martedì 28 dicembre 2010

Nella rassegna stampa di oggi:
1)    Rinnovato appello di Benedetto XVI in un Natale funestato dalla violenza soprattutto verso i cristiani - Speranza e riconciliazione - Il Papa chiede di rispettare la libertà religiosa di tutti e di abbandonare la via dell'odio per soluzioni pacifiche dei conflitti (©L'Osservatore Romano - 27-28 dicembre 2010)
2)    Dittature ostili e persecutrici? Inciampano sempre sul Papa... di Vittorio Messori, © Copyright Corriere delle sera, 27 dicembre 2010
3)    27/12/2010- IRAQ - Mesto Natale in Iraq. Mons. Sako: “Resisteremo e resteremo” - Molte le funzioni liturgiche cancellate; niente decorazioni natalizie, e nessuna celebrazione nelle ore di buio. Il primo Ministro iracheno definisce “crimine contro l’unità nazionale” gli attacchi ai cristiani. Un appello alla pace e alla solidarietà fra etnie e religioni diverse, e un messaggio di speranza da parte dell’arcivescovo di Kirkuk (AsiaNews/Agenzie).
4)    27/12/2010- VIETNAM - Proibita al vescovo di Kontum la messa di Natale coi montagnard di Joseph Dang - In precedenza il governo aveva assicurato il permesso. Le autorità sono preoccupate per la grande ondata di conversioni nella diocesi: 50 mila negli ultimi due anni. La polizia ha cercato anche di ritirare la patente agli autisti del “vescovo vagabondo” che percorre centinaia di chilometri per il suo lavoro pastorale AsiaNews).
5)    Il Papa a pranzo con i senza fissa dimora nel centenario della nascita di madre Teresa di Calcutta - Una corsia preferenziale per i poveri (©L'Osservatore Romano - 27-28 dicembre 2010)
6)    Radio Vaticana, notizia del 27/12/2010 - Approvato lo statuto di “Nuovi Orizzonti”. Chiara Amirante: vogliamo portare la luce del Vangelo a chi vive senza amore
7)    Radio Vaticana, notizia del 26/12/2010 - Cristiani perseguitati e discriminati nel mondo: poca attenzione dai media
8)    Benedetto XVI uomo dell'anno. Per le sue omelie - Sono l'asse del suo magistero ordinario. Narrano l'avventura di Dio nella storia del mondo. Sollevano il velo sulle "cose di lassù". Una guida alla lettura della predicazione liturgica dell'attuale papa di Sandro Magister
9)    Concilio Ecumenico Vaticano II - di Cristina Siccardi - 27/12/2010 - Religione -dal sito http://www.libertaepersona.org
10)                      LA DIALETTICA DIABOLICA - di P.Giovanni Cavalcoli,OP da http://www.riscossacristiana.it
11)                      La persecuzione dei cristiani nigeriani, uno stillicidio senza fine di Anna Bono 28-12-2010 da http://www.labussolaquotidiana.it
12)                      Boko Hakam, i "talebani nigeriani" di Anna Bono 28-12-2010 da http://www.labussolaquotidiana.it
13)                      Avvenire.it, 28 dicembre 2010 - Nigeria: diritti negati e affari conclusi - Quegli occhi chiusi di fronte alla violenza di Giulio Albanese
14)                      Si chiude l’anno della beata Madre Teresa, paladina della vita di Massimo Introvigne 28-12-2010 da http://www.labussolaquotidiana.it

Rinnovato appello di Benedetto XVI in un Natale funestato dalla violenza soprattutto verso i cristiani - Speranza e riconciliazione - Il Papa chiede di rispettare la libertà religiosa di tutti e di abbandonare la via dell'odio per soluzioni pacifiche dei conflitti (©L'Osservatore Romano - 27-28 dicembre 2010)

Speranza. Riconciliazione. Pace.
Nel Natale bagnato dal sangue causato da guerre, violenze e intolleranza, Benedetto XVI è tornato a supplicare l'umanità di "abbandonare la via dell'odio" e della violenza, oggi rivolti specialmente verso i cristiani. E ha suggerito le coordinate di un cammino verso un mondo di giustizia e di amore.
È stato esplicito il Papa nell'appello rinnovato domenica 26 dicembre, prima di recitare l'Angelus con i fedeli radunati in piazza San Pietro.
"In questo tempo del Santo Natale - ha detto testualmente il Pontefice nel suo appello - il desiderio e l'invocazione del dono della pace si sono fatti ancora più intensi. Ma il nostro mondo continua ad essere segnato dalla violenza, specialmente contro i discepoli di Cristo. Ho appreso con grande tristezza l'attentato in una chiesa cattolica nelle Filippine, mentre si celebravano i riti del giorno di Natale, come pure l'attacco a chiese cristiane in Nigeria. La terra si è macchiata ancora di sangue in altre parti del mondo come in Pakistan. Desidero esprimere il mio sentito cordoglio per le vittime di queste assurde violenze, e ripeto ancora una volta l'appello ad abbandonare la via dell'odio per trovare soluzioni pacifiche dei conflitti e donare alle care popolazioni sicurezza e serenità. In questo giorno in cui celebriamo la Santa Famiglia, che visse la drammatica esperienza di dover fuggire in Egitto per la furia omicida di Erode, ricordiamo anche tutti coloro - in particolare le famiglie - che sono costretti ad abbandonare le proprie case a causa della guerra, della violenza e dell'intolleranza. Vi invito, quindi, ad unirvi a me nella preghiera per chiedere con forza al Signore che tocchi il cuore degli uomini e porti speranza, riconciliazione e pace".
L'appello è stato la sintesi di due giornate vissute nel mondo in quello strano, continuo confondersi tra gioia e sofferenza, che ha caratterizzato questo periodo natalizio. Nell'alternarsi di luci e ombre il Papa ha riletto la storia dell'umanità. Una storia, ha detto durante la messa di mezzanotte, che va ripensata alla luce del "Dio-con-noi", venuto a "spezzare il bastone dell'aguzzino" e, con la forza dell'amore del "suo figlio primogenito" a "bruciare i calzari rimbombanti" dei soldati. Ma sarebbe sbagliato, secondo Benedetto XVI, riconoscere soltanto l'operare esclusivo di Dio nel mondo, come se egli non avesse chiamato "l'uomo ad una risposta libera di amore". Lo sarebbe altrettanto ritenere che l'uomo "con la sua buona volontà" possa "redimere se stesso".
Grazia e libertà, ha spiegato il Papa, non possono essere separate perché "sono inscindibilmente intessute tra loro". E alla libertà Benedetto XVI si è riferito il giorno di Natale, quando, dalla Loggia della Benedizione, ha invitato i fedeli della Chiesa nella Cina continentale a non perdersi d'animo "per le limitazioni alla loro libertà di religione e di coscienza". Poi si è rivolto direttamente ai leader politici del mondo intero affinché "si impegnino per il rispetto della libertà religiosa" come questione di giustizia e presupposto per la pace. Valori che il Papa ha accomunato alla carità e all'accoglienza senza confini, durante il pranzo in Vaticano con i poveri.
(©L'Osservatore Romano - 27-28 dicembre 2010)


Dittature ostili e persecutrici? Inciampano sempre sul Papa... di Vittorio Messori, © Copyright Corriere delle sera, 27 dicembre 2010

Nei messaggi natalizi di questi giorni, denuncia, rammarico, preghiera di Benedetto XVI sembrano essersi focalizzati sulla persecuzione dei credenti nel Vangelo.
E non caso. In effetti, come documentano tragiche statistiche, il cristianesimo (e il cattolicesimo in particolare) è sempre più la confessione religiosa maggiormente perseguitata nel mondo: a livello ideologico in alcuni Paesi dell'Occidente e in modo sanguinoso in Asia, in Africa, in qualche angolo di America latina. Il martirio, che sembrava relegato a secoli lontani, è tornato ad essere una realtà o una minaccia incombente per chi venera la Croce. A parte le esplosioni di fanatismo islamico, sono da ricordare le molte ferocie che hanno per protagonista una religione avvolta a lungo, tra noi, in una "leggenda rosa": quel “mite e tollerante“ induismo, cioè, che ha un volto oscuro che lo stesso Gandhi cercò di mitigare con iniezioni profonde di Vangelo. Provocazione intollerabile, la sua: in effetti, fu proprio un induista ad assassinarlo, in quanto colpevole di “inquinamento cristiano“ del Pantheon indiano. Persino il buddismo, “mite” per eccellenza secondo l’immaginario occidentale, si è fatto minaccioso, almeno in alcune zone e per alcune scuole.
Ma nel messaggio più ampio e solenne, quello urbi et orbi del mattino di Natale, papa Ratzinger ha dedicato buona parte delle sue parole accorate al caso della Cina. Qui, la persecuzione è innanzitutto politica: dopo la mattanza dei credenti in epoca maoista, la leadership di Pechino afferma di voler tollerare i cristiani. Purché, però, chi tra loro è cattolico aderisca a una Chiesa Nazionale (“Patriottica“, la chiamano) che tronchi i rapporti con Roma.
Si rinnova, così, una storia antica che sarà bene ricordare perché vi è in essa un insegnamento su cui riflettere. Per stare soltanto agli inizi della modernità: tra i motivi del dilagare immediato e del consolidarsi della Riforma protestante ci fu l’appoggio di Prìncipi che, spesso, nulla sapevano di dispute teologiche. E ciò per un paio di motivi: la possibilità di confiscare senza indennizzo le terre delle ricche abbazie e, in genere, ecclesiastiche; e, poi, l’opportunità di mettersi a capo delle comunità cristiane locali, diventando così Papi in casa propria, senza ingerenze fastidiose di Roma. Il caso più clamoroso fu quello di Enrico VIII, che cercò di toccare il meno possibile fede e liturgia, poiché ciò che lo interessava (oltre, naturalmente alle ricchezze dei monasteri) era, innanzitutto, mettersi egli stesso a capo della Chiesa d’Inghilterra, rimuovendo gli scomodi Pontefici. Tra le prime misure della Rivoluzione francese ci fu la creazione di una Chiesa “nazionale“, i cui sacerdoti e vescovi giurassero fedeltà alla Francia e fossero stipendiati dallo Stato, a patto che non dipendessero più da Roma. La Germania, tra Ottocento e Novecento, ci provò due volte: prima con Bismarck e il suo Kulturkampf con il motto los von Rom, via da Roma; e poi, naturalmente, con Hitler che, a guerra vinta, contava di far subire ai cattolici quanto gli era riuscito con i luterani, riorganizzati nella Chiesa del Reich. Ma ogni totalitarismo ha sempre fatto di tutto per tagliare i rapporti dei suoi sudditi con i Papi romani. Nel genocidio dei credenti da parte di Lenin e Stalin, i primi perseguitati senza pietà furono gli Uniati, cioè coloro che, pur mantenendo liturgie e tradizioni proprie, si erano “riuniti” a Roma. Non potendo liberarsi del cattolicesimo, la Polonia spese grandi somme ed energie per creare essa pure la sua Chiesa nazionale –il Movimento Pax- ovviamente non “papista”. Questo fu anche il sogno dei “cappellani“, frati e preti scomunicati, che seguivano Garibaldi; ma anche notabili risorgimentali meno intransigenti facevano piani per una “Chiesa italiana“ che il nuovo Stato potesse controllare. Persino l’ultimo Mussolini di Salò, in cui riemergevano gli umori anticlericali del socialista che era stato e che in fondo era rimasto, inveiva contro la trahison des clercs e annunciava che, a guerra finita, avrebbe fatto un brutto scherzo al Papa, separando da lui la Chiesa italiana. Anche all’auge del successo, boicottò i pellegrinaggi a Lourdes e cercò di indirizzare i pellegrini italiani a Loreto: un santuario “nazionale” per una Chiesa che voleva sempre più “nazionale“.
Sono solo alcuni esempi che confermano una costante cui non poteva sfuggire neppure il regime della Cina. Ancora una volta, la lotta e la persecuzione si concentrano contro la sola Chiesa che abbia un’organizzazione mondiale e in cui le comunità locali siano guidate da pastori nominati da Roma e da essa dipendenti. Il Vangelo può essere fastidioso, ma un Papa è intollerabile: come può uno straniero lontano mettere il naso nelle cose di un Impero? Questi vescovi, rappresentanti per giunta di una piccola minoranza, come si permettono di esser i soli a non unirsi all’ossequio che, da tutto il mondo, giunge a un mercato da un miliardo e mezzo di persone, governato da un regime granitico e circondato da una selva di missili atomici intercontinentali? Eppure, in tanti secoli, sempre si è ripetuto il copione: laddove Cesare vuol prendere per sé anche ciò che spetta a Dio, inciampa in quell’ostacolo che il Pontificato romano. In ogni totalitarismo, c’è almeno una forza mondiale che può giungere pragmaticamente, come male minore, a compromessi, a firmare concordati, a benedire bandiere; ma che, messa alle strette, quando ne va di mezzo la fede, non si piega e, perseguitata, già progetta la rinascita dopo la bufera. La storia mostra che neppure a Pechino riusciranno in ciò in cui hanno fallito imperatori e dittatori di ogni tempo e paese.


