giovedì 9 dicembre 2010

Nella rassegna stampa di oggi:
1)    EDITORIALE - Il grande giorno di un detenuto cinese Roberto Fontolan - giovedì 9 dicembre 2010 – il sussidiario.net
2)    CULTURA - PAPA/ Massimo Franco: il nuovo nemico "morbido" che minaccia la Chiesa - INT. Massimo Franco - giovedì 9 dicembre 2010 – il sussidiario.net
3)    Dal Blog Sacri Palazzi di Andrea Tornielli – Cina, la Chiesa non vuole l’autogestione - 9 dicembre 2010 http://blog.ilgiornale.it
4)    Corrado Augias: un abile venditore di patacche - di Francesco Agnoli del 08/12/2010, in Informazione, dal sito http://www.libertaepersona.org
5)    Avvenire.it, 9 dicembre 2010 - Pietà popolare autentico (e vitale) tesoro della Chiesa - La fede afferra l'uomo intero - Il fratello del Papa e «la fede dei piccoli» di Georg Ratzinger
6)    Uno sguardo sull’omosessualità nella luce della fede e della verità dell’amore. - 09-12-2010 - di André-Marie Jerumanis dal sito http://www.vanthuanobservatory.org
7)    Famiglie & associazioni: continuiamo ad ascoltarle - fateli parlare Sono centinaia di migliaia, nel nostro Paese, i familiari di persone in stato vegetativo, di minima coscienza, con gravi o gravissime disabilità: «Cerchiamo di vivere e di far vivere, per questo non facciamo notizia» - Max si è 'risvegliato' dopo 10 anni: «Sono strafelice di vivere. Se penso che in quegli anni avrei potuto fare la fine di Eluana mi vengono i brividi» di Pino Ciociola – Avvenire, 9 dicembre 2010
8)    «La malattia che ha colpito la nostra Benedetta? Per noi si tratta di un progetto d’amore» Prima la ribellione alla patologia della loro bambina, poi l’accettazione di «un disegno misterioso». Da questa storia un libro di Paolo Ferrario  - Avvenire, 9 dicembre 2010
9)    «Se la scienza medica consente di vivere, allora dateci il diritto di farlo dignitosamente» - Juan, 42 anni, campione di pallanuoto, è in stato vegetativo. La moglie Luisa: gli sto accanto guidata dall’amore e da una luce che dà speranza di Graziella Melina – Avvenire, 9 dicembre 2010
10)                      «Vostra figlia? Piuttosto è meglio che muoia» Ma io e mio marito ci siamo dedicati a Carmen - L’encefalogramma della venticinquenne è piatto. - Mamma Camilla: Dio si serve anche di queste persone. E ti dà la grazia di andare avanti di Barbara Sartori – Avvenire, 9 dicembre 2010

EDITORIALE - Il grande giorno di un detenuto cinese Roberto Fontolan - giovedì 9 dicembre 2010 – il sussidiario.net

Inondati dai dispacci di Wikileaks (troppa informazione uguale nessuna informazione), abbiamo prestato poca attenzione a quel che accadrà domani a Oslo dove verrà consegnato il premio Nobel per la pace al dissidente cinese Liu Xiaobo.

Lui non ci sarà, prigioniero dello spaventoso sistema carcerario capital-comunista per una condanna a 11 anni ricevuta nel dicembre 2009. Aveva commentato con queste parole: «Da molto tempo sono consapevole del fatto che quando un intellettuale indipendente si alza in piedi in uno Stato autocratico fa un passo verso la libertà e uno verso la prigione. Ora sto facendo questo passo; e la vera libertà è molto più vicina».

Né ci sarà la moglie, fatta “sparire” il giorno stesso della notizia del premio. Di cinesi solo gli amici di Liu, esuli qua e là per il mondo, saranno nella capitale norvegese, uno di loro ritirerà il premio in sua vece. Il regime di Pechino è furioso e in queste settimane ha fatto di tutto per screditare premio, cerimonia e Norvegia, colpita da sanzioni economiche.

Un nervosismo che si è manifestato anche nei confronti dei cattolici nonostante tutti i gesti di buona volontà e di apertura da parte della Santa Sede di questi ultimi anni. Le pressioni cinesi, ma in diversi casi non c’è stato bisogno di “premere”, hanno portato una ventina di Paesi a disertare  l’evento di domani. Tra questi Pakistan e Arabia Saudita, Kazakhstan e Tunisia, Irak (bella democrazia abbiamo messo in piedi noi occidentali) e Iran, Venezuela e Sudan, ovviamente Cuba e Vietnam.

Due assenze sono particolarmente pesanti e anche dolorose, ammettiamolo: Filippine, Paese a stragrande maggioranza cattolica, e Russia (seguita dai satelliti Serbia e Ucraina). Nel primo caso, la ragione sarebbe negli accordi economico-militari in corso di conclusione con la Cina; del secondo possiamo solo registrare costernazione e delusione, poiché nessuna ragione potrebbe essere accettata.

Un Paese che dovrebbe avere imparato sulla propria pelle il valore della dissidenza, del coraggio di sfidare il potere, della libertà di coscienza, come può non vedere nel presente della Cina il proprio passato? Non ce lo si aspettava, da una terra che ha generato padre Men e Bukhovski, Siniavskij e Daniel, Sacharov e Solzenicyn.

Per decenni  nell’Europa occidentale si è guardato con ammirazione alle schiere di uomini e donne che andavano a riempire le celle del Gulag, che accettavano di finire dentro a processi farsa, che non si facevano piegare dal potere inumano del partito; abbiamo amato la Charta 77 di Havel e la Solidarnosc di Walesa: oggi non possiamo non indignarci per l’assenza voluta dai leader della Russia, come ha giustamente messo in luce Pierluigi Battista sul Corriere.

Il nostro amico Putin ha preferito Pechino a Oslo e a tutto ciò che Oslo significa in questo momento storico per l’immenso popolo cinese. Charta ‘08, il manifesto per la libertà sottoscritto da Liu Xiaobo e da altri intellettuali è stato firmato da dodicimila cinesi: un niente, una goccia nel mare. Cosa volete che rappresentino?

È su questo, sull’infimo peso da loro rappresentato, che giocano i discendenti di Mao - e lo dicevano sempre anche i capi sovietici. È la tipica autodifesa dei regimi: il popolo sta con noi e non con quei quattro intellettuali.

