venerdì 10 dicembre 2010

Nella rassegna stampa di oggi:
1)    S.E. Card. Angelo Scola - “Dio si è reso familiare. L’insegnamento di Karol Wojtyla-Giovanni Paolo II e l’uomo postmoderno”. La lectio magistralis del Patriarca a Lublino dal sito http://angeloscola.it
2)    Educazione e perdono cristiano di Andrea Tornielli 09-12-2010 dal sito http://www.labussolaquotidiana.it
3)    09/12/2010 - CINA – VATICANO - L’Assemblea patriottica cinese vota la sua leadership. Un grave danno per la Chiesa di Zhen Yuan Pechino (AsiaNews)
4)    Così la Francia bandisce l'Immacolata di Antonio Giuliano09-12-2010 dal sito http://www.labussolaquotidiana.it
5)    Ecco i 7 inganni di Roberto Saviano e Fabio Fazio sull’eutanasia di Welby e Eluana. – In Bioetica e Pro-Life, Eutanasia e Testamento biologico su 9 dicembre 2010 nel sito http://antiuaar.wordpress.com
6)    UN'APPARIZIONE DELLA MADONNA NEGLI USA APPROVATA PER IL CULTO - Apparve a un'immigrata belga nel 1859 nel Wisconsin (ZENIT.org)
7)    Islam modello-Norvegia Mario Mauro - venerdì 10 dicembre 2010 – il sussidiario.net
8)    Avvenire.it, 10 dicembre 2010 - Quei banditi, mortalmente «utili» - Elogio del predone di Marina Corradi
9)    Avvenire.it, 10 dicembre 2010 - LIBERTÀ RELIGIOSA - Anche in Europa discriminati i cristiani di Lucia Capuzzi
10)                      Avvenire.it, 9 dicembre 2010 - L'ANALISI - Giovanni Paolo II e le «tre vie» di Dio di S.E. Card. Angelo Scola
11)                      AVVENIRE/ Vittadini: Quel buon "desiderio" che serve all'Italia per ripartire Giorgio Vittadini - venerdì 10 dicembre 2010 – il sussidiario.net
12)                      Come nacque il progetto Gemma Di Francesco Agnoli del 09/12/2010, in Bioetica, dal sito http://www.libertaepersona.org
13)                      Diritti umani, oltre le apparenze l'Occidente è d'accordo con la Cina - di Riccardo Cascioli 10-12-2010 – dal sito http://www.labussolaquotidiana.it
14)                      Pechino sogna una Chiesa con vescovi «a richiesta» di Andrea Tornielli 10-12-2010 – dal sito http://www.labussolaquotidiana.it
15)                      Cuba, Oscar Biscet non si arrende - di Francesco Agnoli 09-12-2010 – dal sito http://www.labussolaquotidiana.it

S.E. Card. Angelo Scola - “Dio si è reso familiare. L’insegnamento di Karol Wojtyla-Giovanni Paolo II e l’uomo postmoderno”. La lectio magistralis del Patriarca a Lublino dal sito http://angeloscola.it

Dic 9, 2010 in Interventi and tagged angelo scola, dottore honoris causa, Interventi, lectio magistralis, lezioni, lublino, postmodernità, universtià cattolica di lublino
UNIVERSITA’ CATTOLICA DI LUBLINO – Giovedì 9 dicembre 2010 al card. Angelo Scola, Patriarca di Venezia, è stato conferito il titolo di Dottore Honoris Causa dall’Università cattolica “Giovanni Paolo II” di Lublino. La cerimonia, tenutasi presso l’aula Stefan Wyszyński della stessa Università, è stata aperta dal saluto del rettore rev. prof. Stanisalw Wilk, cui hanno seguito la lettura della delibera del Senato e la laudatio dell’arcivescovo di Lublino, mons. prof. Józef Zyciński. A conclusione, la lectio magistralis del Patriarca, card. Angelo Scola, sul tema: “Dio si è reso familiare. L’insegnamento di Karol Wojtyla-Giovanni Paolo II e l’uomo postmoderno”.

Qui di seguito il testo della lectio magistralis pronunciata dal Patriarca:

1. La “pretesa” del mondo contemporaneo

Testimone dell’epoca tragica delle grandi ideologie, dei regimi totalitari e del loro crollo, Giovanni Paolo II ha avuto una profonda coscienza della transizione dalla modernità a quella che si è ormai convenuto di chiamare la post-modernità. Egli ha colto in anticipo l’ingresso dell’umanità in una fase di forte travaglio segnata da nuove tensioni e contraddizioni.

a) La fede: un’opzione tra le altre?

La prima di queste tensioni si colloca proprio nella attuale fase della parabola del processo di secolarizzazione. Se la cifra sintetica della modernità ha avuto la sua punta espressiva in alcuni teorici di un ateismo radicale e militante, la post-modernità pare invece contraddistinta da un’attitudine meno agguerrita, ma forse assai più provocatoria nei confronti della religione.

Come afferma Taylor, «siamo passati da una società in cui era “virtualmente impossibile” non credere in Dio, ad una in cui anche per il credente più devoto questa è solo una possibilità umana tra le altre»[1]. Ciò non implica una scomparsa del religioso. Anzi, proprio nell’odierna fase di secolarizzazione avanzata, assistiamo a un “ritorno del sacro”, che, pur aprendo nuove prospettive, «non è privo di ambiguità»[2], come riconosceva lo stesso Giovanni Paolo II. La tendenza attuale attesta di fatto il permanere di un disincanto universale in cui la fede cristiana, ritenuta da molti pura convinzione soggettiva e non razionalmente documentabile, sarebbe tutt’al più legittimata a sopravvivere accanto alle altre espressioni religiose, in nome di un diritto universale alla differenza. Mediante un’applicazione scorretta del principio di uguaglianza si giunge infatti a sostenere che le religioni sono “tutte diverse e tutte uguali”.

b) L’uomo contemporaneo:solo il suo proprio esperimento?

L’oggettività che la cultura odierna nega alla fede, e veniamo così a una seconda “pretesa” del mondo contemporaneo, finisce per essere riconosciuta alla scienza sperimentale, cui sola spetterebbe se non una definizione di certo una descrizione compiuta dell’uomo. Si diffonde sempre più infatti, soprattutto in forza delle strabilianti scoperte nel campo della biologia, della bio-chimica e delle neuroscienze, una vulgata di timbro scientista che tende a ricondurre tutte le espressioni e le facoltà dell’umano a pure attività cerebrali. Queste in prospettiva potrebbero, si afferma, diventare addirittura artificiali. In questo senso non sarebbe più possibile, a rigore, parlare di un soggetto personale, dotato di una dignità intrinseca, portatore di diritti e di doveri, ma l’uomo non sarebbe altro che «il suo proprio esperimento»[3].

2. Cristo centro del cosmo e della storia: figura compiuta dell’uomo postmoderno?

Le problematiche, troppo sinteticamente richiamate, impongono alla fede cristiana una svolta cruciale. A ben vedere, quella che alla fine dell’epoca moderna, che discettava di morte di Dio e del soggetto, era la domanda corrente: “Esiste Dio?” assume, nella post-modernità, un’altra, forse più stringente, formulazione: “Come nominare Dio oggi[4], come narrare di Lui comunicandolo come Dio vivo all’uomo reale”?

Nell’ottica cristiana Dio è Colui che viene nel mondo e perciò si distingue da esso senza che questo escluda la possibilità di coglierlo come familiare. Per parlare di Dio «si deve azzardare l’ipotesi che sia Dio stesso ad abilitare l’uomo a divenirgli familiare. La fede cristiana vive anche dell’esperienza di Dio che si è fatto conoscere e si è reso familiare»[5]. È necessario stabilire prima la familiarità con Dio perché Dio sia conosciuto. Allora «Dio diventa  una scoperta, che insegna a vedere tutto con occhi nuovi»[6].

La riflessione di Karol Woityla, alla luce del magistero soprattutto trinitario di Giovanni Paolo II, offre una risposta persuasiva a questo interrogativo, mostrando in tal modo la forza profetica del suo pensiero e, quindi, la sua attualità.

A. Chiavi metodologiche

Per incontrare Dio l’uomo postmoderno dovrà cercarlo sulle vie lungo le quali l’enigma-uomo (l’uomo è un essere che esiste ma non ha in sé il principio della propria esistenza) si attesta, continuando a rendersi a noi familiare.

La riflessione e l’insegnamento di Karol Wojtyla-Giovanni Paolo II ne indicano almeno tre.

1)      La comune esperienza umana

La prima via è la stessa esperienza comune dell’uomo. Anche tenendo conto di tutte le obiezioni che scaturiscono dalla complessità di vita propria dell’uomo post-moderno, si deve concludere con Karol Wojtyła: «Eppure esiste qualcosa che può essere chiamato esperienza comune dell’uomo», di ciascun uomo. Essa ne attesta anzitutto l’integralità (il reale è intelligibile e l’uomo può ospitarlo) e l’elementarità (ogni uomo conviene con tutti gli altri nel vivere affetti, lavoro e riposo), vale a dire la sua indistruttibile semplicità. Nota ancora Wojtyla: «Questa esperienza nella sua sostanziale semplicità supera qualunque incommensurabilità e qualunque complessità»[7]. 

2)      La persona in relazione. L’uomo-donna

La seconda via passa per la struttura originaria dell’uomo nelle sue tre polarità costitutive che individuano l’unità duale dell’io. È il dato antropologico essenziale che vede l’uomo uno nella dualità di anima-corpo, di uomo-donna e di individuo-società. Voglio in particolare ricordare la centralità, nell’indagine e nel magistero di Karol Wojtyla-Giovanni Paolo II, del tema dell’uomo-donna e del mistero nuziale[8]. L’uomo, ci ha insegnato il Papa sulla base di quanto contenuto nei racconti genesiaci della creazione, non può esistere solo, ma «soltanto come unità dei due, e perciò in relazione ad un’altra persona umana[9]. Egli è costitutivamente aperto all’altro. L’essere umano infatti non è solo individuo (identità), ma anche persona (relazione/differenza) capace di autotrascendersi. Questo elemento antropologico originario riceve un’adeguata spiegazione alla luce della Rivelazione. Da un lato, esso si pone infatti in analogia con l’incontro, in chiave nuziale, tra Dio e l’umanità e dall’altro, come Giovanni Paolo II ha genialmente intuito, reca l’impronta della comunione trinitaria[10].

3)      Il dolore salvifico

La terza via che sostiene l’insopprimibile desiderio umano di Dio nella scoperta del Suo essere a noi familiare è la domanda circa la fragilità e, soprattutto, circa il male, il dolore e la sofferenza. In molti pronunciamenti, e soprattutto nella Lettera apostolica Salvifici doloris, Giovanni Paolo II ha mostrato che l’esperienza umana della fragilità, della sofferenza e del male non può essere separata dalla domanda di salvezza e di redenzione. La risposta a questa domanda può essere almeno intravista nell’atteggiamento umano del dono totale di sé, cioè dell’offerta: «il dolore si scioglie in un amore riconoscente»[11], scriveva negli anni di prigionia il Cardinal Wyszynsky. Se la vita ci è data, allora essa si può compiere solo nel dono. La controprova sta nel fatto che se non la doni, la vita ti è rubata dal tempo.

