mercoledì 15 dicembre 2010

Nella rassegna stampa di oggi:
1)    Nuovo caso di intolleranza dopo ‘La Sapienza’: il presidente della Conferenza Episcopale Spagnola cacciato dall’Università di Madrid. 14-12-2010 - di Omar Ebrahime da http://www.vanthuanobservatory.org
2)    Le radici del cristianesimo nel pensiero del Papa - Un magistrale magistero di Benedetto Ippolito © Copyright Formiche anno VII - numero 54 - dicembre 2010
3)    Ma adesso le vere priorità - di Andrea Tornielli 14-12-2010 da http://www.labussolaquotidiana.it
4)    La vera gioia? Guardare la vita col volto di Cristo. Ritrovare la dimensione trascendente dell'esistenza. La paura? Un sentimento normale, la ha avuta anche Cristo di Bruno Volpe da http://www.pontifex.roma.it
5)    I malati hanno diritto a pregare in ospedale. Negare la cappella è simbolo di una mentalità che rinnega la fede. Tutelate anche la salute dell'anima di Bruno Volpe da http://www.pontifex.roma.it
6)    Obama e la verità Lorenzo Albacete - mercoledì 15 dicembre 2010 – il sussidiario.net
7)    Avvenire.it, 15 dicembre 2010 – HANDICAP - Calabria, assistenza a rischio: «Noi vogliamo vivere» di Antonio Maria Mira
8)    CRISTIANESIMO E LIBERTÀ DI COSCIENZA - Il «male sottile» della nostra Europa di CARLO CARDIA – Avvenire, 15 dicembre 2010
9)    REALISMO E SPERANZA - Questione di fiducia Ma per tutti noi di DAVIDE RONDONI – Avvenire, 15 dicembre 2010

Nuovo caso di intolleranza dopo ‘La Sapienza’: il presidente della Conferenza Episcopale Spagnola cacciato dall’Università di Madrid. 14-12-2010 - di Omar Ebrahime da http://www.vanthuanobservatory.org

C’era da temerlo e puntualmente l’effetto-domino si è verificato. Ad appena due anni dal ‘caso La Sapienza’, quando a Papa Benedetto XVI - invitato a tenere una Lectio magistralis all’università La Sapienza di Roma per l’inaugurazione dell’anno accademico - fu impedito di parlare per la protesta rumorosa di una minoranza di studenti e professori, la scena si è ripetuta pressoché identica in Spagna, a Madrid. I fatti: l’Università Autonoma di Madrid (UAM), uno dei principali atenei statali della metropoli spagnola, fondato in un anno significativo, il 1968, aveva da tempo invitato l’Arcivescovo della città, nonché attuale Presidente della Conferenza Episcopale, il Cardinale Antonio Marìa Rouco Varela a tenere una lectio dal titolo eloquente: “Il Dio sconosciuto e gli spagnoli del XXI secolo”. La lezione si inseriva in una serie di eventi culturali in preparazione della Giornata Mondiale della Gioventù 2011 e nel rinnovato dialogo tra filosofia e religione nello spazio pubblico. Il tema riprendeva l’auspicio di creare un ‘cortile per i gentili’ - cioè degli spazi di confronto e discussione pubblica appositamente per i non credenti e i ‘lontani’ in cui la Chiesa potesse esprimere un nuovo slancio missionario mettendosi in ascolto e misurandosi con gli interrogativi e le ragioni della cultura del nostro tempo - espresso proprio da Benedetto XVI mesi fa. A ben vedere, era la stessa cosa che aveva fatto a suo tempo San Paolo nell’aeropago di Atene e di cui raccontano le sue lettere ma, contrariamente a quanto avvenne duemila anni fa, stavolta l’ambasciatore di Gesù dei nostri tempi non ha potuto parlare. Come hanno rilevato degli opinionisti spagnoli “la differenza è nel fatto che mentre San Paolo ha potuto parlare duemila anni fa del ‘Dio sconosciuto’ in tutta libertà, ora tutto un sistema democratico si è arreso di fronte alla minaccia di un’azione violenta, rifiutando di garantire la libertà e l’ordine nel campus universitario”.
Similmente a quanto era accaduto a Roma, la mobilitazione è partita da un gruppo di studenti determinati, alcuni legati a gruppi politici di tendenza estremista e anarchica ben marcata, sul web, tramite blog e siti internet, e si è estesa pian piano nei luoghi dell’ateneo, aule e cortili. Esponendo striscioni offensivi e gridando slogan contro la Chiesa e la Conferenza Episcopale i ragazzi, decisi a impedire con ogni mezzo lo svolgimento della visita, hanno creato un clima aggressivo e intimidatorio che ha messo in imbarazzo persino il Governo di Zapatero, il quale tuttavia - come pure era accaduto in Italia - non ha fatto altro che chiamare poche ore prima della lectio il Cardinale Rouco Varela informandolo che “la sicurezza non sarebbe stata garantita” e dichiarando di non essere in grado di fornire assicurazioni sull’ordine pubblico. A questo punto il Cardinale ha declinato l’invito per motivi di sicurezza e la visita all’ateneo della sua città, la città di cui è Vescovo, è stata cancellata. La successione degli eventi e la loro concatenazione è impressionante: tolti i nomi dei luoghi e dei protagonisti, davvero la scena che si è svolta è la stessa di Roma. Anche questa volta, dopo che la minoranza agguerrita degli studenti si è riuscita ad imporre, quasi tutti i mezzi di comunicazione e i politici hanno espresso rammarico per l’accaduto, compresi quelli che erano stati chiaramente conniventi fino al giorno prima. Ma l’episodio, oltre a evidenziare una pericolosa crisi d’autorità delle istituzioni governative e un preoccupante deficit dei livelli minimi di democrazia, segna un nuovo campanello d’allarme nel rapporto tra Chiesa e spazio pubblico in Europa. Davvero ora chiunque potrà sentirsi autorizzato a impedire la libertà di espressione dei credenti nello spazio pubblico. Se non sono liberi neanche il Papa o il capo dei vescovi spagnoli nelle loro rispettive città, figuriamoci gli altri. Che tutto questo avvenga nello spazio del dialogo e del sapere per eccellenza, come dovrebbe essere l’università pubblica, in una nazione orgogliosamente democratica, è certamente grave. Ma ancora più grave è il fatto che queste rivendicazioni liberticide vengano portate avanti superficialmente nel nome della democrazia e della cultura dei diritti (?) e riescano persino ad affermarsi, in barba ad ogni legittima istituzione di governo, senza suscitare il minimo scandalo da parte di nessuno, perché significa che tutti i soggetti coinvolti (le autorità, gli studenti, i professori) non percepiscono più che cosa voglia dire e da dove origini l’etimo democrazia. Il cardinale Ratzinger, in un’analisi della crisi della società liberale del nostro tempo, riprendendo una riflessione del filosofo e giurista tedesco Ernst-Wolfgang Bőckenfőrde, disse che l’esito del relativismo formalmente democratico postmoderno, se giustificato ideologicamente e giuridicamente da parte del potere civile, sarebbe stato un irrazionalismo violento che avrebbe eroso gli ultimi spazi della ragione pubblica. Dandogli forse ragione senza saperlo, da Madrid gli studenti ora annunciano che vogliono chiudere anche la piccola cappella presente nell’ateneo perché l’università è “laic(ist)a” (leggi cioè ateista, in questo uso forzatamente ideologico e strumentale del termine, ormai privato anch'esso di ogni residuo significato) e al suo interno non possono essere ammessi spazi del genere. Una situazione stupefacente a solo pochi mesi dalla visita apostolica di Benedetto XVI e un'ulteriore, drammatica, dimostrazione che anche alcuni tra i Paesi di più antica tradizione e cultura cristiana, una volta 'figli primogeniti' della Chiesa, costituiscono ormai a tutti gli effetti delle terre di missione.


