giovedì 23 dicembre 2010

Nella rassegna stampa di oggi:
1)    L’Osservatore Romano, 23 dicembre 2010 - Nel mistero dell’incarnazione l’uomo e la storia - Il prodigio che tutti aspettiamo di Julián Carrón
2)    CATECHESI DI BENEDETTO XVI SUL MISTERO DEL NATALE - All'Udienza generale del mercoledì (ZENIT.org)
3)    Natale, le tre tesi di sant'Ireneo di Lione - di Massimo Introvigne 22-12-2010 da http://www.labussolaquotidiana.it
4)    «Noi, i veri studenti dimenticati dai media» - di Oscar Bettinazzi* 22-12-2010 - http://www.labussolaquotidiana.it
5)    «Nell'inferno della strada con una gioia nuova» - di Antonio Giuliano 22-12-2010 da http://www.labussolaquotidiana.it
6)    Nuova ricerca sociologica: la religione è “l’ingrediente segreto” che rende le persone più felici. – In Benefici attuali del cristianesimo e cattolicesimo, Contraddizioni, assurdità atei, Fede e Psicologia su 22 dicembre 2010 – da http://antiuaar.wordpress.com
7)    22/12/2010 – INDIA - Orissa, i radicali indù minacciano un pogrom di Natale contro i cristiani di Nirmala Carvalho (AsiaNews)
8)    L’Unione Europea ha cancellato il Natale di Emanuele Maestri da http://www.pontifex.roma.it
9)    UN FILOSOFO ATTUALE: AUGUSTO DEL NOCE - di Lino Di Stefano da http://www.riscossacristiana.it
10)                      Avvenire.it, 23 dicembre 2010 - Quando il desiderio è più forte del limite di Stefano Gheno
11)                      Avvenire.it, 22 dicembre 2010 – BOEMIA - Preghiera, un seme nella terra più atea di Marina Corradi
12)                      Dall’accoglienza alla «selezione» - l’aria che tira di Michele Aramini - Avvenire, 23 dicembre 2010
13)                      Test genetici in gravidanza, caccia al feto difettoso - Arrivano nuovi test per individuare con crescente precisione eventuali anomalie nel feto. L’effetto è una quasi inarrestabile «caccia al difetto». Col risultato di proporre come unica 'cura' della malattia l’interruzione della gravidanza di Emanuela Vinai - Avvenire, 23 dicembre 2010
14)                      Cina - Chen Guangcheng il dissidente cieco dell’aborto di Stato di Lorenzo Fazzini - Avvenire, 23 dicembre 2010

L’Osservatore Romano, 23 dicembre 2010 - Nel mistero dell’incarnazione l’uomo e la storia - Il prodigio che tutti aspettiamo di Julián Carrón

«Tutta la mia vita è sempre stata attraversata da un filo conduttore, questo: il Cristianesimo dà gioia, allarga gli orizzonti. In definitiva un’esistenza vissuta sempre e soltanto “contro” sarebbe insopportabile» (Luce del mondo, p. 27). Queste parole di Benedetto XVI ci lanciano una sfida: che cosa significa essere cristiani oggi? Continuare a credere semplicemente per tradizione, devozione o abitudine, ritirandosi nel proprio guscio, non è all’altezza della sfida. Allo stesso modo, reagire con forza e andare contro per recuperare il terreno perduto è insufficiente, il Papa dice addirittura che è «insopportabile». L’una e l’altra strada − ritirarsi dal mondo o essere contro − non sono capaci, in fondo, di suscitare interesse per il cristianesimo, perché nessuna delle due rispetta quello che sarà sempre il canone dell’annuncio cristiano: il Vangelo. Gesù si è posto nel mondo con una capacità di attrarre che ha affascinato gli uomini del suo tempo. Come dice Péguy: «Egli non perse i suoi anni a gemere e interpellare la cattiveria dei tempi. Egli tagliò corto… Facendo il cristianesimo». Cristo ha introdotto nella storia una presenza umana così affascinante che chiunque vi si imbatteva doveva prenderla in considerazione. Per rifiutarla o per accettarla. Non ha lasciato indifferente nessuno.Oggi ci troviamo tutti di fronte a una «crisi dell’umano», che si documenta come stanchezza e disinteresse verso la realtà e che coinvolge tutti gli ambiti che hanno a che fare con la vita della gente. È una disgrazia per tutti, infatti, che le persone non si mettano in gioco con la loro ragione e la loro libertà. E proprio in questo momento la Chiesa ha davanti a sé un’avventura affascinante, la stessa delle origini: testimoniare che c’è qualcosa in grado di risvegliare e suscitare un interesse vero. «Anche il mio cuore aspetta, / alla luce guardando ed alla vita, / altro prodigio della primavera». Tutti noi, come il poeta Antonio Machado, aspettiamo il miracolo della primavera, in cui vedere compiersi la nostra vita. E se qualcuno dirà, ancora col poeta, che è un sogno, perché lo aspettiamo? Perché questa attesa ci costituisce nell’intimo, come scrive Benedetto XVI: «L’uomo aspira ad una gioia senza fine, vuole godere oltre ogni limite, anela all’infinito» (Luce del mondo, p. 95). Ma l’uomo può decadere, il mondo può cercare di scalzare questo desiderio dell’infinito minimizzandolo; può perfino prenderlo in giro offrendo qualcosa che attira per qualche tempo, ma che non dura, e alla fine lascia solo più insoddisfatti e più scettici. Ora, la prova della verità di ciò che affascina e risveglia un interesse è che deve durare. Ma anche le cose più belle – lo vediamo quando si ama una persona o quando si intraprende un nuovo lavoro – vengono meno. Il problema della vita, allora, è se esiste qualcosa che dura.Il cristianesimo ha la pretesa – perché la sua origine non è umana, anche se si può vedere nei volti degli uomini che lo hanno incontrato – di portare l’unica risposta in grado di durare nel tempo e nell’eternità. Però un cristianesimo ridotto non è in grado di fare questo. Sappiamo per esperienza che esiste un modo astratto di parlare della fede che non suscita la minima curiosità. Se il cristianesimo non viene rispettato nella sua natura, così come è comparso nella storia, non può mettere radici nel cuore.Il cristianesimo è sempre messo alla prova di fronte al desiderio del cuore, e non se ne può liberare: è Cristo stesso che si è sottoposto a questa prova. L’aspetto affascinante è che Dio, spogliandosi del Suo potere, si è fatto uomo per rispettare la dignità e la libertà di ciascuno. Incarnandosi, è come se avesse detto all’uomo: «Guarda un po’ se, vivendo a contatto con me, trovi qualcosa di interessante che rende la tua vita più piena, più grande, più felice. Quello che tu non sei capace di ottenere con i tuoi sforzi, lo puoi ottenere se mi segui». È stato così fin dall’inizio. Quando i due primi discepoli domandano: «Dove abiti?», Egli risponde: «Venite e vedrete». La sua semplicità è disarmante. Dio si affida al giudizio dei primi due che Lo incontrano. L’uomo non può evitare di paragonare continuamente ciò che accade con le sue esigenze fondamentali.Qualcuno potrebbe obiettare che all’epoca di Gesù si vedevano i miracoli, ma oggi non è più tempo di prodigi. Non è così, perché questa esperienza continua ad avere luogo, come il primo giorno: quando incontri persone che risvegliano in te un interesse e un’attrattiva tali che ti obbligano a fare i conti con quello che ti è accaduto. Come dice il Papa, «Dio non si impone. […] La sua esistenza si manifesta in un incontro, che penetra nella più intima profondità dell’uomo» (Luce del mondo, p. 240). Alcuni anni fa un mio amico è andato a studiare arabo a Il Cairo. Ha incontrato un professore musulmano. L’incontro si sarebbe potuto svolgere secondo gli stereotipi dell’uno e dell’altro. Ma è accaduta una cosa inattesa: sono diventati amici. Il musulmano ha domandato al mio amico perché era cristiano, e questi lo ha invitato in Italia, dove ha conosciuto il Meeting di Rimini. Trascinato dall’incontro con una realtà umana diversa, ha voluto realizzare il Meeting de Il Cairo, coinvolgendo molti giovani egiziani, musulmani e cristiani.Di recente, a Mosca, ho conosciuto persone che fino a poco tempo fa non avevano niente a che fare con la fede. L’hanno scoperta incontrando dei cristiani che le avevano incuriosite. Alcune erano battezzate nella Chiesa ortodossa e si sono interessate al cristianesimo – cosa che non avevano mai fatto prima – grazie ad amici che lo vivevano con intensità e pienezza.
Non sono storie del passato, ma qualcosa che accade ora, nel presente.
Nella sua recente visita in Spagna, Benedetto XVI ha invitato a un dialogo tra laicità e fede. E come lo ha fatto? Indicando una presenza, un testimone, Gaudì, che con la Sagrada Familia «è stato capace di creare […] uno spazio di bellezza, di fede e di speranza, che conduce l’uomo all’incontro con colui che è la verità e la bellezza stessa». Il Papa ha sfidato tutti rendendo contemporaneo lo sguardo di Cristo e indicando l’esperienza nuova che Egli immette nella vita: chiunque può interessarsene o rifiutarla. Quando Benedetto XVI ci chiama alla conversione ci sta dicendo che per testimoniare Cristo, per farci «trasparenza di Cristo per il mondo», dobbiamo percorrere un cammino umano fino a scoprire la pertinenza della fede alle esigenze della nostra vita. Non so se qualche cattolico si può sentire escluso dalla chiamata del Papa. Io no.
© L'Osservatore Romano


CATECHESI DI BENEDETTO XVI SUL MISTERO DEL NATALE - All'Udienza generale del mercoledì (ZENIT.org)

ROMA, mercoledì, 22 dicembre 2010 (ZENIT.org).- Pubblichiamo il testo dell'intervento pronunciato questo mercoledì da Benedetto XVI durante l'Udienza generale svoltasi nell’Aula Paolo VI.
Nel suo discorso, il Papa si è soffermato sul mistero del Natale ormai prossimo.


