Nella rassegna stampa di oggi:
1) L'attesa del Natale Massimo Camisasca - martedì 14 dicembre 2010 – il sussidiario.net
2) «Persecuzioni religiose, cristiani 3 vittime su 4» - di Massimo Introvigne 13-12-2010 da http://www.labussolaquotidiana.it
3) LE APPARIZIONI DELLA VERGINE, UN “GRIDO DI ALLARME” PER I CRISTIANI - di Chiara Santomiero (ZENIT.org)
4) 13/12/2010 - ISLAM – ALGERIA - Condannati quattro cristiani algerini: hanno creato un luogo di culto senza permesso - Un pastore protestante e tre fedeli sono colpevoli in base alla discussa legge del 2006 che impone un permesso governativo per costituire un luogo di preghiera. E’ la prima volta che la legge viene applicata; secondo alcuni va contro la Costituzione.
5) A colloquio con la regista danese - Dubbi e incertezze che fanno l'uomo di Luca Pellegrini (©L'Osservatore Romano - 13-14 dicembre 2010)
6) "In un mondo migliore" di Susanne Bier - Facile la vendetta ma il perdono è necessario di Gaetano Vallini (©L'Osservatore Romano - 13-14 dicembre 2010)
7) Radio Vaticana - notizia del 13/12/2010 - Ecuador: missionario francescano polacco ucciso nella sua parrocchia
8) CENSIS/ Borgna: così i piccoli desideri hanno ucciso il "grande" desiderio - INT. Eugenio Borgna - martedì 14 dicembre 2010 – il sussidiario.net
L'attesa del Natale Massimo Camisasca - martedì 14 dicembre 2010 – il sussidiario.net
Stiamo vivendo il tempo di Avvento che ci porta al Natale. L’Avvento è anzitutto un tempo liturgico, ma per sua natura investe tre diverse dimensioni temporali: il presente, il passato e il futuro. Questo tempo tra passato, presente e futuro, che San Bernardo chiama «il triplice Avvento», può avere ancora molto da dire a ciascuno di noi oggi, anche a chi distrattamente si affanna nella frenesia delle luci di Natale.
Trattandosi della storia di una nascita, il riferimento al passato è fondamentale. Non possiamo, infatti, pensare a Gesù che viene e che verrà, se non partendo dalla considerazione del fatto che è già venuto. Colui che invochiamo e che attendiamo è già presente. La venuta di Cristo non è un mito o un sogno, ma un evento accaduto e giunto fino a noi nella sua storicità. Per questo la prima dimensione fondamentale che l’Avvento ci invita a vivere è la memoria, la storia passata che si rende presente.
Nel rapporto con il passato si possono percorrere due strade sbagliate. Molti uomini vivono la vita con la nostalgia del passato, sottraendosi al presente, rinunciando di fatto a vivere. Il passato è un evento inefficace, perduto, che non è più capace di cambiare il presente. Il Natale stesso può diventare un pio ricordo, una bella favola, ultimamente inefficace.
Una seconda negazione della memoria è chiudersi in una visione negativa del passato. La storia si riempie di coloro che non ci hanno amato, che non ci hanno capito, che ci hanno ingannato. Il passato è vissuto come angoscia. Diventa impossibile perdonare. Nel primo caso il cristianesimo rimane una bella fiaba delle origini, nel secondo una dottrina di fratellanza che non riesce a incidere sul rapporto con il nostro vissuto.
L’Avvento ci fa guardare anche al futuro. Vivendo, sorgono in noi molte immagini riguardo il futuro, attraverso le quali vorremmo come prevederlo. È necessario che le nostre immagini e le nostre attese, il nostro desiderio di Cristo, si purifichino. Potremmo, infatti, cadere nell’errore di amare più le immagini che ci facciamo di Dio che Dio stesso.
Noi non sappiamo quando Cristo tornerà, o meglio, quando verrà l’ultima volta. Sappiamo una cosa: che la sua ultima venuta è il compimento delle sue continue venute presenti. Sarà il compimento della storia. La storia, infatti, si compirà quando Dio sarà tutto in tutti, quando il Figlio consegnerà al Padre il mondo in lui ricapitolato.
