martedì 7 dicembre 2010

Nella rassegna stampa di oggi:
1)    Intervento di Padre Aldo Trento a Bologna
2)    La fretta e l’attesa Pigi Colognesi - lunedì 6 dicembre 2010 – il sussidiario.net
3)    Martiri. Parlano i cristiani sopravvissuti di Rodolfo Casadei - Source URL: http://www.tempi.it/prima-linea/0010564-titolo  - I terroristi che irrompono in chiesa, massacrano donne e bambini prima di farsi esplodere. I racconti dall’inferno degli scampati alla strage di Baghdad, ora in cura in Italia. «Non torneranno in Iraq»
4)    Ordine e razionalità del cosmo: una delle prove filosofiche di Dio. - 6 dicembre 2010 dal sito http://antiuaar.wordpress.com
5)    GRUPPI RADICALI IMPEDISCONO AL CARD. ROUCO DI PARLARE ALL'UNIVERSITÀ - Il Governo non garantisce la sicurezza - MADRID, lunedì, 6 dicembre 2010 (ZENIT.org).
6)    ASSASSINATI ALTRI DUE CRISTIANI IN IRAQ - Centinaia di famiglie cristiane fuggono nel nord del Paese - BAGHDAD, lunedì, 6 dicembre 2010 (ZENIT.org)
7)    06/12/2010 - CINA – VATICANO - Ritorna la Rivoluzione Culturale: vescovi cinesi imprigionati o ricercati come criminali di Bernardo Cervellera – Roma (AsiaNews)
8)    PIO XII, PIO XII EBREI, PIO XII NAZISMO, SILENZIO PIO XII - Il silenzio pubblico di Pio XII fu in realtà una strategia molto intelligente. - 6 dicembre 2010 dal sito http://antiuaar.wordpress.com/
9)    07 DIC 10 – Sacri Palazzi il blog di Andrea Tornielli - http://blog.ilgiornale.it
10)                      EDITORIALE - L'uomo extraterrestre Lorenzo Albacete - martedì 7 dicembre 2010 – il sussidiario.net
11)                      CRONACA - COLLETTA/ 3. Così Nadine, 14 anni, islamica, mi ha insegnato cos’è la carità Redazione - martedì 7 dicembre 2010 – il sussidiario.net
12)                      Lo Straniero - Il blog di Antonio Socci - AIUTIAMO I RAGAZZI DELLA “CASA DEI RISVEGLI” !!! - Posted: 06 Dec 2010
13)                      Avvenire.it, 7 dicembre 2010 - LIBERTÀ RELIGIOSA - Pechino, pugno di ferro - Retate contro i vescovi di Bernardo Cervellera
14)                      Avvenire.it, 7 dicembre 2010 - IL DRAMMA DEGLI ERITREI - Pagata una parte del riscatto - L’appello del Papa di Ilaria Sesana

Intervento di Padre Aldo Trento a Bologna

Sono molto commosso di questa grazia e di essere vicino a Sua Eminenza il cardinal Carlo Caffarra, perché mai avrei creduto che il Signore mi desse una grazia così nella vita, soprattutto sapendo che vivo da ventidue anni dove c’è solo la miseria umana. Quindi, per me, stare qui è come stare in compagnia di Gesù. E’ un motivo di conforto per me, che ho bisogno di questa forza. Perché non si può vivere senza essa quando, per ventiquattro ore su ventiquattro, vedi la gente morire nelle strade, raccogli i cadaveri, vedi membra umane che cadono a pezzi mangiate dai vermi, condividi la vita con le prostituite, gli omosessuali, i malati di Aids, i travestiti, le bambine violentate. Quindi questo momento per me è un regalo che Gesù Bambino mi sta facendo, che sta facendo a questo povero uomo, che è stato oggetto di una grande misericordia nella sua vita. Solo chi sperimenta la misericordia abbraccia tutti. Per questo quello che cerco di dirvi nasce così di impeto. Voglio comunicarvi cosa genera questa posizione di misericordia e il perché ho bisogno di sentire tutti i giorni: «Io ti assolvo dai tuoi peccati nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo». Sì, ho bisogno solo di questo. Siamo solo duecento preti in missione in Paraguay e quindi a volte ho dovuto impiegare anche un giorno di strada per riuscire a confessarmi. Nemmeno la lontananza mi ha mai impedito di passare una settimana senza Confessione. E quando venivo in Italia all’aeroporto cercavo un prete e, al primo che incontravo, gli chiedevo di confessarmi. Perché volevo risentire quello che dicono i profeti e i salmi: «Ti ho amato di