mercoledì 8 dicembre 2010

Nella rassegna stampa di oggi:
1)    08/12/2010 – VATICANO - Papa: l’Immacolata Concezione, fonte di speranza, più potente del male - All’Angelus Benedetto XVI sottolinea che il male – di cui facciamo tutti esperienza – ha la sua radice nel cuore dell’uomo, “incapace di guarirsi da solo”. Maria, invece è “piena di grazia” e ci spinge ad affidarci al Gesù: “Egli vi salverà”. L’appuntamento in piazza di Spagna nel pomeriggio (AsiaNews).
2)    Immacolata, una sfida all'uomo d'oggi - di Luigi Negri Vescovo di San Marino e Montefeltro - 08-12-2010 da http://www.labussolaquotidiana.it
3)    «Io sono l’Immacolata Concezione» di Andrea Tornielli - 04-12-2010 – da http://d151157.e79.eundici.it
4)    07/12/2010 - CINA – VATICANO - Vescovi cinesi deportati per partecipare all’Assemblea patriottica di W. Zhicheng - Z. Yuan - Pechino (AsiaNews)
5)    07/12/2010 - CINA – VATICANO - Al via l'Assemblea patriottica cinese: per una Chiesa indipendente, che resista al Vaticano di Zhen Yuan Pechino (AsiaNews)
6)    L'Immacolata - Più su del perdono di Inos Biffi (©L'Osservatore Romano - 8 dicembre 2010)
7)    A Baghdad si replica "Assassinio nella cattedrale" - La verità sull'eccidio nella chiesa siro-cattolica. L'eliminazione dei cristiani obiettivo primo dell'ideologia islamista. Il papa incontra i sopravvissuti. E lancia un appello al mondo di Sandro Magister
8)    Principi non negoziabili, federalismo, governabilità di Andrea Tornielli 08-12-2010 da http://www.labussolaquotidiana.it
9)    Avvenire.it, 8 dicembre 2010 - J'ACCUSE - Mors tua vita mea? - È vero consumismo di Lorenzo Fazzini
10)                      Avvenire.it, 8 dicembre 2010 - L'IMPRESA STORICA - Francesco, più forte della Sla di Massimiliano Castellani

08/12/2010 – VATICANO - Papa: l’Immacolata Concezione, fonte di speranza, più potente del male - All’Angelus Benedetto XVI sottolinea che il male – di cui facciamo tutti esperienza – ha la sua radice nel cuore dell’uomo, “incapace di guarirsi da solo”. Maria, invece è “piena di grazia” e ci spinge ad affidarci al Gesù: “Egli vi salverà”. L’appuntamento in piazza di Spagna nel pomeriggio (AsiaNews).

Città del Vaticano (AsiaNews) – “Il mistero dell’Immacolata Concezione è fonte di luce interiore, di speranza e di conforto. In mezzo alle prove della vita e specialmente alle contraddizioni che l’uomo sperimenta dentro di sé e intorno a sé, Maria, Madre di Cristo, ci dice che la Grazia è più grande del peccato, che la misericordia di Dio è più potente del male e sa trasformarlo in bene”.

Così Benedetto XVI ha sottolineato oggi all’Angelus il valore della solennità festeggiata dalla Chiesa l’8 dicembre, quella dell’Immacolata Concezione di Maria, secondo cui Maria non è stata segnata dal peccato originale, dalla malvagità. Questo dogma è stato proclamato nel 1854, pochi anni prima delle apparizioni di Lourdes, dove la stessa “Signora” si è definita “l’Immacolata Concezione”.

“Purtroppo – ha continuato il pontefice - ogni giorno noi facciamo esperienza del male, che si manifesta in molti modi nelle relazioni e negli avvenimenti, ma che ha la sua radice nel cuore dell’uomo, un cuore ferito, malato, e incapace di guarirsi da solo. La Sacra Scrittura ci rivela che all’origine di ogni male c’è la disobbedienza alla volontà di Dio, e che la morte ha preso dominio perché la libertà umana ha ceduto alla tentazione del Maligno. Ma Dio non viene meno al suo disegno d’amore e di vita: attraverso un lungo e paziente cammino di riconciliazione ha preparato l’alleanza nuova ed eterna, sigillata nel sangue del suo Figlio, che per offrire se stesso in espiazione è "nato da donna" (Gal 4,4). Questa donna, la Vergine Maria, ha beneficiato in anticipo della morte redentrice del suo Figlio e fin dal concepimento è stata preservata dal contagio della colpa. Perciò, con il suo cuore immacolato, Lei ci dice: affidatevi a Gesù, Lui vi salverà”.

Il papa ha anche spiegato il titolo di “piena di grazia” che la Chiesa rivolge a Maria nella preghiera dell’Ave: “Questa espressione, che ci è tanto familiare fin dall’infanzia perché la pronunciamo ogni volta che recitiamo l’Ave Maria, ci offre la spiegazione del mistero che oggi celebriamo. Infatti Maria, fin dal momento in cui fu concepita dai suoi genitori, è stata oggetto di una singolare predilezione da parte di Dio, il quale, nel suo disegno eterno, l’ha prescelta per essere madre del suo Figlio fatto uomo e, di conseguenza, preservata dal peccato originale. Perciò l’Angelo si rivolge a lei con questo nome, che letteralmente significa: ‘da sempre ricolma dell’amore di Dio’, della sua grazia”.

Prima dellapreghiera dell’Angelus e dei saluti a vari gruppi, Benedetto XVI ha ricordato che nel pomeriggio alle 16 si recherà in piazza di Spagna per il tradizionale omaggio alla statua dell’Immacolata al vertice della colonna che domina la piazza. “Con questo atto di devozione – ha detto il pontefice - mi faccio interprete dell’amore dei fedeli di Roma e del mondo intero per la Madre che Cristo ci ha donato. Alla sua intercessione affido le necessità più urgenti della Chiesa e del mondo. Ella ci aiuti soprattutto ad avere fede in Dio, a credere nella sua Parola, a rigettare sempre il male e a scegliere il bene”.


Immacolata, una sfida all'uomo d'oggi - di Luigi Negri Vescovo di San Marino e Montefeltro - 08-12-2010 da http://www.labussolaquotidiana.it

Il dogma dell’Immacolata Concezione di Maria Santissima, proclamato da Pio IX nel 1854, insegna che «La beatissima vergine Maria, nel primo istante della sua concezione, per una grazia ed un privilegio singolare di Dio Onnipotente, in previsione dei meriti di Gesù Cristo salvatore del genere umano, è stata preservata intatta da ogni macchia del peccato originale».

Questa definizione dogmatica rappresenta l’esplicitazione di una verità sulla Vergine «piena di Grazia» che era creduta fin dai primi decenni della storia cristiana. Ciò che era assolutamente nuovo, invece, in quel momento, a metà dell’Ottocento, era il contesto della proclamazione. Papa Mastai si mostrò infatti dotato di spirito profetico, perché dopo aver consultato i vescovi prese questa decisione in un momento in cui si rendeva evidente un itinerario culturale e sociale anticristiano e antiumano, che avrebbe poi purtroppo propiziato la nascita dei grandi sistemi totalitari, quei sistemi che avrebbero distrutto la vita, la dignità, la libertà e la responsabilità di milioni di persone.

All’inizio di questa apostasia da Cristo, che si sarebbe rivelata, come ha ben spiegato Benedetto XVI, una apostasia dell’uomo da se stesso, il dogma dell’Immacolata Concezione non dice soltanto la straordinaria condizione di Maria in funzione della sua maternità divina, ma apre davanti al cuore di ogni uomo la possibilità di un annuncio che, in quanto autenticamente cristiano, si rivela anche pienamente umano. E ripropone in termini inesorabili l’affermazione che l’autentica verità dell’uomo è il contenuto della fede in Cristo e nella comunione con Lui.