27/12/2010- IRAQ - Mesto Natale in Iraq. Mons. Sako: “Resisteremo e resteremo” - Molte le funzioni liturgiche cancellate; niente decorazioni natalizie, e nessuna celebrazione nelle ore di buio. Il primo Ministro iracheno definisce “crimine contro l’unità nazionale” gli attacchi ai cristiani. Un appello alla pace e alla solidarietà fra etnie e religioni diverse, e un messaggio di speranza da parte dell’arcivescovo di Kirkuk (AsiaNews/Agenzie).

Kirkuk (AsiaNews/Agenzie) – Un Natale di paura e di tristezza per i cristiani iracheni, nel ricordo dei martiri uccisi il 31 ottobre nella cattedrale siro-cattolica di Nostra Signora del Perpetuo Soccorso di Baghdad. Molte messe cancellate, in tutto il Paese, e grandi misura di sicurezza. Ma anche la determinazione a restare, espressa in un messaggio inviato anche ad AsiaNews dall’arcivescovo di Kirkuk Louis Sako. Secondo Middle East Concern le celebrazioni sono state abolite a seguito di minacce postate su siti web di gruppi islamici. “La decisione è stata presa dopo che le minacce sono state ripetute martedì 22 dicembre. Le chiese a Baghdad Mosul e Kirkuk hanno deciso di non affiggere decorazioni natalizie e hanno cancellato le funzioni nelle ore di buio”.

Il primo Ministro Nouri al-Maliki ha chiesto ai cristiani di non farsi scacciare dall’Iraq. “I tentativi di allontanare i cristiani dalla loro patria, a cui appartengono da secoli, è un grande crimine contro l’unità nazionale” ha scritto nel suo messaggio di auguri il 25 dicembre.  Ma molte chiese a Mosul non hanno tenuto celebrazioni; e a Basra le strade che conducevano alle chiese erano chiuse con filo spinato, e gli edifici erano circondati dalle forze di sicurezza.

In questo quadro cupo l’arcivescovo di Kirkuk ha voluto parlare di speranza. “Finché ci sosteniamo gli uni con gli altri: arabi, kurdi e turcomanni, musulmani e cristiani, resisteremo e resteremo, perché l’Iraq senza di noi perderebbe la sua bella multi-identità. Resteremo perché siamo impegnati nell’amore e nella solidarietà gli uni verso gli altri. Questa è la strada verso la resurrezione, la vita e il rinnovamento”.

Mons. Sako ha ricordato il 31 ottobre: “Viviamo in Iraq oggi un’esperienza dolorosa, che è culminata nel massacro di Nostra Signora del Perpetuo Soccorso, che ha scioccato sia i cristiani che i musulmani; ma siamo determinati a resistere ad affrontare questo cimento. Non cederemo alla tentazione e alla frustrazione perché la vita è un dono di Dio ed è più grande delle mani del male che vogliono distruggerla”.

“Se torniamo all’essenza della religione e alle nostre comuni radici umane, inevitabilmente ci ritroveremo fratelli in eguaglianza, giustizia e solidarietà. Allora il pericolo svanirà e la vita rifluirà abbondante. Questa è la Buona Novella di Natale, la nascita di Gesù Cristo con il suo messaggio di speranza: gloria a Dio nell’alto dei cieli e pace sulla terra”. 

 Il presule di Kirkuk ha chiuso il suo messaggio con un appello alla pace: “La pace è il fondamento di ogni bene: la chiediamo pregando e la facciamo vivere con la solidarietà e l’amore reciproco. Allora accadrà il miracolo e avremo pace sulla terra per gli esseri umani e la gloria di Dio nei cieli. Noi crediamo che Dio è il Signore di tutto, anche di ciò che sembra impossibile”.


27/12/2010- VIETNAM - Proibita al vescovo di Kontum la messa di Natale coi montagnard di Joseph Dang - In precedenza il governo aveva assicurato il permesso. Le autorità sono preoccupate per la grande ondata di conversioni nella diocesi: 50 mila negli ultimi due anni. La polizia ha cercato anche di ritirare la patente agli autisti del “vescovo vagabondo” che percorre centinaia di chilometri per il suo lavoro pastorale AsiaNews).

Hanoi (AsiaNews) – Le autorità vietnamite hanno proibito a mons. Michael Hoang Duc Oanh, vescovo di Kontum di celebrare la messa di Natale con i fedeli del villaggio di Son Lang nella contea di K’Bang (Vietnam centrale), nella zona dei montagnard. Il divieto è avvenuto nonostante che il governo fosse stato informato dell’evento.

Nella sua lettera pastorale del 22 dicembre, mons. Hoang afferma che egli ha discusso con le autorità se avrebbe potuto svolgere il suo lavoro pastorale come vescovo della diocesi, senza ostacoli da parte del governo locale. “Le autorità a diversi livelli – egli scrive – mi hanno assicurato che avrei potuto farlo”.

E invece, alle 10 del mattino del 25 dicembre, le autorità di Son Lang, insieme a poliziotti e picchiatori gli hanno proibito di celebrare la messa. “Se vuoi celebrare la messa – gli hanno detto – puoi farlo, ma non qui e non per tutti. Devi andare nelle famiglie ad una ad una e ogni messa che celebri non deve durare più di un’ora”. Il vescovo ha allora benedetto l’assemblea e ha cancellato la messa in segno di protesta.

Fra i possibili motivi del divieto vi è il tentativo di ostacolare l’opera evangelizzatrice del prelato, che sta avendo un enorme successo. Mons. Hoang, che conosce francese, inglese e diverse lingue delle etnie montagnard locali (Bana, Jarai, Sedang…), dal giorno del suo insediamento nell’agosto 2003, è testimone di una grande ondata di conversioni: 30 mila montagnard si sono convertiti al cattolicesimo nel 2008 e altri 20 mila nel 2009.

Il gran numero di convertiti ha generato preoccupazione nel governo che cerca di impedirle in tutti i modi. Molti sacerdoti diocesani e decine di religiosi - impegnati nel lavoro pastorale per gli oltre 216 mila cattolici – hanno ricevuto diverse proibizioni.

Alla vigilia di Natale, il vescovo ha potuto celebrare messa nel villaggio di An Trung (contea di Kon Chro). Egli doveva poi recarsi in un convento vicino per cenare e passare la notte. La polizia è andata al convento per sequestrare le patenti di guida degli autisti del vescovo, ma non l’hanno trovato. Per strada egli aveva incontrato una ragazza che voleva suicidarsi e l’ha accompagnata all’ospedale. Dopo aver dormito all’aperto, mons. Hoang ha potuto celebrare un’altra messa a Yang Trung, al mattino presto, prima di essere bloccato a Son Lang.

Mons. Hoang viene definito dai suoi amici “il vescovo vagabondo (itinerante)” per i molti chilometri che macina in macchina per andare a visitare le sue comunità. Sebbene ostacolato, non perde il suo humor. Commentando le sue dormite all’aperto, sotto il cielo stellato, dice: “Io dormo in un hotel da un milione di stelle”.

La diocesi di Kontum, con 25.758 chilometri quadrati è una delle più estese del Vietnam.


Il Papa a pranzo con i senza fissa dimora nel centenario della nascita di madre Teresa di Calcutta - Una corsia preferenziale per i poveri (©L'Osservatore Romano - 27-28 dicembre 2010)

"La sua figura piccola, con le mani giunte o mentre accarezzava un malato, un lebbroso, un moribondo, un bimbo, è il segno visibile di un'esistenza trasformata da Dio". Così il Papa ha ricordato la beata Teresa di Calcutta nel centenario della nascita, al termine del pranzo offerto domenica 26 dicembre, nell'atrio dell'Aula Paolo vi, ai poveri assistiti nelle comunità romane delle missionarie della carità.