B. Cristo, nostro contemporaneo

Si può mostrare, anche se questa non è la sede opportuna[12], che le tre chiavi metodologiche suggerite forniscono a Karol Wojtyla-Giovanni Paolo II una base filosofica sufficientemente solida per reggere alle obiezioni che il pensiero contemporaneo ha rivolto alla metafisica e alla ontologia. Fanno di lui un pensatore al passo con i filosofi contemporanei.

È così possibile mostrare, in modo fondato, come la proposta di Dio formulata da Giovanni Paolo II, soprattutto nelle tre encicliche trinitarie, risponde al desiderio di Dio, insopprimibile anche quando viene sepolto sotto le macerie dell’odierno clima nichilistico, dell’uomo postmoderno.

La via maestra scelta dal papa polacco è quella della contemporaneità di Gesù Cristo.

a)      Redemptor hominis

Sin dall’inizio del suo pontificato, Giovanni Paolo II ha formulato con forza una decisiva lettura del Concilio Vaticano II basata sull’icastica affermazione: «Redentore dell’uomo, Cristo è il centro del cosmo e della storia»[13]. Con l’enciclica Redemptor hominis egli propone programmaticamente la prospettiva cristocentrica per permettere una comprensione esatta del nucleo costitutivo dell’esperienza cristiana, intesa come pienezza dell’esperienza comune, integrale ed elementare dell’uomo.

L’affermazione iniziale è ulteriormente approfondita dai paragrafi 6-9, che sostengono non solo il primato di Cristo redentore, ma il primato di Cristo tout court. Cristo è il Capo per mezzo del quale esistono tutte le cose. In Lui, l’uomo è pensato, voluto e creato e non solo redento. «In Lui – continua l’enciclica – si è rivelata in modo nuovo e più mirabile la fondamentale verità della creazione»[14]. Il Papa riprende a questo punto il passo di Gaudium et Spes 22 che ha ispirato tutta la sua vita di uomo e di sacerdote: «In realtà solamente nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell’uomo» per proseguire affermando, con geniale sintesi, che «la redenzione del mondo […] è, nella sua più profonda radice, la pienezza della giustizia in un Cuore umano: nel Cuore del Figlio primogenito, perché essa possa diventare giustizia dei cuori di molti uomini, i quali proprio nel Figlio primogenito sono stati, fin dall’eternità, predestinati a divenire figli di Dio [ecco l’affermazione decisiva] e chiamati alla grazia, chiamati all’amore»[15]. I passaggi culminano nell’affermazione capitale: «Questa rivelazione dell’amore viene anche definita misericordia, e tale rivelazione dell’amore e della misericordia ha nella storia dell’uomo una forma ed un nome: si chiama Gesù Cristo»[16]. Giovanni Paolo II ci guida in questo modo nel passaggio da Gesù al Padre, attraverso la strada che Cristo stesso ci ha mostrato per rivelarci la Trinità: da Gesù al Padre nello Spirito. 

b. Dives in misericordia

Questo tema viene ulteriormente indagato nella seconda enciclica del trittico trinitario: Dives in Misericordia, che, approfondendo il cristocentrismo, scardina la falsa contrapposizione tra teocentrismo e antropocentrismo proposta da «varie correnti del pensiero umano»[17]. Ciò è possibile perché Gesù, la misericordia incarnata, rivelando Dio nell’impenetrabile mistero del Suo essere, ne mostra anche chiaramente l’amore per l’uomo. È nell’orizzonte del Logos-Amore, come non cessa anche oggi di affermare Benedetto XVI, che il desiderio di Dio incontra un’adeguata risposta. In questo Dio infatti, la ragione, intesa secondo tutta la sua ampiezza, la fede e la vera religione, scoprono il loro nesso profondo e fecondo[18]. Il manifestarsi della misericordia del Padre in Cristo spiega il senso esatto del mistero della creazione, consentendo anche di lumeggiare il mistero dell’elezione di ogni uomo[19] in Gesù Cristo.

c. Dominum et vivificantem

Il percorso che dall’evento Gesù Cristo conduce alla vita intima della Trinità si completa nella terza enciclica trinitaria di Giovanni Paolo II, la Dominum et vivificantem, in cui è descritto il dialogo vitale che lo Spirito consente tra la Trinità e l’uomo. Questa enciclica mostra la portata estrema della pretesa di Gesù Cristo, descritto come immagine perfetta del Padre e quindi come la figura (forma, Gestalt, silhouette) dell’uomo, perché questi, a sua volta, è creato a immagine di Dio. Per la grazia dello Spirito, l’uomo scopre «in se stesso l’appartenenza a Cristo»[20] e attraverso questa appartenenza comprende meglio il senso della sua dignità.

3. Interesse per Cristo, interesse per l’uomo

In che modo allora la centralità storica e cosmica di Cristo alfa e omega[21] può ancora incontrare l’interesse dell’uomo odierno? Cosa offre Cristo alla sua ragione iper-esigente e alla sua libertà spesso insoddisfatta? Gli offre una risposta esauriente all’enigma da cui è costituito senza annullarne la libertà dal momento che Cristo non pre-decide il dramma del singolo. Secondo la riflessione teologica sulla singolarità di Gesù Cristo, oggi proposta con buoni argomenti dalla teologia, il Figlio di Dio incarnato, rivelandosi ad un tempo non solo come redentore universale ma anche come capo della creazione, si attesta come l’Evento che spiega l’uomo all’uomo. In tale Evento la libertà infinita del Deus Trinitas si piega, attraverso il Logos-Amore, sulla libertà finita dell’uomo, liberandola. La Cristologia non surroga l’antropologia e quest’ultima può fare alla prima tutto il suo indispensabile spazio.

L’affermazione di Cristo, nostro contemporaneo, come attestazione della possibilità di nominare Dio oggi, presuppone una lettura della sua Persona in quanto Persona salvifica, come emerge dal trittico trinitario di Giovanni Paolo II. Una lettura siffatta permette di rendere conto dell’interesse per la sua venuta nel mondo. Nella persona storica di Gesù Cristo si trovano veramente unificate e proiettate, nell’escatologia del mondo nuovo/cieli nuovi, tutte le dimensioni antropologiche.

Emerge così anche l’interesse per l’uomo nuovo senza il quale l’interesse per Cristo è nominale e, nello stesso tempo, si evidenzia l’interesse per Cristo senza il quale l’interesse per l’uomo resta ultimamente vuoto.

La questione dell’interesse per, che riprende il tema della con-venientia di Tommaso, è pedagogicamente assai attuale e quindi decisiva per la nuova evangelizzazione. A mio giudizio, tuttavia, essa è sempre meno proposta, per cui si rischia di non vederne né la preziosità, né l’impegno che richiede alla fede. La testimonianza, la riflessione ed il magistero di Karol Wojtyla-Giovanni Paolo II non cessano però di ricordarci che di questo interesse per la sua persona ha soprattutto bisogno l’uomo postmoderno.

Note:
[1] C. Taylor, L’età secolare, Feltrinelli, Milano 2009, 14. Sul significato della religione nell’epoca moderna secondo il filosofo e sociologo canadese si veda anche il suo C. Taylor, La modernità della religione, a cura di P. Costa, Meltemi, Roma 2004. Per una presentazione della sua posizione vedi G. Brena, La modernità della Religione, in La Civiltà Cattolica 2004, III, 381-393 e A. Russo, Abitare il pluriverso. L’ultima sfida alle religioni, in Rassegna di Teologia 45 (2004) 833-854.
[2] Giovanni Paolo II, Redemptoris missio 38.
[3] M. Jongen, Der Mensch ist sein eigenes Experiment, «Feuilleton. Die Zeit», 9 agosto 2001, 31.
[4] P. Sequeri, Una svolta affettiva per la metafisica, in P. Sequeri-S. Ubbiali (ed), op. cit., 85-116; B. Schellenberger, Von Unsagbaren reden: wie lässt sich heute Gott zu Sprache bringen?, Geist und Leben 79 (2006) 81-88; A. Kreiner, Das wahre Antlitz Gottes – Oder was wir meinen, wenn wir Gott sagen, Herder Freiburg-Basel-Wien, 2006.
[5] E. Jüngel, Verità metaforica, in P. Ricoeur-E. Jüngel, Dire Dio. Per un’ermeneutica del linguaggio religioso (a cura di G. Grampa), Queriniana, Brescia 1978, 169.
[6] Ibid.
[7] K. Wojtyla, Persona e atto, a cura di G. Reale e T. Styczeń, Rusconi, Sant’Arcangelo di Romagna 1999, 45. Cfr. A. Scola, L’esperienza elementare. La vena profonda del magistero di Giovanni Paolo II, Marietti 1820, Genova-Milano 2003.
[8] Cfr. A. Scola, Il mistero nuziale 1. Uomo-donna, Lateran University Press, Roma 2005.
[9] Giovanni Paolo II, Mulieris dignitatem 7.
[10] Ibid.
[11] S. Wyszynski, Appunti dalla prigione, 18 gennaio 1954, CSEO biblioteca, Bologna 1983, 59.
[12] A. Scola, L’esperienza elementare…,  cit., 21-59.
[13] Giovanni Paolo II, Redemptor hominis 1.
[14] Ibid. 8
[15] Ibid. 9
[16] Ibid.
[17] Giovanni Paolo II, Dives in Misericordia 1.
[18] Cfr. Benedetto XVI, Discorso al Convegno della Chiesa Italiana, 19 ottobre 2006.
[19] Cfr. Giovanni Paolo II, Dives in misericordia 4.
[20] Ibid.
[21] Cfr. H.U. Von Balthasar, Uno sguardo d’insieme al mio pensiero, «Communio. Rivista internazionale di Teologia e Cultura», 105 (1989), 39-44.


Educazione e perdono cristiano di Andrea Tornielli 09-12-2010 dal sito http://www.labussolaquotidiana.it

Ci sono delle perle che nel flusso incessante di informazioni (e talvolta di chiacchiere) quotidiane rischiano di perdersi. Sono grato a Luigi Accattoli per averne segnalata una sul suo blog. Si tratta di un articolo di Fabrizio Caccia pubblicato sul Corriere della Sera di martedì 7 dicembre.