Per cento anni il popolo cristiano ha resistito all’anticristianesimo imperante affidando la vita propria, quella della propria famiglia e quella delle proprie città e dei propri Paesi alla protezione di Maria. Dobbiamo continuare ad essere certi che siamo suoi figli e che le radici della nostra esistenza affondano nell’infinita grazia di Dio. Credo che questo popolo saprà resistere all’ultima deriva anticattolica e tecno-scientista riaffidando anche il presente, anche questo nostro drammatico tempo, a Maria Immacolata, perché rinasca per tutti e non solo per i cristiani un mondo più umano.

Tutta la Chiesa, e in essa ogni cristiano, cammina ogni giorno con Maria dietro il Signore crocifisso e risorto, e presente nella sua Chiesa. Questo cammino è un cammino di educazione, come diceva Giovanni Paolo II nella Redemptor hominis, di una vera «assimilazione» della persona di Cristo e delle dimensioni fondamentali che Egli ha vissuto. Noi cresciamo giorno dopo giorno in questo cammino. In esso possiamo quotidianamente verificare che la verità di Cristo ci spalanca alla realtà in modo obiettivo e realistico.

Il cuore del Signore, che diventa ogni giorno meno estraneo a noi, ci fa sperimentare quell’ethos della carità che è la vera, viva, grande contestazione della meschinità dell’egoismo e della possessività, ma soprattutto la missione, cioè la collaborazione quotidiana alla potenza di Cristo che salva il mondo oggi, dà ad ogni istante della nostra vita umana la sua dimensione autentica e definitiva: come mi ha insegnato don Giussani, quella dell’eternità. Con Maria, concepita senza peccato, possiamo camminare ogni giorno verso la presenza piena del Signore nella nostra esistenza, sperimentare quella «antropologia adeguata» che è verità nei nostri cuori e nella nostra vita e proposta alla libertà di tutti i nostri fratelli uomini


«Io sono l’Immacolata Concezione» di Andrea Tornielli - 04-12-2010 – da http://d151157.e79.eundici.it

Pio IX aveva avviato una consultazione dell’episcopato cattolico sulla possibilità di proclamare il dogma dell’Immacolata concezione durante il periodo dei moti rivoluzionari del 1848 e poi durante la fuga a Gaeta. Il fatto che portasse con sé in esilio una valigia piena di pareri sull’argomento, attesta ancora una volta come Pio IX fosse un papa profondamente religioso, non politico, innamorato di Maria fin da bambino, grazie ai frequenti pellegrinaggi alla Santa Casa di Loreto. L’iniziativa papale non era slegata da situazioni contingenti: proprio nel XIX secolo in molti avevano messo in discussione la dottrina sul peccato originale.


L’esito della consultazione tra gli episcopati del mondo si conclude con un plebiscito in favore dell’Immacolata: più di nove vescovi su dieci danno parere positivo (546 sì su 603 risposte pervenute). L’obiezione teologica più forte non riguardava peraltro il caso specifico, vale a dire l’ufficializzazione a livello dogmatico quanto la comunità cristiana aveva sempre creduto in merito al concepimento di Maria senza la macchia del peccato originale, quanto piuttosto il metodo. Una definizione così solenne avrebbe infatti dovuto darla un concilio, non il Papa da solo. Ricordiamo che in quel momento, non era ancora stato proclamato il dogma dell’infallibilità del papa su alcuni pronunciamenti ex Cathedra. L’assenso della stragrande maggioranza dei vescovi confermò dunque l’intenzione del Pontefice.


Dopo l’assenso della commissione teologica e di quella cardinalizia, il 1° dicembre 1854 il papa chiede e ottiene il voto del Sacro collegio decidendo di procedere la settimana successiva, l’8 dicembre, con la proclamazione del dogma. La Bolla del pronunciamento s’intitola Ineffabilis Deus. Eccone un passaggio: «Dio ineffabile […] previde fin da tutta l’eternità la tristissima rovina dell’intero genere umano, che sarebbe derivata dal peccato di Adamo. Avendo quindi deciso, in un disegno misterioso nascosto dai secoli, di portare a compimento l’opera primitiva della sua bontà, con un mistero ancora più profondo – l’incarnazione del Verbo – affinché l’uomo (indotto al peccato dalla perfida malizia del diavolo) non andasse perduto, in contrasto con il suo proposito d’amore, e affinché venisse recuperato felicemente ciò che sarebbe caduto con il primo Adamo, fin dall’inizio e prima dei secoli scelse e dispose che al Figlio suo Unigenito fosse assicurata una Madre dalla quale Egli, fatto carne, sarebbe nato nella felice pienezza dei tempi. E tale Madre circondò di tanto amore, preferendola a tutte le creature, da compiacersi in Lei sola con un atto di esclusiva benevolenza. Per questo, attingendo dal tesoro della divinità, la ricolmò – assai più di tutti gli spiriti angelici e di tutti i santi – dell’abbondanza di tutti i doni celesti in modo tanto straordinario, perché Ella, sempre libera da ogni macchia di peccato, tutta bella e perfetta, mostrasse quella perfezione di innocenza e di santità da non poterne concepire una maggiore dopo Dio, e che nessuno, all’infuori di Dio, può abbracciare con la propria mente».


Più volte il papa si interrompe, commosso. Ma alla fine, con una voce potente che stupisce i fedeli che gremivano la Basilica, dichiara solennemente: «Dichiariamo pronunciamo e definiamo che la dottrina, la quale ritiene che la beatissima Vergine Maria, nel primo istante della sua concezione per singolare grazia e privilegio di Dio onnipotente, ed in vista dei meriti di Gesù Cristo Salvatore del genere umano, sia stata preservata immune da ogni macchia di colpa originale, è dottrina rivelata da Dio e perciò da credersi fermamente e costantemente da tutti i fedeli».

Per un’ora tutte le campane di Roma suonano a distesa. Scrive il gesuita Giacomo Martina, biografo di Pio IX: «La definizione ebbe una molteplice portata: rafforzò l’autorità del papa […]; stimolò gli studi teologici, pur ricordando la necessità della sottomissione al magistero […]; favorì la pietà mariana, soprattutto popolare; sottolineò alcune verità religiose essenziali negate o trascurate dal pensiero moderno (l’ordine soprannaturale, l’elevazione dell’uomo a figlio di Dio, il peccato originale, la redenzione)».

Quattro anni dopo, nel 1858, una piccola contadina analfabeta di nome Bernadette affermerà di vedere una «bella signora» in una grotta di Lourdes. L’apparizione avrebbe rivelato alla veggente: «Io sono l’Immacolata Concezione».


07/12/2010 - CINA – VATICANO - Vescovi cinesi deportati per partecipare all’Assemblea patriottica di W. Zhicheng - Z. Yuan - Pechino (AsiaNews)

Il raduno, inconciliabile con la fede dei cattolici, dovrebbe eleggere i presidenti dell’Associazione patriottica e del Consiglio dei vescovi. Alcuni prelati si sono nascosti per non parteciparvi; altri sono stati portati contro la loro volontà. Il vescovo di Hengshui, sequestrato e strappato alla difesa dei fedeli, è stato portato a Pechino.

Pechino (AsiaNews) – Fonti di AsiaNews affermano che decine di vescovi della Chiesa ufficiale sono stati deportati a forza nella capitale per costringerli a partecipare all’Assemblea dei rappresentanti cattolici cinesi, che secondo il papa è inconciliabile con la fede cattolica.

L’Assemblea si è aperta oggi a Pechino ed è circondata dal segreto e da un profilo basso: è impossibile contattare chiunque e perfino la Xinhua non ha dato alcuna notizia dell’evento. Essa dovrebbe portare all’elezione del presidente nazionale dell’Associazione patriottica e del presidente del Consiglio dei vescovi cinesi, due organismi inaccettabili per i cattolici perché mirano all’edificazione di una Chiesa indipendente, staccata dal papa. “È solo una riunione per una nuova tornata di leader”, ha spiegato Liu Bainian, vicepresidente dell’Ap e regista dell’Assemblea. In realtà, il raduno è “l’organismo sovrano” della Chiesa ufficiale cinese, in cui i vescovi sono una minoranza, fra rappresentanti cattolici e governativi. In essa si prendono decisioni ecclesiali a colpi di elezioni manipolate. Prima del raduno di oggi, tutti i partecipanti hanno ricevuto da Liu Bainian le indicazioni di cosa fare e di cosa votare.

