martedì 21 dicembre 2010

Nella rassegna stampa di oggi:
1)    Sacri Palazzi il blog di Andrea Tornielli – Pedofilia, la sofferenza e il realismo del Papa, 20 dicembre 2010
2)    20/12/2010 – INDIA - Prete indiano massacrato da una banda: “perdono i miei aggressori” di Nirmala Carvalho Mumbai (AsiaNews)
3)    CHIARA LUCE E GLI ALTRI “INNAMORATI DI GESÙ” - Cresce sul web l'interesse dei giovani per gli ideali cristiani di Renzo Allegri
4)    Gerry Scotti e la nuova evangelizzazione di Andrea Tornielli 21-12-2010 da http://www.labussolaquotidiana.it
5)    Pedofilia, il Papa denuncia l'ideologia del permissivismo - di Andrea Tornielli 20-12-2010 da http://www.labussolaquotidiana.it
6)    La coscienza di Newman di Massimo Introvigne 20-12-2010 da http://www.labussolaquotidiana.it
7)    Il Buon Natale del papa: "Solo la verità salva" - Nel suo discorso prenatalizio alla curia, Benedetto XVI parla in realtà al mondo intero. Gli abusi sessuali del clero, dice, sono l'effetto dell'incapacità di distinguere il bene e il male. E ricorda la lezione di Newman: la coscienza è fatta per obbedire alla verità di Sandro Magister
8)    Molto fumo e poca sostanza. Il basso “rating” delle odierne dispute teologiche - 20 dicembre, 2010 da http://magister.blogautore.espresso.repubblica.it/
9)    IL CASO/ L'ultima follia di Zapatero: parlare di prosciutto offende l'Islam Luca Volontè, martedì 21 dicembre 2010 da il sussidiario.net
10)                      DIARIO HAITI/ Chiara (medico): quella bellezza che supera macerie e malattie - GUARDA IL TG Redazione - martedì 21 dicembre 2010 da il sussidiario.net
11)                      Lo Straniero - Il blog di Antonio Socci - Elogio cristiano del Natale consumistico 20 dicembre 2010
12)                      La crisi dell'università ha radici culturali di Massimo Introvigne 20-12-2010 da http://www.labussolaquotidiana.it
13)                      Avvenire.it, 21 dicembre 2010 - Oltre il politeismo delle opinioni e l'accanimento anticristiano - Ciò che ferisce tutti e tutti libera di Pierangelo Sequeri

Sacri Palazzi il blog di Andrea Tornielli – Pedofilia, la sofferenza e il realismo del Papa, 20 dicembre 2010

Benedetto XVI ha incontrato oggi i suoi collaboratori nella Curia romana per il tradizionale scambio degli auguri natalizi. Il Papa, con sofferenza, ha ripercorso l’anno che si conclude, dedicando ampio spazio allo scandalo degli abusi sessuali sui minori commessi dal clero, uno scandalo che ha turbato l’Anno Sacerdotale. Vi segnalo alcuni passaggi del suo discorso, nei quali Ratzinger, che come ha sempre fatto non minimizza né si rifugia dietro le statistiche, parla con realismo anche del problema culturale di fondo in cui il fenomeno avviene. Sottolineando in fondo quell’ipocrisia già segnalata nei mesi scorsi dal cardinale Carlo Maria Martini, quella di un mondo che mentre s’indigna (giustamente) contro i preti pedofili approva poi ogni permissivismo morale.

«Dobbiamo interrogarci su che cosa possiamo fare per riparare il più possibile l’ingiustizia avvenuta. Dobbiamo chiederci che cosa era sbagliato nel nostro annuncio, nell’intero nostro modo di configurare l’essere cristiano, così che una tale cosa potesse accadere. Dobbiamo trovare una nuova risolutezza nella fede e nel bene. Dobbiamo essere capaci di penitenza. Dobbiamo sforzarci di tentare tutto il possibile, nella preparazione al sacerdozio, perché una tale cosa non possa più succedere. È questo anche il luogo per ringraziare di cuore tutti coloro che si impegnano per aiutare le vittime e per ridare loro la fiducia nella Chiesa, la capacità di credere al suo messaggio. Nei miei incontri con le vittime di questo peccato, ho sempre trovato anche persone che, con grande dedizione, stanno a fianco di chi soffre e ha subito danno. È questa l’occasione per ringraziare anche i tanti buoni sacerdoti che trasmettono in umiltà e fedeltà la bontà del Signore e, in mezzo alle devastazioni, sono testimoni della bellezza non perduta del sacerdozio».

 «Siamo consapevoli della particolare gravità di questo peccato commesso da sacerdoti e della nostra corrispondente responsabilità. Ma non possiamo neppure tacere circa il contesto del nostro tempo in cui è dato vedere questi avvenimenti. Esiste un mercato della pornografia concernente i bambini, che in qualche modo sembra essere considerato sempre più dalla società come una cosa normale. La devastazione psicologica di bambini, in cui persone umane sono ridotte ad articolo di mercato, è uno spaventoso segno dei tempi. Da Vescovi di Paesi del Terzo Mondo sento sempre di nuovo come il turismo sessuale minacci un’intera generazione e la danneggi nella sua libertà e nella sua dignità umana. L’Apocalisse di san Giovanni annovera tra i grandi peccati di Babilonia – simbolo delle grandi città irreligiose del mondo – il fatto di esercitare il commercio dei corpi e delle anime e di farne una merce (cfr Ap 18,13). In questo contesto, si pone anche il problema della droga, che con forza crescente stende i suoi tentacoli di polipo intorno all’intero globo terrestre – espressione eloquente della dittatura di mammona che perverte l’uomo. Ogni piacere diventa insufficiente e l’eccesso nell’inganno dell’ebbrezza diventa una violenza che dilania intere regioni, e questo in nome di un fatale fraintendimento della libertà, in cui proprio la libertà dell’uomo viene minata e alla fine annullata del tutto».

 «Per opporci a queste forze dobbiamo gettare uno sguardo sui loro fondamenti ideologici. Negli anni Settanta, la pedofilia venne teorizzata come una cosa del tutto conforme all’uomo e anche al bambino. Questo, però, faceva parte di una perversione di fondo del concetto di ethos. Si asseriva – persino nell’ambito della teologia cattolica – che non esisterebbero né il male in sé, né il bene in sé. Esisterebbe soltanto un “meglio di” e un “peggio di”. Niente sarebbe in se stesso bene o male. Tutto dipenderebbe dalle circostanze e dal fine inteso. A seconda degli scopi e delle circostanze, tutto potrebbe essere bene o anche male. La morale viene sostituita da un calcolo delle conseguenze e con ciò cessa di esistere. Gli effetti di tali teorie sono oggi evidenti. Contro di esse Papa Giovanni Paolo II, nella sua Enciclica Veritatis splendor del 1993, indicò con forza profetica nella grande tradizione razionale dell’ethos cristiano le basi essenziali e permanenti dell’agire morale. Questo testo oggi deve essere messo nuovamente al centro come cammino nella formazione della coscienza. È nostra responsabilità rendere nuovamente udibili e comprensibili tra gli uomini questi criteri come vie della vera umanità, nel contesto della preoccupazione per l’uomo, nella quale siamo immersi».


20/12/2010 – INDIA - Prete indiano massacrato da una banda: “perdono i miei aggressori” di Nirmala Carvalho Mumbai (AsiaNews)

Il sacerdote del Madhya Pradesh, aggredito nella notte del 16 dicembre da una dozzina di uomini armati di bastoni, è salvo per miracolo. Anni fa, nello stesso villaggio, una suora che compiva lo stesso lavoro di aiuto ai tribali illetterati, è stata pugnalata a morte. Padre Thomas: “Prego per chi mi ha aggredito, che il Natale porti luce nel suo cuore”.


Mumbai (AsiaNews) – Padre Thomas Chirattavayalil, un sacerdote della diocesi di Satna,  è stato aggredito nella notte del 16 dicembre 2010 da un gruppo di uomini armati e mascherati. Il sacerdote lavora a Odagady, un posto remoto di missione nel Madhya Pradesh e si occupa dei tribali e della loro situazione. Intervistato da AsiaNews, p. Thomas ha detto. “Ho perdonato i miei aggressori. E prego per loro, affinché la nascita del nostro Signore Gesù possa portare speranza e pace e luce nei loro cuori, nelle loro menti e nelle loro vita” ha detto. E ha aggiunto: “Possa la violenza che ho subito in questa stagione di Avvento portare grazia e benedizioni e vita e frutto per la missione della Chiesa a Satna, nel Madhya Pradesh e in India”.

Gli aggressori gli hanno dato la caccia inseguendolo e picchiandolo continuamente. Gli hanno ordinato di non gridare, ma sentendo il tumulto l’autista, il cuoco e l’animatore hanno cercato di uscire per aiutarlo. I malviventi però avevano chiuso le loro porte dall’esterno, e nessuno è stato in grado di uscire ad aiutarlo. Infine è riuscito a raggiungere la casa di Januna, un membro del Panchayath, il gruppo di anziani del paese, a circa mezzo km di distanza e si è salvato. Il sacerdote ha subito due ferite profonde sulla testa, e ha ferite sulle spalle e in altre parti del corpo.

Nelle sue parole il racconto di ciò che è accaduto. “Verso le 2 di notte del 16 dicembre ho sentito qualcuno che mi chiamava: ‘fatherji, fatherji’. Pensando che qualcuno avesse bisogno del mio aiuto ho aperto la porta del presbiterio, dove 10-12 uomini, mascherati e armati con bastoni hanno cominciato a picchiarmi. Sono caduto a terra, mi hanno colpito sulla schiena molte volte. Mi sono rimesso in piedi e ho cominciato a correre, gridando aiuto. Ma gli aggressori avevano bloccato le porte dell’autista, del cuoco e dell’animatore prima di chiamarmi. Al cancello altri due uomini mascherati mi hanno colpito mentre cercavo di saltare oltre il muro”.

A Odagady ci sono una quindicina di famiglie cattoliche; gli altri abitanti sono indù, ma la Chiesa si occupa di tutti, senza badare a casta o fede di appartenenza. Molti di loro sono tribali, lavoratori senza terra e illetterati, che sono sfruttati. “Diamo a questi tribali un’educazione, e li informiamo dei loro diritti. Grazie ai nostri Gruppi di auto-aiuto , che la Chiesa ha collegato a programmi del governo,  i nostri tribali sono sulla via di diventare autosufficienti nel difendere la propria dignità umana. Sono sicuro che gli aggressori fossero gente del villaggio, perché tutti qui mi chiamano fatherji, e non sono venuti per rubare e saccheggiare”.

