sabato 11 dicembre 2010

Nella rassegna stampa di oggi:
1)    PIO XII DOCUMENTI, PIO XII EBREI, PIO XII NAZISMO, PIO XII SILENZIO - Scoperti nuovi documenti e operazioni segrete su Pio XII, nazismo ed ebrei. – In Chiesa e Nazismo - 10 dicembre 2010 dal sito http://antiuaar.wordpress.com
2)    10/12/2010 - NORVEGIA – CINA - Consegnato il Nobel per la pace a una sedia vuota - Si è conclusa a Oslo la cerimonia di consegna del prestigioso riconoscimento. Assente il vincitore Liu Xiaobo, autore del manifesto democratico Carta 08, condannato a 11 anni per la sua richiesta di maggior democrazia in Cina. Obama: “Merita il Premio molto più di me” (AsiaNews).
3)    Radio Vaticana - notizia del 10/12/2010 - India: aumentano le violazioni dei diritti umani contro i cristiani
4)    Il nuovo politeismo e i suoi idoli tentatori - Benedetto XVI lancia l'allarme. La dimenticanza dell'unico Dio apre lo spazio a un mondo dominato da una pluralità di nuovi dèi dal volto seducente. Viaggio tra i cultori del moderno paganesimo - di Sandro Magister
5)    Solženicyn, l'erede di Dostoevskij di Jacopo Guerriero 11-12-2010 – dal sito http://www.labussolaquotidiana.it/ita/articoli-solenicyn-lerede-di-dostoevskij-16.htm
6)    Quale Europa? di Robi Ronza 11-12-2010 dal sito http://www.labussolaquotidiana.it
7)    Avvenire.it, 11 dicembre 2010 - I diritti civili e i burocrati di pechino - Incalzati dal potere dei senza potere di Luigi Geninazzi
8)    Avvenire.it, 10 dicembre 2010 – DIBATTITO - La Riforma: se questa è modernità di Luca Gallesi
9)    Avvenire.it, 10 dicembre 2010 – MITI - Kierkegaard e Dracula - la strana coppia dei Lumi di Andrea Monda
10)                      11/12/2010 - CINA - HONG KONG - Giornalisti aggrediti davanti alla casa dell’attivista arrestato per lo scandalo della melamina
11)                      11/12/2010 – EGITTO - Proteste per il blocco alla chiesa delle Piramidi. “Il governo discrimina i cristiani”- Sono ancora in carcere 168 copti (fra cui 20 ragazzini) arrestati durante la manifestazione del 24 novembre contro il blocco alla costruzione della chiesa non voluta dai musulmani radicali. La richiesta a Mubarak di punire chi ha autorizzato l’uso delle armi (AsiaNews/Agenzie).

PIO XII DOCUMENTI, PIO XII EBREI, PIO XII NAZISMO, PIO XII SILENZIO - Scoperti nuovi documenti e operazioni segrete su Pio XII, nazismo ed ebrei. – In Chiesa e Nazismo - 10 dicembre 2010 dal sito http://antiuaar.wordpress.com

Le rivelazioni storiche più recenti confermano la posizione espressa nel suo ultimo libro da Papa Benedetto XVI su Pio XII e il suo sostegno agli ebrei perseguitati. Il 17 novembre, il Papa ha ricevuto il fondatore della “Pave the Way Foundation” (PTWF), Gary Krupp, ebreo, che gli ha consegnato nuove rivelazioni storiche a conferma di questa posizione. In alcune dichiarazioni a ZENIT, Krupp ha dichiarato che attraverso la sua fondazione e il suo sito web, «la controversia che dura da 46 anni sul pontificato di Papa Pio XII possa essere risolta. Finora la PTWF ha inserito oltre 40.000 pagine di documenti, articoli e interviste a testimoni oculari, materiale originale, relativo a questo periodo storico». Krupp ha anche presentato al Papa il libro della PTWF “Papa Pio XII e la II Guerra Mondiale. La Verità Documentata”, appena pubblicato in ebraico. Il testo, di agevole lettura, contiene numerosi documenti, articoli e interviste notevoli che permettono al lettore di giungere a una conclusione su quel periodo controverso. E’ il primo libro scritto da ebrei in ebraico su Papa Pio XII basato su documenti originali piuttosto che su teorie speculative e discutibili. Krupp ha anche presentato al Papa una serie di testimonianze autenticate degli sforzi personali di Papa Pacelli per salvare la vita agli ebrei. E’ stato inoltre presentato a Benedetto XVI il libro del professor Ronald Rychlak (editorialista del The Washington Post e The Wall Street Journal): “Hitler, la Guerra e il Papa”, insieme al testo inedito “The framing of Pope Pius XII”. E’ stato scritto da Rychlak e da Mihai Ion Pacepa, l’agente del KGB di più alto rango ad aver mai disertato. Quest’ultimo descrive le operazioni della rete di disinformazione del KGB e il piano denominato “Seat 12”, volto a infangare la reputazione di Papa Pio XII e a scavare un solco tra il mondo cattolico e quello ebraico. Il piano, ordinato dall’ateo Nikita Kruscev, mirava ad attaccare la Chiesa cattolica e la reputazione di Papa Pio XII. Lo abbiamo già fatto, ma per chi volesse approfondire suggeriamo anche il bellissimo testo “La leggenda nera del Papa di Hitler” (tradotto letteralmente dall’inglese sarebbe: Il mito del Papa di Hitler: come Papa Pio XII salvò gli Ebrei dai nazisti), scritto nel 2005 dal rabbino e storico statunitense David Gil Dalin (su Wikipedia una breve recensione).


10/12/2010 - NORVEGIA – CINA - Consegnato il Nobel per la pace a una sedia vuota - Si è conclusa a Oslo la cerimonia di consegna del prestigioso riconoscimento. Assente il vincitore Liu Xiaobo, autore del manifesto democratico Carta 08, condannato a 11 anni per la sua richiesta di maggior democrazia in Cina. Obama: “Merita il Premio molto più di me” (AsiaNews).

Oslo (AsiaNews) – Un discorso del presidente della Commissione, una lettura da parte della famosa attrice Liv Ullmann e un piccolo concerto di voci bianche, violino e pianoforte. Con questi eventi, e senza il tradizionale discorso del vincitore, si è conclusa a Oslo la cerimonia di consegna del Premio Nobel per la pace 2010.

La Commissione ha premiato una sedia vuota al posto del dissidente cinese Liu Xiaobo, autore del manifesto democratico Carta 08 condannato a 11 anni di galera per la sua richiesta di maggior democrazia in Cina. Presenti alla premiazione il dissidente Yang Jianli, indicato dalla moglie del vincitore come “rappresentante” della coppia; la leader del movimento uighuro Rebiya Kadeer; il ministro tibetano degli Esteri in esilio e diverse altre personalità della dissidenza cinese.

