lunedì 20 dicembre 2010

Nella rassegna stampa di oggi:
1)    BENEDETTO XVI: IN SAN GIUSEPPE “SI PROFILA L'UOMO NUOVO” Intervento in occasione dell'Angelus
2)    Le due chiese di Alessandro Gnocchi e Mario Palmaro © Copyright Formiche anno VII - numero 54 - dicembre 2010
3)    Su quattro episodi di intolleranza, tre in danno di cristiani. Forze laiciste pretendono di insolentire e annullare segni religiosi come il crocifisso e il presepe di Bruno Volpe dal sito http://www.pontifex.roma.it
4)    Con il gelo nel cuore di Andrea Tornielli 20-12-2010 da http://www.labussolaquotidiana.it
5)    Quel prosciutto poco interreligioso - di Andrea Tornielli 20-12-2010 - http://www.labussolaquotidiana.it
6)    Avvenire.it, 19 dicembre 2010 - I diari dell'ambasciatore Usa Armeni 1915, il genocidio in presa diretta di Antonia Arslan

BENEDETTO XVI: IN SAN GIUSEPPE “SI PROFILA L'UOMO NUOVO” Intervento in occasione dell'Angelus

CITTA' DEL VATICANO, domenica, 19 dicembre 2010 (ZENIT.org).- Riportiamo le parole pronunciate questa domenica a mezzogiorno da Benedetto XVI recitando la preghiera mariana dell'Angelus dalla finestra del suo studio nel Palazzo Apostolico Vaticano insieme a varie migliaia di pellegrini riunite in Piazza San Pietro.
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Cari fratelli e sorelle!
In questa quarta domenica di Avvento il Vangelo di san Matteo narra come avvenne la nascita di Gesù ponendosi dal punto di vista di san Giuseppe. Egli era il promesso sposo di Maria, la quale, "prima che andassero a vivere insieme, si trovò incinta per opera dello Spirito Santo" (Mt 1,18). Il Figlio di Dio, realizzando un’antica profezia (cfr Is 7,14), diventa uomo nel grembo di una vergine, e tale mistero manifesta insieme l’amore, la sapienza e la potenza di Dio in favore dell’umanità ferita dal peccato. San Giuseppe viene presentato come "uomo giusto" (Mt 1,19), fedele alla legge di Dio, disponibile a compiere la sua volontà. Per questo entra nel mistero dell’Incarnazione dopo che un angelo del Signore, apparsogli in sogno, gli annuncia: "Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa. Infatti il bambino che è generato in lei viene dallo Spirito Santo; ella darà alla luce un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati" (Mt 1,20-21). Abbandonato il pensiero di ripudiare in segreto Maria, egli la prende con sé, perché ora i suoi occhi vedono in lei l’opera di Dio.
Sant’Ambrogio commenta che "in Giuseppe ci fu l’amabilità e la figura del giusto, per rendere più degna la sua qualità di testimone" (Exp. Ev. sec. Lucam II, 5: CCL 14,32-33). Egli – prosegue Ambrogio – "non avrebbe potuto contaminare il tempio dello Spirito Santo, la Madre del Signore, il grembo fecondato dal mistero" (ibid., II, 6: CCL 14,33). Pur avendo provato turbamento, Giuseppe agisce "come gli aveva ordinato l’angelo del Signore", certo di compiere la cosa giusta. Anche mettendo il nome di "Gesù" a quel Bambino che regge tutto l’universo, egli si colloca nella schiera dei servitori umili e fedeli, simile agli angeli e ai profeti, simile ai martiri e agli apostoli – come cantano antichi inni orientali. San Giuseppe annuncia i prodigi del Signore, testimoniando la verginità di Maria, l’azione gratuita di Dio, e custodendo la vita terrena del Messia. Veneriamo dunque il padre legale di Gesù (cfr CCC, 532), perché in lui si profila l’uomo nuovo, che guarda con fiducia e coraggio al futuro, non segue il proprio progetto, ma si affida totalmente all’infinita misericordia di Colui che avvera le profezie e apre il tempo della salvezza.
Cari amici, a san Giuseppe, patrono universale della Chiesa, desidero affidare tutti i Pastori, esortandoli ad offrire "ai fedeli cristiani e al mondo intero l’umile e quotidiana proposta delle parole e dei gesti di Cristo" (Lettera Indizione Anno Sacerdotale). Possa la nostra vita aderire sempre più alla Persona di Gesù, proprio perché "Colui che è il Verbo assume Egli stesso un corpo, viene da Dio come uomo e attira a sé l’intera esistenza umana, la porta dentro la parola di Dio" (Gesù di Nazaret, Milano 2007, 383). Invochiamo con fiducia la Vergine Maria, la piena di grazia "adornata di Dio", affinché, nel Natale ormai prossimo, i nostri occhi si aprano e vedano Gesù, e il cuore gioisca in questo mirabile incontro d’amore.
[Il Papa ha poi salutato i pellegrini in diverse lingue. In Italiano ha detto:]
Saluto infine con affetto i pellegrini di lingua italiana, in particolare i fedeli provenienti dalle diocesi di Ozieri, Sassari e Nuoro, come pure i ragazzi e i giovani della parrocchia di San Luigi Gonzaga in Roma. A tutti auguro una buona domenica e un sereno Natale nella luce e nella pace del Signore.
[© Copyright 2010 - Libreria Editrice Vaticana]