* * *
Cari fratelli e sorelle!
Con quest’ultima Udienza prima delle Festività Natalizie, ci avviciniamo, trepidanti e pieni di stupore, al "luogo" dove per noi e per la nostra salvezza tutto ha avuto inizio, dove tutto ha trovato un compimento, là dove si sono incontrate e incrociate le attese del mondo e del cuore umano con la presenza di Dio. Possiamo già ora pregustare la gioia per quella piccola luce che si intravede, che dalla grotta di Betlemme comincia ad irradiarsi sul mondo. Nel cammino dell’Avvento, che la liturgia ci ha invitato a vivere, siamo stati accompagnati ad accogliere con disponibilità e riconoscenza il grande Avvenimento della venuta del Salvatore e a contemplare pieni di meraviglia il suo ingresso nel mondo.
L’attesa gioiosa, caratteristica dei giorni che precedono il Santo Natale, è certamente l’atteggiamento fondamentale del cristiano che desidera vivere con frutto il rinnovato incontro con Colui che viene ad abitare in mezzo a noi: Cristo Gesù, il Figlio di Dio fatto uomo. Ritroviamo questa disposizione del cuore, e la facciamo nostra, in coloro che per primi accolsero la venuta del Messia: Zaccaria ed Elisabetta, i pastori, il popolo semplice, e specialmente Maria e Giuseppe, i quali in prima persona hanno provato la trepidazione, ma soprattutto la gioia per il mistero di questa nascita. Tutto l’Antico Testamento costituisce un’unica grande promessa, che doveva compiersi con la venuta di un salvatore potente. Ce ne dà testimonianza in particolare il libro del profeta Isaia, il quale ci parla del travaglio della storia e dell’intera creazione per una redenzione destinata a ridonare nuove energie e nuovo orientamento al mondo intero. Così, accanto all’attesa dei personaggi delle Sacre Scritture, trova spazio e significato, attraverso i secoli, anche la nostra attesa, quella che in questi giorni stiamo sperimentando e quella che ci mantiene desti per l’intero cammino della nostra vita. Tutta l’esistenza umana, infatti, è animata da questo profondo sentimento, dal desiderio che quanto di più vero, di più bello e di più grande abbiamo intravisto e intuito con la mente ed il cuore, possa venirci incontro e davanti ai nostri occhi diventi concreto e ci risollevi.
"Ecco viene il Signore onnipotente: sarà chiamato Emmanuele, Dio-con-noi" (Antifona d’ingresso, S. Messa del 21 dicembre). Frequentemente, in questi giorni, ripetiamo queste parole. Nel tempo della liturgia, che riattualizza il Mistero, è ormai alle porte Colui che viene a salvarci dal peccato e dalla morte, Colui che, dopo la disobbedienza di Adamo ed Eva, ci riabbraccia e spalanca per noi l’accesso alla vita vera. Lo spiega sant’Ireneo, nel suo trattato "Contro le eresie", quando afferma: "Il Figlio stesso di Dio scese «in una carne simile a quella del peccato» (Rm 8,3) per condannare il peccato, e, dopo averlo condannato, escluderlo completamente dal genere umano. Chiamò l’uomo alla somiglianza con se stesso, lo fece imitatore di Dio, lo avviò sulla strada indicata dal Padre perché potesse vedere Dio, e gli diede in dono lo stesso Padre" (III, 20, 2-3).
Ci appaiono alcune idee preferite di sant’Ireneo, che Dio con il Bambino Gesù ci richiama alla somiglianza con se stesso. Vediamo com’è Dio. E così ci ricorda che noi dovremmo essere simili a Dio. E dobbiamo imitarlo. Dio si è donato, Dio si è donato nelle nostre mani. Dobbiamo imitare Dio. E infine l’idea che così possiamo vedere Dio. Un’idea centrale di sant’Ireneo: l’uomo non vede Dio, non può vederlo, e così è nel buio sulla verità, su se stesso. Ma l’uomo che non può vedere Dio, può vedere Gesù. E così vede Dio, così comincia a vedere la verità, così comincia a vivere.
Il Salvatore, dunque, viene per ridurre all’impotenza l’opera del male e tutto ciò che ancora può tenerci lontani da Dio, per restituirci all’antico splendore e alla primitiva paternità. Con la sua venuta tra noi, Dio ci indica e ci assegna anche un compito: proprio quello di essere somiglianti a Lui e di tendere alla vera vita, di arrivare alla visione di Dio nel volto di Cristo. Ancora sant’Ireneo afferma: "Il Verbo di Dio pose la sua abitazione tra gli uomini e si fece Figlio dell’uomo, per abituare l’uomo a percepire Dio e per abituare Dio a mettere la sua dimora nell’uomo secondo la volontà del Padre. Per questo, Dio ci ha dato come «segno» della nostra salvezza colui che, nato dalla Vergine, è l’Emmanuele" (ibidem). Anche qui c’è un’idea centrale molto bella di sant’Ireneo: dobbiamo abituarci a percepire Dio. Dio è normalmente lontano dalla nostra vita, dalle nostre idee, dal nostro agire. È venuto vicino a noi e dobbiamo abituarci a essere con Dio. E audacemente Ireneo osa dire che anche Dio deve abituarsi a essere con noi e in noi. E che Dio forse dovrebbe accompagnarci a Natale, abituarci a Dio, come Dio si deve abituare a noi, alla nostra povertà e fragilità. La venuta del Signore, perciò, non può avere altro scopo che quello di insegnarci a vedere e ad amare gli avvenimenti, il mondo e tutto ciò che ci circonda, con gli occhi stessi di Dio. Il Verbo fatto bambino ci aiuta a comprendere il modo di agire di Dio, affinché siamo capaci di lasciarci sempre più trasformare dalla sua bontà e dalla sua infinita misericordia.
Nella notte del mondo, lasciamoci ancora sorprendere e illuminare da questo atto di Dio, che è totalmente inaspettato: Dio si fa Bambino. Lasciamoci sorprendere, illuminare dalla Stella che ha inondato di gioia l’universo. Gesù Bambino, giungendo a noi, non ci trovi impreparati, impegnati soltanto a rendere più bella la realtà esteriore. La cura che poniamo per rendere più splendenti le nostre strade e le nostre case ci spinga ancora di più a predisporre il nostro animo ad incontrare Colui che verrà a visitarci, che è la vera bellezza e la vera luce. Purifichiamo quindi la nostra coscienza e la nostra vita da ciò che è contrario a questa venuta: pensieri, parole, atteggiamenti e azioni, spronandoci a compiere il bene e a contribuire a realizzare in questo nostro mondo la pace e la giustizia per ogni uomo e a camminare così incontro al Signore.
Segno caratteristico del tempo natalizio è il presepe. Anche in Piazza San Pietro, secondo la consuetudine, è quasi pronto e idealmente si affaccia su Roma e sul mondo intero, rappresentando la bellezza del Mistero del Dio che si è fatto uomo e ha posto la sua tenda in mezzo a noi (cfr Gv 1,14). Il presepe è espressione della nostra attesa, che Dio si avvicina a noi, che Gesù si avvicina a noi, ma è anche espressione del rendimento di grazie a Colui che ha deciso di condividere la nostra condizione umana, nella povertà e nella semplicità. Mi rallegro perché rimane viva e, anzi, si riscopre la tradizione di preparare il presepe nelle case, nei posti di lavoro, nei luoghi di ritrovo. Questa genuina testimonianza di fede cristiana possa offrire anche oggi per tutti gli uomini di buona volontà una suggestiva icona dell’amore infinito del Padre verso noi tutti. I cuori dei bambini e degli adulti possano ancora sorprendersi di fronte ad essa.
Cari fratelli e sorelle, la Vergine Maria e san Giuseppe ci aiutino a vivere il Mistero del Natale con rinnovata gratitudine al Signore. In mezzo all’attività frenetica dei nostri giorni, questo tempo ci doni un po’ di calma e di gioia e ci faccia toccare con mano la bontà del nostro Dio, che si fa Bambino per salvarci e dare nuovo coraggio e nuova luce al nostro cammino. E’ questo il mio augurio per un santo e felice Natale: lo rivolgo con affetto a voi qui presenti, ai vostri familiari, in particolare ai malati e ai sofferenti, come pure alle vostre comunità e a quanti vi sono cari.


[Il Papa ha poi salutato i pellegrini in diverse lingue. In Italiano ha detto:]
Rivolgo ora un cordiale saluto ai pellegrini di lingua italiana, ricordando, in modo speciale, gli Zampognari di Bojano e la delegazione del Comune di Bolsena.
Desidero, poi, salutare i giovani, i malati e gli sposi novelli. A pochi giorni dalla solennità del Natale, possa l'amore, che Dio manifesta all'umanità nella nascita di Cristo, accrescere in voi, cari giovani, il desiderio di servire generosamente i fratelli. Sia per voi, cari malati, fonte di conforto e di serenità, perché il Signore viene a visitarci, recando consolazione e speranza. Ispiri voi, cari sposi novelli, a consolidare la vostra promessa di amore e di reciproca fedeltà.
[© Copyright 2010 - Libreria Editrice Vaticana]


Natale, le tre tesi di sant'Ireneo di Lione - di Massimo Introvigne 22-12-2010 da http://www.labussolaquotidiana.it


Benedetto XVI è particolarmente affezionato alla figura del grande padre della Chiesa sant'Ireneo di Lione (130-202). Come ha ricordato nel suo viaggio in Francia del 2008, sant'Ireneo era un greco di Smirne la cui lingua madre era quella greca, che venne in Francia dove divenne uno dei principali padri della Chiesa latina. Come tale, è una testimonianza vivente di quella profonda unione fra radici culturali greche e cristianesimo latino che sta tanto a cuore al regnante Pontefice. Inoltre, sant'Ireneo è ricordato per la sua intransigente difesa della fede cristiana contro le falsificazioni proposte dalle eresie, un tema di grande attualità ancora oggi.

