domenica 12 dicembre 2010

Nella rassegna stampa di oggi:
1)    Benedetto XVI all’Angelus: l’Avvento ci invita ad aspettare il Signore con fiducia. Il Papa benedice i Bambinelli per i presepi da http://www.radiovaticana.org
2)    Il Papa in visita alla parrocchia romana di San Massimiliano Kolbe: solo Dio cambia il mondo, da dittature e falsi profeti solo distruzione da http://www.radiovaticana.org Il Papa in visita alla parrocchia romana di San Massimiliano Kolbe: solo Dio cambia il mondo, da dittature e falsi profeti solo distruzione da http://www.radiovaticana.org
3)    500 CONSACRATI AL CUORE IMMACOLATO DI MARIA di Mirco Agerde (ZENIT.org)
4)    Massoneria e Risorgimento un rapporto da riscrivere - di Massimo Introvigne 11-12-2010 - Quella che segue è la sintesi dell'intervento svolto in occasione di un convegno sul tema svoltosi a Torno il 9 dicembre e organizzato da "Noi per il Piemonte" da http://www.labussolaquotidiana.it/ita/articoli-massoneria-e-risorgimentoun-rapporto-da-riscrivere-105.htm
5)    La frase più significativa della Valls è questa: «Il Papa a volte irrita politici e giornalisti facendo ciò che pensa sia meglio per la Chiesa» (Tornielli)- Il Vaticano critica Wikileaks ma per bacchettare Obama  -  di Redazione © Copyright Il Giornale, 12 dicembre 2010 dal sito http://paparatzinger4-blograffaella.blogspot.com
6)    9 Dicembre 2010 - PSICOLOGIA/Calcolo che ostacola la conoscenza - "LA VIRTU` CHE DONA" - E` RELAZIONE, INTIMITA` - Quando il “mercato” delude (come oggi), si fa ancora più intensa la nostalgia, e il bisogno, di dono di  Claudio Risé Psicoterapeuta http://www.piuvoce.net
7)    NOI CON LA FAMIGLIA DI YARA - LA TEMPESTA E LA VEGLIA di ALESSANDRO D’AVENIA – Avvenire, 12 dicembre 2010

Benedetto XVI all’Angelus: l’Avvento ci invita ad aspettare il Signore con fiducia. Il Papa benedice i Bambinelli per i presepi da http://www.radiovaticana.org

In un mondo che esalta il cambiamento, l’Avvento ci invita ad aspettare il Signore con costanza e pazienza: è quanto sottolineato da Benedetto XVI all’Angelus, in Piazza San Pietro. Il Papa ha ribadito che la vera speranza, che non delude mai, è quella fondata sulla fedeltà di Dio. Dopo la recita dell’Angelus, il Santo Padre ha benedetto i Bambinelli dei presepi, rinnovando una tradizione gioiosa, promossa dal Centro Oratori Romani. Almeno 2 mila i bambini, che hanno voluto essere in Piazza San Pietro per questo evento natalizio. Il servizio di Alessandro Gisotti:


Siate costanti, fino alla venuta del Signore: il Papa ha ripreso un passo della Lettera di San Giacomo, proposta dalla Liturgia domenicale, per mettere l’accento sul valore della pazienza. “L’Avvento – è stata la riflessione del Pontefice – ci chiama a potenziare quella tenacia interiore, quella resistenza dell’animo che ci permettono di non disperare nell’attesa di un bene che tarda a venire”. Piuttosto, ha proseguito, dobbiamo aspettare questo bene, anzi “prepararne la venuta con fiducia operosa”:

“Mi sembra quanto mai importante, ai nostri giorni, sottolineare il valore della costanza e della pazienza, una virtù che appartenevano al bagaglio normale dei nostri padri, ma che oggi sono meno popolari, in un mondo che esalta, piuttosto, il cambiamento e la capacità di adattarsi a sempre nuove e diverse situazioni”.
Il Papa ha così ripreso l’esempio dell’agricoltore, indicato da San Giacomo, che aspetta con costanza il prezioso frutto della terra. Un paragone, ha detto, “molto espressivo”:
“L’agricoltore non è un fatalista, ma è modello di una mentalità che unisce in modo equilibrato la fede e la ragione, perché, da una parte, conosce le leggi della natura e compie bene il suo lavoro, e, dall’altra, confida nella Provvidenza, perché alcune cose fondamentali non sono nelle sue mani, ma nelle mani di Dio”.