Cari amici,
sono molto contento di essere oggi con voi e rivolgo il mio cordiale saluto alla Reverenda Madre Generale delle Missionarie della Carità, ai Sacerdoti, alle Suore, ai Fratelli contemplativi e a tutti voi presenti per vivere insieme questo momento fraterno.
La luce del Natale del Signore riempie i nostri cuori della gioia e della pace annunciata dagli Angeli ai pastori di Betlemme:  "Gloria a Dio nel più alto dei cieli e sulla terra pace agli uomini, che egli ama" (Lc 2, 14). Il Bambino che vediamo nella grotta è Dio stesso che si è fatto uomo, per mostrarci quanto ci vuole bene, quanto ci ama:  Dio è diventato uno di noi, per farsi vicino a ciascuno, per vincere il male, per liberarci dal peccato, per darci speranza, per dirci che non siamo mai soli. Noi possiamo sempre rivolgerci a Lui, senza paura, chiamandolo Padre, sicuri che in ogni momento, in ogni situazione della vita, anche nelle più difficili, Egli non ci dimentica. Dobbiamo dirci più spesso:  Sì, Dio si prende cura proprio di me, mi vuole bene, Gesù è nato anche per me; devo avere sempre fiducia in Lui.
Cari fratelli e sorelle, lasciamo che la luce del Bambino Gesù, del Figlio di Dio fatto uomo illumini la nostra vita per trasformarla in luce, come vediamo in modo speciale nella vita dei santi. Penso alla testimonianza della beata Teresa di Calcutta, un riflesso della luce dell'amore di Dio. Celebrare 100 anni dalla sua nascita è motivo di gratitudine e di riflessione per un rinnovato e gioioso impegno al servizio del Signore e dei fratelli, specialmente dei più bisognosi. Il Signore stesso voleva essere bisognoso, come sappiamo. Care Suore, cari Sacerdoti e Fratelli, cari amici del personale, la carità è la forza che cambia il mondo, perché Dio è amore (cfr. 1 Gv 4, 7-9). La beata Teresa di Calcutta ha vissuto la carità verso tutti senza distinzione, ma con una preferenza per i più poveri e abbandonati:  un segno luminoso della paternità e della bontà di Dio. Ha saputo riconoscere in ognuno il volto di Cristo, da Lei amato con tutta se stessa:  il Cristo che adorava e riceveva nell'Eucaristia continuava ad incontrarLo per le strade e per le vie della città, diventando "immagine" viva di Gesù che versa sulle ferite dell'uomo la grazia dell'amore misericordioso. A chi si domanda perché Madre Teresa sia diventata così famosa, la risposta è semplice:  perché è vissuta in modo umile e nascosto, per amore e nell'amore di Dio. Ella stessa affermava che il suo più grande premio era amare Gesù e servirlo nei poveri. La sua figura piccola, con le mani giunte o mentre accarezzava un malato, un lebbroso, un moribondo, un bimbo, è il segno visibile di un'esistenza trasformata da Dio. Nella notte del dolore umano ha fatto risplendere la luce dell'Amore divino e ha aiutato tanti cuori a trovare quella pace che solo Dio può donare.
Ringraziamo il Signore, perché nella beata Teresa di Calcutta tutti abbiamo visto come la nostra esistenza può cambiare quando incontra Gesù; può diventare per gli altri riflesso della luce di Dio. A tanti uomini e donne, in situazioni di miseria e di sofferenza, Ella ha donato la consolazione e la certezza che Dio non abbandona nessuno, mai! La sua missione continua attraverso quanti, qui come in altre parti del mondo, vivono il suo carisma di essere missionari e missionarie della Carità. La nostra gratitudine è grande, care Sorelle, cari Fratelli, per la vostra presenza umile, discreta, nascosta agli occhi degli uomini, ma straordinaria e preziosa per il cuore di Dio. All'uomo spesso in ricerca di felicità illusorie, la vostra testimonianza di vita dice dove si trova la vera gioia:  nel condividere, nel donare, nell'amare con la stessa gratuità di Dio che rompe la logica dell'egoismo umano.
Cari amici! Sappiate che il Papa vi vuole bene, vi porta nel cuore, vi raccoglie tutti in un abbraccio paterno e prega per voi. Tanti auguri! Grazie per aver voluto condividere la gioia di questi giorni di festa. Invoco la materna protezione della Santa Famiglia di Nazareth che oggi celebriamo - Gesù, Maria e Giuseppe - e benedico voi tutti e i vostri cari.


Radio Vaticana, notizia del 27/12/2010 - Approvato lo statuto di “Nuovi Orizzonti”. Chiara Amirante: vogliamo portare la luce del Vangelo a chi vive senza amore

Il Pontificio Consiglio per i Laici ha firmato in questi giorni il decreto di approvazione "ad experimentum" dello Statuto della Comunità “Nuovi Orizzonti”. Tale atto rappresenta il riconoscimento dell'opera svolta dall’associazione di fedeli, impegnata in particolare nell’ambito del disagio giovanile. Alessandro Gisotti ha chiesto alla fondatrice di “Nuovi Orizzonti”, Chiara Amirante, di raccontare i sentimenti con i quali ha accolto la notizia dell’approvazione dello Statuto:

R. – Lo abbiamo accolto con grande commozione e stupore, perché in qualche modo è un nuovo importante sigillo della Chiesa che ci assicura che questo carisma è un dono dello Spirito Santo, una via che il Signore ha tracciato affinché possiamo impegnarci con fervore, sempre crescente, nel santo viaggio di fare della nostra vita un grazie di amore al suo amore. Chiaramente questo tipo di riconoscimento, oltre ad essere per noi un grande regalo, in qualche modo accresce questo senso di responsabilità nel vivere questo carisma, con sempre maggiore radicalità, perché possa portare frutti abbondanti, innanzitutto nella vita di ciascuno di noi e poi – speriamo – in tutta la Chiesa. Se c’è una caratteristica dell’uomo della società dei consumi è proprio questo suo senso di tristezza, di vuoto, di solitudine. Noi sentiamo che la grande scoperta della nostra vita è proprio quella che stiamo - più che mai – contemplando in questi giorni: il Signore della creazione è venuto ad abitare in mezzo noi, è l’Emmanuel, il Dio con noi, e ci ha dato anche il segreto per la pienezza della gioia, che per noi è stata un po’ – per me personalmente e poi per tutti i membri della comunità – una folgorazione.

D. – Qual è il cuore del messaggio che “Nuovi Orizzonti” sta annunciando ormai da 20 anni?

R. – Non andiamo a cercare la gioia nelle vie che il mondo ci propone e che spesso sono vie di morte - e questo tutti i ragazzi che bussano alle porte di “Nuovi Orizzonti” ce lo testimoniano ampiamente - ma percorriamo quella via che Gesù Cristo ci ha mostrato, Lui che si è fatto via per noi, che è l’amore e che questa gioia del cielo, a cui siamo comunque chiamati e che rappresenta un desiderio indelebile impresso nella nostra anima, possa non solo risplendere nel nostro cuore, ma raggiungere tanti. Adesso molti sono portati a pensare a “Nuovi Orizzonti” come a tante comunità di accoglienza per i giovani nel disagio, ma io non ho mai avuto in mente di fondare comunità di recupero. Semplicemente mi sono sentita raggiunta da questa grande notizia della gioia della Resurrezione, da questa grande notizia del Vangelo, che sono convinta che se lo viviamo alla lettera può suscitare una rivoluzione silenziosa e capace di rinnovare il mondo. Ho sentito poi la responsabilità di doverla condividere con chi vedevo più nella sofferenza, andando proprio a cercare quindi quei giovani che vedevo disperati. “Nuovi Orizzonti” è nato così: da questo semplice desiderio di condividere la gioia che il Cristo Risorto ci dona con chi è più disperato. Certo, poi si sono moltiplicati i centri di accoglienza e le iniziative. Quello che anima e caratterizza quelli che sono ormai più di 120 mila Cavalieri della Luce, i giovani cioè impegnati a vivere con radicalità il Vangelo, è l’impegno a testimoniare e portare la gioia di Cristo Risorto a quanti vivono in situazioni di sofferenza.

D. – Qual è l’augurio di Chiara Amirante per l’anno nuovo e che rivolge anche ai nostri ascoltatori?

R. – L’augurio è di poterci far raggiungere da questa grande notizia che abbiamo celebrato proprio in questi giorni: la notizia del Signore delle galassie, del Signore della storia e della creazione che “solo” è venuto ad abitare in mezzo a noi duemila anni fa: “il Verbo si è fatto carne ed è venuto ad abitare in mezzo a noi”. Lui stesso ci ha promesso: “Io sarò con voi, tutti i giorni, fino alla fine dei tempi” e tutti i giorni noi possiamo accoglierlo. Allora l’augurio è che sia sempre Natale, che sia sempre la festa del Natale proprio nell’accogliere Gesù che viene. Quindi l’augurio è proprio quello di accogliere il Signore Gesù, accogliere la sua gioia e portarla in un mondo che sempre più sta morendo per mancanza di amore: c’è bisogno di amore…(mg)


Radio Vaticana, notizia del 26/12/2010 - Cristiani perseguitati e discriminati nel mondo: poca attenzione dai media

Nel giorno in cui si ricorda anche Santo Stefano, primo martire cristiano, la Chiesa si sente particolarmente vicina a tutte le comunità ecclesiali perseguitate nel mondo. Ieri il Papa, nel suo Messaggio natalizio, ha elevato la sua preghiera a Dio perché “doni perseveranza a tutte le comunità cristiane che soffrono discriminazione e persecuzione” ispirando “i leader politici e religiosi ad impegnarsi per il pieno rispetto della libertà religiosa di tutti”. Già nel discorso alla Curia Romana, il 20 dicembre scorso, Benedetto XVI aveva levato un accorato appello a fermare la cristianofobia nel mondo. D’altro canto, se negli ultimi mesi ha avuto una certa diffusione il caso di Asia Bibi, la madre di 5 figli condannata a morte in Pakistan per blasfemìa, molto spesso le persecuzioni anticristiane non ricevono attenzione dai media. Alessandro Gisotti ne ha parlato con padre Bernardo Cervellera, direttore dell’agenzia AsiaNews:

R. – E’ molto buono che il caso di Asia Bibi sia arrivato sulle prime pagine dei giornali di tutto il mondo perché finalmente ha mostrato un po’ di luce sulla situazione terribile dei cristiani in Pakistan: sono una minoranza piccolissima ma sono veramente bersagliati come non mai. Non c’è soltanto un’emarginazione dal punto di vista sociale per cui ai cristiani non è concesso avere certi lavori e certe cariche ma c’è questa legge sulla blasfemia che li colpisce in un modo totalmente violento e imprevedibile. Asia Bibi è un po’ il simbolo di tutta questa sofferenza e di tutto questo lavoro di testimonianza che sta facendo la comunità cristiana in Pakistan.

D. – Quali sono le situazioni che destano maggiore preoccupazione guardando soprattutto all’anno che si sta chiudendo?

R. - Una delle situazioni di maggiore preoccupazione nel mondo mediorientale è quella dell’Iraq dove il governo non riesce a garantire assolutamente la sicurezza della vita dei cristiani che pure sono una minoranza così preziosa per la storia dell’Iraq e per lo stesso Paese, per la sua stessa cultura. Bisogna però dire che questa situazione, dove appunto c’è insicurezza in Medio Oriente, ha una sua “fonte” nell’Arabia Saudita dove, non dimentichiamolo, ci sono milioni di cristiani andati lì a lavorare e dove non c’è possibilità di celebrare Messa, di pregare in privato, dove non è possibile neanche finire di costruire una piccola cappellina. Poi, secondo me, la situazione più drammatica e più dolorosa è quella dei cristiani, dei pochi cristiani che ci sono in Nord Corea. Lì c’è una dittatura di tipo ideologico e basta che uno abbia la Bibbia che viene condannato a morte. Direi che la Nord Corea è la punta dell’iceberg di una persecuzione da parte del mondo comunista che ha sempre detto che la religione è l’oppio dei popoli e quindi ha cercato sempre di eliminarla oppure di dominarla in qualche modo. Quindi, dietro la Nord Corea metterei la Cina.