Le radici del cristianesimo nel pensiero del Papa - Un magistrale magistero di Benedetto Ippolito © Copyright Formiche anno VII - numero 54 - dicembre 2010

Nei giorni immediatamente seguenti l’elezione di Benedetto XVI al soglio di Pietro, molti osservatori hanno profetizzato che certamente egli avrebbe dato un’impronta marcatamente ecclesiologica al suo pontificato.
A fare presagire questa predilezione vi erano importanti pubblicazioni che Joseph Ratzinger aveva dedicato in precedenza al tema della Chiesa, ampiamente conosciute dagli studiosi.
Tra tutte spicca il magnifico volume del 1967 titolato Nuovo popolo di Dio, una raccolta di saggi che contiene, per l’appunto, un quadro riassuntivo dell’evoluzione delle idee teologiche del professor Ratzinger sulla Chiesa, maturate nel periodo che ruota attorno ai lavori del Concilio Vaticano II, ossia nei primi anni ‘60. In verità, lo sforzo permanente del magistero di Benedetto XVI è stato poi quello di riportare il cristianesimo alle sue radici autentiche, accendendo la consapevolezza dei fedeli sull’importanza di accompagnare la fede personale alla comprensione ultima della Rivelazione.
D’altronde, nel pensiero di Ratzinger è costante la persuasione che non possa esistere teologia senza Chiesa, e che, per di più, non possa esistere la Chiesa senza quel primato della dimensione sacramentale che assicura il mantenimento dello spirito nativo del cristianesimo. Perciò, può essere utile riflettere su alcuni aspetti fondamentali della profonda visione ecclesiologica di Benedetto XVI, anche solo concentrando l’attenzione su alcuni scritti particolarmente stimolanti. Spesso in saggi e conferenze di occasione Ratzinger ha proposto efficacemente tesi sistematiche e decisive, maturate a contatto con la grande tradizione scolastica, proponendo sintesi teologiche magistrali.
Un esempio di rilievo è il discorso tenuto in occasione del conferimento del titolo di dottore in Teologia all’Università di Breslavia, ripreso in seguito come scritto d’abbrivio nel volume del 2002 La comunione nella Chiesa.
Il titolo emblematico è “Fede e teologia”.
L’argomento principale costituisce per noi uno strategico punto di partenza, provando la stretta connessione che esiste tra la teologia cristiana e l’esistenza materiale della Chiesa. Il discorso del papa assicura una definizione plastica della nozione di “credenza”.
La fede come atto personale implica un accesso diretto dell’uomo ad una verità creduta, la quale è afferrata e interiorizzata apertamente solo con il “credere”. Ciò sembra produrre all’istante un lacerante paradosso. Una verità creduta, essendo incerta, come può fare da guida all’intera vita di una persona? La risposta esige la capacità di saper distinguere nettamente la corretta definizione di credenza, propria solo della fede, da altri tipi di assenso fondati unicamente sulla mera opinione provvisoria.
La tradizione scolastica può venire in aiuto. San Tommaso, nel De veritate, affermava che la fede sta a metà strada tra il dubbio e la certezza scientifica.
Della prima ha l’elemento di fiducia e di attesa, della seconda la fermezza del contenuto creduto, derivato dall’autorevole valore della verità. Ciò significa asserire, seguendo sant’Agostino, che l’intelligenza umana, mediante la fede, accede ad una verità che è, al contempo, trascendente e razionale, irraggiungibile e disponibile. E questo è il primitivo ed originario legame che esiste tra la fede e la teologia, o, per dirla con le parole di san Bonaventura, tra il credibile e l’intelligibile. La Rivelazione, insomma, compresa e accolta si apre alla libera intelligenza di ciascuno.
L’esperienza teologica della verità è, perciò, inseparabile dalla Chiesa. La verifica giace sulla persuasione essenziale che ad unire teologia e Chiesa è il tipo di verità che l’annuncio del Regno di Dio sottende.