Le due chiese di Alessandro Gnocchi e Mario Palmaro © Copyright Formiche anno VII - numero 54 - dicembre 2010

In linea di principio, i teologi saranno pure una benedizione di Dio, ma se su certe questioni fossero i vescovi a dire qualcosa di assennato sarebbe molto meglio: primo perché sarebbe parte essenziale del loro ufficio, secondo perché le loro parole avrebbero benefico effetto su un gregge disorientato, terzo perché si paleserebbe un sostegno al papa da parte di chi gli ha giurato fedeltà.
L’uso del condizionale, per quanto aderente al quadro della Chiesa di questi tempi, in Italia comincia a essere leggermente impreciso. Grazie a Dio, qualche vescovo ha fatto sentire autorevolmente la propria voce di sostegno al Santo padre durante e dopo la tempesta mediatica scatenata su veri e presunti scandali pedofili in seno al corpo ecclesiale.
Monsignor Giampaolo Crepaldi, arcivescovo di Trieste, monsignor Luigi Negri, vescovo di San Marino-Montefeltro, monsignor Oliveri, vescovo di Albenga-Imperia, sono tra coloro che hanno parlato più chiaramente.
Tanto chiaramente e con uso talmente cattolico del pensiero, da essere giunti tutti alla stessa conclusione: stante la gravità degli attacchi del mondo a Benedetto XVI, è ben peggio il dissenso livoroso e infingardo che si è contemporaneamente manifestato dentro la Chiesa, una vera e propria macchina del fango messa in atto contro la persona di Joseph Ratzinger per colpire il suo ufficio di guida della cristianità.
Un fenomeno talmente vasto che, lo scorso aprile, monsignor Crepaldi, dando corpo alla sua riflessione in un articolo sul settimanale diocesano di Trieste Vita Nuova titolato “Gli antipapi e i pericoli del magistero parallelo”, ha efficacemente evocato con la figura delle “due Chiese”: una cattolica, fedele alla dottrina immutabile garantita dal papa, l’altra certamente difficile da definire cattolica visto lo stravolgimento della dottrina, della liturgia, della morale e, naturalmente, del concetto di obbedienza che la rendono qualcosa di inedito in venti secoli di storia, quanto meno per la vastità del fenomeno. C’è ben altro che la pedofilia a soffocare la Chiesa, è l’eresia, spiega monsignor Negri.
Il quale, nella premessa a una nuova edizione dell’enciclica Pascendi dominici gregis e del decreto Lamentabili sane exitu di San Pio X, ha constatato che “le proposizioni fondamentali” condannate dal papa al principio del Novecento “tutte chiaramente in contrasto con la dottrina cattolica, hanno costituito in questi ultimi vent’anni il contenuto anche esplicito di tante pubblicazioni teologiche ed esegetiche e hanno sicuramente influenzato l’insegnamento in facoltà e in seminari”. Tradotto nel bell’amore per il latino di monsignor Oliveri, ciò significa che dentro la Chiesa di oggi, troppi teologi, troppi vescovi, troppi sacerdoti e, quindi, troppi fedeli hanno preso a dire “nova”, cioè “cose nuove”, invece che “nove”, cioè cose antiche “in modo nuovo”.
Concetto opportunamente espresso nella prefazione al fondamentale studio di monsignor Brunero Gherardini Concilio Vaticano II. Un discorso da fare. Bruciato il grano d’incenso sull’ovvia deprecazione della dissoluzione morale e sulle nefandezze pedofile che scandalizzano i più piccoli, non si può nascondere che il problema della Chiesa è un altro, è “l’altra Chiesa” che da sempre la aggredisce e che, dal modernismo in poi, ha preso sempre più forza e usato più astuzia.
Cosicché oggi ci si trova davanti a un fenomeno che Ernesto Buonaiuti, punta di diamante del modernismo italiano, disegnò a suo tempo come modalità perfetta della rivoluzione: «Fino ad oggi si è voluto riformare Roma senza Roma, o magari contro Roma. Bisogna riformare Roma con Roma, fare che la riforma passi attraverso le mani di coloro i quali devono essere riformati. Ecco il vero e infallibile metodo; ma è difficile. Hoc opus, hic labor. [...] Il culto esteriore durerà sempre come la gerarchia, ma la Chiesa, in quanto maestra dei sacramenti e dei suoi ordini, modificherà la gerarchia e il culto secondo i tempi: essa renderà quella più semplice e liberale, e questo più spirituale; e per quella via essa diventerà un protestantesimo; ma un protestantesimo