“La pazienza e la costanza – ha osservato – sono proprio sintesi tra l’impegno umano e l’affidamento a Dio”. Si è così soffermato sull’esortazione a rinfrancare in nostri cuori che troviamo nella Scrittura. “Come possiamo fare questo?”, si chiede il Papa, “Come possiamo rendere più forti i nostri cuori, già di per sé piuttosto fragili, e resi ancora più instabili dalla cultura in cui siamo immersi?”:

“L’aiuto non ci manca: è la Parola di Dio. Infatti, mentre tutto passa e muta, la Parola del Signore non passa. Se le vicende della vita ci fanno sentire smarriti e ogni certezza sembra crollare, abbiamo una bussola per trovare l’orientamento, abbiamo un’ancora per non andare alla deriva”.

Il modello che ci viene offerto, ha affermato il Papa, “è quello dei profeti, cioè di quelle persone che Dio ha chiamato perché parlino in suo nome”.

“Il profeta trova la sua gioia e la sua forza nella Parola del Signore, e, mentre gli uomini cercano spesso la felicità per strade che si rivelano sbagliate, egli annuncia la vera speranza, quella che non delude perché è fondata sulla fedeltà di Dio”.

Ed ha concluso la sua riflessione ricordando che ogni cristiano, in forza del Battesimo, “ha ricevuto la dignità profetica” ed auspicando che ciascuno possa “riscoprirla e alimentarla”, con un "assiduo ascolto" della Parola divina. Dopo la recita dell’Angelus, il Papa ha benedetto i Bambinelli per i presepi portati in Piazza San Pietro dai bambini e ragazzi di Roma:

“Cari giovani amici, quando metterete il Bambinello nella grotta o nella capanna, dite una preghiera per il Papa e per le sue intenzioni. Grazie! Saluto anche i vostri genitori, insegnanti e catechisti; ringrazio il Centro Oratori Romani per l’iniziativa, come pure gli amici del Dispensario Pediatrico “Santa Marta”.

Nei saluti ai fedeli di lingua spagnola, il Papa ha infine ricordato l’odierna festa della Vergine di Guadalupe, tanto cara al popolo messicano e a tutta l’America Latina. Con l’aiuto di Maria, ha detto, possiate vivere questo tempo di gioia e speranza, impegnandovi nell’esercizio della carità verso i più bisognosi.


Il Papa in visita alla parrocchia romana di San Massimiliano Kolbe: solo Dio cambia il mondo, da dittature e falsi profeti solo distruzione da http://www.radiovaticana.org

E’ giunto dalla periferia romana di Prato Fiorito, stamani, l’invito di Benedetto XVI a riconoscere Gesù non nelle rivoluzioni ma nella bontà di Dio, a distinguerlo da “ideologi e dittatori" e da totalitarismi che nel mondo hanno lasciato “grande vuoto e grande distruzione”. In visita nella parrocchia di San Massimiliano Kolbe, il Papa ha celebrato la Messa della terza domenica di Avvento – chiamata Gaudete per lo speciale invito alla gioia che emerge dalle letture – esortando i fedeli a “portare il messaggio dell’amore di Dio a tutti gli uomini”. Il servizio di Tiziana Campisi:

C’è un interrogativo che nella terza domenica di Avvento interpella il cristiano, è quello di Giovanni Battista che manda i suoi discepoli a chiedere a Gesù: “Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?”. La domanda del Battista – perplesso per non aver visto nessun cambiamento nel mondo – è quella che in tanti, ha osservato Benedetto XVI, si sono posti nel corso dei millenni:

“’Ma realmente sei tu? O il mondo deve essere cambiato in modo più radicale? Tu non lo fai?”’. E sono venuti tanti profeti, ideologi e dittatori che hanno detto: ‘Non è lui! Non ha cambiato il mondo! Siamo noi!’. Ed hanno creato i loro imperi, le loro dittature, il loro totalitarismo che avrebbe cambiato il mondo. E lo ha cambiato, ma in modo distruttivo. E oggi sappiamo che di queste grandi promesse non è rimasto che un grande vuoto e grande distruzione. Non erano loro.

All’interrogativo che ancora oggi riecheggia, ha detto il Papa, così sembra rispondere il Cristo:

“Vedete cosa ho fatto io. Non ho fatto una rivoluzione cruenta, non ho cambiato con forza il mondo, ma ho acceso tante luci che formano, nel frattempo, una grande strada di luce nei millenni”.

Questa luce sono gli innumerevoli testimoni di fede che hanno rischiarato secoli di storia. Il Pontefice ne ha enumerati alcuni, cominciando proprio dal patrono della parrocchia che lo ha ospitato: San Massimiliano Kolbe, offertosi alla morte per salvare un padre di famiglia, “luce” che “ha incoraggiato altri a donarsi, essere vicini ai sofferenti, agli oppressi”; “Damiano de Veuster, che ha vissuto ed è morto con e per i lebbrosi”; Madre Teresa di Calcutta, che tanta luce ha dato a persone dalla vita buia, ma morte con un sorriso sulle labbra perché “toccate dalla luce dell’amore di Dio”.