In un libro intitolato La Chiesa del 1991 Benedetto XVI spiega, con precise argomentazioni teologiche, che tutto il Nuovo Testamento conferma l’origine e la natura provvidenziale dell’istituzione. “Gesù è venuto per riunire quelli che erano dispersi”, partendo dalla concezione giudaica, secondo la quale il Regno di Dio consiste nel radunare e purificare il popolo di Dio. «Perciò – prosegue Ratzinger – la sua opera sta nel convocare il popolo di Dio, per cui tutti divengono una cosa sola».
È chiaro così perché non possa esserci un’esperienza personale della fede senza l’appartenenza comunitaria alla Chiesa, nella quale, per l’appunto, il popolo di Dio si riunisce per conseguire la salvezza. Ciò spiega l’uso che san Paolo fa delle allegorie stoiche e platoniche che ritraggono la cristianità come un sistema simile ad uno Stato o un organismo simile ad un essere vivente.
Sono metafore volte a mostrare che Gesù ha fondato “un nuovo popolo di Dio” che ha come fine la Chiesa come comunità perfetta, visibile ed invisibile, costituita di differenti elementi intimamente collegati ed adeguati. Di qui deriva la funzione costitutiva che hanno i sacramenti nel fissare la referenza unica e universale che compendia l’unione sponsale tra Dio e il genere umano. «Il mistero eucaristico – chiarisce il papa – è il nucleo del concetto di Chiesa e della sua definizione mediante la formula Corpo di Cristo». D’altronde, non si può trascurare, in questo caso, l’influenza avuta nella maturazione dell’articolata concezione ecclesiologica di papa Ratzinger dalla grande meditazione sull’interiorità spirituale di Romano Guardini. Il risultato, in realtà, è un’interpretazione geniale della vicenda narrata negli Atti degli Apostoli.
Alla Pentecoste Dio consacra l’autorità apostolica con la discesa dello Spirito Santo, innalzando il carisma universale e cattolico del sacerdozio. Un assunto che è di capitale importanza per cogliere la specificità della Chiesa romana rispetto ad altre forme comunitarie di aggregazione cristiana. Il papa ritiene che “sulla base di Luca è da escludere la concezione secondo la quale sarebbe sorta in Gerusalemme una Chiesa particolare, a partire dalla quale si sarebbero formate via via altre Chiese particolari: Luca vuole affermare semmai che nel momento della sua nascita la Chiesa era già cattolica, era già universale”.
Ma, allora, qual è la caratteristica risolutiva che dà realmente alla comunità apostolica il segno specifico di Chiesa universale? La risposta è custodita nel primato di Pietro, posto da Gesù stesso a tutela dell’unità indissolubile e permanente del popolo di Dio come comunità eletta. Il rilievo della superiorità petrina trova conferma concreta in molti scritti del Nuovo Testamento, citati, non a caso, da Ratzinger in molte sue opere. L’analisi più interessante sull’argomento è senza dubbio il capitolo VI del già citato volume La comunione nella Chiesa, dove il papa offre un resoconto eccezionale del lavoro teologico da lui svolto come cardinale alla Congregazione per la dottrina della fede. Il saggio, intitolato “L’ecclesiologia della costituzione Lumen gentium”, assicura che la specificità propria della tradizione cattolica è l’incontro tra fede e ragione che eleva l’uomo al soprannaturale per mezzo dell’inserimento positivo di ogni battezzato nel piano eterno di salvezza affidato da Dio alla Chiesa. Per Benedetto XVI è Gesù stesso, e solo Lui, che istituisce la Chiesa nel tempo, conferendole un’indole istituzionale consacrata dallo Spirito Santo. Ciò ha un valore immenso, perché pone l’autorità del papa sopra le comunità particolari come un soggetto sacro e pubblico “che è esattamente il contrario del relativismo ecclesiologico”. Alla fine, la dinamica della fede personale non può compiersi mai autenticamente senza l’esistenza di un legame personale e comunitario con l’istituzione divina della Chiesa, nella quale “sussiste”, come recita la Lumen gentium, l’unico corpo mistico di Cristo impersonato dal papa. Una conclusione che ribadisce il nocciolo teoretico dell’enciclica Mystici corporis di Pio XII, secondo cui nella presenza visibile della Chiesa romana risiede l’essenza di quella universalità che è pretesa affinché la salvezza sia veramente a disposizione della fede e della libertà storica di tutta l’umanità.