Padre Thomas è a Odagady da un anno e mezzo. “Continuo il lavoro di suor Maria Rani, che ha lavorato qui dieci anni prima di essere accoltellata a morte. Ha fatto un grande lavoro nell’elevare le condizioni della povera gente. Ho cinque punti sulla testa e ferite sulla schiena; ma sono stato ordinato sacerdote per servire i poveri, e questo è il modo migliore per prepararmi alla venuta di Gesù, che venne povero fra i poveri e gli oppressi”.


CHIARA LUCE E GLI ALTRI “INNAMORATI DI GESÙ” - Cresce sul web l'interesse dei giovani per gli ideali cristiani di Renzo Allegri

ROMA, lunedì, 20 dicembre 2010 (ZENIT.org).- Il 26 settembre scorso, a Roma, è stata beatificata una ragazza italiana, Chiara Luce Badano, morta nel 1990, quando non aveva ancora compiuto 19 anni. La sua giovane esistenza è stata stroncata da un tumore alle ossa che ha trasformato l’ultimo anno della sua vita in un autentico martirio. La cerimonia della beatificazione si è tenuta al Santuario del Divino Amore vicino a Roma con un grande concorso di gente: oltre 25 mila persone, in gran parte giovani.
Chiara faceva parte del Movimento dei Focolari, movimento che ha una enorme diffusione in tutto il mondo ed erano giunte delegazioni di giovani da 57 Paesi, dei quattro continenti. Un vero evento. In genere, però, passata la festa, tutto torna nel silenzio. Non è così per Chiara Luce. Intorno a lei si è acceso un interesse che continua ad aumentare. Non sostenuto e facilitato dei mezzi di comunicazione, che se ne sono interessati al momento della beatificazione ma neppure con grande entusiasmo. E’ un interesse che vive soprattutto di “passa parola”, e a tre mesi dalla beatificazione è così eclatante da costituire un caso.
"E’ veramente incredibile la simpatia che questa ragazzina sta suscitando tra i giovani in tutto il mondo", dice Carla Cotignoli, responsabile dell’Ufficio informazioni del Movimento dei Focalari. "Ogni giorno riceviamo e-mails, SMS, lettere, telefonate. Ma sono soprattutto i canali della rete, quelli tipici dei giovani a dare le misura di quanto sta accadendo. Per esempio, su 'GloriaTV', sito internet internazionale su cui vengono caricati video di argomento cattolico, sono pubblicati 38 video che parlano di Chiara Luce e della sua Beatificazione, visualizzati complessivamente quasi 90.000 volte. Su Youtube sono più di 300 i video concernenti la figura di Chiara Luce, visualizzati circa 540.000 volte. Su FACEBOOK si trovano 7 pagine a lei dedicate, in italiano, inglese, greco, sloveno, serbo, con 27200 iscritti. Innumerevoli i siti, i blog dove si parla di lei, e il tutto è in continuo aumento".
Nata a Sassello, in provincia di Savona e diocesi di Acqui, Chiara era figlia di un camionista e di una operaia, cattolici ferventi, che avevano trasmesso alla bambina la loro fede religiosa, semplice ma vissuta. A nove anni, Chiara conosce il Movimento dei Focolari, fondato da Chiara Lubich, e ne resta affascinata. Entra a far parte del settore “Gen3”, una sezione del Movimento riservata a ragazzi e ragazze dai 9 ai 17 anni, e scopre il mondo della spiritualità, del Vangelo. Con l’aiuto dei genitori e del movimento dei Focolari, inizia un percorso spirituale spontaneo e straordinario, guidata soprattutto da ispirazioni della Grazia Divina. Chiara Lubich percepisce la bellezza interiore di quell’adolescente e la segue con particolare affetto. Fu lei ad aggiungere al nome di battesimo, Chiara, quello di Luce, per indicare l’intensa luminosità che si irradiava dall’animo di quella bambina, nome che le è rimasto, e tutti la conoscono come Chiara Luce.
Il percorso verso la maturità spirituale è stato breve. A 17 anni, Chiara Luce viene colpita da un osteosarcoma che trasforma la sua esistenza in un tremendo calvario. Le certezze spirituali che aveva assimilato diventano la luce immensa che la sostengono nella bufera delle sofferenze e le fanno accettare la croce della morte come un dono d’amore per Gesù crocifisso. In genere, quando sentiamo parlare di una ragazza che è vissuta da santa, ci immaginiamo una persona lontana nel tempo, timida e riservata, tutta presa da preghiere e opere pie, totalmente estranea alla vita normale della gente, da risultare quasi una entità di fantasia. In questo caso, invece, si tratta di una ragazza del nostro tempo. Una di quelle che vediamo per la strada, all’uscita dalle scuole, felici e chiassose. Prima di essere colpita dalla malattia, Chiara Luce era un terremoto di vitalità e uno schianto di bellezza. Sportiva scatenata, amava la montagna, il mare, il nuoto, il tennis, i pattini a rotelle, la musica, il ballo, le canzoni.
"Possedeva una vitalità contagiosa", dice Mariagrazia Magrini, vice postulatrice della causa di beatificazione di Chiara Luce. "Incantava i suoi coetanei, soprattutto i ragazzi che rimanevano affascinati dalla vitalità, dal suo sorriso e dalla luminosità del suo sguardo. Ma, nonostante l’incontenibile voglia di divertirsi, Chiara aveva anche un comportamento gioiosamente legato ai valori religiosi e nessuno è mai riuscito a distrarla da quei suoi ideali. Era lei, invece, che attirava a sé chi le stava attorno".
"Chiara è un esempio che rivela l’esistenza di una meravigliosa realtà purtroppo quasi sconosciuta al grande pubblico", dice monsignor Giuseppe Maritano, il vescovo che cresimò Chiara Luce, che la seguì spiritualmente nei momenti difficili della malattia e che fu il promotore della sua causa di beatificazione. "Il mondo d’oggi è succube dei mezzi di comunicazione. I quali sono morbosamente attenti ai comportamenti trasgressivi, ai fatti scandalistici, alle espressioni superficiali e negative della vita. Divertimento, sesso, denaro, droga, libertà sfrenata, egoismo, indifferenza ideologica e religiosa, sono le tematiche che fanno notizia per i media del nostro tempo. E vengono trattate con enfasi, con ossessione martellante al punto da far pensare che non esista altro nel mondo d’oggi. Ma non è così. Per fortuna, c’è anche un mondo diverso, una gioventù diversa, che segue ideali diversi e straordinari. Lo veniamo a scoprire di tanto in tanto, quando certi fatti di cronaca si impongono all’opinione pubblica e quindi i media sono costretti a interessarsene"
“Sembra quasi impossibile”, dico a monsignor Maritano “che una ragazza così giovane sia una santa”. “La santità non è riservata a persone adulte, ad appartenenti a ordini religiosi e cose del genere", risponde monsignor Maritano. “La santità consiste nella perfetta unione con Cristo. La grazia di Dio chiama tutti gli uomini alla santità, ma diverse sono le risposte che le persone sanno dare. Chiara Luce ha risposto alla chiamata con generosità eroica, anche se era ancora una ragazzina”.
Un caso eccezionale.
Monsignor Maritano: "Niente affatto. Ce ne sono tanti, che restano sconosciuti all’opinione pubblica, ma sono reali e concreti. All’apparenza, Chiara era una ragazza normalissima. Uguale alle sue coetanee. Ma è stata la sua risposta a Dio ad essere eccezionale. Chiara era figlia di persone umili, e riservate, cattoliche, che mettevano in pratica la loro fede nella vita di ogni giorno. Pregavano insieme e si sforzavano di amare Dio e il prossimo. Chiara è cresciuta in questa famiglia, ha assimilato i valori cristiani dei genitori, ma poi, è stata lei, per sua libera scelta, a volerli praticare con grande dedizione. Sta in questa 'libera scelta' la sua santità".
Che genere di educazione ha avuto?
Monsignor Maritano: "Fin da bambina ha imparato a pensare a Dio come a un 'vero' padre, a Gesù come un amico, un fratello. Il suo motto, fin da piccola era: 'Se Gesù lo vuole, lo voglio anch’io'. E’ stata fedele a questo principio anche quando il suo 'sì' ha richiesto un coraggio eroico".
A scuola e tra i coetanei non si sentiva un pesce fuori d’acqua?
Monsignor Maritano: "A nove anni ebbe la fortuna di conoscere il Movimento dei Focolari di Chiara Lubich e volle farne parte. Quello dei Focolarini è un Movimento di famiglie laiche che si impegnano a vivere il Vangelo. La bambina è cresciuta in quel Movimento e certamente si sentiva, in un certo senso, protetta quando certi coetanei la prendevano in giro per la sua fede, soprattutto alle medie e al liceo. Ma, pur soffrendo a volte, non ha mai rinunciato a testimoniare le proprie convinzioni. E alla fine il suo comportamento leale e deciso ha conquistato la stima e la fiducia di tutti".
Era una ragazza molto bella, simpatica, attraente. Aveva dei corteggiatori?
Monsignor Maritano: "Era un bella ragazza e aveva un carattere estroverso, vivace, simpatico. Il suo cuore di adolescente si infiammava, come quello di tutte le ragazze. Sentiva forte l’attrazione per qualche compagno. Dagli atti del processo risulta che ebbe dei piccoli flirt, ma trovandosi di fronte a richieste che contrastavano con le sue convinzioni morali, ebbe il coraggio, magari con le lacrime agli occhi, di troncare subito. Sognava il grande amore, il principe azzurro con il quale formare una famiglia e avere dei figli. E aspettava che arrivasse l’età e il tempo giusto per realizzare il suo grande sogno".
Quando si è manifestata la malattia?
Monsignor Maritano: "Mentre frequentava il liceo. Un tumore alle ossa. Una malattia atroce che in due anni la portò alla morte. Il periodo della malattia fu quello della 'grande prova'. In famiglia e nel Movimento dei Focolari aveva imparato la teoria del vivere cristiano. La malattia fu la 'pratica'. E lei si comportò da grande campionessa. Quando le dissero che aveva un tumore maligno, certamente si spaventò, ma per poco. Rifletté, e poi ebbe il coraggio di dire come sempre: ìSe lo vuoi tu Gesù, lo voglio anch’io'.
La malattia fu dolorosissima. Quel tipo di tumore provoca spasmi lancinanti. Venne sottoposta a vari interventi chirurgici, a infiltrazioni, biopsie, analisi invasive, chemioterapie pesanti, con effetti collaterali distruttivi. Furono due anni di autentico martirio fisico e psichico ma Chiara non perse mai la calma, mai il sorriso. Era determinata a sopportare tutto per amore di Gesù. Sembrava immune al dolore ma il suo nascondere la sofferenza era solo un modo per tranquillizzare la famiglia. Ad un certo momento, la malattia paralizzò le sue gambe. Immobilizzata a letto, volgeva spesso lo sguardo verso l’immagine di Gesù che teneva sul comodino e da quel gesto si capiva che stava davvero soffrendo, che il male era in quel momento davvero insopportabile".
Come era negli ultimi mesi di vita?
Monsignor Maritano: "Uno scrigno di forza e di fede esemplari. Il suo unico scopo in quei momenti tremendi era offrire il dolore che provava a Dio, certa che Lui avrebbe saputo come disporne. La sua totale fiducia nel mistero della sofferenza era immensa. Rifiutava la morfina perché diceva che le toglieva lucidità e le impediva di parlare con Gesù. E disse anche che non avrebbe più chiesto a Dio di venire a prenderla per portarla in Paradiso perché poteva sembrare che lei non volesse più soffrire. Diceva: 'Se adesso mi chiedessero se voglio camminare, direi di no perché così sono più vicina a Gesù'. Le fu proposto di andare a Lourdes a chiedere la guarigione alla Madonna. Non volle. 'Non credo che la mia guarigione rientri nel piano di Dio', ripeteva".
Ho letto che riceveva amici e parenti sempre con il sorriso.
Monsignor Maritano: "E’ vero. Nonostante la sofferenza insopportabile, Chiara era sempre sorridente e aveva una parola di incoraggiamento per chiunque andasse a trovarla. Era lei, nel letto, demolita dalla malattia, a dare speranza alla famiglia e agli amici. Chi la avvicinava, riceveva qualche cosa da lei. Perfino alcuni medici, indifferenti verso la religione, cambiarono atteggiamento. Era incredibile la maturità spirituale che quella ragazzina di diciotto anni dimostrava. Un’altra, al suo posto, avrebbe cercato il conforto dei genitori e invece era lei a distribuire loro forza e coraggio. Diceva a sua madre: 'Fidati di Dio. Quando io non ci sarò più, segui lui e troverai la forza per andare avanti'. E poi: 'Gesù mi aspetta. Quando viene a prendermi, io sono pronta. Quando morirò non soffrirò più. Andrò in cielo dove vedrò Gesù e la Madonna. Sarò tanto, ma tanto felice'".
Quali furono le sue ultime parole?
Monsignor Maritano: "Furono per la madre. Le disse 'ciao', come una qualsiasi ragazza in procinto di partire per un viaggio. 'Ciao, mamma. Sii felice, io lo sono'".
Chiara Luce non è un caso unico nel mondo giovanile di questo nostro tempo, apparentemente privo di valori religiosi e spirituali. Carla Cotignoli, la responsabile delle informazioni del Movimento fondato da Chiara Lubich, mi ha detto che ci sono altri cinque giovani che in vita militavano nel Movimento dei Focolari, dei quali è in corso il processo di beatificazione. Ecco i loro nomi:
Alberto Michelotti, genovese, morto nel 1980, a 22 anni. La sua vita fu caratterizzata da un grande amore per tutti, soprattutto per i meno fortunati e questo amore nasceva dal suo incontro con Gesù. Scrisse: “C'è Qualcuno che entra sempre più nella mia giornata, è Gesù”.
Carlo Grisolia, anche lui genovese, amico di Michelotti, morto nel 1980, a 20 anni, stroncato da un tumore fulminante. Poco prima di morire disse agli amici: “Siate pronti a dare la vita gli uni per gli altri. Offro la mia vita per tutti voi, ma soprattutto per tutti quelli che soffrono, per i ragazzi del mio quartiere, per la mia parrocchia e per il mondo unito”.
Daniela Zanetta, di Maggiara, in provincia di Novara, morta nel 1986, a 24 anni. Era affetta da una rarissima malattia che le provocava in tutto il corpo bolle e lacerazioni alla pelle con sofferenze terribili, e spesso doveva essere ricoverata in ospedale. Poco prima di morire scrisse in una lettera: “Vorrei gridare a tutti che la vita di ogni creatura è sacra e bella. Ho una seria malattia della pelle; ho perso i miei capelli, le mie unghie e ho dovuto farmi estrarre tutti i denti… Ma credo in Dio, lo amo intensamente e lo ringrazio per avermi donato la vita, perché ogni giorno che mi regala è un'occasione in più che ho per amarLo e per servirLo”.
Maria Orsola Bussone, torinese, morta nel 1970, a 16 anni. Pochi mesi prima di morire, scrisse: “Sarei disposta a sacrificare la mia vita, perché i giovani capiscano quanto è bello amare Dio!”.
Santa Scorese, di Bari, morta nel 1991, a 23 anni. Era una ragazza piena di vita, amava la musica, cantava a suonava la chitarra. Scrisse: “Tutto è amore perché Dio ci ama immensamente… Sarei disposta a sacrificare la mia vita, perché i giovani capiscano quanto è bello amare Dio!”
Una storia speciale è quella che riguarda un diciassettenne, che si chiamava Charles Moats. Era un afroamericano vissuto a Chicago al tempo di Martin Luther King e dei violenti scontri razziali in quella città e in tutti gli Stati Uniti negli anni Sessanta del secolo scorso. Charles aveva una difficile situazione familiare: non conosceva il padre e sua madre era alcolizzata. Viveva in uno dei quartieri-ghetto della città, segnato da violenza, povertà, emarginazione. Era destinato quindi a una esistenza traviata in tutti i sensi. Ma un giorno conobbe dei ragazzi del Movimento dei Focolari, che divennero suoi amici speciali e frequentandoli trovò il grande ideale: Gesù, l’amore per Gesù.
Nel suo cuore si sviluppò l’impegno concreto per l'unità tra gli uomini, secondo il messaggio evangelico, al di là e al di sopra di tutte le diversità sociali, razziali, religiose. Purtroppo, quegli ideali gli costarono la vita e un giorno venne assassinato. Ma il suo esempio è diventato una fiaccola che ancora arde e illumina, grazie a un gruppo artistico, che si chiama Gen Rosso, composto da 18 persone provenienti da 9 diverse nazioni, nato proprio al tempo della morte di Charles e diventato poi famoso in tutto il mondo. Questo gruppo, che fa parte del Movimento dei Focolari, ha trasformato la storia di Charles in un musical dal titolo “Streetlight”, e l’ha portata e continua a portarla con successo in giro per il mondo.
Un’altra storia emblematica è quella del francese Jacques Fesch. Un giovane che non apparteneva a nessun movimento spirituale, anzi rappresentava quella parte di giovani che vengono definiti “i perduti” la “gioventù bruciata”. Nato in Francia nel 1930, apparteneva a una famiglia cattolica e anche ricca, essendo suo padre un noto banchiere. A 17 anni, Jacques si ribella contro l’educazione ricevuta, abbandona la religione e inizia una vita sregolata. Sposa civilmente una ragazza che aveva messo incinta, ma poi abbandona moglie e figlia, ed ha un figlio da un’altra donna. Pensa di girare il mondo in barca, ma i suoi non gli danno i soldi per comperare la barca. E lui, nel 1954, per avere quella barca, tenta una rapina in banca e uccide un poliziotto. Viene arrestato, processato e condannato a morte. La sentenza fu eseguita il primo ottobre 1957, quando Jacques aveva soltanto 27 anni.
In seguito, si venne a sapere che, in carcere, Jacques si era convertito. Anche lui era stato folgorato dalla Grazia di Dio e negli ultimi tre anni aveva tenuto una condotta esemplare. Il suo Diario, poi pubblicato, e le lettere ai parenti e agli amici, sono un documento commovente e inconfutabile. Così importante da convincere il cardinale di Parigi, Jean-Marie Lustiger, ad aprire, nel 1993, il processo di beatificazione di questo giovane assassino. Il 2 dicembre 2009, anche Benedetto XVI ha citato, in piazza San Pietro, il nome di questo giovane.
E’ difficile immaginare che cosa possa accadere nel profondo della coscienza di una persona. Quello è il luogo dell’incontro inevitabile con Dio. E, se appena la persona ascolta e si apre alla Grazia, tutto diventa possibile, sia che quella persona provenga da una famiglia credente, sia che abbia percorso le strade della perdizione. Chiara e gli altri giovani sulla vita della beatificazione sono la punta di un iceberg, costituito da innumerevoli ragazzi e ragazze del nostro tempo “innamorati” di Gesù. Un iceberg enorme, ma sconosciuto perché naviga in un mare strano, che lo ignora e fa di tutto perché nessuno ne parli. Ma, per fortuna, c’è, ed è ciò che conta.