D. – Nel discorso alla Curia Romana il Papa ha levato un forte appello a fermare la cristianofobia nel mondo. Come assumere questo impegno anche nell’informazione?

R. – Nell’informazione è importante che tutti questi fatti e queste violenze vengano denunciate e vengano messe in chiaro perché molto spesso da parte dell’Occidente, in particolare, c’è un po’ la “politica dello struzzo”: non vedere, non parlare, così si può andare avanti a commerciare. L’Occidente e l’Oriente, invece, dialoghino non soltanto sul commercio ma anche sulle rispettive culture e portino l’uno all’altro l’impegno per migliorare la dignità dell’uomo perché, di fatto, i contatti tra i vari Paesi ormai sono soltanto di tipo strettamente economico e questo impoverisce il valore della persona umana. (bf)


Benedetto XVI uomo dell'anno. Per le sue omelie - Sono l'asse del suo magistero ordinario. Narrano l'avventura di Dio nella storia del mondo. Sollevano il velo sulle "cose di lassù". Una guida alla lettura della predicazione liturgica dell'attuale papa di Sandro Magister

ROMA, 27 dicembre 2010 – Quella che segue è la prefazione al volume – edito in Italia da Libri Scheiwiller e in vendita da poche settimane – che raccoglie le omelie di Benedetto XVI nell'anno liturgico appena trascorso, l'anno C del lezionario romano.

Terzo della serie, il volume accompagna ogni omelia di papa Joseph Ratzinger con le letture bibliche della messa del giorno, come pure con i salmi e le antifone dei vespri da lui celebrati.

Nell'esortazione apostolica postsinodale "Verbum Domini" sulla Parola di Dio nella vita della Chiesa, pubblicata lo scorso 30 settembre, un paragrafo, il 59, è dedicato proprio alla cura dell'omelia, che in effetti è il principale, se non l'unico, atto di comunicazione della buona novella cristiana ascoltato da centinaia di milioni di battezzati ogni domenica nel mondo.

Nell'arte dell'omelia, indubitabilmente, Benedetto XVI è uno straordinario modello.

E questo libro ne è la prova:

Benedetto XVI, "Omelie di Joseph Ratzinger, papa. Anno liturgico 2010", a cura di Sandro Magister, Libri Scheiwiller, Milano, 2010, pp. 420, euro 18,00.

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"COME PAPA LEONE MAGNO, ANCHE PAPA BENEDETTO PASSERÀ ALLA STORIA PER LE SUE OMELIE" - di Sandro Magister

Sono tre le annualità che scandiscono il messale romano domenicale e festivo, con al centro di ciascuna i Vangeli di Matteo, di Marco e di Luca. Nel pubblicare anno dopo anno le omelie di Benedetto XVI, Libri Scheiwiller si è attenuto a questa sequenza. Con questo terzo volume della serie si chiude il triennio. Esso raccoglie le omelie papali dell'anno liturgico lucano, che è iniziato con la prima domenica di Avvento del 2009 e si è disteso sull'arco del 2010.

Le omelie della messa e dei vespri sono un asse portante di questo pontificato, ancora non da tutti capito. Joseph Ratzinger le scrive in buona parte di suo pugno, alcune le pronuncia a braccio con l'immediatezza della lingua parlata. Ma sempre le pensa e prepara con estrema cura, perché per lui hanno una valenza unica, distinta da tutte le altre sue parole scritte o pronunciate. Le omelie, infatti, sono parte dell'azione liturgica, anzi, sono esse stesse liturgia, quella "liturgia cosmica" che egli ha definito "meta ultima" della  sua missione apostolica, "quando il mondo nel suo insieme sarà diventato liturgia di Dio, adorazione, e allora sarà sano e salvo". C'è molto Agostino in questa visione di Ratzinger, c'è la città di Dio in cielo e sulla terra, ci sono il tempo e l'eterno. Nella messa il papa vede "l'immagine e l'ombra delle realtà celesti" (Ebrei 8, 5). Le sue omelie hanno il compito di sollevare il velo.

E in effetti, a rileggerle, esse schiudono una visione del mondo e della storia colma di nuovi significati, che sono poi il cuore della buona novella cristiana, perché "se Gesù è presente, non esiste più alcun tempo privo di senso e vuoto". L'Avvento è "presenza", "arrivo", "venuta", ha detto il papa nell'omelia inaugurale di questo anno liturgico. "Dio è qui, non si è ritirato dal mondo, non ci ha lasciati soli", e quindi il tempo diventa "kairós", occasione unica, favorevole, di salvezza eterna, e la creazione intera cambia volto "se dietro di essa c'è lui e non la nebbia di un'incerta origine e di un incerto futuro".

Ma il tempo della "civitas Dei" non è informe. Ha un ritmo che gli è dato dal mistero cristiano che lo riempie. Ogni messa, ogni omelia cade in un tempo preciso, la cui scansione fondamentale procede di domenica in domenica. Il "giorno del Signore" ha come protagonista colui che è risorto il primo giorno dopo il sabato, divenuto figura dell'"octava dies" della vita eterna. La presenza del Risorto nel pane e nel vino consacrati è reale, realissima, predica incessantemente il papa. Per vederlo e incontrarlo basta che gli occhi della fede si aprano, come ai discepoli di Emmaus, che riconobbero Gesù proprio nel sacramento dell'eucaristia, "allo spezzare del pane".

"L'anno liturgico è un grande cammino di fede", ha ricordato il papa prima di un Angelus, in una di quelle sue brevi meditazioni domenicali costruite come piccole omelie sul Vangelo del giorno. È come camminare sulla strada di Emmaus, in compagnia del Risorto che accende i cuori spiegando le Scritture. Da Mosè ai profeti a Gesù, le Scritture sono storia, e con esse il camminare si fa storia e l'anno liturgico la ripercorre tutta, attorno alla Pasqua che gli fa da asse. Avvento, Natale, Epifania, Quaresima, Pasqua, Ascensione, Pentecoste. Fino alla seconda venuta di Cristo alla fine dei tempi. Ciò che fa della liturgia cristiana un "unicum", e il papa non smette di predicarlo, è che la sua narrazione non è solo memoria. È realtà viva e presente. In ogni messa accade quello che Gesù annunciò nella sinagoga di Nazaret dopo aver riavvolto il rotolo del profeta Isaia: "Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato" (Luca 4, 21).

Nelle omelie, papa Benedetto svela anche cos'è la Chiesa. Lo fa in obbedienza alla più antica professione di fede: "Credo nello Spirito Santo, la santa Chiesa cattolica, la comunione dei santi, la remissione dei peccati". La "comunione dei santi" è primariamente quella dei santi doni, è quel santo dono salvifico dato da Dio nell'eucaristia, accogliendo il quale la Chiesa è generata e cresce, in unità su tutta la terra e con i santi e gli angeli del cielo. La "remissione dei peccati" sono il battesimo e l'altro sacramento del perdono, la penitenza. Se questo professa il "Credo", allora davvero la Chiesa non è fatta dalla sua gerarchia, non dalla sua organizzazione, tanto meno è uno spontaneo associarsi di uomini solidali, ma è puro dono di Dio, creatura del suo Santo Spirito, che genera il suo popolo nella storia, con la liturgia e i sacramenti. 

C'è un'immagine che torna di frequente nelle omelie del papa: "Uno dei soldati con la lancia gli colpì il fianco, e subito ne uscì sangue e acqua" (Giovanni 19, 34). Ecco di nuovo il sangue e l'acqua, l'eucaristia e il battesimo, la Chiesa che nasce dal fianco trafitto del Crocifisso, nuova Eva dal nuovo Adamo. Il ricorso alle immagini è un altro dei distintivi delle omelie di Benedetto XVI. Nella cattedrale di Westminster, il 18 settembre 2010, fece alzare lo sguardo di tutti al grande Crocifisso che domina la navata, al Cristo "schiacciato dalla sofferenza, sopraffatto dal dolore, vittima innocente la cui morte ci ha riconciliati con il Padre e ci ha donato di partecipare alla vita stessa di Dio". Dal suo sangue prezioso, dall'eucaristia, la Chiesa attinge la vita. Ma il papa aggiunse anche, citando Pascal: "Nella vita della Chiesa, nelle sue prove e tribolazioni, Cristo continua a essere in agonia fino alla fine del mondo".

Nella predicazione liturgica di Benedetto XVI le immagini bibliche e quelle dell'arte hanno una costante funzione mistagogica, di guida al mistero. Lo stupore dell'invisibile intravisto nel visibile artistico rimanda all'ancor più grande meraviglia del Risorto presente nel pane e nel vino, principio della trasformazione del mondo, affinché anche la città degli uomini "diventi un mondo di risurrezione", una città di Dio.

La maggior parte delle omelie raccolte in questo volume sono state pronunciate dal papa durante la messa, dopo la proclamazione del Vangelo. Ma ve ne sono anche alcune pronunciate nei vespri, prima del canto del "Magnificat". I luoghi sono i più vari, in Italia e all'estero, in villaggi e metropoli: Roma, naturalmente, ma anche Castel Gandolfo, Malta, Torino, Fatima, Porto, Nicosia, Sulmona, Carpineto, Glasgow, Londra, Birmingham, Palermo. Particolare il caso dell'omelia della IV domenica di Quaresima, pronunciata dal papa durante un servizio liturgico ecumenico, nella chiesa luterana di Roma.

In appendice, come già nelle due precedenti raccolte, sono riportati anche alcuni di quei piccoli gioielli di omiletica minore, sulle letture della messa del giorno, che Benedetto XVI offre ai fedeli e al mondo la domenica mezzogiorno prima dell'Angelus oppure, nel tempo pasquale, prima del Regina Cæli.

Tra le maggiori e le minori, le omelie qui raccolte arrivano così all'ottantina, coprendo quasi l'intero arco dell'anno liturgico: una prova in più della cura che papa Benedetto dedica a questo suo ministero. Il cardinale Angelo Bagnasco ne ha riconosciuto la grandezza e l'ha eletta a modello per tutti i pastori della Chiesa, quando ai vescovi del consiglio permanente della conferenza episcopale italiana, il 21 gennaio 2010, ha detto: "Non temiamo di dirci ammirati di questa sua arte, e non ci stanchiamo di indicarla a noi stessi e ai nostri sacerdoti come una scuola di predicazione alta e straordinaria". Come papa Leone Magno, anche papa Benedetto passerà alla storia per le sue omelie.