BENEDETTO IPPOLITO Docente di Storia della filosofia medievale presso l’Università di Roma Tre ed editorialista de Il Riformista


Ma adesso le vere priorità - di Andrea Tornielli 14-12-2010 da http://www.labussolaquotidiana.it

Il governo Berlusconi ha così ottenuto la fiducia dal Parlamento e potrà dunque continuare il percorso intrapreso dopo le elezioni politiche del 2008. La Camera ha respinto la sfiducia con soli 3 voti di vantaggio (314 contro 311), dopo aver incassato anche i più prevedibili "sì" al Senato (162 voti a favore contro 135). Comunque sia, è evidente che a partire da domani, l’esecutivo per poter governare dovrà consolidare la sua risicata maggioranza aprendo un confronto con le forze moderate rimaste fino ad oggi all’opposizione.

Quello che ci interessa, e che interessa – crediamo – anche al Paese, è la fine dei personalismi, degli scontri all’ultimo sangue, dell’escalation delle polemiche, giunte a un tale livello da far passare certi talk show della Tv più trash come documentari da educande. Quello che interessa è che l’attività del governo possa riprendere rispondendo ai bisogni concreti e reali delle persone. E sono tanti.

C’è necessità di un fisco che sia finalmente attento al ruolo insostituibile della famiglia. C’è bisogno di risorse per non far sì che riforme pur necessarie del sistema universitario e scolastico finiscano per penalizzare un settore già disastrato, trasformandoci in un Paese che invece di investire sui giovani, sull’educazione, sulla formazione e sulla ricerca, penalizza proprio la sua principale risorsa. Ma c'è soprattutto bisogno di promuovere un'effettiva parità scolastica, per dare alle famiglie la reale possibilità di scegliere la scuola per i loro figli, come ha ben spiegato il vescovo di Trieste Giampaolo Crepaldi nell’intervista che La Bussola ha pubblicato ieri. C’è necessità di una nuova legge elettorale, che permetta ai cittadini di tornare a scegliere i propri rappresentanti, e non soltanto di approvare quelli nominati dai partiti, talvolta con criteri che definire alquanto dubbi è un eufemismo. C’è necessità, soprattutto, di politiche sociali più incisive per permettere alle famiglie meno abbienti e a chi ha perso il lavoro a causa della crisi, di rimettersi in carreggiata.

C’è bisogno, insomma, di un governo che governi e di una maggioranza che lo sostenga. Un governo che ridefinisca le sue priorità, senza cedere a quelle istanze, prima rappresentate da esponenti dell’area di centrosinistra, ora anche direttamente da Futuro e Libertà di Gianfranco Fini, che vedono come necessario passaggio per la modernizzazione del Paese l’introduzione di forme camuffate di eutanasia o il riconoscimento giuridico di unioni diverse da quella di un uomo e una donna fondate sul matrimonio. Un esecutivo, insomma, che affronti l'agenda delle questioni etiche e bioetiche sulla base di una concezione che rispetti la dignità inviolabile di ogni essere umano.

Anche per questo sarebbe interessante un maggiore e diretto coinvolgimento dell’Udc di Pierferdinando Casini nel governo, come nelle ultime settimane sia la Segreteria di Stato vaticana che i vertici della Conferenza episcopale hanno auspicato. Ma le vie della politica non sono infinite e i prossimi giorni saranno decisivi per capire che cosa accadrà.

Da parte nostra, ci sembra importante, al di là delle formule politiche («in dubiis libertas»), rilanciare l’unità dei cattolici in politica («in necessariis unitas) – a qualunque schieramento appartengano – attorno a quei principi «non negoziabili», efficacemente richiamati dal vescovo Crepaldi nella già citata intervista di ieri.



La vera gioia? Guardare la vita col volto di Cristo. Ritrovare la dimensione trascendente dell'esistenza. La paura? Un sentimento normale, la ha avuta anche Cristo di Bruno Volpe da http://www.pontifex.roma.it

Pontifex ha deciso di analizzare ed approfondire il concetto di gioia, al centro della liturgia della Parola nella scorsa domenica della del Gaudete e dunque dominata in lungo e in largo da questo sostantivo. Ne parliamo in chiave diversa con uno psicanalista, e cattolico, il professor Alessandro Meluzzi. Professor Meluzzi, che cosa é la gioia?  "dunque la gioia é saper vedere la vita e guardare ad essa col volto di Cristo, con la sua serenità, con la sua volontà di arrivare al trascendente. La vera e reale gioia consiste nel saper apprezzare concretamente i doni e le bellezze quotidiane, con animo buono e senza cattiveria". La gioia é una dimensione concreta e solo spirituale?  "alt. Una cosa é la categoria gioia dal punto di vista elevato, diciamo trascendente, altra cosa é invece, quella che comunemente si chiama euforia, allegria, quella di chi si beve due bicchieri di vino di troppo e da di testa". Che cosa cambia?  "voglio dire che anche l'euforico da alcol o sostanze psicotrope é gioioso, ma non vive in una dimensione realmente serena, spesso anzi cade in depressione una volta smaltita la dose. Ma la gioia che non inganna é quella di una vita inserita nel progetto di Dio, nella sua armonia. Ecco la vera gioia".