Dio non sta ritardando la sua venuta, ma dà all’uomo il tempo per convertirsi a lui. Il tempo ha dunque un peso. Non solo Dio ha creato il tempo, ma è entrato nel tempo, lo ha assunto come forma del suo rapporto con noi. Il Mistero non mi raggiunge se non attraverso il tempo. Esso è innanzitutto il sacramento della contemporaneità di Cristo, della sua vicinanza alla mia vita. Per questo è fatto di un’infinità di istanti presenti, attraverso i quali Cristo mi raggiunge continuamente. Egli è l’amato nascosto, che si rivela a noi in mille modi.
In sintesi: il fondamento storico dà a questa nostra attesa, che riguarda il presente e il futuro, una sua veridicità, toglie ogni mitologia, ogni sentimentalismo spiritualistico e ci permette di assumere la posizione vera verso questo tempo. L’Avvento non è solo una parte del nostro tempo, ma ne è una dimensione permanente. L’attesa costituisce l’umano nella sua dimensione più profonda e più vera.
Il mio augurio per questo tempo di Avvento e per il vicino Natale è in un pensiero di sant’Agostino: «Se abbiamo un piccolo sacchetto potrà entrarvi poca cosa; se abbiamo un grande sacchetto potrà entrarvi molto». Dobbiamo dilatare gli spazi del nostro desiderio, in modo che possa entrarvi Cristo stesso e, con lui, tutto ciò che ha preparato per noi.
«Persecuzioni religiose, cristiani 3 vittime su 4» - di Massimo Introvigne 13-12-2010 da http://www.labussolaquotidiana.it
Si è concluso nel fine settimana a Madrid il simposio organizzato dalla Scuola diplomatica del Ministero degli Esteri sulle fobie e discriminazioni religiose nel mondo, con particolare attenzione all'area mediterranea. Vi hanno partecipato accademici, magistrati e diplomatici di diversi Paesi, compresi la Giordania, il Marocco e Israele. Sono stato tra i relatori del simposio, di cui credo sia importante analizzare - al di là dei singoli interventi - quattro conclusioni generali.
La prima è che l'epoca dei conflitti religiosi non è affatto finita. Musulmani contro indù e indù contro musulmani. Sciiti contro sunniti e sunniti contro sciiti. Indù contro buddhisti. Non passa giorno senza che qualche sanguinoso scontro fra religioni non faccia almeno una vittima.
La seconda è che, per quanto le statistiche non rendano mai giustizia a tutte le vittime come dovrebbero, c'è però un dato incontrovertibile ed evidente. Studi di fonti molto diverse concordano su fatto che il 75% degli episodi di violenza e di discriminazione contro gruppi religiosi vede come vittima i cristiani. È certamente giusto segnalare anche altre persecuzioni e discriminazioni. Ma è paradossale che proprio le vittime più numerose, i cristiani, siano quelle di cui la grande stampa internazionale parla meno.
La terza conclusione è che sul piano diplomatico, che era quello specifico del simposio, qualche passo in avanti è stato fatto. La diplomazia della Santa Sede con l'appoggio di alcuni Stati europei, Italia compresa, e con un'azione che si svolge spesso senza comunicati stampa e lontano dai riflettori, ha ottenuto miglioramenti legislativi in diversi Paesi. Nella stessa area a maggioranza islamica ci sono zone dove la libertà di culto è garantita e dove convertirsi al cristianesimo non è più un reato. Sarebbe sbagliato negare questi piccoli miglioramenti di una situazione che rimane però preoccupante. Non ci si può accontentare della sola libertà di culto dove l'annuncio e la missione restano vietati. Le leggi più favorevoli alla libertà religiosa non sempre sono applicate con coerenza. Un intervento ha presentato il caso di un pilota dell'aviazione militare siriana che ha chiesto asilo politico in Francia. Nonostante la legge siriana in teoria riconosca la libertà religiosa, dopo essersi convertito al cristianesimo ha perso in pochi giorni il lavoro, la moglie e anche tutti i denti, a causa delle violenze dei commilitoni che cercavano d'indurlo a rinnegare la conversione. Infine, come dimostra il caso del Pakistan, quando uno Stato su pressioni internazionali elimina le leggi che trasformano in reato la conversione dall'islam a un'altra religione questo passo positivo rimane insufficiente, se rimangono in vigore le leggi contro la blasfemia. Ci sono infatti giudici che considerano qualunque gesto del convertito una forma di bestemmia contro l'islam e procedono di conseguenza.