ortodosso, graduale, e non uno violento, aggressivo, rivoluzionario, insubordinato». La lungimirante efficacia di tale programma si mostra nella tragedia di tanti fedeli, tanti parroci, tanti vescovi, tanti teologi e tanti intellettuali che, in tutta sincerità, si credono conservatori e, invece, sono progressisti della più bell’acqua. Pur accreditando loro la “buona fede”, non si può certo fare altrettanto con la “fede buona”. Volenti o nolenti, hanno fatto proprio il nocciolo duro del modernismo, che non stava tanto nell’opposizione all’una o all’altra delle verità rivelate, ma nel cambiamento radicale della nozione stessa di verità, mediante l’accettazione del “principio di immanenza” che sta alla base del pensiero moderno: “La verità non è più immutabile dell’uomo stesso, giacché essa si evolve con lui, in lui e per mezzo di lui”. Proposizione, quest’ultima, condannata dal decreto Lamentabili. La conseguenza più clamorosa di questo errore modernista è la convinzione che i dogmi progrediscono, in un vortice evolutivo in cui l’essere si confonde con il non essere, il bene con il male, il vero con il falso, nel più clamoroso ripudio del principio di non contraddizione. Qualcuno potrebbe obiettare che il modernismo è un fenomeno storico, che ormai appartiene al passato. Non la pensava in questo modo Paolo VI, che durante l’udienza generale del 19 gennaio 1972 spiegava ai fedeli che il modernismo “sotto altri nomi è ancora di attualità”, in quanto espressione di una serie di errori che potrebbero “rovinare totalmente la nostra concezione della vita e della storia”. Nel 1966 era stato Jacques Maritain nel suo Il contadino della Garonna ad affermare che il modernismo non era che “un modesto raffreddore da fieno” se paragonato alla “febbre neomodernista” allora diffusa nella cultura cattolica. Dottrina, liturgia, morale e disciplina ne sono uscite a pezzi. Per capire come tutto questo si traduca nella pratica quotidiana, basta por mente alla miriade di convegni e conferenze promossi da diocesi e parrocchie, in cui vengono messi in cattedra studiosi e intellettuali che insegnano una dottrina capovolta rispetto a quella cattolica. Oppure alla terrificante confusione innescata da analoghe, numerose iniziative promosse sul terreno del dialogo interreligioso. Scrive a proposito monsignor Crepaldi: «Benedetto XVI ha dato degli insegnamenti sui “valori non negoziabili” che moltissimi cattolici minimizzano o reinterpretano e questo avviene anche da parte di teologi e commentatori di fama ospitati sulla stampa cattolica oltre che in quella laica; ha dato degli insegnamenti sul primato della fede apostolica nella lettura sapienziale degli avvenimenti e moltissimi continuano a parlare di primato della situazione, o della prassi o dei dati delle scienze umane; ha dato degli insegnamenti sulla coscienza o sulla dittatura del relativismo ma moltissimi antepongono la democrazia o la Costituzione al Vangelo. Per molti la Dominus Iesus, la Nota sui cattolici in politica del 2002, il discorso di Regensburg del 2006, la Caritas in veritate è come se non fossero mai state scritte».
Il problema, dunque, non è solo nell’ostilità dei nemici esterni alla Chiesa, ma è innanzitutto nella dabbenaggine dei cattolici stessi, documentata da “teologi e commentatori di fama ospitati sulla stampa cattolica”, chiara allusione a ben identificabili testate nel limitato gruppetto di quotidiani e settimanali formalmente ecclesiali. Cui si aggiunge la bordata contro il “cattolicesimo democratico” che “antepone la democrazia o la Costituzione al Vangelo”.
Data la naturale e soprannaturale corripondenza tra lex orandi e lex credendi, tra liturgia e dottrina, tutto ciò si trasforma nella devastazione della Messa. Nella maggior parte delle chiese, ormai, la celebrazione non è più intesa come rinnovamento del sacrificio del Calvario, ma come festa con uso di banchetto conviviale, non è più regolata dal rispetto del diritto di Dio al culto, ma dalla autoglorificazione dell’uomo.
Da questo scende una semplicissima constatazione: a due culti diversi corrispondono due fedi diverse e, quindi due chiese diverse. Una da scrivere con la “C” maiuscola, l’altra sembrerebbe di no.