Nell'udienza generale del 22 dicembre il Papa ha invitato a leggere alcuni brani di sant'Ireneo, in particolare proprio del suo trattato «Contro le eresie», per comprendere il vero significato del Natale che viene. Il Papa cita questo trattato «quando afferma: "Il Figlio stesso di Dio scese 'in una carne simile a quella del peccato' (Rm 8,3) per condannare il peccato, e, dopo averlo condannato, escluderlo completamente dal genere umano. Chiamò l’uomo alla somiglianza con se stesso, lo fece imitatore di Dio, lo avviò sulla strada indicata dal Padre perché potesse vedere Dio, e gli diede in dono lo stesso Padre" (III, 20, 2-3)».

Questo brano in cui, afferma il Papa, «ci appaiono alcune idee preferite di sant’Ireneo» non è semplice. Contiene tre tesi fondamentali, utili non solo a capire la teologia di questo padre della Chiesa ma anche a preparare bene il Natale.

La prima è  «che Dio con il Bambino Gesù ci richiama alla somiglianza con se stesso. Vediamo com’è Dio. E così ci ricorda che noi dovremmo essere simili a Dio». L'affermazione secondo cui noi siamo creati a immagine e somiglianza di Dio acquista una particolare eloquenza quando vediamo nel Bambino Gesù che Dio stesso si è fatto immagine e somiglianza nostra. Certo, lo sapevamo: ma ora lo vediamo. È questa, spiega il Papa, «un’idea centrale di sant’Ireneo: l’uomo non vede Dio, non può vederlo, e così è nel buio sulla verità, su se stesso. Ma l’uomo che non può vedere Dio, può vedere Gesù. E così vede Dio, così comincia a vedere la verità, così comincia a vivere».

La seconda idea centrale di sant'Ireneo è che nel Bambino Gesù il male e il demonio sono già fin da subito sconfitti. «Il Salvatore, dunque - insegna il Papa - viene per ridurre all’impotenza l’opera del male e tutto ciò che ancora può tenerci lontani da Dio, per restituirci all’antico splendore e alla primitiva paternità». Tuttavia questa vittoria non si propone solo alla nostra contemplazione, ma richiede anche il nostro impegno. «Con la sua venuta tra noi, Dio ci indica e ci assegna anche un compito: proprio quello di essere somiglianti a Lui e di tendere alla vera vita, di arrivare alla visione di Dio nel volto di Cristo». «Purifichiamo quindi la nostra coscienza e la nostra vita - esorta il Papa - da ciò che è contrario a questa venuta: pensieri, parole, atteggiamenti e azioni».

Il terzo tema di sant'Ireneo è quello della «percezione» di Dio. Il Papa propone un'altra citazione di «sant’Ireneo [che] afferma: "Il Verbo di Dio pose la sua abitazione tra gli uomini e si fece Figlio dell’uomo, per abituare l’uomo a percepire Dio e per abituare Dio a mettere la sua dimora nell’uomo"». Questa per Benedetto XVI è «un’idea centrale molto bella di sant’Ireneo: dobbiamo abituarci a percepire Dio. Dio è normalmente lontano dalla nostra vita, dalle nostre idee, dal nostro agire. È venuto vicino a noi e dobbiamo abituarci a essere con Dio».

Ma c'è di più. Il Papa fa notare come nel brano citato «audacemente Ireneo osa dire che anche Dio deve abituarsi a essere con noi e in noi. E che Dio forse dovrebbe accompagnarci a Natale, abituarci a Dio, come Dio si deve abituare a noi, alla nostra povertà e fragilità». I santi si prendono di queste libertà con Dio, che certamente non se ne ha a male.

In questi giorni segnati da tanti problemi e anche dalla legittima preoccupazione di abbellire le nostre case e di preparare un lieto Natale per i nostri cari, abbiamo tempo di soffermarci a studiare la lezione di sant'Ireneo? Se lo faremo ne ricaveremo, ci dice il Papa, non solo solida cultura cristiana e indicazioni su come vivere un santo Natale, ma anche una profonda gioia, che scaturisce sempre dalla capacità di essere sorpresi dalla straordiarietà delle opere di un Dio che s'incarna in un Bambino. Se non siamo più capaci di stupirci, e diamo tutto per scontato, abbiamo pure smarrito la via della gioia.

«La venuta del Signore - ci dice il Papa - non può avere altro scopo che quello di insegnarci a vedere e ad amare gli avvenimenti, il mondo e tutto ciò che ci circonda, con gli occhi stessi di Dio. Il Verbo fatto bambino ci aiuta a comprendere il modo di agire di Dio, affinché siamo capaci di lasciarci sempre più trasformare dalla sua bontà e dalla sua infinita misericordia. Nella notte del mondo, lasciamoci ancora sorprendere e illuminare da questo atto di Dio, che è totalmente inaspettato: Dio si fa Bambino. Lasciamoci sorprendere, illuminare dalla Stella che ha inondato di gioia l’universo. Gesù Bambino, giungendo a noi, non ci trovi impreparati, impegnati soltanto a rendere più bella la realtà esteriore. La cura che poniamo per rendere più splendenti le nostre strade e le nostre case ci spinga ancora di più a predisporre il nostro animo ad incontrare Colui che verrà a visitarci, che è la vera bellezza e la vera luce».


«Noi, i veri studenti dimenticati dai media» - di Oscar Bettinazzi* 22-12-2010 - http://www.labussolaquotidiana.it

Alla vigilia del voto in Parlamento sulla riforma dell’università, di tutto si discute, su tutto ci si interroga meno che sulla realtà quotidiana di chi vive in Università, soprattutto di coloro per i quali l’Università è luogo di preparazione a ciò che verrà dopo.

Dall’immagine che passa sui media si ha l’impressione che esistano solo due fronti che si combattono: i politici che vogliono la riforma, e studenti e docenti che la contrastano, più o meno pacificamente. Ma in mezzo c’è invece la stragrande maggioranza di docenti e studenti che in Università ci vivono quotidianamente e che, giorno dopo giorno, cercano di costruire un ambito educativo.

I giornali e le tv continuano a raccontarci una università che da una parte è un mondo dominato da corruzione, baroni, sprechi e privilegi e non solo, e dall’altra è popolata di studenti che non hanno altri sbocchi che andare in piazza a tirare sanpietrini, a prendere a bastonate agenti della polizia e a bruciare camionette della guardia di finanza.

E’ proprio questa l’università? Sono veramente i giovani col volto coperto nelle piazze gli unici che si stanno muovendo per il sistema universitario italiano? Quante volte, in telegiornali o giornali vediamo immagini da dentro l’università? Quante volte sentiamo voci arrivare dalle aule universitarie? Chi ha mai fatto notare che negli organi di gestione delle università ci sono studenti regolarmente eletti da altri studenti, che in Università e per le Università lavorano, ma che vengono regolarmente ignorati dai “maestri” della democrazia tv, che invece preferiscono dare voce a leader che rappresentano solo se stessi?

Basta mettere il naso dentro l’università per capire che la realtà è ben diversa da quella raccontata dai media; che l’università italiana non è solo quella dei privilegi e che gli studenti dell’università italiana non sono quella roboante minoranza in piazza ma quella silenziosa maggioranza che nelle aule, nelle biblioteche, e talvolta nei corridoi se non c’è spazio, vanno a fondo delle proprie aspirazioni ed interessi confrontandosi faccia a faccia, tutti i giorni, con dei Maestri  presenti anche loro in università per insegnare e imparare.

È proprio indifferente il contributo di tutti questi ragazzi alla comunità universitaria? Quale contributo possono dare gli studenti a un sistema universitario che conta circa 80 atenei, almeno 6.000 milioni di euro di investimento pubblico all’anno e poco meno di 2 milioni di studenti? L’unico contributo che possono dare in questo senso è mettersi al servizio del sistema universitario portando negli organi preposti i loro desideri, le loro esperienze e le loro aspettative, succede già in molti atenei e al CNSU (consiglio nazionale degli studenti universitari) ed è la possibilità quotidiana che gli studenti hanno per entrare in un rapporto operativo di stima reciproca con chi l’università la gestisce e la governa.

Se nel merito, con i dovuti distinguo, è possibile affermare che la riforma è portatrice di molti elementi positivi di novità nello scenario, a partire dallo status giuridico dei ricercatori fino ad arrivare alla possibile autonomia organizzativa degli atenei virtuosi è ancora più evidente che  senza una rinnovata responsabilità di tutti, legislatore, studenti e docenti, a guardare alla sostanza delle cose, alla verità dell’università, sarà solo l’ennesimo tentativo di regolare tutto da un centro per limitare la libertà delle persone.

* Rappresentante degli studenti
   nel Senato Accademico
   Politecnico di Milano


«Nell'inferno della strada con una gioia nuova» - di Antonio Giuliano 22-12-2010 da http://www.labussolaquotidiana.it

Tutto cominciò una notte alla Stazione Termini di Roma. Era il febbraio del 1991. Chiara Amirante, una giovane venticinquenne, laureata e con il futuro in tasca, comincia a frequentare l’ “inferno” che gravita intorno ai binari. È un luogo abitato soltanto da barboni, prostitute, sbandati, tossicodipendenti. La ragazza, animata dalla voglia di condividerne la disperazione, matura l’idea di accoglierli un giorno in una comunità. Una vera casa-famiglia che sull’esempio dei primi cristiani abbia come unica regola il Vangelo. Si chiamerà “Nuovi Orizzonti” perché, dice lei, «l’orizzonte è il punto d’incontro tra la terra e il cielo e io vorrei che l’inferno vissuto da chi è accolto nella comunità possa trasformarsi in paradiso».
A quasi vent’anni da quel sogno, “Nuovi Orizzonti” è una realtà concreta in Italia e all’estero con 139 centri di accoglienza, sostegno e orientamento, e 92 centri di servizio impegnati nella prevenzione del disagio e nell’evangelizzazione di strada. E l’8 dicembre scorso ha ricevuto anche l’approvazione del Pontificio consiglio per i laici.

