Nella rassegna stampa di oggi:
1) Regina Pacis Di Medjugorje Messaggio "Cari figli, oggi io e mio Figlio Gesù desideriamo darvi l’abbondanza della gioia e della pace affinchè ciascuno di voi sia gioioso portatore e testimone della pace e della gioia nei luoghi dove vivete. Figlioli siate benedizione e siate pace. Grazie per ver risposto alla mia chiamata."
2) Radio Vaticana, notizia del 26/12/2010 - Il Papa all'Angelus: imitare la santa Famiglia per superare nell'amore le difficoltà. Appello di pace dopo le nuove violenze anticristiane
3) OMELIA DI BENEDETTO XVI NELLA MESSA DELLA NOTTE DI NATALE - "Sì, ora è veramente un bambino Colui sulle cui spalle è il potere" (ZENIT.org)
4) MESSAGGIO NATALIZIO "URBI ET ORBI" DI BENEDETTO XVI - “La Verità è Amore, domanda la fede, il 'sì' del nostro cuore” (ZENIT.org)
5) 24/12/2010- CINA - Il Natale dei cattolici cinesi, nonostante la neve e la persecuzione di Zhen Yuan - Nell’innevato nordest del Paese alcuni sacerdoti non-ufficiali andranno in più chiese per la messa di mezzanotte, per stare con i fedeli. A Xiamen sarà rappresentata la storia della Natività, per farla meglio comprendere ai molti non cattolici che vengono a messa per Natale (AsiaNews).
6) Il discorso del Papa alla Curia romana - Quando la coscienza è una finestra sulla verità di Francesco Ventorino (©L'Osservatore Romano - 25 dicembre 2010)
7) IL NATALE E IL SANGUE DEI CRISTIANI di Andrea Tornielli 27-12-2010 da http://www.labussolaquotidiana.it
8) Dalla Nigeria alle Filippine, un Natale di sangue di Antonio Giuliano 27-12-2010 da http://labussolaquotidiana.it
9) E il Papa spiegò Dickens alla Bbc di Massimo Introvigne 27-12-2010 da http://www.labussolaquotidiana.it
10) IL CASO/ Il Manifesto che "trasforma" i neonati in persone Carlo Bellieni - lunedì 27 dicembre 2010 - ilsussidiario.net
11) Il grande ritorno di Cristo Re di Massimo Introvigne 27-12-2010 da http://labussolaquotidiana.it
Radio Vaticana, notizia del 26/12/2010 - Il Papa all'Angelus: imitare la santa Famiglia per superare nell'amore le difficoltà. Appello di pace dopo le nuove violenze anticristiane
Il Papa, all’Angelus oggi in Piazza San Pietro, ha invitato ad accogliere come “modello di vita” la santa Famiglia, che oggi la Chiesa festeggia, per superare nell’amore prove e preoccupazioni. Ha quindi sottolineato quanto sia importante che ogni bambino, venendo al mondo, sia accolto dall’amore del padre e della madre. Infine, ha lanciato un nuovo appello di pace dopo le violenze anticristiane in Nigeria e nelle Filippine. Il servizio di Sergio Centofanti:
Il Papa invita a contemplare la scena della santa Famiglia nella Grotta di Betlemme: “il piccolo Gesù appare al centro dell’affetto e delle premure dei suoi genitori”. Maria e Giuseppe custodiscono nei loro cuori il mistero della nascita del Figlio di Dio:
“Eppure, la nascita di ogni bambino porta con sé qualcosa di questo mistero! Lo sanno bene i genitori che lo ricevono come un dono e che, spesso, così ne parlano. A tutti noi è capitato di sentir dire a un papà e a una mamma: ‘Questo bambino è un dono, un miracolo!’”.
“In effetti – ha affermato il Papa - gli esseri umani vivono la procreazione non come mero atto riproduttivo, ma ne percepiscono la ricchezza, intuiscono che ogni creatura umana che si affaccia sulla terra è il ‘segno’ per eccellenza del Creatore e Padre che è nei cieli”:
“Quant’è importante, allora, che ogni bambino, venendo al mondo, sia accolto dal calore di una famiglia! Non importano le comodità esteriori: Gesù è nato in una stalla e come prima culla ha avuto una mangiatoia, ma l’amore di Maria e di Giuseppe gli ha fatto sentire la tenerezza e la bellezza di essere amati. Di questo hanno bisogno i bambini: dell’amore del padre e della madre. E’ questo che dà loro sicurezza e che, nella crescita, permette la scoperta del senso della vita”.
Benedetto XVI ricorda che la santa Famiglia di Nazareth ha attraversato molte prove, come la fuga in Egitto, ma che, confidando nella divina Provvidenza, ha assicurato a Gesù “un’infanzia serena e una solida educazione”. La santa Famiglia – aggiunge - “è certamente singolare e irripetibile, ma al tempo stesso è ‘modello di vita’ per ogni famiglia” che su questo esempio è chiamata ad affrontare problemi e preoccupazioni “con profondo amore e reciproca comprensione”:
“Affidiamo pertanto alla Madonna e a san Giuseppe tutte le famiglie, affinché non si scoraggino di fronte alle prove e alle difficoltà, ma coltivino sempre l’amore coniugale e si dedichino con fiducia al servizio della vita e dell’educazione”.
Dopo la preghiera dell’Angelus, il Papa ricorda con tristezza le violenze che hanno continuato a colpire anche in questi giorni di festa i cristiani come “l’attentato in una chiesa cattolica nelle Filippine, mentre si celebravano i riti del giorno di Natale” e “l’attacco a chiese cristiane in Nigeria”. Ma “la terra – ha sottolineato - si è macchiata ancora di sangue in altre parti del mondo come in Pakistan”:
“Desidero esprimere il mio sentito cordoglio per le vittime di queste assurde violenze, e ripeto ancora una volta l’appello ad abbandonare la via dell’odio per trovare soluzioni pacifiche dei conflitti e donare alle care popolazioni sicurezza e serenità. In questo giorno in cui celebriamo la Santa Famiglia, che visse la drammatica esperienza di dover fuggire in Egitto per la furia omicida di Erode, ricordiamo anche tutti coloro – in particolare le famiglie - che sono costretti ad abbandonare le proprie case a causa della guerra, della violenza e dell’intolleranza. Vi invito, quindi, ad unirvi a me nella preghiera per chiedere con forza al Signore che tocchi il cuore degli uomini e porti speranza, riconciliazione e pace”.
OMELIA DI BENEDETTO XVI NELLA MESSA DELLA NOTTE DI NATALE - "Sì, ora è veramente un bambino Colui sulle cui spalle è il potere" (ZENIT.org)
CITTA' DEL VATICANO, sabato, 25 dicembre 2010 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito l'omelia pronunciata da Benedetto XVI nel presiedere nella Basilica Vaticana la Messa della notte di Natale.
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Cari fratelli e sorelle!
