venerdì 3 dicembre 2010

Nella rassegna stampa di oggi:
1)    IL PAPA: LA MEMORIA DELLA PRESENZA DI DIO È FONTE DI GIOIA - Nella Messa per Manuela Camagni, la Memor Domini della Famiglia Pontificia
2)    L'omelia di Benedetto XVI alla messa in suffragio di Manuela Camagni - Nella memoria di Dio (©L'Osservatore Romano - 3 dicembre 2010)
3)    02/12/2010 – IRAQ - Cristiano ucciso a Mosul: i vescovi protestano con il governo
4)    Radio Vatiocana - notizia del 02/12/2010 - Trent'anni fa il barbaro eccidio di quattro missionarie di Maryknoll nel Salvador
5)    CONDANNA A MORTE, CRISTIANI IRAQ, CRISTIANI MEDIORIENTE, CRISTIANI PERSEGUITATI - L’Unione Europea: «la difesa dei cristiani diventa da oggi una priorità». - 2 dicembre 2010 dal sito http://antiuaar.wordpress.com
6)    Foglio mercoledì 1 dicembre 2010 - Il tostissimo vescovo Dolan. Così negli Stati Uniti ha vinto il “conservatore” che non s’aspettavano di Paolo Rodari
7)    Internet, e i nostri sensi - Claudio Risé, da “Il Mattino di Napoli” del lunedì, 29 novembre 2010, www.ilmattino.it
8)    EDITORIALE - Come resistere al regime Mario Mauro - venerdì 3 dicembre 2010 – il sussidiario.net
9)    Avvenire.it, 3 dicembre 2010 - IL PREMIO NOBEL - «Cina, esci dall’odio» di Liu Xiaobo (Traduzione di Maria Rita Masci)
10)                      Avvenire.it, 2 dicembre 2010 - LA TRAGEDIA INFINITA - Ricatti e fughe, continua il dramma degli eritrei di Paolo Lambruschi
11)                      Avvenire.it, 1 dicembre 2010 - Roma guardi e agisca. Respinga l’ingiustizia - Fermatela di Marco Tarquinio

IL PAPA: LA MEMORIA DELLA PRESENZA DI DIO È FONTE DI GIOIA - Nella Messa per Manuela Camagni, la Memor Domini della Famiglia Pontificia

ROMA, giovedì, 2 dicembre 2010 (ZENIT.org).- “Manuela era una persona interiormente penetrata dalla gioia, proprio di quella gioia che proviene dalla memoria di Dio”. Lo ha detto questo giovedì Benedetto XVI nel celebrare nella Cappella Paolina in Vaticano una Messa in suffragio di Manuela Camagni, scomparsa tragicamente il 23 novembre scorso, a 56 anni, a causa di un incidente stradale.
Manuela era una delle quattro “Memores Domini” – donne consacrate nel mondo appartenenti al movimento Comunione e Liberazione – che si occupano dell'appartamento pontificio.
Nell’omelia, il Papa ha ricordato con profonda gratitudine la testimonianza di fede e carità della laica consacrata soffermandosi sul significato della “memoria di Dio”.
“Nella profondità del nostro essere – ha detto il Papa – è iscritta la memoria del Creatore”. Una memoria, ha osservato, che “non è solo memoria di un passato, perché l’origine è presente, è memoria della presenza del Signore”.
E' quindi, “anche memoria del futuro, perché è certezza che veniamo dalla bontà di Dio e siamo chiamati ad arrivare alla bontà di Dio”.
“Perciò – ha spiegato – in questa memoria è presente l’elemento della gioia, la nostra origine nella gioia che è Dio e la nostra chiamata ad arrivare alla grande gioia”.
Tuttavia, ha osservato il Santo Padre, oggi si assiste a una “ricerca disperata della gioia che si allontana sempre più dalla sua vera fonte, dalla vera gioia. Oblio di Dio, oblio della nostra vera memoria: Manuela non era di quelli che avevano dimenticato la memoria, ha vissuto proprio nella viva memoria del Creatore”.
“Nella gioia della Sua creazione, vedendo la trasparenza di Dio in tutto il Creato, anche negli avvenimenti quotidiani della nostra vita, ha compreso che da questa memoria viene la gioia”, anzi “chi sta nella memoria di Dio è vivo”.
Noi “sentiamo soprattutto il dolore della perdita, sentiamo l’assenza, il passato”, ha detto il Papa, ma la “liturgia sa che noi siamo nello stesso Corpo di Cristo”.
“In questo incrocio della Sua memoria e della nostra memoria siamo uniti – ha concluso –, siamo vivi e preghiamo il Signore che sempre più possiamo sentire questa comunione di memoria, che la nostra memoria di Dio in Cristo diventi sempre più viva e così possiamo sentire che la nostra vera vita è in Lui e qui siamo tutti insieme”.


L'omelia di Benedetto XVI alla messa in suffragio di Manuela Camagni - Nella memoria di Dio (©L'Osservatore Romano - 3 dicembre 2010)

Nella cappella Paolina, Benedetto XVI ha presieduto giovedì mattina, 2 dicembre, la messa in suffragio di Manuela Camagni. Hanno concelebrato l'arcivescovo Fernando Filoni, sostituto della segreteria di Stato, don Julián Carrón, presidente della Fraternità di Comunione e Liberazione, i monsignori Georg Gänswein, segretario particolare del Pontefice, Alfred Xuereb, della Segreteria particolare, Ettore Balestrero, sotto-segretario per i rapporti con gli Stati, Fortunatus Nwachukwu, capo del Protocollo, Alberto Ortega, della segreteria di Stato, e Alain de Raemy, cappellano della Guardia Svizzera Pontificia. Hanno partecipato alla celebrazione l'arcivescovo James Michael Harvey, prefetto della Casa pontificia, il vescovo Paolo De Nicolò, reggente della Prefettura, il medico personale del Papa, Patrizio Polisca, il comandante della Guardia Svizzera Pontificia, colonnello Daniel Rudolf Anrig, il direttore del Corpo della Gendarmeria vaticana, Domenico Giani, il direttore del nostro giornale. Con loro, le tre "Memores Domini" dell'appartamento pontificio, Loredana, Cristina e Carmela, suor Birgit Wansing, del movimento di Schönstatt, e suor Christine Felder, della Famiglia Spirituale L'Opera; il personale laico dell'appartamento e dell'anticamera. Erano inoltre presenti uomini e donne dell'associazione "Memores Domini" che vivono a Roma - tra loro anche Cristiana Maraviglia, del direttivo nazionale - e numerose religiose residenti in Vaticano. Il rito è stato diretto da monsignor Guido Marini, maestro delle celebrazioni liturgiche del Sommo Pontefice, coadiuvato da monsignor Enrico Viganò, cerimoniere pontificio. Hanno scandito i vari momenti della liturgia i canti del quartetto della cappella Sistina diretto da don Massimo Palombella.