Chiara Amirante, da dove nasce questa esperienza?
«A 21 anni ho sperimentato una terribile malattia agli occhi. Non c’era alcuna possibilità di guarigione: sarei diventata cieca. Eppure in quella sofferenza ho provato che anche il dolore vissuto con Dio si trasforma in un fuoco capace di riscaldare di gioia il cuore raggelato dall’egoismo. Così un giorno manifestai al Signore il proposito di trascorrere il resto della mia vita a condividere questa scoperta con i più emarginati. Fui esaudita. La mattina dopo ero inspiegabilmente guarita: tutti i medici non riuscivano a darsi una spiegazione. Così decisi di andare nel luogo per eccellenza dei diseredati: la stazione».

Che cosa successe davvero quella notte a Termini?
«Incontrai Angelo, un tossicodipendente che più volte aveva tentato di farla finita. Rimase sorpreso dal fatto che “perdessi tempo ad ascoltare i suoi guai”. Era depresso per la noncuranza della gente e con alcuni suoi amici aveva scritto un murales che mi colpì: “Nonostante la vostra indifferenza noi esistiamo”. Da allora cominciai a frequentare tutte le notti la stazione, anche di nascosto dai miei. Mio padre era dirigente dell’Aci e minacciò di non riconoscermi più come figlia. Ma sono andata avanti e ho incontrato altri giovani che gridavano silenziosamente il desiderio di essere ascoltati».

Si aspettava nel tempo l’esplosione di questa iniziativa?
«All’inizio non pensavo certo di fondare alcunché. Il mio era solo un desiderio fortissimo di condividere la scoperta più bella della mia vita: Cristo come segreto della vera gioia. Quello che è poi è nato in questi anni è stato possibile grazie a quei giovani che un tempo erano nella disperazione e oggi sono i testimoni di un’altra umanità. Così nel ’94 a Trigoria (Roma) è nata la prima casa di accoglienza e poi centri si sono moltiplicati come mai avrei immaginato… ».

E ora è arrivata anche l’approvazione ufficiale della Chiesa…
«Sì la Comunità Nuovi Orizzonti è un’associazione privata di fedeli, nel senso che i membri possono fare i voti privati ma senza indossare abito religioso. Ne fanno parte sia laici che sacerdoti. Oltre alle promesse di castità, povertà e obbedienza, abbiamo anche quella della gioia. L’approvazione della Chiesa è preziosa perché riconosce all’associazione non solo l’opera sociale, ma anche un carisma che è proprio quello di essere testimoni gioiosi di Cristo risorto. E oggi sono più di centomila i giovani che hanno aderito all’impegno di essere “cavalieri della luce”, cioè di vivere radicalmente il Vangelo».

Ma quanto conta la fede nella terapia contro il disagio?
«È fondamentale. Anche uscire dalla droga è impossibile senza un percorso di spiritualità. La psicologia non basta. Di fronte al senso di sofferenza che accompagna l’esistenza, chi ha vissuto l’inferno della droga avrà sempre la tentazione che una sniffata risolva il problema. Senza un percorso di fede che dia delle risposte serie le probabilità di ricaduta sono altissime. Noi però non imponiamo una fede. C’è il massimo rispetto per ogni credo. Noi proponiamo un percorso. La risposta è positiva perché i ragazzi vedono che la fede può essere una possibile risposta ai problemi concreti dell’esistenza. E quando lo sperimenti, non puoi fare a meno di testimoniarlo agli altri con entusiasmo. Per me è sempre un miracolo vedere quelli che prima vivevano situazioni estreme di droga, carcere, alcolismo, percorrere le stesse strade in cui seminavano violenza per testimoniare Cristo risorto».

C’è un calo di desiderio nella società come dice il Censis?
«Il problema reale è che si desidera troppo, c’è un’overdose di desideri indotti dal consumismo e i giovani conquistano tutto subito e senza sacrifici. Il calo del desiderio è semmai proporzionato dall’avere tutto subito così da non saper dar valore a quello che si ha. Ogni anno con le missioni in strada, nelle scuole e sulle spiagge incontriamo circa un milione di ragazzi. Siamo convinti dall’esperienza e della fede, che il bisogno fondamentale per  l’uomo è quello di amare e sentirsi amati. Essendo creati a immagine e somiglianza di un Dio che è amore, l’uomo non può vivere senza donare e ricevere amore. Come il fisico se non lo alimenti si ammala, così anche l’anima: lo dimostrano studi scientifici che i bambini che non ricevono amore hanno gli stessi sintomi fisici della malnutrizione. Ma oggi purtroppo la famiglia è attaccata da modelli edonistici, dall’usa e getta che ha inquinato le relazioni. Non ci insegnano più che cos’è l’amore vero e siamo portati a confonderlo con la passione, l’egoismo, la possessività».

Tra i vostri progetti in corso ci sono le “Cittadelle del Cielo”. Che cosa sono?
«Sono luoghi dove provare a sperimentare già su questa terra la legge del Paradiso, l’amore che Gesù è venuto a insegnarci. Una piccola città aperta ai poveri e agli ultimi, ma anche di formazione per quanti potranno poi far nascere in tutto il mondo centri per bambini abbandonati, per ragazze madri, per malati terminali o tossicodipendenti. Abbiamo già una Cittadella in Brasile e da pochi anni anche in Bosnia a Medjugorje, che è stata per me una tappa decisiva del mio percorso spirituale. Ovviamente dobbiamo ringraziare la Provvidenza perché abbiamo ricevuto il sostegno di un imprenditore. Abbiamo calcolato che per le opere di Nuovi Orizzonti ci vorrebbero 2 milioni di euro al mese! Senza un aiuto dall’alto non sarebbe possibile…».

Quali sono le nuove povertà di cui prendersi cura oggi?
«Sono quelle di chi sta “bene”, di chi pensa di trovare la propria felicità nel benessere e poi sperimenta il non senso, quell’insoddisfazione e quella solitudine tipica del nostro tempo. Inizialmente pensavo che il disagio fosse presente solo in quartieri poveri o tra ragazzi sfortunati. Ora vedo che le illusioni di felicità che il mondo propone uccidono più facilmente l’anima degli uomini agiati o di successo. Sta a noi far sì che l’amore di Dio raggiunga chiunque faccia esperienza di questo malessere interiore. Certo devi raccogliere lacrime che ti spaccano il cuore, ma c’è una gioia ineguagliabile nel contemplare il miracolo di una conversione del cuore».


Nuova ricerca sociologica: la religione è “l’ingrediente segreto” che rende le persone più felici. – In Benefici attuali del cristianesimo e cattolicesimo, Contraddizioni, assurdità atei, Fede e Psicologia su 22 dicembre 2010 – da http://antiuaar.wordpress.com

«Che ci sia uno stretto legame tra una vita soddisfacente e la vita religiosa è noto da tempo». Con queste parole comincia un nuovo studio sul numero di dicembre della “American Sociological Review”. Ma, secondo questi esperti, la religione è proprio “l’ingrediente segreto” che rende le persone più felici (d’altra parte confermano tutto un filone di ricerche in merito, che in piccola parte è riportato più sotto nellle “notizie correlate”). Lim Chaeyoon, docente di sociologia presso l’Università del Wisconsin-Madison, che ha condotto lo studio, dice: «Il nostro studio offre una prova convincente che sono gli aspetti sociali della religione che conducono ad una vita soddisfacente. In particolare, siamo convinti che siano le amicizie costruite all’interno delle comunità religiose ad essere l’ingrediente segreto che rende la gente più felice». D’altraparte è ciò che la Chiesa ha sostenuto fin dalla prima comunità cristiana: Dio si è fatto conoscere all’uomo attraverso l’uomo Gesù e i suoi dodici discepoli. Chi nasce 2000 anni dopo, per arrivare a Lui deve rispettare il metodo: si arriva a Dio non attraverso pensieri o la spiritualità interiore, ma attraverso l’amicizia e l’incontro eccezionale con altri uomini, testimoni di Lui. Nel loro studio, “Religione, reti sociali, e soddisfazione di vita” (è consultabili qui in formato pdf), Lim e Robert D. Putnam, docente all’Università di Harvard, hanno svolto un’indagine su un campione rappresentativo degli adulti degli Stati Uniti dal 2006 al 2007. Riflessioni ironiche e un pò pascaliane: se gli atei hanno ragione: hanno vissuto mediamente male e alla fine della vita gli aspetta la loro frustrante profezia. Se gli atei hanno torto: hanno vissuto mediamente male e alla fine della vita gli aspetta una circostanza ben peggiore. Se i credenti hanno torto: hanno vissuto comunque mediamente meglio e alla fine della vita gli aspetta la frustrante profezia degli atei. Se i credenti hanno ragione: hanno vissuto mediamente meglio e alla fine della vita gli aspetta una circostanza ben più felice. Uno scommettitore serio non eisterebbe a puntare!


22/12/2010 – INDIA - Orissa, i radicali indù minacciano un pogrom di Natale contro i cristiani di Nirmala Carvalho (AsiaNews)

Il Kui Samaj, un movimento fondamentalista, ha proclamato un raduno per il 25 dicembre per “onorare la memoria” di un suo membro, rimasto ferito mentre distruggeva una chiesa e morto in circostanze poco chiare. I cristiani dell’India chiedono alle autorità di intervenire, per evitare un massacro annunciato, analogo a quello del 2007.