La quarta conclusione è che, se certamente non si possono assimilare questi casi alle persecuzioni violente in Pakistan o in Iraq, ci sono problemi d'intolleranza e discriminazione contro i cristiani anche in Europa Occidentale, come ha mostrato il "Rapporto Ombra" appena presentato a Vienna da una ONG (Organizzazione non governativa) specializzata in questo settore. Al simposio di Madrid è stato citato il caso, fatto conoscere in Italia proprio da La Bussola, di una pubblicità sull'AIDS del movimento giovanile del Partito Scialista in Andalusia, dove mani che sembrano quelle di un sacerdote levano in alto un preservativo in un gesto volutamente simile all'elevazione nella Messa. Lo slogan che accompagna l'immagine è "Benedetto il preservativo che toglie l'AIDS dal mondo". Certo, la campagna è stata messa in crisi da organizzazioni cristiane internazionali, che hanno invocato anche questioni di copyright. Ma c'è discriminazione contro i cristiani quando, mentre analoghe offese ad altre religioni sono condannate sia dai media sia dai giudici, in questi casi ogni protesta è subito criticata come attentato alla libertà di espressione. E ci sono incidenti anche più gravi di cristiani che perdono il posto di lavoro per avere esercitato forme di obiezione di coscienza, non sempre riconosciute dalle leggi, o per avere espresso opinioni non politicamente corrette sui temi della vita e della famiglia.
Che fare, allora? L'azione diplomatica deve continuare. Ma non può non essere accompagnata da una riflessione culturale sulla libertà religiosa che, come insegna Benedetto XVI, non è uno dei tanti diritti della persona ma la pietra angolare su cui si fondano tutti gli altri diritti. La libertà religiosa non va confusa con il relativismo. "Libertà religiosa - spiega l'enciclica Caritas in veritate - non significa indifferentismo religioso e non comporta che tutte le religioni siano uguali". Questa vera comprensione della libertà religiosa dovrebbe rassicurare anche alcuni Paesi i quali temono che accogliere i principi giuridici della libertà religiosa, talora percepiti come solo "occidentali", diffonda il relativismo o svaluti l'identità e le tradizioni nazionali.
Infine, la libertà religiosa di cui occuparsi non può essere solo quella delle minoranze, per quanto queste siano degne di attenzione. Esistono anche i diritti delle maggioranze, troppo spesso dimenticati in alcuni Paesi europei, a vedere riconosciuta la loro identità e la loro storia. In Europa, questa storia è indissolubilmente legata al cristianesimo. Chi nega le radici cristiane dell'Europa sta già preparando la discriminazione contro i cristiani.
LE APPARIZIONI DELLA VERGINE, UN “GRIDO DI ALLARME” PER I CRISTIANI - di Chiara Santomiero (ZENIT.org)
ROMA, lunedì, 13 dicembre 2010 (ZENIT.org).- “Quando tacciono i segni della terra si fanno vivi quelli del cielo”: è questo, per padre Stefano De Fiores, docente di Mariologia presso la Pontificia Facoltà “Marianum” di Roma, il significato delle apparizioni mariane. Se ne è parlato oggi, 13 dicembre, a Roma in occasione della presentazione del “Dizionario delle 'apparizioni' della Vergine Maria”, curato dal teologo mons. René Laurentin con Patrick Sbalchiero per le Edizioni ART.
L’originale francese del volume è stato pubblicato nel 2007 e ora, dopo un lavoro di aggiornamento e l’inserimento di circa un centinaio di nuove voci, arriva al pubblico italiano con una prefazione del Cardinale Roger Etchegaray.
“L’importanza delle apparizioni della Vergine – ha sottolineato De Fiores a ZENIT – non sta nel fatto che illuminano o richiamano dati evangelici, ma nel rappresentare un grido di allarme per una comunità cristiana che potrebbe addormentarsi nelle abitudini della vita”.
Il dizionario – 1200 pagine che racchiudono l’annotazione di oltre 2400 apparizioni, tutte quelle che hanno lasciato un qualche segno nella storia – “colma una lacuna e, grazie alla ricca bibliografia, costituisce un utilissimo punto di partenza per il lavoro di altri studiosi”. Può essere, al contempo “interessante anche per i semplici fedeli che sempre più sono interessati a sapere a ‘che punto’ sono Medjugorje o Civitavecchia e qual è il giudizio del magistero della Chiesa in merito”.