Cari Fratelli e Sorelle,
negli ultimi giorni della sua vita, la nostra cara Manuela parlava del fatto che il 29 novembre sarebbe appartenuta da trent'anni alla comunità dei Memores Domini. E lo disse con grande gioia, preparandosi - così era l'impressione - a una festa interiore per questo cammino trentennale verso il Signore, nella comunione degli amici del Signore. La festa, però, era altra da quella prevista:  proprio il 29 novembre l'abbiamo portata al cimitero, abbiamo cantato che gli Angeli la accompagnassero in Paradiso, l'abbiamo guidata alla festa definitiva, alla grande festa di Dio, alle Nozze dell'Agnello. Trent'anni in cammino verso il Signore, entrando alla festa del Signore. Manuela era una "vergine saggia, prudente", portava l'olio nella sua lampada, l'olio della fede, una fede vissuta, una fede nutrita dalla preghiera, dal colloquio con il Signore, dalla meditazione della Parola di Dio, dalla comunione nell'amicizia con Cristo. E questa fede era speranza, saggezza, era certezza che la fede apre il vero futuro. E la fede era carità, era darsi per gli altri, vivere nel servizio del Signore per gli altri. Io, personalmente, devo ringraziare per questa sua disponibilità a mettere le sue forze al lavoro nella mia casa, con questo spirito di carità, di speranza che viene dalla fede.
È entrata nella festa del Signore come vergine prudente e saggia, perché era vissuta non nella superficialità di quanti dimenticano la grandezza della nostra vocazione, ma nella grande visione della vita eterna, e così era preparata all'arrivo del Signore.
Trent'anni Memores Domini. San Bonaventura dice che nella profondità del nostro essere è iscritta la memoria del Creatore. E proprio perché questa memoria è iscritta nel nostro essere, possiamo riconoscere il Creatore nella sua creazione, possiamo ricordarci, vedere le sue tracce in questo cosmo creato da Lui. Dice inoltre san Bonaventura che questa memoria del Creatore non è solo memoria di un passato, perché l'origine è presente, è memoria della presenza del Signore; è anche memoria del futuro, perché è certezza che veniamo dalla bontà di Dio e siamo chiamati a giungere alla bontà di Dio. Perciò in questa memoria è presente l'elemento della gioia, la nostra origine nella gioia che è Dio e la nostra chiamata ad arrivare alla grande gioia. E sappiamo che Manuela era una persona interiormente penetrata dalla gioia, proprio da quella gioia che deriva dalla memoria di Dio. Ma san Bonaventura aggiunge anche che la nostra memoria, come tutta la nostra esistenza, è ferita dal peccato:  così la memoria è oscurata, è coperta da altre memorie superficiali, e non possiamo più oltrepassare queste altre memorie superficiali, andare fino in fondo, fino alla vera memoria che sostiene il nostro essere. Perciò, a causa di questo oblio di Dio, di questa dimenticanza della memoria fondamentale, anche la gioia è coperta, oscurata. Sì, sappiamo che siamo creati per la gioia, ma non sappiamo più dove si trova la gioia, e la cerchiamo in diversi luoghi. Vediamo oggi questa ricerca disperata della gioia che si allontana sempre più dalla sua vera fonte, dalla vera gioia. Oblio di Dio, oblio della nostra vera memoria. Manuela non era di quelli che avevano dimenticato la memoria:  è vissuta proprio nella viva memoria del Creatore, nella gioia della sua creazione, vedendo la trasparenza di Dio in tutto il creato, anche negli avvenimenti quotidiani della nostra vita, e ha saputo che da questa memoria - presente e futuro - viene la gioia.
Memores Domini. I Memores Domini sanno che Cristo, nella vigilia della Sua passione, ha rinnovato, anzi ha elevato la nostra memoria. "Fate questo in memoria di me", ha detto, e così ci ha dato la memoria della sua presenza, la memoria del dono di sé, del dono del suo Corpo e del suo Sangue, e in questo dono del suo Corpo e Sangue, in questo dono del suo amore infinito, tocchiamo di nuovo con la nostra memoria la presenza di Dio più forte, il suo dono di sé. In quanto Memor Domini, Manuela ha vissuto proprio questa memoria viva, che il Signore con il suo Corpo si dona e rinnova il nostro sapere di Dio.
Nella controversia con i Sadducei circa la risurrezione, il Signore dice a costoro, che non credono in essa:  ma Dio si è chiamato "Dio di Abramo, di Isacco, di Giacobbe". I tre fanno parte del nome di Dio, sono iscritti nel nome di Dio, stanno nel nome di Dio, nella memoria di Dio, e così il Signore dice:  Dio non è un Dio dei morti, è un Dio dei vivi, e chi fa parte del nome di Dio, chi sta nella memoria di Dio, è vivo. Noi uomini, con la nostra memoria, possiamo purtroppo conservare solo un'ombra delle persone che abbiamo amato. Ma la memoria di Dio non conserva solo ombre, è origine di vita:  qui i morti vivono, nella sua vita e con la sua vita sono entrati nella memoria di Dio, che è vita. Questo ci dice oggi il Signore:  Tu sei iscritto nel nome di Dio, tu vivi in Dio con la vita vera, vivi dalla fonte vera della vita.
Così, in questo momento di tristezza, siamo consolati. E la liturgia rinnovata dopo il Concilio, osa insegnarci a cantare "Alleluia" anche nella Messa per i Defunti. È audace questo! Noi sentiamo soprattutto il dolore della perdita, sentiamo soprattutto l'assenza, il passato, ma la liturgia sa che noi siamo nello stesso Corpo di Cristo e viviamo a partire dalla memoria di Dio, che è memoria nostra. In questo intreccio della sua memoria e della nostra memoria siamo insieme, siamo viventi. Preghiamo il Signore che sempre più possiamo sentire questa comunione di memoria, che la nostra memoria di Dio in Cristo diventi sempre più viva, e così possiamo sentire che la nostra vera vita è in Lui e in Lui restiamo tutti uniti. In questo senso, cantiamo "Alleluia", sicuri che il Signore è la vita e il suo amore non finisce mai. Amen.
(©L'Osservatore Romano - 3 dicembre 2010)


02/12/2010 – IRAQ - Cristiano ucciso a Mosul: i vescovi protestano con il governo
Un giovane ingegnere è stato rapito dal suo negozio e ucciso in un luogo poco distante. Le delegazioni cristiane disertano per protesta una conferenza governativa sulla coesistenza e la tolleranza. Mons. Sako: “E’ nostro diritto democratico chiedere che le autorità difendano i cristiani”.