New Delhi (AsiaNews) - Un movimento radicale indù, il Kui Samaj, ha annunciato che il giorno di Natale terrà un raduno nel distretto del Kandahamal, una zona che è stata teatro di tragiche violenze anticristiane nell’Orissa. Il Consiglio globale dei cristiani dell’India fa sapere che l’annuncio ha provocato panico fra i cristiani della regione. “Siamo spaventati. Per favore, fate qualche cosa” ha implorato Kartika Nayak , un giovane cristiano del villaggio di Barkhama, che è stato testimone delle violenze anti-cristiane del Natale 2007. Nayak era fra quelli accusati di aver ucciso Khageswar Mallick, un tribale indù, il giorno di Natale di quell’anno. Kartika Nayak dice che Mallick restò ferito mentre cercava di distruggere una chiesa. I radicali indù lo hanno portato via per farlo curare. Mallick morì, in circostanze mai chiarite, e gli indù da allora cercano di incolpare i cristiani della sua morte.

Il 19 dicembre scorso, Lambodar Kanhar, leader del Kui Samaj del Kandhamal, ha annunciato che il suo gruppo terrà un raduno per onorare la memoria di Mallick  proprio il giorno di Natale. I cristiani della zona affermano che gli indù stanno tenendo adunanze segrete, e hanno distribuito manifestini chiedendo alla gente di onorare il “giorno della rimembranza”. Un membro dell’Associazione dei sopravvissuti del Kandhamal, Bipra Charan Nayak - non un parente di Kartika - ricorda che il leader del Kui Samaj, Kharan, ha indetto uno sciopero generale il giorno di Natale del 2007, che ha avuto un esito tragico. “La violenza che ne è seguita ha portato alla morte di tre cristiani, a 730 case e 115 chiese distrutte col fuoco, oltre a conventi e dispensari distrutti”. Bipra Charan ha aggiunto che i cristiani temono che nei prossimi giorni si scateni un nuovo ciclo di violenze, se le autorità non prendono provvedimenti.

Un leader cristiano locale, Umesh Nayak, (non è parente dei due Nayak già citati) afferma che il governo non sembra dare assicurazioni sufficienti ad alleviare le paure dei cristiani. Ricorda che il distretto di Kandhamal ha vissuto un'altra stagione di violenza anticristiana, durata sette settimane, a partire dell’agosto 2008, nonostante le promesse rassicuranti del ministro federale, che aveva visitato i cristiani nei campi profughi in cui erano rifugiati.E anche un leader tribale, Itikera Sunamajhi, dice di temere che si ripeta l’esperienza drammatica del Natale 2007. “Sicuramente c’è paura fra i cristiani. Ne abbiamo parlato alle autorità, che ci hanno detto che avrebbero preso le misure necessarie”.

Del problema si è fatto carico il presidente che Consiglio dei cristiani, Sajan George, che ha scritto al primo Ministro dell’Orissa. “Il panico si sta diffondendo fra i cristiani nel distretto di Kandhamal dopo che il movimento Kui Samaj ha annunciate un raduno per il giorno di Natale. Il raduno riporta alla memoria la brutalità e l’inganno perpetrati a Barakama il giorno di Natale del 2007. I radicali indù stanno facendo circolare manifestini per eccitare gli animi, e i cristiani temono che se le autorità non si muovano per frenare sul nascere questi movimenti sinistri , prima che un nuovo ciclo di violenze possa deflagrare”. Sajan George ricorda che nel 2007 la violenza anticristiana nel distretto di Kandhamal non ha avuto precedenti nella storia indiana. In totale 730 case sono state distrutte, insieme a 115 chiese. I cristiani morti furono 9, molte donne violentate, e più di 40 imprese e negozi danneggiati. E chiude la lettera con un appello: “Signor ministro, Le chiediamo di ridare fiducia a questa minuscola minoranza cristiana”.


L’Unione Europea ha cancellato il Natale di Emanuele Maestri da http://www.pontifex.roma.it

Ormai è evidente: c’è la volontà – anche politica, aimè! – di cancellare il Natale dalla nostra cultura. Non tanto come festa che ci permette di stare a casa dal lavoro; non tanto come periodo dell’anno solare in cui tutti si fanno i regali. No! Nulla di tutto ciò: il 25 dicembre sarà sempre natale - quello con la n minuscola, ovviamente! – in cui tutti ci riposeremo. Ma non sarà più il Santo Natale cristiano – ovviamente quello con la N maiuscola – in cui ricorderemo l’evento epocale che ha stravolto gli uomini, ossia la nascita di Gesù Bambino. Il nostro Signore che si fa carne. Assume la nostra sembianza umana per amore. Non sarà più il Natale che immaginava sant’Ambrogio quando affermava: L’Invisibile diviene visibile nella carne. Adoriamolo: Gloria al Signore! Un esempio lampante di tale volontà è l’Unione Europea con le sue istituzioni. Infatti, la Commissione europea ha deciso di cancellare il Natale dall’agenda-calendario che ha ideato, fatto stampare e distribuito agli studenti d’Europa, appartenenti alle cosiddette superiori. Il Natale viene cancellato, ma non si ritiene opportuno di fare lo stesso con le ricorrenze musulmane, ebraiche e  sikh. Chissà se i politici dell’Unione Europea hanno dimenticato appositamente il Santo Natale del Signore oppure è stata una dimenticanza (e che dimenticanza …). Probabilmente sono indifferenti nei confronti dell’evento che ha modificato la storia dell’uomo. E in meglio.

Questo fatto evidenzia una volontà anticristiana di cambiare la storia, la nostra cultura e le nostre sane e millenarie tradizioni, per  avviare – e chi glielo ha chiesto? – nei cittadini europei di domani una prospettiva basata sul multiculturalismo. Concetto che ha già fallito in modo evidente in tutta Europa.

L’Unione Europea, quindi, cancella appositamente il Natale. La svista non è tale. Non è una gaffe. E’ una volontà precisa, studiate e forte di ghettizzare i cristiani con i loro valori.

Il calendario-diario è stato fatto stampare in  tre milioni di copie – che spreco di denaro pubblico! -  da parte della Commissione europea, per consegnarlo agli studenti europei. Il Natale non c’è. Non viene menzionato.

Vengono menzionate – e con grande risalto – tutte le altre festività di tutte le altre religioni minoritarie diffuse tra gli immigrati. Un bell’esempio di politicamente corretto!  In Gran Bretagna sono già state distribuite trecento mila copie. Il tutto è stato fatto come augurio – vedi un po’ la coincidenza – per il Natale. E per fortuna che il presidente della Commissione è il cattolico – almeno lui così si definisce – José Manul Barroso. Le agende, quindi, sono state distribuite per il Natale ma il 25 dicembre è un giorno come gli altri. Nel 2011 non sarà festa. Perciò, a maggior ragione, andremo tutti al lavoro.

E la cosa che lascia sgomenti è il biglietto augurale preparato e – cosa ben più grave – pure distribuito, sempre dalla famigerata Commissione, per il 25 dicembre. In tale biglietto, ovviamente, non si fa ricordo della venuta di Gesù – ma questo è plausibile visto gli elementi che abbiamo nell’U.E.  In tale cartoncino è riportata la dicitura: Auguri di Stagione!

Ma ci rendiamo conto? Ma non si vergognano? Penso proprio di no. Dal 2010 in poi, per noi cittadini d’Europa (ma io mi sento cittadino italiano, non europeo), il 25 dicembre sarà la festa di stagione e, pertanto, ci faremo gli auguri di stagione. Bello, no?

Il Santo Natale per Barroso e per le persone come lui che stanno nelle stanze dei bottoni dell’U.E. è bandito. Non esisterà più. Il 25 dicembre non nascerà più Gesù Bambino. Nascerà la nuova stagione. E Babbo Natale, per la nuova stagione, ci porterà un sacco di regali. Tutti politicamente corretti.

Il 25 dicembre, l’Invisibile non diviene più visibile nella carne. E non adoreremo più Gesù. E diremo: gloria alla stagione. Vergogna!


UN FILOSOFO ATTUALE: AUGUSTO DEL NOCE - di Lino Di Stefano da http://www.riscossacristiana.it

La presenza del filosofo cattolico Augusto Del Noce(1910-1989) nella società e nel pensiero contemporaneo diventa sempre più pressante per il semplice motivo che ci troviamo al cospetto di un pensatore, serio, robusto, rigoroso e, totalmente, convinto delle proprie idee. La statura intellettuale dello studioso toscano – formatosi nell’Università Torino e maturato alla ‘Sapienza’ di Roma sulla cattedra di Filosofia politica – è riconosciuta un po’ da tutti i filosofi, italiani e stranieri, che si rispettino .Sicché ,opportunamente, la Facoltà di Scienze politiche della Capitale, presso la quale egli ha svolto il suo magistero teoretico, ha voluto, di recente, alla vigilia, cioè, del centenario della morte, ricordarne la vita, le opere e il pensiero mediante l’intervento di importanti cattedratici quali G. Rossi, A. Bixio, T. Serra, R. Buttiglione, D. Castellano. F. Lanchester, Riconda ed altri.