A questo proposito va sottolineato che “la Chiesa lascia libertà di recarsi nel luoghi delle apparizioni se ne sente il desiderio”. Anche questo, infatti “concorre al giudizio della Chiesa in quanto la mancanza di ‘frutti’ è di per sé un segno negativo circa i fenomeni che si verificano, insieme ad altri elementi di discernimento come l’ortodossia dei messaggi”. E, anche, l’equilibrio psichico dei veggenti.
“La maggior parte degli studiosi della mente umana – ha affermato Tonino Cantelmi, presidente dell’Associazione italiana psichiatri e psicologi cattolici – era in difficoltà rispetto a questo tema e le manifestazioni dei veggenti erano spesso liquidate come semplici fenomeni di isteria”. Oggi, invece “alcuni studi con la PET – strumento che consente di verificare quali aree cerebrali si attivano in un dato momento – hanno consentito di verificare che quando alcune persone sostengono di avere un contatto intenso con Dio, si attivano nel loro cervello aree molto specifiche e non quelle che entrano in gioco in condizioni patologiche come l’insorgere di fenomeni allucinatori”.
Entrare in contatto con la funzione trascendente apparterrebbe quindi “non alla patologia, ma alla normalità, a una dimensione diversa dell’uomo”. “Questo nuovo punto di vista – ha concluso Cantelmi – si è fatto strada con prepotenza nelle Università e può portare a studiare i fenomeni delle apparizioni in modo diverso”.
Diverse sono le “lenti” attraverso le quali si studiano gli eventi delle apparizioni della Vergine, compresa quella dell’indagine giornalistica e lo stesso mons. Laurentin ha incoraggiato i giornalisti a leggere con attenzione soprattutto l’introduzione al volume “dove tutti i problemi spesso sconosciuti sono trattati sinteticamente”.
“Si tratta di un campo – ha affermato Saverio Gaeta, giornalista e scrittore, che ha moderato la presentazione del Dizionario – in cui è possibile applicare lo stesso rigore con cui si affrontano altri temi di inchiesta applicandolo a fenomeni che coinvolgono la trascendenza”. Attraverso la ricerca, quindi, delle fonti e dei riscontri oggettivi con la consapevolezza che “ciò di cui mi sto occupando è tuttavia verosimile perché vicende come le estasi dei veggenti sono verificabili e anche i miracoli hanno un controllo da parte della scienza”.
“L’analisi minuziosa contenuta nel volume – ha sottolineato Gaeta – dimostra che in 2000 anni di storia l’intervento della Madonna nella storia è costante e sempre in conformità con l’annuncio evangelico”. Tutti i santuari “veri”, infatti, “sono cristocentrici, portano a Gesù”. Proprio per questo motivo i santuari mariani sono tanto affollati dai fedeli: “in un periodo in cui è più difficile credere – ha concluso Gaeta – Maria prende ogni uomo per mano, come una mamma, e guida a Gesù”.
13/12/2010 - ISLAM – ALGERIA - Condannati quattro cristiani algerini: hanno creato un luogo di culto senza permesso - Un pastore protestante e tre fedeli sono colpevoli in base alla discussa legge del 2006 che impone un permesso governativo per costituire un luogo di preghiera. E’ la prima volta che la legge viene applicata; secondo alcuni va contro la Costituzione.
Algeri (AsiaNews) – Quattro algerini convertiti dall’islam al cristianesimo sono stati condannati il 12 dicembre per l’apertura illegale di un luogo di culto in Cabilia, nella zona orientale dell’Algeria. Le condanne, le prime mai emanate per questo motivo nel Paese, vanno da due a tre mesi di carcere con la condizionale. Tre di loro - Abdenour Raid, Nacer Mokrani e Idir Haoudj - sono stati condannati a due mesi di prigione; sul quarto il pastore Mahmoud Yahou, pesava l’accusa supplementare di aver ospitato illegalmente uno straniero. Quindi la sentenza è stata di tre mesi di prigione e di una multa di 1000 dinari (circa 100 euro).