La notizia è legata al terribile incidente avvenuto domenica scorsa a Lamezia Terme: un ventunenne immigrato marocchino che aveva fumato cannabis ha travolto e ucciso sette ciclisti. Teresina Natalino, la moglie di Fortunato Bernardi, insegnante di ginnastica, una delle vittime, riferendosi al giovane marocchino ha detto: «Sì, io lo perdono. Perché anche mio marito, se fosse stato vivo, io lo so, avrebbe fatto la stessa cosa. Perché, sapete, per tutta la vita noi due siamo stati educatori e prima ai nostri figli e poi a tutti gli alunni delle scuole abbiamo sempre e solo insegnato la legalità, la giustizia, la non violenza. Se fosse vivo, Fortunato, direbbe lui stesso ai suoi ragazzi: adesso calma, non cercate la vendetta, non seminate odio e discordia nel paese. Sapete, io in classe a Gizzeria ho tanti alunni marocchini, tanti bambini che spero presto di rivedere e di poter riabbracciare. Ecco voglio adesso dir loro che il mio bene non è mutato e tornerò in classe senza rancore, con la voglia intatta di dialogare ancora. Noi eravamo una grande famiglia. Unita, anzi unitissima».

«Abbiamo cresciuto i figli nella fede cristiana. Ed è per questo che dico che la morte oggi non è riuscita a spezzare questo vincolo, io credo anzi che Fortunato dal cielo continuerà ad accompagnarci ogni giorno che resta nel nostro cammino terreno. Adesso mi aspetto che la giustizia faccia il suo corso, naturalmente, perché io credo nella legge e credo che vada sempre rispettata. Però quello che m’importa veramente non è tanto che il ragazzo marocchino venga punito, quanto piuttosto che egli capisca, che si renda conto, che impari qualcosa da tutto il male che ha fatto. Non conta la pena. Conta l’educazione».

L’Italia sarà un paese sempre più secolarizzato, sappiamo bene come esista un’emergenza educativa, ma questo genere di testimonianze sono vere boccate d’ossigeno. Come quella che ci arriva da Brembate, dove, nonostante l’accanimento mediatico nella ricerca di reazioni scomposte, nessuno è caduto nella trappola. Nessuno ha trasformato il (presunto) coinvolgimento nella scomparsa di Yara Gambirasio di un operaio immigrato in occasione per sfogare sentimenti razzisti. A volte il paese reale è migliore di quanto vogliono farci credere.


09/12/2010 - CINA – VATICANO - L’Assemblea patriottica cinese vota la sua leadership. Un grave danno per la Chiesa di Zhen Yuan Pechino (AsiaNews)

Ma Yinglin, vescovo illecito, è presidente del Consiglio dei vescovi; Fang Xinyao (un vescovo in comunione col papa) è presidente dell’Associazione patriottica. Nella leadership vi sono tre vescovi illeciti. In futuro vi potranno essere molte più ordinazioni senza mandato papale. Un sacerdote: “Il governo ha creato il caos in modo deliberato”.


Pechino (AsiaNews) –All’Ottava Assemblea dei rappresentanti cattolici si è giunti alla votazione della nuova leadership. Questa mattina sono stati eletti: Giuseppe Ma Yinglin, vescovo (illecito) di Kunming (v. foto), come nuovo presidente del Consiglio dei vescovi cinesi; mons. Johan Fang Xinyao di Linyi è invece il nuovo capo dell’Associazione patriottica. L’Assemblea, il Consiglio e l’Associazione sono organismi i cui scopi rimangono inconciliabili con la fede cattolica.

La vicepresidenza del Consiglio dei vescovi è affidata a: Fang Xinyao di Linyi; Zhan Silu di Mindong (illecito); Fang Jianping di Tangshan; Li Shan di Pechino; Pei Junmin di Liaoning; Yang Xiaoting di Yanan.

Il segretario generale del Consiglio dei vescovi è Guo Jincai, il vescovo ordinato in modo illecito a Chengde lo scorso 20 novembre. In precedenza il posto era tenuto da Ma Yinglin.

I vicepresidenti dell’Ap sono: I vescovi Ma Yinglin, Guo Jincai, Shen Bin di Haimen, Meng Qinglu di Hohhot; i sacerdoti Lei Shiyin di Leshan, Huang Bingzhang di Shantou, Yue Fusheng di Harbin; suor Wu Lin (dell’Hubei) e il laico Shu Nanwu di Nanchang.

L’ex vice-presidente dell’Ap, Antonio Liu Bainian – il regista dell’Assemblea e delle ordinazioni illecite di questi anni – è stato eletto presidente onorario di entrambi gli organismi, assieme all’anziano mons. Jin Luxian di Shanghai.

Fra i consiglieri dell’Ap e del Consiglio dei vescovi vi sono: i prelati Tu Shihua, Liu Jinghe di Tangshan, Li Mingshu di Qingdao, Yu Runchen di Hanzhong; i laici Yu Jiadi di Anhui, Lu Guocun del Guangdong, Zhou Xiaowu di Shanghai, Liu Deshen di Chongqing.

Nella nuova leadership, due dei membri sono vescovi ordinati quest’anno con mandato papale; uno ordinato in modo illecito.

Nel suo discorso di chiusura, Ma Yinglin ha affermato che la nuova leadership dell’Ap e del Consiglio unirà i cattolici nel seguire i principi di indipendenza, auto-organizzazione e democrazia per guidare la Chiesa e per camminare con la Chiesa universale per essere testimoni di Dio. I cattolici, ha aggiunto, “potranno scrivere un nuovo capitolo sul lavoro patriottico della Chiesa cinese”.

Davanti a una leadership intrecciata di vescovi illegittimi, alcuni cattolici hanno espresso ad AsiaNews i loro timori: poiché adesso il presidente, un vicepresidente e il segretario generale sono vescovi illeciti, c’è il pericolo che in futuro vi saranno molte ordinazioni episcopali illegittime.
Un sacerdote fa notare che la Chiesa è sempre stata controllata dall’Ap; con gli eventi ultimi [ordinazione illecita e Assemblea –ndr] e la nuova leadership, in modo deliberato, il governo sembra aver voluto creare un certo caos nella Chiesa.

Questa situazione – ha detto un’altra fonte di AsiaNews – può rendere ancora più difficile per il Vaticano di nominare ed eleggere nuovi vescovi in comunione col papa.

Un altro sacerdote ha detto che per la Chiesa sembra di tornare al passato, quando il governo la controllava con pugno di ferro e si domanda come mai il governo non osa far guidare il Consiglio dei vescovi da questi vescovi in comunione col pontefice.

Secondo il sito web dell’Ufficio affari religiosi, l’Assemblea ha revisionato gli scorsi sei anni di lavoro della Chiesa e ha prospettato gli scopi e gli obbiettivi dei prossimi cinque anni, studiando anche le revisioni alle costituzioni dell’Ap e del Consiglio dei vescovi.


Così la Francia bandisce l'Immacolata di Antonio Giuliano09-12-2010 dal sito http://www.labussolaquotidiana.it

La chiamano laicità alla francese. Di fatto la religione è bandita dalle pagine di un giornale. Succede a Lione (come riferisce La Croix), dove il quotidiano gratuito 20 minutes ha rifiutato la proposta della diocesi locale di pagare una pubblicità nelle sue pagine per ricordare il carattere religioso della festa dell’8 dicembre.

In questo giorno, sin dal 1832 gli abitanti di Lione mettono delle luci alle finestre per manifestare la propria riconoscenza a Maria che li avrebbe protetti dal colera. Una tradizione sfruttata negli ultimi anni dal Comune che l’ha trasformata in una indistinta “festa della luce” invitando artisti di tutto il mondo a illuminare le facciate degli edifici cittadini. Così da qualche anno la diocesi di Lione si sta preoccupando con celebrazioni e processioni di ricordare le origini religiose di questa festività. In quest’ottica ha pensato di pagare 4 pagine dell’edizione lionese del quotidiano 20 minutes: in pratica il cardinale Philippe Barbarin, arcivescovo di Lione avrebbe spiegato la solennità dell’Immacolata Concezione e indicato i luoghi dove i cattolici potevano ritrovarsi per pregare. Rien à faire, ("niente da fare"). I responsabili del marketing del quotidiano hanno giudicato irricevibile la pubblicità rifiutandosi di pubblicarla.

E pensare che in un primo tempo la diocesi aveva anche accettato di contrattare: il cardinale aveva modificato il suo testo su richiesta dell’editore per precisare che invitava solo i cattolici. Un primo accordo era stato trovato, ma alla fine l’editore ha posto un ultimo veto: la preghiera dell’ “Ave Maria” doveva essere semplicemente soppressa. A questo punto la Chiesa ha rifiutato: le quattro pagine figurano sul sito della diocesi di Lione, ma non hanno trovato spazio su “20 minutes” dell’8 dicembre.

I responsabili del quotidiano si schermiscono appellandosi alla linea editoriale di un giornale “d’informazione senza opinione” che riguarda tutti gli articoli e in particolare la pubblicità. Si tratta, dicono, di una «impostazione etica»: nessuna promozione per una religione perché sarebbe come valicare «un principio non negoziabile», per di più in una festa che secondo loro ha sempre mischiato aspetti laici e religiosi senza che nessuno ha mai trovato da ridire.

E del resto la legge lascia una grande libertà al responsabile di un giornale che può in ogni momento interrompere la diffusione di una pubblicità che sarebbe «contraria alle leggi e ai regolamenti in vigore, o che sarebbe contraria al bon ton, alla buona presentazione o all’immagine della marca del supporto». Come dire, un rifiuto a norma di legge. Liberté, egalité, laicité.


Ecco i 7 inganni di Roberto Saviano e Fabio Fazio sull’eutanasia di Welby e Eluana. – In Bioetica e Pro-Life, Eutanasia e Testamento biologico su 9 dicembre 2010 nel sito http://antiuaar.wordpress.com

L’argomento è così importante che andiamo avanti a parlarne, anche se i fatti sono avvenuti il 15 novembre 2010. Andò infatti in onda la seconda puntata di Vieni via con me, condotta da Fabio Fazio e Roberto Saviano. Un frullato di luoghi comuni e gravi ‘inesattezze’ fatte passare per verità indiscutibili. Nella seconda parte i due laicocomunisti hanno dato ampio spazio alla promozione dell’eutanasia, invitando la moglie di Piergiorgio Welby e il padre di Eluana Englaro. Il tutto “benedetto” da un pretaccio idiota come don Antonio Gallo. Ma vediamo come si possano ingannare milioni di telespettatori…

1) Welby lottava per l’eutanasia. Saviano, improvvisandosi bioeticista, ha affrontato l’argomento del “fine vita”. Sinteticamente, riporta il sito Libertà e Persona, ha detto questo: nessuno osa rifiutare un bene prezioso come la vita, tutti inneggiano al diritto alla vita. E’ per il diritto alla vita Beppino Englaro, ha detto Saviano, esattamente come ieri lo erano Piergiorgio Welby e Luca Coscioni. E’ poi seguita una ricostruzione commovente della vicenda Welby, nella quale il nemico della camorra ha spiegato come costui non volesse altro che il rifiuto dell’accanimento terapeutico. L’ha ripetuto decine di volte: il rifiuto dell’accanimento terapeutico. Era questo, ha insistito con la sua aria messianica Saviano, il solo, vero obbiettivo politico di Welby. Terminato il monologo Fabio Fazio ha fatto leggere alla vedova Welby l’elenco delle ultime parole del marito prima di morire. Dopo pochi vocaboli si è subito parlato di ”la lotta per l’eutanasia”. Era infatti a questo che, anche prima di morire, pensava Piergiorgio Welby: alla “lotta per l’eutanasia”. E lo diceva, vincolato, come purtroppo era, a potersi esprimere solo con gli occhi, senza giri di parole, con chiarezza. Eppure accanimento terapeutico -pratica che tutti, ma proprio tutti, laici, laicisti e clericali, rifiutano – è molto diverso da eutanasia. Ma forse incitare milioni di telespettatori a battersi contro l’accanimento terapeutico, anziché per l’eutanasia, suona più soft.