Dopo gli interventi della mattinata di Rossi, Bixio e Buttiglione – coordinati dalla Prof.ssa Teresa Serra – e aventi come tema ‘Modernità, Secolarizzazione del Risorgimento’ – durante la seduta pomeridiana il Simposio ha raggiunto toni di alta partecipazione dottrinale ed umana non senza le relazioni della menzionata Teresa Serra, che ha riassunto  i discorsi antimeridiani, e di Fulco Lanchester il quale, da una parte, ha presieduto i lavori del pomeriggio e, dall’altra, ha ricordato la figura di Del Noce, studioso, filosofo e senatore della Repubblica. E’ spettato, a questo punto, al Prof. Francesco Mercadante, emerito di Filosofia del Diritto della Facoltà di Scienze politiche della ‘Sapienza’, tratteggiare la figura e l’opera dell’autore de ‘Il problema dell’ateismo’(1964) e de ‘Il suicidio della rivoluzione’(1978, I^, 1991, II^), solo per citare qualche volume, vista l’ampia produzione del filosofo cattolico.

Dopo aver elogiato l’articolo di Rocco Buttiglione su Del Noce – articolo definito “eccellente” - il Prof. Mercadante si è autodefinito non discepolo del pensatore di Pistoia, ma assiduo lettore ed appassionato studioso dello stesso dal 1949. Chiarito che anche Galvano della Volpe fu un estimatore del nostro filosofo, il relatore ha voluto rammentare i rapporti fra La Via e Del Noce nonché la cosiddetta via franco-italiana della storia della filosofia mercé il rapporto Gilson-Del Noce. Chiarito che quest’ultimo intendeva scrivere un libro su Vico e, invece, scrisse un libro su Gentile, l’oratore ha proseguito affermando che Del Noce “pensava attraverso la storia” e che il pensatore toscano detestava lo spiritualismo italiano. Dopo aver rilevato l’importanza del saggio delnociano su Gentile – libro nel quale manca il capitolo su Croce – il Prof. Mercadante ha posto l’accento sul fatto che Del Noce aveva sempre paura di concludere un libro escludendo, altresì, che l’autore de ‘Riforma cattolica e filosofia moderna, Cartesio’(1965) fosse un rosminiano per il semplice motivo che non intendeva esserlo.

Assodato che Del Noce considerava Rosmini un filosofo non ontologista giacché “l’Idea di Dio non è Dio”, l’emerito di filosofia del diritto della ‘Sapienza’ ha asserito testualmente che il volume delnociano su Gentile “resta il più importante saggio di filosofia del Novecento” e che, inoltre, in esso, ad onta dello scacco, c’è l’aggancio alla metafisica dell’essere (reale)”. Avviandosi alla conclusione, il relatore ha confidato, da un lato, che il filosofo cattolico restò sgomento di fronte alla caduta del muro di Berlino ed ha sottolineato, dall’altro, che non esiste una filosofia di Marx. Evidenziato che Del Noce considerò la Rivista ‘Lacerba’ “una cattedrale della filosofia” e che lo stesso ripensò il fascismo, il relatore ha chiuso il proprio discorso mettendo in luce, che Gentile fu mal ripagato dal fascismo e che Croce fu un filosofo non democratico.

Il Prof. Buttiglione che era già intervenuto nella seduta del mattino sul tema ‘Il Risorgimento in Augusto Del Noce’, ha, dapprima, sostenuto che Mercadante non viene dalla scuola di Del Noce e, in un secondo momento, ha rilevato che il pensatore cattolico è e rimane l’opposto di Popper non senza precisare, ancora, che Croce ha tentato di resistere alla forza. Specificato che l’ultimo Croce ha cercato di rivedere le categorie, il relatore ha aggiunto che Del Noce si è chiesto se si possono difendere le conseguenze relativamente alla questione ‘immanenza-trascendenza’ per recuperare gli errori degli altri. Definito il Maestro “pensatore asistematico”, Buttiglione ha proseguito ponendo l’accento sulla considerazione che la genuina ‘filosoficità’ di Del Noce è quella politica e che per quest’ultimo mentre “la mia esistenza deriva da Dio, per il socialismo mi faccio da solo”. Delucidato che l’attività pubblicistica di Del Noce non è stata mai in contrasto con l’attività speculativa, l’oratore ha concluso la propria relazione facendo presente, da una parte, che il pensiero delnociano ha aiutato ed aiuta a comprendere il fenomeno della modernità e ponendo in rilievo, dall’altra, che “i cattolici non hanno capito la contemporaneità visto che la verità si afferma anche con l’azione politica”.

A questo punto, il Prof. Calabrò ha esordito con tale dichiarazione:”Aveva ragione Angela Del Noce quando asseriva che non esistevano discepoli del marito in quanto ognuno interpretava il filosofo a modo suo”. Il cattedratico ha, poi, aggiunto, che Del Noce è stato studiato anche dagli avversari per aver criticato Marx e che il pensatore cattolico ha avuto fortuna pure all’estero, segnatamente l’Argentina. Calabrò ha anche sottolineato che per qualche avversario la filosofia delnociana non esiste laddove la verità poggia sul fatto che in lui esiste un pensiero presupposto. Precisato che Del Noce non ha fatto filosofia con la storia della filosofia, l’oratore ha soggiunto che Del Noce ha perseguito la liberazione dell’uomo mediante un discorso propositivo in senso mediato. Il Prof. Castellano, dal canto suo, ha riconosciuto che il filosofo toscano ha operato una metafisica dell’uomo anche perché questi “sapeva cogliere la tesi dell’avversario” intorno al problema della verità senza la pretesa di esaurirla; l’oratore ha anche chiarito che il filosofo è riuscito a capire la contestazione concepita quale “apertura al dibattito”.

Secondo Castellano, lo ‘scacco’ nasceva per Del Noce dal fatto che alcune filosofie erano aporetiche; ad onta di ciò, il filosofo di Pistoia discuteva sullo scacco e lo argomentava anche perché, in fondo, contrariamente a quanto si pensava, egli era un po’ rosminiano. L’oratore ha pure rivelato che Del Noce inviò un amico a Londra per conoscere il sistema di Popper il quale era un antiplatonico liberale, mentre l’autore de ‘L’epoca della secolarizzazione’(1970) era vicino alla metafisica platonica. Per Castellano, infine, Del Noce “resta un vero maestro e un grande filosofo nonostante le esclusioni subite durante la sua mortale esistenza”. A questo punto, un interessante dibattito ha vivacizzato il Convegno, già di per sé di alto livello: Mercadante ribadendo che “non è vero che non esiste una filosofia delnociana come sistema”, Buttiglione confermando che “non ci siamo fatti da noi” e, via via, tutti gli altri come i cattedratici Azzaro, Armellini, Salzano, Cotta etc.


Avvenire.it, 23 dicembre 2010 - Quando il desiderio è più forte del limite di Stefano Gheno

Oggi sembrano tutti riscoprire il desiderio quale motore dell’uomo, quell’energia senza la quale l’agire umano si spegne, traducendosi in pura reazione. Tutti lo riscoprono per denunciarne la scomparsa. E questo - per certi versi - sembra paradossale: mai come in questo nostro tempo l’immagine vincente sembra essere proprio quella dell’uomo che desidera: da quello che non deve chiedere mai, a quello che «voglio quindi sono!». Dove è finita, dunque, oggi tutta questa pedagogia del desiderio, sembra essere la domanda ricorrente di molti maître à penser.

Eugenio Borgna ci propone una risposta. In una recente intervista, distingue tra grandi e piccoli desideri, tra desiderio di Dio e desideri di "cose" (materiali e immateriali) attribuisce al prevalere di questi ultimi, nella loro inevitabile limitatezza, una responsabilità nell’indebolimento del desiderio "grande". In effetti da Cenerentola in poi, il refrain de «i sogni son desideri» è risuonato, contribuendo a intorbidire le acque. Così il desiderio nel post-moderno si è tradotto in bisogno che, se non viene soddisfatto, subito provoca disagio e mal-essere.

Così noi, nel nostro tempo, il desiderio lo riduciamo. Ne riduciamo la qualità e l’intensità. Salvo farlo riemergere - talvolta - come un delirio di potenza, tale per cui tutto ciò che si desidera (i "piccoli" desideri, naturalmente) è un diritto. Fino a giungere alla contemporanea - per usare la felice definizione di Giuliano Ferrara - «dittatura del desiderio». Giustamente, invece, viene segnalato da Borgna come il desiderio appartenga alla struttura più profonda dell’uomo: si tratta di un tema antropologico, prima che psicologico o sociale.

Vorrei però provare qui, proprio nell’attesa del Natale, a spezzare una lancia anche a favore di quei desideri "piccini" che affollano così tanto il cuore dell’uomo, da togliere talvolta spazio al Desiderio con la maiuscola. Traggo spunto da un fatto raccontato da mio figlio che, a scuola, sta lavorando con alcuni insegnanti proprio sul tema del desiderio. Mi racconta di un compagno che, richiesto di una riflessione a riguardo, segnala all’insegnante e alla classe l’opportunità di non desiderare troppo, perché altrimenti si finisce per non essere mai soddisfatti di ciò che si ha.

Allora ripenso al viaggio di quella famiglia, obbligata al censimento da un potere alieno, e credo - provo a immedesimarmi un po’ - che il capo famiglia, un carpentiere povero anche se di nobili origini, desiderasse proprio che sua moglie potesse riposare, in attesa del parto, in un luogo almeno un po’ accogliente e comodo. Credo anche che questo desiderio l’abbia fatto cercare a lungo nelle locande del posto, finché il realismo dell’avanzare della notte non lo costrinse a ripiegare su un ricovero di fortuna da condividere con due animali. Certo, a questo punto avrebbe potuto rimuginare rancoroso sull’ingiustizia della contraddizione tra il suo desiderio, in fondo piccolo, e la realtà. Invece avviene il miracolo della nascita del Figlio ed è questa, non la delusione, ad attirare il suo e lo sguardo di tutti.