Mosul (AsiaNews) – Vescovi e i rappresentanti cristiani si sono ritirati da una Conferenza su “Coesistenza e Tolleranza sociale” organizzata a Erbil dal ministero irakeno dei Diritti Umani. Il gesto voleva essere una protesta contro l'ennesimo delitto compiuto ai danni dei cristiani. Il giorno prima, infatti, vi è stata un'altra vittima cristiana a Mosul. Si tratta di Fadi Walid Gabriel, 26 anni, siro ortodosso, rimasto vittima di un omicidio a sangue freddo compiuto da tre uomini.

L’uccisione del giovane ingegnere è avvenuta due giorni fa, il 30 novembre, e il funerale è stato celebrato ieri. Fadi Walid era nel suo negozio, nel quartiere Zuhoor di Mosul, dove era anche la sua residenza, quando tre uomini armati hanno fatto irruzione, e sotto la minaccia delle armi l’hanno obbligato a uscire. L’hanno condotto in un negozio nei pressi, vuoto, e l’hanno giustiziato a sangue freddo. Con la morte di Fadi Walid sale a otto il numero dei cristiani siri assassinati dopo il massacro della chiesa di Nostra Signora del perpetuo soccorso a Baghdad.

In segno di protesta contro quella che sembra un’ondata inarrestabile di violenze contro la minoranza cristiana, tutti i rappresentanti delle comunità cristiane si sono ritirate dalla conferenza su Coesistenza e Tolleranza sociale organizzata dal ministero per i Diritti umani irakeno. Fonti locali affermano che il vescovo Afak Assadorian, presidente del Consiglio delle chiese in Iraq ha dato il segnale del ritiro. Sia Assadorian che gli altri vescovi presenti hanno espresso pubblicamente il loro sdegno verso questo ennesimo attacco ai cristiani. La sessione è stata sospesa, e c’è stato un incontro di emergenza per convincere la delegazione cristiana a rientrare. Il che è accaduto dopo aver ottenuto l’assicurazione che le loro richieste verranno scritte nel “Manifesto” che sarà pubblicato alla fine della conferenza. Dopo la ripresa dei lavori, in un breve discorso, l'arcivescovo caldeo di Kirkuk, mons. Louis Sako ha detto: “E’ nostro diritto democratico chiedere al governo irakeno e al ministro della Difesa di imporre il loro controllo e proteggere i cristiani in Iraq; devono proteggere tutti, ma in questo momento particolarmente i cristiani irakeni”.


Radio Vatiocana - notizia del 02/12/2010 - Trent'anni fa il barbaro eccidio di quattro missionarie di Maryknoll nel Salvador

Trent’anni fa, il 2 dicembre 1980, quattro missionarie cattoliche statunitensi di Maryknoll venivano stuprate e uccise nel Salvador dagli squadroni della morte, al servizio del regime salvadoregno. Il barbaro eccidio avveniva a pochi mesi dall’assassinio dell’arcivescovo di San Salvador Oscar Arnulfo Romero, caduto sotto i colpi di proiettile sparati da un sicario mentre celebrava la Messa. Per un ricordo di queste donne che hanno dato la vita per i poveri in nome del Vangelo, ascoltiamo suor Patricia Murray, della comunità di Maryknoll, intervistata da Philippa Hitchen:

R. – The thing about them...
Si trattava di persone comuni che hanno fatto delle cose straordinarie e sono diventate così straordinarie. Tutte loro avevano un meraviglioso senso dell’umorismo. Maura aveva origini irlandesi, amava danzare e ogni volta che c’era una festa ballava una tipica danza irlandese. Ita era molto intelligente e analizzava tutto con particolare acutezza. Le persone dicevano che Dorothy era “un’alleluja dalla testa ai piedi”: era una persona molto gioiosa. Jean era giovane, entusiasta, impulsiva a volte, ma era sempre molto attiva e le sembrava di non fare mai abbastanza per gli altri: era davvero gentile.

D. – Ci dica qualcosa sul lavoro che stavano facendo in Salvador…

R. – Given the situation...
Data la situazione - si viveva davvero in uno stato di guerra civile - si poteva fare molto e le sorelle, che si trovavano a Chalatenango, lavoravano per i rifugiati: tentavano di trovare i mezzi per le persone che volevano scappare da quella situazione, perché era molto dura e c’erano molti scontri. C’è un detto africano che dice: “quando gli elefanti combattono è l’erba che viene calpestata”. E questo è quello che stava succedendo alle persone che vivevano in quella zona: erano loro a soffrire maggiormente. Jean e Dorothy, in particolare, facevano anche un gran lavoro di educazione e di catechismo, distribuivano il cibo.

D. – Erano passati inoltre solo pochi mesi dall’assassinio dell’arcivescovo Oscar Romero. Queste donne quanto erano consce del pericolo in cui vivevano?

R. – They knew they were in danger...
Sapevano di essere in pericolo, sapevano che la situazione era pericolosa. Avevano ricevuto minacce di morte sulla porta di casa e alcune persone che stavano con i missionari di Maryknoll in Salvador erano state uccise dagli squadroni della morte. Quindi, erano consapevoli, ma allo stesso tempo erano anche molto pure, non pensavano di poter essere uccise. La cosa peggiore che potevano pensare era quella di essere espulse.