“Tu sei mio figlio, io oggi ti ho generato” – con questa parola del Salmo secondo, la Chiesa inizia la liturgia della Notte Santa. Essa sa che questa parola originariamente apparteneva al rituale dell’incoronazione dei re d’Israele. Il re, che di per sé è un essere umano come gli altri uomini, diventa “figlio di Dio” mediante la chiamata e l’insediamento nel suo ufficio: è una specie di adozione da parte di Dio, un atto di decisione, mediante il quale Egli dona a quell’uomo una nuova esistenza, lo attrae nel suo proprio essere. In modo ancora più chiaro la lettura tratta dal profeta Isaia, che abbiamo appena ascoltato, presenta lo stesso processo in una situazione di travaglio e di minaccia per Israele: “Un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio. Sulle sue spalle è il potere” (9,5). L’insediamento nell’ufficio del re è come una nuova nascita. Proprio come nuovo nato dalla decisione personale di Dio, come bambino proveniente da Dio, il re costituisce una speranza. Sulle sue spalle poggia il futuro. Egli è il detentore della promessa di pace. Nella notte di Betlemme, questa parola profetica è diventata realtà in un modo che al tempo di Isaia sarebbe stato ancora inimmaginabile. Sì, ora è veramente un bambino Colui sulle cui spalle è il potere. In Lui appare la nuova regalità che Dio istituisce nel mondo. Questo bambino è veramente nato da Dio. È la Parola eterna di Dio, che unisce l’una all’altra umanità e divinità. Per questo bambino valgono i titoli di dignità che il cantico d’incoronazione di Isaia gli attribuisce: Consigliere mirabile – Dio potente – Padre per sempre – Principe della pace (9,5). Sì, questo re non ha bisogno di consiglieri appartenenti ai sapienti del mondo. Egli porta in se stesso la sapienza e il consiglio di Dio. Proprio nella debolezza dell’essere bambino Egli è il Dio forte e ci mostra così, di fronte ai poteri millantatori del mondo, la fortezza propria di Dio.
Le parole del rituale dell’incoronazione in Israele, in verità, erano sempre soltanto rituali di speranza, che prevedevano da lontano un futuro che sarebbe stato donato da Dio. Nessuno dei re salutati in questo modo corrispondeva alla sublimità di tali parole. In loro, tutte le parole sulla figliolanza di Dio, sull’insediamento nell’eredità delle genti, sul dominio delle terre lontane (Sal 2,8) restavano solo rimando a un avvenire – quasi cartelli segnaletici della speranza, indicazioni che conducevano verso un futuro che in quel momento era ancora inconcepibile. Così l’adempimento della parola che inizia nella notte di Betlemme è al contempo immensamente più grande e – dal punto di vista del mondo – più umile di ciò che la parola profetica lasciava intuire. È più grande, perché questo bambino è veramente Figlio di Dio, veramente “Dio da Dio, Luce da Luce, generato, non creato, della stessa sostanza del Padre”. L’infinita distanza tra Dio e l’uomo è superata. Dio non si è soltanto chinato verso il basso, come dicono i Salmi; Egli è veramente “disceso”, entrato nel mondo, diventato uno di noi per attrarci tutti a sé. Questo bambino è veramente l’Emmanuele – il Dio-con-noi. Il suo regno si estende veramente fino ai confini della terra. Nella vastità universale della santa Eucaristia, Egli ha veramente eretto isole di pace. Ovunque essa viene celebrata si ha un’isola di pace, di quella pace che è propria di Dio. Questo bambino ha acceso negli uomini la luce della bontà e ha dato loro la forza di resistere alla tirannia del potere. In ogni generazione Egli costruisce il suo regno dal di dentro, a partire dal cuore. Ma è anche vero che “il bastone dell’aguzzino” non è stato spezzato. Anche oggi marciano rimbombanti i calzari dei soldati e sempre ancora e sempre di nuovo c’è il “mantello intriso di sangue” (Is 9,3s). Così fa parte di questa notte la gioia per la vicinanza di Dio. Ringraziamo perché Dio, come bambino, si dà nelle nostre mani, mendica, per così dire, il nostro amore, infonde la sua pace nel nostro cuore. Questa gioia, tuttavia, è anche una preghiera: Signore, realizza totalmente la tua promessa. Spezza i bastoni degli aguzzini. Brucia i calzari rimbombanti. Fa che finisca il tempo dei mantelli intrisi di sangue. Realizza la promessa: “La pace non avrà fine” (Is 9,6). Ti ringraziamo per la tua bontà, ma ti preghiamo anche: mostra la tua potenza. Erigi nel mondo il dominio della tua verità, del tuo amore – il “regno della giustizia, dell’amore e della pace”.
“Maria diede alla luce il suo figlio primogenito” (Lc 2,7). Con questa frase, san Luca racconta, in modo assolutamente privo di pathos, il grande evento che le parole profetiche nella storia di Israele avevano intravisto in anticipo. Luca qualifica il bambino come “primogenito”. Nel linguaggio formatosi nella Sacra Scrittura dell’Antica Alleanza, “primogenito” non significa il primo di una serie di altri figli. La parola “primogenito” è un titolo d’onore, indipendentemente dalla questione se poi seguono altri fratelli e sorelle o no. Così, nel Libro dell’Esodo (Es 4,22), Israele viene chiamato da Dio “il mio figlio primogenito”, e con ciò si esprime la sua elezione, la sua dignità unica, l’amore particolare di Dio Padre. La Chiesa nascente sapeva che in Gesù questa parola aveva ricevuto una nuova profondità; che in Lui sono riassunte le promesse fatte ad Israele. Così la Lettera agli Ebrei chiama Gesù “il primogenito” semplicemente per qualificarLo, dopo le preparazioni nell’Antico Testamento, come il Figlio che Dio manda nel mondo (cfr Eb 1,5-7). Il primogenito appartiene in modo particolare a Dio, e per questo egli – come in molte religioni – doveva essere in modo particolare consegnato a Dio ed essere riscattato mediante un sacrificio sostitutivo, come san Luca racconta nell’episodio della presentazione di Gesù al tempio. Il primogenito appartiene a Dio in modo particolare, è, per così dire, destinato al sacrificio. Nel sacrificio di Gesù sulla croce, la destinazione del primogenito si compie in modo unico. In se stesso, Egli offre l’umanità a Dio e unisce uomo e Dio in modo tale che Dio sia tutto in tutti. Paolo, nelle Lettere ai Colossesi e agli Efesini, ha ampliato ed approfondito l’idea di Gesù come primogenito: Gesù, ci dicono tali Lettere, è il Primogenito della creazione – il vero archetipo dell’uomo secondo cui Dio ha formato la creatura uomo. L’uomo può essere immagine di Dio, perché Gesù è Dio e Uomo, la vera immagine di Dio e dell’uomo. Egli è il primogenito dei morti, ci dicono inoltre queste Lettere. Nella Risurrezione, Egli ha sfondato il muro della morte per tutti noi. Ha aperto all’uomo la dimensione della vita eterna nella comunione con Dio. Infine, ci viene detto: Egli è il primogenito di molti fratelli. Sì, ora Egli è tuttavia il primo di una serie di fratelli, il primo, cioè, che inaugura per noi l’essere in comunione con Dio. Egli crea la vera fratellanza – non la fratellanza, deturpata dal peccato, di Caino ed Abele, di Romolo e Remo, ma la fratellanza nuova in cui siamo la famiglia stessa di Dio. Questa nuova famiglia di Dio inizia nel momento in cui Maria avvolge il “primogenito” in fasce e lo pone nella mangiatoia. Preghiamolo: Signore Gesù, tu che hai voluto nascere come primo di molti fratelli, donaci la vera fratellanza. Aiutaci perché diventiamo simili a te. Aiutaci a riconoscere nell’altro che ha bisogno di me, in coloro che soffrono o che sono abbandonati, in tutti gli uomini, il tuo volto, ed a vivere insieme con te come fratelli e sorelle per diventare una famiglia, la tua famiglia.