Credo che ciò che impedisce l’emergere dei desideri grandi, che fa prevalere l’insoddisfazione sullo stupore e sulla gratitudine che ne deriva, non siano i desideri piccini di noi poveri uomini di questo mondo, ma piuttosto l’incapacità a stare di fronte al positivo della realtà che ci si pone davanti. Come quel bambino. Se stessimo di fronte a questa presenza, forse ciò che desideriamo nel nostro limite, non sarebbe ostacolo alla soddisfazione, ma propulsore di bene per noi e per tutti.


Avvenire.it, 22 dicembre 2010 – BOEMIA - Preghiera, un seme nella terra più atea di Marina Corradi

Da Praga sono settanta chilometri di strade sempre più deserte. Colline e pascoli, e rari villaggi silenziosi. Pioviggina e c’è nebbia. Boemia, nel cuore dell’antica Europa austroungarica una terra che sembra abbandonata. Qui e là solitari campanili. La regione più secolarizzata d’Europa, dove il 60% della popolazione si dichiara atea. Finalmente un cartello: "Trapistkycký klàster".

Nel fondo di una vallata, bianco, tutto nuovo, ecco il monastero. È una fondazione delle trappiste di Vitorchiano, dedicata a Nostra Signora della Moldava, il grande fiume che scorre poco lontano. Sono arrivate in 9 dall’Italia, nel 2007. Oggi sono già in 19: tutte vocazioni di giovani ceche, ragazze cresciute nella ex Cecoslovacchia comunista. Guardi dall’alto, con stupore, fra i boschi e la nebbia, il cantiere ancora aperto. Che cosa strana: come un seme, gettato nel fondo di questa terra dimenticata.

Alle tre del pomeriggio le suore recitano Nona nella cappella non del tutto compiuta, tra la calce e le cazzuole dei muratori. Bianche nel coro di legno scuro, cantano. Hanno voci belle che echeggiano fra le pareti spoglie; l’armonia ti colpisce. Dopo chilometri di villaggi senza nessuno, la bellezza di questo canto nel silenzio della Boemia commuove.

La superiora, madre Lucia Tartara, 55 anni, è di Adria, provincia di Rovigo. «A Vitorchiano avevamo tra noi alcune sorelle ceche. Il cardinale Vlk, allora arcivescovo di Praga, venne a trovarci. Espresse il desiderio di una fondazione in Boemia. Noi eravamo più di 80, era tempo per una nuova fondazione. Ma occorreva un terreno, occorrevano soldi e non avevamo niente. Abbiamo trovato questi 40 ettari in una zona che sembra avere sotto di sé la storia di questa terra: sulle rocce qui attorno ci sono ancora incisi i simboli degli hussiti, che su questo terreno hanno combattuto contro i cattolici, e proprio qui dove siamo c’era un campo nazista, durante la guerra. Appena arrivate, quando ancora non c’era nulla, abbiamo celebrato la prima Messa nei campi. Non c’era l’acqua: abbiamo dovuto costruire l’acquedotto, e combattere con la burocrazia per mille permessi. Il cardinale Vlk è venuto a benedire il cantiere. Infine, siamo arrivate un giorno in auto da Vitorchiano, dietro di noi un camion carico di materassi. Era il 23 aprile 2007 quando abbiamo dormito nella foresteria per la prima volta; e pensavamo, tra questi boschi, senza neanche una inferriata alle finestre, di avere paura. Invece no. Io mi sentivo custodita dal tabernacolo col Santissimo che ci eravamo portate dall’Italia – è Lui il padrone di casa, qui».

La sera scende sul monastero e lo avvolge in una nebbia più fitta. Poi solo l’abbaiare di un cane nella notte, fino al primo tocco della campana. È ancora buio alle 4 e 15. Le monache nella cappella recitano il Mattutino. Le guardi: in quante sono giovani sotto al velo. Marketa, una postulante ancora senza abito, ha due trecce castane che la fanno sembrare una bambina. Se ne escono silenziose in fila verso il refettorio. Ora et labora: i monasteri benedettini devono mantenersi. C’è l’orto, si dipingono icone, e si sta costruendo una cioccolateria. Il lavoro cadenzato dalla preghiera, a ore fisse – come scandito da un altro orologio.

All’apparenza, un monastero di clausura qui è un’isola nel deserto. Eppure no. Madre Lucia racconta come nelle domeniche d’estate i boemi che vanno a fare il bagno nella Moldava, incuriositi dalla scritta "Trapistky klaster", vengano a bussare. «Ci domandano: che cosa fate qui? Allora li invitiamo ad assistere a Nona o ai Vespri. Restano ad ascoltare, e alla fine ci dicono meravigliati: come sono belli i vostri canti, e le parole che cantate! Ma che cosa sono? Non le abbiamo mai sentite».
Una giornalista locale è venuta a vedere. Poi ha scritto: «Le trappiste sono venute in Boemia a offrirci la bellezza». «È la bellezza che colpisce, che suscita meraviglia», dice madre Lucia. Ma tu hai in mente le periferie di Praga, a un’ora da qui, i palazzi scrostati lasciati dal socialismo reale tra i quali incontri vecchi soli e muti. Che senso ha un monastero trappista qui, e come può incidere in questa terra scristianizzata?

«Noi – risponde la superiora – dedicandoci a una vita di preghiera nel silenzio, siamo una realtà missionaria. Ci si può chiedere in che modo. È semplice: la più grande delle sofferenze degli uomini è la mancanza di senso della vita e della morte. Solo in Dio l’uomo trova il senso della propria vita. Lo scopo del nostro essere qui è ottenere da Dio per tutti la grazia delle grazie: l’incontro con Cristo. Il nostro fisico essere qui è partecipazione anche concreta, carnale, al desiderio profondo degli uomini di questa terra. Non solo preghiera, ma offerta di ogni istante della nostra vita a Cristo. Noi crediamo nella comunione di tutti gli esseri umani tra loro; la nostra appartenenza a Cristo non è solo per noi ma è collaborazione con la Sua Opera, per amore degli altri, che sono "fuori", nel mondo».

Fuori: in questi villaggi abbandonati, dove sono rimasti i più vecchi; dove i giovani non sanno più come si fa il segno della croce. Che cosa strana, però. Strano che un giorno in mezzo a questi campi vergini sia stata celebrata su due assi di legno una Messa, davanti a un grappolo di uomini e donne venuti da lontano. «È stato tutto un miracolo – dice pensosa la superiora – un miracolo trovare i fondi, e fare l’acquedotto, e poi, quando siamo arrivate, ricevere da gente mai vista, in regalo, i mobili di cui avevamo bisogno. L’impiegato dell’ufficio che ci assillava con le complicazioni burocratiche una mattina ce lo siamo ritrovato qui, tra i volontari venuti a piantare i pali nel frutteto. Un miracolo tutte queste vocazioni: in due anni abbiamo accolto dieci giovani donne ceche».

Un miracolo? Comunque, qualcosa di non tanto diverso da quella delle fondazioni cistercensi che molti secoli fa sorgevano in Europa, in terre imbarbarite, e ricominciavano la storia cristiana. Nella bella chiesa dal tetto di legno – dal basso, sembra un’arca alla rovescia – le monache cantano i Vespri alle cinque del pomeriggio. È buio fuori ormai; gli operai del cantiere hanno finito il turno. Due di loro, le mani ancora sporche, si affacciano alla chiesa. Rispettosamente si tolgono gli scarponi infangati ed entrano, muti, scalzi. Tendono il collo a guardare verso il coro: chi canta così, sembrano chiedersi, e perché? Strano, che dei manovali stanchi tardino a tornare a casa, la sera, per ascoltare uno sconosciuto canto. Eppure, quei due rimangono fino alla fine, come sedotti da una bellezza. Il seme piantato nel fondo della Boemia, non visto, germina sotto la prima neve del Natale 2010.



Dall’accoglienza alla «selezione» - l’aria che tira di Michele Aramini - Avvenire, 23 dicembre 2010

Ci racconta un romanzo che nel Natale del 1944, in una Germania nazista ormai devastata dai bombardamenti, alcuni abitanti di un piccolo villaggio al confine con la Francia celebrano il loro poverissimo Natale. Sono presenti due fratelli, antichi signori del luogo, alcuni dei loro servitori, qualche famiglia contadina con vecchi e bambini. C’è anche una ragazza che ha appena partorito, dopo una violenza subìta. Il bambino è avvolto in fasce, emerge solo il volto quanto basta per mostrare una deformità sul visino ancora rossiccio. La madre è titubante, non sa come sarà accolta. Il sorriso le illumina il volto quando i due fratelli, a nome di tutti i presenti, adottano entrambi con amore semplice e umano.

La piccola comunità ha per la madre parole di accoglienza profonda, e per il bambino la promessa della vicinanza. Sarà quello il Natale più vero, il Natale della speranza. La Germania rinascerà perché ci sono tedeschi che sono uomini, e uomini che sanno amare. È il messaggio di Ernst Wiechert nel suo libro Missa sine nomine.
Potrebbe ripetersi oggi una vicenda del genere, quando genitori e nonni incoraggiano figlie e nipoti ad abortire per non avere problemi di studio, di lavoro, o anche solo per comodità? E che dire dell’accoglienza della vita quando il bambino che dovrà nascere avesse anche solo un piccolo difetto, anche curabile? L’accoglienza della vita è sempre più condizionata: 'Ti accolgo solo se...'. Se abbiamo risolto i problemi economici, quelli di lavoro, quelli di maturità di coppia...