I cristiani, come tutti gli esseri viventi, patiscono il dolore: "certo che lo patiscono. Il dolore, la fatica e la prova, non sono assenti dalla nostra vita, Dio non ci ha mai risparmiato la sofferenza, lo stesso Figlio di Dio ha patito. Ma il cristiano é aiutato nella prova é assistito da maggior serenità, da speranza, proprio in virtù della sua solidità. In sostanza, il credere ed avere speranza nella vita eterna é di per sé stesso motivo di gioia e pace e dunque aiuta".

Alcune volte, specie quando ci troviamo in situazioni di dubbio, di tribolazione, ci pare che tutto sia buio, che Dio ci abbia abbandonati: "questo é normale ed é capitato anche ad alcuni mistici del passato, la notte oscura, la valle chiusa. Ma queste crisi momentanee sono passate e poi messe nel dimenticatoio grazie alla fede, a quel lume di speranza che si vede in fondo al tunnel. Ecco, proprio quel lume, quella fiammella, é la nostra gioia, la sperimentazione che la vita é anche gioia".

Spesso abbiamo paura: "é normale, fa parte della nostra condizione ed é anzi innaturale e disumano colui il quale dimostri di non avere paura o la dissimuli. Lo stesso Cristo, prima della sua crocifissione, ebbe paura e non la ha repressa mica".


I malati hanno diritto a pregare in ospedale. Negare la cappella è simbolo di una mentalità che rinnega la fede. Tutelate anche la salute dell'anima di Bruno Volpe da http://www.pontifex.roma.it

A Bari é stato recentemente inaugurato l'Ospedale Oncologico che reca il nome di Giovanni Paolo II Ma, atroce beffa, questo nosocomio non ha una cappella dove poter pregare, come di solito avviene in altri ospedali. Del resto, in una Regione amministrata da chi nega la cattolicità e permette aborti liberi ed elogia unioni gay, questo é il minimo da attendersi. Ne parliamo con Monsignor Giovanni Battista Pichierri, arcivescovo di Trani. Eccellenza, che cosa pensa di questa mancanza?  "la trovo da un lato singolare visto che l'ospedale é dedicato al Papa defunto. Ma per altro normale se consideriamo l'andazzo e l'orientamento di chi amministra". In che senso?  "ripeto: certe decisioni sono in sintonia e legate alla visione anche ideologica e politica dei nostri amministratori. Valutino i cittadini se é bene o male. Ma credo che un luogo di preghiera e di speranza, specie in una realtà tanto delicata, sia buona e giusta. I malati, se cattolici, hanno ogni diritto a pregare e dare lode a Dio. Si curi il corpo, ma anche l'anima, negare il conforto di una messa mi sembra esagerato e poco bello". Insomma, rientra in una visione materialista: "lo ribadisco: rispecchia in tutto la mentalità di chi amministra. Lo si capisce ed é naturale".

Eccellenza, la chiesa domenica scorsa, ha celebrato la domenica del gaudente, ovvero della gioia. Che cosa é la gioia cristiana, categoria varie volte segnalata e ripetuta durante la celebrazione?  "la gioia cristiana é cosa ben diversa dalla gioia terrena che a volte ha aspetti anche diversi. Certo, un animo sereno e allegro fa piacere ed é spesso sinonimo di tranquillità, ma la gioia della quale parla la liturgia é cosa molto diversa da quella del mondo".

In che senso?  "ossia: la gioia é il sentimento di chi vive in simbiosi con Cristo, cerca Cristo e vuole vivere nella sua gloria. La gioia, in sostanza, é la comunanza e la comunione con Cristo che ci da e assicura questa gioia. In sostanza, la gioia di cui ci dice la Scrittura é l'incontro con Cristo nella sua gloria infinita".

Insomma una gioia a dimensione trascendente: "certo. La gioia é il sapersi accolti nella gloria del Signore, da lui siamo nati, a Lui andiamo. Ma dobbiamo farlo rispettando la Sua Parola, seguendo le direttive che ci da. Un animo disposto ad ascoltare e mettere in pratica, si sforza di entrare nella gloria di Cristo e dunque nella gioia".

Dunque la gioia é l'essere orientati verso Cristo: "ecco, esattamente questo. La gioia consiste nel dirigersi verso Cristo, guardare a lui ed operare in lui. Solo questo ci da la vera gioia".


Obama e la verità Lorenzo Albacete - mercoledì 15 dicembre 2010 – il sussidiario.net

La battaglia politica conseguente alle elezioni di metà legislatura è iniziata. Un giudice federale ha dichiarato incostituzionale una parte cruciale della legge di Obama sulla riforma sanitaria; importanti esponenti militari si sono pubblicamente opposti al piano del presidente di revocare la politica del Pentagono nei confronti di gay e lesbiche nell’attuale tempo di guerra; il presidente ha accettato alcune delle richieste chiave dei Repubblicani per poter far passare la legge fiscale, facendo arrabbiare la sua base politica democratica… e così via, con qualcosa in più in arrivo.

L’aspetto più interessante del conflitto è ciò che sta rivelando sul carattere (umiltà, voglia di cambiamento, capacità di capire cosa è un compromesso accettabile, ecc.) del presidente Obama. Stranamente, per molti Obama rimane un enigma perfino dopo la sua lunga campagna per la presidenza e due anni di governo.