Il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, ha inviato un messaggio alla cerimonia: “Liu Xiaobo merita il Nobel della pace molto più di me. Ammiro i grandi sforzi fatti da Pechino per far uscire i propri cittadini dalla povertà, ma anche i diritti umani sono un tema importante. Sono dispiaciuto che Liu Xiaobo e sua moglie non abbiano avuto la possibilità di partecipare alla cerimonia del Nobel, alla quale io e Michelle abbiamo preso parte lo scorso anno. Liu ci ricorda che la dignità umana dipende anche dai progressi in democrazia, la società aperta e lo Stato di diritto. I valori di Liu sono universali, la sua lotta è pacifica, e deve essere scarcerato appena possibile”.

Il presidente del comitato Nobel, Thosbjorn Jagland, aveva fatto sapere che - a causa della mancata presenza di Liu o di un suo familiare - non ci sarebbe stata la consegna formale del premio e dell’assegno da 1,5 milioni di dollari e che quindi “sarebbe stata premiata la sedia vuota”. E proprio l’espressione “sedia vuota”, insieme alla parola “Oslo”, è stata vietata sui siti internet cinesi dopo che i blogger locali hanno iniziato a mettere in rete foto di sedie vuote, con evidente riferimento a Liu Xiaobo.

Continuano inoltre gli arresti contro gli amici del Nobel. Il regime di Pechino ha messo sotto stretta sorveglianza la casa di Liu Xia, moglie di Xiaobo, e le abitazioni di altri dissidenti per evitare qualsiasi contatto con la stampa estera. Secondo il Chinese Human Rights Defenders, l’attivista e amico del premio Nobel, Zhang Zuhua, gli avvocati democratici Li Fangping e Teng Biao, il giornalista Gao Yu e altre decine di personaggi “pericolosi” sono stati costretti a lasciare la capitale e vengono sorvegliati a vista.

Tuttavia, nonostante il ferreo controllo delle autorità, oltre cento persone hanno manifestato davanti alla sede delle Nazioni Unite a Pechino in occasione della giornata mondiale dedicata ai diritti dell’uomo e a poche ore dalla consegna del Nobel della pace. Lo ha riferito una fonte dell’Onu: “C’era un nutrito gruppo di persone davanti alla nostra sede. Erano molti di più rispetto agli anni passati, in occasione della giornata mondiale dei diritti dell’uomo”. Sul posto sono intervenuti diversi veicoli della polizia cinese. 


Radio Vaticana - notizia del 10/12/2010 - India: aumentano le violazioni dei diritti umani contro i cristiani

Nel giorno in cui si celebra a livello mondiale la Giornata dei diritti umani, il Consiglio globale dei cristiani indiani ha condannato l’atteggiamento delle autorità nei confronti delle piccole minoranze cristiane. Lo riferisce AsiaNews. Sajan K. George, presidente del Consiglio globale dei cristiani indiani ha dichiarato: “Siamo profondamente feriti nel notare che il governo dell’Orissa sta ritardando la giustizia attesa dalle vittime dei pogrom contro i cristiani, e in particolare questo accade nel caso di una suora violentata. Il Consiglio, nella Giornata mondiale dei diritti umani chiede con forza ai governi di essere sensibili ai diritti dei cristiani in India”. Sajan K. George ha denunciato i tentativi da parte delle autorità statali in Karnataka di camuffare la verità degli attacchi contro i cristiani forse a casa dell’incapacità da parte dello Stato di contenerli o forse nel tentativo di salvaguardare il nome del partito Bjp (nazionalista indù) al governo. La situazione non appare migliore nell’Orissa per quanto riguarda gli attacchi alle chiese. “Gli accusati non sono stati rintracciati, anche se giravano liberamente per strada, alla luce del giorno come eroi, perché non è stato fatto nessun tentativo di toccarli. Questo è un gesto deliberato da parte delle autorità, o perché è stato ordinato così, o perché erano complici dei crimini”. Il presidente del Consiglio ha detto che gli attacchi contro i luoghi di culto cristiani continuano, anche se forse in maniera più sparsa e con minor ferocia. Anche i funzionari di polizia di basso livello sembrano spesso complici. Sajan ha parlato anche della situazione a Mangalore e Udupi, dove sono stati registrati 133 casi di attacchi dal 2008. “E’ un programma ben pianificato, e lo scopo è quello di terrorizzare la comunità cristiana in generale in quello Stato, e in particolare quelli che sono diventati cristiani negli ultimi anni”. Il padre gesuita Cedric Prakash, direttore di Prashant, il Centro dei gesuiti per i Diritti umani a Ahmedabad, ha detto: “Le violazioni dei Diritti umani stanno crescendo invece di diminuire e questa è una realtà penosa con cui dobbiamo fare i conti”. Migliaia di tribali non hanno accesso alle foreste, alle terre e all’acqua di cui erano proprietari una volta. “I Dalit sono figli di ‘un Dio minore’ nella maggior parte del Paese. Donne e bambini sono i più vulnerabili, e il bersaglio di ogni genere di violazioni”.


Il nuovo politeismo e i suoi idoli tentatori - Benedetto XVI lancia l'allarme. La dimenticanza dell'unico Dio apre lo spazio a un mondo dominato da una pluralità di nuovi dèi dal volto seducente. Viaggio tra i cultori del moderno paganesimo - di Sandro Magister

ROMA, 9 dicembre 2010 – "Politeismo": questa parola è balenata come un lampo, lo scorso ottobre, in un discorso di Benedetto XVI al sinodo dei vescovi del Medio Oriente, cioè proprio la terra natale dell'unico Dio fatto uomo, Gesù, e dei più potenti monoteismi della storia, quello ebraico, quello musulmano.

"Credo in unum Deum" è il poderoso accordo da cui ha principio la dottrina cristiana. Ma per Joseph Ratzinger, papa teologo, il politeismo è tutt'altro che morto. È la sfida perenne che anche oggi si erge contro le fedi nell'unico Dio.

"Pensiamo alle grandi potenze della storia di oggi", proseguì il papa nel sinodo. I capitali anonimi, la violenza terroristica, la droga, la tirannia dell'opinione pubblica sono le moderne divinità che schiavizzano l'uomo. Devono cadere. Devono essere fatte cadere. La caduta degli dèi è l'imperativo di ieri, di oggi, di sempre dei credenti nell'unico Dio vero.

Ma il politeismo di oggi non è solo fatto di potenze oscure. I suoi molti dèi hanno anche volto benevolo e capacità di seduzione.

È la "gaia scienza" vaticinata da Nietzsche più di un secolo fa, che offre a ogni singolo uomo "il più grande vantaggio": quello di "erigere il suo proprio ideale e derivare da esso la sua legge, le sue gioie e i suoi diritti".

È il trionfo del libero arbitrio individuale, senza più il giogo di una tavola della legge, una sola per tutti perché scritta da un unico intrattabile Dio.

Quell'ammirazione per il "Genio del cristianesimo" che aveva infiammato Chateaubriand e i romantici cede oggi il passo a una riscoperta entusiasta del "Genio del paganesimo", titolo di un'operetta dell'antropologo francese Marc Augé.