D. – Quindi, cosa pensa abbia reso possibile questo assassinio?

R. – I don’t know, it was like...
Non lo so! E’ stato come se il governo e i militari si fossero drogati o qualcosa del genere! Uccidendo mons. Romero pochi mesi prima l’hanno fatta franca. Quindi, hanno continuato a farlo e non hanno mai pagato per questo. Le armi non hanno smesso di arrivare dagli Stati Uniti, anche se avevano ucciso l’arcivescovo Romero, ed è solo quando queste donne americane sono state uccise che le armi non sono più arrivate per circa due mesi. Poi, quando Reagan è diventato il nostro presidente, è cominciato di nuovo il rifornimento di armi per questi gruppi … così, non ci sono state conseguenze per loro.(ap)


CONDANNA A MORTE, CRISTIANI IRAQ, CRISTIANI MEDIORIENTE, CRISTIANI PERSEGUITATI - L’Unione Europea: «la difesa dei cristiani diventa da oggi una priorità». - 2 dicembre 2010 dal sito http://antiuaar.wordpress.com

Il filosofo ateo Bernard -Henry Lèvy aveva fatto un appello dalle colonne del Corriere della Sera il 17/11/10: «i cristiani formano oggi, su scala planetaria, la comunità più costantemente, violentemente e impunemente perseguitata [...] Esiste oggi un permesso di uccidere quando si tratta dei fedeli del “papa tedesco”? Un permesso di opprimere, umiliare, martirizzare? Ebbene no. Oggi bisogna difendere i cristiani». Sembra proprio che il Parlamento Europeo si sia deciso di dare ascolto all’ennesima presa di posizione. Così pochi giorni fa l’Europarlamento ha approvato, col voto di tutti i gruppi politici, una risoluzione che, condannando i massacri di cristiani iracheni, impegna i governi dell’Ue a premere sui dirigenti di Baghdad perché vengano intensificati «in modo drastico gli sforzi per proteggere i cristiani e le comunità più vulnerabili». Alla rappresentante per la politica estera dell’Ue, Catherine Ashton, viene chiesto di considerare una priorità la sicurezza dei cristiani e di comportarsi in conseguenza. Promotore dell’iniziativa, con il gruppo Ppe di cui fa parte, Mario Mauro che ha espresso «grande soddisfazione» per il voto. In una dichiarazione -ripresa da Avvenire- con il capofila degli eurodeputati Pd David Sassoli, Mario Mauro – che è presidente degli eurodeputati del Pdl, vicepresidente dell’Europarlamento e rappresentante dell’Osce per la lotta alle discriminazioni contro i cristiani – ha sottolineato che la risoluzione «esprime la forte unità dell’Assemblea in difesa dei diritti fondamentali, chiedendo al governo iracheno di agire subito per la difesa della comunità cristiana irachena e per la libertà di religione, ed è anche un chiaro impegno contro la pena di morte chiedendo la sospensione dell’esecuzione di Tarek Aziz». «Il dato politico importante – ha detto ancora Mauro – è che il Parlamento nella sua interezza, oltre a condannare con forza gli attacchi, chiede che venga ristabilito in Iraq lo stato di diritto sulla base del principio della libertà religiosa, che è alla base di tutte le altre libertà, alla base di ogni sistema democratico ed è contenuto nella Costituzione del Paese» (su Il Sussidiario lo stesso Mario Mauro descrive nei dettagli la questione).

Commenti di piena soddisfazione per il contenuto e la forma unitaria del voto sono venuti egualmente da sinistra. A nome dell’intero gruppo di parlamentari Pd, di cui è presidente, Patrizia Toia ha annunciato il voto favorevole dichiarando che «la condanna a morte di Tareq Aziz, insieme a due altri ex funzionari, le uccisioni dei cristiani iracheni a Mosul e gli attacchi ai luoghi di culto cristiano non lasciano indifferente il Parlamento europeo, da sempre sensibile in prima linea per garantire il rispetto dei diritti fondamentali».

Intanto il ministro degli Esteri Franco Frattini ha annunciato che, in occasione della sua visita a Baghdad del prossimo 5 dicembre, chiederà l’istituzione di una commissione governativa irachena che si occupi della libertà di culto dei cristiani. «Voglio parlare della libertà dei cristiani – ha aggiunto – e chiederò con forza che ci sia una commissione governativa irachena che si occupi della libertà dei cristiani di esercitare il loro culto ovunque».


Foglio mercoledì 1 dicembre 2010 - Il tostissimo vescovo Dolan. Così negli Stati Uniti ha vinto il “conservatore” che non s’aspettavano di Paolo Rodari

L’elezione “a sorpresa” di Timothy Dolan, arcivescovo di New York, a capo della Conferenza episcopale degli Stati Uniti conferma che “anche in America a vincere è la linea conservatrice della chiesa romano-cattolica”. Parole del New York Times del 16 novembre scorso. Era il giorno che i vescovi americani riuniti “in conclave” a Baltimore, nel Maryland, sceglievano Dolan quale loro nuova guida al posto del cardinale Francis George.