un amore eterno, avendo pietà del tuo niente»; «Sei come la pupilla dei miei occhi»; «Ti ho disegnato sulle palme delle mie mani»; «Prima di concepirti nel ventre di tua madre io ho pronunciato il tuo nome». Pensate cosa vuol dire per le mie bambine violentate poter ricevere per osmosi questa coscienza che vivo e per cui la loro identità non dipende più dalla forma con cui sono state concepite, ma dal fatto che sono state pensate da Dio per l’eternità! Vuol dire che, per esempio, quando domenica scorsa ho dato la Prima Comunione a dieci bimbe violentate, si sono confessate e mi hanno detto: «Papà noi non vogliamo che venga la nostra mamma e il suo concubino, però noi li perdoniamo». Bambine di dieci anni dicono: «Noi perdoniamo», perché un uomo non è frutto del suo passato, ma di un incontro che gli dimostra concretamente che «Io sono tu che mi fai». Immaginatevi, se fossi il frutto dei miei antecedenti, non sarei qui, ma in manicomio. Se fossi frutto di quanto mi è accaduto nella vita, non sarei qui stasera. Se fossi vittima ancora di quello che mi è accaduto, come potrei guardare con ironia la realtà e dire che «là, dove ha abbondato il peccato, ha abbondato grazia»? Come potrei dire alla gente quello che Pietro le disse: «Nel nome di Gesù alzati e cammina»? Questo nome di Gesù, che non pronuncia più nessuno. Sì, perché anche ieri ho avuto una discussione e mi dicevano che sul lavoro bisogna stare attenti a pronunciare il nome di Gesù e che bisogna dimostrare di essere cristiani in un altro modo. Ma come? Cosa ha detto Pietro quel giorno, senza certo avere davanti gente che lo applaudiva? Nel nome di Gesù ha detto a quel paralitico: «Alzati e cammina». Ma quanti oggi dicono più il nome di Gesù? C’è un  falso ecumenismo, un falso rispetto e la paura di dire il dolce nome di Gesù: «Jesu dulcis memoria». Che tristezza provo, che scontatezza sento, per il fatto che noi viviamo più per la partita di calcio che per Lui. Dicevo a un incontro a Palermo: «Viviamo per una partita, per la Ferrari o per il moroso più che per Gesù. Allora cosa pretendiamo, cosa ci lamentiamo?». Ci sono tante razze e situazioni diverse, ma noi siamo chiamati ad annunciare Cristo. Ma se Cristo non è la mia vita, se non posso dire come san Paolo che «per me vivere è Cristo», è chiaro che mi vergogno di Lui. Pensate che tristezza! Giussani aveva detto prima di morire che la Chiesa ha vergogna di Gesù. Noi, io, abbiamo vergogna di Gesù, della vera pienezza. E dove è accaduta questa pienezza? In questo sguardo per cui «di un amore eterno ti ho amato». E dove è presente questo «Tu che mi fai»? E’ presente nello sguardo con cui Gesù ha guardato Zaccheo: il primo uomo che ha iniziato opere di carità nella Chiesa, perché con i soldi che aveva rubato ha poi cominciato a fare qualcosa di buono. Io dico sempre: la Compagnia delle Opere è iniziata con Zaccheo! E cosa definiva Zaccheo? I soldi che ha restituito? Ciò che ha fatto dopo? No! Quello sguardo di Gesù e vivrà tutta la vita determinato da quello. Pensate l’adultera, del film The Passion di Mel Gibson, che si trascina ai piedi di Gesù e lo incrocia. Pensate, tutti l’avevano condannata e poi Gesù la guarda e da lì in poi la sua vita sarà determinata solo da quello sguardo. Oppure, pensate alla samaritana che incrocia un uomo, «il più bello tra gli uomini», come dice il Salmo 44. Lo stesso è oggi: una delle mie novizie dei Memores domini mi ha detto: «Padre io sono felice della verginità, perché l’uomo più bello mi ha eletta». Pensate a quella donna che dice: ho incontrato uno che mi ha detto chi sono. Pensate a Matteo, a Giovanni e Andrea. Il cristiano è l’uomo che guarda così il mondo, se stesso e tuttoE dove io storicamente ho incontrato questo sguardo di misericordia? Quando non valevo niente e mio fratello voleva chiudermi in manicomio. Era