L’Assemblea è stata rimandata per almeno quattro anni perché i vescovi ufficiali, in obbedienza alle indicazioni della Santa Sede, hanno sempre rifiutato di parteciparvi.

Fonti di AsiaNews comunicano che molti vescovi da diverse province, per evitare di essere trascinati a Pechino, si sono nascosti o si sono dati per malati. Altri sono stati presi da rappresentanti governativi e trascinati all’Assemblea contro il loro volere. Altri ancora, che sapevano di non poter sfuggire, hanno accettato di venire a Pechino, ma hanno deciso di non concelebrare le messe all’Assemblea, essendo presenti alcuni vescovi scomunicati.

Le stesse fonti affermano che vi sono comunque vescovi che non hanno opposto alcuna resistenza. La diocesi di Pechino, nel suo bollettino, ha pubblicato due articoli per onorare l’evento.
Le violenze più gravi ed evidenti sono avvenute a Hengshui (Hebei), dove mons. Feng Xinmao è stato sequestrato da circa 100 poliziotti e rappresentanti del governo, che hanno lottato per ore contro i fedeli e i sacerdoti che facevano scudo al vescovo per garantirgli la libertà. Negli scontri un fedele è stato ferito alla spalla. Nei giorni scorsi il vescovo era stato tenuto in isolamento, lontano dalla sua casa. I fedeli erano riusciti a strapparlo al controllo dei poliziotti e a portarlo in episcopio. Dopo ore di assedio, il vescovo è stato di nuovo sequestrato e ieri sera alle 20.30, mons. Feng Xinmao è stato trascinato a Pechino per partecipare all’Assemblea. Uno dei fedeli, piangente, mentre il vescovo si allontanava scortato, ha commentato: “Il nostro povero vescovo non ha alcuna libertà”.

Un altro prelato, mons. Li Lianghui di Cangzhou (Hebei) è scomparso per sfuggire all’incontro di Pechino. La polizia ha minacciato la diocesi che se il vescovo non si consegna, sarà ricercato in tutto il Paese come “un pericoloso criminale”.

L’Assemblea e la deportazione dei vescovi gettano un’ombra buia sui rapporti fra Cina e Vaticano, dopo anni di stand by. La situazione è precipitata nelle scorse settimane, dopo l’ordinazione illecita di p. Guo Jincai a vescovo di Chengde, lo scorso 20 novembre. In essa, l’Ap ha obbligato otto vescovi ufficiali a prendere parte alla cerimonia, contro il volere della Santa Sede che ha condannato l’accaduto come “una grave violazione alla libertà religiosa”.


07/12/2010 - CINA – VATICANO - Al via l'Assemblea patriottica cinese: per una Chiesa indipendente, che resista al Vaticano di Zhen Yuan Pechino (AsiaNews)

Molti vescovi sono stati deportati per farli partecipare al raduno. Presenti due vescovi le cui ordinazioni sono illecite. Elogio del Partito comunista che “rispetta la religione dei cattolici”. A Hong Kong Giustizia e pace accusa le violazioni alla libertà religiosa e chiede la liberazione di due vescovi e alcuni sacerdoti in prigione.

Pechino (AsiaNews) – L’Ottava Assemblea nazionale dei cattolici cinesi è cominciato quest’oggi pomeriggio nella capitale, presso lo Youyi Fandian (Friendship Hotel), nel distretto di Haidian (nord di Pechino). Il tema del raduno è roboante: “Sostenere i principi per una Chiesa patriottica indipendente, resistere alle forze esterne alla nazione e unire tutto il clero e i cattolici per camminare sul sentiero della società socialista”.

Nel gergo comunista cinese, “indipendenza” significa autonomia e distacco da Roma; “forze esterne” significano il Vaticano e la Santa Sede che, esercitando il loro ministero ecclesiale, per l’Associazione patriottica (Ap) e il governo compiono “un’influenza indebita” e “coloniale” sulla Chiesa cinese.

I lavori sono iniziati con una sessione di apertura presieduta dal laico Antonio Liu Bainian, vicepresidente dell’Ap. Mons. Fang Xinyao di Linyi (Shandong) ha fatto il discorso introduttivo, il vescovo Ma Yinglin di Kunming (Yunnan) ha svolto una relazione sui lavori di questi anni; il vescovo Zhan Silu di Mindong (Fujian) ha spiegato le revisioni in atto delle costituzioni dell’Ap e del Consiglio dei vescovi. Ma e Zhan sono entrambi vescovi illeciti, la cui ordinazione e insediamento sono avvenuti nel 2006.

Nella Lettera di Benedetto XVI ai cattolici cinesi si afferma che l’ Ap e il Consiglio dei vescovi – come pure la stessa Assemblea – sono organismi i cui scopi sono “inconciliabili” con la fede cattolica. Per questo fin dal marzo scorso il Vaticano ha chiesto ai prelati di non parteciparvi. L’Assemblea era stata rimandata per almeno quattro anni perché i vescovi ufficiali, in obbedienza alle indicazioni della Santa Sede, hanno sempre rifiutato di prendervi parte.

Secondo l’Amministrazione statale degli affari religiosi (Asar), i partecipanti all’Ottava Assemblea sono 341: fra questi vi sono 64 vescovi, 162 preti, 24 suore e 91 laici. Fino ad ora non si sa se il numero 64 indica i vescovi invitati o i reali partecipanti.

Come già riportato da AsiaNews, diversi vescovi, per evitare di essere trascinati a Pechino, si sono nascosti o si sono dati per malati. Altri sono stati presi di forza da rappresentanti governativi e trascinati all’Assemblea contro il loro volere. Altri ancora, che sapevano di non poter sfuggire, hanno accettato di venire a Pechino, ma hanno deciso di non concelebrare le messe all’Assemblea, essendo presenti alcuni vescovi scomunicati.

Alla cerimonia di apertura hanno preso parte anche Zhu Weiquan, del Fronte Unito, e Wang Zuoan, direttore dell’Asar. Nel suo discorso, Wang ha elogiato il Partito comunista e il governo cinese che rispettano la religione dei cattolici e difendono i loro legali interessi. Erano presenti pure leader delle organizzazioni protestanti, buddiste, taoiste e musulmane.

A Hong Kong, membri della Commissione Giustizia e pace della diocesi hanno protestato davanti all’ufficio dei Rapporti fra Cina e Hong Kong (China’s Liaison Office). I dimostranti hanno sottolineato che l’assemblea in corso a Pechino per tre giorni è contro il diritto canonico e mina la libertà e la vita della Chiesa cattolica in Cina.

Essi hanno ricordato che per preparare l’assemblea, le autorità hanno esercitato violenze e pressioni, coartando vescovi e laici, tenendoli in isolamento o agli arresti e
Violando la libertà religiosa e i diritti dei cattolici cinesi.

La Commissione ha anche domandato che siano liberati alcuni vescovi e sacerdoti detenuti. Fra questi essi ricordano mons. Su Zhimin, p. Lu Genjun, p. Ma Wuyong, p. Liu Honggeng, tutti di Baoding insieme a mons. Shi Enxiang di Yixian.