Sappiamo però che il potere può ordinare e uccidere, non convincere e cancellare. Nessuno può dimenticare quell’uomo solo, totalmente solo, con in mano un sacchetto di plastica, che si piazza davanti alla colonna di carri armati sulla piazza Tien An Men, e la ferma. È la più straordinaria immagine di quel che significa resistenza umana. Liu Xiaobo è oggi quel che quell’uomo solo è stato tanti anni fa.

Che domani il mondo intero, inclusi gli assenti, sia costretto a pensare a un uomo come lui è il segno di una vittoria, la manifestazione del potere dei senza potere.


CULTURA - PAPA/ Massimo Franco: il nuovo nemico "morbido" che minaccia la Chiesa - INT. Massimo Franco - giovedì 9 dicembre 2010 – il sussidiario.net

«Per trionfare contro i suoi nemici esterni, la Chiesa deve prima sconfiggere un nemico interno: il relativismo. Tanto più pericoloso in quanto è un avversario sorridente e la cui arma non sono gli attacchi diretti, bensì l’indifferenza». E’ la riflessione di Massimo Franco, notista politico del Corriere della Sera, che ha presentato per IlSussidiario.net il suo nuovo libro dal titolo «C’era una volta un Vaticano».

Partiamo dal titolo. Che ne è stato del Vaticano, dopo la fine del comunismo?
Intanto insisto sul fatto che il titolo è «C’era una volta un Vaticano» e non «il Vaticano». Quello che è finito è il Vaticano plasmato dalla Guerra fredda e che rappresentava l’egemonia dell’Occidente che non c’è più. Un Vaticano che era capace di orientare gli elettorati, e abbiamo visto che in Italia non è più così. Con una pedagogia che tutte le opinioni pubbliche accettavano, anche se non condividevano. Il ritardo lo vedo per questo motivo soprattutto. Il Vaticano, durante il lunghissimo pontificato e poi la lunga malattia di Giovanni Paolo II, ha un po’ sottovalutato che è cambiato il paradigma mondiale. Con il crollo del comunismo è venuto meno il nemico storico, percepibile, chiaro, ideologico.

Nel frattempo la Chiesa è stata attaccata per lo scandalo pedofilia…
E’ stato l’11 settembre del Vaticano. Ma è stato un sintomo, e non la causa della crisi. Lo scandalo della pedofilia scoppiato a Boston nel 2002 era stato interpretato dal Vaticano come un problema americano, con il risultato che si è riproposto dopo sette anni come un problema mondiale, dimostrando che quella americana era l’avanguardia di un grande cambiamento. le opinioni pubbliche occidentali non accettavano più, finita la Guerra fredda, di considerare la pedofilia come un peccato, ma era un reato. E quindi non poteva più essere considerato come un problema privato interno alla Chiesa.

Come vede questa crisi di fronte a due sfide come il relativismo e l’islamismo?


Se il Vaticano non riesce a fare i conti con il primo, difficilmente potrà risolvere il secondo. Una delle sfide principali è stato il nuovo ruolo della Chiesa in un Occidente laicizzato e che senza l’alibi della Guerra fredda aveva di fronte una secolarizzazione che si dispiegava in tutta la sua potenza. Prima quindi il cattolicesimo deve ridefinire l’identità del suo mondo, e quando l’avrà ridefinita potrà affrontare una sfida esterna in modo più chiaro. Secondo me le due sfide vanno di pari passo, ma l’avversario più pericoloso non è quello, minaccioso, dell’islamismo, bensì quello, sorridente, del relativismo che non attacca la Chiesa ma fa leva sull’indifferenza. Sicuramente ci sono delle forze che combattono la Chiesa. Però lo fanno sfruttando le debolezze al suo interno. E quindi ha ragione Benedetto XVI a dire che i primi nemici sono dentro la Chiesa e non fuori.

E la Chiesa sta rispondendo adeguatamente?
Benedetto XVI lo ha fatto creando un nuovo ministero per rianimare il cattolicesimo in Occidente. Il problema è che il pontificato di Giovanni Paolo II, che determinato il trionfo sull’ideologia comunista, ha un po’ trascurato i nuovi problemi che si affacciavano sullo scenario mondiale, perché alla fine tutti erano concentrati su questa lunga malattia. Benedetto XVI quindi si è trovato ad affrontare problemi lasciati marcire per moltissimi anni. Problemi di governo, problemi legati alla presenza della Chiesa in un Occidente totalmente cambiato.

E la politica cosa c’entra con tutto questo?


In Italia la Chiesa non vince le elezioni dal 1994. Berlusconi, Bossi, lo stesso Prodi, non devono niente alla Chiesa. Quindi è cambiata anche la presenza della Chiesa in politica. I vescovi poi hanno fatto di necessità virtù, ma l’opinione pubblica sul piano elettorale non basa le sue scelte su quello che dice la Chiesa. Finché c’era la Guerra fredda, la Cei poteva aggrapparsi all’unità politica dei cattolici, affermando di rappresentare il più grande partito politico e il centro del Paese. Oggi le ragioni storiche per le quali serviva l’unità politica dei cattolici è venuta meno. Non solo, il sistema maggioritario ha rappresentato la fine della cultura inclusiva della Chiesa, imponendo un aut aut da rottura referendaria. Per la Chiesa è stato un dramma, perché non poteva schierarsi con il centrodestra o con il centrosinistra. Quindi la Chiesa nel ’94 ha dovuto scegliere di volta in volta che posizione di sistema assumere. Ed è passata quindi dall’equidistanza di Ruini, a una sintonia col centrodestra, che spesso è parsa anche subalternità.

Come vede gli inviti di questi mesi a una nuova generazione di politici cattolici?
Sono segni dell’insoddisfazione della Chiesa cattolica per quello che vede, ma anche segnali di impotenza. Perché la posizione della Chiesa, che di recente ha cercato di valorizzare i cattolici di entrambi gli schieramenti, è stata una politica velleitaria. Si è visto che nei momenti cruciali prevale la logica di schieramento sull’identità cattolica.

Come si pone la Chiesa di fronte alla nascita del terzo polo?



Con un certo scetticismo, perché da una parte non si fida di Fini, quindi ritiene che questa alleanza possa inquinare l’Udc, considerata come il partito in cui ci sono molti cattolici. E inoltre perché con questo sistema elettorale sanno che il terzo polo potrebbe non andare lontano.