In Italia un altro antropologo, Francesco Remotti, si scaglia contro "L'ossessione identitaria", titolo del suo ultimo libro, e rimprovera il papa, in un altro suo libro in forma di lettera, per il suo ostinato procedere "contro natura", contro una modernità che fa invece gustare le meraviglie del politeismo, così liquido, pluralista, tollerante, liberatorio.


LO "SPIRITO DI ASSISI"


Certo, l'attuale reviviscenza del politeismo non riporta in voga i culti a Giove e a Giunone, a Venere e a Marte. Ma la filosofia dei pagani colti dell'impero di Roma riaffiora intatta nei ragionamenti di tanti moderni fautori del "pensiero debole". E non solo di questi. Chi oggi rilegge, sedici secoli dopo, la disputa tra il monoteista Ambrogio, il santo patrono di Milano, e il politeista Simmaco, senatore della Roma pagana, è fortemente tentato di dare ragione al secondo, quando dice: "Che cosa importa per quale via ciascuno ricerchi, secondo il proprio giudizio, la verità? Non per una sola strada si può giungere a un così grande mistero".

La magnanima parità tra tutte le religioni e gli dèi che queste parole sembrano ispirare incanta anche molti cristiani. Lo "spirito di Assisi" nato dall'adunanza multireligiosa che là si tenne nel 1986 ha così contagiato il diffuso sentire che nel 2000 la Chiesa di Giovanni Paolo II e dell'allora cardinale Joseph Ratzinger si sentì in dovere di ricordare ai cattolici che di salvatore dell'umanità ce n'è uno solo, ed è il Dio fatto uomo in Gesù: una verità su cui l'intero Nuovo Testamento sta o cade, una verità che in due millenni mai la Chiesa aveva sentito la necessità di ribadire con un pronunciamento "ad hoc". Eppure, quella dichiarazione del 2000, la "Dominus Iesus", fu accolta da un fuoco di fila di proteste, dentro la Chiesa e fuori, per la sua esclusione di una pluralità di vie di salvezza tutte in sé sufficienti e piene di grazia e verità.

Che in questi sentimenti si annidi la nostalgia per una pluralità di dèi è possibile, ma l'odierno politeismo, a livello di massa, è più sfumato.

L'idea corrente è che le varie religioni siano a loro modo tutte espressione di un "divino". E tuttavia questa divinità somma, come già spiegava ad Ambrogio il pagano Simmaco, è inconoscibile e lontana, troppo lontana per appassionare gli uomini e prendere cura di loro.

Da uno scrittore latino del III secolo, Minucio Felice, ci è giunto un altro dialogo, molto raffinato, nel quale il pagano Cecilio, passeggiando sul litorale di Ostia, dopo aver reso omaggio a una statua di Serapide, spiega che "nelle cose umane tutto è dubbioso, incerto, indeciso" ma proprio per questo è bene seguire la religione degli antichi e adorare "quegli dèi che i nostri padri ci hanno insegnato a temere, piuttosto che a conoscere troppo da vicino".

In un'omelia in piazza San Pietro dello scorso 11 giugno, Benedetto XVI ha detto che "stranamente questo pensiero è riemerso nell'Illuminismo". E in effetti un campione dell'età dei lumi come il miscredente Voltaire ordinava ai suoi familiari e alla servitù di ossequiare il cristianesimo e i suoi precetti, per motivi di buona creanza civica. Dio c'è, forse. E forse è lui che ha creato il mondo. Ma poi se ne è talmente disinteressato da sparire dall'orizzonte vitale. La sua bontà è tutta nel non produrre disturbo alcuno.

E così, sotto il cielo di questa divinità vaga e remota, la terra si è popolata di nuovi dèi. In divisa laica e pragmatica.


POLITEISMO DEI VALORI


Già nell'Ottocento, nei suoi "Saggi sulla religione", l'economista e filosofo John Stuart Mill scrisse che il politeismo era di gran lunga più funzionale del monotesimo nel descrivere quella pluralità di etiche che caratterizzava lo scenario di vita della prima società industriale. E Max Weber, nel primo Novecento, coniò la formula di "Polytheismus der Werte", politeismo dei valori, proprio per indicare il pantheon della moderna società.

In un mondo ormai disincantato, senza più un unico Dio che proclami comandamenti validi per tutti, ciascuna delle sfere sociali – dalla politica all'economia, dall'arte alla scienza alla stessa religione – è retta da un suo dio con i suoi oracoli. Oracoli spesso tra loro in conflitto, con l'uomo drammaticamente solo nell'ora della decisione.

Weber, con l'impeccabile distacco dello studioso, non disse se questo moderno politeismo fosse un bene o un male. Ma altri pensatori venuti dopo di lui non nascondono più a cosa vanno le loro simpatie.

Nel secondo Novecento, alla "teologia politica del monoteismo" propugnata da Erik Peterson (un autore tra i più letti e ammirati da Joseph Ratzinger fin da giovane professore), il filosofo tedesco Odo Marquard contrappone una "teologia politica del politeismo", e nel titolo del suo saggio loda tale politeismo con la qualifica di "illuminato". A suo giudizio, l'uomo ha sempre bisogno di miti, e l'importante è che tali miti siano molti e aperti a infinite variazioni, come nella mitologia antica, all'opposto dell'ebraismo e del cristianesimo che poggiano su fatti storici unici e incontrovertibili.

In Spagna, la filosofa Maria Zambrano ha puntato il dito contro l'ascetismo di matrice medievale della spiritualità cristiana, distruttivo dei sentimenti. È la poesia, a suo giudizio, che può liberare l'uomo dal "monolitismo" e restituirlo al suo gioioso politeismo nativo.

In Italia è Salvatore Natoli il filosofo che difende una "etica del finito", un insieme cioè di riferimenti "politeistici", multipli, che offrano all'uomo dei punti d'appoggio, mai definitivi ma pur sempre capaci di salvarlo provvisoriamente dall'anarchia degli istinti.

Sicuramente, però, l'opera che ha più instillato nella cultura italiana contemporanea una rivalutazione del politeismo è più letteraria che filosofica: sono "Le nozze di Cadmo e Armonia" di Roberto Calasso, del 1988, con la loro evocazione gloriosa della mitologia classica.


PER UN REINCANTO DEL MONDO


A dispetto del "disincanto del mondo" descritto da Weber, infatti, la società moderna non appare immune dall'opposta seduzione di un mondo nuovamente incantato.

Alain de Benoist, pensatore della "nouvelle droite" francese, è il più acceso banditore di questo ritorno alla sacralità neopagana.

Per la corrente culturale da lui rappresentata il grande nemico è proprio il giudeocristianesimo con la sua idea "desacralizzante" della creazione. Se non c'è altro Dio all'infuori del Dio unico, infatti, le creature non hanno più nulla di divino e perfino gli astri, come dice la prima pagina della Genesi, sono semplici "luminari" appesi dal Creatore alla volta celeste per segnare il giorno e la notte. Il mondo è definitivamente consegnato alla sua profanità.

Osserva Leonardo Lugaresi, docente a Bologna e Parigi e specialista di cristianesimo antico: "Nel rimprovero mosso oggi al cristianesimo di essere responsabile della desacralizzazione del mondo, quella che torna in gioco, sotto nuove forme, non è altro che la vecchia accusa di ateismo mossa ai cristiani dei primi secoli".