ALESSANDRO GNOCCHI E MARIO PALMARO Autori di Viva il papa. Perché lo attaccano, perché difenderlo, Vallecchi editore, 2010


Su quattro episodi di intolleranza, tre in danno di cristiani. Forze laiciste pretendono di insolentire e annullare segni religiosi come il crocifisso e il presepe di Bruno Volpe dal sito http://www.pontifex.roma.it

Papa Benedetto XVI ha chiaramente detto che nel mondo, il gruppo religioso maggiormente perseguitato, é quello cristiano. Una dichiarazione abbastanza forte e comunque allarmante sulla quale riflettere. Ne parliamo col professor Massimo Introvigne, sociologo di chiara fama, cattolico e molto attento alle cose religiose. Professor Introvigne, il Papa ha lanciato un grido di allarme, lo trova giustificato?  "mi pare di sì ed é anche suffragato da ricerche e studi. Penso che il Papa si riferisse ad un recente simposio tenutosi a Madrid al quale ho partecipato pure io e comunque al risultato di ricerche avvenute a Vienna e in altre parti del mondo, da parte di autorevoli enti, governativi e non". Che cosa dicono queste ricerche?  "hanno messo un accento sul fatto, statisticamente certo, che nel mondo su quattro episodi di intolleranza religiosa, tre avvengono in danno di cattolici". Come si spiega?  "col fatto che chi appartiene ad altre minoranze vive di solito in paesi democratici e tolleranti, mentre le minoranze cristiane dimorano in nazioni come il Pakistan, l'India, l'Iraq dove si arriva persino a forme persecutorie cruente".

Insomma il motivo é questo: "é uno dei motivi, ma direi il più forte dal punto di vista degli atti persecutori violenti e dalle conseguenza mortali. Ma anche nel mondo occidentale si assiste ad una progressiva offesa e discriminazione contro i cristiani".

Dove?  "anche da noi. Basti assistere a certe forme volgari di dileggiamento, alla ridicolizzazione dei nostri costumi, della figura del Papa e dei vescovi. Per non andare lontano, recentemente al Papa, a Roma, fu impedito fisicamente di non parlare alla Sapienza e non si era in Iraq. Dunque anche in occidente, ci sono forme di discriminazione strisciante e subdola verso i cristiani di cui tener conto".