La soluzione potrebbe essere una sorta di riedizione in chiave italiana del Partito popolare europeo?
La Chiesa vedrebbe bene un Ppe in versione italiana, anche se deve essere chiaro che non significhi un ritorno alla Dc. Perché la Chiesa non ci crede e sa che il Paese non lo accetterebbe. Non si ripetono le esperienze storiche che sono state legate a un particolare periodo storico. E poi non bisogna dimenticare che la Chiesa ha un atteggiamento ambivalente verso le istituzioni europee, perché da una parte le vuole e le ha promosse, ma dall’altra le sente un po’ ostili. E questo preoccupa anche alcuni Partiti popolari europei. In un momento in cui l’Europa è in affanno, c’è il timore che se la Chiesa ha un atteggiamento di freddezza nei confronti dell’Europa questo possa peggiorarne i problemi.

Che cosa ne pensa del fatto che Bertone ha partecipato all’anniversario della breccia di Porta Pia?
L’importante è che non sia interpretato come un gesto di relativismo storico. Più che altro, il suo significato è un gesto di distensione e di riconciliazione. Del resto oggi la Chiesa è il principale referente della Repubblica italiana e dell’Unità d’Italia. Oggi Napolitano ha proprio nella Chiesa un alleato fondamentale per mantenere l’unità del Paese. Mai come in questo periodo vediamo un cattolicesimo tricolore.

(Pietro Vernizzi)


Dal Blog Sacri Palazzi di Andrea Tornielli – Cina, la Chiesa non vuole l’autogestione - 9 dicembre 2010 http://blog.ilgiornale.it

L’Assemblea dei delegati cattolici cinesi riunita in questi giorni per eleggere i nuovi vertici dell’Associazione della Chiesa Patriottica (l’organismo filo-governativo che pretende di controllare la Chiesa cattolica cinese e di nominare i suoi vescovi senza il consenso di Roma) e della Conferenza episcopale cinese, non è stata affatto un successo per il governo di Pechino.

L’agenzia di stampa ufficiale cinese – nei suoi lanci in lingua inglese – aveva affermato che all’assemblea partecipavano tutti i 74 vescovi della Chiesa cattolica ufficiale, quella uscita dalla clandestinità. La realtà è stata ben diversa, oggi, a conclusione dell’evento, si avrannno dati più precisi. E molti dei vescovi che vi hanno preso parte, hanno subito pressioni.

Uno è stato trascinato per i piedi, un altro è stato difeso – invano – dai suoi fedeli che hanno cercato di resistere alla poliizia che veniva per portarlo via a forza costringendolo a partecipare all’assemblea, un altro si è dato alla macchia e ora è considerato un criminale ricercato.

Vale la pena di sottolineare ancora una volta che questi vescovi aventi diritto di prendere parte all’assemblea, evento cruciale organizzato per anni dalle autorità di Pechino, sono tutti riconosciuti dal governo e dall’Associazione Patriottica. Dunque, una dimostrazione in più del fatto che in Cina non esistono due Chiese (la clandestina fedele al Papa e quella ufficiale filo-governativa): entrambe soffrono, e anche i vescovi riconosciuti sono sottoposti a pressioni, violenze, soprusi.

Ma la notizia più importante che emerge da questi tre giorni di assemblea - nonostante i proclami del capo dell’Ufficio affari religiosi del governo di Pechino che nel suo intervento a parlato di una Chiesa indipendente da poteri coloniali, che vuole eleggersi i propri vescovi e gestirsi da sola -  è questa: il paziente lavoro svolto dalla Santa Sede, la Lettera di Benedetto XVI ai cattolici cinesi, la chiarezza nel denunciare prontamente l’illegittimità delle ordinazioni avvenute senza il consenso del Papa, hanno portato frutti.

E’ sempre più difficile per il governo far passare l’idea che in Cina c’è rispetto per la libertà religiosa, e i vescovi della Chiesa ufficiale, pur non vivendo più in clandestinità e dovendo avere a che fare con l’Associazione Patriottica, nella maggior parte dei casi non vogliono subire il controllo governativo.

Anche se non è collegata all’assemblea dei delegati cattolici di Pechino, in questo senso è interessante quanto accaduto al seminario di Hebei, dove cento seminaristi hanno protestato contro la nomina – stabilita dal locale Ufficio per gli affari religiosi – del nuovo vice-rettore, membro del Partito comunista. La reazione è stata così compatta e forte che le autorità hanno dovuto ritirare la nomina, anche se ora i seminaristi temono rappresaglie nei loro confronti.


Corrado Augias: un abile venditore di patacche - di Francesco Agnoli del 08/12/2010, in Informazione, dal sito http://www.libertaepersona.org

Corrado Augias è un giornalista che da tempo scrive di filologia evangelica, religione, scienza… Sempre propone tesi peregrine, ideologiche, non suffragate dai fatti. Con lo stesso nemico, ogni volta: la Chiesa e Cristo.

Recentemente Augias si è cimentato in uno spettacolo su Giordano Bruno, eterno mito del mondo massonico, ateo e anticristiano, che ha cercato di fare di questo oscuro e inquietante mago del XVI secolo, autore del De magia, del De vinculis (sugli incantamenti) e di altri trattati esoterici, il simbolo del pensiero razionale represso dalla Chiesa.

Lo spettacolo, intitolato retoricamente “Le fiamme e la ragione”, è tratto dal libro omonimo in cui Corrado Augias, così scrive una rivista che presenta lo spettacolo, “propone una delle pagine più tragiche del pensiero scientifico e culturale del nostro paese, l'assassinio mediante condanna al rogo di Giordano Bruno, uno dei massimi geni della storia della cultura occidentale.

Togliendo la vita all' uomo la Chiesa di Roma sacrifica anche un intero mondo scientifico. Ad oltre quattrocento anni dalla sua morte, ascoltare il pensiero di Giordano Bruno attraverso le parole di un fuoriclasse della cultura italiana (sic), e il commento introduttivo di Gustavo Zagrebelsky, è un momento di riflessione imprescindibile per atei, agnostici e cattolici sui rispettivi compiti da assolvere in uno stato laico e civile”.