E aggiunge: "Come allora, anche per una certa mentalità neopagana di oggi il cristianesimo è nocivo perché ha tolto alla terra il suo incanto, i suoi dèi, e ha privato l'uomo di un rapporto religioso con la natura. Di conseguenza, il nuovo paganesimo vuole guarire il mondo dalla 'rottura monoteistica', cioè restituirgli quella sacralità e divinità che il cristianesimo gli ha tolto".


NON UN QUALSIASI DIO


La formula "rottura monoteistica" rimanda agli studi di un grande egittologo, il tedesco Jan Assmann, che ha indagato a fondo sulla novità rivoluzionaria introdotta dall'unico Dio della religione di Mosè rispetto al politeismo dell'Egitto dell'epoca. Non sorprende, quindi, che l'editrice il Mulino, nel pubblicare quest'anno dieci saggi affidati ad altrettanti autori sui dieci comandamenti del decalogo mosaico, abbia assegnato proprio ad Assmann il commento del "Non avrai altro Dio".

Assmann non è un apologeta del politeismo. Ma vede nel monoteismo mosaico, fin dal suo nascere, un contrapporsi esclusivo e intollerante alle altre religioni. Tutti i monoteismi storicamente venuti alla luce, dall'ebraismo, al cristianesimo, all'islam, portano in sé, a suo giudizio, il veleno della violenza. E allora egli chiede ai monoteismi di superare i loro assoluti e "raggiungere il punto trascendentale grazie al quale diviene possibile la vera tolleranza", di elevarsi cioè alla forma superiore di "sapienza religiosa" o di "religione profonda" incarnata da sapienti come Albert Schweitzer, il Mahatma Gandhi e Rabindranath Tagore, insomma, di elevarsi "all'ideale settecentesco di tolleranza espresso dal massone Lessing nella parabola dei tre anelli, nel racconto di Nathan il saggio".

E cos'è questa se non la religione senza norme né dogmi dell'Illuminismo, con il suo Dio remoto? E a che cosa può aprire lo spazio, questa religione vaga, se non a un nuovo politeismo dell'arbitrio?

Lo scorso 13 settembre, nel ricevere il nuovo ambasciatore tedesco presso la Santa Sede, Walter Jürgen Schmid, Benedetto XVI ha alzato gli occhi dal testo scritto e ha così proseguito: "Molti uomini mostrano oggi un’inclinazione verso concezioni religiose più permissive anche per se stessi. Al posto del Dio personale del cristianesimo, che si rivela nella Bibbia, subentra un essere supremo, misterioso e indeterminato, che ha solo una vaga relazione con la vita personale dell’essere umano. Se però uno abbandona la fede verso un Dio personale, sorge l’alternativa di un ‘dio’ che non conosce non sente e non parla. E, più che mai, non ha un volere. Se Dio non ha una propria volontà, il bene e il male alla fine non sono più distinguibili. L’uomo perde così la sua forza morale e spirituale, necessaria per uno sviluppo complessivo della persona. L’agire sociale viene dominato sempre di più dall’interesse privato o dal calcolo del potere".

Da queste parole si capisce ancor più il motivo per cui oggi, per papa Benedetto, "la priorità suprema e fondamentale" sia di riaprire a una umanità disorientata l'accesso a Dio.

E "non a un qualsiasi dio, ma a quel Dio che ha parlato sul Sinai; a quel Dio il cui volto riconosciamo nell'amore spinto sino alla fine, in Gesù Cristo crocifisso e risorto".

(Da "L'espresso" n. 50 del 2010).

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Su questo sfondo vanno lette le decisioni di Benedetto XVI di istituire un nuovo dicastero in curia "per la nuova evangelizzazione" e di dedicare a questo stesso tema il sinodo dei vescovi del 2012, così come l'iniziativa di dialogo con i non credenti che ha chiamato "cortile dei gentili" e ha affidato al suo ministro della cultura, il cardinale Gianfranco Ravasi.


Solženicyn, l'erede di Dostoevskij di Jacopo Guerriero 11-12-2010 – dal sito http://www.labussolaquotidiana.it/ita/articoli-solenicyn-lerede-di-dostoevskij-16.htm

Era quello che viveva la libertà tra le coordinate di un destino. Senza tempo per scendere a patti. Scriveva in mezzo a segni, visioni, desideri, Aleksandr Solženicyn. L’ossessione della verità come una stella. Circondato dalla menzogna, perché ha un prezzo, lo spiegava Tolstoj, “la moralità di un uomo verso la parola”. E proprio a un senso di pudore rispondeva la scelta di non pubblicare, in vita, nessuna autobiografia. Le lezioni di un secolo, attraverso la sua esistenza, lo scrittore russo desiderava che a raccontarle fosse qualcun altro. Magari con il suo aiuto. E chissà se a Liudmila Saraskina, scrittrice e studiosa di Dostoevskij, saranno tremati i polsi quel giorno- era il 1995- in cui rispose al telefono di casa e una voce le disse:”Sono Aleksandr Solženicyn”. Da quella telefonata un’amicizia il cui frutto è ora una biografia monumentale, scritta da Saraskina, con notazioni –in fase di redazione- dell’autore di Arcipelago GULag.

Il volume, da poco arrivato in libreria per i tipi della San Paolo, si intitola semplice: Solženicyn (1441 pp., 84 euro). E’ un testo di riferimento per comprendere le problematiche di un’esistenza controversa, ma anche i mille rivoli di un’opera letteraria enorme. La Bussola ha raggiunto a Mosca la sua autrice.

Come finisce un’esperta di Dostoevskij ad occuparsi di Solženicyn?
C’è continuità. Solženicyn ha tracciato nel XX secolo la medesima linea di indagine artistica e pubblicistica della vita russa, delineata nel XIX secolo da Dostoevskij. Parlando in senso metaforico, i personaggi de I fratelli Karamazov (che hanno rispettivamente 20, 24 e 28 anni) nella maturità sarebbero finiti sotto la «Ruota rossa» della rivoluzione, e ciascuno avrebbe dovuto fare la propria scelta di vita. La vicenda di Solženicyn mi è apparsa estremamente interessante, perché vi ho scorto lo stesso potenziale di esperienza esistenziale e letteraria che possedeva Dostoevskij. I due scrittori sono molto simili nello sviluppo della propria concezione del mondo, nelle proprie ricerche e tensioni spirituali.

Perché scrivere un’opera così monumentale?
Aleksandr Isaevi? quando si imbatteva nelle diffamazioni, diceva: «Dicono il falso, come se fossi già morto». E io mi sono fatta un punto d’onore di scrivere di lui come di un vivo.