Il Vangelo di Natale ci racconta, alla fine, che una moltitudine di angeli dell’esercito celeste lodava Dio e diceva: “Gloria a Dio nel più alto dei cieli e sulla terra pace agli uomini, che egli ama.” (Lc 2,14). La Chiesa ha amplificato questa lode, che gli angeli hanno intonato di fronte all’evento della Notte Santa, facendone un inno di gioia sulla gloria di Dio. “Ti rendiamo grazie per la tua gloria immensa”. Ti rendiamo grazie per la bellezza, per la grandezza, per la bontà di Dio, che in questa notte diventano visibili a noi. L’apparire della bellezza, del bello, ci rende lieti senza che dobbiamo interrogarci sulla sua utilità. La gloria di Dio, dalla quale proviene ogni bellezza, fa esplodere in noi lo stupore e la gioia. Chi intravede Dio prova gioia, e in questa notte vediamo qualcosa della sua luce. Ma anche degli uomini parla il messaggio degli angeli nella Notte Santa: “Pace agli uomini che egli ama”. La traduzione latina di tale parola, che usiamo nella liturgia e che risale a Girolamo, suona diversamente: “Pace agli uomini di buona volontà”. L’espressione “gli uomini di buona volontà” proprio negli ultimi decenni è entrata in modo particolare nel vocabolario della Chiesa. Ma quale traduzione è giusta? Dobbiamo leggere ambedue i testi insieme; solo così comprendiamo la parola degli angeli in modo giusto. Sarebbe sbagliata un’interpretazione che riconoscesse soltanto l’operare esclusivo di Dio, come se Egli non avesse chiamato l’uomo ad una risposta libera di amore. Sarebbe sbagliata, però, anche un’interpretazione moralizzante, secondo cui l’uomo con la sua buona volontà potrebbe, per così dire, redimere se stesso. Ambedue le cose vanno insieme: grazia e libertà; l’amore di Dio, che ci previene e senza il quale non potremmo amarLo, e la nostra risposta, che Egli attende e per la quale, nella nascita del suo Figlio, addirittura ci prega. L’intreccio di grazia e libertà, l’intreccio di chiamata e risposta non lo possiamo scindere in parti separate l’una dall’altra. Ambedue sono inscindibilmente intessute tra loro. Così questa parola è insieme promessa e chiamata. Dio ci ha prevenuto con il dono del suo Figlio. Sempre di nuovo Dio ci previene in modo inatteso. Non cessa di cercarci, di sollevarci ogniqualvolta ne abbiamo bisogno. Non abbandona la pecora smarrita nel deserto in cui si è persa. Dio non si lascia confondere dal nostro peccato. Egli ricomincia sempre nuovamente con noi. Tuttavia aspetta il nostro amare insieme con Lui. Egli ci ama affinché noi possiamo diventare persone che amano insieme con Lui e così possa esservi pace sulla terra.
Luca non ha detto che gli angeli hanno cantato. Egli scrive molto sobriamente: l’esercito celeste lodava Dio e diceva: “Gloria a Dio nel più alto dei cieli…” (Lc 2,13s). Ma da sempre gli uomini sapevano che il parlare degli angeli è diverso da quello degli uomini; che proprio in questa notte del lieto messaggio esso è stato un canto in cui la gloria sublime di Dio ha brillato. Così questo canto degli angeli è stato percepito fin dall’inizio come musica proveniente da Dio, anzi, come invito ad unirsi nel canto, nella gioia del cuore per l’essere amati da Dio. Cantare amantis est, dice Agostino: cantare è cosa di chi ama. Così, lungo i secoli, il canto degli angeli è diventato sempre nuovamente un canto di amore e di gioia, un canto di coloro che amano. In quest’ora noi ci associamo pieni di gratitudine a questo cantare di tutti i secoli, che unisce cielo e terra, angeli e uomini. Sì, ti rendiamo grazie per la tua gloria immensa. Ti ringraziamo per il tuo amore. Fa che diventiamo sempre di più persone che amano insieme con te e quindi persone di pace. Amen.
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MESSAGGIO NATALIZIO "URBI ET ORBI" DI BENEDETTO XVI - “La Verità è Amore, domanda la fede, il 'sì' del nostro cuore” (ZENIT.org)
CITTA' DEL VATICANO, sabato, 25 dicembre 2010 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito il Messaggio natalizio "Urbi et Orbi" pronunciato questo sabato da Benedetto XVI dalla Loggia centrale della Basilica Vaticana.
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"Verbum caro factum est" - "Il Verbo si fece carne" (Gv 1,14).
Cari fratelli e sorelle, che mi ascoltate da Roma e dal mondo intero, con gioia vi annuncio il messaggio del Natale: Dio si è fatto uomo, è venuto ad abitare in mezzo a noi. Dio non è lontano: è vicino, anzi, è l’"Emmanuele", Dio-con-noi. Non è uno sconosciuto: ha un volto, quello di Gesù.
E’ un messaggio sempre nuovo, sempre sorprendente, perché oltrepassa ogni nostra più audace speranza. Soprattutto perché non è solo un annuncio: è un avvenimento, un accadimento, che testimoni credibili hanno veduto, udito, toccato nella Persona di Gesù di Nazareth! Stando con Lui, osservando i suoi atti e ascoltando le sue parole, hanno riconosciuto in Gesù il Messia; e vedendolo risorto, dopo che era stato crocifisso, hanno avuto la certezza che Lui, vero uomo, era al tempo stesso vero Dio, il Figlio unigenito venuto dal Padre, pieno di grazia e di verità (cfr Gv 1,14).
"Il Verbo si fece carne". Di fronte a questa rivelazione, riemerge ancora una volta in noi la domanda: come è possibile? Il Verbo e la carne sono realtà tra loro opposte; come può la Parola eterna e onnipotente diventare un uomo fragile e mortale? Non c’è che una risposta: l’Amore. Chi ama vuole condividere con l’amato, vuole essere unito a lui, e la Sacra Scrittura ci presenta proprio la grande storia dell’amore di Dio per il suo popolo, culminata in Gesù Cristo.
In realtà, Dio non cambia: Egli è fedele a Se stesso. Colui che ha creato il mondo è lo stesso che ha chiamato Abramo e che ha rivelato il proprio Nome a Mosè: Io sono colui che sono … il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe … Dio misericordioso e pietoso, ricco di amore e di fedeltà (cfr Es 3,14-15; 34,6). Dio non muta, Egli è Amore da sempre e per sempre. E’ in Se stesso Comunione, Unità nella Trinità, ed ogni sua opera e parola mira alla comunione. L’incarnazione è il culmine della creazione. Quando nel grembo di Maria, per la volontà del Padre e l’azione dello Spirito Santo, si formò Gesù, Figlio di Dio fatto uomo, il creato raggiunse il suo vertice. Il principio ordinatore dell’universo, il Logos, incominciava ad esistere nel mondo, in un tempo e in uno spazio.