Ebbene, per chi volesse conoscere i fatti, secondo la lettura dei testi bruniani, e l’interpretazione di studiosi serissimi e specializzati, come F. Yates, Paolo Rossi e Matteo d’Amico, può farlo qui:

http://www.libertaepersona.org/dblog/articolo.asp?articolo=129

e qui:

http://www.libertaepersona.org/dblog/articolo.asp?articolo=1605



Per chi avesse meno tempo, basti questa citazione, tratta dal celeberrimo studioso di storia delle religioni (non un dilettante allo sbaraglio come Augias) Mircea Eliade: “Se Giordano Bruno accolse con tanto entusiasmo le scoperte di Copernico, fu anche perché riteneva che l’eliocentrismo avesse un profondo significato religioso e magico; quando si trovava in Inghilterra Bruno profetizzò il ritorno imminente della religione magica degli antichi Egizi quale veniva descritta nell’Asclepius.

In effetti Giordano Bruno si sente superiore a Copernico dato che, mentre quest’ultimo non intendeva la sua stessa teoria se non in senso matematico, dal canto suo Bruno poteva interpretare lo schema copernicano come il geroglifico dei misteri divini” (Mircea Eliade, "Storia delle credenze e delle idee religiose", Bur, vol.III, p. 279).

 In altre parole, lungi dall’essere razionale e scientifico, lungi dall’essere un “genio”, Giordano Bruno era uno dei tanti maghi del Cinquecento che credeva nell’oroscopo e nel determinismo delle stelle, e che vide nell’eliocentrismo non una dottrina scientifica, un fatto astronomico, ma la conferma della sua visione magica, astrologica, che contemplava una eliolatria animista di stampo egizio.

Bruno disprezzava Copernico ritenendo che  non avesse capito proprio nulla della sua "scoperta (allora non ancora dimostrata), non traendo da essa alcuna conclusione religiosa, nè di segno contrario alla sua (Copernico era un canonico cattolico), nè in favore del panteismo eliolatrico egizio!

In sintesi: per Eliade,Yates, Rossi, d’Amico… e per Bruno stesso, che si riteneva destinato dalle stelle a “rinnovare il mondo”, e che credeva nelle formule magiche e negli incantamenti, come dichiara in alcune sue opere, Giordano Bruno era un mago. Per Augias, invece, Bruno era uno scienziato e un pensatore razionale, addirittura un genio della scienza! 


Avvenire.it, 9 dicembre 2010 - Pietà popolare autentico (e vitale) tesoro della Chiesa - La fede afferra l'uomo intero - Il fratello del Papa e «la fede dei piccoli» di Georg Ratzinger

La breve e intensa apologia della religiosità popolare pubblicata qui sotto è stata scritta da monsignor Georg Ratzinger, 87 anni il prossimo 15 gennaio, fratello di tre anni maggiore di Joseph, oggi Papa Benedetto XVI. Si tratta della prefazione scritta appositamente per un volumetto edito dalla LEV, Libreria editrice vaticana, dal suggestivo titolo "La fede dei piccoli" (pp. 120, euro 12), opera della principessa Elisabeth von Thurn und Taxis con postfazione di monsignor Wilhelm Imkamp, che verrà presentato dalla stessa autrice domani nella Libreria Internazionale Paolo VI di via di Propaganda Fide a Roma. Monsignor Georg Ratzinger, che venne ordinato sacerdote insieme al fratello il 29 giugno 1951 nel Duomo di Frisinga – nel 2011 quindi ricorrerà il 60° anniversario – è stato Maestro di Cappella del Coro del Duomo di Ratisbona dal 1964 al 1994. (Gia.Card.)

Pietà popolare e gioventù vanno d’accordo? I giovani, possono farsene ancora qualcosa della processione del Corpus Domini, dei pellegrinaggi mariani o della venerazione delle reliquie? Sì, possono! E c’è un bel libro, «La fede dei piccoli», che ne è la prova. L’autrice, Elisabeth von Thurn und Taxis, è una giovane donna moderna. Cresciuta a Ratisbona, è andata a scuola a Londra, ha studiato a Parigi e ha vissuto a New York: nel mondo è di casa.

Tanto più positivo è il fatto che una come lei si occupi di pietà popolare. Infatti oggi si scrive ben poco su questo tema. E poi la pietà popolare è in certo qual modo messa ai margini dalla pietà liturgica. Quest’ultima è naturalmente molto importante. Ma la pietà liturgica ha bisogno di essere completata dalla pietà popolare alla quale alcuni guardano invece con una certa alterigia. Perché, invece, la devozione popolare appartiene in modo primario alla nostra fede? La risposta è molto semplice: ciò che è particolarmente bello nella fede cattolica sono gli elementi che ne sollecitano i sensi. La nostra fede non si limita alla preghiera, all’interiorità e alla razionalità. La nostra fede afferra l’uomo intero. Tutto l’uomo è chiamato alla santità, e così egli deve tendervi attivamente con tutti i suoi sensi.

Molti sacerdoti aspirano ad essere "moderni", "al passo coi tempi ", per usare solo alcune tra le espressioni oggi più in voga. Credono che la pietà popolare sia qualcosa di superato e, passo dopo passo, la espellono dalla vita della Chiesa. Il protestantesimo ha già abbandonato questa forma di pietà. Per i cristiani evangelici la Chiesa è presente unicamente lì dove si prega e dove vengono amministrati i sacramenti. Ma così si dimentica che la Chiesa è una realtà sempre presente che riempie tutta la nostra vita e che aspira a coinvolgerla integralmente. Purtroppo una simile tendenza ha cominciato a prender piede anche tra noi cattolici. Ci accorgiamo, però, che lì dove viene praticata solo una "religione razionale", la fede perde forza e, prima o poi, scompare del tutto.

La fede non è un fatto solamente razionale; necessita anche di espressioni semplici e veraci, presenti sin dall’inizio e delle quali l’uomo avrà sempre bisogno. Proprio per noi cristiani esse sono fondamentali.

La pietà popolare è un tesoro della Chiesa. Ed allora è tanto più importante opporsi in modo buono e appropriato alla sua rimozione. Dico questo pensando proprio ai giovani. Ben presto si accorgerebbero di cosa ha perso la nostra fede se non la si potesse più "toccare con mano", se non coinvolgesse più l’uomo intero.