Il Papa ha lanciato l'allarme sulla violazione e la offesa dei simboli cristiani: "anche questo accade, eccome se accade. Il fenomeno é marcato ed evidente in nazioni come Spagna e Francia, ma ogni tanto anche qualche bello spirito leguleio, o amministratore o persino stravaganti maestri, si inventano che il crocefisso o il presepe possano turbare i bambini di altra confessione o credo religioso. Se siamo arrivati a questo punto, mi sembra chiaro che anche in occidente il cristianesimo é perseguitato,in modo meno drammatico, ma ugualmente insidioso".


Con il gelo nel cuore di Andrea Tornielli 20-12-2010 da http://www.labussolaquotidiana.it

Il «generale Inverno» miete le sue vittime. Anche se a fare notizia è l’incredibile paralisi che si è verificata tra venerdì e sabato nel tratto toscano dell’autostrada del Sole (sole che purtroppo che non c’era), il gelido bollettino meteorologico, oltre alle temperature (basse) e alle previsioni (non buone) per i prossimi giorni, riporta anche il numero dei morti per freddo.

Mi colpisce il fatto che questi frettolosi necrologi vengano presentati quasi alla stregua di quei «danni collaterali» da mettere in conto, conseguenze che non si possono evitare, perché quando le temperature scendono di diversi gradi sottozero, non è facile proteggersi se si vive all’addiaccio.

E così nei giorni scorsi a Milano sono morti un’ex badante ucraina di 47 anni, trovata morta nei pressi dei Giardini Montanelli di Porta Venezia. Poi è toccato a un senzatetto cingalese della stessa età, trovato morto congelato accanto all’ingresso di un supermercato. L’uomo è stato identificato solo grazie a un tesserino dell’Opera San Francesco, la onlus dei frati capuccini che offre cibo e vestiario ai poveri.

Ancora, sono di ieri le notizie della morte di un clochard italiano di 64 anni, ucciso dal gelo a Varese, mentre un altro barbone è stato trovato morto per il freddo a Torino. Bisognerebbe cercare di non abituarsi a questo tragico bollettino invernale. Perché non dovrebbe essere così scontato che si debba morire di freddo. Dove ci sono le metropolitane, si dovrebbero tenere aperte alcune stazioni di notte, permettendo ai senzatetto di dormirvi durante i giorni più gelidi dell’anno. Nelle città senza metrò, potrebbero essere tenute aperte stazioni.

È proprio la grande festa cristiana che ci apprestiamo a celebrare a richiamare l’attenzione verso la triste condizione di chi vive per strada perché non ha più una casa: non dimentichiamoci che il Figlio di Dio, incarnatosi per la nostra salvezza, è venuto al mondo in una famiglia temporaneamente senza tetto.


Quel prosciutto poco interreligioso - di Andrea Tornielli 20-12-2010 - http://www.labussolaquotidiana.it

La notizia può sembrare surreale, e in effetti un po’ lo è. Una famiglia musulmana residente nella città spagnola La Línea de la Concepción ha denunciato un professore dell’istituto Menédez Tolosa perché durante la lezione di geografia ha magnificato il prosciutto e non si è fermato quando un alunno di fede islamica lo ha invitato a farlo, in nome del rispetto della sua religione.

Così lo stimato professore, che vanta una lunga carriera scolastica e che è già stato ascoltato dalla polizia giudiziaria, risulta inquisito con l’ipotesi di reato di abuso nell’esercizio della professione dovuto a motivazioni razziste e xenofobe. La vicenda è stata raccontata in dettaglio dal quotidiano Diario de Cadiz. Il docente, durante una lezione di geografia in una prima media, stava parlando dei diversi tipi di clima e aveva usato come esempio di clima freddo e secco quella della località spagnola di Trevélez. A mo’ di aneddoto, il docente aveva raccontato che questo tipo di clima favoriva la stagionatura dei prosciutti. Il prosciutto, jamon, è uno dei più apprezzati prodotti tipici della regione.