Concilio Ecumenico Vaticano II - di Cristina Siccardi - 27/12/2010 - Religione -dal sito http://www.libertaepersona.org

Il Concilio Vaticano II non è più un tabù. Questa sorprendente e provvidenziale realtà è stata sancita innanzitutto con lo storico discorso alla Curia romana di Benedetto XVI del 5 dicembre 2005, quando il Papa rimise sul tavolo delle questioni il Concilio stesso parlando di "ermeneutica della continuità", evidenziando perciò una lettura conciliare alla luce della Tradizione, elemento necessario, fondante e imprescindibile della Chiesa.

Pareva che il "superdogma" conciliare fosse intoccabile e chi tentava di trattarlo, senza glorificarlo, veniva guardato con grande sospetto, come fosse un nemico, che occorreva tenere a debita distanza e del quale bisognava diffidare…

A confermare ulteriormente che il Concilio non è più un tabù è stato in questi giorni il significativo e bellissimo Convegno di studi "per una giusta ermeneutica alla luce della Tradizione della Chiesa" che è stato organizzato dal Seminario teologico "Immacolata Mediatrice" dei Francescani dell’Immacolata.

L’iniziativa, dal titolo "Concilio Ecumenico Vaticano II. Un Concilio pastorale analisi storico-filosofico-teologica", è stata una prima seria risposta al dibattito aperto dal Sommo Pontefice: un’eccellente sintesi delle ricerche sul Concilio e sulle ermeneutiche, sul valore dei documenti conciliari, sull’esame dei punti meno chiari e più problematici.

L’importante evento, quasi apripista per altre iniziative di questo carattere, si è tenuto a Roma nei giorni 16-17-18 dicembre all’Istituto Maria SS. Bambina (via Paolo VI 21) e ha visto alternarsi sulla cattedra nomi di altissimo livello: Monsignor Luigi Negri (Vescovo di Marino-Montefeltro), Monsignor Brunero Gherardini (Pontificia Università Lateranense), Don Rosario M. Sammarco (Professore al Seminario Teologico Immacolata Mediatrice), Don Ignacio Andereggen (Professore all’Università Pontificia Gregoriana), Professor Roberto de Mattei (Università Europea di Roma), Professor Yves Chiron (Direttore del Dictionnaire de biographie française), Don Paolo M. Siano (Professore al Seminario Teologico Immacolata Mediatrice), Don Giuseppe Fontanella (Professore al Seminario Teologico Immacolata Mediatrice), Monsignor Atanasio Schneider (Vescovo ausiliare di Karaganda, Kazakistan), Don Serafino M. Lanzetta (Professore al Seminario Teologico Immacolata Mediatrice), Don Florian Kolfhaus (Dottore della Segreteria di Stato del Vaticano), Monsignor Agostino Marchetto (Segretario del Pontificio Consiglio della pastorale per i migranti), Don Nicola Bux (Professore all’Istituto ecumenico di Bari), Cardinale Velasio de Paolis (Presidente della Prefettura degli Affari economici della Santa Sede).

Al raduno di Roma, destinato a rimanere agli atti della storia, sia per il numero e la qualità dei relatori, sia per la materia trattata, erano presenti anche il Cardinale Walter Brandmüller e il segretario della Pontificia Commissione Ecclesia Dei, Monsignor Guido Pozzo e altri membri della Curia romana.

Dopo quarantacinque anni di culto conciliare, dove la prassi ha compiuto un’opera secolarizzante a vasto raggio, svuotando seminari e chiese e demotivando la Fede stessa, è giunto il momento di fare un’accurata riflessione su ciò che è stato il Concilio, su come sono stati condotti i lavori preconciliari e quelli propriamente conciliari. Insomma, è giunto finalmente il tempo di tornare ai contenuti della Fede e di analizzare tutto alla loro luce, dopo l’euforia innovativa e gli entusiasmi di una presunta "nuova Pentecoste", che aveva la specifica tensione a rendere antropomorfe le realtà soprannaturali; euforia ed entusiasmi tipici degli anni Sessanta, carichi di rivoluzionaria voglia di novità.

Con grande onestà intellettuale, il Convegno ha offerto il suo apporto su ciò che il Concilio è stato. Esami approfonditi e sistematici sono stati presentati con grande rigore e spessore intellettuale, facendo presente anche l’ambiguità di certuni testi conciliari, un’ambiguità che, ormai, nessuno può più far finta di non vedere o trascurare, visto che dai frutti si riconosce l’albero: "Voi li riconoscerete da' frutti loro; colgonsi uve dalle spine, o fichi da' triboli?" (Mt 7,16).

Ha dichiarato Don Kolfhaus (nel suo intervento dal titolo "Annuncio di un insegnamento pastorale-motivo fondamentale del Vaticano II. Ricerche su Unitatis redintegratio, Dignitatis humanae e Nostra aetate"): "Il Concilio Vaticano II voleva essere un concilio pastorale, cioè orientato alle necessità del suo tempo, rivolto all’ordine della prassi. Il cardinal Ratzinger già nel 1988 davanti ai vescovi del Cile affermava che il Concilio stesso non ha definito alcun dogma e volle coscientemente esprimersi a un livello inferiore, come concilio puramente pastorale".

Tuttavia, proprio questo "concilio pastorale" – proseguiva il cardinal Ratzinger – viene interpretato "come se fosse quasi un superdogma, che priva di significato tutti gli altri concili". Noi tutti lo constatiamo giorno per giorno: molti difendono il carattere vincolante e il significato del Vaticano II, che senza dubbio ci sono, ma solo pochi ricordano i venti concili dogmatici precedenti. In effetti, non mancano oggi forti richiami che mettono in guardia da un arretramento rispetto al Concilio e da una sua arbitraria svalutazione. Ciò è fuori discussione, non si tratta di questo.

Al contrario: quello che finora è l’ultimo concilio può essere rettamente compreso solo se rimane inserito nel magistero vivo di tutti i precedenti. E d’altra parte, il Vaticano II è stato un concilio come mai ve ne erano stati prima. Questa affermazione troverà d’accordo tutti, per quanto differenti possano essere le valutazioni su di esso. Nessun nuovo dogma, nessun solenne anatema, differenti categorie di documenti rispetto ai concili precedenti; e ciononostante il Vaticano II deve essere compreso nella continuità ininterrotta del Magistero, poiché esso fu un concilio della Chiesa legittimo, ecumenico e dotato della relativa autorità". Il problema centrale è la tensione creata dal concetto di "Concilio pastorale" o di "Magistero pastorale".

 Il Vaticano II ha introdotto, non sul piano concettuale, ma su quello della prassi, un nuovo tipo di Concilio. Qui non è in discussione il carattere vincolante del Magistero, che, anche quando non si tratta di dogmi, ovvero di definizioni infallibili della dottrina rivelata, si pronuncia in questioni di fede e morale con autorità, cioè esigendo consenso o obbedienza. Si tratta piuttosto della questione se il Magistero, inteso almeno come esercizio del "munus determinandi", sia affatto presente in tutti i documenti. "Il Concilio non ha proclamato nessun nuovo dogma, ma ha forse esercitato un magistero paragonabile a quello del Papa nelle sue encicliche?" ha posto il quesito Don Kolfhaus, al quale ha così risposto: "Nei decreti e nelle dichiarazioni non si tratta dell’affermazione magisteriale di verità, bensì dell’agire pratico, cioè della pastorale come conseguenza della dottrina. Nella teologia manca un concetto per questo magistero pastorale […]. Non si può fare a meno di rimproverare a certi teologi "moderni" un atteggiamento conservatore, poiché essi non di rado guardano ai decreti e alle dichiarazioni del Vaticano II come a testi dogmatici, che definiscono "nuove" verità. Il Concilio stesso non voleva questo".

Per esempio, a riguardo della dichiarazione sul dialogo interreligioso, il 18 novembre 1964, il relatore del Segretariato per l’unità dei cristiani dichiarò nell’aula conciliare: "Per quanto concerne lo scopo della dichiarazione, il Segretariato non vuole emanare alcuna dichiarazione dogmatica sulle religioni non cristiane, bensì presentare norme pratiche e pastorali" (cfr. Acta Synodalia (AS) III/8. 644).

Quanti teologi, invece, richiamandosi proprio alla Nostra aetate, da questi principi miranti alla prassi del dialogo hanno elaborato una teologia delle religioni che vede nelle fedi non cristiane vie di salvezza autentiche e indipendenti da Cristo e dalla sua Chiesa? Ha ancora spiegato il rappresentante della Segreteria di Stato: "Quanto spesso si è sostenuto, citando la Unitatis Redintegratio, che il Vaticano II avrebbe rinunciato alla "pretesa di assolutezza" della Chiesa, la quale dovrebbe comprendersi finalmente come una tra molte chiese? Chi legge gli atti, resta sorpreso. Nel decreto sull’ecumenismo si dichiara espressamente che le sue asserzioni non toccano nel modo più assoluto la verità dell’assioma "Extra Ecclesiam nulla salus" (cfr. AS III/7. 32) e che non v’è alcun dubbio che solo la Chiesa cattolica è la Chiesa di Cristo ("Clare apparet identificatio Ecclesiae Christi cum Ecclesia catholica … dicitur … una et unica Dei Ecclesia" AS II/7. 17.)".

 I Padri conciliari e i loro teologi, nelle cartelle portadocumenti, avevano i libri scolastici (preconciliari, dunque) utilizzati nei loro anni di studio, perciò, ha ancora sostenuto Kolfhaus: "Chi conosce a memoria le risposte del catechismo può usare con la coscienza tranquilla immagini ed espressioni nuove, quando si tratta di utilizzare la dottrina cattolica nella pratica e in un modo conforme ai tempi. La pastorale poggia sulla dottrina, la prassi presuppone la retta dottrina. Il rovesciamento di questo ordine porta troppo facilmente a far sì che con "una nuova realtà pastorale" si sviluppi una "nuova" dottrina. Esempi di ciò ve ne sono in abbondanza nella vita quotidiana delle comunità ecclesiali. Questo vale anche per molti teologi che – sorridendo delle semplici verità del catechismo – considerano le affermazioni pastorali conciliari alla stregua di asserti dottrinali, per poi sviluppare di qui nuove posizioni (personali)".

Proprio a questo riguardo si può individuare il grande problema che, prima o poi, dovrà essere preso in considerazione e risolto. Un Concilio, il XXI, non può per la sua caratterizzazione pastorale, nel deludente tentativo di confrontarsi e dialogare con il mondo, ergersi a solenne interprete dei venti concili precedenti. È indubbio che urge mettere ordine e delineare le diverse terminologie per fare, innanzitutto, un distinguo fra "magistero dottrinale", "magistero disciplinare", "magistero pastorale" e dunque definire il "Concilio pastorale", l’unico della Storia della Chiesa.