il  25 marzo del 1989, in via Martinengo a Milano un uomo, don Luigi Giussani, mi abbracciò. Io non ce la facevo più, ero disperato, non sopportavo più la vita e lui mi abbracciò e mi disse: «Che bello, che bello!». Poi, vedendomi in quella condizione disse: «Come sarebbe bello che qualcuno ti facesse compagnia». Risposi: «Ma, Giussani, chi fa compagnia a un nevrastenico?», (su questo leggete Getsemani di Charles Péguy che parla della nevrastenia di Cristo). «Chi mi fa compagnia?», chiesi come Gesù chiese nell’orto degli ulivi. Ma nell’orto tutti si addormentarono. E così fu anche per me: nessuno mi faceva compagnia, tutti erano occupati in altre cose. E Giussani disse: «Bene, allora ti porto via con me». Mi ha portato tre mesi con lui e ha fatto tutto lui. Io non sapevo niente e mi sono trovato nella Fraternità san Carlo perché lui mi ha messo lì. Poi, quando la cosa stava peggiorando mi disse: «Allora ti mando in Paraguay». Gli dissi: «Ma come, se non entro nei criteri necessari?». Non rispondevo a nessun criterio che la Chiesa chiede per andare in missione, né tanto meno per fare quel che poi ho fatto. Mi rispose: «Io mi sento sicuro di te». Come era possibile, se cadevo per terra a causa dal fortissimo esaurimento che avevo? Lui mi portò in aeroporto a Linate e mi caricò sull’aereo affidandomi a un sacerdote e poi per 16 anni ho vissuto tenendo nella mente quello sguardo, come fece Zaccheo dopo aver incontrato Gesù. Ma cosa vuol dire? Vuol dire che lo sguardo di Giussani era lo stesso di Gesù a Zaccheo. E come si manifestava in quel paese tropicale del Terzo Mondo? Nella Confessione, la Confessione mi ha curato. Quella che oggi in Italia non trovo più. A volte non c’è nemmeno un prete per confessarsi e se ci vai ti chiedono quando è stata l’ultima volta che ti sei confessato. E se rispondi che sono passati tre giorni ti chiedono pure che sei venuto a fare. Io rispondo: «Vengo non per ascoltare la tua predica, ma per sentire Lui che mi dice: “Io ti assolvo dai tuoi peccati nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo”». Immaginatevi nelle selve del Paraguay, in quell’ambiente dove tutto mi era estraneo, cosa significa poter sentirsi dire: «Io ti assolvo dai tuoi peccati nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo». Perché non è che Giussani fosse con me fisicamente: ho vissuto i primi dieci anni con un prete di Forlì e ci confessavamo a vicenda. E non ho mai lasciato passare più di dieci giorni senza confessarmi, perché l’abbraccio di Giussani non era un sentimento, ma un giudizio, un Sacramento. Perciò non mi importava se dovevo passare un giorno, per chilometri e chilometri, a cercare un prete che mi confessasse vecchio o malato che fosse, o in fin di vita come uno che ho ricoverato nella mia clinica. Ho vissuto così, determinato da questo abbraccio di Gesù a Zaccheo e dall’obbedienza alla realtà, alla realtà come amica. Perché la realtà si può guardare in due modi: o come provocazione, come qualcosa che ti rimanda all’infinito, o come preoccupazione che distrugge, paralizza e che crea angoscia. Per questo quando mi alzavo la mattina per dieci anni ho ripetuto: «Io sono tu che mi fai». Sono stati dieci anni di insonnia: Non chiudevo occhio, avevo i capillari che mi si rompevano e tutto mi sembrava destinato a fallire, ma niente mi poteva impedire di dire: «Io sono tu che mi fai». Per quello mi arrabio quando sento dire da alcuni: «Ma io non sento». È ventidue anni che io non so cosa vuol dire sentire e che Dio non mi dà una caramella in bocca, ma il sentire non ha nulla a che fare con la certezza che io, ora, sono frutto di un Mistero che mi fa e che mi costituisce. Pensate che vuol dire alzarsi per anni senza dormire tutta notte. Pensate, tutto per me era irritabile. Mi chiamavano il padre irritabile. Però dentro tutti i limiti che