2) Welby e i funerali religiosi. Saviano e Fazio hanno anche strumentalizzato le vicende degli ambigui personaggi sopra citati per diffamare la Chiesa. Infatti si è più volte ripetuto che la terribile gerarchia vaticana non ha voluto concedere a Welby i funerali religiosi. Ma, come si osserva correttamente sul blog Illumisticamentando, Welby era un ateo a cui non interessava nulla avere funerali religiosi (come ad esempio non sono stati fatti a Monicelli). L’autore del blog continua: «Anche la sua famiglia era atea, tranne la madre. Non risulta che Welby nelle sue tante lettere abbia espresso un benché minimo sentimento religioso o che abbia chiesto un funerale cattolico. Ergo, fare un funerale a Welby (pace all’anima sua) sarebbe stato come farlo a Odifreddi se morisse, solo perché voluto da sua zia, e non da lui. Chiedete al “matematico impertinente” se ne sarebbe contento».

3) Eluana e Welby. Volontaria poi la confusione tra le due storie, in realtà antitetiche. Si finge di non sapere che Eluana, a differenza di Welby, non viveva attaccata ad alcuna macchina e a differenza di Welby, non aveva alcuna malattia, tantomeno era quindi terminale. Come racconta Lucia Bellaspiga su Avvenire, Eluana era una disabile come migliaia di casi analoghi, non aveva bisogno di cure specifiche ma solo di essere accudita. Si finge anche di non sapere che Welby, a differenza di Eluana, era lucido nonché capace di esprimere una volontà. Confondere i piani significa far passare l’idea che Eluana fosse malata di qualcosa, che fosse terminale, che patisse sofferenze, che volesse morire. Un’altra immensa differenza: Englaro chiede di «non scambiare per eutanasia » la morte procurata ad Eluana mentre Mina Welby ammette la loro lotta «per l’eutanasia».

4) Eluana non era in coma. Secondo Fazio, Eluana viveva «da 17 anni in coma». Eppure, come tutti sanno, dal coma si esce nel giro di poche settimane, oppure si muore. Alla fine del coma il paziente riapre gli occhi, riacquista il ritmo di sonno e veglia, torna a un grado di coscienza e percezione del mondo esterno che è diverso da soggetto a soggetto e soprattutto è ancora una grande incognita anche per i neurologi. Non è un obbligo essere specialisti, ma se si affronta un tema davanti a milioni di persone e si ha la responsabilità di volerne orientare la coscienza, almeno si dovrebbe studiare la materia.

5) Coscienza e incoscienza di Eluana. Il padre Beppino parla di «una vita priva di coscienza» e Fazio di «una vita priva di relazioni con il mondo esterno». Di Eluana e della sua coscienza non sapremo mai nulla perché è morta prima che le venisse fatta una normale risonanza magnetica funzionale: il 40 % dei presunti stati vegetativi sono risultati in realtà stati di minima coscienza: i pazienti coglievano ciò che avveniva loro intorno ma non potevano dirlo, da anni. Nonostante molte pressioni, a Eluana questo esame non fu fatto. Si sa però da più di un testimone che sorrideva, che quando sentiva nella stanza una voce cara il suo respiro mutava, che quando la portarono a morire a Udine in ambulanza ebbe una grave crisi nervosa. E si legge a chiare lettere nella cartella clinica dell’ospedale di Sondrio che ‘se opportunamente stimolata’ risponde a semplici ordini e che due volte nella notte ha pronunciato una parola: «mamma».

6) La volontà di Eluana. Beppino sostiene che non poteva non rispettare la volontà di Eluana. Eppure gli stessi magistrati che hanno permesso a Englaro di staccare il sondino dell’acqua e del cibo a Eluana parlano di ‘volontà presunta’, ovvero ‘ricostruita’: ovviamente Eluana non aveva mai lasciato espresso alcunché, e il suo pensiero di ventenne è stato quindi azzardato a tentoni sulla base del suo carattere.

7) Gli amici di Eluana. Fazio ha letto il ricordo di Eluana pronunciato da alcuni amici, «gli unici che possono dire di averla davvero conosciuta». Tra decine di testimonianze che provavano come Eluana non avrebbe voluto morire, solo tre ritenevano invece il contrario, e i magistrati solo queste tre hanno preso in considerazione. Basta fare una piccola ricerca su internet per trovare conferme a questo.


UN'APPARIZIONE DELLA MADONNA NEGLI USA APPROVATA PER IL CULTO - Apparve a un'immigrata belga nel 1859 nel Wisconsin (ZENIT.org)

GREEN BAY, giovedì, 9 dicembre 2010 (ZENIT.org).- Durante la festa dell'Immacolata Concezione, patrona degli Stati Uniti, è stata data l'approvazione diocesana ufficiale alle apparizioni della Madonna nel Wisconsin.

Durante la lettura del decreto, questo mercoledì nel corso di una Messa speciale nel Santuario di Champion, monsignor David Ricken, Vescovo di Green Bay, ha affermato: “Dichiaro con certezza morale e in base alle norme della Chiesa che gli eventi, le apparizioni e i discorsi ricevuti da Adele Brise nell'ottobre 1859 presentano sostanza di carattere soprannaturale, e io con la presente approvo queste apparizioni come degne di fede – anche se non obbligatorie – per i fedeli cristiani”.

La dichiarazione di questo mercoledì trasforma il santuario di Nostra Signora del Soccorso a Champion nel primo e unico luogo negli Stati Uniti di un'apparizione della Vergine Maria approvata ufficialmente.

Abbagliante

Le apparizioni – se ne sono verificate tre – hanno avuto luogo nel 1859. La Madonna parlò ad Adele Brise (1831-1896), una giovane immigrata del Belgio.

All'inizio di ottobre la Brise vide la Vergine per la prima volta: una signora vestita di un bianco abbagliante, con una fascia gialla intorno alla vita e una corona di stelle sulla testa.

La visione scomparve lentamente dopo qualche momento, senza parlare alla Brise.

La domenica successiva, il 9 ottobre, la donna si stava recando a Messa quando la Signora tornò Dopo la celebrazione, la Brise ebbe l'opportunità di chiedere al suo confessore delle apparizioni, e egli le disse che se era una messaggera del cielo l'avrebbe rivista. La esortò a chiederle nel nome di Dio chi fosse e che cosa voleva da lei.

Tornando a casa, la Madonna apparve di nuovo, e Adele Brise fece come le aveva raccomandato il suo confessore.

“Sono la Regina del Cielo che prega per la conversione dei peccatori, e desidero che tu faccia lo stesso”, rispose la Signora alla domanda della Brise. “Hai ricevuto la Santa Comunione questa mattina e questo va bene, ma devi fare di più. Fai una confessione generale e offri la Comunione per la conversione dei peccatori. Se non si convertono e non fanno penitenza, mio Figlio si vedrà costretto a punirli”.

Una delle donne che erano con la Brise le chiese con chi parlasse e perché loro non riuscivano a vedere nessuno.

“Inginocchiatevi”, disse la Brise, “la Signora dice di essere la Regina del Cielo”. Di fronte a questo,  la Signora guardò gentilmente le compagne della donna e disse: “Beati coloro che credono senza vedere”.

La Signora proseguì: “Che fai qui in ozio mentre le tue compagne lavorano nella vigna di mio Figlio?”.

“Che cos'altro posso fare, amata Signora?”, chiese la Brise.

“Riunisci i figli di questo Paese selvaggio e insegna loro quello che dovrebbero sapere per salvarsi”.

“Come potrò insegnare loro ciò che io stessa conosco così poco?”, replicò la donna.

“Insegna loro il catechismo, come fare il segno della croce e come avvicinarsi ai sacramenti; è questo che voglio che tu faccia”, disse la Signora. “Vai e non temere nulla. Io ti aiuterò”.

Il padre della Brise costruì una piccola cappella in quel luogo, e la donna continuò a fare ciò che Nostra Signora le aveva detto, missione che portò avanti fino alla morte, nel 1896.

Approvazione

L'approvazione del Vescovo Ricken arriva dopo un'indagine sugli eventi e le loro conseguenze durata quasi due anni, essendo iniziata nel gennaio 2009.

La Diocesi di Green Bay ha pubblicato sul suo sito web materiale sulle apparizioni nella Chiesa.

I documenti spiegano che è il Vescovo diocesano e non la Santa Sede o la Conferenza Episcopale ad avere la responsabilità di giudicare l'autenticità delle apparizioni che si dice siano avvenute nella sua Diocesi.

Si osserva anche che non tutte le presunte apparizioni sono approvate dalla Chiesa, e che negli Stati Uniti, ad esempio, presunti eventi di questo tipo a Necedah (Wisconsin) e Bayside (New York) sono stati esaminati e dichiarati falsi.

“Nessuno può provare il soprannaturale”, ricorda la dichiarazione. “La Chiesa giudica le apparizioni in base alla loro conformità alla Sacra Scrittura, alla sacra Tradizione e agli insegnamenti della Chiesa, e ai benefici spirituali derivanti nella vita delle persone, considerando se ci sia qualcosa nella vita del veggente che smentisce la credibilità del racconto”.


Islam modello-Norvegia Mario Mauro - venerdì 10 dicembre 2010 – il sussidiario.net

Lo scorso 24 novembre è stato presentato a Roma il rapporto 2010 sulla libertà religiosa nel mondo, realizzato dall’organizzazione cattolica “Aiuto alla chiesa che soffre”. C’è la conferma che viviamo un’escalation fondamentalista con pochi precedenti nella storia, un vorticoso aumento delle restrizioni messe in atto da governi nei confronti di chi vuole professare liberamente la propria confessione religiosa.