In Baviera, la mia terra, la pietà popolare ha da sempre un ruolo importante. Ai bavaresi l’elemento puramente razionale importa meno. Per essi in primo piano sta ciò che è percepibile con i sensi. Per questo in Baviera la pietà popolare ha un posto particolare nella vita religiosa delle persone. Certo, oggi a causa della grande mobilità dei singoli diviene più difficile mantenere in vita tradizioni preziose. E tuttavia, più la vita diviene frenetica, più gli uomini hanno bisogno della loro patria, dei propri riti e usi. Per questo è tanto importante che la pietà popolare continui a essere curata e alimentata con entusiasmo, così che possano goderne anche le generazioni future. La fede rimane viva solo se si rivolge a tutto l’uomo. E questo è il messaggio che rivolgo ai giovani cristiani di oggi. E così sono particolarmente contento del fatto che una giovane donna moderna, una giovane scrittrice, la voglia far conoscere e amare proprio alla sua generazione, mostrando questo: la pietà popolare ci avvicina a Gesù Cristo.


Uno sguardo sull’omosessualità nella luce della fede e della verità dell’amore. - 09-12-2010 - di André-Marie Jerumanis dal sito http://www.vanthuanobservatory.org

André-Marie Jerumanis
Università di Lugano

La sessualità è una dimensione fondamentale della persona. È necessario, pertanto, riconoscere che varie sono le componenti dell’identità sessuale: la dimensione genetica, psicologica, educativa e culturale, la reciproca interazione tra la dimensione biologica e l’imprinting psicologico dei primi anni di vita. Ne consegue che l’identità sessuale sia maschile che femminile non è solo un dato, ma è anche un traguardo. Nella genesi della coscienza sessuale non si può negare l’elemento fondativo della nascita, ma neanche il momento della pubertà.
Con orientamento sessuale comunemente viene definita la «direzione dei sentimenti sessuali o dei comportamenti verso individui di sesso opposto (eterosessualità), dello stesso sesso (omosessualità), o di una combinazione di entrambi (bisessualità)». Si fa sempre più strada l’idea che la coscienza della propria identità di genere possa essere il risultato di diversi possibili itinerari di sviluppo. Viene quindi esclusa ogni ipotesi di finalismo predefinito dalla natura o dall’essere di un individuo nella realizzazione della persona, che viene considerata espressione di una libertà di scelta del genere che l’individuo preferisce. Evoluzione di sensibilità a mio parere molto discutibile.
Quando si parla di persona omosessuale si definisce, quindi, una persona motivata, nell’età adulta da una decisa attrazione erotica preferenziale per i membri dello stesso sesso senza avere necessariamente rapporti sessuali con loro. Solo nella fase adolescenziale e adulta è possibile riconoscere con chiarezza la tendenza omosessuale.

Cosa dice la scienza
Si nasce omosessuali? Gli scienziati sono divisi sulla portata di un eventuale fattore biologico, dato che un intervento a livello ormonale non modifica significativamente il comportamento omosessuale. A livello genetico non possiamo affermare che esistono risultati significativi, senza però dovere escludere l’ipotesi di un elemento genetico. Altri dati provenienti dalle teorie psicologiche e psicanalitiche legano lo sviluppo dell’omosessualità alla figura di una madre autoritaria e possessiva, all’assenza di un figura paterna significativa, a fissazione della personalità a livelli autoerotici …. ecc. Alcuni invitano a non sottovalutare i fattori sociali e culturali che favoriscono un appiattimento delle differenze sessuali. Oggi la voce della scienza aiuta a riconoscere la complessità del fenomeno e a tenere presente le molteplici cause dell’omosessualità che possono coesistere in una singola persona omosessuale.

La tradizione cristiana
La tradizione cristiana offre una lettura negativa dell’omosessualità in quanto contraria al disegno divino sull’uomo creato uomo e donna ad immagine di Dio, chiamato a vivere una vita di comunione interpersonale che porta al dono di una vita nuova (Gn 1-3). Viene dunque valorizzata la diversità, la complementarità dei sessi e la procreazione. Gn 19, 1-29 condanna la violenza per motivi omosessuali. In Levitico 18,22 viene chiaramente affermato: «Non avrai con un altro maschio i rapporti allo stesso modo con cui si hanno con una donna: è un abominio». E l’apostolo Paolo sottolinea quanto un comportamento omosessuale non sia corretto e come ciò sia l’espressione di un abbandono di Dio (Rm 1, 24-27). La tradizione morale interpreta il fenomeno dell’omosessualità alla luce del dato scritturistico unitamente ad una argomentazione fondata sulla legge naturale. Pier Damianp, Tommaso d’Aquino ne sono gli esempi più illustri. Esiste unanimità della tradizione nel condannare l’omosessualità.