Dunque non siamo di fronte a un’apologia?
Dopo aver steso una prima redazione del libro, io stessa mi sono rivolta ad Aleksandr Isaevi? pregandolo di rivedere il testo solo sotto l’aspetto dei fatti esposti. Lui si meravigliò molto della mia richiesta, ma acconsentì, perché gli dissi: «Io non ho combattuto, non sono mai stata arrestata né detenuta in prigione e in lager, non ho mai avuto malattie mortali, e quindi posso commettere degli errori su aspetti concreti di queste realtà. Sarebbe un gran peccato se qualche errore grossolano su questi aspetti fattuali dovesse minare la fiducia nel libro. E lui è stato molto leale nel limitarsi al tipo di aiuto che gli avevo chiesto.

Erano molte le sue annotazioni?
Conservo le 900 pagine di quella prima stesura del libro, con le sue note in margine, e quando alcuni giornalisti televisivi esaminarono il dattiloscritto e lo ripresero nel corso di una trasmissione, si meravigliarono che le sue osservazioni fossero così poche. Non ho mostrato ad Aleksandr Isaevi? né la seconda redazione, né le bozze. Ha visto il libro solo quando è uscito. Direi che non si può certo parlare di agiografia.

Attualità e fortuna di Solženicyn restano comunque in bilico. Troppe incomprensioni, troppo odio.
In Solženicyn mi ha sempre impressionato l’onestà di fronte a se stesso. Non conosco nessun altro scrittore delle sue proporzioni, che in modo tanto franco e impietoso abbia riconosciuto i propri errori, abbia mostrato le proprie cattive azioni, i pensieri maligni, pentendosene davanti a tutto il mondo. E i suoi nemici ne hanno approfittato per trasformare le sue confessioni in «scoperte»: come se non fosse stato lui stesso a parlarne, ma fossero stati loro a trovare notizie per smascherarlo. Sarebbe come raccogliere un dossier attraverso la confessione per rovinare pubblicamente il suo autore. Oggi bisogna innanzitutto che Solženicyn venga letto. Quelli che lo insultano, al 99% non hanno mai letto niente di suo. Attualmente Solženicyn è lo scrittore meno letto in Russia. Conosco parecchie persone che, dopo averlo letto in maniera più o meno ampia, sono passati da una posizione negativa a una positiva. Il fenomeno Solženicyn è la storia dei pregiudizi esistenti su di lui.

Solženicyn si interrogava sulla sua ricezione critica in Occidente da parte dei colleghi scrittori? Aleksandr Isaevi? non si è limitato a interrogarsi sulla ricezione critica in Occidente da parte degli intellettuali occidentali, ma è entrato nel vivo della polemica con loro. Vorrei ricordarle che gli intellettuali europei degli anni ’60-70 erano, secondo Solženicyn, eccessivamente di sinistra, sostenevano eccessivamente il socialismo. Solženicyn riteneva che non si rendessero conto di che cosa sia stato il comunismo russo. E denunciando gli intellettuali di sinistra, egli esemplificava loro ciò che intendeva dire, mostrando come il socialismo teorico si fosse tramutato nello stalinismo e nei lager a regime speciale.

Nomi, grazie..
Condannò Sartre, quando questi propose Šolochov per il Nobel («Sartre non avrebbe potuto offendere più gravemente la letteratura russa»). Solženicyn rifiutò di incontrarlo, quando questi venne a Mosca: «Che incontro ci può mai essere fra due scrittori, se uno dei due interlocutori ha la bocca tappata e le mani legate?». Questo incontro per Solženicyn era «amaro, insostenibile», e non si recò al pranzo indetto in onore di Sartre all’albergo Pekin. La stessa amarezza gliela causò l’atteggiamento degli organizzatori del premio Nobel, che, impauriti dalla possibilità di complicazioni con l’URSS, gli proposero di andare a Stoccolma a riceverlo senza però pronunciare discorsi, senza tenere la lezione del Nobel, senza rilasciare interviste, senza incontrarsi con i giornalisti e senza vedere nessuno. A questo punto Solženicyn ricusò di andare, tanto più che sapeva che, una volta varcata la frontiera, gli avrebbero tolto la cittadinanza.

C’era un modello di indipendenza?
Certo che c’era. Prima di tutto Puškin. Per lui rappresentano dei punti di riferimento sia il respiro epico di Tolstoj, sia la sublimità profetica di Dostoevskij. A Solženicyn piaceva molto Zamjatin. Anna Achmatova era un suo idolo. Ma più di tutti amava Michail Bulgakov, negli anni ’60 era in contatto con sua moglie, e considerava l’autore del Maestro e Margherita come un proprio fratello spirituale, ne avvertiva profondamente l’affinità sebbene, naturalmente, non l’avesse mai visto: Bulgakov morì nel 1940.

Proprio per il suo amore per la libertà da noi pochi hanno capito la sua passione prima per Eltsin e poi per Putin.
La simpatia iniziale di Solženicyn per Eltsin si trasformò in acuta delusione: lo aveva infatti interpretato come una sorta di «orso russo», retto, onesto e disinteressato, estraneo a cupidigie e maneggi. Tuttavia, una volta tornato in Russia, Aleksandr Isaevi? dovette rendersi conto che questi, anziché ricostruire il Paese, pensava ad assicurarsi poltrone e residenze. Putin, quando Aleksandr Isaevi? lo ricevette nel 2000 a casa sua, gli sembrò invece un’altra persona: un uomo che non pensava alle proprie tasche ma al bene del Paese.

Con un cattivo rapporto però – per usare un eufemismo - con i giornalisti.
Solženicyn riponeva grandi speranze in Putin. Ma la sua critica del regime putiniano era così argomentata, che non sarebbe mai potuto diventare un’icona della propaganda, e in effetti non lo è mai diventato. I nostri liberali avevano una gran paura che Putin ascoltasse Solženicyn e abolisse gli esiti della privatizzazione ladresca. È ancora da appurare chi abbia esercitato un influsso su chi. È quello che Putin ha detto ai giornalisti nel 2007, recandosi da Solženicyn: «Abbiamo preso molte cose da lui». Per iniziativa di Putin nel 2010 è stata pubblicata una versione ridotta di Arcipelago GULag, diventato materia d’obbligo nella scuola, e io stessa nell’ottobre scorso ho partecipato a una conferenza-stampa indetta su questo tema da «Rossijskaja gazeta». La stampa ne ha parlato come di un paradosso: che bisogno aveva un ex-?ekista di far leggere e studiare a scuola Arcipelago GULag? Natal’ja Solženicyna ha affermato pubblicamente che sulla bilancia della storia questo gesto di Putin avrà un suo peso.

Come valutava l’autore la secolarizzazione della Russia?
La Russia è catastroficamente incapace di trarre lezioni dal proprio passato, come pure dagli ammonimenti dei propri scrittori, che possiedono una capacità di riflettere sulla storia e di prevedere gli esiti futuri degli avvenimenti presenti. A suo tempo la Russia non aveva creduto ai Demoni di Dostoevskij, ed è successo quello che è successo. D’altra parte la Russia è sempre stata un paese «letterariocentrico», in cui spesso la letteratura ha sostituito la filosofia e la religione. Sovente nel nostro paese si sente dire: la mia religione sono i classici della letteratura russa. Per quanto riguarda la secolarizzazione della Russia, Solženicyn ne ha parlato ampiamente nella Ruota rossa: intere classi e ceti sociali avevano abbandonato la fede e la Chiesa prima ancora della rivoluzione, e non dopo.