Il processo si è svolto a Larbaa Nath Irathen, nella regione di Tizi Ouzou. Il Procuratore aveva chiesto un anno di prigione per gli imputati, la cui età va da 35 a 45 anni. L’esercizio di culto in Algeria, musulmano o non musulmano, è condizionato dalla concessione di un permesso, in cui sono indicati sial il luogo di culto che il predicatore, in base a una legge emanata nel 2006. I quattro erano accusati di aver aperto una chiesa protestante nella regione senza aver ottenuto la licenza dalle autorità.
Per il pastore si tratta di un'accusa incomprensibile. “Ho sempre accolto degli invitati stranieri dal 2003, entrano legalmente in Algeria con il visto che ottengono grazie al mio certificato di idoneità alloggiativa”, ha detto Yahou il 10 dicembre al quotidiano francese “La Croix”. Secondo alcuni osservatori, questo processo, non il primo, contro membri della minoranza cristiana rispecchia la politica seguita da alcuni anni dalle autorità algerine in applicazione della legge n. 06-03 (oppure 06-02 bis). Anche nota come Ordinanza 06-03, la norma promulgata nel febbraio del 2006 rappresenta un vero e proprio giro di vite nei confronti dei culti non musulmani in un Paese che negli anni '90 era finito nel mirino dei fondamentalisti islamici.
L'Ordinanza sottopone all'autorizzazione governativa tutti gli edifici utilizzati per il culto e criminalizza l'incitamento (manca però una definizione di “incitamento”) alla conversione di persone di fede musulmana e i tentativi di “scuotere” la loro fede. Secondo il governo del Presidente Abdelaziz Boutelflika (al potere dal 1999 e ormai al suo terzo mandato), il decreto rispetta in pieno la Costituzione algerina, un'affermazione respinta però da vari osservatori. La norma di legge crea una zona grigia nella quale il Governo e la polizia avrebbero lo spazio per agire contro le minoranze religiose, anche se la Costituzione garantisce la libertà religiosa.
"In un mondo migliore" di Susanne Bier - Facile la vendetta ma il perdono è necessario di Gaetano Vallini (©L'Osservatore Romano - 13-14 dicembre 2010)
È davvero la violenza, sviscerata in forme e circostanze diverse con il suo strascico di vendette, la vera protagonista del bel film In un mondo migliore della regista danese Susanne Bier? O non è piuttosto il perdono, che irrompe a conclusione della storia, a esserne il vero centro gravitazionale? Del resto la vicenda narrata si presta a più di una lettura, affrontando temi delicati, come l'elaborazione del lutto e l'incomunicabilità genitori figli, e difficili, come quello della crisi di coppia, che a sua volta racconta di adulti che fanno fatica a trovare la propria collocazione in un mondo sempre sull'orlo di una violenza insensata che non risparmia neppure i giovanissimi.
In un mondo migliore - vincitore del gran premio della giuria e di quello del pubblico al festival di Roma, candidato all'Oscar per la Danimarca - è la storia di Anton, medico che opera in un campo profughi in Africa (probabilmente nel Darfur, anche se questo non viene mai detto), quotidianamente costretto a confrontarsi con la morte e l'ingiustizia. E mentre la sua coscienza è combattuta tra il dovere di salvare ogni vita e la pulsione a ripulire quel luogo già piagato da chi causa altro inaccettabile dolore, contemporaneamente, in un'apparentemente tranquilla cittadina danese, suo figlio Elias, dodicenne timido e bersaglio del bullo della scuola, trova sostegno e coraggio in un'intensa ma pericolosa amicizia. Il nuovo compagno si chiama Christian, coetaneo appena arrivato da Londra dopo la morte prematura della madre; una perdita che il ragazzo non riesce ad accettare e che lo incattivisce al punto da fargli odiare il padre, che accusa di quella morte, e da renderlo oltremodo aggressivo. Solitudine, fragilità e dolore saranno la miscela esplosiva di un'amicizia che si trasformerà in una pericolosa alleanza mossa dal risentimento e da una ricerca di vendetta che metterà a rischio la vita stessa dei due adolescenti.