"Il Verbo si fece carne". La luce di questa verità si manifesta a chi la accoglie con fede, perché è un mistero d’amore. Solo quanti si aprono all’amore sono avvolti dalla luce del Natale. Così fu nella notte di Betlemme, e così è anche oggi. L’incarnazione del Figlio di Dio è un avvenimento che è accaduto nella storia, ma nello stesso tempo la oltrepassa. Nella notte del mondo si accende una luce nuova, che si lascia vedere dagli occhi semplici della fede, dal cuore mite e umile di chi attende il Salvatore. Se la verità fosse solo una formula matematica, in un certo senso si imporrebbe da sé. Se invece la Verità è Amore, domanda la fede, il "sì" del nostro cuore.
E che cosa cerca, in effetti, il nostro cuore, se non una Verità che sia Amore? La cerca il bambino, con le sue domande, così disarmanti e stimolanti; la cerca il giovane, bisognoso di trovare il senso profondo della propria vita; la cercano l’uomo e la donna nella loro maturità, per guidare e sostenere l’impegno nella famiglia e nel lavoro; la cerca la persona anziana, per dare compimento all’esistenza terrena.
"Il Verbo si fece carne". L’annuncio del Natale è luce anche per i popoli, per il cammino collettivo dell’umanità. L’"Emmanuele", Dio-con-noi, è venuto come Re di giustizia e di pace. Il suo Regno – lo sappiamo – non è di questo mondo, eppure è più importante di tutti i regni di questo mondo. E’ come il lievito dell’umanità: se mancasse, verrebbe meno la forza che manda avanti il vero sviluppo: la spinta a collaborare per il bene comune, al servizio disinteressato del prossimo, alla lotta pacifica per la giustizia. Credere nel Dio che ha voluto condividere la nostra storia è un costante incoraggiamento ad impegnarsi in essa, anche in mezzo alle sue contraddizioni. E’ motivo di speranza per tutti coloro la cui dignità è offesa e violata, perché Colui che è nato a Betlemme è venuto a liberare l’uomo dalla radice di ogni schiavitù.
La luce del Natale risplenda nuovamente in quella Terra dove Gesù è nato e ispiri Israeliani e Palestinesi nel ricercare una convivenza giusta e pacifica. L’annuncio consolante della venuta dell’Emmanuele lenisca il dolore e consoli nelle prove le care comunità cristiane in Iraq e in tutto il Medio Oriente, donando loro conforto e speranza per il futuro ed animando i Responsabili delle Nazioni ad una fattiva solidarietà verso di esse. Ciò avvenga anche in favore di coloro che ad Haiti soffrono ancora per le conseguenze del devastante terremoto e della recente epidemia di colera. Così pure non vengano dimenticati coloro che in Colombia ed in Venezuela, ma anche in Guatemala e in Costa Rica, hanno subito le recenti calamità naturali.
La nascita del Salvatore apra prospettive di pace duratura e di autentico progresso alle popolazioni della Somalia, del Darfur e della Costa d’Avorio; promuova la stabilità politica e sociale del Madagascar; porti sicurezza e rispetto dei diritti umani in Afghanistan e in Pakistan; incoraggi il dialogo fra Nicaragua e Costa Rica; favorisca la riconciliazione nella Penisola Coreana.
La celebrazione della nascita del Redentore rafforzi lo spirito di fede, di pazienza e di coraggio nei fedeli della Chiesa nella Cina continentale, affinché non si perdano d’animo per le limitazioni alla loro libertà di religione e di coscienza e, perseverando nella fedeltà a Cristo e alla sua Chiesa, mantengano viva la fiamma della speranza. L’amore del "Dio con noi" doni perseveranza a tutte le comunità cristiane che soffrono discriminazione e persecuzione, ed ispiri i leader politici e religiosi ad impegnarsi per il pieno rispetto della libertà religiosa di tutti. Cari fratelli e sorelle, "il Verbo si fece carne", è venuto ad abitare in mezzo a noi, è l’Emmanuele, il Dio che si è fatto a noi vicino. Contempliamo insieme questo grande mistero di amore, lasciamoci illuminare il cuore dalla luce che brilla nella grotta di Betlemme! Buon Natale a tutti!
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24/12/2010- CINA - Il Natale dei cattolici cinesi, nonostante la neve e la persecuzione di Zhen Yuan - Nell’innevato nordest del Paese alcuni sacerdoti non-ufficiali andranno in più chiese per la messa di mezzanotte, per stare con i fedeli. A Xiamen sarà rappresentata la storia della Natività, per farla meglio comprendere ai molti non cattolici che vengono a messa per Natale (AsiaNews).
Pechino (AsiaNews) – I cattolici cinesi si apprestano a celebrare il Natale nella gioia e nella pace, nonostante i recenti avvenimenti nella Chiesa Cattolica in Cina.
Joseph, sacerdote non-ufficiale nella Cina nordorientale, dice ad AsiaNews che lui e altri 2 sacerdoti andranno in circa 12 tra chiese e case private per celebrare la messa di mezzanotte e la messa di Natale per i fedeli.
“Per evitare – spiega – ai fedeli di dover viaggiare per lunghi tratti nella neve, i sacerdoti andranno da loro per celebrare la messa di Natale”.
Quest’anno nella Cina settentrionale l’inverno ha portato un freddo estremo, la temperatura è a meno 30 gradi centigradi.
Per aiutare la preparazione al Natale, i cattolici si sono organizzati con gruppi per pregare, fare la novena e l’adorazione di Gesù Bambino nella mangiatoia, mentre gli studenti cattolici hanno organizzato attività per i parrocchiani.
“Spero che il Signore che scende in mezzo a noi ci doni un ardore perenne”, continua padre Joseph riferendosi alle recenti azioni dell’Associazione Patriottica, organo statale per la gestione dei cattolici cinesi. L’Ap il 20 novembre ha ordinato un nuovo vescovo di Chengde (Hebei) senza l’approvazione della Santa Sede, il primo dopo 4 anni di nomine “concordate”. In seguito vari sacerdoti e vescovi cattolici sono stati intimiditi o imprigionati, per consentire all’Ap di eleggere, nell’Ottava Assemblea nazionale a inizio dicembre, una propria leadership che fosse in dichiarato contrasto con la Chiesa.
Nel sud del Paese, mons. Cai Bingrui di Xiamen, Fujian, celebra il primo Natale come vescovo. Ad AsiaNews dice che prega affinché nella diocesi crescano l’evangelizzazione e i servizi sociali. Egli racconta che, grazie ai giovani cattolici, è stato organizzato uno spettacolo teatrale di circa 90 minuti, basato sulla Natività, che sarà rappresentato oggi prima della messa di mezzanotte nella cattedrale.
“Questo – spiega – darà ai non cattolici una chiara comprensione della Natività”. Infatti la messa di Natale in genere attira in chiesa molti non cattolici, che vi partecipano.
La messa presso la cattedrale, come pure quella all’Isola Gulangyu, inizieranno alle ore 20, invece che a mezzanotte. Nella chiesa sull’isola la messa sarà celebrata in inglese e si prevede la partecipazione di molti stranieri, per cui la messa sarà tenuta all’aperto.
Anche mons. Han Yingjin di Sanyuan è stato ordinato vescovo nel 2010. Egli ha diffuso la sua prima lettera pastorale in occasione dell’Avvento, invitando tutti a un maggior impegno per l’evangelizzazione.