Diceva in quelle ore il reverendo Thomas J. Reese, senior fellow presso il Woodstock Theological Center alla Georgetown: “L’elezione di Dolan è un segnale che la Conferenza episcopale vuole agire da leader nella guerra fra le culture del paese”. E ancora: “Anche il fatto che i due finalisti per la vicepresidenza fossero due personalità tra le più conservatrici degli Stati Uniti dice qualcosa sulla direzione che l’episcopato ha deciso di prendere”.
Ha vinto davvero l’ala conservatrice? A guardare quanto accaduto a Baltimore sembrerebbe di sì. Dolan, sfatando la consuetudine che ogni tre anni (tanto dura il mandato) a essere eletto sia sempre il vicepresidente in carica (solo due furono in passato le eccezioni), ha inaspettatamente battuto dopo tre votazioni il vescovo di Tucson, Gerald Kicanas, che nel novembre del 2007 lo aveva a sua volta battuto nella corsa alla vicepresidenza. In 128 tra i vescovi americani hanno votato per Dolan, in 111 per Kicanas.
Alcuni voti Dolan li ha presi dal terzo candidato più votato: Charles Chaput, vescovo di Denver, tra i presuli americani ritenuti più conservatori, il quale fino all’ultimo ha lottato anche per la vicepresidenza con un altro conservatore, l’arcivescovo di Louisville Joseph Edward Kurtz. Dolan, dunque, forte anche del voto dei sostenitori di Chaput, ha vinto su Kicanas, secondo molti un vescovo su posizioni liberal tanto da godere del consenso dei movimenti gay del paese.
Visto così il quadro sembra chiaro. Dolan ha vinto su un liberal grazie all’appoggio delle forze conservatrici della chiesa. Forze che, è giusto ricordarlo, nei giorni precedenti l’elezione non erano state con le mani in mano. Tramite la rivista di proprietà dei Legionari, il National catholic register, avevano aperto il fuoco contro Kicanas reo, a loro dire, di aver favorito, quando era rettore a Chicago del seminario di Mundelein, il cammino verso il sacerdozio del pedofilo Daniel McCormack.
“C’è un antico detto negli Stati Uniti che dice che la gente vota l’uomo che ha il sole in faccia, insomma il candidato il cui volto splende di più degli altri, il più felice, il più contento”, spiega al Foglio Rocco Palmo, commentatore statunitense di cose religiose e curatore di uno dei blog più compulsati dalle gerarchie ecclesiastiche del paese, ovvero Whispers in the Loggia. Dice: “Ha vinto il candidato più convincente al di là delle sue idee ‘politiche’”. Ha detto Salvatore J. Cordileone, arcivescovo di Oakland: “Non molte persone, al pari di Dolan, possono combinare insieme profondità intellettuale con allegria ed estrosità”.
La tesi di Rocco Palmo, suffragata da Cordileone, è simile a quella di Michael Sean Winters, commentatore per il National catholic reporter e autore di “Left at the altar: how the democrats lost the catholics” e “How the catholics can save the democrats”. Per lui occorre uscire dalle logiche “candidato di destra-candidato di sinistra” e riconoscere che Dolan era più di Kicanas il presule che avrebbe potuto mantenere alto il profilo della conferenza episcopale dopo gli anni importanti in questo senso di George.
Dice: “Dolan, come il cardinale George, è una figura sui generis. Ha certamente ottenuto il sostegno dei vescovi conservatori, ma gode di una statura indipendente anche grazie agli anni trascorsi a Roma – è stato rettore del collegio Nordamericano, ndr –, grazie alla sua personalità vincente, al fatto di essere esperto dei media”.
Certo, anche secondo Winters la scelta di Dolan è stata dettata dal fatto che è stato ritenuto capace di dare continuità alla linea di George, un porporato conservatore seppure senza gli eccessi dei tradizionalisti più puri. E, infatti, questo è Dolan secondo molti: un cardinale prestigioso, energico e combattivo, di linea conservatrice ma senza eccessi. Come lo è il gruppo di cardinali e vescovi che anno dopo anno si sta imponendo sempre più come leader nel panorama ecclesiale della chiesa di Ratzinger.
Dice un monsignore della curia romana al Foglio: “Mi sembra si stia imponendo una nuova leadership nella chiesa. Ci sono nomi conosciuti e nomi nuovi, tutti accomunati dall’essere fedeli alla dottrina, conservatori, vicini al Pontefice. Sono i diocesani Angelo Scola, Carlo Caffarra, Peter Erdö, Willem Jacobus Eijk, Pietro Santoro, Malcolm Ranjith, André-Mutien Léonard, Antonio María Rouco Varela, José Horacio Gòmez, Javier Augusto Del Rio Alba, Chomali Garib. E i curiali Marc Ouellet, Mauro Piacenza, Raymond Leo Burke, Kurt Koch, Antonio Cañizares Llovera, Robert Sarah”.
John Allen, tra i più importanti vaticanisti americani, dice di non voler mettere in discussione la tesi di coloro che sostengono che con Dolan hanno vinto i conservatori. Tuttavia suggerisce tre chiavi di lettura della vicenda. Dice: “Scegliendo Dolan i vescovi hanno voluto indirizzarsi su un comunicatore naturale, un uomo capace di proiettare un’immagine positiva del cattolicesimo nella pubblica piazza”. In sostanza i vescovi hanno scelto il loro migliore “frontman”.
In secondo luogo: “Se è vero che Dolan è più conservatore di Kicanas, è anche vero che non è questo il suo tratto distintivo”. Egli non cerca “alcun compromesso sulle questioni legate all’identità cattolica, ma nello stesso tempo vuole esprimere questa identità nella chiave più positiva possibile”.
In terzo luogo, “Dolan diverrà senz’altro cardinale nel prossimo concistoro che potrebbe essere convocato prima che finisca il suo mandato nella Conferenza episcopale. Ciò significa che per due volte di seguito i vescovi americani hanno eletto un cardinale come presidente”. In passato non vennero eletti cardinali perché considerati dai vescovi “troppo uomini di Roma”. Eppure, in questo caso, come nel caso di George, “avere un cardinale a capo della Conferenza significa avere una personalità che può andare a parlare in curia romana da pari grado”. I vescovi vogliono uno che possa andare a Roma “a dare giudizi anche duri e questo Dolan lo sa fare”.
Di certo c’è che Dolan è un vescovo gradito in Vaticano. Gradito proprio per il suo attaccamento senza arroccamenti alla dottrina. Il suo, si potrebbe dire, è un conservatorismo moderno, dinamico, attuale. Il Vaticano non ha potuto giocare alcuna carta nella nomina. Seppure una lieve indicazione, mesi prima del mini conclave di Baltimore, ha voluto darla. Lo spiega il New York Times quando scrive che “inserendo Dolan nella commissione che indaga sugli abusi sessuali ai danni di minori in Irlanda il Vaticano ha voluto dire a tutti che di lui si fida”.
Di Dolan si fidano in molti, soprattutto coloro che ritengono che la politica dell’episcopato statunitense fortemente critica nei confronti del presidente Barack Obama sia corretta. Dolan, non a caso, appena eletto ha voluto puntualizzare che le battaglie di George sulla riforma sanitaria sono e saranno le sue. Ma Dolan le combatterà col suo tratto. Con Obama ci sono differenze di vedute, ma non ostilità. Quando Dolan passò da Milwaukee a New York ricevette una telefonata di congratulazioni da Obama. Dolan, che in un primo tempo aveva pensato a uno scherzo del fratello, invitò il presidente alla cerimonia d’ingresso.
Fermo sulla dottrina, Dolan sa aprire la porta di casa anche a coloro che sono lontani dalle sue vedute. Rigoroso anti abortista si dice che non rifiuti la comunione ai fedeli “pro choice”. In Italia, uno dei profili più positivi di Dolan lo scrisse Repubblica il giorno del suo arrivo a New York: “Dolan? Beve birra con i fedeli, fuma il sigaro con i seminaristi, parla volentieri con la stampa. Grazie a queste sue qualità molto umane negli ultimi sette anni è riuscito a risollevare le fortune della diocesi di Milwaukee, travolta dallo scandalo che aveva coinvolto il suo predecessore, l’arcivescovo Weakland, leader dei cattolici progressisti americani, che aveva messo a tacere (con 450 mila dollari) una vittima che lo ricattava a livello personale”. Insomma, è uno che piace e cattura attenzioni anche trasversalmente. Oggi ha soltanto 60 anni. Nel futuro della chiesa il suo nome sarà sempre più importante.