Cosa pensa la Chiesa
Il paragrafo 8 del documento Persona Humana, pubblicato nel 1975 dalla Congregazione per la Dottrina della Fede è rivolto interamente alla trattazione dell’omosessualità. La Chiesa riconosce una sorta di tipologia, distinguendo «tra persone omosessuali a tendenza transitoria e coloro in cui l’omosessualità è una condizione permanente». Tuttavia ricorda che l’esistenza di uno stato omosessuale permanente non può in alcun modo giustificare le «relazioni omosessuali in una sincera comunione di vita e di amore, analoga al matrimonio, in quanto essi si sentono incapaci di sopportare una vita solitaria».
Il documento invita a mostrare accoglienza e comprensione per tutti gli omosessuali, così pure sostegno nella speranza di superare tutte le difficoltà da essi avvertite. Sottolinea bene che gli omosessuali «vanno sempre giudicati con prudenza circa la colpevolezza; [mentre] non vanno mai moralmente giustificati nei loro atti, ritenendoli [erroneamente] conformi alla loro condizione».
Nella “Lettera ai Vescovi per la cura delle persone omosessuali” della Congregazione della Dottrina della Fede nel 1986, si accenna a tutti quei teologi che hanno mal interpretato la tendenza omosessuale giustificandone i comportamenti. Si rammenta ai pastori che limitare i diritti esigiti dai movimenti omosessuali non significa assolutamente discriminarli, quantunque sia da condannare e riprovare pubblicamente qualsiasi episodio di violenza e intolleranza nei loro confronti: un invito energico ad avere discernimento in materia, poiché dare spazio nelle legislazioni civili a suddette pretese comporterebbe l’apertura di un varco ad ulteriori deviazioni.
Il Catechismo, pur ricordando che le persone omosessuali non scelgono la suddetta condizione, della quale comunque non si deve fare oggetto di ingiusta discriminazione, non esita ad indicare la via della castità, attraverso l’esercizio delle virtù coadiuvate dalla preghiera e dalla grazia sacramentale, mediante le quali essi «possono e devono, gradatamente e risolutamente, avvicinarsi alla perfezione cristiana».
Alcune riflessioni conclusive
1. Una persona omosessuale come ogni altra persona ha il pieno diritto di essere rispettata: come ogni altra persona ha diritti e doveri che derivano dalla dignità umana.
2. Non si può parlare della condizione omosessuale come di un’alternativa paritetica all’eterosessualità. Se non è lecito discriminare la persona non è nemmeno lecito ignorare alcune difficoltà come il desiderio di trasmettere la vita ricorrendo all’inseminazione artificiale o con l’adozione, possibile in alcuni paesi, trascurando però i diritti del bambino alla bipolarità della figura parentale.
3. Il pretesto addotto da coloro che premono per il riconoscimento delle unioni di fatto (cioè la "non discriminazione") delle copie omosessuali, comporta una discriminazione della famiglia fondata sul matrimonio, che sarebbe posta su un piano di uguaglianza con tutte le altre forme di convivenza, senza tenere assolutamente conto dell’esistenza o meno di un impegno di fedeltà reciproca e di generazione-educazione dei figli.
4. Bisogna mantenere la distinzione tra interesse pubblico e interesse privato. Nel caso dell’interesse pubblico, la società ha il dovere di proteggerlo e promuoverlo, mentre nel secondo caso, lo Stato deve limitarsi a garantire la libertà. Non si può non riconoscere che il matrimonio e la famiglia rivestono un interesse pubblico e sono il nucleo fondamentale della società e dello Stato. Al contrario, due o più persone possono decidere di vivere insieme, con o senza relazione sessuale, però questa convivenza o coabitazione non riveste per questo interesse pubblico. Eventuali modifiche legislative dovrebbero seguire il criterio di non danneggiare socialmente la famiglia. Nel 2003 la Congregazione della Fede nel documento “Considerazioni circa i progetti di riconoscimento legale delle unioni tra persone omosessuali” dichiarava: «Le legislazioni favorevoli alle unioni omosessuali sono contrarie alla retta ragione perché conferiscono garanzie giuridiche, analoghe a quelle dell'istituzione matrimoniale, all'unione tra due persone dello stesso sesso. Considerando i valori in gioco, lo Stato non potrebbe legalizzare queste unioni senza venire meno al dovere di promuovere e tutelare un'istituzione essenziale per il bene comune qual è il matrimonio».
5. La discussione sui diritti delle persone omosessuali richiede serenità, obiettività, rispetto per gli argomenti dei diversi campi, ma nello stesso tempo la disponibilità ad accettare la valutazione critica degli argomenti secondo il criterio della verità dell’amore. Porsi una domanda critica sull’equiparazione tra unione omosessuale e matrimonio non è espressione di omofobia. Non è nemmeno giusto che chi ammette la possibilità di un ri-orientamento sessuale sia ineluttabilmente crocifisso come omofobo. Una seria riflessione sul significato dei diritti dell’uomo si impone. Manifestare comprensione verso le persone omosessuali e parlare della loro sofferenza non significa umiliare le persone. Le persone omosessuali che ho incontrato in campo pastorale hanno spesso rivelato sofferenza, certo di grado diverso secondi i casi, richiedendo aiuto. Non posso affermare che tutte le persone omosessuali soffrono, ma posso dire che c’è un bisogno di senso in tutti, un bisogno di felicità che è difficilmente raggiungibile senza la valorizzazione della dimensione spirituale nella vita affettiva, e senza attenzione alla verità. Non si può negare la realtà del peccato che offusca la ragione e indebolisce la volontà. E questo è vero per ogni uomo, che è chiamato alla santità e dunque alla conversione continua.
6. La rivelazione cristiana sulla sessualità ha un significato forte per i cristiani e può illuminare la coscienza di ogni uomo nella ricerca della verità, uomo che fa l’esperienza della difficoltà di vivere in modo armonioso la vita affettiva. Uno sguardo sulla società attuale definita come società dell’”amore liquido” da Z. Bauman ci rivela un bisogno di salvezza che l’uomo non può da solo dare a se stesso. La fede ci rivela che l'uomo, immagine di Dio, è stato creato « maschio e femmina » (Gn 1, 27). Ne deriva che l'uomo e la donna sono uguali in quanto persone e complementari in quanto maschio e femmina. La sessualità da un lato fa parte della sfera biologica e, dall'altro, viene elevata nella creatura umana ad un nuovo livello, quello personale, dove corpo e spirito si uniscono. Nel disegno del Creatore complementarità dei sessi e fecondità appartengono alla natura stessa dell'istituzione del matrimonio. La fede offre all’essere umano la via della grazia per vivere in modo armonioso la vita affettiva che ha bisogno di salvezza. In questa prospettiva la virtù di castità è virtù morale e insieme dono e opera dello Spirito Santo. Grazie all’azione dello Spirito Santo tutto il nostro essere e il nostro esistere corporeo conosce una vera rigenerazione, attraverso l’inserzione come “figlio nel Figlio” nel dinamismo d’amore della Trinità. In tal modo l’uomo può vivere in verità la sua vita affettiva nonostante i diversi determinismi.
7. Al lettore che non pensa secondo il senso espresso nell’articolo, porrei l’invito ad ascoltare la propria coscienza che, secondo J. H. Newman, è nello stesso tempo definita come la voce di Cristo, come profeta della verità, e come istanza che comanda a fare il bene. Nel cuore di ogni essere umano esiste una inclinazione alla verità. In questo senso l’articolo intende offrire elementi di discernimento che possono contribuire in piena serenità ad aderire alla voce della verità che risuona nel cuore di ogni uomo di buona volontà e, in modo particolare, nel cuore delle persone omosessuali.