Questo che significa?
La colpa del fatto che la Russia sia precipitata in un bagno di sangue grava anche sulla Chiesa storica, che, come ha scritto Solženicyn, rimase sorda alle sventure del popolo. Non molto tempo fa si è acceso un vasto dibattito sulle Riflessioni sulla rivoluzione di febbraio di Solženicyn, da cui è emersa la consapevolezza che sulle questioni della storia russa Solženicyn sia una figura consolidante a livello nazionale. Ma a me sembra che la cultura russa non abbia ancora raggiunto al proprio interno una consapevolezza unanime sul significato che Solženicyn riveste per essa, e su chi lo scrittore sia stato per la Russia – un disintegratore dell’URSS o un geniale veggente della storia russa e del nostro futuro.



Quale Europa? di Robi Ronza 11-12-2010 dal sito http://www.labussolaquotidiana.it

L’Unione Europea è un punto di forza delle tendenze neo-autoritarie che, anche nei Paesi di democrazia consolidata percorrono il nostro tempo. Sarebbe pertanto ora di cominciare a parlarne rompendo il muro di consenso acritico che circonda l’Unione e le sue istituzioni. Occorre sfuggire alla tagliola concettuale secondo cui chi è contro questo tipo di Europa allora ipso facto è “euroscettico”, insomma anti-europeo. Una tagliola concettuale che somiglia molto a quella che nel Risorgimento Cavour fece scattare purtroppo con successo a vantaggio dell’Italia che voleva fare lui, ovvero un’imitazione tarda e provinciale dello Stato francese; e con i risultati  che oggi sempre più si vedono e che nessun lustrino ufficiale del Centocinquantesimo dell’Unità d’Italia basta a coprire.

Il dibattito va aperto, e se lo si apre a mio avviso non si può che condividere quanto Joseph Weiler, il celebre studioso di diritto europeo, disse a conclusione della lectio magistralis che tenne a Milano il 7 maggio 2009 appunto su tale tema: “(…) l’Unione Europea è un fenomeno curioso: proclama nobili valori come democrazia, prosperità e solidarietà, diritti umani, Stato di diritto, cittadinanza europea. (…) ma nel suo modus operandi curiosamente milita contro le stesse virtù che ne sono necessariamente sia la causa che l’effetto. Che cosa ne è stato del famoso aforisma di Monnet, ‘’Nous ne coalisons pas des Etats, nous unissons des hommes’’? Da un punto di vista materiale l’Europa è un grande successo; dal punto di vista spirituale invece i suoi risultati sono molto più controversi” (cfr. Confronti 2/2009 in ).

Le istituzioni europee nascono, come noto, al termine della seconda guerra mondiale per concorde opera di tre statisti, il tedesco Adenauer, il francese Schuman e l’italiano De Gasperi, legati anche dal fatto di essere tutti e tre cattolici, tutti e tre nati e cresciuti in territori dove era sensibile l’eredità del Sacro romano impero e tutti e tre in tutto o in parte di cultura tedesca.  Schuman perché nato e cresciuto nella Lorena allora inclusa nel Reich germanico e De Gasperi perché nato e cresciuto nell’odierno Trentino quando era ancora parte dell’Austria-Ungheria e divenuto anche deputato della sua terra nella Dieta imperiale austriaca. In origine il richiamo al Sacro romano impero era stato evidente, come ancora appare dal nome del primo palazzo eretto a Bruxelles per ospitare gli  uffici delle istituzioni europee e dal nome del  maggiore premio d’onore che l’Unione concede, che in entrambi i casi è “Carlo Magno”.

In seguito, e segnatamente dall’entrata nell’Unione della Gran Bretagna in avanti,  lo sviluppo di tali istituzioni ha preso tutt’altra via lasciando uno spazio sempre maggiore a filosofie politiche di tipo massonico e neo-autoritario “illuminato”. In tale prospettiva la battaglia contro la citazione delle radici cristiane nella Costituzione europea (un mostro giuridico poi provvidenzialmente naufragato) non è un incidente e nemmeno uno sbandamento. E’ piuttosto la logica conseguenza di premesse che erano state poste con forza ormai da anni. Il dibattito, dicevamo, va allora aperto; ed è questa una delle richieste da porre con fermezza a chi nel Parlamento europeo ha tale sensibilità, o almeno dovrebbe averla in forza di chi lo ha votato. 


Avvenire.it, 11 dicembre 2010 - I diritti civili e i burocrati di pechino - Incalzati dal potere dei senza potere di Luigi Geninazzi

Una sedia vuota sul palco di un piccolo Paese nord-europeo ha fatto tremare gli scranni dei potenti che governano la nazione più grande del mondo. Sul palco di Oslo, a ritirare il premio Nobel per la Pace 2010, doveva esserci Liu Xiaobo, il dissidente di Pechino promotore di un manifesto per i diritti umani, condannato a undici anni di prigione dal regime cinese e rinchiuso in un carcere della Manciuria. Era già successo che il candidato al prestigioso riconoscimento non potesse recarsi nella capitale norvegese, "trattenuto" in Unione Sovietica come Andrej Sacharov nel 1975, o in Polonia come Lech Walesa nel 1983. Nel segno di un’ipocrita benevolenza quei regimi comunisti avevano però acconsentito che fossero le mogli a ritirare il premio.

La Cina del capitalismo rampante e del comunismo perdurante è riuscita a fare di peggio, impedendo anche alla moglie di Liu Xiaobo, agli arresti domiciliari, come pure ai suoi amici e compagni di lotta, costantemente sotto minaccia, di presenziare alla cerimonia di Oslo. E così quest’anno il Premio Nobel per la pace non si è potuto consegnare ed è stato deposto simbolicamente su una sedia vuota. Come nel lontano 1936, quando il vincitore languiva in una prigione della Germania nazista. Non è proprio un bell’accostamento per il Paese che ha eretto una Grande Muraglia d’intimidazioni e censure attorno al Nobel per la pace assegnato per la prima volta ad un esponente del dissenso cinese. Pechino ha reagito all’evento con un furore che a prima vista appare decisamente esagerato e incomprensibile. "Charta 08", il manifesto per la libertà stilato da Liu Xiaobo e da altri intellettuali, è stato sottoscritto da dodicimila persone, una goccia nell’oceano di un miliardo e trecento milioni di cinesi.

Pochissimi di loro conoscono il vincitore del Premio Nobel contro cui si sono scatenati gli eredi di Mao che hanno fatto di tutto in queste settimane per screditare la giuria e la cerimonia di Oslo, minacciando la Norvegia di sanzioni economiche e gridando al complotto internazionale. Una furibonda reazione che tradisce la paura del regime comunista di fronte ad un cittadino che si limita a reclamare con metodi non violenti il rispetto dei diritti umani garantiti dalla stessa Costituzione votata nel 2004 dal parlamento cinese.