Gerry Scotti e la nuova evangelizzazione di Andrea Tornielli 21-12-2010 da http://www.labussolaquotidiana.it

Domenica sera stavo guardando “il milionario”, il quiz televisivo di successo condotto dal bravo Gerry Scotti, quando al concorrente, un ragazzo di Ponte Lambro, è stata rivolta una domanda di cultura religiosa. Gli è stato chiesto a quale sacramento corrispondesse la “penitenza” o “riconciliazione”.

Le quattro possibili risposte erano: battesimo, cresima, confessione e comunione. Il ragazzo è rimasto di stucco. Non frequentava i sacramenti da parecchio. Ha dunque pensato di affidarsi all’aiuto del pubblico, uno degli aiuti a cui si può ricorrere per una volta soltanto nel corso della gara. Gli spettatori del “milionario” presenti in studio, pubblico vario ed eterogeneo, hanno quindi usato il loro personale telecomando per suggerire al giovane la risposta esatta.

Con una certa sorpresa, ben l’81 per cento degli spettatori ha sbagliato, indicando sacramenti diversi dalla confessione, che è stata scelta soltanto dal 19 per cento dei votanti. Anche Gerry Scotti, pur con il suo fine umorismo, non ha nascosto un certo sconcerto. Se qualcuno volesse la prova di che cosa significhino le parole secolarizzazione e scristianizzazione, basta che osservi esempi come questo. Esempi che peraltro dimostrano anche il fallimento di certa catechesi moderna, che sembra non aver lasciato segno alcuno.

Il ragazzo di Ponte Lambro, facendo un sforzo di memoria, alla fine ha ritenuto che “confessione” fosse la parola che aveva più legami con “penitenza” e “riconciliazione”, e così, nonostante il pubblico, ha risposto in modo corretto. Episodi del genere permettono di comprendere meglio, credo, quell’urgenza della nuova evangelizzazione che ha spinto Benedetto XVI a istituire un apposito nuovo dicastero appositamente dedicato a questo compito.


Pedofilia, il Papa denuncia l'ideologia del permissivismo - di Andrea Tornielli 20-12-2010 da http://www.labussolaquotidiana.it

Il Papa è «sconvolto» per il fatto che proprio nell’Anno Sacerdotale sia emerso «in una dimensione per noi inimmaginabile» lo scandalo degli abusi. Con volto sofferente, Benedetto XVI è tornato a parlare di questo argomento durante il tradizionale scambio di auguri con la Curia romana, questa mattina in Vaticano.