L'Immacolata - Più su del perdono di Inos Biffi (©L'Osservatore Romano - 8 dicembre 2010)

"Non c'è da stupirsi, scrive sant'Ambrogio, che Dio, accingendosi a redimere il mondo, abbia iniziato la sua opera da Maria, così che la prima a cogliere dal Figlio il frutto della salvezza fosse colei per mezzo della quale veniva preparata la salvezza per tutti" (Expositio evangelii secundum Lucam, ii, 17). Per tutti la grazia proviene dalla Croce di Cristo, anche per Maria di Nazaret. A lei, tuttavia, non giunse, come a ognuno di noi, nella forma di purificazione che deterge dalla macchia del peccato originale, ma come preservazione da essa.
La Vergine fu eletta da Dio come preventivamente redenta dal sacrificio del Calvario. La sua storia non incomincia con le tracce lasciate dalla colpa di Adamo, ma subito con i segni della grazia di Cristo, che dall'inizio la sottrasse a ogni impronta o influsso del male.
Noi tutti dall'eternità siamo apparsi al pensiero di Dio come dei riscattati dalla contaminazione; Maria, invece, come incontaminata .
Se poi intendiamo la grazia come conformità a Gesù Redentore, allora diciamo che, mentre tutti gli uomini sono apparsi o appaiono nel mondo difformi da lui, Maria in nessun momento mai conobbe alterazione o dissomiglianza da Cristo. Come canta la Chiesa:  "Sei tutta bella, Maria, e non c'è macchia di peccato originale che ti contamini (Tota pulchra es, Maria, et macula originalis non est in te). O secondo le precise espressioni della Bolla di Pio ix Ineffabilis Deus che in questi termini definiva il dogma dell'Immacolata Concezione:  "La beatissima vergine Maria nel primo istante della sua concezione, per singolare grazia e privilegio di Dio onnipotente, in vista dei meriti (intuitu meritorum) di Gesù Cristo salvatore del genere umano, è stata preservata immune da ogni macchia di peccato originale".
I meriti, quindi, della Croce, pur non ancora elevata nella storia, già irraggiarono e operarono alla prima comparsa di Maria nel mondo:  bastò il loro intuitus, a creare in lei la redenzione.
A ben vedere, in questa definizione la fede della Chiesa ha colto tutto il senso incluso nel saluto dell'angelo all'annunciazione:  "Rallégrati, o piena di grazia", "O tu che da sempre sei l'immensamente amata". Che se un tale genere di saluto suscita in Maria un profondo turbamento, l'angelo la rassicura. Non deve temere. Essa è da sempre la "favorita" di Dio, "ha trovato grazia presso di lui". E proprio per questa grazia concepirà "il Figlio dell'Altissimo", diventando "la madre del Signore", come dirà Elisabetta, anticipando il dogma del concilio di Efeso:  "A che cosa devo che la madre del mio Signore venga a me?" (Luca, 1, 43).
D'altronde, il motivo della pienezza di grazia in Maria, il motivo del suo essere salvaguardata dal contagio universale, è la divina maternità della Vergine:  la sua elezione a stringere e a vivere con Dio la relazione più intima e unica. Lei sola, tra tutte le creature, volgendosi all'Unigenito del Padre celeste, può esclamare:  "Tu sei mio Figlio".
E tutto avviene come dono dello Spirito che scende e si libra su di lei, rinnovando la primitiva creazione, e per la virtù dell'Altissimo, che la ricopre della sua ombra, ad attestarne la presenza, come l'antica nube luminosa l'attestava nell'arca.
Nella verginità feconda di Maria rifulgono la potenza di Dio e la gratuità dello Spirito. Cristo è pura grazia. E Maria ne è consapevole. Essa non ha meriti da vantare. Deve solo esultare e magnificare l'onnipotenza di Colui che misericordiosamente ha rivolto lo sguardo alla sua piccolezza.
Né per questo Maria si limita a essere uno strumento inerte e ignaro. Al contrario:  la Vergine corrisponde all'inimmaginabile favore di Dio con l'accoglienza solerte della fede e l'operosa docilità dell'ancella, totalmente dedicata e cooperante all'eterno disegno divino:  "Ecco la serva del Signore:  avvenga per me secondo la sua parola" (Luca, 1, 38).
Gesù Cristo, che è personalmente la Grazia, viene a noi mediante Maria:  come sorprenderci se amiamo chiamarla mediatrice di ogni grazia?
Chi seppe cantare mirabilmente l'innocenza di Maria fu Alessandro Manzoni nelle tre strofe che concludono l'inno sacro incompiuto Ognissanti, dove in modo felice si fondono poesia e teologia.
Nella potenza infinita del suo amore, Dio ha custodito la Vergine da qualsiasi macchia di ogni peccato:  essa non passò attraverso il perdono e fu salvata da ogni contagio dell'insidioso e avverso Serpente:  "Tu sola a Lui festi ritorno / Ornata del primo suo dono; / Te sola più su del perdono / L'Amor che può tutto locò / Te sola dall'angue nemico / Non tocca né prima né poi".
Soltanto su noi quest'angue è riuscito indecentemente vincitore:  "appena su noi / L'indegna vittoria compiè". Secondo la profezia della Genesi, il suo capo orgoglioso fu invece schiacciato dal piede incontaminato della Vergine:  "Traendo l'oblique rivolte, / Rigonfio e tremante, tra l'erba, / Sentì sulla testa superba / Il peso del puro tuo piè":  un "angue nemico" che, sopravvenendo sinuosamente, turgido e spaurito, tra l'erba, richiama il verso virgiliano:  Latet anguis in herba (Eclogae, III, 93), e quello dantesco:  "Occulto come in erba l'angue" (Inferno, VII, 84) con l'altro:  "Tra l'erba e' fior venìa la mala striscia, / volgendo ad ora ad or la testa, e'l dosso / leccando come bestia che si liscia" (Purgatorio, VIII, 100-102).
La festa dell'Immacolata è la celebrazione del mondo eternamente ideato nella grazia di Gesù Redentore, pienamente ed esemplarmente raccolta nella santità intatta di Maria, la Madre di Dio. Non altro che questa grazia, scaturita dalla Croce e sublimata nella gloria, la Chiesa è chiamata ad annunziare:  è la sua evangelizzazione, antica e sempre nuova.


A Baghdad si replica "Assassinio nella cattedrale" - La verità sull'eccidio nella chiesa siro-cattolica. L'eliminazione dei cristiani obiettivo primo dell'ideologia islamista. Il papa incontra i sopravvissuti. E lancia un appello al mondo di Sandro Magister

ROMA, 7 dicembre 2010 – Nella foto qui sopra, Benedetto XVI saluta e conforta dei cristiani iracheni, sedici donne, tre bambini e sette uomini, sopravvissuti al massacro del 31 ottobre scorso nella cattedrale siro-cattolica di Baghdad e giunti a Roma per essere curati dalle ferite.

È mercoledì 1 dicembre, al termine dell'udienza generale. Quattro giorni dopo, all'Angelus di domenica 5, papa Joseph Ratzinger è tornato a pregare per le vittime dei "continui attentati che si verificano in Iraq contro cristiani e musulmani".

Negli stessi giorni, il papa ha citato anche altre "situazioni di violenza, di intolleranza, di sofferenza che ci sono nel mondo". Ma l'insistito richiamo all'Iraq è parso esprimere una preoccupazione speciale.

In effetti, gli attacchi ai cristiani nel paese del Tigri e dell'Eufrate denotano un odio sempre più marcatamente religioso, islamista.

L'attacco del 31 ottobre alla cattedrale siro-cattolica di Baghdad, con 58 morti e molte decine di feriti, colpiti mentre celebravano la messa, è stato giudicato in Vaticano un avvenimento rivelatore.

La dinamica del massacro non lascia dubbi. Gli aggressori indossavano cinture esplosive. Sparavano e tiravano bombe gridando: "Voi andrete tutti all'inferno, mentre noi in paradiso. Allah è il più grande".

Nelle cinque ore dell'attacco, i terroristi hanno pregato per due volte, hanno recitato il Corano come in una moschea.

Hanno devastato l'altare, tirato al bersaglio sul crocifisso, infierito sui bambini semplicemente perché "infedeli".