La risposta è dunque che non sono violente rivoluzioni, “non sono le grandi promesse che cambiano il mondo, ma … la silenziosa luce della verità, della bontà di Dio”. È questo “il segno della Sua presenza”, “la certezza che siamo amati fino in fondo e che non siamo dimenticati, non siamo un prodotto del caso, ma di una volontà di amore”. Ed è attraverso tale certezza, ha assicurato Benedetto XVI, che “possiamo sentire la vicinanza di Dio”.

“Dio è vicino ma noi siamo spesso lontani. Avviciniamoci, andiamo alla presenza della Sua luce, preghiamo il Signore e nel contatto della preghiera diventiamo noi stessi luce per gli altri”.

E luce da portare al mondo il Pontefice ha chiesto di essere ai parrocchiani di San Massimiliano Kolbe, esortandoli a vivere l’Avvento nella quotidianità, nella vita ordinaria delle famiglie, indicandolo come “forte invito … a lasciare entrare sempre di più Dio” nelle case e nei quartieri, “per avere una luce in mezzo alle tante ombre, alle tante fatiche di ogni giorno”. Quindi ha invitato la comunità parrocchiale a non isolarsi dal contesto diocesano e ad essere "espressione della bellezza della Chiesa" che, sotto la guida del vescovo "cammina in comunione verso il Regno di Dio”.

Augurando poi alle famiglie di realizzare pienamente “la propria vocazione all’amore con generosità e perseveranza”, Benedetto XVI ha aggiunto:

“Anche quando dovessero presentarsi difficoltà nella vita coniugale e nel rapporto con i figli, gli sposi non cessino mai di rimanere fedeli a quel fondamentale “sì” che hanno pronunciato davanti a Dio e vicendevolmente nel giorno del matrimonio, ricordando che la fedeltà alla propria vocazione esige coraggio, generosità e sacrificio”.

Con lo sguardo alla parrocchia che accoglie nuclei familiari di diverse origini e nazionalità, il Papa ha poi sottolineato la necessità di “crescere … nella comunione”, “creare occasioni di dialogo e favorire la reciproca comprensione tra persone provenienti da culture, modelli di vita e condizioni sociali differenti”. E ancora di pensare “una pastorale attenta ai reali bisogni di ciascuno”, di “partire dai ‘vicini’ per giungere fino ai ‘lontani’”. Infine il Pontefice ha parlato ai giovani:

“La Chiesa si aspetta molto da voi, dal vostro entusiasmo, dalla vostra capacità di guardare avanti e dal vostro desiderio di radicalità nelle scelte di vita. Sentitevi veri protagonisti nella parrocchia, mettendo le vostre fresche energie e tutta la vostra vita a servizio di Dio e dei fratelli”.

E con lo sguardo al Natale ha sollecitato i fedeli ad “essere costanti e pazienti nell’attesa del Signore che viene, e ad esserlo insieme, come comunità, evitando lamentele e giudizi”.


500 CONSACRATI AL CUORE IMMACOLATO DI MARIA di Mirco Agerde (ZENIT.org)

ROMA, venerdì, 10 dicembre 2010 (ZENIT.org).- Giornata molto intensa, quella dell'Immacolata.  Presso la sede del Movimento mariano Regina dell'Amore di Schio (VI), mercoledì 8 dicembre più di 500 persone si sono consacrate al Cuore Immacolato di Maria.

Le persone che si sono consacrate hanno dedicato cinque settimane alla preparazione, basate su altrettante catechesi svolte dai responsabili del Movimento con il sussidio di un libretto ricavato dal famoso "Trattato della vera devozione a Maria" di S. Luigi M. Grignon de Monfort, arricchito con articoli del Catechismo della Chiesa Cattolica e brani della Sacra Scrittura.

Il Movimento, sorto in seguito alle presunte Apparizioni della Vergine a Renato Baron avvenute fra il 1985 e il 2004, è attualmente accolto dalla Chiesa di Vicenza come ecclesiale, e considera una delle sue finalità primarie la diffusione della devozione mariana attraverso la Consacrazione personale alla Madonna pronunciata, appunto, dopo la suddetta preparazione.

Le varie persone che anche questa volta hanno intrapreso il cammino verso l'8 dicembre si riuniscono presso i vari gruppi del Movimento Regina dell'Amore e vengono raggiunte dai responsabili addetti del Movimento che tengono le varie catechesi.

La maggioranza degli oltre 500 nuovi consacrati di questo ultimo 8 dicembre proveniva dal Triveneto, ma un buon numero si è aggiunto anche dalle Marche e dall'Emilia Romagna, senza dimenticare quanti sono giunti dall'Austria e dalla Germania.