avevo dicevo: «Io sono tu che mi fai». E, poi, ho iniziato a guardarmi con gli occhi di Dio, con ironia e con amore. Nella solitudine dei quattro anni dopo in cui sono stato solo come un cane ho capito cos’è il sacrificio, quello che Giussani, nel libro Si può vivere così, chiama “Il mostro”. Ho capito perché è una grazia: era la condizione attraverso cui Cristo poteva compiere il disegno che aveva su di me. Per questo mi commuove quello che Giussani dice rispetto al sacrificio. Commentando il Crux fidelis inter omnes scrive una cosa che sconvolge tutti e che dà fastidio a tutti: quando il sacrificio di Gesù, il grande valore che salva il mondo da tutta la sua miseria e la sua morte, diventa valore per noi? Nel partecipare alla Sua sofferenza, nell’accettare il modo che Lui stabilisce per partecipare al Suo sacrificio. Per esempio, dice Giussani, «Lui mi manda una una malattia». Quando ho capito che l’esaurimento e il cancro non erano una sfortuna, ho compreso la differenza tra il concepire la malattia come castigo, oppure come possibilità. Anche Dio pare abbia castigato Suo figlio, ma per Cristo la Croce non è rimasta castigo. Anche se ha conosciuto la nevrosi, anche se urlava: «Allontana da me questo calice» o «Perché mi hai abbandonato?». Infatti alla fine ha detto: «Non la mia, ma la tua volontà sia fatta». E poi:«Io sono tu che mi fai…Nelle tue mani affido il mio spirito». Quindi anche oggi la mia malattia è l’occasione per dire Tu a Cristo e per partecipare della Sua sofferenza, perché il mondo Lo incontri. Tante volte mi trovo a piangere per le strade guardando quelle capanne che sono lì, che aspettano Cristo e non c’è nessuno che lo annuncia. E dopo sedici anni del martirio che ho passato è nata la Città della carità e allora ho capito. Chiedevo sempre alla Madonna: «Ma perché Madonna se chiedo qualcosa a mia madre me la dà subito e Tu, invece, dopo dieci anni che soffro, faccio voti, vado nei santuari (ho fatto 20 mila chilometri per la guarigione) non fai cambiare niente di niente?» Non mi dava la grazia! Ma come è possibile? Poi ho capito che Gesù voleva che mi purificassi, mi voleva tutto Suo, non accettava alternative, come diceva Santa Teresa: «Nel mio cuore c’è una sola sedia, o la occupa Gesù o la occupa il demonio». E’ questa la battaglia. Quando Cristo mi ha reso Suo? Quando il mio «sì» è stato radicale e l’Io, prima mi avrebbero definito bipolare, è diventato una sola cosa con Cristo, che è diventato lo sguardo dei miei occhi. E’ stato da lì in poi che è fiorito tutto. E’ nata tutta la realtà di carità di cui vi leggo. Sono alcune testimonianze di malati terminali della Clinica. «Sono stato nove anni nel carcere di Tacunbu – scrive un malato – che è come un lager sovietico, con cinquemila prigionieri in un posto per mille persone: stavamo uno sopra l’altro. Sono stato venti giorni senza mangiare, non bevevo, la gente mi trattava male e desideravo solo morire finché sono arrivato in questa clinica, che adesso è la nuova forma di un abbraccio. Qui ho cominciato ad alimentarmi grazie all’incontro con la Misericordia divina». Nella mia clinica faccio la processione tre volte al giorno, mi inginocchio davanti a ogni malato e lo bacio, non importa se ha il cancro ed è pieno di vermi. Sentite cosa dice Gabriele a 18 anni e ormai oggi in fin di vita: «Quando arriva il Santissimo nel mio letto, quando prendo la Comunione sono forte, mi si asciugano le lacrime, mi passa la sofferenza che neanche la morfina calma, non mi ricordo più di niente, Gesù diventa la mia forza. Nello stesso istante in cui sono entrato in questo luogo ho sentito un sollievo tanto grande da tutto il carico dei miei peccati [parliamo della feccia umana, di Aids, cancro, prostituzione...] mi sono sentito liberato da tutti i miei peccati. [E' quello che dice il Papa: abbiamo dimenticato