Ciò che è accaduto in quelle cinque ore terribili lo si è saputo a distanza di giorni, a poco a poco, grazie alle testimonianze dei numerosi feriti portati per le cure a Roma e in altre città d'Europa.

Un'altra preoccupazione del papa e di altri uomini di Chiesa riguarda lo scarso interesse che i governi e l'opinione pubblica occidentali dimostrano nei confronti di questi attacchi anticristiani.

Se poi si guarda dentro il mondo musulmano, l'indifferenza con cui si lasciano correre simili atti appare ancor più preoccupante. Le voci di condanna si levano rare e fioche. Il terrorismo islamista sembra essere – nell'opinione diffusa – un semplice eccesso invece che un crimine inaccettabile.

Sembra trovare qui un'ulteriore conferma l'idea secondo cui la violenza contro l'infedele sia qualcosa di intrinseco all'islam in generale e non un suo travisamento: idea che fu al centro della lezione di Ratisbona e che papa Ratzinger ritiene rovesciabile solo con una "rivoluzione illuminista" da parte dello stesso islam.

Ma per tornare all'attacco alla cattedrale siro-cattolica di Baghad, qui di seguito ne è riportata una ricostruzione, pubblicata un mese dopo, il 30 novembre, sul quotidiano italiano "Il Foglio".

Un altro drammatico resoconto, raccolto da sopravvissuti, è uscito lo stesso giorno su "Asia News", l'agenzia on line diretta da padre Bernardo Cervellera del Pontificio Istituto Missioni Estere:

> "Provo a dimenticare, ma vedo sempre la chiesa insanguinata a Baghdad"

Intanto continuano a Baghdad e in altre località irachene le uccisioni di cristiani, colpiti in quanto tali: gli ultimi due, una coppia di sposi assaliti nella loro casa, nella notte di domenica 5 dicembre.

Una cellula di al Qaida ritenuta responsabile dell'aggressione alla cattedrale è stata arrestata. Le autorità irachene hanno promesso misure speciali di protezione. Ma l'esodo dei cristiani da Baghdad e da Mosul verso il più sicuro Kurdistan, nell'estremo nord del paese, continua.

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NOSTRA SIGNORA DEL MASSACRO di Marco Pedersini

Raghada al-Wafi cammina spedita per le vie del quartiere Karrada, sulla sponda del Tigri che guarda il cuore corazzato di Baghdad, la Green Zone. La accompagna suo marito, è contenta, sorride. È domenica 31 ottobre e hanno una bella notizia da portare a padre Thair Abdallah, il giovane prete che li ha uniti in matrimonio: Raghada aspetta un bambino. Vanno verso Nostra Signora del Perpetuo Soccorso, la grande chiesa siro-cattolica del quartiere, sul cui ingresso veglia una grande croce.

Alla messa della domenica pomeriggio ci sono duecento fedeli, comprese una famiglia caldea e una ortodossa. Padre Wasim confessa vicino all’ingresso, all’ombra delle massicce porte di legno. Un confratello, l’anziano padre Rafael Qusaimi, sta dando le ultime istruzioni al coro prima della celebrazione.
Inizia il canto e padre Thair sbuca alla destra dell’abside, diretto a passi svelti verso l’altare.

Nell’anno liturgico siro-cattolico, è la domenica della dedicazione. Una voce fa risuonare le letture. Lettera agli Ebrei 8, 1-12, che cita il profeta Geremia: “Ecco vengono giorni, dice il Signore, quando io concluderò un'alleanza nuova con la casa d’Israele e con la casa di Giuda... Porrò le mie leggi nella loro mente e le imprimerò nei loro cuori; sarò il loro Dio ed essi saranno il mio popolo”. Vangelo di Matteo 16, 13-20: “Voi chi dite che io sia? Rispose Simon Pietro: Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente. E Gesù gli disse: Beato sei tu, Simone, figlio di Giona, perché né carne né sangue te lo hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli. E io a te dico: tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le potenze degli inferi non prevarranno su di essa”.

Sono le cinque e un quarto e padre Thair sta per finire l'omelia, quando fuori dalla chiesa una raffica di mitra rompe il silenzio. Il sacerdote prova a tranquillizzare i fedeli, gli spari non possono che essere rivolti altrove, dice, non c’è nulla da temere, è la normalità in un paese che da anni non ha orecchie che per i rumori della guerra. Ma la sparatoria continua e poi ecco una forte esplosione, vicino al portone della chiesa. I fedeli sono terrorizzati, vorrebbero scappare ma non c’è via di fuga. “Alziamoci, preghiamo insieme”, insiste padre Thair. Non può saperlo, ma a pochi passi dalla chiesa c’è un commando armato che sta dando l'assalto alla sede della Borsa. Una bomba a mano ha ucciso due delle guardie che sorvegliano il palazzo. Le altre guardie hanno risposto al fuoco, ferendo uno degli assalitori, che è trascinato via dai compagni lungo il sagrato della chiesa. I terroristi indietreggiano con i mitra spianati, con le spalle alla facciata, e uno di loro innesca l’esplosivo con cui hanno riempito la jeep Cherokee nera piazzata davanti alla chiesa. La jeep scoppia in una nuvola di polvere e le guardie di sicurezza sono disorientate. Credono di aver appena respinto un attacco alla Borsa e invece questo è stato solo un diversivo, per un attacco di scala ben maggiore.

Padre Wasim cerca di tenere chiuso il portone di legno della chiesa, ma è buttato indietro dal commando di uomini armati, che irrompono a volto scoperto, con l’uniforme dell’esercito iracheno: un inganno classico del repertorio jihadista. In fondo alla chiesa, dietro all’altare, gli altri due preti stanno spingendo più fedeli possibile verso la sacrestia, per ripararli dall’attacco. “Lasciate stare loro, prendete me!”, grida padre Wasim, che riceve subito una pallottola in pieno petto. Quello che lo ferisce non sa nemmeno a chi spara. Il sacerdote stringe le mani al petto e l’uomo si gira verso il compagno che gli sta al fianco: “Questo chi è?”. “È un prete”, risponde l’altro, e scarica una raffica sull’agonizzante padre Wasim.

“Lasciateli stare, prendete me!”, grida anche padre Thair dall’altare. Anche lui è finito in un istante e muore tra le braccia incredule di sua madre.

Padre Rafael è riuscito a spingere nella sacrestia, alla destra dell’altare, una settantina di fedeli prima che i terroristi si scaglino contro la porta. Questa resiste ma gli assalitori trovano un’alternativa: la stanza ha un finestrino senza vetri, in alto, che dà sull’esterno, e lanciar dentro da lì qualche bomba a mano è un gioco per i giovani carnefici. La scheggia di una granata colpisce padre Rafael, ferendolo gravemente all’addome. Altri vengono colpiti dai proiettili che perforano la porta. Una donna chiude il figlio di cinque mesi in un cassetto, salvandolo dall’attacco.

La madre di padre Thair non può saperlo, ma sta per perdere anche l’altro suo figlio, che l’aveva accompagnata a messa. I terroristi fanno sdraiare tutti a terra, tranne i maschi giovani. Questi devono restare in piedi. Ad uno ad uno li abbattono.

*

Non fosse per il colore sabbiato, le architetture pulite di Nostra Signora del Perpetuo Soccorso sembrerebbero installazioni aliene rispetto ai monotoni palazzi attorno. L'imponente croce sopra la facciata svetta tra le case basse, ricordo di un tempo in cui Baghdad era una città multiculturale che accoglieva gente da tutto l’Iraq. Il Tigri avvolge il quartiere di Karrada su tre lati, facendolo diventare una penisola musulmana sciita a forte presenza cristiana, nel cuore della città. Per arrivare dalla Green Zone basta attraversare il fiume, ma le forze speciali irachene raggiungono la chiesa solo alle 6 di sera, quarantacinque minuti dopo l’attacco.