Internet, e i nostri sensi - Claudio Risé, da “Il Mattino di Napoli” del lunedì, 29 novembre 2010, www.ilmattino.it

La rete Internet, il luogo virtuale che sta diventando la nostra casa, dove ognuno di noi passa ogni giorno sempre più tempo, sta modificando anche i nostri sensi, che cambiano a loro volta il cervello e quindi i comportamenti. Non è, d’altronde, la prima volta che la vita modifica i sensi, e dunque l’uomo.
Per esempio i nostri progenitori usavano molto l’odorato, il naso. Infatti abbiamo un migliaio di recettori dedicati appositamente all’olfatto. Mentre la vista ne ha tuttora solo tre.
I recettori visivi sono però destinati probabilmente ad aumentare in modo vistoso, visto che oggi con la Rete e gli strumenti digitali l’uomo usa sempre di più gli occhi, la vista, e sempre meno il naso, indispensabile invece ai nostri progenitori per «fiutare», e non solo i pericoli, ma anche i luoghi, i percorsi, i piaceri.
L’uomo nell’epoca di Internet usa sempre di più la vista, perché passa sempre più tempo di fronte ad un video. È questo strumento, che rappresenta anche il luogo dove abita in modo sempre più esteso la sua mente, e attraverso il quale egli svolge sempre più attività, ad incanalare la maggior parte delle sue relazioni col mondo. E quindi a sostituire in modo sempre più marcato gli altri sensi, tranne appunto la vista e i polpastrelli delle dita, impegnati costantemente sulla tastiera.
Ad esempio la gran parte del lavoro, anche manuale, si svolge oggi attraverso il computer: dove prima si toccavano e spostavano attrezzi, materiali, oggetti di vario tipo, oggi si digita e si clicca su tasti o mouse. Questo modo di lavorare ha tolto di mezzo attività e sensazioni fisiche che sollecitavano l’attenzione del corpo (con tutti i suoi sensi) agli oggetti e agli elementi naturali, e davano luogo a sensazioni come la stanchezza, ma anche la pienezza di un’attività fisica e psichica equilibrata. Naturalmente possiamo sostituire alcuni di quei movimenti con altri fatti in palestra ma alcune attività sensoriali rimarranno fatalmente escluse. Non c’è assolutamente bisogno di una particolare attenzione corporea mentre si corre su un tapis roulant o si pedala su un attrezzo fisso. Potremo sviluppare singole masse muscolari, ma non l’insieme delle funzioni sensoriali. Intere attività di coordinamento tra i sensi vengono così progressivamente ridotte.
L’equilibrio ad esempio, esperienza dei sensi di grande valore psicologico nel mantenere la coesione della personalità, perde importanza quando stai per ore seduto davanti a un video. Lo stesso accade all’attività (correlata all’equilibrio) di grounding, o radicamento nella realtà, ciò che nel linguaggio comune si identifica col tenere i piedi per terra, rimanere aderenti alla situazione e alle cose.
Difficile tenere i piedi per terra quando navighi su una rete ampia come il mondo, anzi molto di più, come l’insieme dei mondi virtuali e immaginari.
Ogni attività, dal fare la spesa al cercare un partner, dal tradurre una parola in una lingua straniera al cercare un dato o un evento, tende ad essere trasferita sulla rete, che in effetti rende la cosa più rapida, spesso più precisa e magari più economica. Il prezzo più alto però è quello pagato dai nostri sensi.
L’olfatto (il «naso», anche in senso metaforico) tende a scomparire. Il tatto è ridotto alla digitazione, con enorme impoverimento dell’esperienza relazionale, cui buona parte di questo senso era dedicato.
Malgrado l’enfasi sulla libertà sessuale, i giovani toccano meno, e sentono meno. Il movimento, altro «senso» secondo molti importante, si contrae, sostituito dall’immobilità davanti al video.
Attenzione: senza i sensi l’uomo si ammala.


EDITORIALE - Come resistere al regime Mario Mauro - venerdì 3 dicembre 2010 – il sussidiario.net

Circa un mese dopo le elezioni del 26 settembre, ho preso parte a una missione del parlamento europeo e del PPE in Venezuela. L’obiettivo era quello di dare sostegno ai deputati dell’opposizione recentemente eletti presso il parlamento di Caracas nel difficilissimo lavoro che li attende.

Si è parlato in primis degli abusi del Governo, dell’alterazione della legge elettorale che aveva come fine massimizzare i voti del Partito Socialista Unito del Venezuela di modo che con meno voti potesse avere più rappresentanza nell’Assemblea nazionale.

La persecuzione politica dell’avversario perpetrata da Hugo Chávez è preoccupante e non sembra allentarsi, così come l’asfissia economica provocata dalle continue espropriazioni. Il presidente di “Consecomercio”, Carlos Fernàndez, ha testimoniato le enormi difficoltà per gli imprenditori, che non hanno alcuna tutela giuridica, ma al contrario vivono costantemente con il terrore che lo Stato gli porti via i frutti del lavoro di una vita.

La censura dei mezzi di comunicazione indipendenti è costante. Marcel Granier, direttore di Radio Caracas Television, ha raccontato con dovizia di particolari le innumerevoli occasioni in cui l’emittente è stata chiusa dal Governo tra il 2007 e il 2009.

Nonostante una congiuntura politica deprimente e la progressiva radicalizzazione degli atteggiamenti del Presidente Chávez, abbiamo incontrato persone che non sembrano affatto rassegnate. È un grande esempio quello che gli amici di “Primero Justicia” ci hanno regalato: la convinzione che se riusciranno a giocarsi al meglio le proprie carte le cose cambieranno, non li abbandona nemmeno per un secondo.

Anche l’incontro con il sindaco di Caracas Antonio Ledezma è stato ricco di significato. Ledezma ha chiarito alla delegazione le enormi difficoltà e gli ostacoli che incontra la sua amministrazione a causa delle pressioni del Governo centrale. Alla riunione non ha potuto partecipare Noel Alvarez, Presidente di “Fedecàmaras”, a causa di un’aggressione subita dalla moglie la notte precedente. Anche questo episodio ci dà l’idea della sensazione di perenne insicurezza in cui vivono i venezuelani.
Fortunatamente in Venezuela la Chiesa resiste, anzi resta una delle istituzioni più credibili nel paese. Gli scontri con il Governo, anche per la Chiesa sono all’ordine del giorno. Frequentemente Chávez insulta pesantemente i rappresentanti delle gerarchie ecclesiastiche. Nonostante ciò la Chiesa venezuelana resta unita nella sua attività pastorale, vitale soprattutto per le migliaia di persone che vivono in condizioni di povertà.