Con questo film Bier, formatasi alla scuola di Lars von Trier, prosegue nel suo personale lavoro di scavo nei sentimenti umani iniziato con Non desiderare la donna d'altri, Dopo il matrimonio e Noi due sconosciuti, confermando particolare sensibilità nel cogliere e rappresentare le dinamiche affettive e relazionali più profonde. Ma stavolta punta più in alto, non fermandosi al livello dei rapporti interpersonali, ma utilizzandoli per affrontare alcune criticità dell'oggi. Ecco, allora, emergere la crisi di un modello educativo, che diventa il rovescio della medaglia, ovvero della crisi etica, con la possibilità di una morale adattabile alle circostanze; un'ambiguità che fa da sfondo a tanta violenza gratuita e inspiegabile, ma che nella sua irrazionalità pure trova sostegno, se non persino giustificazione, in un sistema in cui prevaricazione e prepotenza vengono troppo spesso tollerate. E non è casuale l'uso di due piani - quello degli adulti e quello dei ragazzi - per rappresentare la violenza, resa ancor più perfida nei secondi, dei quali si mette in discussione l'innocenza. Così come è pensata la scelta della Danimarca, che la regista vuole restituire a una realtà meno idilliaca di quanto non appaia nell'immaginario collettivo.
Strutturato come un film a tesi, nel quale alcune risposte sono già contenute nelle domande e alcune scelte narrative sembrano rispondere solo a questa esigenza, In un mondo migliore mostra passione civile e tensione morale - merce sempre più rara nel cinema - raccontando la storia esemplare di una normalità che sfocia nel dramma per poi ricomporsi. Una storia ben diretta e ben interpretata che ci dice come il male a volte covi dentro e che dall'esterno venga solo la scintilla che lo innesca. Ma ancor di più una vicenda in cui si sostiene quanto sia facile e devastante imboccare la strada della vendetta, spiegando tuttavia anche come il passo verso il perdono sia non solo possibile ma si configuri come l'unica possibilità per ricominciare a vivere. Tanto per gli adulti, quanto per i ragazzi. Per costruire un mondo migliore, appunto.
A colloquio con la regista danese - Dubbi e incertezze che fanno l'uomo di Luca Pellegrini (©L'Osservatore Romano - 13-14 dicembre 2010)
Vendetta e perdono, perdono e vendetta: l'Africa e l'Occidente coltivano le stesse pericolose inclinazioni e danno poco spazio, pur se in contesti diversissimi, alle virtù morali. Instillare una medicina per curare ferite dell'animo e del corpo diventa una priorità umana e sociale, altrimenti si apre il caos del cuore e della vita. In un mondo migliore è un titolo che rispecchia una speranza e una volontà. Un film sorretto da forti ideali che è nato, semplicemente, osservando la realtà delle cose, come racconta la regista danese Susanne Bier.
"Anders Thomas Jensen, coautore della sceneggiatura, ha cominciato a discutere con me riconoscendo quanto fragili e vulnerabili siano le società occidentali in cui viviamo. Contemporaneamente si è messo a scrivere alcune scene in cui dei ragazzini danesi venivano interrogati dalla polizia. Quando abbiamo unito le due esperienze, il film ha cominciato a prendere forma".
Con durezza, ma anche molta comprensione, abbatte un luogo comune: l'innocenza dell'infanzia.
I bambini sono innocenti finché non succede qualcosa, un dolore o una violenza, che provoca la perdita di quella condizione e li spinge a compiere atti che di per sé non sono espressione diretta del male, ma possono provocare gravi effetti sugli altri. È ciò che accade a Christian, un dodicenne diventato cattivo, malvagio, a causa di un fatto straziante e luttuoso.
Non crede che la sua visione, una sorta di utopia morale, sia poco radicata nella realtà?
Nessuna "visione" può essere radicata, legata alla realtà. La correttezza di una visione o di un'utopia, però, non sparisce soltanto perché è difficile realizzarla. Basta crederci.
I Paesi occidentali e quelli in via di sviluppo sembrano avere gli stessi problemi.
Ovviamente l'Africa è diversa dall'Europa occidentale. Ciò che può spaventare in Africa è decisamente più duro e terribile di ciò che spaventa in Danimarca, spesso percepita come una società armoniosa, ideale, mentre nella realtà nulla è perfetto. Siamo tutti esseri umani. Ci sono analogie, similitudini, tra i due contesti in cui si sviluppa la mia storia, perché in fondo trovi il male dovunque, lo trovi nel comportamento umano in tutte le latitudini. Diciamo che è diversa soltanto la scena del male, non il male in sé.
Sovrapponendo due scenari così diversi, quale domanda pone il suo film allo spettatore occidentale?