La sua foto mentre, venerdì scorso, cedeva il podio all’ex presidente Bill Clinton nella stanza delle conferenze stampa alla Casa Bianca, ha dato il via a un’accesa discussione sulla possibilità di paragonare Obama a Clinton, che subì una sconfitta simile nelle elezioni a metà del suo primo mandato, nel 1994, riuscendo tuttavia a sopravvivere e a prosperare politicamente.

Anche il presidente Reagan dovette affrontare una situazione simile, ma lui non è più qui per consigliare Obama su come giocare le sue carte politiche. Clinton, invece, è decisamente qui ed è sembrato trovarsi molto bene sul podio, sollevando la domanda: “Cosa sarebbe successo se Clinton fosse oggi il presidente?” (vedi il dibattito su The New York Times del 12 dicembre). Ovviamente, il 2010 non è il 1994 e, comunque, il punto è su cosa e perché Obama è disposto ad accettare di quanto suggerito da Clinton.

Poi vi sono le reazioni alle continue rivelazioni di Wikileaks, che alimentano le discussioni su una politica di sicurezza nazionale che tenga conto delle attuali minacce globali e sia capace di rispondere ai nuovi sviluppi tecnologici, rispettando al contempo i requisiti imposti dalla Costituzione. Così, le discussioni vanno avanti, ma la massa dei cittadini sembra concentrarsi sul prossimo periodo di vacanza.
Quanto a me, devo confessare che la discussione che mi ha maggiormente interessato sembra non aver nulla a che fare con la politica, ma invece ne avrà, ne avrà… Il dibattito che alla fine potrebbe rivestire la maggiore importanza per il futuro riguarda la natura delle conclusioni scientifiche. Un buon riassunto del problema è apparso su The New Yorker del 13 dicembre, in un bell’articolo di Jonah Lehrer dal titolo: “La verità svanisce; c’è qualcosa di sbagliato nel metodo scientifico?”.

Non c’è qui lo spazio per descrivere adeguatamente i fatti che hanno portato scienziati a sollevare la questione di cosa sia vero da un punto di vista scientifico. Può bastare ricordare che ha a che fare con la “ripetibilità”, vale a dire, il requisito di ottenere gli stessi risultati da esperimenti identici effettuati da scienziati diversi, in momenti e luoghi diversi. L’articolo di Lehrer descrive molti casi in cui questo non è avvenuto e la conclusione dell’articolo sottolinea le domande sul metodo scientifico sorte da questi esperimenti.

“Simili anomalie dimostrano la precarietà dell’empirismo”. Non perché dimostrano la capacità di errore degli scienziati, né perché rivelano che molte delle nostre entusiasmanti teorie sono mode passeggere che verranno presto rigettate. Piuttosto, il problema è che “ci ricordano quanto sia difficile provare qualcosa. Ci piace far finta che i nostri esperimenti definiscano per noi la verità, ma spesso non è così. Perché il fatto che un’idea sia vera non significa che possa essere provata. E che un’idea possa essere provata, non significa che essa sia vera. Una volta fatti gli esperimenti, noi dobbiamo ancora scegliere a cosa credere”.

Scegliere in base a cosa? Probabilmente alle ideologie politiche e al potere economico. E così siamo ritornati a Obama, Clinton, Democratici, Repubblicani, a ai loro dibattiti.


Avvenire.it, 15 dicembre 2010 – HANDICAP - Calabria, assistenza a rischio: «Noi vogliamo vivere» di Antonio Maria Mira

«Noi signor presidente vogliamo vivere». Così scrivono Rita, Franco e Mimmo, tre disabili gravi, affetti da malattie progressive, in una lettera al presidente della regione Calabria, Giuseppe Scopelliti. Un vero e proprio appello per poter continuare a vivere con dignità. Il 31 dicembre, scade, infatti, il progetto "Abitare in autonomia" che, scrivono, «da 8 anni ci consente di condurre con un minimo di dignità la nostra “disagiata” esistenza».

I fratelli Franco e Mimmo Rocca di Tiriolo (di Mimmo riportiamo a parte una lunga testimonianza) sono ammalati di amiotrofia spinale, Rita Barbuto (abita a Lamezia Terme) di distrofia muscolare. Ormai adulti, senza famiglia o con genitori anziani, hanno bisogno di un assistenza continua. Il progetto "Abitare in autonomia", è gestito dalla Comunità Progetto Sud di Lamezia Terme, e finanziato dalla Regione.

Lo hanno fatto tutte le giunte, sia di centrodestra che di centrosinistra. Fino ad ora. Ed è qui il pericolo. Perché l’attuale amministrazione regionale non ha ancora preso impegni concreti per far proseguire questa preziosa esperienza di assistenza a domicilio: la decisione, con ogni probabilità, arriverà proprio oggi.

«A tutti noi – scrivono Rita, Franco e Mimmo – questo progetto ha dato la possibilità di espletare gli atti quotidiani della vita, di avere relazioni sociali e personali, di lavorare, di impegnarci a capo fitto nel mondo della disabilità, soprattutto nella tutela dei diritti e nella lotta alla discriminazione, di fare volontariato addirittura nella Protezione civile (vedi altro articolo, ndr), di frequentare centri di fisioterapia e servizi sanitari necessari per la nostra condizione di disabilità, se non addirittura per mantenerci in vita. Perché noi, signor Presidente, vogliamo vivere!».