 In questa sistematizzazione trovano ampia risonanza i due volumi di immenso valore di monsignor Brunero Gherardini, illustre esponente della Scuola teologica romana: Concilio Ecumenico Vaticano II. Un discorso da fare (Casa Mariana Editrice 2009) e Quod et tradidi vobis. La Tradizione vita e giovinezza della Chiesa (Casa Mariana Editrice 2010).

 Il teologo Gherardini nel suo illuminante e chiarificatore intervento ha esordito facendo riferimento ad una figura allegorica: "C’era una volta l’Araba Fenice. Tutti ne parlavano, ma nessuno l’aveva mai vista. E c’è oggi una sua versione aggiornata, di cui pure tutti parlano e nessuno sa dire di che cosa si tratti: si chiama Pastorale. […]. La pastorale come aggettivo qualificativo o come aggettivo sostantivato ricorre in effetti decine e decine di volte. Non una sola, però, per darne se non la definizione, almeno un accenno di spiegazione. Riconosco che, analizzando criticamente le varie dichiarazioni, è possibile farsene una vaga idea; essa, però, non sarebbe espressione diretta dell’insegnamento conciliare. L’esempio più probante è dato da Gaudium et spes, qualificata addirittura come "Costituzione pastorale", tutta essendo un fermento ideale e propositivo a favore dell’uomo, della sua libertà e dignità, della sua presenza nella famiglia, nella società, nella cultura e nel mondo, allo scopo di conferire alla vita privata e pubblica un respiro ed una dimensione a misura umana. L’abbinamento dei due lemmi – Costituzione pastorale - è la novità più novità di tutto il Vaticano II […]. È forse dipeso da questa irrisolta aporia la problematicità che accompagna tuttora, dopo circa mezzo secolo di postconcilio, ogni discorso sulla pastorale. In pratica, essa serve per legittimar un po’ tutto ed il suo stesso contrario. Le due ermeneutiche conciliari, alle quali s’è spesso riferita l’analisi del Santo Padre, quella che fa del Vaticano II l’inizio d’un nuovo modo d’esser Chiesa e quella che lo collega invece alla vivente Tradizione ecclesiale, son ambedue legittimate dall’irrisolta aporia".

Chi ha dimestichezza non solo con la Gaudium et spes, ma con tutti i sedici documenti conciliari, ha proseguito monsignor Gherardini, si rende conto che la varietà tematica e la corrispettiva metodologia collocano il Vaticano II su quattro livelli, qualitativamente distinti (è possibile ascoltare l’intera conferenza di Monsignor Gherardini su http://catholicafides.blogspot.com/ connettendosi sulla TV dei Francescani dell'Immacolata): 1. Generico, del Concilio ecumenico in quanto Concilio ecumenico;

2. Specifico del taglio pastorale;

3. Dell’appello ad altri Concili;

4. Delle innovazioni.

Da ciò si deduce che molti teologi e interpreti del post-Concilio dogmatizzarono un Concilio che si volle pastorale, facendone altro rispetto a ciò che si prefisse chi lo convocò.

Altra rilevante relazione è stata quella del professor Roberto de Mattei, autore del recente e importante volume Il Concilio Vaticano II. Una storia mai scritta (Lindau 2010), giunto in pochi giorni alla seconda edizione: un testo fondamentale per chi vuole comprendere veramente la storia di questo snodo della vita della Chiesa e non continuare, pervicacemente, a coprirsi gli occhi. Il professore ha evidenziato come il Concilio Vaticano II non può essere presentato come un evento che nasce e muore nello spazio di tre anni, trascurando le profonde radici e le profonde conseguenze che ebbe nella Chiesa.

Fu, per il professor de Mattei, una vera e propria Rivoluzione in seno alla Chiesa; inoltre non è sostenibile la tesi di poter separare il Concilio dal post-Concilio, come non lo è quella di separare i testi conciliari dal contesto pastorale in cui furono prodotti. "Ancora oggi viviamo le conseguenze della "Rivoluzione conciliare" che anticipò e accompagnò quella del Sessantotto. Perché nasconderlo? La Chiesa, come affermò Leone XIII, aprendo agli studiosi l’Archivio Segreto Vaticano, "non deve temere la verità"".

Il Vescovo ausiliare di Karaganda, monsignor Atanasio Schneider, si è soffermato sul concetto di interpretazione del Concilio e dei suoi documenti e per fare ciò non si può fare certo riferimento ad una scuola particolare, come per esempio quella celebre, ma faziosa di Bologna, ma ci si deve riferire alle commissioni post-conciliari e agli episcopati per avere giudizi oggettivi e avulsi da posizioni sia minimaliste che massimaliste. Proprio per tale ragione monsignor Schneider ha coraggiosamente evocato la necessità di un nuovo Sillabo per evidenziare gli errori sorti nella interpretazione del Concilio e se un giorno tale documento pontificio dovesse essere pubblicato, ha affermato, sarà un grande beneficio per tutta la Chiesa.

Il 14 dicembre 2010, sul sito web Zenit padre Serafino Lanzetta aveva scritto che il Convegno si sarebbe tenuto "in un clima abbastanza rovente e in un crescente dibattito, segno che qui si nasconde un problema unito ad una speranza. Si desidera lumeggiare la vera natura del Concilio […]. Fino a poco tempo fa, il solo pensare di potersi porre in modo critico dinanzi al Vaticano II, appariva come una cripto-eresia per la coltre di silenzio che necessariamente doveva regnare, ammantandolo sol di lodi e di encomi. Eppure, dopo quarant’anni e più, siamo dinanzi ad un dato innegabile: la rottura e lo spirito del Concilio, ovvero quel modo di decontestualizzarlo dalla Tradizione bimillenaria, hanno prevalso e la Chiesa si è lentamente e progressivamente secolarizzata. Il mondo, in un certo senso, ha vinto sulla Chiesa; quel mondo che la Chiesa voleva raggiungere in ogni modo. Il Vaticano II è un problema? Sì, nel senso che le radici dell’estro post-conciliare non sono solo nel post-concilio. Il post-concilio non dà ragione di sé. Dunque, bisogna prendersi la briga, per amore della Chiesa e per il futuro della fede nel mondo, di andare ad esaminare la radice del problema".

La tre giorni si è chiusa con un nuovo intervento di monsignor Brunero Gherardini, il quale ha ribadito come il Concilio Vaticano II fu, appunto, un Concilio pastorale e su tale piano va collocato e giudicato, senza forzature ermeneutiche, cioè interpretative che ne "impongono la dogmatizzazione". La strada ormai è aperta e tracciata, sta agli uomini di buona volontà, coloro che desiderano servire il Regno di Dio e non il mondo, intraprenderla per amore di Cristo e della Sua Chiesa.

da www.messainlatino.it  Roma 16-17-18 dicembre 2010


LA DIALETTICA DIABOLICA - di P.Giovanni Cavalcoli,OP da http://www.riscossacristiana.it

Può stupire alquanto o forse anche irritare un accostamento della dialettica, metodo eminentemente razionale, col diavolo, soprattutto per chi considera il diavolo come residuo di una religiosità arcaica o come mitologica rappresentazione del male, soprattutto nella visione razionalista della dialettica, tipica di quella hegeliana o quella marxista.

Eppure, se badiamo all’etimologia dei rispettivi termini, dialettica e diabolica non sono poi così distanti fra loro. Esiste – questa è la mia tesi – una dialettica “diabolica”, considerando il diavolo non secondo certe raffigurazioni tradizionali più o meno fantasiose o grottesche, ma nel senso rigoroso e stretto della dogmatica cattolica, col suo necessario riferimento alla metafisica, cioè alla dinamica dell’essere e del pensiero. Mi spiego.

Infatti, stando alla suddetta etimologia, c’è da dire anzitutto che in entrambi i termini entra la preposizione greca “dià”, la quale esprime l’idea di differenza, separazione, opposizione, ma anche attraversamento, ossia collegamento tra due termini. Ecco allora rispettivamente la parola greca diaforà, che è la differenza e diàlogos, che comporta collegamento tra i due dialoganti.

Ecco allora dialettica da dià-lego e diavolo da dià-ballo. Lego: raccolgo, dico, parlo, da logos: parola, ragione. Essa è vicina a dià-noia, il pensiero. Ballo: lancio, getto, pongo, metto. Dialettica dice dunque opera della ragione o del pensiero per la quale essa oppone, contrappone e separa: il sì e il no, affermazione-negazione.

Diabolica dice lancio o pongo l’uno contro l’altro, metto discordia, opposizione, contrasto: ecco il diavolo, il divisore, il seminatore di guerre e discordie. Nell’uno come nell’altro caso la mente va facilmente all’idea della contraddizione, sia nel senso del logicamente contradditorio, sia nel senso nel contrasto, della lotta, del conflitto o dell’opposizione reali ed ontologici.

Il filosofo che avvicina sin quasi all’identificazione la dialettica, legata al pensiero, alla diabolica, legata all’essere, è Hegel, con la sua famosa concezione dell’essere come pensiero, in base al suo ben noto principio “ciò che è reale è razionale, ciò che è razionale, è reale”; ma pensiero-essere in divenire per opposizioni, anzi per contraddizioni. Per cui in Hegel sia il reale che il pensiero sono “dialettici”, ma sono anche “diabolici”. La sintesi dialettica in Hegel non esclude ma include la divisione e l’opposizione, anzi la contraddizione.

Inoltre, come è noto, il pensiero hegeliano è un pensiero monistico. L’ “Intero”, la “totalità” hegeliana è Dio stesso, l’Assoluto, che, se vogliamo, è l’ipsum Esse di S.Tommaso e il Pensiero sussistente di Aristotele, con la differenza che mentre l’ipsum esse e il pensiero sussistente aristotelico-tomisti sono distinti dal mondo, in Hegel sono identici con esso, c’è un “passaggio” , un divenire dall’uno all’altro.

Per il monismo hegeliano solo Dio esiste, e tutto il mondo è virtualmente contenuto in Dio identico con Dio: il panteismo. Il mondo è Dio e Dio è il mondo. Ed è panteismo idealista per l’identificazione dell’essere col pensiero, non solo in Dio, ma in tutto, anche nell’uomo, in quanto tutto è Dio. E un Dio “dialettico”, giacchè l’essere-pensiero è dialettico, Dio che diviene dialetticamente per contraddizione. Quindi la contraddizione è in Dio: il vero e il falso, il bene e il male. Dio causa della santità come del peccato, della vita come della morte.

Il Dio di Hegel potrebbe essere un’estremizzazione razionalista del Dio di Lutero, che  appare sub contraria specie: Dio appare come diavolo e il diavolo come Dio. Dio appare come oppressore, falso e cattivo, il diavolo come liberatore, sincero e buono. Secondo Hegel Adamo ed Eva hanno fatto bene a ribellarsi a Dio ascoltando il demonio, perché così sono diventati “liberi”, “conoscendo il bene e il male”, mentre prima erano come degli ingenui e stupidi “animali”. Ribellandosi al Dio trascendente, hanno immanentizzato Dio in se stessi e sono diventati Dio.