Famiglie & associazioni: continuiamo ad ascoltarle - fateli parlare Sono centinaia di migliaia, nel nostro Paese, i familiari di persone in stato vegetativo, di minima coscienza, con gravi o gravissime disabilità: «Cerchiamo di vivere e di far vivere, per questo non facciamo notizia» - Max si è 'risvegliato' dopo 10 anni: «Sono strafelice di vivere. Se penso che in quegli anni avrei potuto fare la fine di Eluana mi vengono i brividi» di Pino Ciociola

Combattono, loro, una buona battaglia. Ora dopo ora, ogni giorno come ogni notte, per anni e anni. Perché amano il loro figlio o la loro moglie o il loro papà in stato vegetativo, in minima coscienza, in 'locked in' o con una grave o gravissima disabilità. Sono centinaia di migliaia nel nostro Paese: «Cerchiamo di vivere e di far vivere, per questo non facciamo notizia», ripetono, spesso, amaramente, ai giornalisti.
Sono delusi e troppo spesso abbandonati – anche dalle istituzioni che per prime dovrebbero garantirne i diritti – eppure mai domi, né rassegnati.

Addolorati nel vedere e ascoltare e leggere mille parole di chi ha scelto la morte, per se stesso o per una figlia, perché la celebra come gesto d’esemplare coraggio e suprema libertà. Soprattutto nauseati quando devono sentire definire le loro vite o quelle dei loro cari «prive di dignità», «inutili», «minori». E profondamente indignati quando leggono che «i forti», i tutelati, quasi i privilegiati, sarebbero loro.
Piero, ad esempio, non ha mai voluto arrendersi, né lo farà: «Hanno ragione. Sono i disabili e i loro familiari i 'forti', perché non scappano, ma affrontano. E invece proprio loro sono i deboli, quelli che fuggono». Piero vive da un bel pezzo su una carrozzella e insieme alla «distrofia muscolare che ogni giorno mi devasta i muscoli. So che un giorno lei avrà la meglio, ma io vivo la mia, degna, vita insieme ad amici e familiari».

Max è rimasto dieci anni in stato vegetativo e, adesso, dieci anni dopo essersi 'risvegliato', in casa ha cominciato a muovere appena qualche passo sulle sue gambe, aggrappato a stampelle particolari: «Sono strafelice di vivere. E se adesso penso che in quei dieci anni avrei potuto fare la fine di Eluana mi vengono i brividi». Max ride e scherza e soffre. Ha ripreso anche, faticosamente, a scrivere.

Gira l’Italia per mostrare a tutti cos’è la dignità, la tenacia, la forza: cos’è la vita. Sua mamma, suo padre, i suoi amici gli stanno vicino da venti anni. Loro l’hanno già capito.


È giusto continuare ad ascoltare la voce di Max, di Piero e di chi lotta: lo è per loro e ancor più per noi stessi. Per imparare che gli ostacoli si affrontano e scavalcano. Che siamo tutti 'guerrieri' quando le cose vanno bene e assai meno quando sembrano precipitare. Che le loro vite appaiono più fragili e invece hanno una dignità molto, molto più grande (e luminosa) delle nostre.


E per imparare, usando le parole di Silvie Menàrd (oncologa francese di fama mondiale, paladina della cosiddetta 'dolce morte' fin quando ha avuto un cancro), quanto «l’eutanasia sia la tentazione dei sani».


«La malattia che ha colpito la nostra Benedetta? Per noi si tratta di un progetto d’amore» Prima la ribellione alla patologia della loro bambina, poi l’accettazione di «un disegno misterioso». Da questa storia un libro di Paolo Ferrario  - Avvenire, 9 dicembre 2010

«Non avevamo mai neanche lontanamente pensato che avremmo avuto a che fare così direttamente con la diversità, con la fragilità, l’impotenza, l’imponderabilità, con una situazione così precaria». Sbattuti dentro una vicenda inaspettata e forse più grande di loro, Carla e Sante Campion, coniugi di Mediglia, hinterland milanese, sono passati dallo scoramento e dalla ribellione per la condizione di grave disabilità della loro terza figlia, Benedetta, oggi 30enne, all’accoglienza di una situazione faticosa. Un lavoro quotidiano che è diventato anche un piccolo libro, 'Benedetta, una dolce avventura', che, oltre a raccontare la storia di Benedetta e della sua famiglia, è anche una sorta di manuale per genitori di figli disabili. «Per noi – raccontano Carla e Sante – è stato un passaggio graduale che ha significato fare nostro, rendere parte del nostro mondo, un disegno misterioso che ci trascendeva».
Terza di quattro fratelli (l’anno dopo sarebbe nata Veronica, «sana e bellissima», scrivono i genitori), Benedetta viene alla luce dopo una gravidanza complicata. Nonostante fosse «così piccola e precaria», tanto da dover restare in ospedale per i primi due mesi di vita, i medici tendono a rassicurare i genitori, che però sono costretti a seguire, quasi impotenti, le frequenti crisi e i continui ricoveri della bambina. Solo quando Benedetta ha 9 anni, le viene diagnosticata la sindrome di Wolf-Hirschhorn (Whs), una patologia genetica dovuta alla gravidanza sofferta, che comporta un importante ritardo della crescita, del linguaggio, con anomalie degli organi interni.


Per i genitori è stato difficile adeguarsi a questa situazione e la voglia di ribellarsi alla realtà era sempre in agguato. «Poi – sottolineano Carla e Sante – siamo passati pian piano all’accettazione di un progetto che non capivamo, che non conoscevamo ma che sapevamo essere comunque un progetto d’amore per noi, per lei e per la nostra famiglia». In questo sono stati aiutati dai tanti amici del Rinnovamento carismatico cattolico e dai genitori dell’Associazione italiana sulla Sindrome di Wolf-Hirschhorn (Aisiwh), che hanno contribuito a fondare.

«All’inizio – concludono i due coniugi milanesi – vivevamo con forte disagio il modo come gli altri guardavano Betta. Oggi abbiamo superato questa difficoltà e siamo convinti che, agli occhi di Dio, lei è bellissima, irripetibile e preziosa. Gli diciamo grazie per aver qui, nella nostra casa, Benedetta con tutto quello che ci dà, il suo sorriso, la sua tenerezza, il suo sguardo che ti cerca perché vuole incontrarti. Quel progetto prima così insondabile adesso ci sembra davvero un progetto d’amore».