Il discorso del Papa alla Curia romana - Quando la coscienza è una finestra sulla verità di Francesco Ventorino (©L'Osservatore Romano - 25 dicembre 2010)
Nel suo discorso alla Curia romana di lunedì 20 dicembre, in occasione della presentazione degli auguri natalizi, Benedetto XVI ha paragonato il nostro tempo al periodo del tramonto dell'impero romano, quando "il disfacimento degli ordinamenti portanti del diritto e degli atteggiamenti morali di fondo, che ad esso davano forza, causava la rottura degli argini che fino a quel momento avevano protetto la convivenza pacifica fra gli uomini". Anche oggi, infatti, abbiamo l'impressione che "il consenso morale si stia dissolvendo, un consenso senza il quale le strutture giuridiche non funzionano; di conseguenza, le forze mobilitate per la difesa di tali strutture sembrano essere destinate all'insuccesso".
Per opporci efficacemente a tale processo di degrado della vita personale e sociale, che investe macroscopicamente anche la Chiesa nello scandalo degli abusi contro i minori commessi da sacerdoti, bisogna cogliere il suo fondamento ideologico. Negli anni Settanta si asseriva - persino nell'ambito della teologia cattolica - "che non esisterebbero né il male in sé, né il bene in sé. Niente sarebbe in se stesso bene o male. Tutto dipenderebbe dalle circostanze o dal fine inteso". In questa prospettiva si è fatta strada una concezione della coscienza individuale come "l'ultima istanza della decisione".
Questa concezione della coscienza era stata già illustrata nel 1991 dal cardinale Joseph Ratzinger in una conferenza su coscienza e verità, tenuta in occasione del 750° anniversario dell'università di Siena, e successivamente pubblicata da un settimanale: "Qui la coscienza non si presenta come la finestra, che spalanca all'uomo la vista su quella verità universale, che fonda e sostiene tutti noi e che in tal modo rende possibile, a partire dal suo comune riconoscimento, la solidarietà del volere e della responsabilità. In questa concezione la coscienza dell'uomo non è l'apertura dell'uomo al fondamento del suo essere, la possibilità di percepire quanto è più elevato e più essenziale. Essa sembra essere piuttosto il guscio della soggettività, in cui l'uomo può sfuggire alla realtà e nasconderlesi". Questo modo di pensare, che deriva dall'illuminismo e dal liberalismo, non apre la strada al cammino liberante della verità, la quale o non esiste affatto o è troppo esigente per noi: "La coscienza è l'istanza che ci dispensa dalla verità. Essa si trasforma nella giustificazione della soggettività che non si lascia più mettere in questione, così come nella giustificazione del conformismo sociale, che come minimo denominatore comune tra le diverse soggettività, ha il compito di rendere possibile la vita nella società" (Joseph Ratzinger, Elogio della coscienza, "Il Sabato", 16 marzo 1991, pp. 84-85). La riduzione della coscienza alla certezza soggettiva significa, pertanto, la rinuncia alla verità.
A una simile concezione Benedetto XVI contrappone quella offerta da Giovanni Paolo ii nella sua enciclica Veritatis splendor, dove chiaramente si riafferma il pensiero tradizionale della Chiesa: la coscienza o la ragione umana non potrebbero avere un potere vincolante se non in quanto interpreti di "una ragione più alta", alla quale il nostro spirito e la nostra libertà devono essere sottomessi. Risulta, del resto, a una riflessione elementare su noi stessi che i criteri originali del bene e del male, pur essendo immanenti in noi, non ce li diamo da noi; al contrario ci vengono dati, tanto da emergere alla nostra coscienza come indisponibili.
Appellandosi all'etimo della parola conscientia, san Tommaso fa notare che essa implica comunque il riferimento a un altro: "Coscienza, infatti stando al significato proprio della parola, include un ordine della conoscenza a qualche cosa; infatti conscientia deriva da cum alio scientia" (Summa Theologiae, i, q. 79, a. 13, c.). Nell'uomo la ragione, in tanto diviene capace di giudicare l'azione secondo i primi principi del bene e del male, in quanto essa è rivelatrice della legge eterna che è la ragione divina (cfr. i-ii, q. 19, a. 4; i-ii, q. 91, a. 2). La coscienza umana ha, quindi, come punto di riferimento una realtà trascendente e assoluta. In questa dipendenza è tutta la sua grandezza; la capacità, cioè, di riconoscere la verità e quindi di indicare il bene, un bene che non sia valido soltanto soggettivamente, ma anche oggettivamente e universalmente.
In questa luce va compresa, secondo Benedetto XVI, l'arguta puntualizzazione di John Henry Newman, determinato, nel caso di un brindisi, a brindare prima alla coscienza e poi al Papa. In Newman, infatti, "coscienza" non significa "l'ultima obbligatorietà dell'intuizione soggettiva", bensì "l'espressione dell'accessibilità e della forza vincolante della verità", e proprio in ciò "si fonda il suo primato". Al Papa può essere dedicato il secondo brindisi, perché "è suo compito esigere l'obbedienza nei confronti della verità"; e renderla, aggiungeremmo noi, storicamente possibile.
La tradizione cattolica, infatti, sostiene che le norme obiettive che governano il retto agire sono accessibili alla ragione a prescindere dal contenuto della rivelazione. E tuttavia, "per poter operare rettamente, la ragione deve sempre di nuovo essere purificata, perché il suo accecamento etico derivante dal prevalere dell'interesse e del potere che l'abbagliano, è un pericolo mai totalmente eliminabile" (Deus caritas est, n. 28). Essendo la coscienza la capacità di giudicare rettamente riguardo all'agire morale, l'educazione della coscienza retta appare la questione fondamentale del nostro tempo, che è caratterizzato non tanto dal male morale, quanto dalla menzogna sul male, cioè dal tentativo di giustificarlo come espressione dell'autonomia dell'uomo e quindi come sua piena realizzazione.
Oggi più che mai, il compito della Chiesa, non è manifestare i fondamenti della vita civile (essi sono a tutti accessibili alla luce della ragione), ma aiutare gli uomini, attraverso un dialogo costante, a riconoscerli in quanto inscritti nella loro natura.
Perché la Chiesa possa assolvere questo compito è necessario che tutti noi cristiani abbiamo a "interrogarci su che cosa possiamo fare per riparare il più possibile l'ingiustizia avvenuta. Dobbiamo chiederci che cosa era sbagliato nel nostro annuncio, nell'intero nostro modo di configurare l'essere cristiano. Dobbiamo trovare una nuova risolutezza nella fede e nel bene. Dobbiamo essere capaci di penitenza", gridando come nel tempo della prova e della povertà: "Excita, Domine, potentiam tuam, et veni", perché il Signore ci svegli "dal sonno di una fede divenuta stanca" e ci dia "il potere di spostare i monti - cioè di dare l'ordine giusto alle cose".
(©L'Osservatore Romano - 25 dicembre 2010)
IL NATALE E IL SANGUE DEI CRISTIANI di Andrea Tornielli 27-12-2010 da http://www.labussolaquotidiana.it
È stato un Natale di sangue per i cristiani. Un attentato è avvenuto in una chiesa cattolica nelle Filippine, mentre si celebrava la messa di Natale, e chiese sono state attaccate e date alle fiamme in Nigeria, dove ha perso la vita anche un sacerdote. Ma vittime innocenti ci sono state anche in Pakistan, a causa di un attacco kamikaze contro un centro di distribuzione del Programma alimentare mondiale dell’Onu.