La giornata si è svolta in due momenti principali.

Il primo è iniziato con la celebrazione dell'Eucaristia alle 10.30 officiata dall'Assistente Diocesano del Movimento, monsignor Giuseppe Bonato; al termine della funzione, la breve cerimonia di Consacrazione a Maria "Regina dell'Amore" che prevede una invocazione cantata allo Spirito Santo; un momento di silenzio; la recita comunitaria della formula di Consacrazione; alcune intercessioni e la benedizione dei neoconsacrati e delle medaglie che vengono poi donate a ciascuno di loro come segno di appartenenza a Maria.

Il secondo momento della giornata è stata la Via Crucis al Monte delle Apparizioni, che nonostante il maltempo ha visto - oltre ai neoconsacrati alla Vergine - qualche migliaio di persone aggregarsi per pregare la Madonna affinché trionfi l'Amore nei cuori, nelle famiglie, nei giovani, nelle Nazioni e nel mondo intero e si realizzi il tanto auspicato trionfo del Cuore Immacolato di Maria annunciato a Fatima e ribadito tante volte dalla Regina dell'Amore anche a S. Martino di Schio.


Massoneria e Risorgimento un rapporto da riscrivere - di Massimo Introvigne 11-12-2010 - Quella che segue è la sintesi dell'intervento svolto in occasione di un convegno sul tema svoltosi a Torno il 9 dicembre e organizzato da "Noi per il Piemonte" da http://www.labussolaquotidiana.it/ita/articoli-massoneria-e-risorgimentoun-rapporto-da-riscrivere-105.htm

Quando si parla dei rapporti fra Massoneria e Risorgimento si contrappongono due tesi opposte. Per alcuni – sia massoni, sia avversari della massoneria – il Risorgimento è opera diretta e principale dei massoni. Per altri la massoneria non ha avuto alcun ruolo nel Risorgimento, e la tesi contraria deriva o da vanterie infondate di massoni o da «teorie del complotto» dei loro nemici. Come, in realtà, non avviene sempre – ma questa volta è proprio così – la verità sta nel mezzo.

Vale la pena, anzitutto, di richiamare che cos’è la massoneria. Risultato dell’infiltrazione di esoteristi, alimentata dal mito dei Rosacroce, nelle corporazioni di origine medioevale e cattolica dei liberi muratori (freemasons in inglese, da cui i nostri «frammassoni» e «massoni»), la massoneria nasce nel 1717 a Londra al termine di un processo che si era sviluppato lungo tutto il Seicento. Le antiche corporazioni di mestiere sono trasformate in organizzazioni filosofiche, le quali insegnano attraverso un rituale una mentalità, dove non ci sono dogmi né principi non negoziabili, ma la verità – nella filosofia come nella morale – nasce sempre e solo dal consenso e dalla libera discussione. Questo metodo massonico è sostenuto in alcune logge dal razionalismo di tipo illuminista, in altre da un esoterismo che insegue l’unità trascendente e segreta di tutte le religioni.

A prescindere dall’esito, la Chiesa Cattolica – che crede invece nei dogmi e proclama i principi morali come non negoziabili – condanna nella massoneria il metodo, che conduce inevitabilmente al relativismo. Dalla prima condanna di Papa Clemente XII nel 1738 alla Dichiarazione sulla massoneria tuttora vigente della Congregazione per la Dottrina della Fede, allora presieduta dal cardinale Ratzinger, controfirmata dal venerabile Giovanni Paolo II nel 1983, secondo cui «i fedeli che appartengono alle associazioni massoniche sono in stato di peccato grave e non possono accedere alla Santa Comunione», il giudizio della Chiesa non è mai cambiato.

In Italia la massoneria è presente fin dal Settecento, sia nella sua «corrente calda» esoterica sia nella «corrente fredda» razionalista. Il suo autentico boom è con Napoleone, quando in Italia si arriva – secondo una stima per difetto – a 250 logge con circa ventimila massoni. Troppo legata a Napoleone, la massoneria italiana è però coinvolta nella sua caduta e alla Restaurazione è vietata in tutti gli Stati della penisola. Sarà formalmente ricostituita solo nel 1859 a Torino con la Loggia Ausonia, cui segue la fondazione del Grande Oriente d’Italia guidato da un uomo politico vicinissimo a Cavour, Costantino Nigra. Il Risorgimento sembrerebbe dunque avvenuto, in gran parte, in un periodo – dal 1815 al 1859 – in cui la massoneria in Italia non c’era.