E’ il potere dei senza potere, teorizzato da Havel in "Charta 77" e ripreso dal manifesto di Liu, il fantasma che inquieta i burocrati rossi di Pechino. Il loro nervosismo si è manifestato in questi giorni anche nei confronti dei cattolici con una serie di atti di forza per ricondurre i vescovi cinesi all’obbedienza verso l’Associazione Patriottica, l’organo di controllo statale sulla Chiesa. E la loro arroganza non ha avuto confini, premendo su molti Paesi perché boicottassero la cerimonia del Nobel.

E così sul palco di Oslo è andata in scena la rappresentazione del contrasto che divide il mondo globalizzato fra chi crede nella libertà come valore universale e chi la immiserisce restringendola al suo significato economico. 18 Paesi, oltre la Cina, si sono rifiutati di rendere omaggio al Nobel per la pace 2010. Nell’elenco compaiono dittature come Cuba e Venezuela, ma anche Afghanistan ed Iraq (dove si sono fatte le guerre per «esportare la democrazia»!). E c’è anche la Russia che tradisce la memoria della nazione e gira le spalle ai grandi dissidenti come Sacharov e Solgenitsyn. Una decisione che svergogna Putin molto più delle rivelazioni di Wikileaks.
Attorno alla sedia vuota di Oslo il mondo è tornato a dividersi. E come nell’antica fiaba è diventato evidente che l’imperatore di Pechino è nudo ed è ora che corra ai ripari.


Avvenire.it, 10 dicembre 2010 – DIBATTITO - La Riforma: se questa è modernità di Luca Gallesi


Se il monaco agostiniano Martin Lutero avesse anche solo lontanamente immaginato le conseguenze del suo gesto, probabilmente avrebbe evitato di affiggere al portone della cattedrale di Wittenberg quelle che sarebbero diventate famose come «le 95 tesi».

Questa è una delle tante conclusioni a cui giunge William G. Naphy, docente all’Università di Aberdeen e autore della Rivoluzione protestante. L’altro cristianesimo (Cortina, pp. 354, euro 27), uno studio sull’eredità, complessa e a volte con­traddittoria, della Riforma protestante. Il saggio ripercorre in modo brillante e scorrevole la storia del Protestantesimo dagli albori ai giorni nostri – il sottotitolo originale recita: Da Martin Lutero a Martin Luther King – con l’intenzione di evidenziare il ruolo determinante della Riforma nel processo di modernizzazione dell’Occidente. Certo, sottolinea l’autore, la Riforma è solo una delle molteplici cause della modernizzazione, ma va evidenziato il fatto che ne accompagna il corso fino ai giorni no­stri. E, se è vero che le principali confessioni protestanti vedono oggi un repentino calo di popolarità, dalla diminuzione dei fedeli che frequentano le chiese luterane alle sempre più numerose richieste di esponenti del clero an­glicano di abbracciare il Cattolicesimo, è al­trettanto vero che l’eredità del Protestantesimo non si limita solo alla sfera religiosa. Il Prote­stantesimo, per esempio, ha influito sull’arte, prima con le furiose ondate iconoclastiche, poi, in tempi recenti, incoraggiando la ricerca minimalista di molti artisti contemporanei, così come la Riforma ha dato anche impulso, in campo letterario, alla diaristica e alla letteratura introspettiva.

Ma è soprattutto nel campo politico e sociale che va individuato l’influsso protestante, presente per esempio nelle battaglie per i «diritti civili» che, secondo l’Autore, sono una conseguenza diretta dell’enfasi luterana sulla coscienza del singolo e sull’importanza delle scelte individuali. Inevitabilmente, però, la mancanza di una fonte di autorità indiscussa e indiscutibile ha portato a una serie pressochè interminabile di scismi e di insanabili contraddizioni; come ironicamente conclude Naphy, Lutero ha «so­stituito il meccanismo dell’autorità con la ricetta per il disordine».

Dunque, il «vaso di Pandora» scoperchiato da Lutero il 31 ottobre 1517 incendia rapidamente tutta l’Europa, complice la diffusione della stampa. Le spesso reali esigenze morali dell’individuo si in­trecciano, questa volta, con le altrettanto reali priorità della politica, che, al contrario di quanto accaduto in passato ai precedenti movimenti ereticali, si alleano e incoraggiano il diffondersi del Protestantesimo. L’autore ripercorre a grandi linee la storia dell’Occidente, prestando attenzione sia alle grandi chiese – luterana, calvinista e anglicana – sia, e qui sta forse il merito principale del li­bro, a tutte quelle altre chiese, cosiddette 'radicali', che continuano inevitabilmente a germogliare. La coscienza dell’individuo, in relazione personale con Dio attraverso la verità rivelata dalla Bibbia, trova da sola la risposte che desidera, e Naphy riporta correttamente le posizioni opposte che caratterizzavano – e caratterizzano ancora oggi – le diverse confessioni protestanti davanti a temi importanti come la discriminazione o la difesa delle minoranze; nella Bibbia, infatti, si trovano argomenti tanto a condanna quanto a giu­stificazione della schiavitù e della segregazione razziale, come vediamo chiaramente nella storia degli Usa. Se infatti ci sono dei prote­stanti tra i sostenitori dell’emancipazione femminile, ce ne sono ancora di più convinti tra i membri del Ku Klux Klan, che non perseguitavano solo gli afroamericani ma se la prendevano anche contro i cattolici. Lasciato a se stesso, il lettore delle Sacre Scritture sceglie da solo se la verità che gli interessa è quella che riguarda la necessità di «porgere l’altra guancia» o quella di «bruciare le streghe», precetti contenuti allo stesso modo nella Bibbia.
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Avvenire.it, 10 dicembre 2010 – MITI - Kierkegaard e Dracula - la strana coppia dei Lumi di Andrea Monda

Quanti sono i volti del vampiro? Meglio: quel suo volto sfuggente, che nean­che gli specchi riescono a fermare, di quante sfumature si è arricchito nel corso dei secoli? E, so­prattutto, come mai il mito di Nosferatu, del Non-Morto, non muore mai, sempre risuscita e continua a mietere vittime e successo a piene mani? Prova a ri­spondere a queste domande il saggio Il mito del vampiro di Mario Barzaghi, edito da Rubbettino – presso la cui sede viene presentato oggi alle 17,30 – nella collana intitolata Le nottole di Minerva, una scelta indovinata: l’uccello notturno è l’immagine della filosofia omnicomprensiva che, come scrive Hegel, «inizia il suo volo sul far del crepuscolo» perché «la filosofia arriva sempre troppo tardi. Come pensiero del mondo, essa appare per la prima volta nel tempo, dopo che la realtà ha compiuto il suo processo di formazione ed è bell’e fatta».