Colpisce che proprio nel giorno in cui abbiamo celebrato la nascita del Salvatore - di un Dio che si fa bambino, l’Onnipotente che si fa inerme, totalmente affidato alle cure di un padre e di una madre, venuto al mondo nella precarietà – tanto sangue sia stato versato. Colpisce il dilagare della violenza. Colpisce in particolare l’odio anticristiano. Quel sangue versato ci richiama alla concretezza della storia della quale abbiamo appena fatto memoria.
Il Natale non è una favola zuccherosa, non è la festa dei buoni sentimenti (con tutto il rispetto per i buoni sentimenti, che aiutano…). Il piccolo nato nella grotta di Betlemme è fin da subito al centro di una lotta, minacciato dalla violenza, anzi, dalla «furia omicida», come l’ha chiamata il Papa. La furia omicida del re Erode, che vuole eliminare il Bambino e per questo fa uccidere tutti i maschi al di sotto dei due anni nella piccola città della Giudea.
Ecco, lo stupore di fronte al dono di quel bimbo che è Dio, di quell’Onnipotente che si è fatto carne nel grembo di Maria; lo stupore di fronte alla inerme bellezza di un Dio che sceglie di entrare nel mondo nella debolezza più estrema, non ci deve far dimenticare che quell’ingresso è immediatamente avversato, ostacolato.
Non deve farci dimenticare la strage dei piccoli innocenti e la fuga della sacra famiglia in Egitto. Anche Gesù, insieme ai suoi genitori, è stato un senzatetto, anche Gesù è stato un profugo migrante. Ed è venuto al mondo nel sangue. Le immagini e le testimonianze che rimbalzano sui nostro teleschermi in questi giorni dalle Filippine e dalla Nigeria, il sacrificio dei cristiani, le vittime innocenti dell’odio e dell’intolleranza ci richiamano a quei fatti avvenuti duemila anni fa.
È importante non abituarci a questo martirologio. E chiedere «con forza» al Signore, come ha fatto ieri Benedetto XVI, di toccare il cuore degli uomini, perché odio e violenza cedano il passo alla riconciliazione e alla pace.
Dalla Nigeria alle Filippine, un Natale di sangue di Antonio Giuliano 27-12-2010 da http://labussolaquotidiana.it
Stavano soltanto partecipando alle celebrazioni natalizie. Eppure sono finiti nel mirino dei loro persecutori. È stato ancora un Natale di sangue per i cristiani in Nigeria e nelle Filippine.
Nel Paese africano gli estremisti islamici il 25 dicembre hanno assaltato tre chiese di Maiduguri, nel nord-est, provocando la morte di cinque fedeli e un sacerdote. Una delle chiese è stata data alle fiamme ed è stata completamente distrutta. Gli attacchi contro i cristiani sono proseguiti poi ieri con almeno una persona morta nell’incendio di due abitazioni private a Jos, capitale dello stato centrale di Plateau. In questa città, teatro di frequenti scontri tra cristiani e musulmani, alla vigilia di Natale ci sono stati 32 morti e 74 feriti per l’esplosione di sette bombe.
Ma il bilancio dei tre giorni di sangue è solo provvisorio. La Croce Rossa ha fatto sapere infatti di non essere in grado di indicare il numero preciso delle vittime, anche se ha comunicato che ora sono saliti a 95 i feriti gravi ricoverati negli ospedali. Le violenze interreligiose ed interetniche tra cristiani del sud e musulmani del nord hanno già causato centinaia di morti dall’inizio dell’anno. Le tensioni nell’area centrale del Paese hanno però anche motivi ben più materiali. Se infatti cristiani, musulmani e animisti convivono in pace in molte città nigeriane, nella Middle Belt si scontrano gli interessi per il controllo delle fertili terre della zona tra i gruppi indigeni di cristiani e animisti da una parte e i pastori nomadi musulmani di etnia Faluni del nord dall’altra.
Gravi episodi di violenza si sono verificati in questi giorni anche nelle Filippine. Una bomba è esplosa sul tetto di una chiesa cattolica dell’isola di Jolo durante la messa di Natale. In quel momento si trovavano in preghiera circa un centinaio di persone, sei di esse (tra cui un sacerdote) sono rimaste ferite. L’isola è una roccaforte di Abu Sayyaf, un gruppo estremista legato ad Al Qaeda, responsabile di diversi attentati a chiese e rapimenti di preti e suore.
Atmosfera più distesa in Medio Oriente durante le celebrazioni a Betlemme e in Terra Santa che quest’anno ha accolto ben 90mila mila pellegrini. Le funzioni religiose sono state solo funestate dalla morte di tre suore, tra cui una italiana, decedute in un incidente stradale mentre erano dirette a Betlemme. Il Patriarca latino, mons. Fouad Twal, ha invocato la pace nella regione e ha voluto ricordare le persecuzioni dei cristiani in Iraq. A Baghdad centinaia di fedeli hanno partecipato alla messa di Natale nella cattedrale teatro del recente attacco di Al Qaeda. Accorato, nell'omelia, l’appello del patriarca caldeo Saad Sirop Hanna: «Non abbiate paura».
E il Papa spiegò Dickens alla Bbc di Massimo Introvigne 27-12-2010 da http://www.labussolaquotidiana.it
Al termine del Canto di Natale in prosa di Charles Dickens (1812-1870), riproposto di recente anche da alcune affascinanti versioni cinematografiche, il piccolo Tim – il bambino malato che ha contribuito a redimere il vecchio avaro Scrooge – esclama: «Il Signore vi benedica tutti». Con queste stesse parole notissime a ogni inglese, che ha studiato a scuola almeno una volta il Canto di Natale di Dickens, Benedetto XVI ha concluso, il 24 dicembre, uno dei suoi più singolari messaggi.
C'era una volta la BBC, la radio-televisione inglese che attaccava la Chiesa Cattolica e il Papa a ogni pié sospinto. E c'è ancora. Ma dal viaggio del Papa in Gran Bretagna del settembre 2010, un successo straordinario e del tutto imprevisto, qualcosa è cambiato. Ed ecco l'invito della BBC al Papa per tre minuti di messaggio radiofonico in lingua inglese, il 24 dicembre.
Tre minuti che hanno stupito le decine di milioni di ascoltatori della BBC in tutto il mondo anglofono. Nessuna polemica, ma il messaggio di Gesù Cristo senza sconti per nessuno. Si potrebbe dire che ci sono il Catechismo della Chiesa Cattolica e il suo Compendio. E che ora ci sono i tre minuti della BBC, il compendio del compendio, la storia della salvezza raccontata in tre battute.
Primo minuto: il mondo, ricorda il Papa, è sempre in attesa di qualcosa. È fatto così. L’attesa, in un certo senso, lo costituisce, almeno dopo il peccato originale. Ma spesso il mondo sbaglia attesa. Succede oggi. E succedeva ai tempi di Gesù, quando «il popolo scelto da Dio, i figli di Israele, vivevano un’attesa intensa. Aspettavano il Messia che Dio aveva promesso di inviare, e lo descrivevano come un grande leader che li avrebbe riscattati dal dominio straniero e avrebbe restaurato la loro libertà». In questa attesa c'era qualche cosa di giusto: la fiducia nelle promesse di Dio, la speranza della libertà. Ma anche qualcosa di sbagliato: l'idea che la liberazione sarebbe arrivata per via materiale e soltanto politica.