Dunque la massoneria non c’entra con il Risorgimento? Non si può dire, per tre buoni motivi. Anzitutto, molti protagonisti del Risorgimento erano affiliati a logge straniere e la massoneria di Paesi diversi dall’Italia per ragioni sia politiche sia di avversione alla Chiesa Cattolica ha un ruolo importante nelle vicende risorgimentali. Emblematico è il caso di Garibaldi, che una volta ricostituita la massoneria italiana ne diventerà Gran Maestro. In secondo luogo, operavano in Italia altre società segrete – la più importante delle quali era la carboneria – che, nonostante l’uso specie nei gradi più bassi di simboli cristianeggianti, avevano molto in comune con la massoneria. Terzo – ed è l’aspetto più importante –: i ventimila massoni dell’epoca di Napoleone non erano tutti morti o andati in esilio, erano l’élite della borghesia e della nobiltà laica e anticlericale e la loro mentalità collettiva costituiva una vera massoneria senza logge.

Così – mentre l’ideale dell’unità d’Italia era coltivato anche in un senso certamente non massonico da cattolici come i beati Rosmini e Faà di Bruno – la massoneria, con o senza logge, riuscì a imprimere il suo marchio non organizzativo ma culturale sul Risorgimento, che è cosa diversa dall’unità. Il modo risorgimentale di costruire l’unità politica costruì un Paese a tavolino, in laboratorio, senza tenere conto dei suoi localismi – che avrebbero richiesto soluzioni federali, mentre si scelsero il centralismo e lo statalismo – e della sua storia, che era cattolica e come tale invisa agli anticlericali.

E l’ingegneria sociale che costruisce nazioni a tavolino è appunto tipica della massoneria, fin dalle antiche utopie dei Rosacroce. Gli effetti di questa egemonia massonica sul modo in cui fu fatta l’unità – un’egemonia che si aggraverà nell’epoca dei massoni Crispi e Carducci degli ultimi decenni dell’Ottocento, quando sarà soprattutto la massoneria a disegnare la nuova scuola pubblica e a occuparsi di «fare gli italiani» - si fanno sentire, purtroppo, ancora oggi.


R. D. CONGO: SEMINARISTA GESUITA ASSASSINATO ALLA PERIFERIA DI KINSHASA - Era un giovane studente del Togo (ZENIT.org)

KINSHASA, domenica, 12 dicembre 2010 (ZENIT.org).- Un seminarista gesuita è stato assassinato domenica scorsa alla periferia di Kinshasa, capitale della Repubblica Democratica del Congo.

Il giovane Nicolas Eklou Kolma, originario del Togo, era arrivato a Kimwenza per proseguire la sua formazione due mesi fa, ha reso noto la “Radio Vaticana”.

Il 5 dicembre, mentre stava tornando da un incontro fraterno con altri due gesuiti verso le 23.00, un individuo armato e vestito da militare con il volto coperto si è rivolto ai tre in lingua lingala.

Non capendo le loro risposte, in francese, ha iniziato ad essere minaccioso, e li ha costretti a inginocchiarsi e a tenere le braccia in alto.

In seguito ha obbligato il giovane gesuita ad avanzare e gli ha sparato cinque volte, hanno riferito alla polizia gli altri religiosi.

Il corpo di Nicolas Eklou Kolma è stato trasferito all'ospedale di Monkole, gestito dall'Opus Dei.

Nato nel 1985 in Togo, Nicolas Eklou Kolma era entrato nella Compagnia di Gesù il 7 ottobre 2008. Aveva emesso i suoi primi voti il 2 ottobre.

I suoi funerali sono stati celebrati questo sabato nella chiesa di Santa Maria di Kimwenza. Il suo corpo verrà seppellito nel cimitero St Pierre Canisius della stessa città.

L'8 novembre scorso, due uomini armati con uniforme militare hanno assassinato il sacerdote Christian Bakulene, parroco di San Giovanni Battista di Kanyabayonga, nel Nord Kivu, nella zona orientale della Repubblica Democratica del Congo.


La frase più significativa della Valls è questa: «Il Papa a volte irrita politici e giornalisti facendo ciò che pensa sia meglio per la Chiesa» (Tornielli)- Il Vaticano critica Wikileaks ma per bacchettare Obama  -  di Redazione © Copyright Il Giornale, 12 dicembre 2010 dal sito http://paparatzinger4-blograffaella.blogspot.com

La Santa Sede: di estrema gravità pubblicare documenti riservati Uno fonte vicina al Papa: emerge che nel mondo la Chiesa conta molto. La numero due dell’ambasciata Usa a San Pietro boccia la Curia: è italocentrica. Gli Stati Uniti costretti a correre ai ripari con una nota dell’ambasciatore Díaz. Bertone: "Yes man del Pontefice? Ne vado orgoglioso"