L’alunno musulmano ha chiesto al professore di non parlare di questo argomento perché si sentiva offeso a motivo della sua fede islamica. Il professore avrebbe risposto che si trattava solo di un esempio e che lui non prendeva in considerazione la religione praticata dai suoi alunni. Secondo la famiglia dello studente, invece, l’insegnante avrebbe risposto al ragazzo che se non gli garbava il prosciutto, poteva tornarsene nel suo Paese. Ma lo studente musulmano è nato in Spagna.

Spetterà agli investigatori accertare la verità sull’accaduto. Comunque sia andata, e senza voler caricare l’episodio di significati che non ha, ci sembra di poter dire che la Spagna di Zapatero appare a dir poco schizofrenica: i lettori de La Bussola nei giorni scorsi hanno infatti potuto leggere che cosa è accaduto con i manifesti affissi in Andalusia dai giovani socialisti in occasione della giornata contro l’Aids. Sotto la scritta «Bendito condón que quitas el SIDA del mundo», ovvero «Benedetto il preservativo che toglie l’AIDS del mondo», si vedevano due mani che scimmiottavano il gesto con cui nella Messa, dopo la consacrazione, il sacerdote eleva l’ostia. Solo che al posto della particola, c’era un preservativo.

Dunque, si può irridere con messaggi blasfemi ciò che c’è di più sacro nella fede cattolica, mentre nello stesso Paese un professore di geografia non può parlare del prosciutto (non del Corano o del Ramadan) in una scuola spagnola perché rischia una denuncia per razzismo e xenofobia.


Avvenire.it, 19 dicembre 2010 - I diari dell'ambasciatore Usa Armeni 1915, il genocidio in presa diretta di Antonia Arslan

Arriva finalmente in Italia, e sarà in libreria a gennaio, un libro straordinario, una delle prime e più efficaci testimonianze sullo sterminio degli armeni, scritta a caldo da un grande ebreo, uomo intelligente, intuitivo e generoso, la cui azione fu dimenticata per decenni insieme alla tragedia degli armeni. Si tratta del Diario 1913-1916 (Le memorie dell’ambasciatore americano a Costantinopoli negli anni dello sterminio degli armeni), che esce per Guerini & Associati a cura di Francesco Berti e Fulvio Cortese (pagine 356, euro 28; prefazione di Pietro Kuciukian; traduzione di Giovanni Maria Seccosuardo).

Henry Morgenthau fu un personaggio politicamente centrale nella tragedia armena: si trovò al posto giusto nel momento giusto, e si comportò da giusto. Ma fece anche qualcosa di più; rese una testimonianza ineccepibile e particolarmente autorevole, perché in quel periodo cruciale (1913-1916) era a Costantinopoli, vicino al centro del potere dell’Impero Ottomano, e per di più nelle vesti di ambasciatore degli Stati Uniti (all’epoca ancora neutrali). Gli studi sulla tragedia del popolo armeno, dalle stragi del 'Sultano Rosso' Abdul Hamid al genocidio del 1915-16, fino al desolato scenario finale degli anni Venti, con l’abbandono forzato delle terre ancestrali, nelle quali oggi non c’è quasi più traccia di una presenza che fu millenaria, ricevono da questo libro un contributo fondamentale. Si tratta di un tassello essenziale della storia del Novecento, che rende leggibili e comprensibili molti altri avvenimenti di quell’infuocato inizio di secolo.

Il Diario 1913-1916 si inserisce infatti in un filone di ricerca che si va accrescendo in modo impressionante. Negli ultimi anni - dopo tanti decenni di 'silenzio assordante' sulla questione armena - si stanno infatti moltiplicando gli studi, le analisi, le pubblicazioni di memorie di testimoni stranieri e di documenti recuperati dagli archivi che integrano, illuminano, chiariscono dati e fatti. Si sono aperti molti archivi diplomatici, fra cui quelli tedeschi e austriaci, che stanno gettando una luce sinistra sulle complicità dei governi dei due imperi nell’attuazione del piano di sterminio, quelli vaticani, quelli francesi; e nuove pubblicazioni escono a getto continuo. Un paio di esempi. Nella sua monumentale opera, Le Génocide des Arméniens, lo studioso francese Raymond Kévorkian, avvalendosi del ricchissimo archivio della Bibliothèque Nubar di Parigi, filtra e sistematizza tutte le informazioni sin qui conosciute sui fatti del 1915, con una completezza impressionante. In uno stile scorrevole, tipicamente francese, racconta nei più minuti particolari lo svolgersi dei fatti, da est a ovest, villaggio per villaggio, città per città, con le date precise, con elenchi ed elenchi dei nomi delle vittime e del loro destino.