Secondo minuto: il Papa spiega che «Dio è sempre fedele alle sue promesse, ma spesso ci sorprende nel modo di compierle». Gli ebrei attendevano la liberazione. L’attesa non è andata delusa. «Il bimbo nato a Betlemme ha portato la liberazione». Ma una liberazione diversa da quella che molti ebrei aspettavano: «la liberazione che egli ha portato non era politica […]: al contrario, Cristo ha distrutto la morte per sempre e rinnovato la vita per mezzo della sua morte obbrobriosa sulla croce. E benché sia nato nella povertà e nel nascondimento, lontano dai centri del potere terreno, egli era lo stesso Figlio di Dio. Per amore nostro egli ha preso su di sé la nostra condizione umana, la nostra fragilità, la nostra vulnerabilità, e ha aperto per noi la via che porta alla pienezza della vita, alla partecipazione alla vita stessa di Dio». Gli ebrei aspettavano la liberazione nel senso di fine del dominio romano. È venuto qualcosa di molto più grande, la redenzione universale ci tutti – non degli ebrei soltanto – per mezzo della povertà e della sofferenza dello stesso Figlio di Dio.
Terzo minuto: Dio ci ha dunque dato molto, più di quanto aspettavamo. in effetti, ci ha dato tutto nel Figlio Suo che ci ha redento. Ma si attende da noi una duplice risposta: che accogliamo con fede il Figlio suo e che annunciamo agli altri la Buona Novella che abbiamo ricevuto. «Mentre meditiamo nei nostri cuori su questo grande mistero in questo Natale, ringraziamo Dio per la sua bontà verso di noi, e annunciamo con gioia a chi è intorno a noi la buona notizia che Dio ci offre la libertà da tutto ciò che ci opprime: ci dona speranza, ci porta vita».
IL CASO/ Il Manifesto che "trasforma" i neonati in persone Carlo Bellieni - lunedì 27 dicembre 2010 - ilsussidiario.net
È stato presentato al Senato il 22 dicembre il “Manifesto dei diritti del bambino nato prematuro”, carta italiana dei diritti dei piccolissimi. È un passo importante che si deve in primo luogo alla perseveranza della Associazione “Vivere Onlus”, che coordina moltissime associazioni locali di bambini prematuri, e della Società Italiana di Neonatologia.
I diritti elencati sono fondamentali: diritto alla presenza dei genitori, all’allattamento materno, alla continuità delle cure, a nascere in un ospedale attrezzato appositamente, ecc. Carta importantissima ed esemplare. Ma pensate un momento: siamo arrivati a dover scrivere che dei cittadini hanno gli stessi diritti degli altri: non è un paradosso? Non dovrebbe essere ovvio? Invece no: perché i diritti di questi piccolissimi cittadini sono terribilmente a rischio.
Già: per qualcuno questi bambini sono dei cittadini un po’ meno cittadini degli altri. Per alcuni filosofi, infatti, questi cittadini non sono “persone”, e non sono filosofi eccentrici, ma quelli che compaiono con maggior frequenza e autorevolezza nelle maggiori riviste internazionali di bioetica. Come fanno a dire che non sono persone? Semplice, perché per loro si è persona solo se si ha “autocoscienza”, cioè capacità di autonomia decisionale.
È il nuovo culto del 21° secolo, che si chiama “principialismo”, e che mette quattro fondamenti per le decisioni etiche, il culmine dei quali è per l’appunto l’autonomia. Senza autonomia non sei persona. E questo culto purtroppo è così diffuso nella nostra società, che anche chi non sa niente di filosofia finisce per seguirlo. Ci sono linee-guida in vari Paesi che subordinano la rianimazione del neonato al rischio di handicap, ed evitano di rianimare sotto le 24 e alcuni sotto le 25 settimane di gestazione, anche se le possibilità di sopravvivenza sono alte. È rispetto per i disabili indifesi questo?
Altri protocolli subordinano la rianimazione al parere dei genitori, come se non ci fosse talora un chiaro conflitto di interesse (tanti episodi di cronaca ci mostrano casi di genitori “non meravigliosi”) e come se al momento della nascita i genitori fossero sereni e lucidi da decidere circostanziatamente e con conoscenze mediche chiare e profonde. Protocolli di rianimazione così fatti sarebbero impensabili per un adulto, ma nel neonato sono possibili; forse perché si sente che il valore intrinseco del neonato dipende dall’“umanizzazione” che gli si dà quando noi (adulti e autonomi) vogliamo. E questo è inaccettabile (vedi a questo proposito il nostro studio pubblicato su Acta Paediatrica nel gennaio 2010 e gli studi della canadese Annie Janvier per avere un’idea della discriminazione culturale che subisce il prematuro).
Dunque il Manifesto è un segnale importante per l’Italia e per il mondo: il neonato prematuro è una persona (art. 1) e ha diritto all’assistenza e alla migliore assistenza possibile. Ed è un passo importante verso un più ampio diritto dei genitori dei prematuri a un’assistenza da parte dello Stato, sommando al periodo di permesso dal lavoro riconosciuto a tutti i genitori, anche il periodo che il bambino passa in rianimazione, che può durare dei mesi. Non è pensabile che i genitori “passino” i mesi di congedo dal lavoro in ospedale e quando il figlio viene dimesso debbano ritornare al lavoro perché “il congedo è finito”. È una richiesta dell’Associazione Vivere, che le forze politiche devono fare loro.
L’ultimo punto cui la presentazione del Manifesto ci richiama è la prevenzione della prematurità. Perché la prematurità è in espansione, per via dell’aumento dell’età media a cui le donne sono costrette a mettere al mondo il primo figlio; e in questo non aiuta la fecondazione in vitro che spesso determina gemellarità e prematurità essa stessa, e magari induce nella popolazione la falsa idea che è possibile rimandare indefinitamente senza rischi la gravidanza, tanto ci pensa la medicina.
Molto deve essere fatto dalla cultura e dallo Stato per aiutare le donne a far figli in un’età sicura, fisiologicamente adatta alla gravidanza e dovrebbero essere sanzionati i giornali che banalizzano le gravidanze rimandate a età avanzate,o sbandierate erroneamente come “esempi” da seguire e non come imposizioni sociali quali spesso sono.
Il grande ritorno di Cristo Re di Massimo Introvigne 27-12-2010 da http://labussolaquotidiana.it
Benedetto XVI, da parecchio tempo, sta proponendo di nuovo la nozione secondo cui Cristo è re, e non è re solo dei cuori. Il Suo regno di giustizia si estende alla società e chiama i fedeli laici all’instaurazione cristiana dell’ordine temporale, come il Concilio Ecumenico Vaticano II insegna nel decreto sull’apostolato dei laici Apostolicam actuositatem.
Nel messaggio del 25 dicembre il Papa è tornato sull’essenziale dell’incarnazione: il Verbo si fece carne. «Come è possibile? – si è chiesto Benedetto XVI – . Il Verbo e la carne sono realtà tra loro opposte». Ma tutto è possibile all’amore di Dio. «Quando nel grembo di Maria, per la volontà del Padre e l’azione dello Spirito Santo, si formò Gesù, Figlio di Dio fatto uomo, il creato raggiunse il suo vertice. Il principio ordinatore dell’universo, il Logos, incominciava ad esistere nel mondo, in un tempo e in uno spazio».