La Santa Sede considera di «estrema gravità» la pubblicazione da parte di Wikileaks dei documenti confindenziali dell’Ambasciata Usa presso il Vaticano. «Senza entrare nella valutazione dell’estrema gravità della pubblicazione di una grande quantità di documenti riservati e confidenziali e delle sue possibili conseguenze», si legge in un comunicato della Sala Stampa vaticana, si fa osservare come i rapporti inviati al Dipartimento di Stato dall’Ambasciata degli Stati Uniti presso la Santa Sede riflettano «le percezioni e le opinioni di coloro che li hanno redatti, e non possono essere considerati espressione della stessa Santa Sede né citazioni precise delle parole dei suoi officiali. La loro attendibilità va quindi valutata con riserva e con molta prudenza, tenendo conto di tale circostanza».
Se fino a ieri i rapporti tra Vaticano e Stati Uniti potevano dirsi discreti - anche se meno buoni che all’epoca della presidenza Bush - oggi si percepisce un certo imbarazzo. Imbarazzo per le persone citate nei cablogrammi confidenziali, dai quali traspaiono giudizi negativi sul governo curiale, riserve sull’operato del Segretario di Stato Tarcisio Bertone, critiche al sistema di comunicazione della Santa Sede.
La numero due dell’ambasciata americana presso il Vaticano, Julieta Valls Noyes, scrive che quella romana è «Curia italo-centrica» e «obsoleta».
Il principale collaboratore di Benedetto XVI, il cardinale Bertone, viene definito come uno notorio «yes man», che è al digiuno di ogni esperienza diplomatica: «parla solo italiano, per esempio». A dire il vero Bertone parla francese e spagnolo, ma l’Ambasciata Usa non gli perdona di non parlare inglese.
Nei file di Wikileaks si legge ancora che «Bertone ha uno stile personale pastorale che lo porta spesso fuori Roma, a occuparsi di problemi spirituali invece che della politica estera e del governo». E anche qui non si vede quale sia la novità: Bertone non proviene dalla carriera della diplomazia pontificia, e questo era ben noto a Papa Ratzinger nel momento in cui l’ha scelto. Così come è noto che al cardinale non dispiaccia viaggiare spesso. Ma mai in incognito ed evidentemente con il consenso del Pontefice, che potrebbe chiedergli di smettere in ogni momento. Nel documento si parla delle voci che chiedono «la destituzione» di Bertone e anche in questo caso si tratta del segreto di Pulcinella, dato queste richieste, giunte anche da parte di illustri porporati, sono state riportate da più di un giornale, anche se Benedetto XVI le ha considerate irricevibili, decidendo invece di rinnovare la fiducia al suo collaboratore.
Nulla di nuovo sotto il sole anche per ciò che riguarda i ben noti problemi di comunicazione della Santa Sede. In un cablogramma dell’ambasciata Usa si dice che il direttore della Sala Stampa vaticana «ha il Blackberry ma non l’accesso al Papa», e che «non fa parte del circolo degli intimi del Papa e non ha alcuna influenza sulle principali decisioni, non dà forma ai messaggi, solo si limita a trasmetterli». Tutto piuttosto noto. Che la comunicazione vaticana non funzioni a dovere, non è un mistero e da anni è ormai questione dibattuta dalla stampa mondiale.
Ma la frase forse più significativa è questa: «Il Papa a volte irrita politici e giornalisti facendo ciò che pensa sia meglio per la Chiesa». Che il Papa si comporti così, senza tener troppo conto di politici e giornalisti andrebbe considerato piuttosto un buon segno.
Non si leggono particolari rivelazioni nemmeno per quanto riguarda lo scandalo pedofilia: il fatto che il Vaticano si sia inizialmente rifiutato di collaborare con il governo irlandese che stava promuovendo le inchieste sui preti pedofili, è stato determinato dal mancato rispetto da parte delle stesse autorità irlandesi dei necessari passi diplomatici. Come pure il fatto che nel 2002 l’allora Segretario di Stato Angelo Sodano abbia protestato con gli Stati Uniti per il moltiplicarsi di cause giudiziarie aggressive per i casi di pedofilia, non era stato determinato dalle inchieste in sé, ma dal fatto che gli avvocati pretendevano di chiamare sempre in causa direttamente la Santa Sede, e non i vescovi responsabili di sottovalutazioni ed eventuali insabbiamenti.
Insomma, nelle comunicazioni confidenziali ci sono molti pareri raccolti qua e là, giudizi già noti e per nulla riservati. Ma a uscire a pezzi dai documenti di Wikileaks non è tanto la diplomazia vaticana quanto piuttosto quella degli Stati Uniti. Che ha fallito clamorosamente, dato che questi documenti sono potuti diventare pubblici.
Ieri l’ambasciatore americano presso la Santa Sede Miguel H. Díaz è corso ai ripari con una dichiarazione che sottolinea gli impegni comuni degli Usa e del Vaticano. Ma Oltretevere l’impressione è un po’ diversa: «Con l’amministrazione Obama non c’è una grande collaborazione su ciò che per noi è essenziale - confida al Giornale uno stretto collaboratore del Pontefice -, dalla difesa dei cristiani perseguitati ai temi della vita e della famiglia». Ma nei sacri palazzi invitano a leggere bene tutti i documenti di Wikileaks: «Al di là di qualche battuta e di qualche giudizio, emerge bene che la Santa Sede fa veramente diplomazia, ed è un vero global player sulla scena mondiale».