Lo scrittore armeno-americano Peter Balakian ha invece scoperto il testo dimenticato di un suo prozio, pubblicato in Russia nel 1922, e lo ha fatto tradurre: in The Armenian Golgotha , Grigoris Balakian, unico sopravvissuto del numeroso gruppo di scrittori, politici e intellettuali che venne deportato da Costantinopoli il 24 aprile 1915, decapitando la nazione armena della sua élite, racconta quell’esilio che fu in realtà una condanna a morte, programmata ed eseguita giorno per giorno con spietata efficienza e brutalità. Balakian, ecclesiastico poliglotta con eccellenti studi a Berlino, fu salvato da un ufficiale tedesco che aveva bisogno di lui come interprete. Prese note accurate di quello che vedeva e subiva, e riuscì a mettere in salvo il suo quaderno. E tuttavia, il Diario di cui qui parliamo ha un significato particolare. Henry Morgenthau era un ebreo americano. Nato in Germania, ebbe successo negli Stati Uniti e divenne amico del presidente Wilson, che lo mandò come ambasciatore presso l’Impero Ottomano. Il suo diario è il palpitante resoconto, quasi giorno per giorno, del suo ostinato tentativo di opporsi al fiume di sangue che travolse la minoranza armena nel 1915. Egli aveva buoni rapporti personali con gli artefici della strage, Talaat ed Enver, e si spese in frequentissimi colloqui con loro per tentare di farli desistere almeno in parte dall’attuazione dello sterminio. Non ottenne quasi niente, allora, quanto a salvezza di persone, ma appena tornato in patria pubblicò questo libro, per dare testimonianza; e in seguito fondò e sostenne una grandiosa associazione di volontariato, chiamata Near East Relief, che raccolse in poco tempo decine di milioni di dollari per i sopravvissuti armeni che vagavano, affamati e senza speranza, nel deserto siriano.

Alla sua generosa e perspicace capacità organizzativa si deve la salvezza dalla morte di migliaia di donne e bambini armeni. Il libro sembra scritto ieri: è fresco e nervoso, perfino frenetico a volte nel raccontare il piccolo mondo dei diplomatici, la vita nella grande, cosmopolita capitale, «la Città», Costantinopoli; e poi la guerra che preme al di fuori e i colloqui coi capi del Partito Unione e Progresso, che descrive con brio e vivacità, ma anche con desolato pessimismo. Mentre nel caldo comfort del ministero beve tè con Talaat, o pranza a casa di Enver, il quale siede pomposo fra un ritratto di Napoleone e uno di Federico il Grande, Morgenthau non dimentica mai che là fuori si muore di fame e di violenze, e che la sua immunità diplomatica non lo protegge dall’angoscia che gli provoca l’assistere impotente alla fine di un popolo intero. Dopo aver riferito le gelide, sinistre frasi con cui Enver e Talaat rifiutano la sua offerta di portare cibo agli armeni morenti di fame, scriverà: «Non ero riuscito a fermare il massacro degli armeni, e ai miei occhi la Turchia era diventata un luogo di orrori. Soprattutto mi era diventata insopportabile la frequentazione quotidiana con uomini che a dispetto della cortesia, disponibilità e amabilità manifestate nei riguardi dell’ambasciatore americano, avevano le mani sporche del sangue di poco meno di un milione di esseri umani». Disegnando spassionati, vivaci ritratti dei diplomatici, militari e uomini d’affari tedeschi, che guardano con indifferenza ai massacri, attenti solo all’interesse del loro paese, aggiunge profeticamente: «La Germania aveva lucidamente architettato la conquista del mondo».