Il fatto che il Verbo a Natale diventi carne, che il principio ordinatore di tutto l’universo entri nel mondo chiama il mondo a essere ordinato anche nella sua dimensione civile e politica. Natale «è luce anche per i popoli, per il cammino collettivo dell’umanità. L’“Emmanuele”, Dio-con-noi, è venuto come Re di giustizia e di pace. Il suo Regno – lo sappiamo – non è di questo mondo, eppure è più importante di tutti i regni di questo mondo. È come il lievito dell’umanità: se mancasse, verrebbe meno la forza che manda avanti il vero sviluppo». Non è, la regalità di Gesù Cristo, «di» questo mondo, nel senso che non trova in questo mondo la sua origine e il suo fondamento; ma si estende «su» questo mondo, perché garantisce quel vero sviluppo che dev’essere non solo economico e sociale ma anche morale. di cui il Papa ha parlato nell’enciclica Caritas in veritate.
Nella notte di Natale, il 24 dicembre, il Papa ha ricordato che la Chiesa inizia la liturgia della Notte Santa con una parola tratta dal Salmo secondo: «Tu sei mio figlio, io oggi ti ho generato». Il fedele può immaginare che queste parole abbiano un senso semplicemente spirituale, e si riferiscano insieme alla divina maternità di Maria e alla generazione del Figlio nella Trinità. È certamente così, ma non si tratta dell’unico significato. Infatti, anche se molti lo hanno dimenticato, il Papa ci ricorda che la Chiesa «sa che questa parola originariamente apparteneva al rituale dell’incoronazione dei re d’Israele. Il re, che di per sé è un essere umano come gli altri uomini, diventa “figlio di Dio” mediante la chiamata e l’insediamento nel suo ufficio: è una specie di adozione da parte di Dio, un atto di decisione, mediante il quale Egli dona a quell’uomo una nuova esistenza, lo attrae nel suo proprio essere».
Il collegamento fra Natale e regalità emerge, afferma il Papa, «in modo ancora più chiaro» dalla lettura della Messa di mezzanotte tratta dal profeta Isaia. Qui Dio dà al suo popolo un re «in una situazione di travaglio e di minaccia per Israele: “Un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio. Sulle sue spalle è il potere” (9,5)». La nascita è metafora della salita del re al trono. «L’insediamento nell’ufficio del re – spiega Benedetto XVI – è come una nuova nascita. Proprio come nuovo nato dalla decisione personale di Dio, come bambino proveniente da Dio, il re costituisce una speranza. Sulle sue spalle poggia il futuro. Egli è il detentore della promessa di pace».
Quello che è vero per analogia per le monarchie umane e per i re d’Israele, diventa la verità per eccellenza quando a Betlemme nasce il re dei re. «Nella notte di Betlemme – prosegue il Papa nell’omelia della mezzanotte – questa parola profetica è diventata realtà in un modo che al tempo di Isaia sarebbe stato ancora inimmaginabile». Il Bambino Gesù è infatti «Colui sulle cui spalle è il potere. In Lui appare la nuova regalità che Dio istituisce nel mondo».
I re dell’Antico Testamento sono solo prefigurazioni della vera regalità, insieme spirituale e sociale, di Gesù Cristo. «Le parole del rituale dell’incoronazione in Israele, in verità, erano sempre soltanto rituali di speranza, che prevedevano da lontano un futuro che sarebbe stato donato da Dio. Nessuno dei re salutati in questo modo corrispondeva alla sublimità di tali parole. In loro, tutte le parole sulla figliolanza di Dio, sull’insediamento nell’eredità delle genti, sul dominio delle terre lontane (Sal 2,8) restavano solo rimando a un avvenire – quasi cartelli segnaletici della speranza, indicazioni che conducevano verso un futuro che in quel momento era ancora inconcepibile». Con Gesù invece «l’infinita distanza tra Dio e l’uomo è superata. […] Il suo regno si estende veramente fino ai confini della terra».
La regalità sociale di Gesù Cristo è già stabilita di diritto nella notte di Betlemme. Ma la sua realizzazione di fatto è affidata agli uomini. Infatti, «è anche vero che “il bastone dell’aguzzino” non è stato spezzato. Anche oggi marciano rimbombanti i calzari dei soldati e sempre ancora e sempre di nuovo c’è il “mantello intriso di sangue” (Is 9,3s)». A noi – e specialmente ai laici – spetta dunque uscire dalla notte di Natale con una preghiera che il Papa formula in termini molto forti: «Signore, realizza totalmente la tua promessa. Spezza i bastoni degli aguzzini. Brucia i calzari rimbombanti. Fa che finisca il tempo dei mantelli intrisi di sangue».
Gesù è chiamato «il Primogenito», ma non nel senso che avrà dei fratelli carnali. Spiega il Papa: «Paolo, nelle Lettere ai Colossesi e agli Efesini, ha ampliato ed approfondito l’idea di Gesù come primogenito. […] Sì, ora Egli è tuttavia il primo di una serie di fratelli, il primo, cioè, che inaugura per noi l’essere in comunione con Dio. Egli crea la vera fratellanza – non la fratellanza, deturpata dal peccato, di Caino ed Abele, di Romolo e Remo, ma la fratellanza nuova in cui siamo la famiglia stessa di Dio». Gesù è il primo di molti che opereranno per realizzare il Suo regno.
Infine, il Papa torna su un episodio molto noto: «Il Vangelo di Natale ci racconta, alla fine, che una moltitudine di angeli dell’esercito celeste lodava Dio e diceva: “Gloria a Dio nel più alto dei cieli e sulla terra pace agli uomini, che egli ama.” (Lc 2,14)». La filologia di questa famosissima frase angelica, nota il Papa, è complessa. «La traduzione latina di tale parola, che usiamo nella liturgia e che risale a Girolamo, suona diversamente: “Pace agli uomini di buona volontà”». «Ma quale traduzione è giusta?». Entrambe, risponde Benedetto XVI. «Dobbiamo leggere ambedue i testi insieme; solo così comprendiamo la parola degli angeli in modo giusto. Sarebbe sbagliata un’interpretazione che riconoscesse soltanto l’operare esclusivo di Dio, come se Egli non avesse chiamato l’uomo ad una risposta libera di amore. Sarebbe sbagliata, però, anche un’interpretazione moralizzante, secondo cui l’uomo con la sua buona volontà potrebbe, per così dire, redimere se stesso. Ambedue le cose vanno insieme: grazia e libertà; l’amore di Dio, che ci previene e senza il quale non potremmo amarLo, e la nostra risposta, che Egli attende e per la quale, nella nascita del suo Figlio, addirittura ci prega. L’intreccio di grazia e libertà, l’intreccio di chiamata e risposta non lo possiamo scindere in parti separate l’una dall’altra. Ambedue sono inscindibilmente intessute tra loro. Così questa parola è insieme promessa e chiamata». Dio ha già fondato il Suo regno. Ma vuole che siamo noi a instaurarlo incessantemente sulla Terra, ogni giorno.
«Luca - nota il Papa - non ha detto che gli angeli hanno cantato». Non lo ha detto esplicitamente. Ma dal momento che «il parlare degli angeli è diverso da quello degli uomini» il messaggio angelico «è stato percepito fin dall’inizio come musica proveniente da Dio». In questo riferimento musicale – e si sa quanto il Papa tenga alla musica – c’è pure una lezione. La regalità sociale di Gesù Cristo non può che passare anche attraverso la cultura e la bellezza.