Oggi siamo passati al 'ti accolgo solo se sei sano', perché se no sarai un infelice, ed è meglio che tu non soffra. In realtà pensiamo alla nostra sofferenza e ai nostri guai. Abbiamo paura di dover servire la vita con tutta la nostra vita. Ma non dovrebbe essere questo il progetto nel mettere al mondo un figlio? Servire la vita con la nostra vita. Purtroppo per la gran parte delle persone non è più così, tanto che stiamo raccogliendo frutti avvelenati dell’individualismo. Il figlio non più dono da chiedere ma diritto: come se sulle persone si potessero accampare pretese.
SE se il figlio è un diritto, deve essere un figlio che non crei problemi, proprio perché lo si vuole per la propria gratificazione. u questa via la gioia della maternità si è trasformata in un itinerario super­medicalizzato, dove le varie tappe sono ansiogene per definizione. Quanto ad ansia, gli esami fatti alle donne gravide si collocano al livello delle biopsìe. Molti medici, conquistati ormai alla medicina difensiva, consigliano unicamente nella direzione di indagini eccessive, in modo che l’aborto resti come prospettiva ultima in caso di complicazioni. La selezione dei nascituri sta tristemente entrando nella nostra mentalità. È uno scivolamento disumano. e si vuole recuperare l’umanità che ci è propria dobbiamo lavorare in due direzioni. La prima, usare la medicina per indagare e soprattutto per curare le eventuali anomalie dei nascituri. In questo campo ormai si possono fare cose veramente meravigliose, che non giustificano affatto la scelta abortista. La seconda, lavorare su se stessi: si deve tornare a fare figli per amore. Chi ama e si educa ad amare diventa capace di accogliere ogni vita. Come nel Natale 1944.


Test genetici in gravidanza, caccia al feto difettoso - Arrivano nuovi test per individuare con crescente precisione eventuali anomalie nel feto. L’effetto è una quasi inarrestabile «caccia al difetto». Col risultato di proporre come unica 'cura' della malattia l’interruzione della gravidanza di Emanuela Vinai - Avvenire, 23 dicembre 2010

La domanda si pone con insistenza: ma lo vogliamo far nascere, questo bambino? Quesito tutt’altro che ozioso. Non solo per l’inevitabile assonanza natalizia, ma perché già nella normalità delle cose il venire al mondo è un percorso a ostacoli, e se poi a questo si aggiunge l’attraversamento della giungla dei test prenatali, per il nascituro la faccenda di­venta oltremodo ostica. Secondo i dati disponibili, in Italia una donna in gravidanza su tre si sottopone a test di diagnosi prenatale. Le motivazioni sono diverse e vanno dal raggiungimento di una determinata soglia anagrafica (normalmente i 35 anni), alla presenza di malattie geneticamente trasmissibili, a una più generica e ormai diffusissima 'medicalizzazione della gravidanza'.
Un trend che finisce per stigmatizzare la futura mamma che non si sottoponga a tutti gli esami disponibili per 'la salute del bambino' e che, pur nelle migliori intenzioni, finisce per scivolare in un’inarrestabile 'caccia all’anomalia'. «Il problema dello screening prenatale è la fina­lità con cui lo si effettua», afferma Licinio Contu, genetista, presidente della Federazione italiana Adoces (Associazione italiana donatori cellule staminali) e dell’Admo (Associazione donatori mi­dollo osseo): «Il test ha senso se si esegue, come si farebbe con un adulto, con la prospettiva di fornire tempestivamente una diagnosi di un’eventuale anomalia così da predisporre una terapia adeguata. Se invece l’unica 'cura' prospetta­ta è l’aborto non possiamo che parlare di eugenetica, perché avviene inevitabilmente una selezione ».
Contu è particolarmente duro con la 'celo­centesi', l’ultimo ritrovato in fatto di test pre­natali, che, senza ricorrere alla villocentesi, consente di diagnosticare la talassemia già al se­condo mese di gestazione. Anticipare i risultati consente, come dichiarato nel recente comunica­to stampa di presentazione del test, di «ricorrere all’Ivg e non all’aborto terapeutico con un bene­ficio della donna sia fisico sia emotivo». «Nel ca­so della talassemia è assurdo – ribatte il genetista – perché se i bambini talassemici sono avviati al trapianto in tempo utile le percentuali di guari­gione che abbiamo riscontrato sono del 98%». L’uso indiscriminato dei test prenatali e la re­sponsabilità in capo ai sanitari di interpretare cor­rettamente i risultati porta, più o meno inconsa­pevolmente, all’introduzione surrettizia di un con­cetto che va contro ogni logica medica: l’aborto diventa prevenzione di una malattia. «La cura che si propone è l’eliminazione del malato – conclu­de Contu – ma cosa succederebbe se questa so­luzione venisse applicata anche nelle corsie degli ospedali?».

Per ovviare all’eccessiva medicalizzazione del percorso nascita, il 16 dicembre il Ministero della Salute ha pubblicato le «Linee guida sulla gravidanza fisiologica». Attraverso un sistema di quesiti e raccomandazioni, il documento diviene strumento per «la predisposizione di protocolli operativi dei differenti punti na­scita, oltre che strumento di rife­rimento per la presa in carico e la continuità assistenziale della donna in gravidanza». Il vade­mecum analizza tutto il pianeta maternità: dagli stili di vita all’informazione, dal timing delle visite indispensabili per un cor­retto monitoraggio agli esami cli­nici adeguati per la salute della mamma. Una sezione delle linee guida è espressamente dedicata allo «screening per anomalie strut­turali fetali» e la «diagnosi prena­tale della Sindrome di Down».

L’intento di ridurre l’estensione acritica degli esami pre­natali si traduce però nell’ampliamento della platea dei destinatari, come evidenzia Lucio Romano, ginecologo e presiden­te dell’Associazione Scienza & Vita: «L’articolazione delle linee guida dà una risposta compiuta e ag­giornata sulle varie tematiche i­nerenti la gravidanza fisiologica. Una particolare attenzione viene rivolta all’informazione della ge­stante, alle indagini di laboratorio e strumentali cui poter accedere e si evidenzia uno speciale im­pegno nella individuazione tempestiva di feti af­fetti dalla Sindrome di Down attraverso un ca­pillare percorso finalizzato alla diagnosi prenatale della sindrome, da offrire a tutte le donne entro la 13ma settimana più 6 giorni di gravidanza». Ciò significa «un’estensione massiva dell’esame a tut­te le gestanti e non più solo per i soggetti a ri­schio, come le donne in età fertile avanzata».

I rischi? «Il dato che preoccupa – continua Ro­mano – è il sottile propagarsi di una cultura eu­genetica selettiva derivante dalla sovradiffusio­ne di screening prenatali. Infatti, come riportato nelle Linee guida, in Danimarca attraverso l’in­troduzione della valutazione del rischio utiliz­zando il 'test combinato', si è dimezzato il numero di nati con sindrome di Down. In al­tri termini, si è raddoppiato il ricorso all’aborto». La possibile soluzione è già delineata nel va­demecum ministeriale, ma va correttamente applicata: «Laddove viene garantita la possi­bilità di accedere rapidamente a una consu­lenza con professionisti esperti e con capacità comunicative – conclude Romano – l’auspicio è che non ci si limiti a una mera informazio­ne sulle procedure ma si valuti con la gestan­te il rilievo di una vita umana».



Cina - Chen Guangcheng il dissidente cieco dell’aborto di Stato di Lorenzo Fazzini - Avvenire, 23 dicembre 2010

Prima della (ormai celebre) sedia vuota di Liu Xiaobao alla recente cerimonia di consegna del Premio Nobel per la pace a Stoccolma, un altro posto era stato reso vacante da un dissidente con gli occhi a mandorla: Chen Guangcheng, conosciuto come 'l’avvocato cieco', protagonista di importanti denunce del dramma degli aborti forzati nella Cina del turbo-capitalismo. Nel 2007 quello che è stato ribattezzato 'il Nobel d’Asia', l’autorevole premio Ramon Magsaysay, intitolato al terzo presidente delle Filippine, venne assegnato appunto a Chen. Il quale, come Liu, si trovava però agli arresti per motivi 'bioetici' e non potè ritirare il prestigioso riconoscimento.
La vicenda di Chen è legata a doppio filo con la politica del figlio unico messa in campo dal governo cinese per controllare la crescita demografica del Paese. Politica che – detto en passant – è in via di radicale discussione nelle grandi metropoli come Shanghai di fronte all’'inverno demografico' che sta attanagliando il gigante asiatico.

Già, perché Chen, 38enne legale autodidatta (venne rifiutato dall’università in quanto disabile: è non vedente dalla nascita), rappresenta una delle voci più autorevoli nello stigmatizzare gli aborti e le sterilizzazioni forzate in Cina. Per tale impegno civile è stato condannato nel marzo 2006 a 4 anni di carcere. Oggi vive agli arresti domiciliari insieme alla moglie nel villaggio di Donghigu, nella provincia dello Shandong: «Il suo paese è stato trasformato in una vera prigione, nessuno può entrarvi o comunicare con i suoi abitanti» racconta il quotidiano francese Liberation in un reportage dalla Cina.

Gruppi di poliziotti stazionano intorno alla 'prigione domestica' di Chen Guangcheng, sei telecamere di sorveglianza sono state messe intorno al perimetro del borgo dell’avvocato: solo un anziano parente dei coniugi Chen può incontrarli.

Tutto nasce dalla circostanziata denuncia dell’'avvocato scalzo' – questo l’altro soprannome di Chen, di cui parla la mostra «Uova marce. Uomini e donne che stanno cambiando la Cina» promossa dalla rivista del Pime Mondo e Missione –: secondo le testimonianze da lui raccolte, circa 7 mila donne sono state costrette ad abortire dalle autorità statali nel distretto di Linyi. Le madri prese di mira avevano 'disobbedito' alla norma del figlio unico e per questo sono state oggetto di veri e autentici raid da parte di commando abortisti, che con una semplice puntura a domicilio, ovviamente imposta, hanno messo fine alle loro gravidanze. Chen Guangcheng ha inoltre denunciato la crudeltà degli agenti di pianificazione familiare del governo cinese: «Non si fermano davanti a niente per riempire il numero di aborti dal quale dipende la loro promozione e il loro salario».