Se la nostra cultura "avanzata" sia il modello per un mondo migliore o se piuttosto il caos sia in agguato sotto la superficie della civilizzazione. Siamo immuni da questo caos o viviamo nel rischio perenne di precipitarvi?
Anche in questo film si mantiene fedele all'ispirazione che ha da sempre contrassegnato il suo cinema, ossia raccontare i risultati di scelte e comportamenti in contesti apparentemente divergenti, da cui dipendono il bene o il male per molti. Il medico Anton sceglie di combattere la violenza e l'odio con la sola forza della ragione e del cuore: è un eroe del nostro tempo?
Per me è veramente un eroe del nostro tempo, perché è una persona che vuole fare semplicemente la cosa giusta. È un personaggio che affronta le proprie ferite, ma sogna un mondo migliore. Mi piace raccontare persone romantiche, idealiste ma di certo non perfette. Voglio parlare di esseri umani con le loro fragilità, i loro dubbi e le loro incertezze. Anton non retrocede davanti alla violenza, l'affronta ragionando, con la forza della speranza, per costruire un mondo migliore.
Non le piace che si dica: finale consolatorio.
Il film dimostra che ci conosciamo molto poco, crediamo di capire gli altri e, invece, non è così ed è difficilissimo costruire dei ponti che uniscano due esseri umani. Spero che In un mondo migliore diventi un tributo alla responsabilità dell'uomo per rendere migliore la società e l'ambiente in cui viviamo. Il mio finale è senza equivoci, è necessario, come il perdono.
Radio Vaticana - notizia del 13/12/2010 - Ecuador: missionario francescano polacco ucciso nella sua parrocchia
E' stato ucciso nei giorni scorsi padre Miroslaw Karczewski, frate minore conventuale. Aveva 45 anni. E’ stato ucciso nella canonica della parrocchia di Sant'Antonio da Padova a Santo Domingo de Los Colorados (in Ecuador), nella parte nord del Paese, a circa 300 km da Quito. Il sacerdote faceva parte della Provincia polacca dell'Ordine dei frati minori e da cinque anni lavorava presso la parrocchia di Santo Domingo de Los Colorados, nella provincia di Tsáchila. Secondo le informazioni raccolte dall’agenzia Fides, il sacerdote doveva celebrare la Messa alle ore 19, ma non si è presentato, così i parrocchiani sono andati a cercarlo a casa, e lo hanno trovato morto. Padre Juan Luna, responsabile dei Francescani dell'Ecuador, ha detto in una dichiarazione che il sacerdote aveva dei tagli sul collo e su altre parti del corpo, dai quali si desume che abbia lottato con l'assassino. Sembra che padre Mirek quando ha aperto la canonica ai suoi aggressori, fosse da solo. Dopo averlo ucciso, colpendolo con un grande crocifisso, i malviventi hanno rubato il cellulare e il computer del sacerdote. La polizia ha riferito che il sacerdote era già stato aggredito un anno fa, in casa sua, e aveva visto in faccia i criminali che avevano minacciato di ucciderlo se li avesse denunciati. Dalla Curia generalizia dei conventuali si apprende che fra Miroslaw apparteneva alla Provincia di San Massimiliano Kolbe (Polonia - Danzica). Nato nel 1965 a Polczyn Zdrój, era stato ordinato sacerdote nel 1993 a Koszalin. Dopo l'ordinazione aveva lavorato per due anni nel convento di San Massimiliano a Gdynia. Nel 1995 era partito per l’Ecuador. (C.P.)
CENSIS/ Borgna: così i piccoli desideri hanno ucciso il "grande" desiderio - INT. Eugenio Borgna - martedì 14 dicembre 2010 – il sussidiario.net
«Dobbiamo distinguere tra piccoli e grandi desideri. È solo il grande desiderio che ci può far consapevoli della nullità dei piccoli, vacui, diradanti desideri che svuotano l’anima e non le consentono di cogliere fino in fondo il senso della vita». Eugenio Borgna, psichiatra, ha sotto mano l’ultimo volantino di Cl, dove si parla di desiderio, esperienza e ideologia. Lo spunto è dato dall’ultimo rapporto Censis. È una crisi del desiderio, dice il Censis, a prostrare la nostra società, «pericolosamente segnata dal vuoto».
Professore, c’è un «calo del desiderio»?