Nel frattempo, all'interno, il commando armato tiene in ostaggio i sopravvissuti e impone il silenzio sparando al primo segno di movimento. Tra i jihadisti almeno tre sono ragazzini, tra i quattordici e i quindici anni. Ognuno veste una cintura esplosiva – con sfere di metallo per aumentare il potenziale letale – e dispone di mitra e bombe a mano. Il governo dirà poi che erano cinque, non dell'Iraq, e che sono morti durante l’attacco. La prova schiacciante della loro provenienza da fuori sarebbero i cinque passaporti (tre yemeniti e due egiziani) trovati tra le macerie, ripulite il giorno dopo in tutta fretta mentre l’esercito blindava l’ingresso delle chiesa perché nessuno potesse vedere lo scempio. I testimoni confermano che gli assalitori non parlavano dialetti iracheni, ma l’arabo classico che si usa tra arabi di nazionalità diverse. Stando all'accento, sicuramente c’erano egiziani e anche un siriano. È un particolare rilevante, visto che la strategia di al Qaida in Iraq è comandata dalle zone a cavallo del confine siriano, dove operano capi terroristi come Abu Khalaf, il comandante militare da poco ucciso, e il grande loro ideologo, lo “sceicco” settantenne Issa al Masri. Issa, che in arabo vuol dire Gesù.

I racconti dei testimoni, però, parlano di otto persone e di almeno un altro che comandava le operazioni dalla terrazza che circonda il tetto della chiesa. Forse sono stati ancora di più, a giudicare dall’operazione con cui quasi un mese dopo, sabato 27 novembre, le forze di sicurezza irachene hanno arrestato una cellula di al Qaida nel quartiere di al Mansour, a Baghdad: dodici uomini, con materiale tossico e sei tonnellate di esplosivo, i quali hanno confessato di aver avuto parte nell’attacco alla chiesa. Il piano iniziale doveva essere diverso: facendo irruzione, il commando jihadista portava con sé quattro valigie di esplosivo, che sarebbero dovute esplodere attorno al perimetro della chiesa, per farla crollare uccidendo tutti i duecento fedeli presenti alla messa domenicale. Per quale motivo le cose non siano andate così è un segreto che i cinque terroristi si sono portati nella tomba, o forse è sepolto nella mente dello sconosciuto in abiti civili che un guardiano giura di aver visto uscire dalla scuola adiacente alla chiesa. I sopravvissuti raccontano che verso la metà dell'assalto uno dei terroristi chiamò qualcuno all’esterno con un walkie talkie. “Abbiamo finito i proiettili, cosa facciamo?”. Un ordine veloce, con un esito sinistro: “Va bene, allora da adesso usiamo le bombe”.

Dentro la chiesa, mentre tengono in ostaggio i fedeli, i terroristi si mostrano stranamente al sicuro, nonostante l’assedio dell’esercito iracheno e il ronzio sordo degli elicotteri americani che controllano la situazione dall’alto. Sono talmente a loro agio da concedersi prima il maghrib, la preghiera del pomeriggio, e poi l’ishà, quella della sera, in mezzo ai corpi delle loro vittime.

Le forze irachene, all’esterno, aspettano non si sa cosa, perché è chiaro a tutti che non ci sarà alcuna offerta di mediazione, da nessuna delle due parti. Un dipendente laico della curia di Baghdad che si è precipitato sul luogo dell’assedio cerca di rendersi utile. È determinato, vuole mettere a frutto la sua conoscenza dettagliata della pianta dell’edificio per sbloccare la situazione. Ma appena prova a offrire il suo aiuto ai militari, ottiene soltanto un secco “questo è affar nostro, vattene via”. I soldati respingono bruscamente anche un uomo che li implora di fare qualcosa per salvare sua moglie e i suoi due figli, un ragazzo e una ragazza, in ostaggio dentro la chiesa. Lo stallo dura quasi tre ore.

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Cala la sera. I muri di Nostra Signora del Perpetuo Soccorso si arrossano, per poi sfumare verso il nero. L’assedio resta sospeso in un tramonto irreale, reso torbido dalla foschia, per tutto il tempo che corre dall’arrivo dell’esercito iracheno al blitz finale per provare a liberare gli ostaggi. Spari intermittenti rompono il silenzio, a scandire il ritmo del confronto a distanza. Nessuna delle due parti studia l’altra: si attende finché non sarà venuto il momento di recitare il finale già scritto.

I terroristi sparano a chiunque afferri un cellulare, come dimostrano le ferite di due ragazze, colpite alla mano e al braccio quando i loro telefonini avevano iniziato a squillare. Sparano al primo rumore sospetto e i bambini che piangono sono uccisi all’istante. Tra i corpi stesi, i morti restano accatastati con i vivi. Una ragazza racconterà: “Un lampadario mi era crollato addosso, bloccandomi il fianco. Avevo le schegge di vetro conficcate nella pelle, il piede di un uomo sulla testa e il corpo di una ragazza che mi premeva sul petto, inondandomi col sangue che colava dalle sue ferite”. Mentre sentiva i proiettili sfiorarla radenti, è riuscita a chiamare la sua famiglia che la aspettava a casa: “Ero certa di morire e volevo salutarli, dire loro per l’ultima volta: vi voglio bene”. Qualcuno del commando spara sulle stufe del riscaldamento, per asfissiare con il loro gas chi è sdraiato nelle vicinanze.

Il crocifisso diventa un bersaglio per i proiettili. I terroristi lo crivellano di colpi – raccontano i sopravvissuti – gridando sprezzanti: “Su, dite a lui di salvarvi!”. E ancora: “Siete infedeli. Siamo qui per vendicare il rogo dei Corani e le donne musulmane messe in carcere in Egitto”. Alludono alla falsa notizia, smentita persino dai Fratelli musulmani ma usata come pretesto da al Qaida per l’offensiva contro i cristiani, secondo cui la Chiesa copta egiziana avrebbe rinchiuso in un convento Camilia Chehata e Wafa Constantine, mogli di due sacerdoti copti, come punizione per la loro conversione all’islam.

Quando terminano le pallottole, la granata scagliata da un terrorista mette fine anche alla vita di Raghada e del bambino che porta in grembo. Secondo alcuni testimoni, la donna avrebbe trovato la morte abbracciata a forza a uno dei terroristi, che l’avrebbe presa con sé per poi farsi esplodere. Neanche il marito vedrà vivo l’irruzione dell’esercito iracheno, che comincia a caricare compatto dall’ingresso principale della chiesa, ennesima prova d'insipienza di militari impreparati e mal guidati. “I marine sono più intelligenti”, fa notare padre Giorgio Jahola, un sacerdote di Mosul venuto a Roma con i feriti in cura al Policlinico Gemelli. “Tutto il perimetro della chiesa è circondato da finestre, a cui si può facilmente accedere dalle terrazze. Gli ingressi laterali erano solitamente ostruiti da sbarramenti in cemento, ma le autorità li avevano fatti rimuovere proprio nei due giorni precedenti all’attacco. Quindi c’erano altri varchi disponibili”.

I terroristi erano pronti: avevano già recitato la preghiera del martirio: “Allah è il più grande, Allah è il più grande, non c’è Dio eccetto Allah”. Ed erano decisi a farsi esplodere. Due ci sono riusciti, un terzo è stato bloccato dai militari quando, alle 21.05, hanno staccato la corrente elettrica e una voce ha urlato: “Siamo le forze irachene, alzatevi e state calmi: vi salveremo”.

Il blitz non sarà ricordato tra i più fulminei della storia: lo scambio di proiettili è durato venti minuti, fino alle 21.25, per liberare la navata della chiesa e la sacrestia. L’accesso alla chiesa è stato successivamente sbarrato e, nel disordine dei soccorsi, i familiari hanno iniziato a correre freneticamente da un ospedale all'altro, nella speranza di trovare i loro cari ancora in vita da qualche parte. Dentro e attorno alla chiesa si sono contati 58 morti, esclusi gli assalitori.