«Se la scienza medica consente di vivere, allora dateci il diritto di farlo dignitosamente» - Juan, 42 anni, campione di pallanuoto, è in stato vegetativo. La moglie Luisa: gli sto accanto guidata dall’amore e da una luce che dà speranza di Graziella Melina – Avvenire, 9 dicembre 2010

In una foto scattata a Natale dell’anno scorso, si vede Juan Hernandez sulla sedia a rotelle, assieme a sua moglie, Luisa Susanna: finalmente la famiglia va ad abitare nella stessa casa, con i due figli Raul e Caterina. Juan sorride. Luisa appare commossa. Una foto di vita familiare, come tante, se non fosse che Juan Hernandez è in stato vegetativo e quel sorriso improvviso le persone che in quel momento lo circondavano proprio non se lo sarebbero aspettato. «È stato il nostro miracolo di Natale», ricorda Luisa, 42 anni. Lei della tanto discussa trasmissione di Fazio e Saviano non ne sa proprio nulla. «Non faccio mai riferimento all’esperienza altrui – premette – perché penso che ogni esperienza sia soggettiva e personale e vada rispettata. Però come gli altri sono messi in condizione di fare le proprie scelte, anche noi dobbiamo essere messi in condizione di fare le nostre: se i mezzi della medicina ci hanno permesso di vivere, abbiamo anche diritto a vivere dignitosamente. Ed è questo che a volte non avviene».
Juan, per anni campione della nazionale di pallanuoto cubana, e poi giocatore nella Lazio, da 6 anni si trova in stato vegetativo dopo un banale intervento alla caviglia. «Per accelerare i tempi della guarigione ha fatto un intervento chirurgico d’accordo con la squadra». Ma si è rivelato tragico: «Ha avuto un problema anestesiologico e non si sono accorti che era andato in arresto cardiaco». E così Juan entra in coma. Allora aveva 36 anni. Luisa, stessa età, da sei mesi mamma di Raul, si ritrova a gestire una situazione drammatica.

«Nonostante le difficoltà anche a livello giuridico, abbiamo avuto un risarcimento che quantomeno ci consente di assistere mio marito – racconta – e ci permette di vivere tutti insieme in una casa con condizioni adatte a mio marito, ai miei bambini e a me».
Ma non vuole parlare solo della sua storia Luisa: «Famiglia e amici mi hanno aiutato e sostenuto. Con l’associazione Risveglio. Ma non è per tutti questo trattamento. Per quanto riguarda la parte statale, salvo la Asl che con mille peripezie ti concede gli aiuti, non c’è molto». Ecco che allora «bisogna 'farsi leone', perché ci vogliono anche standard culturali e di personalità per sostenere una situazione del genere». Ma a una donna così giovane da dove viene tanta forza? «Principalmente dall’amore – risponde –. È ciò che ha mosso i miei passi nella scelta di sposare mio marito, di andare avanti nonostante la tragedia e di sperare oltre la speranza e poi in chi può e sa più di noi, che è luce, Dio. Da quando ho conosciuto mio marito, ho accolto il Signore e questa luce non mi sta abbandonando, nonostante le difficoltà. In questo senso penso che la mia sia una famiglia fortunata».


«Vostra figlia? Piuttosto è meglio che muoia» Ma io e mio marito ci siamo dedicati a Carmen - L’encefalogramma della venticinquenne è piatto. - Mamma Camilla: Dio si serve anche di queste persone. E ti dà la grazia di andare avanti di Barbara Sartori – Avvenire, 9 dicembre 2010

Ospedale della Lombardia. Carmen viene accompagnata a fare un’ecografia per sospetti calcoli. «È meglio portarla ai giardini!», dice il medico di turno alla mamma. E lei, senza battere ciglio: «Non si preoccupi, dottore. Ai giardini la porto e la porterò. Ma adesso ha bisogno di questo esame. Lei ha figli? - e, senza aspettare la risposta - . Ad ogni modo, se li ha, ringrazi Dio se sono sani». Le famiglie con figli gravemente disabili sono avvezze alle incomprensioni. Carlo e Camilla Ciocca, che di ospedali e studi medici ne hanno frequentati parecchi nei 25 anni di vita di Carmen, non si lasciano scoraggiare. Neanche di fronte a chi dice, senza tanti giri di parole: «Vostra figlia, per stare così come sta, è meglio che muoia...».
Carmen è affetta da tetraparesi spastica. È cerebrolesa da quando aveva due mesi. Vive ormai perennemente a letto, accudita dalla mamma con l’aiuto di una badante a cui qualcuno - i Ciocca vivono a Trezzo sull’Adda (Milano) ­ancora chiede: «Ma non hai paura a starle vicino?». Alla nascita, il 25 settembre 1985, è una bambina perfettamente sana, di 3 chili e 800 grammi di peso e 53 centimetri di lunghezza. Cresce regolarmente. Finché un pomeriggio, siamo a dicembre, ha d’improvviso vomito a getto, si irrigidisce, la testa s’ingrossa. Dalle risultanze della Tac si scopre che ha un tumore al cervello, grande come un mandarino. Serve operarla con estrema urgenza. L’intervento chirurgico riesce bene, tanto che in breve tempo Carmen riprende ad alimentarsi. A Natale, però, un secondo crollo.

Inspiegabile. Da allora, l’encefalogramma risulta piatto. Il suo quadro clinico nemmeno i medici lo hanno mai saputo giustificare. Anziché lasciarsi schiacciare dalle domande, Carlo e Camilla hanno preferito rimboccarsi le maniche, forti delle parole di un amico di famiglia, il cardinale Anastasio Ballestrero, che fu arcivescovo a Bari e a Torino: «Sperare sempre, disperare mai».


Da 25 anni sono accanto alla loro «principessa» senza chiedere niente a nessuno. Carlo è un ex dipendente dell’Enel. Camilla gestiva il bar sotto casa, che ha lasciato per accudire la figlia a tempo pieno. La fatica è tanta, la salute di Carmen fragile. Eppure non manca il sorriso in casa Ciocca. «A chi mi domanda: perché vi è capitato? Io rispondo: Dio si serve anche di queste persone, non lo possiamo sapere. Ma ti dà anche la grazia di portare avanti queste situazioni. Io sono riconoscente a Dio che mi ha dato tanta salute; e se questa salute c’è, la devo investire – dice con disarmante semplicità Camilla –. C’è chi si dedica a una causa, chi all’altra. Io la dedico a Carmen».