I preti pedofili, ha detto, stravolgono «il Sacramento nel suo contrario: sotto il manto del sacro feriscono profondamente la persona umana nella sua infanzia e le recano un danno per tutta la vita». Il Papa ha citato una visione di sant’Ildegarda, dove il volto della Chiesa appare coperto di polvere, con il vestito strappato per la colpa dei sacerdoti: «Così come lei l’ha visto ed espresso, l’abbiamo vissuto in quest’anno. Dobbiamo accogliere questa umiliazione come un’esortazione alla verità e una chiamata al rinnovamento. Solo la verità salva».

«Dobbiamo interrogarci – ha proseguito Ratzinger – su che cosa possiamo fare per riparare il più possibile l’ingiustizia avvenuta. Dobbiamo chiederci che cosa era sbagliato nel nostro annuncio, nell’intero nostro modo di configurare l’essere cristiano, così che una tale cosa potesse accadere. Dobbiamo trovare una nuova risolutezza nella fede e nel bene. Dobbiamo essere capaci di penitenza. Dobbiamo sforzarci di tentare tutto il possibile, nella preparazione al sacerdozio, perché una tale cosa non possa più succedere».

«Siamo consapevoli della particolare gravità di questo peccato commesso da sacerdoti – ha aggiunto Benedetto XVI – e della nostra corrispondente responsabilità. Ma non possiamo neppure tacere circa il contesto del nostro tempo in cui è dato vedere questi avvenimenti». Esiste infati, ha spiegato, «un mercato della pornografia concernente i bambini, che in qualche modo sembra essere considerato sempre più dalla società come una cosa normale. La devastazione psicologica di bambini, in cui persone umane sono ridotte ad articolo di mercato, è uno spaventoso segno dei tempi. Da vescovi di Paesi del Terzo Mondo sento sempre di nuovo come il turismo sessuale minacci un’intera generazione e la danneggi nella sua libertà e nella sua dignità umana».

Ratzinger cita l’Apocalisse, che annovera tra i grandi peccati di Babilonia il fatto di esercitare il commercio dei corpi e delle anime e di farne una merce. «Ogni piacere diventa insufficiente – ha detto il Papa – e l’eccesso nell’inganno dell’ebbrezza diventa una violenza che dilania intere regioni, e questo in nome di un fatale fraintendimento della libertà, in cui proprio la libertà dell’uomo viene minata e alla fine annullata del tutto».

Ma Benedetto XVI invita a guardare anche ai «fondamenti ideologici» di queste forze perverse. «Negli anni Settanta – ricorda – la pedofilia venne teorizzata come una cosa del tutto conforme all’uomo e anche al bambino. Questo, però, faceva parte di una perversione di fondo del concetto di ethos. Si asseriva – persino nell’ambito della teologia cattolica – che non esisterebbero né il male in sé, né il bene in sé. Esisterebbe soltanto un "meglio di" e un "peggio di". Niente sarebbe in se stesso bene o male. Tutto dipenderebbe dalle circostanze e dal fine inteso. A seconda degli scopi e delle circostanze, tutto potrebbe essere bene o anche male. La morale viene sostituita da un calcolo delle conseguenze e con ciò cessa di esistere. Gli effetti di tali teorie sono oggi evidenti. Contro di esse Papa Giovanni Paolo II, nella sua Enciclica Veritatis splendor del 1993, indicò con forza profetica nella grande tradizione razionale dell’ethos cristiano le basi essenziali e permanenti dell’agire morale. Questo testo oggi deve essere messo nuovamente al centro come cammino nella formazione della coscienza. È nostra responsabilità rendere nuovamente udibili e comprensibili tra gli uomini questi criteri come vie della vera umanità, nel contesto della preoccupazione per l’uomo, nella quale siamo immersi».


La coscienza di Newman di Massimo Introvigne 20-12-2010 da http://www.labussolaquotidiana.it

Il discorso del 20 dicembre di Benedetto XVI alla Curia Romana è stato presentato ai lettori della Bussola da par suo da Andrea Tornielli nella sua parte centrale, dedicata ai preti pedofili. Io vorrei commentare la terza parte di tale discorso dove il Papa, ricordando il viaggio dello scorso settembre in Gran Bretagna, torna sulla nozione di coscienza nel pensiero del beato Newman. La materia è evidentemente collegata alla denuncia di quel relativismo morale in cui il Papa vede una delle radici del dramma della pedofilia.

È facile, ha affermato Benedetto XVI, confondere la nozione di coscienza del beato Newman con quella relativista moderna. «Per poter asserire l’identità tra il concetto che Newman aveva della coscienza e la moderna comprensione soggettiva della coscienza, si ama far riferimento alla sua parola secondo cui egli – nel caso avesse dovuto fare un brindisi – avrebbe brindato prima alla coscienza e poi al Papa. Ma in questa affermazione, "coscienza" non significa l’ultima obbligatorietà dell’intuizione soggettiva. È espressione dell’accessibilità e della forza vincolante della verità: in ciò si fonda il suo primato. Al Papa può essere dedicato il secondo brindisi, perché è compito suo esigere l’obbedienza nei confronti della verità».

Il Papa fa riferimento a un brano della «Lettera al Duca di Norfolk» dove il beato Newman scrive che «se fossi obbligato a introdurre la religione nei brindisi dopo un pranzo (il che in verità non mi sembra proprio la cosa migliore), brinderò, se volete, al Papa; tuttavia prima alla coscienza, poi al Papa». In un discorso  del 1991 il cardinale Ratzinger commentava che la frase va inquadrata nel complessivo pensiero di Newman e nella sua fedeltà alla «tradizione medioevale [che] giustamente aveva individuato due livelli del concetto di coscienza, che si devono distinguere accuratamente, ma anche mettere sempre in rapporto l’uno con l’altro. Molte tesi inaccettabili sul problema della coscienza mi sembrano dipendere dal fatto che si è trascurata o la distinzione o la correlazione tra i due elementi».

Il Medioevo parlava di sinderesi e coscienza; il cardinale Ratzinger precisa questi due termini come «anamnesi della creazione» e «anamnesi della fede».La prima, l’anamnesi della creazione, deriva dal fatto che con la creazione «è stato infuso in noi qualcosa di simile ad una originaria memoria del bene e del vero». La seconda, l’anamnesi della fede, nasce dalla redenzione a opera di Gesù Cristo «il cui raggio a partire dal Logos redentore si estende oltre il dono della correlazione la cui memoria è custodita dalla Chiesa e, nella Chiesa, dal Papa». Cronologicamente, l’anamnesi della creazione viene prima: «si identifica col fondamento stesso della nostra esistenza»  e fonda la possibilità anche dell’anamnesi della fede. Come la creazione precede storicamente la redenzione, così perché ci sia una coscienza formata e illuminata dalla Chiesa e dal Papa occorre prima che ci sia una coscienza. In questo senso «siamo ora in grado di comprendere correttamente il brindisi di Newman prima per la coscienza e solo dopo per il Papa». I due brindisi stanno in sequenza, non in contrapposizione.

Se invece si ritiene che l’appello alla coscienza sia solo una giustificazione per seguire il proprio arbitrio – «Fai ciò che vuoi sarà tutta la legge», secondo la celebre formula dell’esoterista inglese Aleister Crowley (1875-1947), il quale non solo dava a questa proposizione un fondamento specificamente magico, ma in essa catturava l’essenza stessa della magia come primato del potere – il passaggio successivo non può che essere l’abolizione della coscienza. Per fare quel che si vuole non c’è bisogno della legge, né della coscienza. Il relativismo liberale evolve così naturalmente verso il relativismo aggressivo delle ideologie del secolo XX fino all’affermazione del gerarca nazional-socialista Hermann Göring (1893-1946), citata dal cardinale Ratzinger: «Io non ho nessuna coscienza! La mia coscienza è Adolf Hitler [1889-1945]».

La nozione relativista della coscienza porta ultimamente all’eliminazione della coscienza.
Il cattolico, notava Il cardinale Ratzinger, non adotta certamente la formula di Göring mettendo il Papa al posto di Hitler. Questa sarebbe una versione caricaturale del cattolicesimo. Il cattolico dirà al contrario di avere una coscienza, e di trovare in essa una memoria del bene originario e l’apertura alla «possibilità»  di una rivelazione di Dio, che di quel bene è fondamento. Nel momento in cui accetta per fede che Dio si è rivelato in Gesù Cristo, è pronto ad accogliere la tesi che il Papa è «garante della memoria» della rivelazione cristiana. Il Magistero del Papa entra così nella coscienza dal suo interno.

Per il beato Newman la via della coscienza è tutt’altro che una via della soggettività che afferma se stessa: è invece una via dell’obbedienza alla verità oggettiva. Brindare alla coscienza e poi al Papa non costruisce un'opposizione ma una cronologia. Fede e ragione s'incontrano nel primato della verità.


Il Buon Natale del papa: "Solo la verità salva" - Nel suo discorso prenatalizio alla curia, Benedetto XVI parla in realtà al mondo intero. Gli abusi sessuali del clero, dice, sono l'effetto dell'incapacità di distinguere il bene e il male. E ricorda la lezione di Newman: la coscienza è fatta per obbedire alla verità di Sandro Magister

ROMA, 20 dicembre 2010 – Augurando stamane un felice Natale alla curia romana, Benedetto XVI si è rivolto in realtà all'intera Chiesa e al mondo. Come già negli anni precedenti, anche questa volta nel discorso prenatalizio alla curia – integralmente scritto di suo pugno – egli ha voluto dare evidenza alle linee maestre del suo pontificato.

Nel 2005 il fuoco del suo discorso fu l'interpretazione e l'attuazione del Concilio Vaticano II, così come il rapporto tra continuità e rinnovamento, nella Chiesa:

> Papa Ratzinger certifica il Concilio. Quello vero

Nel 2006 il papa pose al centro la questione su Dio. Inoltre, prendendo spunto dal suo viaggio a Istanbul, formulò nel modo più chiaro la sua visione del rapporto con l'islam, proponendo al mondo musulmano quel percorso già compiuto dal cristianesimo sotto la sfida dell'Illuminismo:

> Bilancio di quattro viaggi. E di un anno di pontificato

Nel 2007 Benedetto XVI mise a fuoco l'urgenza per la Chiesa di porsi in stato di missione con tutti i popoli della terra:

> Sorpresa: il papa porta la curia in Brasile

Nel 2008 richiamò l'attenzione sulla più "dimenticata" delle persone della divina trinità, lo Spirito Santo "creatore", la cui impronta è nella struttura ordinata del cosmo e dell'uomo, da ammirare e rispettare:

> "Veni Creator Spiritus". Per una ecologia dell'uomo

Nel 2009, prendendo spunto dal viaggio nella Repubblica Ceca, un paese con una estesa presenza di agnostici e di atei, Benedetto XVI ha voluto dare inizio a una "nuova evangelizzazione" rivolta proprio ai lontani da Dio. Come nell'antico tempio di Gerusalemme, il papa ha proposto alla Chiesa di aprire per loro "un cortile dei gentili", ove tener desta la ricerca e la sete di lui:

> "Penso che la Chiesa dovrebbe anche oggi aprire un cortile dei gentili"

Quest'anno, Benedetto XVI ha messo al centro della sua riflessione la questione della verità: perché "solo la verità salva" la Chiesa e il mondo. Anche gli abusi sessuali del clero su dei bambini sono il prodotto di un accecamento della coscienza, incapace di distinguere il bene e il male.