Un ulteriore fattore che preoccupa non poco per il futuro dei rapporti del mondo occidentale con il Medio Oriente è l’assoluta mancanza di reciprocità da parte dei governi mediorientali. Si moltiplicano le richieste e le lamentele nei confronti dei governi occidentali per la promozione della libertà religiosa, ma se dovessimo mettere il naso in casa loro, ci accorgeremmo che laggiù la libertà religiosa è un concetto totalmente inesistente, anzi addirittura incompatibile con la struttura costituzionale di molti di questi Stati.

A questo proposito è paradossale quello che è accaduto all’inizio di novembre tra Arabia Saudita e Norvegia. Il Governo saudita ha sollecitato il governo norvegese affinché stanziasse un finanziamento di svariati milioni di euro per la costruzione di una grande moschea nella capitale. La gestione della moschea sarebbe nelle mani del centro islamico Tawfiiq. Vista così, la richiesta non sembra essere scandalosa o oltraggiosa, essendo la Norvegia un paese democratico nel quel l’immigrazione di cittadini di religione islamica è in grande crescita, come nel resto d’Europa.
Siamo pervasi da un senso di profonda ingiustizia però nell’analizzare la situazione in Arabia Saudita, dove è vietata ogni manifestazione e ogni pratica religiosa anche privata. Un cristiano non può nemmeno mettere piede fisicamente nella città santa della Mecca.

Come ha riportato il quotidiano “Avvenire” il 3 novembre scorso “Secondo la costituzione saudita, infatti, l’islam è religione di Stato e non è ammesso nessun culto diverso, nemmeno per i milioni di immigrati (cristiani ma anche indù) provenienti dall’Asia in cerca di lavoro nel settore petrolifero. Fece scalpore, nel 2005, il caso del cristiano indiano Brian Savio O’Connor, arrestato, imprigionato e torturato perché sorpreso in possesso di Bibbie e libri cristiani.” Allora la risposta del governo scandinavo, vale a dire «Nessuna moschea "saudita" in Norvegia senza libertà religiosa in Arabia saudita», può davvero costituire un ragionevole punto di partenza per affrontare il problema.

Il concetto di reciprocità può essere un valido argomento per riuscire finalmente ad aprire una breccia nel cuore di chi calpesta per legge la libertà religiosa dei propri cittadini. Mai rinunciare ad aprirsi nei confronti di altri popoli e altre culture, ma pretendere un atteggiamento di rispetto reciproco è alla base per un dialogo che davvero possa portare ad una convivenza pacifica. Il vero dialogo si fonda sulla verità, non sulla furbizia o sulla menzogna. La risposta norvegese, insieme all’atteggiamento di altri governi occidentali e con il contributo dell’Unione europea, vuole far accorgere i governi mediorientali della convenienza di un dialogo interculturale vero e profondo che abbia come presupposto la comprensione reciproca e la promozione di quei valori buoni che fondano le nostre civiltà. Se tutto ciò dovesse verificarsi, sarebbe un passo fondamentale per la vittoria della libertà religiosa nel mondo.


Avvenire.it, 10 dicembre 2010 - Quei banditi, mortalmente «utili» - Elogio del predone di Marina Corradi

Dunque di quel gruppo di prigionieri nel Sinai si sanno ormai molte cose. Si sa, riferiscono il prete e le organizzazioni umanitarie che testardamente ne inseguono i destini, in quale luogo del deserto sono; si sa chi sono i trafficanti che li tengono in catene, e ne hanno già ammazzati sei. Profughi e migranti – tra cui donne incinte e bambini – bloccati e incarcerati in Libia, poi fuggiti e risospinti verso l’ultima speranza, la frontiera di Israele, prima di cadere nelle mani dei predoni. E mentre si sa tutto questo, quelli là restano prigionieri.

Allora sorge un dubbio. Sgradevole, forse non oggettivamente dimostrabile, tuttavia affiora. Che, cioè, queste bande che rastrellano disperati alle spalle della Libia siano, certo, banditi, pirati, capitribù senza più legge né morale; e tuttavia che la loro attività non sia combattuta con tutta l’efficacia di cui, ne siamo sicuri, le polizie di quella regione sono, all’occorrenza, capaci. Il dubbio, inoltre, che quella barriera nei deserti, mobile ma pronta e rapace a cogliere il passaggio di nuove vittime, in fondo sia tacitamente funzionale agli interessi di molti. Dei Paesi da cui profughi e migranti fuggono, come deterrente ad avventurarsi in un ancora più incerto destino. Di quelli che si affacciano dall’Africa sul Mediterraneo, e vogliono arginare la pressione sui loro confini. E anche nostra, dei Paesi di primo approdo dell’onda; nonché del resto di una Europa poco incline a farsi carico dell’onere di migranti, non pochi dei quali hanno diritto, secondo tutte le convenzioni, all’asilo.Anche la sostanziale indifferenza con cui giornali e tv assistono a questa odissea aumenta il dubbio. Si scende giustamente in piazza per Sakineh, e quei sei già ammazzati come cani dai trafficanti? E quei 250, e gli altri, come schiavi nell’anno 2010, alle stesse latitudini in cui noi europei cerchiamo il sole, in inverno? Che cosa manca al dramma dei profughi del Sinai, che cosa non è <+corsivo>appealing<+tondo> secondo i nostri canoni mediatici? Forse il non vedere, non avere immagini di quell’angolo di deserto?

Ma il dubbio è anche più radicale. Il dubbio che quelle masse, ai nostri occhi indefinite, in fuga dalla guerra o dalla miseria, agli europei, agli italiani non interessino. Che non ci appaiono del tutto uomini, ma numeri, grandi numeri che premono per sedersi alla nostra tavola, forse non imbandita, ma a cui pure si mangia. Pelli scure, lingue incomprensibili, bocche affamate: non abbiamo voglia di ascoltare le loro oscure odissee. Il Mediterraneo come una diga, come un argine al di sotto del quale sobbolle un altro mondo; le convenzioni, i diritti dell’uomo che tanto amiamo ripetere? Parole vuote, lì sotto. Non sappiamo, e non vogliamo sapere; in tempi poi di quasi, forse, elezioni, a chi porterebbe voti sostenere la causa di un manipolo di profughi, in un’Italia già dell’immigrazione insofferente?

Allora, forse, quelle bande predone nel Sinai svolgono una primitiva ma efficace funzione di mantenimento di equilibri. Scoraggiano i più audaci o disperati, aiutano le polizie locali in un’azione di deterrenza tanto più forte quanto clandestina; bilanciano, con la loro eco di paura e di morte, le promesse che il Terzo Mondo vede nelle immagini delle tv occidentali. Sopra la diga, da noi, ci si può compiacere che il flusso di «clandestini» sia calato. L’Europa può evitare di affrontare organicamente la questione di chi irregolarmente fugge da persecuzione e guerra.

Elogio del predone: tiene sotto controllo una pressione altrimenti difficilmente arginabile. Mantiene una sorta di ecosistema. Con mezzi barbarici. Che però non vediamo, e quindi possiamo quasi ignorare. Possiamo non pensare a quei prigionieri scacciati e braccati. A quelle donne, tra loro, con un bambino nel ventre. Che aspetta di nascere, ultimo degli ultimi; come quell’altro, ricordate, che nacque, quasi da quelle stesse parti, due millenni fa, a Natale.


Avvenire.it, 10 dicembre 2010 - LIBERTÀ RELIGIOSA - Anche in Europa discriminati i cristiani di Lucia Capuzzi

Sottile, strisciante, quasi invisibile. Eppure esiste. Anche nella liberale Europa. La discriminazione religiosa riguarda tutte le fedi presenti nel Vecchio Continente. Non solo, dunque, quelle “importate” dai flussi migratori più recenti e non ancora radicate. Ad essere vittima di intolleranza è, spesso, pure la religione maggioritaria, cioè quella cristiana. Certo, non si arriva ai casi eclatanti dei “pogrom” dell’Orissa o dell’Iraq. Si assiste, però, a episodi che destano una certa preoccupazione. Tanto che del tema, negli ultimi anni, si sta occupando l’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (Osce), che opera in 56 Stati, per la maggior parte dell’Unione Europea, ma anche molte nazioni asiatiche e il Nordamerica.

«Intolleranza ed emarginazione nei confronti dei cristiani sono presenti in varie forme nei Paesi dell’area Osce», ha dichiarato l’anno scorso, dopo il primo incontro sull’argomento a Vienna, Janez Lenarcic, direttore dell’ufficio per la democrazia e i diritti umani dell’organizzazione.

Ieri e oggi, sempre a Vienna, l’Osce ha organizzato un secondo dibattito. In cui esperti internazionali e rappresentanti di associazioni discutono di libertà religiosa e, soprattutto, dei limiti – legali e sociali – che la riducono. A volte, considerevolmente. Il problema – spiega ad Avvenire Silvio Ferrari, docente di Diritto delle religioni all’Università di Milano e consulente dell’Osce – è tornato alla ribalta negli ultimi vent’anni. Quando – aggiunge l’esperto – «col crollo delle grandi ideologie, la religione, relegata a lungo nella sfera individuale, ha cominciato a ricomparire nello spazio pubblico». Da qui, è nata una certa tensione con un’applicazione rigida e estremizzata dei diritti dell’uomo. In particolare, col diritto – per altro legittimo e sacrosanto – a non subire discriminazioni.

Per garantire uguaglianza assoluta di trattamento a tutti i cittadini, si finisce però per ledere le prerogative di alcuni gruppi. Un paradosso. Perverso ma reale. «Spesso le legislazioni accolgono rigidamente il principio di non discriminazione. E questo, finisce per comprimere la libertà religiosa dell’individuo». Sembrano concetti astratti. Ma non lo sono. I molti casi raccolti negli ultimi cinque anni dall’Osservatorio sull’intolleranza e la discriminazione verso i cristiani in Europa lo dimostrano.

In Gran Bretagna, ad esempio, dal 2009, i funzionari cattolici negli uffici di adozione sono costretti a scegliere tra svolgere le pratiche per l’affidamento dei bambini alle coppie omosessuali o lasciare il posto di lavoro. L’obiezione di coscienza, in base alle proprie convinzioni religiose, non è consentita. «Il Consiglio d’Europa non ha approvato per un soffio, appena quattro voti, una norma che imponeva a tutti gli ospedali di praticare i trattamenti, in materia sessuale e riproduttiva, considerati legali – dice Gudrum Kugler, presidente dell’osservatorio –. Compresi quelli che potevano creare forti scrupoli a chi ha determinate convinzioni religiose».

Ci sono, poi, i vari divieti di esporre o indossare simboli religiosi, banditi in nome di una pretesa “laicità” dello spazio pubblico. Si torna nuovamente a quest’ultimo concetto. Quanto la religione può essere “mostrata” o semplicemente esercitata fuori dall’ambito strettamente privato? «Il punto è che, erroneamente, si considera lo spazio pubblico come spazio vuoto – dichiara Mario Mauro, parlamentare europeo e rappresentante della Presidenza dell’Osce contro razzismo, xenofobia e discriminazione – in cui c’è spazio solo per il credo del nulla. Questo è discriminante». Alla discriminazione “legale” contro i cristiani – e a volte altre comunità religiose – si aggiungono pregiudizi sociali, stereotipi, rappresentazioni insultanti.