«Distinguerei tra grandi e piccoli desideri. Questi ultimi sono quelli di chi desidera che le giornate siano piene di ricchezza, di luce e di fortuna; ad essere in crisi, oggi, mi sembra il grande desiderio. Esso è vivo solo quando è attraversato da un’indomita aspirazione all’infinito, che sopravvive anche quando i piccoli desideri della vita quotidiana vengono infranti, si cancellano, non si realizzano. La grande crisi di oggi è il venir meno del desiderio di Dio, così che il futuro è soltanto quello delle piccole, diuturne aspirazioni, le quali finiscono purtroppo per rappresentare il solo orizzonte di vita al quale oggi siamo portati un po’ tutti. Ecco, il tema del Censis andava forse disarticolato in questi due aspetti».
Secondo lei c’è oggi il rischio di confondere una crisi antropologica con una patologia?
«Se distinguiamo i piccoli, effimeri, precari, temporanei e insignificanti desideri dai grandi desideri, i desideri che danno un senso alla vita vivono solo in chi sia persona, consapevole del fatto che il significato dell’esistenza si realizza solo se noi entriamo in comunione - e non appena in comunicazione - con gli altri, in un dialogo virtualmente senza fine. Con gli altri e ultimamente con Dio, che è il fondamento di ogni desiderio reale».
Chi attenta all’integrità del nostro desiderio?
«Il nichilismo è quel veleno che si esprime, anche quotidianamente, nel contesto della ricerca di beni, di occasioni, di orizzonti che non hanno però l’afflato l’espansione la grandezza e la nobiltà dei grandi desideri. Se questi vanno in crisi, è ovvio che anche i piccoli desideri si manifestino nella loro inconsistenza. Da questo contraccolpo può scaturire la depressione».
«Il desiderio - ha scritto Luigi Giussani, citato nel volantino - può appiattirsi se non trova un oggetto all’altezza delle sue esigenze». Cosa permette al desiderio di non essere ultimamente succube del potere?
«Questo può avvenire solo se il desiderio non si brucia nella soddisfazione di desideri egoistici, ma si colloca invece nella grande prospettiva umana, psicologica e religiosa costituita dai desideri che oltrepassano il finito, alimentando la percezione del nostro limite e, in esso, del bisogno originale che l’infinito “rientri” nel nostro cerchio, diventando presenza costante nella nostra vita».
È il cor inquietum agostiniano?
«È proprio questo».
«Chi o che cosa può ridestare il desiderio? È questo il problema culturale della nostra epoca» scrive Cl. «Con esso sono costretti a misurarsi tutti coloro che hanno qualcosa da dire per uscire dalla crisi: partiti, associazioni, sindacati, insegnanti». Condivide questa impostazione?
«Fino in fondo. È solo il grande desiderio che ci può far consapevoli della nullità dei piccoli, vacui, diradanti desideri che svuotano l’anima e non le consentono di cogliere fino in fondo il senso della vita. Ultimamente, però, solo Dio può distoglierci dall’egoismo. Qui comincia anche il dramma dell’essere in comunicazione con orizzonti di vita che oggi vengono spesso dimenticati, sacrificati o negati».
Che cosa aiuta oggi una persona dimentica di sé a recuperare la portata incommensurabile del proprio desiderio?
«“Noli foras ire, in te ipsum redi, in interiore homine habitat veritas” (Non uscire fuori, rientra in te stesso: nell’uomo interiore abita la verità; Agostino, De vera rel. 39, 72). Sentire il battito del proprio cuore, seguire il cammino misterioso che porta verso l’interiorità, vedere, ascoltare la voce dell’Infinito che è presente in ciascuno di noi ma che non sempre o quasi mai, di volta in volta, di epoca in epoca, sappiamo ascoltare, bruciati dal fascino fatuo delle circostanze. Non siamo pietre immobili, siamo anime aperte a tutto quello che ci circonda e se sappiamo cogliere e ascoltare la voce misteriosa dell’infinito, ecco che quest’ansia di recupero dei significati più profondi della nostra vita si realizza».
La fede è un ostacolo al desiderio?
Al contrario! La fede in qualche modo è la sostanza stessa del desiderio. Il desiderio dell’infinito solo nell’ambito di una vita consegnata alla fede si può compiere. Senza fede la sorte del desiderio è di perdere la sua grandezza, trascinato in qualcosa che non ci consente di intravedere più le stelle della speranza e della luce.