E sul significato della coscienza – non come puro arbitrio soggettivo, ma come obbedienza alla verità – il papa ha ripreso la lezione del cardinale John Henry Newman, da lui beatificato durante il suo viaggio nel Regno Unito.

Ecco qui di seguito i passaggi salienti del discorso prenatalizio rivolto da Benedetto XVI alla curia romana la mattina di lunedì 20 dicembre 2010.

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"RISVEGLIA, SIGNORE, LA TUA POTENZA, E VIENI" di Benedetto XVI


[...] “Excita, Domine, potentiam tuam, et veni”: con queste e con simili parole la liturgia della Chiesa prega ripetutamente nei giorni dell’Avvento. [...] La preghiera ricorda il grido rivolto al Signore, che stava dormendo nella barca dei discepoli sbattuta dalla tempesta e vicina ad affondare. Quando la sua parola potente ebbe placato la tempesta, egli rimproverò i discepoli per la loro poca fede (cfr. Mt 8, 26). Voleva dire: in voi stessi la fede ha dormito. La stessa cosa vuole dire anche a noi. Anche in noi tanto spesso la fede dorme. Preghiamolo dunque di svegliarci dal sonno di una fede divenuta stanca e di ridare alla fede il potere di spostare i monti: cioè di dare l’ordine giusto alle cose del mondo.

“Excita, Domine, potentiam tuam, et veni”: nelle grandi angustie, alle quali siamo stati esposti in quest’anno, tale preghiera di Avvento mi è sempre tornata di nuovo alla mente e sulle labbra. Con grande gioia avevamo iniziato l’Anno Sacerdotale e, grazie a Dio, abbiamo potuto concluderlo anche con grande gratitudine, nonostante si sia svolto così diversamente da come ce l’eravamo aspettati.

In noi sacerdoti e nei laici, proprio anche nei giovani, si è rinnovata la consapevolezza di quale dono rappresenti il sacerdozio della Chiesa cattolica, che ci è stato affidato dal Signore. Ci siamo nuovamente resi conto di quanto sia bello che esseri umani siano autorizzati a pronunciare in nome di Dio e con pieno potere la parola del perdono, e così siano in grado di cambiare il mondo, la vita; quanto sia bello che esseri umani siano autorizzati a pronunciare le parole della consacrazione, con cui il Signore attira dentro di sé un pezzo di mondo, e così in un certo luogo lo trasforma nella sua sostanza; quanto sia bello poter essere, con la forza del Signore, vicino agli uomini nelle loro gioie e sofferenze, nelle ore importanti come in quelle buie dell’esistenza; quanto sia bello avere nella vita come compito non questo o quell’altro, ma semplicemente l’essere stesso dell’uomo: per aiutare che si apra a Dio e sia vissuto a partire da Dio.

Tanto più siamo stati sconvolti quando, proprio in quest’anno e in una dimensione per noi inimmaginabile, siamo venuti a conoscenza di abusi contro i minori commessi da sacerdoti, che stravolgono il Sacramento nel suo contrario: sotto il manto del sacro feriscono profondamente la persona umana nella sua infanzia e le recano un danno per tutta la vita.

In questo contesto, mi è venuta in mente una visione di sant’Ildegarda di Bingen che descrive in modo sconvolgente ciò che abbiamo vissuto in quest’anno. [...]

Nella visione di sant’Ildegarda, il volto della Chiesa è coperto di polvere, ed è così che noi l’abbiamo visto. Il suo vestito è strappato, per la colpa dei sacerdoti. Così come lei l’ha visto ed espresso, l’abbiamo vissuto in quest’anno. Dobbiamo accogliere questa umiliazione come un’esortazione alla verità e una chiamata al rinnovamento.

Solo la verità salva. Dobbiamo interrogarci su che cosa possiamo fare per riparare il più possibile l’ingiustizia avvenuta. Dobbiamo chiederci che cosa era sbagliato nel nostro annuncio, nell’intero nostro modo di configurare l’essere cristiano, così che una tale cosa potesse accadere. Dobbiamo trovare una nuova risolutezza nella fede e nel bene. Dobbiamo essere capaci di penitenza. Dobbiamo sforzarci di tentare tutto il possibile, nella preparazione al sacerdozio, perché una tale cosa non possa più succedere.

È questo anche il luogo per ringraziare di cuore tutti coloro che si impegnano per aiutare le vittime e per ridare loro la fiducia nella Chiesa, la capacità di credere al suo messaggio. Nei miei incontri con le vittime di questo peccato, ho sempre trovato anche persone che, con grande dedizione, stanno a fianco di chi soffre e ha subito danno. È questa l’occasione per ringraziare anche i tanti buoni sacerdoti che trasmettono in umiltà e fedeltà la bontà del Signore e, in mezzo alle devastazioni, sono testimoni della bellezza non perduta del sacerdozio.

Siamo consapevoli della particolare gravità di questo peccato commesso da sacerdoti e della nostra corrispondente responsabilità. Ma non possiamo neppure tacere circa il contesto del nostro tempo in cui è dato vedere questi avvenimenti.

Esiste un mercato della pornografia concernente i bambini, che in qualche modo sembra essere considerato sempre più dalla società come una cosa normale. La devastazione psicologica di bambini, in cui persone umane sono ridotte ad articolo di mercato, è uno spaventoso segno dei tempi. Da vescovi di paesi del Terzo Mondo sento sempre di nuovo come il turismo sessuale minacci un’intera generazione e la danneggi nella sua libertà e nella sua dignità umana. L’Apocalisse di san Giovanni annovera tra i grandi peccati di Babilonia – simbolo delle grandi città irreligiose del mondo – il fatto di esercitare il commercio dei corpi e delle anime e di farne una merce (cfr. Ap 18, 13). In questo contesto, si pone anche il problema della droga, che con forza crescente stende i suoi tentacoli di polipo intorno all’intero globo terrestre, espressione eloquente della dittatura di Mammona che perverte l’uomo. Ogni piacere diventa insufficiente e l’eccesso nell’inganno dell’ebbrezza diventa una violenza che dilania intere regioni, e questo in nome di un fatale fraintendimento della libertà, in cui proprio la libertà dell’uomo viene minata e alla fine annullata del tutto.

Per opporci a queste forze dobbiamo gettare uno sguardo sui loro fondamenti ideologici. Negli anni Settanta, la pedofilia venne teorizzata come una cosa del tutto conforme all’uomo e anche al bambino. Questo, però, faceva parte di una perversione di fondo del concetto di ethos. Si asseriva – persino nell’ambito della teologia cattolica – che non esisterebbero né il male in sé, né il bene in sé. Esisterebbe soltanto un “meglio di” e un “peggio di”. Niente sarebbe in se stesso bene o male. Tutto dipenderebbe dalle circostanze e dal fine inteso. A seconda degli scopi e delle circostanze, tutto potrebbe essere bene o anche male. La morale viene sostituita da un calcolo delle conseguenze e con ciò cessa di esistere.

Gli effetti di tali teorie sono oggi evidenti. Contro di esse papa Giovanni Paolo II, nella sua enciclica  "Veritatis splendor" del 1993, indicò con forza profetica nella grande tradizione razionale dell’ethos cristiano le basi essenziali e permanenti dell’agire morale. Questo testo oggi deve essere messo nuovamente al centro come cammino nella formazione della coscienza. È nostra responsabilità rendere nuovamente udibili e comprensibili tra gli uomini questi criteri come vie della vera umanità, nel contesto della preoccupazione per l’uomo, nella quale siamo immersi. [...]

*

Vorrei ancora ricordare la beatificazione del cardinale John Henry Newman. Perché è stato beatificato? Che cosa ha da dirci? A queste domande si possono dare molte risposte, che nel contesto della beatificazione sono state sviluppate. Vorrei rilevare soltanto due aspetti che vanno insieme e, in fin dei conti, esprimono la stessa cosa.

Il primo è che dobbiamo imparare dalle tre conversioni di Newman, perché sono passi di un cammino spirituale che ci interessa tutti. Vorrei qui mettere in risalto solo la prima conversione: quella alla fede nel Dio vivente.

Fino a quel momento, Newman pensava come la media degli uomini del suo tempo e come la media degli uomini anche di oggi, che non escludono semplicemente l’esistenza di Dio, ma la considerano comunque come qualcosa di insicuro, che non ha alcun ruolo essenziale nella propria vita. Veramente reale appariva a lui, come agli uomini del suo e del nostro tempo, l’empirico, ciò che è materialmente afferrabile. È questa la “realtà” secondo cui ci si orienta. Il “reale” è ciò che è afferrabile, sono le cose che si possono calcolare e prendere in mano.

Nella sua conversione Newman riconosce che le cose stanno proprio al contrario: che Dio e l’anima, l’essere se stesso dell’uomo a livello spirituale, costituiscono ciò che è veramente reale, ciò che conta. Sono molto più reali degli oggetti afferrabili. Questa conversione significa una svolta copernicana. Ciò che fino ad allora era apparso irreale e secondario si rivela come la cosa veramente decisiva. Dove avviene una tale conversione, non cambia semplicemente una teoria, cambia la forma fondamentale della vita. Di tale conversione noi tutti abbiamo sempre di nuovo bisogno: allora siamo sulla via retta.

La forza motrice che spingeva sul cammino della conversione era in Newman la coscienza. Ma che cosa si intende con ciò? Nel pensiero moderno, la parola “coscienza” significa che in materia di morale e di religione, la dimensione soggettiva, l’individuo, costituisce l’ultima istanza della decisione. [...]

La concezione che Newman ha della coscienza è diametralmente opposta. Per lui “coscienza” significa la capacità di verità dell’uomo: la capacità di riconoscere proprio negli ambiti decisivi della sua esistenza – religione e morale – una verità, "la" verità. La coscienza, la capacità dell’uomo di riconoscere la verità, gli impone con ciò, al tempo stesso, il dovere di incamminarsi verso la verità, di cercarla e di sottomettersi ad essa laddove la incontra. Coscienza è capacità di verità e obbedienza nei confronti della verità, che si mostra all’uomo che cerca col cuore aperto. Il cammino delle conversioni di Newman è un cammino della coscienza: un cammino non della soggettività che si afferma, ma, proprio al contrario, dell’obbedienza verso la verità che passo passo si apriva a lui. [...]