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Tre giorni dopo, martedì, donne vestite di nero accompagnano sette bare avvolte nella bandiera irachena. Il ministro dei diritti umani, il cristiano Wijdan Mikheil, è alla cerimonia assieme al leader politico sciita Ammar al Hakim, che ha il viso rigato dalle lacrime. Il fumo dell’incenso impregna l’aria, mentre più di settecento persone salutano i feretri coperti di fiori che avanzano lentamente verso l’altare. Due di essi custodiscono i corpi di padre Thair e padre Wasim. Ancora qualche istante e saranno sepolti insieme nel cimitero che sta sotto la loro chiesa, povera e straziata.


Principi non negoziabili, federalismo, governabilità di Andrea Tornielli 08-12-2010 da http://www.labussolaquotidiana.it

Nel clima confuso in cui versa la politica italiana, con le accuse reciproche, i personalismi, il clima quotidiano di conflitto che vede tutti contro tutti, a farne le spese, è, come al solito, il Paese. Comunque vada a finire il prossimo 14 dicembre, le elezioni, anche se non nell’immediato, sono una prospettiva ormai all’orizzonte. E in questa fase diventano cruciali le mosse dei cattolici presenti nei vari partiti e schieramenti.

Lo scorso 14 ottobre, aprendo a Reggio Calabria i lavori della 46ma Settimana Sociale, il cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Conferenza episcopale italiana, ha ricordato che i principi «non negoziabili» indicati dal Papa «non sono divisivi, ma unitivi ed è precisamente questo il terreno dell’unità politica dei cattolici». «È questa – ha spiegato il cardinale – la loro peculiarità e l’apporto specifico di cui sono debitori. Su questa linea, infatti, si gioca il confine dell’umano. Su molte cose e questioni ci sono mediazioni e buoni compromessi, ma ci sono valori che non sono soggetti a mediazioni perché non sono parcellizzabili, non sono quantificabili, pena essere negati».

Ma se la difesa della vita, della famiglia e della libertà di educazione sono il terreno dell’unità politica dei cattolici, i cattolici s’interrogano anche su altri temi cruciali per la vita del Paese. Nel suo intervento conclusivo al Forum del Progetto culturale dedicato all’unità d’Italia, il 4 dicembre scorso il cardinale Camillo Ruini, già presidente della Cei, parlando del sistema politico e istituzionale italiano, ha detto: «Una delle ragioni della scarsa riformabilità è l’altrettanto difficile governabilità».

«Mi limiterò a considerare questo problema – ha aggiunto – nel suo aspetto apicale, cioè al vertice del sistema-paese. Avendo seguito in maniera costante e partecipe le vicende della politica italiana dall’ormai lontano 1948, posso dire che mai, nemmeno nelle situazioni che avrebbero dovuto essere più favorevoli, come ad esempio quelle dei governi De Gasperi dopo le elezioni del ‘48, l’esecutivo ha goduto nell’Italia repubblicana di una vera e sicura stabilità: è questo un elemento di debolezza relativa dell’Italia in confronto agli altri grandi paesi europei. Perciò, pur tenendo ben presente il chiaro monito della Centesimus annus (n. 47) che “La Chiesa rispetta la legittima autonomia dell’ordine democratico e non ha titolo per esprimere preferenze per l’una o l’altra soluzione istituzionale o costituzionale”, ritengo, come opinione puramente personale, che un contributo al funzionamento del nostro sistema politico potrebbe venire da un rafforzamento istituzionale dell’esecutivo, naturalmente nel pieno rispetto della distinzione tra i poteri dello Stato».

Ruini ha anche affermato che «per la medesima ragione» gli «sembra importante mantenere, in una forma o nell’altra, un sistema elettorale di tipo maggioritario». E ha anche accennato al federalismo: «Nella stessa direzione sembra spingere l’attuazione del federalismo: da una parte esso corrisponde alla ricchezza pluriforme della realtà storica, sociale e civile italiana e può contribuire a una più forte responsabilizzazione delle classi dirigenti locali; dall’altra parte, per non nuocere all’unità della nazione, il federalismo non solo deve essere solidale, ma va bilanciato con una più sicura funzionalità del governo centrale».

Queste posizioni non sono affatto isolate. Proprio sul federalismo e sulla governabilità hanno a lungo dibattuto i delegati della Settimana Sociale di Reggio Calabria. Il federalismo, ha osservato Lucia Fonza Crepaz nella relazione finale, «non possiamo più chiederci se accettarlo o meno: c’è! Dal 2001 è una realtà avviata nel nostro paese. E su questo abbiamo bisogno di informazione e di partecipazione per “abitare” queste scelte che ormai fanno parte della nostra storia nazionale!» Dal confronto alla Settimana Sociale è emerso un «duplice bivio»: a seconda delle scelte «si può fare del federalismo una lotta agli sprechi, con una responsabilizzazione della spesa di chi ha potere decisionale e con una responsabilizzazione del cittadino per un controllo più deciso, oppure può far passare da un centralismo statale ad un nuovo centralismo a livello regionale, tra il resto semplificando la presa dei poteri forti».

E ancora, «a seconda delle scelte e dell’attuazione si può farne un modo diverso di pensare l’unità del paese, un’opportunità di una nuova unione, oppure una nuova frattura ancora più insanabile tra nord e sud». Come fare? Occorre «qualificare il federalismo con due aggettivazioni: sussidiario, con una sussidiarietà verticale e orizzontale ugualmente sviluppate con corpi intermedi forti che controllino e collaborino, assieme a sussidiario, anche solidale».

Della necessità di maggiore governabilità e di maggiore potere decisionale aveva invece parlato il documento preparatorio della Settimana Sociale Doc preparatorio settimane sociali: «La ricerca di un nuovo equilibrio tra lo spazio politico e quello delle altre funzioni sociali non contraddice la richiesta di una maggiore capacità decisionale delle istituzioni politiche e della corrispondente responsabilità. Istituzioni politiche più forti, più articolate e più facilmente valutabili sono essenziali al processo di crescita di una società che si vuole più ricca e più aperta e sono anche capaci di una relazione più certa e stabile con le molteplici forme di espressione della domanda sociale».


Avvenire.it, 8 dicembre 2010 - J'ACCUSE - Mors tua vita mea? - È vero consumismo di Lorenzo Fazzini

«Una ricerca compiuta a Princeton alla fine degli anni ’80 ha rilevato che una ragazza adolescente su quattro riferiva di sentirsi "estremamente depressa". Più tempo passavano a fare shopping, ad andare dalla parrucchiera o a truccarsi, più si deprimevano».

Per padre John Kavanaugh, gesuita americano, questo scadente gusto della vita ha un nome: consumismo. Che costituisce un realtà dilagante tramite la globalizzazione. Ad essa resiste un altro modello sociale, che possiede una radice religiosa (in realtà ebraico-cristiana) ed è condivisibile pure da chi non si ispira ad un credo.

Lo "scontro" è dunque fra «il vangelo dell’essere Persona e quello della Merce: il Modello personale e il Modello consumista; il dio-Persona e il dio-Oggetto». Kavanaugh, commentatore per il prestigioso settimanale cattolico America, docente di filosofia alla Saint Louis University, nel Missouri, raffronta questi due sistemi di pensiero e vita in <+corsivo>Seguire Cristo in una società consumista<+tondo> (pagine 238, euro 15) che la Emi pubblica in una nuova versione (la prima uscì nel 1986 per Cittadella). Il saggio è notevole per l’acuta lucidità di analisi, la sagace qualità dell’impostazione, l’autentica profezia nelle proposte. Il gesuita Usa supera infatti il settorialismo di tanta saggistica cattolica perché presenta la dottrina della Chiesa nella sua integralità, sulla scia di Giovanni Paolo II, così ricordato: «Attirava la gente perché viveva secondo la sua fede. Che era una fede integrale. Essere discepoli significava per lui seguire Cristo in tutte le questioni di sessualità, proprietà e potere».