Il servizio è stato già ridotto a 36 ore settimanali, mentre, ricordano i tre disabili, «avremmo bisogno di assistenza continua, perché siamo affetti da malattie neuromuscolari gravi». Ma è sempre meglio di niente, soprattutto grazie allo spirito di collaborazione degli otto operatori, molti dei quali ex tossicodipendenti, e anche questo è un elemento qualificante. Efficienza ma anche economicità. Infatti, sottolineano Rita, Franco e Mimmo, «se noi fossimo relegati in una qualsivoglia struttura assistenziale, i costi del ricovero sarebbero di gran lunga superiori (più del doppio) di quelli sostenuto dalla Regione per questo progetto». Cifra chiarissime: 153 euro al giorno, contro appena 70.
Ora che si avvicina la data di scadenza, denunciano i tre disabili, «attraversiamo un periodo di profonda preoccupazione perché temiamo per la continuazione del servizio e per gli effetti inumani che provocherebbe la sua interruzione o soppressione». Per questo si rivolgono al presidente regionale, perché «ci tolga dall’angoscia di dover sempre lottare per mantenere in piedi questo progetto». La proposta è, dunque, quella di «stabilizzare questa iniziativa che dopo otto anni non può più essere considerata sperimentale».

I tre ricordano ancora, «anche se è umiliante», che «viviamo con le provvidenze economiche erogate agli invalidi civili e con quelle manteniamo la casa e sopperiamo a tutte le spese del vivere quotidiano, per cui non possiamo nemmeno pensare di pagarci la nostra assistenza».

E allora la conclusione è davvero drammatica: «La sola interruzione di questo servizio per noi significherebbe la fine. Chi ci alzerà dal letto la mattina? Chi ci porterà al bagno? Chi ci laverà? E per mangiare, come faremo? E se non potremo più fare fisioterapia, rischieremo il peggioramento irreversibile delle condizioni fisiche residuali, se non addirittura il mantenimento della capacità respiratoria».

Di qui l’ultimo, commovente appello. «Vorremmo che il 1 gennaio 2011 ci fosse ancora qualcuno che venisse ad alzarci, vestirci, aiutarci nei nostri bisogni...», per evitare esiti drammatici. Tocca alla Regione una concreta e rapida risposta. Rita, Franco e Mimmo la attendono.



CRISTIANESIMO E LIBERTÀ DI COSCIENZA - Il «male sottile» della nostra Europa di CARLO CARDIA – Avvenire, 15 dicembre 2010

L’Europa della libertà di tutte le religioni, l’Europa che ha sconfitto ogni totalitarismo, soffre oggi di un male sottile, che affiora dal recente documento dell’Osce sulla libertà religiosa, ed è stato denunciato nei giorni scorsi dall’ex arcivescovo di Canterbury. Un male che provoca una lenta, sotterranea emarginazione del cristianesimo, alcune evidenti discriminazioni, a volte il soffocamento della libertà d’espressione delle proprie convinzioni etiche e religiose. La lettura del documento dell’Osce è impressionante, soprattutto perché alcune delle conquiste più preziose legate ai diritti umani vengono svilite, accantonate, a favore di un relativismo che intende alterare nel profondo la concezione dei diritti umani. Un caso tra i più clamorosi è certamente quello dell’obiezione di coscienza, vero punto d’onore della cultura liberale, sostenuta da tutte le Chiese cristiane da decenni, che viene messa sotto accusa, esposta al rischio, non più riconosciuta in campi delicatissimi.

Il tentativo più grave è quello che vuole colpire l’obiezione di coscienza all’aborto, di cui si chiede il ridimensionamento, mentre si avanza la tesi che l’aborto sia un vero e proprio 'diritto' della persona. Già in Spagna l’obiezione è riconosciuta soltanto per i medici direttamente coinvolti negli interventi interruttivi, l’obiettore è avvertito come un ostacolo pericoloso alla 'libertà' d’aborto, e si cerca di limitarne diritti e facoltà.

Una spinta nuova al condizionamento delle coscienze viene dagli insegnamenti sull’educazione sessuale o sulla nuova legislazione permissiva, con i quali sono diffusi nella scuola informazioni sulle unioni omosessuali, sulla fecondazione artificiale, su come accedere alla contraccezione e all’aborto. Si tratta di insegnamenti già obbligatori in Gran Bretagna, in Spagna, e altri Paesi nord-europei, per i quali viene negato alle famiglie e agli studenti il diritto di non parteciparvi. In Spagna un magistrato è stato condannato a 18 anni di sospensione per aver esercitato l’obiezione di coscienza all’adozione di una bambina da parte di un coppia dello stesso sesso; in Gran Bretagna si nega il diritto degli istituti religiosi che hanno cura dell’infanzia di affidare i minori in coerenza con le proprie convinzioni religiose. Ogni giorno che passa, diviene rischioso esprimere le proprie opinioni sull’istituto del matrimonio, sull’affidamento dei minori, su quanto è necessario per la loro crescita armonica, per l’equilibrio dei loro affetti. Un regresso pesante in un continente che ha visto nascere la difesa della libertà di espressione come un bene prezioso della propria identità.