Per poter asserire l’identità tra il concetto che Newman aveva della coscienza e la moderna comprensione soggettiva della coscienza, si ama far riferimento alla sua parola secondo cui egli – nel caso avesse dovuto fare un brindisi – avrebbe brindato prima alla coscienza e poi al papa. Ma in questa affermazione, “coscienza” non significa l’ultima obbligatorietà dell’intuizione soggettiva. È espressione dell’accessibilità e della forza vincolante della verità: in ciò si fonda il suo primato. Al papa può essere dedicato il secondo brindisi, perché è compito suo esigere l’obbedienza nei confronti della verità. [...].


Molto fumo e poca sostanza. Il basso “rating” delle odierne dispute teologiche - 20 dicembre, 2010 da http://magister.blogautore.espresso.repubblica.it/

Ricevo e pubblico. Con una piccola glossa. Ieri, domenica 19 dicembre, sulle pagine culturali di “Avvenire” è apparsa un’ampia intervista al filosofo cattolico francese Jean-Luc Marion, le cui tesi antimetafisiche e fenomenologiche ben si attagliano alle critiche del quarto paragrafo della seguente nota.

LA CHIESA “À LA CARTE” di Francesco Arzillo

L’osservatore di cose ecclesiali non rimane certamente disoccupato di questi tempi: i dibattiti abbondano, dalla sempre incombente “questione-macigno” relativa all’interpretazione del Vaticano II, fino alle più sottili problematiche di etica sessuale, che fino a cinquant’anni fa sarebbero rimaste chiuse nei testi di teologia morale e nei riservati avvisi del Sant’Offizio o della Penitenzieria.

Ma qual è il contesto nel quale questi dibattiti si collocano? La risposta si pone su un duplice piano e non ci sembra confortante.

Consideriamo innanzitutto il piano epistemologico. È ben noto, a tutti quelli che frequentano queste problematiche, il fatto che gli studi teologici abbiano subito negli ultimi decenni una torsione epistemologicamente negativa, non tanto e non solo nel contenuto, quanto nel metodo.

Il venir meno della percezione del necessario nesso tra una filosofia realistica di stampo metafisico e l’elaborazione teologica ha portato al dilagare di approcci di tipo fenomenologico-ermeneutico, con la conseguente diminuzione dell’attenzione alla questione della verità in teologia. Molte elaborazioni attuali, pur non prive di interesse ed esteriormente ortodosse, risuonano nel vuoto pneumatico della carenza di un’ontologia di base: risuonano cioè come affermazioni prive di referente reale, tecnicamente inteso. Il che, per una teologia che dovrebbe illustrare una fede basata su fatti storici, non pare un difetto da poco.

Ad esempio, molti teologi assumono – a volte in maniera francamente dilettantistica – le suggestioni della fenomenologia dell’amore, ritenendo di superare le precedenti concezioni perché troppo dottrinalistiche e “sostanzialistiche”. Essi credono di collocarsi nello spirito del Vaticano II, mentre quest’ultimo richiama San Tommaso non a caso, trattandosi di un pensatore che ha tenuto nel massimo conto la necessità di fare una teologia supportata da un’accurata e coerente ontologia filosofica.

Se poi si viene al campo della teologia morale, questi difetti risultano ancora più evidenti, anche perché la casistica – che oggi sembra rinascere sulla questione del profilattico – è in realtà ritenuta metodologicamente desueta da molti; e pure qui non a caso, perché essa supponeva e suppone non vaghi personalismi ed estetiche valoriali, ma solidi principi di ontologia e logica filosofica.

Ma c’è dell’altro. Tutti questi dibattiti si inseriscono in un contesto mediatico che amplifica la tendenza alla “Chiesa fai-da-te” in tutte le direzioni, dal tradizionalismo al progressismo, con una polarizzazione spesso incauta e poco consapevole della delicatezza degli strumenti ermeneutici da adoperare. Basta fare un giro dei vari blog per trovare, accanto a opinioni ponderate, una girandola di estremismi idiosincratici, non fondati su una base di tranquilla solidità dottrinale, o almeno su un poco di umiltà intellettuale e spirituale.

Colpisce soprattutto la sistematica sottovalutazione – da destra e da sinistra – del valore del magistero ordinario per un cattolico.

C’è una singolare concordia tra non pochi tradizionalisti e progressisti nel dire che – salvo il dogma – tutto il resto è disputabile. Ma quest’affermazione andrebbe assoggettata a molte precisazioni. Disputabile da chi? A quali condizioni? Con quali strumenti e con quale grado di pubblicità? Con quali vincoli morali, se poniamo mente al criterio delle Sacre Scritture che pone al primo posto il dovere di non scandalizzare il fratello più debole?

Il Concilio Vaticano II parla chiaro quando dice, per esempio, al n. 25 di “Lumen gentium”, che “questo assenso religioso della volontà e della intelligenza lo si deve in modo particolare prestare al magistero autentico del romano Pontefice, anche quando non parla ‘ex cathedra’. Ciò implica che il suo supremo magistero sia accettato con riverenza, e che con sincerità si aderisca alle sue affermazioni in conformità al pensiero e in conformità alla volontà di lui manifestatasi che si possono dedurre in particolare dal carattere dei documenti, o dall’insistenza nel proporre una certa dottrina, o dalla maniera di esprimersi”.

Dal canto suo il par. 752 del codice di diritto canonico dispone: “Non proprio un assenso di fede, ma un religioso ossequio dell’intelletto e della volontà deve essere prestato alla dottrina, che sia il Sommo Pontefice sia il Collegio dei Vescovi enunciano circa la fede e i costumi, esercitando il magistero autentico, anche se non intendono proclamarla con atto definitivo; i fedeli perciò procurino di evitare quello che con essa non concorda”.

Ora, è evidente che il cattolico sia moralmente tenuto a prestare l’ossequio religioso – si badi bene – non solo della volontà, ma anche dell’intelletto, a tutta una serie di dottrine non dogmatiche. Il fatto che esse siano eventualmente fatte oggetto di discussione dai teologi – e sempre a certe condizioni ed entro certi limiti – non significa che ciascuno sia abilitato a prescinderne quasi aprioristicamente, in base alle proprie soggettive predilezioni.

Per esempio, chi non ama il culto del Sacro Cuore non è per ciò solo abilitato a disputarne con leggerezza a destra e a manca, ignorando il patrimonio magisteriale in proposito. Lo stesso è da dirsi con riferimento all’ecumenismo o ad altri temi più o meno caldi.

Non intendo qui entrare nel dettaglio dei criteri che regolano la possibilità di un legittimo dibattito su questi temi. Voglio solamente ricordare che detti criteri esistono e sono il frutto di una stratificazione dottrinale consolidata, dalla quale non è possibile prescindere.

Questo vale anche per il Concilio Vaticano II e per una retta ermeneutica della riforma nella continuità. L’appello papale continua a essere sistematicamente disatteso da molti, i quali si rifiutano di applicare questa ermeneutica in concreto.

Per esempio, chi legga bene i primi paragrafi del Catechismo di Pio X e del Compendio di Benedetto XVI troverà affermazioni che non si contraddicono e vedrà che l’aspetto storico-salvifico, maggiormente evidenziato oggi, presuppone quello ontologico e lo integra benissimo.

Lo stesso si può vedere sfogliando il lavoro di teologia fondamentale di Leo Scheffczyk, il quale mostra quali complessi nessi leghino, sul tema della Rivelazione, il Concilio di Trento ai Concili successivi. Parlare – sulla base di estrapolazioni teopolitiche ed ideologiche – di paradigma costantiniano, paradigma tridentino, paradigma storico-salvifico serve fino a un certo punto, perché qui non è in gioco una sistemazione storiografica astratta, ma la vivente continuità nell’identità del deposito della fede.

Una maggiore consapevolezza di questa situazione potrebbe contribuire a far sì che la discussione intraecclesiale – frequentemente rumorosa e sgradevole – possa acquistare il ben diverso timbro della grande polifonia.

Roma, 20 dicembre 2010


IL CASO/ L'ultima follia di Zapatero: parlare di prosciutto offende l'Islam Luca Volontè, martedì 21 dicembre 2010 da il sussidiario.net

Ora ci si mette il maiale. Già, a far gridare allo scandalo ci ha pensato il povero maialino d’allevamento da cui proviene il prosciutto spagnolo, il miglior concorrente del prosciutto di Parma. Sarà per il legame di interessi europei tra Zapatero e Berlusconi, che insieme hanno tardivamente contestato l’abolizione delle lingue spagnolo e italiano dalla nuova procedura sui Brevetti, sarà per le tante pose fotografiche che li ritraggono allegri e sorridenti, fatto sta che Zapatero sembra aver deciso di favorire l’Italia con il suo prosciutto di Parma.

Forse i maiali italiani sono più buoni? Forse anche le figlie di Zapatero hanno trovato “colore” con un bel piatto di costosissimo “Culatello di zibello” romagnolo? Non sapremo mai perché Zapatero ha lanciato questa sua campagna anti-prosciutti spagnoli, sappiamo però che i suoi indomiti ufficiali di polizia stanno indagando su di un povero professore che spiegava la geografia, gli allevamenti e i prodotti tipici delle regioni spagnole.

L’assurdo diritto alla diversità si è trasformato nella tirannia di un bimbo musulmano che ha chiesto al professore di non parlare a lezione di allevamenti di maiali, né di prosciutti, perché offendevano la sua religione. Al bando salami, prosciutti, zamponi natalizi, col Governo Zapatero ormai sono vietati insieme alla geografia, alla storia, alla cucina e persino agli allevamenti della Spagna.

In questi giorni è andata male ai poveri maiali e a noi ghiotti mangiatori dei prosciutti, domani chissà... Infatti potrebbe capitare che un bambino furbo finga di sentirsi offeso da tutte le materie scolastiche e pretenda l’arresto di tutti i professori, un figlio dei fiori e un vegetariano impedirebbero tutta la spiegazione dell’agricoltura, mentre un piccolo ateo vorrebbe poter abolire tutta la storia spagnola e dell’intera umanità.
Ben inteso, sarebbe una discriminazione e un’intolleranza inaccettabile, punibile con l‘arresto immediato, quella di non dare il massimo dei voti a questi bambini ignoranti. La realtà supera la fantasia, alla follia non c’è limite, infatti la Polizia indaga quel professore che parlava di prosciutto e maiali, perché denunciato per violazione dei “diritti alla multiculturalità e discriminazione” nei confronti del bimbo musulmano.

Nei pressi di Cadice, all’Istituto Menendez Tolosa de la Linea de la Concepcion, è il prosciutto del maialino a essere stato discriminato, noi appassionati di ottimi salumi spagnoli siamo stati gravemente discriminati. Ovviamente chiunque sia in possesso di foto o filmati con Zapatero e familiari che mangiano salumi e prosciutti può sentirsi tanto offeso da chiederne la carcerazione. Noi non vogliamo che Zapatero si senta discriminato.


