare la sua serenità», rivendican­do quella che giudica una sua «precisa responsabilità». Alle critiche del ministro che ha definito la decisione del governatore «un fai da te», replica Eugenia Roccel­la ricordando di aver più volte «inutilmente lanciato l’al­larme, dalle colonne di Avvenire, sulla tendenza ormai affermata degli ospedali e degli assessorati alla Sanità regionali al 'fai-da te', e sulla disomogeneità nell’ap­plicazione e interpretazione della legge 194». L’esempio più clamoroso, secondo la portavoce del Family Day è quello di alcune regioni (almeno 7) che da tempo uti­lizzano arbitrariamente la Ru486. «Se il ministro voles­se arginare la tendenza al 'fai da te' - ammonisce la Roccella – dovrebbe prima di tutto fermare l’assessore alla Sanità della Toscana, regione leader nell’uso fuori­legge della pillola abortiva».


la lettera «Dare in adozione anziché abortire»

Avvenire, 9.1.2008

Caro direttore, occorre avere il coraggio di guardare in modo differente all’aborto dove si afferma il diritto di chi è stato concepito: chi non è voluto, potrebbe essere donato, attraverso l’adozione. Solo così, attraverso un dono, l’abbandono può ristabilire un diritto che altrimenti sarebbe negato. Chi, con tanta passione e da anni, tenta di difendere il diritto alla vita dei bambini abbandonati a vivere una vita degna di questo nome in una vera famiglia, non può infatti rimanere insensibile di fronte al dramma di migliaia di esseri umani che vengono abbandonati tramite l’aborto. Chi infatti è più abbandonato di loro, nel momento in cui si sceglie di sopprimere una vita?
Ecco perché abbiamo salutato con gioia l’approvazione all’Onu della moratoria sulla pena di morte da parte di 104 Paesi. La vita è un dono troppo grande e prezioso e va difeso in ogni istante del suo «esistere» da ogni possibile attentato. Con identica gratitudine accogliamo oggi l’appello delle buone coscienze contro l’interruzione volontaria di gravidanza lanciata dal direttore del «Foglio» Giuliano Ferrara e dal quotidiano «Avvenire» sull’esatta applicazione della legge 194, soprattutto in materia di prevenzione. Da anni sosteniamo che l’aborto, come la pena di morte, anche se ammesso dallo Stato, non è mai un diritto. E qualora per alcuni lo fosse, interroghiamoci: qual è il diritto?
Quello di un essere umano a vivere nascendo o quello di un adulto ad abortirlo?
Inevitabilmente, e noi di «Amici dei Bambini» lo sappiamo benissimo, chi è più forte, chi ha più voce, sa ben difendere i propri – anche se presunti – diritti; chi è più debole o sembra non contare niente, soccombe. Ed è sintomatico notare come la «condanna sociale» sia normalmente più indulgente nei confronti di una donna che abortisce rispetto a una madre che abbandona il proprio figlio. Eppure l’abbandono è solo un attentato alla vita. L’aborto no: è la negazione della vita stessa. Ogni essere umano ha il diritto di vivere, di nascere e di essere accolto, se abbandonato. Chi mai potrà accogliere chi è stato abbandonato con l’aborto? Ci appelliamo quindi affinché venga attuata pienamente la legge 194, con l’obiettivo di prevenire gli aborti: è quanto anche Ai.Bi.
svolge, ad esempio, attraverso i propri progetti a favore di ragazze madri in difficoltà, in Italia e all’estero. E in questo ambito, molto potrebbero fare le associazioni familiari per accompagnare le donne in difficoltà fino al parto, perché possano poi decidere quale futuro donare al bambino, nonché per accogliere chi potrebbe essere destinato all’aborto.
Un abbandono può trasformarsi in un dono.
Marco Griffini
presidente AiBi - associazione Amici dei Bambini


PERCHÉ SIAMO ANCORA NELLA CHIESA
Avvenire, 9.1.2008
ELIO GUERRIERO
La conferenza che dà origine al titolo della nuova raccolta del Papa, «Perché siamo ancora nella Chiesa», che esce oggi in un libro edito da Rizzoli, risale al 1970, l’apice di un periodo travagliato per l’intera società. Vi è anzitutto la contestazione giovanile che dall’America giunge in Europa e sembra travolgere ogni assetto consolidato, a partire dalle istituzioni più antiche. Nella Chiesa l’entusiasmo conciliare ha già lasciato spazio alla critica verso il Papa e i vescovi.
Contestazione che raggiunge anche le università tedesche, in particolare Tubinga, dove insegna il professor Ratzinger.
In breve l’atmosfera diventa incandescente per cui il futuro pontefice accetta un invito dell’università di Ratisbona e raggiunge nuovamente la sua Baviera. Egli non abbandona però la Chiesa nel momento della difficoltà. Negli anni dell’università di Bonn aveva conosciuto lo storico Hubert Jedin che, scrivendo del Concilio di Trento, aveva sottolineato la necessità di una corretta visione teologica e di un certo distacco per comprendere l’opera del Concilio. Nel suo saggio, facendo proprie queste considerazioni, Ratzinger paragona l’opera del Concilio ad una osservazione attenta e scrupolosa della realtà della Chiesa. Ora, però, invita a guadagnare una certa distanza per meglio guardare all’insieme. Riprendendo un esempio caro ai Padri della Chiesa, esorta a guardare alla Chiesa come alla luna. Essa non irradia luce propria, ma la riceve dal sole, Cristo, senza il quale resterebbe sempre nel buio. «La luna narra il mistero di Cristo», diceva sant’Ambrogio, per questo, conclude Ratzinger, resto nella Chiesa che è la via per arrivare a Cristo e per restare in comunione con gli altri credenti. Il desiderio di riforma, inoltre, come aveva già insegnato il padre de Lubac, può nascere solo da amore filiale. I grandi riformatori della Chiesa - Agostino, Francesco d’Assisi, Las Casas, Vincenzo de’ Paoli e Giovanni XXIII - hanno tutti osato il rischio dell’amore che resta tale nonostante le debolezze e le miserie. Questa visione della Chiesa permetteva a Ratzinger di intervenire anche sul concetto di missione, all’epoca più che mai contestato. La crisi della missione ha origine dal fraintendimento secondo il quale la Chiesa annuncia se stessa, i suoi contenuti, le sue strutture. Al contrario Gesù annunciò l’arrivo del regno di Dio e la Chiesa è a sua volta chiamata a proclamare esclusivamente il Vangelo che le è stato affidato dal suo Signore.
Per questo, secondo il modello degli Atti degli Apostoli, la Chiesa è la comunione di quanti hanno ricevuto il Vangelo e sono in cammino per farlo conoscere a tutti gli uomini. In questo suo compito è guidata e sostenuta dallo Spirito di amore che elimina ogni pretesa di imposizione e di assolutismo. Gli uomini, di conseguenza, non devono temere il missionario che va per il mondo sostenuto solamente dalla bellezza e dalla capacità di attrazione del Vangelo. Nei giorni scorsi, in diversi articoli e dibattiti sull’enciclica «Spe salvi», alcuni commentatori anche cattolici hanno sostenuto che il Papa è rimasto estraneo al pensiero contemporaneo. La lettura del volume «Perché siamo ancora nella Chiesa» dimostra con evidenza non solo che egli si confrontò con i più autorevoli sostenitori della modernità, ma vide anche i limiti di questo pensiero e indicò delle possibili alternative.