Lutero non ha torto nel credere che Dio in certe circostanze sembri cattivo – per esempio  il Padre che sacrifica il Figlio o nel momento della sventura e della sofferenza o quando Egli è “adirato” con noi e ci incolpa dei nostri peccati – e così pure il diavolo sembri buono, nel momento della tentazione o della seduzione. Ma essere non è sembrare. Lutero indubbiamente è un realista; ma la sua tendenza soggettivista, lo porta inevitabilmente a confondere l’apparenza soggettiva con la realtà oggettiva: Dio non solo sembra il diavolo, ma è il diavolo. Il male è anche in Dio. Se compio il male, è perché Dio mi spinge a farlo.

Da qui, attraverso Böhme, il mistico protestante del ‘600, che pone già il male in Dio, sorgerà il Dio hegeliano, Dio “dialettico” e “diabolico”, nel quale il vero è unito e al contempo opposto al falso e il bene al male, la vita alla morte, l’essere al divenire. Da qui il Dio che “diviene” di certe cristologie protestanti, oggi infiltratesi anche nel cattolicesimo: il Dio “debole”, “kenotico” (che si annulla), che “soffre”e “nega se stesso”, che “diviene” e “muta”.

Così nella cristologia hegeliana non c’è la distinzione fra natura divina e natura umana, ma col pretesto dell’unità della persona di Cristo, si ha anche l’“unità delle due nature”, dove gli attributi dell’una si fondono con quelli dell’altra o “passano” nell’altra. Da qui sorge l’umanesimo “cristiano” panteista-evoluzionista, nascostamente ateo, (l’uomo assorbito da Dio – l’uomo che diventa Dio) e l’umanesimo apertamente ateo di Marx (Dio assorbito nell’uomo – l’uomo che si sostituisce a Dio).

Noi cattolici non possiamo accettare questa cristologia. Dio è onnipotente, infinitamente sapiente e buono, immutabile e impassibile. In Cristo solo l’uomo muta, è debole, diviene, soffre e muore. L’unità della persona di Cristo è l’unità della sua persona divina, che non esclude affatto la distinzione delle due nature, divina ed umana, ma la comporta, e sarebbe assurdo pensare diversamente.

Quanto all’autocontraddizione o autonegazione in Dio, è un’orribile assurdità che non nega solo Dio ma l’ente in quanto tale, contravvenendo al principio primo del pensiero che è il principio di non contraddizione. Dio è semplicissimo, immortale e perfettamente identico a se stesso, in Lui non c’è nessuna “dialettica”, tanto meno la dialettica hegeliana della contraddizione. Dio muove e muta tutto ma non è Egli stesso mutevole.

E quanto a porre in Dio il falso, il male e la morte, il nulla, è una bestemmia. Cristo sulla croce non si mette in opposizione al Padre, come malamente intendono gli hegeliani, e con loro certi cristologi cattolici modernisti, riferendosi alle famose parole: “Dio mio, Dio mio, perché mi ha abbandonato?” e dimenticando tutte le altre parole che Gesù dice sulla croce, le quali manifestano con chiarezza la sua unione col Padre. Questi sono i risultati tremendi del panteismo hegeliano. Il falso, il male, la morte e il non-essere sono nel mondo, non in Dio.

Ma è logico che se si pone il mondo identico a Dio, il falso, il male e la morte entrano in Dio. Ma allora chi ci salva più dal male, se Dio stesso è cattivo? Chi ci insegna la verità se Egli stesso è falso, inaffidabile ed infedele? Chi ci rende stabili se Egli stesso muta? Chi ci rende felici se Egli stesso soffre? Chi ci dà la forza se Egli stesso è debole? Se Dio muore, chi ci dà la vita? Se Dio è “non-Dio”, non è come fare professione di ateismo? Se Dio esiste e non esiste, come fa a dare fondamento all’essere? Dove finisce il Dio creatore? E Dio non c’è, dobbiamo cavarcela da soli? Ma con quali risultati? Come vanno a finire le società totalitarie ed atee?

Noi cattolici siamo chiamati ad respingere con estrema fermezza queste bestemmie e queste assurdità assolutamente devastanti ed impensabili. Il Dio che “soffre” o che “muore”, il Dio debole lo si può intendere solo nel senso della comunicazione o scambio degli idiomi o dei predicati (communicatio idiomatum), certo usati già dai Padri, ma non assolutamente riferiti alla natura divina, giacchè un dio così non sarebbe neanche Dio, ed è assolutamente falso che un dio del genere sarebbe il Dio cristiano insegnato dalla Bibbia. Questo dio è insegnato dal diavolo.

Oggi pertanto il Concilio di Calcedonia con la sua famosa immortale formula “una persona in due nature”, ben lungi dall’essere “superato”, come credono i modernisti, è più che mai attuale e da riproporsi con forza e convinzione, se vogliamo essere veramente cattolici ed aperti alla salvezza che ci ha donato il Figlio di Dio.

Occorre distinguere la dialettica hegeliana da quella platonico-aristotelica, ripresa da S.Tommaso d’Aquino. Si tratta sempre di dialettica intesa come opposizione tra affermazione e negazione, essere e non-essere; ma in questo secondo caso essa non ha la pretesa di essere scienza, ma si pone solo sul piano dell’opinione e della discussione, ed è precisamente la capacità di argomentare in base a ragioni probabili in vista del raggiungimento della verità o di comuni accordi.

Essa pertanto non è “diabolica” ma dialogica, ossia non istituzionalizza né divinizza la contraddizione, ma, per mezzo del confronto delle idee, la supera nel raggiungimento di una prospettiva coerente nel campo del pensiero e di una pacifica ed armoniosa  coesistenza umana.      Questa dialettica, quindi, si presenta come necessario e normale funzionamento dello spirito ed è strumento indispensabile della ricerca umana collettiva della giustizia e della verità, per cui si attua in modo elettivo sia come dialettica socio-politica (dell’esistenza) che come dialettica culturale-spirituale (del pensiero).

Questo tipo di dialettica, pienamente conforme alla cristologia cattolica, è raccomandabile per una vita umana libera, sanamente pluralistica e moralmente costruttiva, mentre l’altra, al di là del fascino gnostico e delle apparenze mirabolanti, conduce, come dimostrano la storia e la sana ragione, alle più amare disillusioni ed alle più gravi tragedie.


La persecuzione dei cristiani nigeriani, uno stillicidio senza fine di Anna Bono 28-12-2010 da http://www.labussolaquotidiana.it

Si contano ormai 41 vittime e quasi 100 feriti a Maiduguri e a Jos, le due città della Nigeria teatro nei giorni scorsi di violenti attacchi alle comunità cristiane intente a celebrare il Natale. Accusata delle stragi è la setta islamica Boko Haram, un gruppo fondamentalista nato nel 2002, già protagonista di altri, gravissimi episodi di intolleranza religiosa.

Gli scontri tra musulmani e cristiani sono frequenti in Nigeria, uno stato federale diviso tra il nord di fede islamica e il sud prevalentemente cristiano. Nel paese, popolato da oltre 250 etnie, altra causa tradizionale di conflitto è la convivenza, sempre difficile in Africa, tra le tribù dedite alla pastorizia transumante e quelle agricole, spesso in lotta per il controllo di pascoli, terreni agricoli e sorgenti. Non di rado i due fattori si sovrappongono come è successo, ad esempio, lo scorso mese di marzo allorché, nel Plateau, un gruppo di pastori Fulani, un’etnia di religione islamica, ha attaccato tre villaggi abitati da Berom, un’etnia di contadini di religione cristiana, uccidendo in poche ore 500 persone. Qualche anno prima, nel 2004, erano stati gli agricoltori stanziali Tarok, cristiani, ad aggredire una comunità Fulani e anche allora le vittime erano state centinaia.

L’identità religiosa è diventata una minaccia alla stabilità sociale e politica soprattutto a partire dal 1999, proprio quando il paese, dopo 15 anni di regimi militari autoritari e corrotti, avviava un processo di democratizzazione varando una nuova costituzione fondata su valori di unità, giustizia, uguaglianza e libertà. Dall’ottobre di quell’anno infatti, uno dopo l’altro, 12 stati del nord a maggioranza islamica hanno adottato la shari’a, la legge coranica, violando la costituzione appena adottata. Nel marzo del 2000 nello stato di Zamfara veniva eseguita la prima amputazione della mano inflitta a un ladro in applicazione della shari’a. In quello stesso anno nel vicino stato di Kaduna l’opposizione dei cristiani all’introduzione della legge coranica ha dato luogo a scontri estesi che hanno provocato migliaia di morti.

Da allora, benché giunga notizia soltanto degli episodi più cruenti, è uno stillicidio di vittime e non si contano i danni materiali – chiese e moschee incendiate, abitazioni e attività economiche devastate – specie nei centri urbani dove gruppi di giovani sbandati, privi di lavoro e di prospettive, colgono l’occasione dei disordini per darsi a regolamenti di conti, atti di vandalismo e saccheggi.

Finora il fenomeno è stato sottovalutato o forse lo si è voluto minimizzare per non contribuire ad esasperare una situazione già critica. Sempre, in occasione di una strage come quella appena compiuta, si levano voci ad assicurare che la religione non c’entra. «Quello a cui si assiste – spiegava l’arcivescovo di Abuja, Monsignor John Olorunfemi Onaiyekan, all’indomani dell’aggressione Fulani ai Berom del Plateau – è il più classico dei conflitti tra pastori e agricoltori, ma siccome i pastori Fulani sono musulmani e gli agricoltori Berom sono cristiani, la stampa internazionale tende a dire che sono cristiani e musulmani a uccider»i”. Poi qualcun altro spiega che in realtà non c’entra neanche l’antagonismo tribale dal momento che la causa del contendere è una candidatura elettorale oppure una divergenza nata da interessi economici: per certi esperti d’Africa il tribalismo è soltanto un’invenzione coloniale...

In effetti sembra giusto definire “scontri di religione” solo quelli in cui a muovere i contendenti sono la fede diversa e l’obiettivo di imporla al resto della popolazione o di indurre con l’intimidazione e con la forza gli infedeli, in quanto tali, ad andarsene.

Altra cosa è che persone e comunità di religione diversa entrino in conflitto per questioni legate a interessi politici ed economici. Tuttavia non sempre è questo il caso in Nigeria e negarlo non giova a nessuno. Di sicuro non lo è quando, in una notte di Natale, i devoti riuniti nelle chiese vengono aggrediti e massacrati.