9 Dicembre 2010 - PSICOLOGIA/Calcolo che ostacola la conoscenza - "LA VIRTU` CHE DONA" - E` RELAZIONE, INTIMITA` - Quando il “mercato” delude (come oggi), si fa ancora più intensa la nostalgia, e il bisogno, di dono di  Claudio Risé Psicoterapeuta

Il mercato (nella sua accezione economica, non quello fisico, che ha ancora un contenuto relazionale forte), è il luogo dell’incontro e scambio con le merci e gli oggetti. Il dono è il modo dell’incontro con la vita, e con l’altro. Mentre il modello culturale dominante indebolisce le relazioni col vivente e l’incontro tra persone per sostituirlo con la brama del consumo, il dono ristabilisce un’intimità umana. Avvicina le persone, consente all’uno, donatore e ricevente, di vedere il volto dell’altro, anche nel senso di penetrarlo intimamente, e lasciarsene penetrare.
Il dono, esperienza d’incontro, restituisce vita e consistenza al corpo, oggi virtualizzato nel gioco di specchi della società “self reflecting” nella quale l’altro non è più volto e corpo, ma immagine. Per questo, la nostalgia del dono comincia già nel trionfo della società industriale, quando la psicoanalisi studia le patologie del “corpo rimosso”, e Nietzsche nota, prima di ogni altro, il ribrezzo moderno per l’organico e il corpo, e presenta “la virtù che dona” come antidoto alla virtualizzazione dell’umano: “Riportate, come me, la virtù che dona sulla terra — sì riportatela al corpo e alla vita: perché dia un senso alla terra, un senso umano!” esortava Zarathustra.
La “virtù che dona”, rimossa, è sprofondata nell’inconscio, sincronicamente all’allontanamento fisico e simbolico del corpo, che rende appunto “intellettuale” ogni relazione. Privandola quindi di ogni aspetto di intimità proprio al vivente, che è quello fisico e emozionale. Anche due computer possono comunicare secondo dei processi astratti, ma solo due esseri viventi possono amarsi. Si vuole tutto calcolare, nella fantasia onnipotente di evitare, grazie al calcolo e alla tecnologia, il dramma cui il vivente è fatalmente consegnato, e da cui trae, oltretutto, la propria forza e il proprio senso.
Lo sguardo alla nuova vita, dono per eccellenza, fisico, affettivo e simbolico, rivela la deriva verso la trasformazione dell’altro in oggetto, programmato secondo regole di mercato, piuttosto che espressione di un dono di sé, che è anche dono di vita. Già dall’immagine del bambino proposta ai genitori dai media, dall`apparato sanitario, dal sistema di comunicazione e di consumo, la vita nascente non è vista come dono di chi nasce ai genitori e al mondo, e viceversa, ma come produzione, nella quale il corpo-psiche del nascituro viene inghiottito da un progetto produttivo e tecnico elaborato secondo i modelli di mercato e le sue tecnologie. Dai metodi di monitoraggio della gravidanza, a quelli proposti nel parto, tutto segue il metodo del calcolo e del controllo, piuttosto che quello del dono e dello sguardo al volto dell’altro, nel rispetto per lo svolgersi di un processo naturale. Questa sostituzione di una volontà di possesso e di potere al dono della nascita, già proposta in una normale gravidanza fino ad alterarne l’intero svolgimento, svela poi la sua natura di sopraffazione della vita nelle gravidanze tecnologicamente guidate col supporto, appunto, del mercato dei diversi elementi riproduttivi, semi, embrioni, ed ovuli.
Il calcolo produttivistico e impersonale, appunto, esclude il dono, che nasce da quel profondo slancio verso l’altro e verso la vita da cui nasce la virtù che dona. Ed esclude dunque l’intimità, e la relazione, la conoscenza dell’altro, la possibilità di vederne il volto, accoglierlo in sé.
Per donare, infatti, occorre accettare di ricevere. E dunque di aver ricevuto: per esempio la vita. Certamente dal padre e dalla madre. Ma, prima ancora, da quel Padre da cui, come ha ricordato Giovanni Paolo II, l’uomo e la donna ricevono “la virtù del reciproco donarsi” che è in Lui, e che è all’origine di tutte le abbondanze e generazioni. Un’ origine da cui la nostra vita non può separarsi, se non in un delirio di onnipotente follia.
Claudio Risé