DIARIO HAITI/ Chiara (medico): quella bellezza che supera macerie e malattie - GUARDA IL TG Redazione - martedì 21 dicembre 2010 da il sussidiario.net

Carissimi,

qui ogni giorno l’imprevisto è la regola. Dopo alcuni giorni tranquilli, in cui avevamo programmato i turni di giorno e di notte, tutto è cambiato. Come dice la preghiera che la Conferenza Episcopale Haitiana ha scritto in occasione della riconsacrazione a Maria, Madre del Pepertuo Soccorso, Patrona di Haiti, per domandare la guarigione e la liberazione dal colera “tu ci hai fatti per la vita, … noi siamo passati attraverso la prova di diversi cicloni e inondazioni che hanno distrutto il nostro paese. Dopo il dolore del terremoto del 12 gennaio, oggi è il colera che ci ha colpito. Senza il tuo soccorso noi non saremo capaci di resistere a questa prova”.

Oltre al colera, proprio il giorno dell’Immacolata, in cui sono stati annunciati i risultati delle votazioni, la situazione del paese si è aggravata per seri disordini da parte dei sostenitori del candidato escluso. Le strade bloccate da barricate di copertoni in fiamme e cassonetti della spazzatura. Ci hanno sconsigliato di muoverci per motivi di sicurezza, oltre al fatto che non si poteva passare. Abbiamo così verificato come si potesse fare per continuare a far avere la presenza dei medici e l’assistenza alla clinica di Suor Marcella, che Avsi sostiene proprio con pediatri e medicinali.

Omero e io, abitando sopra Petion Ville, il centro delle manifestazioni, siamo stati bloccati in casa, insieme agli altri di Avsi, per due giorni, mentre Gianfranco, Fosca ed Elisa, dell’ospedale Sacco di Milano, che abitano da suor Marcella, su un’altra direttiva, coraggiosamente sono partiti, con le moto degli amici di Marcella, passando le barriere e sono riusciti ad arrivare in ospedale dove hanno garantito la presenza, senza però poi spostarsi per due giorni consecutivi.
Sabato 11 dicembre, quando la situazione si è fatta piu tranquilla, al mattino presto siamo scesi Omero e io, per dare il cambio e ci siamo fermati fino a lunedì mattina, partendo prima dell’alba, perche si annuciavano nuovi disordini, che ci avrebbero impedito di attraversare la città e arrivare a casa. Che desolazione vedere le strade piene di pietre, tutte nere per il fumo delle barricate, tanto da sembrare riasfaltate di recente, i cassonetti della spazzatura rovesciati, per chiudere il passaggio. Siamo rimasti commossi al vedere che quasi tutte le infermiere sono riuscite ad arrivare, anche a piedi, per mancanza dei tap tap, gli abituali trasporti.

I malati continuano ad arrivare, anche se forse meno gravi, ma alcuni hanno più resistenza a migliorare rapidamente. Abbiamo anche una giovane mamma, con il piccolo di tre mesi a casa, abbiamo detto alla nonna di portarlo per l’allattamento a intervalli, perché era meglio per il bimbo e per la madre. Siccome sono ligi alle regole, hanno lavato le mani col disinfettante anche al piccolo! C’è sempre un gran daffare con i secchi e le disinfezioni, specie durante la notte, il vociare dei guardiani, e il rumore dei secchi dopo il richiamo a depussan (il famoso due per cento per disinfettare scariche e vomiti).

Ci si abitua a tutto, ma che compassione vedere questa umanità sofferente e nuda di fronte al “bisogno” ridotto al suo estremo. Arriva anche gente con ferite, si fa un po’ tutto ed è bello pensare che questo centro è nato per un servizio alla gente che suor Marcella serve. Di notte a volte si sentono spari. Per la gente è normale. Al mattino ci dicono che erano dei ladri, che hanno rubato e ucciso tre persone, poco distante, non c’entravano con le rivolte per le elezioni.
Domenica non abbiamo avuto la messa, ma abbiamo deciso di recitare insieme ai malati la preghiera per la guarigione dal colera. Un’infermiera l’ha letta in creolo con una devozione sincera che ha creato un clima di silenzio: alcuni dei malati e dei loro parenti hanno partecipato con attenzione e hanno testimoniato la loro devozione alla Madonna, chi alzandosi in piedi di fianco alla brandina, chi facendo il segno della croce, chi smettendo di vociare. Alla fine abbiamo recitato tre Ave Maria insieme.

In questo luogo, dove è evidente la grande ferita dell’umanità, dove sembra impossibile esserci qualcosa di nuovo, bello, giusto, questo è stato un momento in cui abbiamo percepito e chiesto che da qui possa rinascere una speranza per noi e per tutti gli haitiani. Non sappiamo cosa ci aspetta nei prossimi giorni, speriamo di riuscire a dare ancora per pochi giorni una mano. Io sto rientrando in Italia. Poi Omero, e poi gli altri, Gianfranco Fosca ed Elisa.

Forse per motivi di sicurezza non sarà facile coprire altri turni di medici organizzati da Avsi dall’Italia. Vedremo. Bisogna comunque continuare a offrire, perché come dice la preghiera per la guarigione dal colera, solo tu Maria puoi sostenerci anche in questa prova. Non dimenticatevi di Haiti!

(Chiara Mezzalira)



Lo Straniero - Il blog di Antonio Socci - Elogio cristiano del Natale consumistico 20 dicembre 2010

Natale è alle porte. E ci toccherà sorbirci le solite lagnose recriminazioni moralistiche contro il “Natale consumistico”.

E’ un uggioso “refrain” in cui si sono specializzati molti ecclesiastici, ma anche tanti laici, non credenti, che – per esempio dalle pagine di Repubblica, del Corriere della sera o della Stampa – biasimano il presunto paganesimo della “corsa ai regali” (e lo fanno, ovviamente, mentre i loro stessi giornali vivono di pubblicità e i loro editori prosperano sui consumi).

Oltretutto i “consumi natalizi” sono pure un beneficio per la nostra economia che soffre di un Pil stentato, per cui è irritante vedere gli stessi che scagliano anatemi sul consumismo, strillare poi – il mese dopo – per le aziende che chiudono, per l’economia che ristagna e il deficit che cresce (come pure il debito essendo rapportati al pil).

Dunque mi appello ai parroci: per favore, quest’anno, evitateci queste geremiadi anticonsumistiche.

Perché non c’è cosa più insopportabile (e acristiana) del sentire sacerdoti alla Messa di Natale che – proprio mentre nasce Gesù, il nostro salvatore, la gioia della vita – invece di parlarci di lui, invece di invitarci a rallegrarci, invece di consolare le nostre sofferenze, si mettono a strapazzare i fedeli che si sono scambiati dei doni.

A volte si ha quasi la sgradevole sensazione che a Natale tuonino contro il consumismo perché non hanno nulla da dire su Gesù, perché non si stupiscono più del suo venire al mondo, perché non ne conoscono la meraviglia.

“Expertus potest credere quid sit Jesum diligere”.

Come si può – quando si è sperimentata l’amicizia del Salvatore e se n’è scorta la bellezza ineffabile – mettersi a tuonare contro le luminarie, i pranzi e i regali, invece di parlare di lui?

Non somigliamo a quei farisei che – davanti a ll’uomo misterioso che con un solo gesto guariva un paralitico – si mettevano a polemizzare perché lo aveva fatto di sabato?

Quasi che fosse ovvio e normale che uno potesse stendere la mano e guarire un uomo paralizzato. Si facevano a tal punto violenza da non restare stupiti neanche da un fatto del genere.

E voi sacerdoti di oggi avete da dare la notizia più grande di tutti i tempi, la più commovente, inimmaginabile, consolante, cioè che Dio si fa uomo e viene ad abitare fra noi, che viene a guarirci, a salvarci, avete la notizia che nulla sarà più triste e disperato come prima, e invece di gridarcela, di scoppiare voi stessi in lacrime di letizia e di commozione (perché davvero se non fossimo così tragicamente distratti dovremmo piangerne di gioia), invece di gridarla dai tetti, vi mettete a rompere le scatole sui regali? Quasi indispettiti dalla gioia della gente?

Questa sì che è un’empietà! Oltretutto, se proprio vogliamo essere evangelici, dobbiamo riconoscere che il primo Natale dei regali è stato precisamente quello di duemila anni fa: sono stati i pastori e i Magi a viverlo così.

E il Vangelo li esalta per questa spontanea gratuità. Del resto era un’umile risposta a un immenso dono.

Perché in realtà è Dio stesso che inaugura il “Natale dei regali”. Il “Grande Consumista” è Colui che ci ha regalato il cielo e la terra, l’universo intero, con tutto quello che contiene.

Nessuno ha dissipato e regalato così tanto i suoi beni come quel Dio che ha voluto letteralmente svenarsi per noi.

Natale non è altro che questo: la follia di Dio.

E’ la sua irraggiungibile umiltà, avendo voluto spogliarsi della sua maestà e della sua gloria per abbassarsi fino a farsi un piccolo bambino povero e potersi donare a noi senza umiliarci, ma anzi mendicando il nostro amore.

Si può immaginare una follia d’amore pari a questa?

Riflettiamoci. C’è un Re così grande, ricco e potente che possiede tutto. E dunque ti regala non solo pietre preziose e perle, ma il mondo intero con  tutte le sue meraviglie. Però non gli basta, perché noi siamo insoddisfatti e infelici, e allora vuole donarti di più.

Potrebbe regalarti la felicità (per cos’altro tutti ci agitiamo se non per la felicità?) oppure potrebbe regalarti la bellezza, o la pace del cuore o l’amore o il calore dell’amicizia e potrebbe perfino regalarti tutto questo per l’eternità, senza più la tristezza della fine e della morte.

Ma ha deciso di farti un dono ancora più grande dove tutto questo è contenuto: se stesso, il suo unico e meraviglioso Figlio che letteralmente “è” tutto questo. Infatti Gesù è la vera felicità, la pace, l’amore, la gioia, la vita e lo è per sempre.

E allora come si fa – davanti a un tale Re che ti dona se stesso e tutto il suo regno, senza che tu lo meriti neanche lontanamente – come si fa a non essere strafelici e a non essere mossi spontaneamente, anche noi, a donare?

Ci sono passi bellissimi di Benedetto XVI sul “dono” nell’enciclica “Caritas in veritate”. Egli vede nella cultura del dono addirittura una immensa risorsa sociale.

Ma allora i sacerdoti dall’altare di Natale dovrebbero dire esattamente l’opposto della geremiade contro il consumismo: dovrebbero anzi esortare a donare ancora di più, a donare non solo ad amici, figli o parenti, ma a riempire di doni e di amore anche tutti coloro che sono stati più sfortunati, coloro che vivono in povertà, coloro che soffrono, perché anche loro possano rallegrarsi nel giorno della gioia.

Il papa san Leone Magno, nella sua celebre omelia natalizia, secoli fa, annunciava e quasi gridava: “Il nostro Salvatore, carissimi, oggi è nato: rallegriamoci! Non c’è spazio per la tristezza nel giorno in cui nasce la vita, una vita che distrugge la paura della morte e dona la gioia delle promesse eterne”.