A detta di tutti i partecipanti agli incontri tra i membri del parlamento europeo e dell’opposizione venezuelana, la visita è stata più che opportuna perché ha permesso di iniziare un rapporto di costante collaborazione istituzionale tra le due realtà, che si distinguono da sempre per la difesa dei valori e dei principi democratici.

La delegazione del PPE ha consigliato agli amici di “Primero Justicia” di utilizzare una forma diversa di affrontare i problemi politici: non solo una critica del “chavismo”, ma effettuare proposte che tengano effettivamente conto delle necessità dei settori più sfavoriti e una proposta chiara per la libertà.

Se l’opposizione affronterà il momento storico con intelligenza, coesione e amor di patria, i cittadini sapranno senz’altro premiare i loro sforzi nelle elezioni presidenziali del 2012 e consolidare il buon risultato ottenuto nel mese di settembre.


Avvenire.it, 3 dicembre 2010 - IL PREMIO NOBEL - «Cina, esci dall’odio» di Liu Xiaobo (Traduzione di Maria Rita Masci)

Giugno 1989 è stato un momento di svolta nella mia vita. La mia carriera universitaria aveva seguito un corso normale; dopo la laurea sono rimasto all’Università di Pechino. In cattedra, ero un insegnate benvoluto ed ero un intellettuale pubblico. Negli anni Ottanta, ho pubblicato articoli e libri, sono stato invitato a conferenze e corsi anche in America e Europa. La mia regola di vita era di comportarmi con onestà, senso di responsabilità e dignità.

Poi, tornato in Cina per prendere parte al movimento dell’89, fui imprigionato per «propaganda controrivoluzionaria e incitamento al crimine». Non avrei più potuto pubblicare o fare conferenze in Cina. Per aver espresso opinioni politiche diverse e aver preso parte a un movimento pacifico e democratico, un insegnante perde la cattedra, uno scrittore perde il diritto di pubblicare e un intellettuale la possibilità di parlare in pubblico: questo è triste, non solo per me, ma per la Cina, dopo trent’anni di riforme. Le esperienze più drammatiche della mia vita dopo il 4 giugno hanno a che fare con i tribunali. Le due occasioni che ho avuto di esprimermi in pubblico mi sono state fornite dal tribunale di Pechino, una nel gennaio 1991 e una ora. Capi d’accusa identici: reati d’opinione.

Le anime del 4 giugno non riposano ancora in pace. Dopo essere uscito dalla prigione di Qincheng nel 1991, ho perso il diritto di parola nel mio Paese e mi sono potuto esprimere solo coi media stranieri. Sono stato agli arresti domiciliari (maggio 1995-gennaio 1996), mandato in un campo di rieducazione attraverso il lavoro (ottobre 1996-ottobre 1999) e oggi sono processato dai miei nemici. Ripeto quanto avevo detto venti anni fa nella "Dichiarazione per il secondo sciopero della fame del 2 giugno": non ho nemici, non provo odio. Nessuno dei poliziotti che mi hanno tenuto sotto sorveglianza, arrestato, interrogato, nessuno dei procuratori che mi hanno perseguito, nessuno dei giudici che mi hanno condannato è un mio nemico.

Anche se non posso accettare i vostri arresti e le vostre condanne, rispetto le vostre professioni e personalità. L’odio corrode la saggezza e la coscienza, la "mentalità del nemico" avvelena lo spirito di una nazione, incita a lotte mortali, distrugge la tolleranza e l’umanità di una società, blocca lo sviluppo verso democrazia e libertà. Spero di trascendere le mie vicende in una comprensione dello sviluppo dello stato e dei cambiamenti della società, contrastare l’ostilità del potere con le mie migliori intenzioni, sostituire l’odio con l’amore. La politica delle riforme ha portato allo sviluppo dello Stato e alla trasformazione della società.

Le riforme sono cominciate quando è stato abbandonato il principio della lotta di classe. Ci siamo dedicati allo sviluppo economico e all’armonia sociale. Il processo di abbandono della filosofia della lotta equivaleva a stemperare la mentalità del nemico, a eliminare la psicologia dell’odio e del "latte della lupa" nel quale i cinesi erano stati immersi.

Questo processo ha consentito la nascita di un ambiente più sereno per le riforme, per ristabilire l’amore fra le persone, per offrire un terreno più favorevole alla coesistenza pacifica di valori e interessi diversi. Così sono esplosi la creatività e il ritorno a un sentimento di umanità. L’orientamento dell’economia al mercato, il pluralismo culturale, l’evoluzione di uno Stato di diritto hanno tratto profitto dall’indebolimento della mentalità del nemico. Anche in campo politico, dove i progressi sono stati più lenti, il potere è diventato più tollerante delle diversità sociali, è calata la persecuzione dei dissidenti. L’indebolimento della mentalità del nemico ha portato il potere ad accettare l’universalità dei diritti dell’uomo.

Nel 1998, il governo si è impegnato a sottoscrivere le due convenzioni internazionali sui diritti umani dell’Onu. Nel 2004, l’Assemblea del popolo ha iscritto per la prima volta nella Costituzione che «lo Stato rispetta e garantisce i diritti umani». Il potere politico ha annunciato di voler mettere «l’uomo al centro» e di voler creare una «società armoniosa». Questi cambiamenti li ho sperimentati dopo il mio ultimo arresto. Anche se mi professo innocente, ho conosciuto due prigioni, quattro uffici di polizia, tre procuratori e due giudici. Nel mio caso, non mi hanno mai mancato di rispetto. Il 23 giugno 2009 sono stato trasferito dal mio domicilio sorvegliato all’Ufficio di pubblica sicurezza di Pechino, noto come Beikan. Nei sei mesi che ho passato lì ho visto i progressi intervenuti nella gestione delle carceri. Sono convinto che in Cina il progresso politico non si fermerà: nessuna forza può bloccare l’aspirazione dell’uomo alla libertà.

Un giorno la Cina diventerà uno Stato di diritto rispettoso dei diritti umani. Spero che un tale progresso potrà riflettersi sul mio caso. L’esperienza più fortunata di questi vent’anni è l’amore incondizionato di mia moglie Liu Xia. Oggi non può essere presente al processo, ma voglio dirti, amore mio, che sono sicuro che il tuo amore per me non cambierà. Nella mia vita non libera, il nostro amore ha conosciuto l’amarezza imposta dall’ambiente esterno, ma quando ci penso lo considero un amore senza confini.