NOI CON LA FAMIGLIA DI YARA - LA TEMPESTA E LA VEGLIA di ALESSANDRO D’AVENIA – Avvenire, 12 dicembre 2010

Il dolore è parte della vita, ma la vita è più gran­de. Se ne parla invece come un problema da eliminare, un tumore della vita. Ma nessuna e­voluzione ce ne affrancherà: è parte della vita, anzi è ciò che all’interno della vita si incarica, come ogni limite e fragilità, di ricordarci che la vita non è nostra, non ce la siamo data, ci è af­fidata per essere custodita, incoraggiata, ama­ta. La vita è dono e l’unico atteggiamento frut­tuoso di fronte a essa è servirla. Il dolore abbat­te tutte le manie di controllo, ci riporta in balìa della vita: torniamo creature. Al problema del dolore non c’è soluzione, se non lo accettiamo dentro la vita. Solo la fede, che ha l’estensione della vita tutta, permette di abbracciare «que­sta debole vita che si fiacca» (Montale) e di non rinunciare a nulla che ne faccia parte: anche il dolore. Il dolore non ha una soluzione, ma ha una compagnia.

Quando mio nipote di due anni cade, non pian­ge subito, ma si volge al genitore vicino e se il papà minimizza, il piccolo fa una smorfia soffe­rente, poi ride e torna a giocare. Il dolore esiste nella vita dei bambini attraverso lo sguardo dei genitori: se il padre sorride, il bambino com­prende che il dolore c’è, non è eliminato, ma è parte del grande gioco, misterioso, della vita. Il cristianesimo non è una fede per illusi che fug­gono dai problemi, ma per figli capaci di ab­bracciare la realtà nella sua interezza, come do­no di un padre: imprevisti compresi.

Il martire vietnamita Paolo Le-Bao-Thin, citato nella Spe Salvi (37), poteva scrivere: «Questo car­cere è un’immagine dell’inferno: ai crudeli sup­plizi di ogni genere si aggiungono odio, vendet­te, calunnie, angoscia e tristezza. Dio mi è sem­pre vicino e ha liberato anche me da queste tri­bolazioni, trasformandole in dolcezza. In mez­zo a questi tormenti, che piegano e spezzano gli altri, sono pieno di gioia, perché non sono solo, ma Cristo è con me. Mentre infuria la tempesta, getto l’ancora fino al trono di Dio: speranza vi­va, che è nel mio cuore». Questo uomo è capace di abbracciare persino l’inferno e trasformarlo in vittoria, grazia alla vicinanza di Dio, cercata e trovata, nel massimo della privazione. Non ci so­no privazioni nella vita di un cristiano perché tutto è dono: anche il dolore, persino il dolore. Al dolore Cristo non offre soluzioni, ma compa­gnia. Anche lui è stato all’inferno, ed è tornato.

Lo sto imparando ancora una volta in questi gior­ni per merito della famiglia di Yara, che ringra­zio. Non una telecamera ha inquadrato il loro dolore: non lo hanno permesso. Quello che han­no voluto è una veglia di preghiera, perché la fi­glia torni come il più grande dono del Padre. An­che quando tutte le speranza umane sembrano spazzate via, chi prega spera, perché sa che nul­la è imprevisto nell’onnipotenza del Bene. In questo silenzio la famiglia di Yara ha trovato e provocato molti compagni: la vittoria sul dolore è vittoria sulla solitudine. Il grande consolatore ( cum-solatio : compagnia nella solitudine) è com­pagno certo. Non sono eliminate le sofferenze, ma sono inserite dentro una vita più grande che trionferà del tutto dopo questa stagione terrena e chiaroscurale. Non ci sono sguardi voyeuristi­ci aizzati da telecamere vivisezionatrici, ma si­lenziosi compagni di speranza, a vegliare.

Solo grazie a questa speranza possiamo vivere con fiducia un presente spesso insopporta­bile. Occorre però ricordare che i tempi di Dio non sono i nostri: persino Cristo sem­brò distrarsi dopo la richiesta di Giàiro (Mc 5) per la figlia in fin di vita. Cristo si lascia prendere dalla folla e da altri ma­lati. Così giunge la triste notizia: «È troppo tardi», dice la gente a quel po­vero padre trascurato, ma egli non de­morde. Infatti Cristo gli dice: «Non te­mere, continua solo ad avere fede». Per­sino Dio sembra che a volte non si cu­ri di noi, sia distratto. In realtà ci chie­de la pazienza chiaroscurale e li­bera della fede, per svelarci quando vorrà che «la bambina non è morta, ma dorme».