Vorremmo sentire i parroci o i vescovi che ci ripetono queste parole, che incitano a non fermarsi a pochi regali, a Natale, ma a donare più possibile. A donare perfino se stessi.

E soprattutto a fare a se stessi il regalo più bello: l’amicizia di Cristo.

Mi sembra di sentire qualche amico prete che obietta: “va bene, dici belle cose, ma come si può tacere davanti a chi pensa solo ai regali, alla settimana bianca o alla vacanza alle Maldive o sul Mar Rosso e neanche va alla messa di Natale?”.

Amico sacerdote, perché tu, come loro, pensi che la settimana bianca o le Maldive o il Mar Rosso siano in competizione con il Figlio di Dio che si fa uomo?

Chi ha fatto le maestose montagne e il loro cielo di azzurro purissimo? E chi dà consistenza ai miliardi di cristalli di neve che accecano di luce? E i fondali o i coralli del Mar Rosso? E la luna e le stelle?

“Tutto è stato creato per mezzo di Lui e in vista di Lui e tutto in Lui consiste”. E allora come privarsi di lui? Dovresti dire a coloro che si contentano di così poco (una settimana alle Maldive), a coloro che si rassegnano alla settimana bianca, che possono avere molto di più.

Perché a Natale ci si dona colui in cui c’è la bellezza degli oceani e delle montagne innevate, il refrigerio della brezza d’estate, i colori dei boschi d’autunno, la dolcezza dell’amicizia, lo struggimento dell’amore dei figli, l’ardore dell’amore delle madri e perfino il gusto dei frutti succulenti della terra, la purezza dell’acqua e il sapore del vino. In lui c’è il gusto stesso della vita, il senso dell’esistenza.

Così nella Messa ci sono tutte le montagne innevate e i mari più azzurri, tutte le bellezze dell’universo. Non a caso la liturgia coinvolge tutti i cinque sensi nell’adorazione, perché Dio si è fatto carne ed è venuto a salvare tutto l’uomo, è venuto a portargli una felicità che passa anche attraverso i sensi umani, i sentimenti umani. E’ venuto a divinizzare tutto l’uomo.

“Infatti il Figlio di Dio si è fatto uomo per farci Dio” afferma sant’Atanasio di Alessandria (De Incarnatione, 54, 3: PG 25, 192).

E chi – ditemi – chi, sapendo tuttociò, può essere così masochista da rifiutare questo stupefacente regalo: essere trasformati in dèi, essere divinizzati, partecipare alla signoria di Dio sull’universo, partecipare alla gioia di Dio?



Antonio Socci



Da “Libero”, 21 dicembre 2010


La crisi dell'università ha radici culturali di Massimo Introvigne 20-12-2010 da http://www.labussolaquotidiana.it

Il Papa – che, come La Bussola ha ricordato, aveva trattato in profondità il tema delle università e del loro ruolo nel discorso che, per l’opposizione di alcuni facinorosi, non gli fu permesso di pronunciare all’Università La Sapienza di Roma il 17 gennaio 2008, ma che fu comunque diffuso – continua a occuparsi di università. Fra i vari interventi in tema di cultura, gli studenti in  lotta contro la Gelmini dovrebbero leggersi quello che Benedetto XVI ha detto celebrando i Vespri del 16 dicembre nella Basilica Vaticana con gli universitari romani. E ha parlato con molta franchezza della crisi attuale delle università, dove esistono «precomprensioni e pregiudizi che talvolta impediscono lo sviluppo di una cultura autentica».

Per illustrare il significato dell’espressione «cultura autentica», il Papa è partito dall’antico rapporto etimologico fra cultura e agricoltura, commentando un brano della Lettera di San Giacomo: «Guardate l’agricoltore: egli aspetta con costanza il prezioso frutto della terra» (Gc 5,7).«A noi, immersi in una società sempre più dinamica – ha detto il Pontefice –  può suonare sorprendente questo invito che fa riferimento al mondo rurale, ritmato dai tempi della natura. Ma il paragone scelto dall’Apostolo ci chiama a volgere lo sguardo al vero ed unico “agricoltore”, il Dio di Gesù Cristo, al suo mistero più profondo che si è rivelato nell’Incarnazione del Figlio. Infatti, il Creatore di tutte le cose non è un despota che ordina e interviene con potenza nella storia, ma piuttosto è come l’agricoltore che semina, fa crescere e fa portare frutto. Anche l’uomo può essere, con Lui, un buon agricoltore, che ama la storia e la costruisce in profondità».

Amare la storia significa sia studiarla – un tema molto caro a Benedetto XVI – sia costruirla, «riconoscendo e contribuendo a far crescere i semi di bene che il Signore ha donato». Ma che cosa significa costruire la storia? «Costruire la propria esistenza, costruire la società – spiega il Papa – non è opera che possa essere realizzata da menti e cuori distratti e superficiali». Vi è oggi un rifiuto della nozione di verità che impedisce nelle università la costruzione di una vera cultura. Questa richiede infatti non un semplice affastellamento di nozioni, che rimane superficiale, ma «un continuo discernimento» che permette di giudicare sulla base di chiare nozioni del vero e del falso.

Vero e falso non sono nozioni soltanto teologiche. Sono anche nozioni filosofiche, accessibili alla retta ragione. Tuttavia una ragione che rifiuti pregiudizialmente il confronto con la fede finisce per perdere la sua sensibilità per la verità. Benedetto XVI richiama allora «quella sintesi tra formazione intellettuale, disciplina morale e impegno religioso che il beato John Henry Newman aveva proposto nella sua “Idea di Università”».

A Roma, osserva il Papa, sono presenti importanti e storiche università secolari e altrettanto gloriose università teologiche. La città potrebbe dunque essere il terreno ideale per una feconda «collaborazione tra la fede cristiana e i diversi saperi». Il programma di questa collaborazione è riassunto da Benedetto XVI in una sorta di slogan, che riassume un tema caratteristico del suo Magistero: «senza confusione e senza separazione». Tra fede e ragione, dunque fra filosofia e teologia, la confusione porta al fondamentalismo e la separazione al laicismo, come il Papa ha appena illustrato nel suo Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace del 2011, reso pubblico lo stesso 16 dicembre.

Una falsa cultura, di cui purtroppo l’università contemporanea si fa spesso strumento e che è alle radici della sua crisi, vuole convincerci che fondamentalismo e laicismo – cioè, rispettivamente, confusione e separazione fra ragione e fede – sono le uniche due alternative possibili. Chi non è laicista – si fa credere ai giovani – diventa fatalmente fondamentalista. Non è così, ci assicura Benedetto XVI. La vera alternativa alla confusione fondamentalista tra fede e ragione non è la separazione laicista ma la «collaborazione» armonica, che distingue per unire. È un’alternativa forse oggi poco popolare. Ma è l’unico rimedio alla crisi delle università, che è crisi culturale, di valori e di ideali, prima di essere crisi di finanziamenti e di strutture.


Avvenire.it, 21 dicembre 2010 - Oltre il politeismo delle opinioni e l'accanimento anticristiano - Ciò che ferisce tutti e tutti libera di Pierangelo Sequeri

«L’essere umano è uno solo e l’umanità è una sola. Ciò che in qualsiasi luogo viene fatto contro l’uomo alla fine ferisce tutti». Questa posizione possiamo chiamarla "verità"? Vale per tutti gli uomini? Possiamo ragionevolmente immaginare che un essere umano, anche semplice, possa riconoscerla, in tutta libertà, come verità degna di rispetto e di onore? Se potete rispondere affermativamente a tutte le domande, noi umani riprenderemo fiato e ci sentiremo meno minacciati. Perché avremo conferma del fatto che, indipendentemente dalla nostra posizione sociale, dalla nostra cultura e dalla nostra religione, dalle nostre preferenze musicali o alimentari, possiamo contare anche su di voi, per rendere il mondo il più umano possibile.

Ed è solo l’inizio. Perché una simile testimonianza resa alla verità (e non all’opinione di parte), ci consente di osare un dialogo entusiasmante, e legami straordinari, fra noi umani: su tutto il pianeta. Si chiama coscienza morale. È straordinariamente ricca di sapienza, perché dispone di una vastissima complicità: sotto tutti i cieli e nei luoghi più distanti, milioni di esseri umani hanno facoltà di riconoscere la verità di ciò che tiene insieme la vita di tutti. L’universalità di questo riconoscimento è stata onorata e condivisa, fino a ieri, dalle parti migliori di ogni cultura e di ogni religione. Questa venerazione ha molto sostenuto la speranza dei popoli, nelle incertezze dei duri passaggi della storia, individuale e collettiva. E ha dato impulso operoso, pacifico, mentalmente creativo e affettivamente gratificante, alla convivenza delle società umane.

Una parte dell’intellettualità occidentale, da una manciata di anni a questa parte, ha lanciato sul mercato l’idea che il senso morale non ha nulla a che fare con la verità. E nulla da dire – di vero – sull’umano che è comune. Opinione minoritaria, certamente. Ma ben sostenuta dalle potenze mondane di Mammona, che inducono nell’incertezza i popoli consumatori.

Sarà un caso, ma il mondo, diventato povero di verità condivisa, si è ripopolato di opinioni insindacabili, aggressive, autocentrate. Da questo "politeismo", che chiude la partita con "Dio", doveva venire tolleranza delle differenze e pace per tutti. Ne scaturisce volontà di potenza, e l’apertura di microconflitti infiniti di identità, che ci avviliscono gli uni contro gli altri.

La verità non difende una parte contro l’altra, come fa l’arbitrio dell’opinione, che deve imporsi per pura forza o sottrarsi per pura viltà. L’appello alla condivisione fa parte della natura della verità.

Papa Benedetto XVI ha parlato ieri ai suoi collaboratori della Curia romana, incoraggiando la concentrazione del cristianesimo odierno intorno a questo motivo cruciale: riaffezionare gli uomini alla benedizione che viene dalla ricerca della «verità che salva». Ha ricordato egli stesso, francamente e per primo, la necessità di severa autocritica che l’etica della verità impone: agli ecclesiastici medesimi, in primo luogo. Ha indicato molti risvolti della drammatica urgenza di questa ripresa di fiducia nella verità. Le acrobazie della politica e le regole del mercato non possono nulla, altrimenti, nei confronti della sciagurata alleanza fra «avidità di lucro e accecamento ideologico».

L’indifesa testimonianza cristiana – l’unica rimasta – di una verità universale di Dio, il cui banco di prova è la dedizione all’universale alleanza dell’umano, non per caso è oggetto di speciale accanimento. Una "fobìa" mirata. Non senza plateali convergenze: la viltà intellettuale, da una parte, il fanatismo politico dall’altra. Dogmatica la sua parte, per essere un’opinione.