Occorre riflettere bene su cosa si cela dietro questi e altri fatti, sulla crescente erosione del concetto di libertà che si sta realizzando. Prima si chiede, giustamente, la non discriminazione per chi ha orientamenti etici diversi, poi questi orientamenti divengono oggetto di veri e propri diritti, poi ancora se qualcuno esprime opinioni religiose ed etiche difformi su questi temi, viene accusato di discriminare chi sceglie altri stili di vita. Infine, non si contano i Paesi nei quali le figure più sacre della tradizione cristiana vengono offese, dileggiate, profanate, con le peggiori oscenità. Di recente l’ex arcivescovo di Canterbury, Lord Carey of Clifton, ha richiamato l’attenzione sulla tendenza, non più sotterranea, che mira a nascondere i simboli cristiani, perfino a Natale, che induce a considerare il cristianesimo come cosa vecchia, inutile, addirittura dannosa. L’esponente anglicano ha denunciato che vivere come cristiani nelle nostre terre sta diventando difficile, e dichiararsi cristiani, portare qualche segno della propria religione, celebrare il Natale per ciò che è nelle narrazioni evangeliche, è considerato negativo, obsoleto, da evitare. Questo male sottile dell’Europa ha due volti. Esso utilizza solo in qualche caso il metodo della violenza fisica, ma si avvale di ogni strumento disponibile per isolare, denigrare, emarginare, simboli e contenuti della nostra fede, per soffocare opinioni e giudizi coerenti con la parola di Dio in materie come quelle della famiglia, della procreazione, della tutela della vita. Per chi vuole rimanere fedele al Vangelo il rispetto dei principi della legge naturale è qualcosa di non rinunciabile, ed è essenziale per diffondere il messaggio dell’amore e della solidarietà che è il nucleo più intimo dell’identità cristiana.


REALISMO E SPERANZA - Questione di fiducia Ma per tutti noi di DAVIDE RONDONI – Avvenire, 15 dicembre 2010

Il governo ha ottenuto la fiducia. E adesso riposti i pallottollieri e rientrati i bizzarri drammaturghi del Granteatro della politica a noi cosa resta? La netta impressione che la fiducia la dobbiamo di nuovo ottenere tutti, e tutti i giorni. C’è in tutto il Paese una carenza di fiducia: dei giovani negli adulti, dei lavoratori nei loro capi, dei capi nei sottoposti.

Poca fiducia in giro. Come se si fosse corrosa.

Come se una ruggine invisibile e micidiale avesse ridotto di molto le scorte di quel metallo prezioso, l’unico di cui noi italiani eravamo ricchi. Perché la fiducia è la caratteristica di un popolo che spera. E spera insieme. Per questo trova mille motivi di fiducia. Ma se un popolo non spera, non desidera più tanto, allora la fiducia si erode. Si fa merce rara.

È un problema che riguarda tutti noi, non il governo o l’opposizione. Non i politici soltanto, non i leader, ma tutti. Riguarda proprio noi, gli italiani, quelli che in tutto il mondo, anche marciandoci un po’, sono sempre stati capaci di far leva sulla fiducia. Più che sull’inganno. Sulla simpatia, sul sentire insieme, più che sulla diffidenza e sul calcolo.

Non che sia aliena al nostro spirito anche una certa dose di cinismo. Ma tutti abbiamo almeno toccato una volta l’apertura di credito di cui godiamo per il modo positivo con cui la nostra cultura e la nostra tradizione ci hanno – ci avevano – insegnato a guardare la vita e a gustarla. Se si erode la fiducia, si perde l’unica ricchezza naturale e culturale che segna la nostra civiltà.

Lo spettacolo di ieri in Parlamento, ma anche (non siamo ipocriti) i tanti piccoli e grandi o segreti spettacoli che vediamo nei luoghi di lavoro, nelle scuole, negli uffici, nei condomini, ci avvisa che il bene della fiducia è ormai un bene risicato. Se si esaurisce, possiamo inventarci tutti i governi che vogliamo, l’Italia sarà perduta.

Ma da dove nasce la fiducia ? Come si alimenta questo bene prezioso più del petrolio e del gas ? Si alimenta – può sembrar strano – con il realismo. Sì, i due termini di solito vengono presentati opposti. Come se ci fosse il realismo da un lato e la fiducia dall’altro. Come se un realista fosse uno che non si fida, che non ha fiducia. È come se il fiducioso fosse in fondo un uomo poco realista. Invece è proprio l’aggancio, l’incastro, la intersezione tra realismo e fiducia che può ridare slancio alla vita delle persone e alla vita della nazione. Il realismo ci obbliga a vedere come la nostra natura sia composta di desideri e di limiti.

Abbiamo grandi aspirazioni, cerchiamo cose alte e buone, e però siamo segnati da limiti irrimediabili. Debolezze di tenacia, di volontà.

E limiti a volte gravi, scandalosi. Non si è realisti se non si tiene conto del desiderio che ci spinge ogni giorno a cercare cose migliori per noi, per i nostri figli, così come non si è realisti se non si considerano i limiti che abbiamo, cercando insieme di correggerli. La fiducia, dunque, nasce se consideriamo con realismo la nostra natura: desiderio e limiti.

Una mancanza di realismo conduce ad aspettative illusorie e alla caduta della fiducia.

Invece, non ci si può fidare di qualcuno perché si presume che non abbia limiti. E ci si fida di qualcuno pensando che costui o costei riprenda sempre lena dal proprio desiderio di cose grandi.

Un proverbio cinico e baro dice che non fidarsi è meglio. Come se la fiducia non la meritasse nessuno. Mentre invece se ci guarderemo di nuovo valorizzando il nostro desiderio, e senza censurare limiti, si potrà riassaporare il gusto di fidarsi, e di crescere insieme.