Boko Hakam, i "talebani nigeriani" di Anna Bono 28-12-2010 da http://www.labussolaquotidiana.it

Boko Haram è una setta islamica fondamentalista fondata nel 2002 a Maiduguri, capitale dello Stato nordorientale di Borno, da Ustaz Mohammed Yusuf, un maestro di religione. Nel 2004 la sede centrale è stata trasferita a Kanamma, nello Stato di Yobe, dove ha istituito una centrale operativa chiamata Afghanistan. La sua missione è ottenere l’adozione della shari’a, la legge coranica, in tutta la Nigeria e l’eliminazione del sistema scolastico laico.

Il suo nome, Boko Haram, il lingua hausa significa infatti «l’educazione occidentale è un peccato». La setta rifiuta inoltre la democrazia e la scienza in quanto si discostano dai contenuti dei testi sacri islamici. La lotta armata, con armi moderne, ma, all’occasione, anche usando archi e frecce avvelenate, è intesa come uno degli strumenti per raggiungere l’obiettivo.
Uno dei conflitti più gravi scatenati dai Boko Haram, soprannominati anche “talebani nigeriani”, è stato quello del luglio 2009, iniziato nello Stato settentrionale di Bauchi ed estesosi poi ai vicini Stati di Kano, Borno e Yobe. Durante gli scontri perirono oltre 700 persone. Le forze di polizia riuscirono ad arrestare il capo, Yusuf, che morì pochi giorni dopo, mentre era in carcere.

Da allora la guida della setta è passata a Mallam Sanni Umaru. A lui si deve una precisazione a suo avviso importante: « Boko Haram non significa in alcun modo “l’educazione occidentale è un peccato”, come nel ritratto che di noi continuano a dare i media infedeli. Boko Haram significa invece “la civiltà occidentale è proibita”. La differenza sta nel fatto che mentre la prima frase dà l’impressione che noi ci opponiamo all’educazione formale proveniente dall’Occidente, ovvero dall’Europa, cosa che però non è vera, la seconda afferma il nostro credo nella superiorità della cultura (non dell’educazione) islamica, giacché il concetto di cultura è più ampio e comprensivo dell’educazione benché non di quella definita dai criteri occidentali. In questo caso parliamo infatti degli stili di vita occidentali che includono le provvisioni costituzionali relative per esempio ai diritti e ai privilegi delle donne, l’idea dell’omosessualismo e del lesbismo, casi terribili da sanzionare quali il traffico di droga, lo stupro di minori, la democrazia multipartitica in un Paese a larghissima maggioranza islamica qual è la Nigeria, i film pornografici, il bere birra e altri alcolici, e molte altre questioni che sono contrarie alla civiltà islamica».


Avvenire.it, 28 dicembre 2010 - Nigeria: diritti negati e affari conclusi - Quegli occhi chiusi di fronte alla violenza di Giulio Albanese

Lo scandalo delle violenze a sfondo religioso, perpetrate in questi giorni nella cosiddetta Middle Belt nigeriana, ha turbato notevolmente le coscienze in Africa come nel resto del mondo. Ancora una volta, infatti, è tornato a scorrere in quella terra sangue innocente, proprio nel periodo natalizio, in cui il messaggio della pace, scandito a chiare lettere da Benedetto XVI in occasione della tradizionale benedizione Urbi et Orbi, avrebbe dovuto prendere il sopravvento sull’ottusità umana.

Si tratta di un fenomeno inquietante, che non può trovare alcuna giustificazione, ma che è anche sintomatico del malessere che attraversa vasti settori della società locale.Se da una parte il governo centrale di Abuja non è stato capace, in più circostanze, di difendere la libertà religiosa, peraltro sancita solennemente nella decima sezione del dettato costituzionale nigeriano, dall’altra il Paese continua a essere teatro di scontri tra opposte oligarchie che strumentalizzano la religione per affermare i propri interessi. E a cadere nella rete dell’inganno sono i ceti meno abbienti, che costituiscono la stragrande maggioranza della popolazione, tutta gente che vive di stenti nelle immense baraccopoli delle grandi città o nelle zone rurali.

A questo punto il timore è che gli scontri dello scorso fine settimana, che sono costati la vita a parecchie decine di persone tra cui un sacerdote, finiscano con il lievitare ulteriormente in vista delle imminenti elezioni presidenziali, alimentate soprattutto dai politici delle opposte fazioni. Tensioni radicate peraltro in decenni di risentimenti acuiti da una corruzione dilagante, aggravata a dismisura dai rilevanti interessi stranieri, legati soprattutto al business del petrolio di cui è ricchissima la Nigeria. Ma non v’è dubbio che, a parte i dodici stati del Nord che hanno deciso di applicare nell’ottobre del 1999 la sharìa (la legge islamica), in flagrante violazione della costituzione federale, la zona maggiormente sensibile è la Middle Belt, linea di faglia tra il Nord e il Sud del Paese, perché è proprio lì che sono maggiormente evidenti le tensioni etnico-religiose. Se infatti cristiani, musulmani e animisti convivono fianco a fianco in pace in molte città nigeriane, proprio nella Middle Belt si scontrano gli interessi per il controllo delle fertili terre della zona tra i gruppi autoctoni di cristiani e animisti da una parte e pastori nomadi musulmani di etnia Faulani, originari del Nord, dall’altra.

L’interpretazione faziosa della giurisprudenza fondiaria, unitamente alla scarsa vigilanza da parte sia delle autorità sia delle forze dell’ordine, hanno fatto sì che questi episodi di violenza si siano ripetuti ciclicamente, indebolendo lo stato di diritto. Come ha scritto un opinionista nigeriano commentando i tragici fatti di questi giorni, quella che si sta consumando è una "guerra tra poveri" che evidenzia l’urgenza di affermare la giustizia contro ogni forma di faziosità e fondamentalismo religioso. Da questo punto di vista, sarebbe davvero auspicabile che la diplomazia internazionale prendesse maggiormente coscienza delle proprie responsabilità nei confronti di un Paese che, se fosse amministrato rettamente, potrebbe garantire benessere e prosperità alla sua intera popolazione.

In questi anni, è bene rammentarlo, gli accordi internazionali di partenariato commerciale con la Nigeria troppe volte non hanno tenuto conto dell’agenda dei diritti umani e dei disastri ambientali perpetrati impunemente dall’industria degli idrocarburi sulla pelle della povera gente. Per questo motivo, è apprezzabile l’interessamento manifestato dal nostro ministro degli Esteri, Franco Frattini, che ha espresso la ferma condanna e la forte preoccupazione italiana per le gravi proporzioni assunte dal fenomeno dell’intolleranza religiosa in alcune regioni della Nigeria.

L’inaccettabilità di ogni violenza gratuita e indiscriminata contro persone innocenti dovrebbe infatti costituire, sempre e comunque, un punto fermo nelle relazioni tra gli Stati.


Si chiude l’anno della beata Madre Teresa, paladina della vita di Massimo Introvigne 28-12-2010 da http://www.labussolaquotidiana.it

Il Papa ha voluto concludere personalmente, il 26 dicembre, l’anno dedicato alle celebrazioni del centenario della nascita della beata Madre Teresa di Calcutta (1910-1997), pranzando nell’Aula Nervi con 350 senza tetto e con le suore di Madre Teresa che li assistono. «Celebrare cento anni dalla sua nascita – ha detto il Papa – è motivo di gratitudine e di riflessione». Madre Teresa «ha saputo riconoscere in ognuno il volto di Cristo, da Lei amato con tutta se stessa: il Cristo che adorava e riceveva nell'Eucaristia continuava ad incontrarlo per le strade e per le vie della città, diventando un'immagine viva di Gesù che versa sulle ferite dell'uomo la grazia dell'amore misericordioso».

Dell’anno centenario della Beata Madre Teresa, che in questi giorni si chiude, dovrebbero rimanerci due pensieri. Il primo è che la grande piccola suora non confuse mai la carità cristiana con un generico umanitarismo. Certo, portava il suo amore a tutti e non soltanto ai cristiani. Ma a chi non conosceva Cristo, dopo l’indispensabile pane materiale, non mancava mai di porgere anche il pane vivo del Vangelo. I poveri – ha ricordato il Papa quest’anno nell’esortazione apostolica Verbum Domini – sono sempre «bisognosi non solo di pane, ma anche di parole di vita. La diaconia della carità, che non deve mai mancare nelle nostre Chiese, deve essere sempre legata all’annuncio della Parola». L’offerta del pane o delle coperte che rinunciasse esplicitamente all’evangelizzazione sarebbe solo una mezza carità, o peggio una forma implicita di relativismo. Caritas in veritate, secondo il titolo dell’enciclica del 2009 del Papa: la carità materiale delle medicine e del cibo non dev’essere mai disgiunta dalla carità della verità.

Il secondo pensiero, che si tende spesso a dimenticare, è che in molti suoi interventi e discorsi la beata Madre Teresa ha ricordato con parole accorate il dramma dei poveri più poveri e più abbandonati: i bambini uccisi con l’aborto. Anche quando la si invitava a parlare d’altro, trovava spesso occasione d’inserire un riferimento alla difesa della vita. Trascurando le convenzioni e il gergo politicamente corretto che di solito circonda il Premio Nobel, quando le fu assegnato il riconoscimento nel 1979 – che era, tra l’altro, l’«Anno del bambino» proclamato dalle Nazioni Unite – stupì il pubblico di Oslo denunciando con parole fortissime l’aborto.

«La pace oggi – disse – è minacciata dall'aborto, che è una guerra diretta, un’uccisione compiuta dalla stessa madre. Anche il bambino non ancora nato è nelle mani di Dio. L'aborto è il peggior male e il peggior distruttore della pace. Noi non ci saremmo se i nostri genitori non ci avessero voluto. I nostri bambini li abbiamo desiderati e li amiamo. Ma che ne è degli altri milioni? Molti si preoccupano dei bambini dell'India e dell'Africa, che muoiono di fame e malattie, ma milioni muoiono per espressa volontà delle madri. L’aborto distrugge la pace: se una madre può uccidere il proprio bambino, che cosa impedisce a me di uccidere voi e a voi di uccidere me? Niente. All'inizio dell’“Anno del bambino” ho chiesto: facciamo in modo che ogni bimbo possa nascere e che ogni non desiderato possa diventare desiderato. L’ Anno è alla fine: i bambini li abbiamo veramente desiderati?».

Invitata a parlare alle Nazioni Unite nel 1985, ritorna sullo stesso tema: «Impediamo che vengano uccisi i bambini non ancora nati. L'aborto è una grave minaccia per la pace. Quando eliminiamo un bambino non nato stiamo cercando di eliminare Dio».

L’anno della Beata Madre Teresa è stato una grazia per la Chiesa. Ma dobbiamo evitare di cadere nella retorica che la riduce all’icona di un semplice, banale umanitarismo, buono per tutte le ideologie e per tutte le stagioni. Madre Teresa non era così. Il suo cuore era grande, era per tutti. Ma un posto speciale nel cuore della Beata lo occupavano i bambini non nati. Chi li uccide, secondo il pensiero di Madre Teresa, sta cercando più o meno consapevolmente di uccidere Dio.