Difficile tenere a mente tutta la casistica. «Per questo abbiamo chiesto ai governi di prestare attenzione alla questione e monitorarla in modo sistematico, in modo da avere dati precisi», aggiunge la Kugler. E porre fine al fenomeno. «Occorre riflettere attentamente sul pluralismo religioso e culturale – afferma Ferrari – che permea l’Europa». In modo da trovare un punto di equilibrio tra libertà di religione e uguaglianza del diritto.


Avvenire.it, 9 dicembre 2010 - L'ANALISI - Giovanni Paolo II e le «tre vie» di Dio di S.E. Card. Angelo Scola

Testimone dell’epoca tragica delle grandi ideologie, dei regimi totalitari e del loro crollo, Giovanni Paolo II ha avuto una profonda coscienza della transizione dalla modernità a quella che si è ormai convenuto di chiamare la post-modernità. Egli ha colto in anticipo l’ingresso dell’umanità in una fase di forte travaglio segnata da nuove tensioni e contraddizioni.

La prima di queste tensioni si colloca proprio nella attuale fase della parabola del processo di secolarizzazione. Se la cifra sintetica della modernità ha avuto la sua punta espressiva in alcuni teorici di un ateismo radicale e militante, la post-modernità pare invece contraddistinta da un’attitudine meno agguerrita, ma forse assai più provocatoria nei confronti della religione.
Come afferma Charles Taylor, «siamo passati da una società in cui era "virtualmente impossibile" non credere in Dio, ad una in cui anche per il credente più devoto questa è solo una possibilità umana tra le altre». Ciò non implica una scomparsa del religioso.

Anzi, proprio nell’odierna fase di secolarizzazione avanzata, assistiamo a un «ritorno del sacro», che, pur aprendo nuove prospettive, «non è privo di ambiguità», come riconosceva lo stesso Giovanni Paolo II. La tendenza attuale attesta di fatto il permanere di un disincanto universale in cui la fede cristiana, ritenuta da molti pura convinzione soggettiva e non razionalmente documentabile, sarebbe tutt’al più legittimata a sopravvivere accanto alle altre espressioni religiose, in nome di un diritto universale alla differenza. Mediante un’applicazione scorretta del principio di uguaglianza si giunge infatti a sostenere che le religioni sono «tutte diverse e tutte uguali».

L’oggettività che la cultura odierna nega alla fede, e veniamo così a una seconda "pretesa" del mondo contemporaneo, finisce per essere riconosciuta alla scienza sperimentale, cui sola spetterebbe – se non una definizione – di certo una descrizione compiuta dell’uomo. Si diffonde sempre più infatti, soprattutto in forza delle strabilianti scoperte nel campo della biologia, della bio-chimica e delle neuroscienze, una vulgata di timbro scientista che tende a ricondurre tutte le espressioni e le facoltà dell’umano a pure attività cerebrali. Queste in prospettiva potrebbero, si afferma, diventare addirittura artificiali. In questo senso non sarebbe più possibile, a rigore, parlare di un soggetto personale, dotato di una dignità intrinseca, portatore di diritti e di doveri, ma l’uomo non sarebbe altro che «il suo proprio esperimento».

Le problematiche, troppo sinteticamente richiamate, impongono alla fede cristiana una svolta cruciale. A ben vedere, quella che alla fine dell’epoca moderna, che discettava di morte di Dio e del soggetto, era la domanda corrente: «Esiste Dio?» assume, nella post-modernità, un’altra, forse più stringente, formulazione: «Come nominare Dio oggi, come narrare di Lui comunicandolo come Dio vivo all’uomo reale?».

Nell’ottica cristiana Dio è Colui che viene nel mondo e perciò si distingue da esso senza che questo escluda la possibilità di coglierlo come familiare. Per parlare di Dio «si deve azzardare l’ipotesi che sia Dio stesso ad abilitare l’uomo a divenirgli familiare. La fede cristiana vive anche dell’esperienza di Dio che si è fatto conoscere e si è reso familiare». È necessario stabilire prima la familiarità con Dio perché Dio sia conosciuto. Allora «Dio diventa  una scoperta, che insegna a vedere tutto con occhi nuovi».

La riflessione di Karol Wojtyla, alla luce del magistero soprattutto trinitario di Giovanni Paolo II, offre una risposta persuasiva a questo interrogativo, mostrando in tal modo la forza profetica del suo pensiero e, quindi, la sua attualità. Per incontrare Dio l’uomo postmoderno dovrà cercarlo sulle vie lungo le quali Dio si attesta all’<+corsivo>enigma-uomo<+tondo> (l’uomo è un essere che esiste ma non ha in sé il principio della propria esistenza), continuando a rendersi a noi familiare.

La riflessione e l’insegnamento di Karol Wojtyla-Giovanni Paolo II ne indicano almeno tre. La prima via è la stessa esperienza comune dell’uomo. Anche tenendo conto di tutte le obiezioni che scaturiscono dalla complessità di vita propria dell’uomo post-moderno, si deve concludere con Karol Wojtyla: «Eppure esiste qualcosa che può essere chiamato esperienza comune dell’uomo», di ciascun uomo. Essa ne attesta anzitutto l’integralità (il reale è intelligibile e l’uomo può ospitarlo) e l’elementarità (ogni uomo conviene con tutti gli altri nel vivere affetti, lavoro e riposo), vale a dire la sua indistruttibile semplicità. Nota ancora Wojtyla: «Questa esperienza nella sua sostanziale semplicità supera qualunque incommensurabilità e qualunque complessità».

La seconda via passa per la struttura originaria dell’uomo nelle sue tre polarità costitutive che individuano l’<+corsivo>unità duale dell’io<+tondo>. È il dato antropologico essenziale che vede l’uomo uno nella dualità di anima-corpo, di uomo-donna e di individuo-società. Voglio in particolare ricordare la centralità, nell’indagine e nel magistero di Karol Wojtyla-Giovanni Paolo II, del tema dell’uomo-donna e del mistero nuziale. L’uomo, ci ha insegnato il Papa sulla base di quanto contenuto nei racconti genesiaci della creazione, non può esistere solo, ma «soltanto come unità dei due, e perciò in relazione ad un’altra persona umana» Egli è costitutivamente aperto all’altro. L’essere umano infatti non è solo individuo (identità), ma anche persona (relazione/differenza) capace di autotrascendersi. Questo elemento antropologico originario riceve un’adeguata spiegazione alla luce della Rivelazione. Da un lato, esso si pone infatti in analogia con l’incontro, in chiave nuziale, tra Dio e l’umanità, e dall’altro, come Giovanni Paolo II ha genialmente intuito, reca l’impronta della comunione trinitaria.

La terza via che sostiene l’insopprimibile desiderio umano di Dio nella scoperta del suo essere a noi familiare è la domanda circa la fragilità e, soprattutto, circa il male, il dolore e la sofferenza. In molti pronunciamenti, e soprattutto nella <+corsivo>Lettera apostolica Salvifici doloris<+tondo>, Giovanni Paolo II ha mostrato che l’esperienza umana della fragilità, della sofferenza e del male non può essere separata dalla domanda di salvezza e di redenzione. La risposta a questa domanda può essere almeno intravista nell’atteggiamento umano del dono totale di sé, cioè dell’offerta: «Il dolore si scioglie in un amore riconoscente», scriveva negli anni di prigionia il cardinal Wyszynsky. Se la vita ci è data, allora essa si può compiere solo nel dono. La controprova sta nel fatto che, se non la doni, la vita ti è rubata dal tempo.

Si può mostrare che le tre chiavi metodologiche suggerite forniscono a Karol Wojtyla-Giovanni Paolo II una base filosofica sufficientemente solida per reggere alle obiezioni che il pensiero contemporaneo ha rivolto alla metafisica e alla ontologia. Fanno di lui un pensatore al passo con i filosofi contemporanei. È così possibile mostrare, in modo fondato, come la proposta di Dio formulata da Giovanni Paolo II, soprattutto nelle tre encicliche trinitarie, risponde al desiderio di Dio, insopprimibile anche quando viene sepolto sotto le macerie dell’odierno clima nichilistico, dell’uomo postmoderno. La via maestra scelta dal papa polacco è quella della contemporaneità di Gesù Cristo.


AVVENIRE/ Vittadini: Quel buon "desiderio" che serve all'Italia per ripartire Giorgio Vittadini - venerdì 10 dicembre 2010 – il sussidiario.net

Sorprendente è il criterio interpretativo della situazione italiana adottato dal nuovo Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese/2010: un calo del desiderio che si manifesta in ogni aspetto della vita. «Tornare a desiderare - dice il Censis - è la virtù civile necessaria per riattivare una società troppo appagata ed appiattita». Per non ridurre l'impatto di questa osservazione occorre andare al significato profondo della parola desiderio, che è in realtà molto di più che una virtù civile.

Ancor oggi domina un’idea di uomo negativa, quella del paradigma hobbesiano, per cui l’uomo ha bisogno dello Stato, del contratto sociale per tenere sotto controllo la sua negatività. Il soggetto dello sviluppo e dell’affermazione del bene diventa lo Stato e tutto ciò che non è Stato è accusato, quanto meno, di parzialità disgregante. Perciò, anche se nella storia le scuole, le università, gli ospedali, le opere di assistenza, le banche sono nate dall’iniziativa di persone singole o associate per un fine di utilità pubblica, si pensa che debbano essere gestite dallo Stato. Analogamente, nonostante i disastri della crisi finanziaria globale, per ciò che concerne il mercato va per la maggiore una certa lettura di Adam Smith, secondo cui l’egoismo dei singoli che tendono ad un profitto per se stesso, meccanicamente e quasi magicamente, attraverso una “mano invisibile”, dovrebbe portare al maggior benessere per tutti.

La cultura cristiana, che ha informato tutta la civiltà occidentale e il suo sviluppo, si fonda invece sull’idea che ogni singolo uomo valga “più di tutto l’universo” e non sia riducibile ad alcuna organizzazione sociale e politica. Luigi Giussani nel 1987, intervenendo al convegno della Dc lombarda, ne ricordò la ragione: la natura di ogni uomo è costituita da un desiderio di verità, di giustizia, di bellezza, espressione del suo rapporto con l'infinito. Proprio in forza del dilatarsi di questo desiderio, l’uomo «si mette a cercare il lavoro, a cercare la donna, si mette a cercare una poltrona più comoda e un alloggio più decente, si interessa a come mai taluni hanno e altri non hanno, si interessa a come mai certi sono trattati in un modo e lui no».
Ripartire da questa concezione significa compiere una rivoluzione copernicana e fondare l'azione sociale a partire da una nuova antropologia positiva, la medesima individuata da papa Benedetto XVI nell’enciclica Caritas in Veritate, quando parla di un uomo relazionale, immagine di un Dio Trinità. Chi credesse che è tema estraneo all'analisi economica dovrebbe rileggere un testo classico dell’economia contemporanea che permise a Kenneth Arrow di vincere il premio Nobel nel 1955. Il lavoro è inerente l'antinomia tra utilità individuali e benessere collettivo e, dopo la prima parte che espone il teorema dell'impossibilità della loro conciliazione, Arrow afferma che, se invece gli individui temperano il loro interesse egoistico nei desideri socializzanti, utilità individuale e benessere collettivo sono compatibili e portano a democrazia e concorrenza.