Sono stato condannato a una prigione visibile, mentre tu aspetti in una prigione invisibile. Il tuo amore è la luce che supera i muri di recinzione e le sbarre alle finestre, che carezza la mia pelle, che mi consente di mantenere la mia calma interiore, la mia magnanimità e la mia lucentezza, rendendo significativo ogni minuto che trascorro in prigione. Ma il mio amore per te è pieno di colpe e rimpianti, tanto che rende pesanti i miei passi. Sono come una pietra in una landa desolata, ma il mio amore è solido.

Anche se venissi ridotto in polvere, ti abbraccerei con le mie ceneri. Spero che un giorno il mio Paese sarà una terra dove ci si potrà esprimere liberamente; dove valori, fedi, opinioni diverse potranno convivere. Spero in un Paese dove le opinioni politiche diverse da quelle di chi detiene il potere saranno rispettate e protette; dove tutti i cittadini potranno esprimere le loro opinioni politiche senza paura e le voci dissenzienti non saranno perseguitate.

Spero di essere l’ultima vittima dell’immarcescibile inquisizione e che dopo di me nessun altro venga incarcerato per quello che ha detto. La libertà di espressione è la base dei diritti umani, la radice dell’umanità, la madre della verità. Impedire la libertà di parola significa calpestare i diritti umani, schiacciare la verità. Non mi sento colpevole di aver utilizzato il diritto alla libertà di parola sancito dalla Costituzione. Io sono innocente, e anche se vengo condannato per questo, non me ne cruccio.


Avvenire.it, 2 dicembre 2010 - LA TRAGEDIA INFINITA - Ricatti e fughe, continua il dramma degli eritrei di Paolo Lambruschi

Non è una spietata banda di predoni allo sbando, ma una vera e propria organizzazione di trafficanti di schiavi. Sono i rapitori che tengono in ostaggio i profughi eritrei nelle sabbie del Sinai e che minacciano di ucciderli tutti, nell’indifferenza dei governi e nel silenzio di molti media, se non verrà pagato un riscatto di 8mila dollari. Ne hanno già ammazzati 6 in 48 ore, tra lunedì e martedì.

Ieri il quadro si è arricchito con nuove testimonianze dei prigionieri. I carcerieri consentono loro chiamate con i cellulari a parenti e conoscenti per reperire il riscatto. E i racconti al telefonino, unico legame con il mondo, dimostrano che la rete dei trafficanti è ben radicata nel Nordafrica e in alcune città europee. Le modalità di pagamento prevedono infatti il pagamento attraverso agenzie di money transfer a persone residenti al Cairo oppure la consegna a emissari dell’organizzazione di sensali di uomini in alcune capitali europee, dove vive la nutrita diaspora dalla repubblica del Corno d’Africa. Chi ha potuto, ha pagato così, ma cifre più piccole, solo 500 - 1000 dollari, insufficienti per comprare la libertà. Dunque c’è un piano preordinato dietro al sequestro più di un mese fa del gruppo di 80 eritrei che aveva pagato i passatori per andare in Israele e da lì tentare la rotta terrestre che dalla Turchia arriva in Europa.

«I 74 superstiti – racconta don Mosè Zerai, il sacerdote eritreo della diocesi dell’Asmara che vive Roma e che ha contati quotidiani con gli ostaggi – sono ormai in condizioni disperate. Mangiano una pagnotta ogni due giorni e bevono acqua salata che provoca forti disturbi, non si lavano e sono malmenati».
Dopo il tragico tentativo di fuga di 12 persone, costato tre vittime, i criminali hanno spostato i prigionieri incatenati in capanne di fango e legno più piccole. Questo ha consentito di scoprire la presenza di almeno tre donne  in stato di gravidanza.

«Secondo il mio interlocutore ce ne sarebbero altre – conferma don Zerai - ma non sono in grado di dire quante». Intanto ieri è iniziata la mobilitazione delle organizzazioni umanitarie per rompere il muro del silenzio e chiedere al nostro governo di intervenire sul governo del Cairo per salvare gli ostaggi.
«Oggi – commenta padre Giovanni La Manna, presidente del Centro Astalli – assistiamo a una delle pagine più nere della nostra civiltà: la morte di esseri umani in cerca di libertà. Reagiamo a tutto ciò: poniamo fine alla distruzione del diritto d’asilo e ritorniamo a dare protezione ai perseguitati della terra. Non possiamo restare indifferenti – prosegue il gesuita –nell’apprendere le tragiche notizie che giungono dall’Egitto. Don Zerai sta denunciando un massacro di cui l’Europa e l’Italia sono corresponsabili. Esseri umani in pieno diritto di ottenere protezione internazionale hanno perso la vita nell’indifferenza assoluta delle istituzioni». 

Anche la Comunità Papa Giovanni XXIII si è unita agli appelli. «Sei  rifugiati sono stati uccisi perché non hanno ceduto al ricatto – ricorda l’associazione – non hanno pagato il prezzo della loro libertà. Facciamo appello al governo italiano, al governo egiziano e alle autorità europee ed internazionali a tutela dei diritti umani affinché intervengano con urgenza perché vengano liberate e salvate queste vite».


Avvenire.it, 1 dicembre 2010 - Roma guardi e agisca. Respinga l’ingiustizia - Fermatela di Marco Tarquinio

Li stanno uccidendo a tre a tre, con l’inesorabile ferocia di chi non considera uomo un uomo d’Eritrea. Accade di là dal mare, in un deserto d’Egitto. E tocca a eritrei che vengono dalla Libia, e questo non sfida solo la nostra umanità, ma anche quel che resta della nostra memoria storica d’italiani. L’Italia, però, non guarda e non agisce. Non guarda la nostra tv, che pure sa essere spasmodicamente curiosa e attenta di morte. Non guarda, o guarda poco, il mondo dei giornali. Non guardano i grandi della politica europea, anche quando – riuniti proprio a Tripoli – alzando appena un po’ lo sguardo potrebbero sussultare e dire e agire. Non guarda la Roma politica – a parte due voci solitarie di senatrici – e soprattutto non guarda la politica che ha le leve di governo, che più potrebbe, e deve, spendere una parola e un gesto (persino quello degli 8mila dollari di riscatto, viene da dire a noi che odiamo ogni ricatto da predoni) per le decine di «respinti» che in Libia non hanno avuto vita e nel deserto egiziano, ora, sono incatenati e messi a morte. Ma anche per altri 170 eritrei, senza patria e senza asilo. Che il nostro governo apra gli occhi. Veda e s’impegni per fermare la mattanza, respinga l’ingiustizia.