Qui vi è in nuce la tesi di Kavanaugh: mostrare come la dottrina cattolica penetri ogni ambito della vita umana per esaltare la dignità della persona contro ogni riduzionismo. Finiscono sotto la lente dell’acuto osservatore il consumismo materiale e affettivo: vien criticata la moda di «vivere alla Madison Avenue» (una via di Manhattan) ma anche la strage di matrimoni operata da una cultura pro-divorzio.

Kavanaugh diventa sferzante quando denuncia che «mentre la religione si è secolarizzata, il comprare e il consumare sono diventati veicoli per fare esperienza del sacro. L’eternità si trova nei flaconi di profumo di Calvin Klein, l’infinito in un’automobile giapponese». Sul fronte bioetico la denuncia anti-consumistica è forte: «Alcune compagnie assicurative di New York pagano volentieri per le interruzioni di gravidanza, ma non per i parti.

Donne di Bedford Stuyvesant (a Brooklyn, emblema della povertà yankee, ndr), analfabete ma desiderose di dare alla luce figli, si rivolgono ai servizi sociosanitari per avere consigli sulla maternità e vengono indirizzate alla fila delle richieste di aborto». Per il gesuita-filosofo il nichilismo consumista va a braccetto con l’avversione alla vita debole: «C’è un rapporto tra l’inclinazione a pensare che milioni di affamati nel Terzo Mondo starebbero meglio da morti e le nostre nuove tecnologie per l’eutanasia di quelli che hanno una vita "senza senso" e "senza qualità". Il tema unico sottostante è che le persone non contano».

Che fare in questa battaglia tra il Modello-Persona e il Modello-Oggetto? Kavanaugh lancia l’appello ad una "resistenza" intorno ad alcuni principi. Primo: «Una famiglia che si sforza di incarnare le qualità dell’essere persona può essere il primo sostegno per la resistenza alla disumanizzazione. La famiglia è essenzialmente controculturale e sovversiva. Non stupisce che sia esposta a un attacco costante nella nostra cultura».

La vocazione del cristiano nel mondo consumista è l’estraneità: «In una cultura di ateismo vissuto e di esaltazione dei beni di consumo il cristiano praticamente dovrebbe sembrare un marziano. Egli non si sentirà mai a suo agio nel regno del consumismo». Contro il quale si possono usare diverse "armi" pacifiche: «L’opposizione agli armamenti o all’aborto può essere attuata in una legislazione, nell’obiezione fiscale, nel giornalismo, in prigione o dal pulpito».

Kavanaugh tratteggia infine una sorta di piccolo "manuale" in cinque punti-chiave per il cristiano-tipo nell’era consumista. Prende come modello un’ipotetica Jane, una madre di 3 figli, cattolica, della classe media. Primo punto: «Per Lane la preghiera sarà cruciale come metodo regolare per mantenere una percezione chiara della sua vita. Il raccoglimento di questa donna è una dichiarazione di indipendenza dalle migliaia di pressioni che la cultura crea». Secondo: «Jane troverà importante entrare in collaborazione con altre persone, altre coppie, con una partecipazione a qualche tipo di comunità». Quindi: «La nostra Jane farà bene a introdurre un poco di ascetismo personale nella sua relazione con le cose. Non lascerà che la televisione prenda il posto dell’intimità dei suoi figli. Tratterà il Natale in modo meno commerciale e competitivo.

Consumerà meno alcool, non baderà tanto alle comodità». Quarto: alla nostra cattolica spetterà dotarsi «un’educazione continua ai problemi della giustizia sociale. L’impegno dei cristiani per la giustizia non è un fenomeno politico. Non è un’ideologia di destra o di sinistra. È una questione di fede nella parole di Gesù». Infine Jane dovrà «avere un contato continuo e regolare con i più poveri tra i poveri, con i moribondi, con persone sole, con handicappati. Le persone ontologicamente e culturalmente ferite hanno una capacità impareggiabile di educarci di fronte alle nostre pretese».


Avvenire.it, 8 dicembre 2010 - L'IMPRESA STORICA - Francesco, più forte della Sla di Massimiliano Castellani

Laura e Martina domenica scorsa erano lì, al traguardo della Maratona di West Palm Beach (Florida). Lì da ore, ad aspettare con mamma Antonella l’arrivo del loro papà, Francesco Canali impegnato nella sfida di una vita e per la vita. Francesco, 42 anni, ex cestista e podista, si è ammalato di Sla (Sclerosi laterale amiotrofica o Morbo di Gehrig) una decina d’anni fa. Una malattia che ne ha minato il fisico d’atleta - non può muovere le braccia e le gambe - , quindi una maratona per lui rappresenterebbe l’ultima frontiera dell’utopia. E invece no.

Con la volontà e la tenacia del campione, ha affrontato quella che non può essere considerata altrimenti se non un’impresa storica, a cominciare dalla trasnvolata oceanica. Un viaggio di 27 ore dalla sua Parma, che con con una mano sul cuore e l’altra al portafoglio, sotto l’egida organizzativa di Paolo Barilla, ha finanziato la mission: “Vinci la Sla... di corsa in Florida”. Una missione impossibile, eppure realizzata, grazie alla potenza dell’amicizia, quella dei quattro moschettieri “spingitori” della carrozzina di Francesco. Gianfranco Beltrami, Andrea Fanfoni, Gianluca Manghi e Claudio Rinaldi, i quattro amici e compagni di squadra che hanno avuto l’onere, ma soprattutto l’onore, di spingere la carrozzina progettata da un altro eroe esemplare dello sport, Alex Zanardi.

Una carrozzina pensata per affrontare la maratona delle maratone, quella di New York. Ma nella Grande Mela, per una serie di pasticci burocratici - pensavamo accadessero solo in Italia - prima hanno dato l’«ok» a Francesco e poi gli è stata negata la partecipazione. Motivo: impossibile ammettere un concorrente “spinto da altri”. Un colpo basso che avrebbe fiaccato chiunque, ma non certo Francesco e i suoi indomiti guasconi del podismo.

Così la pettorina, dal Ponte di Verrazzano è finita nel mare della Florida. Gli organizzatori della Marathon Festival e la gente di West Palm Beach, l’hanno raccolta e a braccia aperte hanno atteso questa squadra italiana, unica, sbarcata cinquecento anni dopo Cristoforo Colombo alla conquista dell’America. La “caravella” del genio zanardiano, aveva però bisogno della resistenza fisica di tutto l’equipaggio e della potenza dei muscoli degli spingitori, chiamati ad affrontare con Francesco, gli ostici 42 chilometri e 195 metri del tracciato. «Un miglio a testa e poi ci davamo il cambio. È stata dura certo, ma passo dopo passo, siamo arrivati all’arrivo».

Un gioia sudata, mista alle lacrime di gioia di tutti, nel momento in cui, dopo 4 ore e 43 minuti «un tempo migliore di quello che pensavamo» - dicono in coro i magnifici cinque - Francesco e i suoi “fratelli” sono passati sotto lo striscione del finish. Laura e Martina hanno fatto di corsa gli ultimi cento metri per poi abbracciare il loro grande papà. Francesco, l’orgoglio dell’Aisla (Associazione Italiana Sla) Running Team, era stanco, ma felice e con il sorriso dell’uomo eternamente innamorato della vita. Così come quei quattro ragazzi, gli spingitori, consapevoli di aver vissuto una giornata memorabile. Un trionfo, il non aver permesso alla malattia di distruggere anche i loro sogni di maratoneti, per sempre al fianco di Francesco. Gianfranco, Andrea, Gianluca e Claudio, guardando il tramonto sull’Atlantico e il sole scintillare sulla medaglia (quella del “finisher”) al collo di Francesco, gli hanno ricordato: «Noi siamo i tuoi muscoli, tu il nostro cuore».