A tal proposito, e in linea con gli insegnamenti di Giussani, Julián Carrón, alla recente Assemblea generale della Compagnia delle opere, ha mostrato come la riduzione sistematica dei desideri a moralismo sia all'origine del degrado economico e politico: «Un’azione diventa moralistica quando perde il nesso con ciò che la genera: continuare a vivere da sposati senza il nesso con l’attrattiva che ha generato il rapporto amoroso, lavorare senza nesso con il desiderio di compimento anche se con un buono stipendio... Tutto diventa pesante, uno sforzo titanico per fare qualcosa che non c’entra più niente con il nostro desiderio».

Occorrono, perciò, realtà sociali che sostengano il desiderio, non rimanendo nell’astratto, ma sperimentandolo in azione e, in questo modo, modellando la società, come è avvenuto in molti momenti della nostra storia moderna. Perciò la denuncia del Censis, invece che pretesto per analisi che si arrotano su stesse, deve divenire occasione per ripartire, anche nella vita sociale, dal desiderio nella sua accezione non ridotta.
(L'articolo è pubblicato oggi su Avvenire)


Come nacque il progetto Gemma Di Francesco Agnoli del 09/12/2010, in Bioetica, dal sito http://www.libertaepersona.org

Nella mia breve “Storia del Movimento per la vita” ho dedicato un certo spazio alle bellissime iniziative portate avanti dai volontari del mondo pro life nel nostro paese, ma ho trascurato il cosiddetto Progetto Gemma. Mi sembra utile, allora, raccontarlo qui, su questo giornale che da anni porta avanti una battaglia culturale coraggiosa per la vita.

Affinché qualcuno possa conoscerlo, e magari sostenerlo.

Il progetto Gemma fu pensato da quattro personalità storiche del Movimento: in primis Mario Paolo Rocchi, un ingegnere spaziale che ha dato il nome ad un satellite artificiale, detto “Sirio”; con lui Francesco Migliori, primo presidente del MpV stesso, Giuseppe Garrone, già ideatore di “Sos Vita”, e Silvio Ghielmi. L’idea nacque mentre il Movimento era impegnato nel progetto “Agata Smeralda”, per i bambini poveri del Brasile.

E i bambini non nati, in Italia? E i concepiti a rischio di non nascere, qui, nel nostro paese, per la povertà delle loro mamme, magari sole, abbandonate, in difficoltà lavorativa? Da questa domanda sorse appunto l’idea di creare il “Progetto Gemma” incentrato sull’adozione prenatale a distanza: “Il pensiero che ci fossero tante mamme ‘obbligate’ all’aborto per motivi economici, rivelò Ghielmi, ci turbava e ci faceva provare la vergogna di far parte di una società che accetta che una donna lasci uccidere una nuova vita perché non ha, o pensa di non avere, il necessario per la sopravvivenza”. Il Progetto prevedeva che ogni mamma in difficoltà potesse contare su un aiuto economico di 300.000 lire mensili, per 18 mesi: una cifra non da poco, che faceva temere di essersi imbarcati in un’ operazione impossibile.

Nel piano dei suoi ideatori, l’aiuto economico doveva essere il primo passo per un accompagnamento anche umano e psicologico. Ma era importante offrire anche qualcosa di molto concreto a ragazze madri, donne incinte scacciate di casa, o isolate dalla famiglia, dai datori di lavoro, dai compagni…

Il Progetto fu lanciato l’8 maggio 1994, festa della mamma a Bergamo. Era, questa, la città di Vittoria Quarenghi, che “ha donato la sua vita per la vita, trascurando e rinviando le cure necessarie in anni veramente cruciali per la difesa della vita nascente”; ed era la città di Giovanna Berretta Molla, appena beatificata, sulla cui tomba gli ideatori avevano pregato, il giorno precedente l’inaugurazione, insieme a mons. Michel Schooyans, vivace difensore della vita contro le ideologie onusiane. Pregato, mi ricorda Ghielmi, “per essere sorretti in un progetto molto ambizioso che speravamo trovasse l’aiuto della Provvidenza”.

Il Progetto fu inizialmente affidato, per la sua gestione, alla Fondazione Vita Nova, creata da Migliori, e in particolare proprio a Ghielmi, un chimico milanese, già cofondatore del MpV e vicepresidente della divisione materie plastiche della Montedison. Ghielmi fu scelto, sicuramente, anche per le sue capacità manageriali, approfondite con un master alla Harvard Business School, ma forse, soprattutto, in quanto fondatore di Mani Tese, un’ organizzazione dedita al sostegno della attività dei missionari nel terzo mondo. “Ci dedicavamo a micro-realizzazioni, come pozzi, scuole, ambulatori”, mi racconta Silvio, cioè “ponevamo le basi economiche per il lavoro di missionari come padre Augusto Colombo, il celebre costruttore di università aperte anche ai paria e alle persone più ai margini della civiltà indiana”.

In questa sua attività Ghielmi era divenuto amico di padre Piero Gheddo, e aveva contribuito a portare a Milano, nel 1977, insieme a Piero Pirovano ed altri, Madre Teresa di Calcutta. Che proprio in quell’occasione aveva espresso un giudizio fortemente negativo sull’aborto. Insomma, in un modo o nell’altro, il progetto partì. “Quando mancavano i fondi, mi confida Ghielmi, andavamo sulla tomba di Gianna Berretta Molla, e poi i soldi arrivavano”.

Da maggio a dicembre, cioè nei primi sei mesi, ricorda Giuliana Pelucchi nel suo “Un’esperienza davvero speciale”, le adozioni a distanza “erano solo 88, nell’anno successivo, il ’95, ne erano state offerte 342 e, nel ’96, 546. Sono state 632 nel ’97, 908 nel ’98 e nel ’99 hanno raggiunto le 931”. In sette anni furono aiutati in questo modo 5.300 bambini, per un totale di 26 miliardi di lire offerti da centinaia e centinaia di persone! Chi erano e chi sono questi donatori?

Ricorda la Pelucchi: “Ci furono (e ci sono ancora) giovani sposi che rinunciano ai regali di nozze e invitano parenti e amici ad effettuare, in alternativa, l’adozione di una mamma perché possa far nascere il suo bambino. Persone che vogliono ricordare un caro defunto, genitori che vogliono dare ai loro figli un fratellino o una sorellina spirituale, altri che in questo modo vogliono festeggiare un battesimo”. E ancora: parroci, amministrazioni locali, persone che donano il loro primo stipendio, pensionati che mandano piccole cifre scusandosi di non potere di più …

Una grande opera, insomma, che però avrà futuro solo se una vivace cultura della vita saprà impedire che l’aborto diventi un’ opzione del tutto indifferente.



Per la storia del MpV:




Per la mia risposta alle quattro pagine di "Sì alla vita" contro me, Morigi ecc.:



Diritti umani, oltre le apparenze l'Occidente è d'accordo con la Cina - di Riccardo Cascioli 10-12-2010 – dal sito http://www.labussolaquotidiana.it

Venti Paesi boicottano oggi la cerimonia di consegna del Premio Nobel al dissidente cinese Liu Xiaobo, per paura di ritorsioni di Pechino. Il governo cinese attacca i Paesi occidentali e si inventa il Premio Confucio. Dall’altra parte Usa ed Europa rispondono chiedendo – peraltro neanche a voce troppo alta - il rispetto dei diritti umani. Ma dietro l’assegnazione del Premio Nobel si gioca soprattutto una partita diplomatica e politica, per la quale la questione dei diritti umani è solo un pretesto. Al di là della scelta degli accademici norvegesi, tra Cina e Occidente è in corso una battaglia per il controllo delle relazioni internazionali per cui ogni pretesto è buono: dalle politiche climatiche ai diritti umani, dalla nomina di un vescovo alla crisi nucleare coreana.

Sul tema dei diritti umani, invece, già da anni l’Occidente si è allineato al pensiero del regime comunista cinese. Qual è infatti la posta in gioco quando si parla di diritti umani? La loro universalità o meno. Vale a dire che si tratta di decidere se ci sono diritti naturali che appartengono a ogni singolo uomo per il solo fatto di esistere, in qualsiasi cultura e in qualsiasi tempo, oppure se i diritti dipendono dalle situazioni locali e dalle singole culture. Ad esempio: il diritto alla vita è un valore assoluto per tutti o dipende dalle circostanze? La libertà religiosa e di coscienza è un diritto inalienabile di ogni essere umano oppure può essere ridotta per cause di forza maggiore?

Il regime cinese ha sempre sostenuto che i diritti umani dipendono dalla cultura: in quella cinese, si dice, il diritto alla ciotola di riso viene prima della possibilità di esprimere liberamente il proprio pensiero, ed è meglio rinunciare a parlare se questo può aiutare a sfamarsi. Questa è anche la prassi seguita da tanti paesi africani e islamici, dove la poligamia o la mutilazione genitale femminile – tanto per fare un esempio – vengono giustificate con le culture tradizionali di quei paesi. Con il risultato – va notato – che si perpetua in questo modo il potere nelle mani di chi ce lo ha sempre avuto, siano essi imperatori, capi di partito o capi tribù.

Contro questa concezione sta la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, promulgata nel 1948 all’ONU, secondo cui invece ogni uomo, per il solo fatto di venire al mondo, è titolare di diritti che valgono in qualsiasi epoca e in qualsiasi cultura. E allora sembrò evidente che era proprio questo riconoscimento – insieme a quello che considera la famiglia come cellula fondamentale della società – a poter evitare altre tragedie come il nazismo e il comunismo, dove era lo Stato a determinare la gerarchia dei diritti. Ma già da molti anni i Paesi occidentali hanno abbandonato questa visione in nome del diritto positivo, arrivando ai giorni nostri a battersi per quelli che vengono definiti “nuovi diritti”. Dall’aborto all’eutanasia, dall’identità di genere all’espropriazione della famiglia nei compiti educativi, Europa e amministrazioni “liberal” Usa combattono al loro interno e nelle sedi internazionali per affossare il diritto naturale e il primato della persona sullo Stato. E oggi anche la libertà di coscienza viene apertamente attaccata, come abbiamo visto recentemente al Consiglio d’Europa, per poter imporre l’aborto come diritto fondamentale. Un esempio evidente di questa deriva la si può constatare anche nella resa incondizionata del nostro sistema giuridico davanti alle “pretese culturali” delle comunità di immigrati: dall’accettazione della poligamia, alla tolleranza delle mutilazioni genitali femminili fino all’introduzione della legge coranica nei tribunali europei.