Il libro di Barzaghi, autore in precedenza di saggi su Rousseau e Adorno, è un te­sto filosofico ma, sia per l’argomento sia per il tono, di semplice accesso e godibilità per tutti i lettori ai quali racconta l’intera parabola di questo che è uno degli ultimi grandi miti non solo della letteratura, come è indicato dal sottotitolo: «Da demone della morte nera a spettro della modernità». La leggenda del vampiro vive di stratificazioni che affondando le radici già nell’antichità. Pur perdendosi nella nebulosa del mito, questa vicenda en­tra nella storia e quindi conosce anche date precise, che Barzaghi meticolosamente annota: 1732, è quando per la prima volta il termine "vampiro" compare nell’Europa occidentale, proveniente dal serbo vàmpir; 1819, con Il vampiro di Polidori questa figura entra definitivamente nella letteratura; 1897, l’anno della consacrazione, esce il romanzo Dracula di Bram Stoker. Nel XX secolo sarà poi la volta del cinema, da Murnau a Coppola, da Fi­sher a Herzog fino ai vampiri di Twilight).

Il saggio ripercorre queste date cercando innanzitutto di raccontare lo sviluppo del mito. Non solo cronistoria di un mito millenario, ma an­che tentativo di com­prensione: come mai, si chiede l’autore, "esplode" questa figura così intrisa di antiche superstizioni pro­prio nel secolo dei Lumi? Felice in questo senso l’acco­stamento della figura di Dracula a quella di Don Giovanni e di Faust: i tre hanno diversi punti in comune, essendo anch’essi miti "stratificati" che hanno trovato poi una figura di "codificatore" (Mozart, Goe­the e Stoker).

Questi tre spet­tri della modernità si muovono come reazioni, anzi come ribellioni demoniache (e qui è forte la lezione di Kierkegaard): Don Giovanni ovvero il demone della sensualità, Faust come ribellione allo spirito cri­stiano, Dracula come segno del fallimento dello spirito moderno nel suo progetto di realizzare un universo, scrive Barzaghi, «finalmente liberato dalle sue forze oscure e dagli oggetti mitici limitanti e riducenti le sue effettive, illimitate possibilità di disposizione della natura».

Kierkegaard e Dracula, una strana coppia senz’altro, ma che in fondo viene a contestare l’affermazione di Hegel della filosofia come "conciliazione": dopo il crepuscolo annunciato dal volo della nottola di Minerva, è il tempo della notte, funestato dal volo dei vampiri, che in fondo ci ricordano che, come diceva Chesterton, il pazzo non è colui che ha perso la ragione, ma colui che ha perso tutto tranne la ragione.


11/12/2010 - CINA - HONG KONG - Giornalisti aggrediti davanti alla casa dell’attivista arrestato per lo scandalo della melamina

Un gruppo di reporter di Hong Kong è stato preso a schiaffi e insulti da 40 guardie di quartiere sotto gli occhi indifferenti della polizia. I giornalisti stavano svolgendo un servizio sulla famiglia di Zhao Lianhai, dall’11 novembre in carcere per aver organizzato le famiglie vittime del latte avvelenato.


Pechino (AsiaNews/ Agenzie) – Continuano le aggressioni contro i giornalisti davanti all’abitazione di Zhao Lianhai, attivista condannato lo scorso 11 novembre  per l’aiuto e l’organizzazione delle famiglie vittime dello scandalo del latte alla melamina. Ieri, 40 guardie di quartiere hanno assaltato con schiaffi e insulti quattro reporter di Hong Kong inviati sul posto per intervistare i familiari dell’attivista.

Teresa Wong Wai-Piu, corrispondente della televisione RTHK di Hong Kong, dice che lei e i suoi colleghi sono stati picchiati senza motivo, non appena hanno acceso le telecamere per iniziare il servizio. “Da alcuni mesi - fa notare la Wong - le violenze da parte delle guardie di quartiere davanti alla casa di Zhao sono in aumento”. La reporter sottolinea l’indifferenza della polizia che ha assistito alla scena senza intervenire.

L’aggressione ha suscitato le proteste del governo di Hong Kong, che attraverso il suo portavoce ha chiesto maggiore sicurezza per i giornalisti, che non devono essere trattati in modo violento. Franklin Wong Wah-kay, direttore delle trasmissioni della Rthk, ha affermato: “E’ 'inaccettabile che dei giornalisti siano attaccati senza motivo mentre lavorano su notizie considerate di normale copertura”.

Intanto, non si hanno ancora notizie di Zhao Lianhai, scomparso dopo la condanna, anche se nei giorni scorsi i quotidiani di Pechino avevano annunciato un suo eventuale rilascio per motivi di salute. La scorsa settimana, un giornale di proprietà statale del Guangdong, il Time Weekly, ha segnalato Zhao per il suo impegno a favore della popolazione locale. 


11/12/2010 – EGITTO - Proteste per il blocco alla chiesa delle Piramidi. “Il governo discrimina i cristiani”- Sono ancora in carcere 168 copti (fra cui 20 ragazzini) arrestati durante la manifestazione del 24 novembre contro il blocco alla costruzione della chiesa non voluta dai musulmani radicali. La richiesta a Mubarak di punire chi ha autorizzato l’uso delle armi (AsiaNews/Agenzie).


Il Cairo (AsiaNews/Agenzie) – Ancora proteste in Egitto in seguito alla durissima reazione delle forze di sicurezza durante le manifestazioni legate alla costruzione bloccata della chiesa delle Piramidi. Durante la manifestazione del 24 novembre le forze di sicurezza hanno aperto il fuoco sulla folla disarmata che circondava la sede del governatore di Giza, uccidendo tre persone. Un bambino di quattro anni ha perso la vita perché soffocato dai gas lacrimogeni. Molte decine di persone sono rimaste ferite a causa della brutalità della repressione della polizia; fra di essi 38 bambini.

Le forze di sicurezza hanno arrestato 168 copti, che sono ancora detenuti; fra loro ci sono 20 minori, al di sotto dei 18 anni di età, che sono rinchiusi nel centro di detenzione giovanile di Al Marg. Una richiesta per la loro liberazione è giunta anche da International Christian Concern (Icc), un organismo con base negli Stati Uniti che ha come compito quello di monitorare la situazione dei cristiani nel mondo. Il 4 dicembre scorso il responsabile dell’Unione egiziana per i diritti umani, Naguib Ghobrial, ha organizzato una manifestazione davanti all’Alta corte dell’Egitto a cui hanno partecipato sia cristiani che musulmani per chiedere la liberazione dei detenuti, in particolare dei minori, e l’incriminazione del governatore di Giza e del capo della Sicurezza che il 24 novembre autorizzarono l’uso di pallottole attive contro i manifestanti.

Aidan Clay, direttore regionale per il Medio Oriente per Icc, ha detto: “Mentre la maggior parte degli attacchi contro i copti sono commessi da gruppi di musulmani, l’attacco sui manifestanti disarmati è stato il primo, a memoria recente, autorizzato da una branca del governo e compiuto da forze di sicurezza egiziane. La persecuzione anti-cristiana in Egitto sta raggiungendo un nuovo livello, dal momento che i copti non sono solo discriminati, ma sono presi a bersaglio e uccisi dal governo. Chiediamo al presidente Mubarak di agire immediatamente per perseguire chi ha autorizzato l’attacco e liberare i manifestanti detenuti, in particolare i ragazzi. Se non fa così, sarà chiaro che il regime di Mubarak e i tribunali egiziani autorizzano e incoraggiano la violenza contro i cristiani”.