E dunque, come potrebbe oggi l’Occidente opporsi seriamente a Pechino in nome dei diritti universali? Infatti lo fa solo brandendo alcuni diritti particolari (come l’instaurazione di un sistema democratico) contro altri diritti particolari (il diritto alla stabilità di un grande Paese come la Cina), in realtà giocando un’altra partita. E questo spiega anche il perché da decenni nel rapporto con la Cina la questione dei diritti umani, al di là delle dichiarazioni di principio, passa in secondo piano rispetto alle ragioni economiche.

Il Premio Nobel per la Pace a Liu Xiaobo allora, oltre le scaramucce diplomatiche, diventa occasione per prendere coscienza della necessità di ricostruire la società a partire dal diritto naturale, prima che finiamo tutti nella rete del totalitarismo globale.


Pechino sogna una Chiesa con vescovi «a richiesta» di Andrea Tornielli 10-12-2010 – dal sito http://www.labussolaquotidiana.it

Il presidente cinese Hu Jintao, nel corso della sua visita a Londra dell'aprile 2009, durante un cocktail di benvenuto, si era mostrato particolarmente interessato al sistema di elezione dei vescovi anglicani che vengono almeno formalmente nominati dall'autorità civile, essendo il sovrano il capo della Chiesa d'Inghilterra.

Ieri si è conclusa a Pechino l'ottava Assemblea dei rappresentanti cattolici, sono stati votati ed eletti i nuovi responsabili del Consiglio dei vescovi cinesi (una conferenza episcopale non riconosciuta dalla Santa Sede) e dell'Associazione Patriottica (un organismo di controllo governativo sulla Chiesa, che la Santa Sede ha definito «incompatibile» con la fede cattolica). Lo scenario è stato per molti versi deludente: Giuseppe Ma Yinglin, vescovo illecito di Kunming, è stato designato presidente del Consiglio dei vescovi cinesi; tra i vicepresidenti c'è un altro vescovo illecito, Zhan Silu di Mindong, mentre come segretario generale è stato eletto Giuseppe Guo Jincai, consacrato illecitamente vescovo a Chengde lo scorso 20 novembre.

I vescovi ufficialmente riconosciuti dal governo di Pechino e dunque aventi diritto a partecipare all'Assemblea sono 64. Tutti - tranne cinque o sei - hanno chiesto e ottenuto la comunione con il Papa. È indicativo il fatto che ben tre dei pochissimi rimasti vescovi illeciti senza la comunione con Roma siano stati eletti (o meglio imposti) ai vertici del Consiglio episcopale cinese.

Quanto accaduto nell'ultimo mese fa tornare indietro di quattro anni le relazioni tra Vaticano e Cina. Dal 2006 a oggi, infatti, la Santa Sede e il governo di Pechino avevano raggiunto taciti accordi per la nomina e la consacrazione di vescovi - una decina - che venivano designati con il consenso del Papa. Ma lo scorso novembre, proprio in previsione dell'Assemblea, le autorità cinesi hanno forzato la mano e nonostante la contrarietà vaticana, fatta sapere per tempo pubblicamente, hanno fatto consacrare illecitamente Guo Jincai per poi farlo diventare segretario generale del Consiglio episcopale.

È probabile che ora avverranno altre ordinazioni illecite: Pechino vuole una Chiesa dipendente dal governo, una Chiesa patriottica e nazionale, autogestita. Diversi vescovi che hanno partecipato all'Assemblea sono stati costretti a farlo: trascinati a forza, prelevati dalle loro abitazioni dalla polizia, messi sotto pressione. Hanno partecipato in 45, dovendo votare per alzata di mano e dunque con voto palese, candidati unici imposti.

In mezzo a queste cattive notizie, quella buona è il giubilamento del potente vicepresidente dell'Associazione Patriottica, il laico Liu Bainian, che il duro comunicato della Santa Sede dopo l'ordinazione illegittima di Guo Jincai indicava come uno dei principali problemi per la Chiesa cinese. C'è il rischio, di fronte alle nuove chiusure e alle provocazioni di un regime che non riconosce alla Chiesa la libertà religiosa e pretende di controllarne le gerarchie, di portare indietro l'orologio della storia agli anni in cui si parlava della presenza di due Chiese in Cina: una clandestina e sotterranea fedele a Roma, e una ufficiale debole con il regime.

La realtà non è questa, la Chiesa cinese è una, quasi tutti i vescovi, clandestini e ufficiali, sono in comunione con il Papa. E anche i vescovi della Chiesa ufficiale hanno sofferto il carcere e le pressioni del regime. Benedetto XVI, nel libro intervista con Peter Seewald, Luce del mondo, riferendosi alla situzione cinese, aveva spiegato: «Non appena uno di questi vescovi (consacrati illecitamente, ndr) dichiara di riconoscere il Primato in generale nonché quello del Pontefice regnante in particolare, la sua scomunica viene revocata perché non è più giustificata». Oggi appare cresciuta nel popolo dei cattolici cinesi la consapevolezza che la comunione con il Papa è un elemento fondamentale e dunque gli stessi pastori sanno che senza questa comunione vengono rifiutati dai loro fedeli.

Nelle stesse ore in cui iniziava l'ottava Assemblea dei rappresentanti cattolici di Pechino una notizia giungeva da Hebei, dove un centinaio di seminaristi si sono opposti alla nomina di un nuovo vicerettore del seminario organico al Partito comunista, e sono riusciti ad avere la meglio. Appare dunque importante sostenere la Chiesa cinese, e la linea della Santa Sede, che è ferma sui principi ma al contempo continua ad essere aperta al dialogo con le autorità di Pechino, per cercare di far sì che l'ordinazione di Guo Jincai resti un episodio isolato ed evitare che ricomincino - come molti temono - le consacrazioni illegittime.


Cuba, Oscar Biscet non si arrende - di Francesco Agnoli 09-12-2010 – dal sito http://www.labussolaquotidiana.it

C’è un personaggio, che cubano non era, ma che della rivoluzione cubana fu uno dei protagonisti, famoso in tutto il mondo: un medico, bianco, comunista, di nome Ernesto Che Guevara. Il “Che” è ormai da decenni una celebrità ed un mito. Lo hanno reso tale i miliardi di Giangiacomo Feltrinelli, il suo volto bello, virile e duro, fotografato durante un funerale, e la sua morte romantica di guerrigliero. Proprio quest’ultima ha contribuito più di tutto alla trasfigurazione del personaggio: ha fatto dimenticare quante persone contribuì a far fucilare ed uccidere, e lo ha trasformato in una sorta di Cristo laico, “morto per i suoi ideali”.

Oggi sappiamo sempre meglio che razza di medico fosse il Che: voleva “curare” l’isola di Cuba importando il modello sovietico, e additava come “esempi da seguire” i feroci dittatori Lenin, Stalin e Mao. Eppure il mito del Che permane. Mentre, al contrario, quasi nessuno in Europa conosce un altro medico, lui sì veramente tale, nero e non bianco, credente in Dio e non nell’ateismo marxista.

Il suo nome è Oscar Elias Biscet. Ne ha promosso la conoscenza, recentemente, in Italia, il Movimento Europeo Difesa Vita (Medv), con il sostegno di personalità come Giuliano Ferrara, Antonio Socci, Andrea Morigi, gli onorevoli Mario Mauro e Renato Farina, il ministro Giorgia Meloni e molti altri. L’editore "Fede & Cultura" ha lanciato una maglietta con il suo volto, non meno bello di quello del Che. L’onorevole Lorenzo Fontana ha portato la sua storia all’Europarlamento… Perché? Chi è Oscar Elias Biscet?

E’ un uomo coraggioso, determinato, che sorretto dalla sua fede e dal suo amore per la propria professione, si batte come un leone per la causa della Vita: contro l’aborto, l’eutanasia e l’eliminazione dei dissidenti anti-comunisti. Biscet sa bene cosa accade nel suo paese. Castro, consapevole di aver condotto Cuba alla miseria, ha provato a procurarsi denaro attraverso la droga. Oggi, ormai da anni, punta sul turismo sessuale e sul turismo medico. Il primo ha ridotto il paese ad un grande bordello, e questo ha determinato un tasso altissimo di aborti, anche sulle piccole minorenni. Il secondo consiste nella vendita a ricchi stranieri, di cure, o pseudo cure, che altrove sono vietate, basate sull’uccisione di embrioni e feti.

Nella Cuba comunista e materialista, che si batte per la legalizzazione della clonazione, l’uomo, non più “figlio di Dio”, ha perso ogni dignità. Ma c’è chi non si rassegna, come Biscet. Anche se questo gli è costato la persecuzione, la prigionia, la perdita della salute. Biscet vive in una piccolissima cella, senza luce, senza spazio, senza bagno. Ha perso i denti, è sempre più minato nella salute. Proprio in questi giorni sua figlia Winnie ha lanciato un altro appello al presidente Obama chiedendogli di intercedere per suo padre che dal 1999 ad oggi ha potuto godere di soli 36 giorni di libertà.

Winnie ha anche scritto: “Recentemente, 39 prigionieri politici che erano stati incarcerati durante la stessa repressione, sono stati liberati e portati in esilio in Spagna o in Cile, sotto i termini di un accordo tra il governo spagnolo, la Chiesa cattolica e il regime di Castro. Mio padre rispetta la decisione di abbandonare il Paese in cambio del rilascio, ma ha coraggiosamente deciso di rimanere in prigione poiché si rifiuta di accettare i termini di tale accordo. Nel "Gulag" di Castro, mio padre ha sofferto orrori e torture indescrivibili. La sua consolazione, resistenza e sopravvivenza nascono dalla sua fede in Dio e dal costante impegno per i suoi principi. Anche in carcere, è uno degli uomini più liberi in tutta Cuba. Questa è la ragione per la quale nessuna condizione potrebbe essere accettata. Rifiuta la libertà condizionale o limitata, che consente al regime di rimandarlo in carcere e non accetterà mai l'esilio forzato in Spagna o altrove. Egli non abbandonerà mai il Paese che ama”.

Anche in Italia si può fare qualcosa per Biscet, collaborando a far conoscere la sua figura e a creare un movimento di opinione. Ricordando che anche Armando Valladares, celebre dissidente cubano autore di “Contro ogni speranza. 22 anni nel gulag cubano” (Spirali), fu liberato grazie ad un forte campagna di stampa e all’intervento del presidente francese Mitterand. Per maggiori info: http://www.libertaepersona.org/dblog/articolo.asp?id=2051