che la causa del male è il peccato. Perché non si sente più il bisogno di confessarsi? Perché manca Gesù, perché solo se c'è l'incontro con Gesù si ha coscienza del peccato] Tutto il carico di peccati che portavo sopra è sparito, tutto si è sfumato, una cosa dell’altro mondo». Parla una malata terminale: «Mi sento piena di vita e di speranza, con la certezza che Dio esiste. Io sono qui come un’altra persona [ha incontrato la pace del paradiso], mangiando, parlando tutto il giorno, come posso, e sorridendo come mai mi è accaduto nella vita». E mi scrive: «Quando ti senti male, come me, ricordati che Dio esiste, che per Lui nulla è impossibile. Confida e verrà la risposta perché Lui compie tutto». Un malato di Aids: «Quando sono arrivato alla clinica la mancanza di pace e la montagna di peccati che avevo mi faceva stare così male che ero arrivato al punto di non poter mangiare, non potevo ingoiare nemmeno le medicine e i medici non sapevano più cosa fare. Ma qui ho incontrato padre Aldo che mi ha detto: “Vuoi confessarti?”. Mi sono confessato e da quel momento il carico dei miei peccati è sparito. Da quel momento ho ricominciato a vivere. [Ora chi scrive non è più malato terminale] La confessione, il perdono, la comunione quotidiana, i sacramenti sono ciò che ha salvato la mia vita», come dico per la mia. E guardate che se non sono battezzati e magari sono così malati da non rispondere gli chiedo: «Se sei pentito fammi un gesto». Lo fanno e io li assolvo e vedi i loro occhi trasfigurati.Un’altra scrive: «Dio mi ha bastonato perché mi ama, e per quello mi ha dato l’Aids, e non desidera che essendo Sua figlia mi perda. Papà Aldo, voglio dirti che ti amo molto e voglio ringraziarti ogni momento per ogni secondo che mi hai dato, ma più per aver avuto fiducia di tua figlia, desidero che tu mi perdoni [è una prostituta di vent'anni che entrava e usciva dalla clinica e adesso è morta] e ti prometto che questa volta mi consegno totalmente a Gesù». Un altro malato terminale dice: «Dopo tanto tempo sono tornato a dire Cristo. Ciò mi ha fatto piangere molto, perché è stato come l’incontro fra due amici che da anni non si vedevano o che non si erano visti mai. [Questo malato ha composto una canzone prima di morire intitolata Morir cantando]. Non fu un rincontro, quello fra noi, ma l’incontro con Chi mai prima avevo incontrato: la forza del mio destino. E ho scoperto che l’unica condizione per incontrarmi con Cristo era morire». Per questo vorrei dire a tutti che non abbiano paura della morte di cui tanto hanno paura! Se mai abbiate paura di perdere Cristo! Un altro, che prima di entrare nella clinica non aveva mai sentito parlare di Gesù, dice: «Chiedo perdono alla vita, a Gesù, per quanto ho peccato, però so che Cristo mi aspettava in questa vita e ora mi aspetta in Paradiso. Grazie all’Aids mi sono incontrato con Gesù. Adesso mi accetto come sono, prima cercavo di essere diverso. Con l’amore tutto fiorisce. Da quando mi sono ammalato e mi sono consegnato a Dio, questo ha cambiato tutto [e cambia me come ha cambiato tutta la parrocchia] e sono felice». Fabiana, che è morta, mi ha lasciato una bambina di due anni con l’Aids: «Più di una volta mi sono chiesta: “Se tu Gesù sei morto sulla Croce per me, come posso io offenderti e burlarmi della tua morte?”. [Perché è partendo dalla Croce che si capisce che il dolore è una grazia] Condivido con te o Gesù il tuo dolore, quel calvario tuo, la tua crocifissione. [Capite cosa vuol dire il cancro? Vedere morti viventi che puzzano, con l'utero putrefatto, chi parla aveva un cancro che pesava chili e i vermi gli uscivano dalla bocca. Capite dove sta il valore, la grazia che Dio mi dà tenendomi stretto sulla Croce con Lui]. Signore sono qui, perché tu faccia di me quello che vuoi. Ti ringrazio del momento difficile che mi dai. Adesso ti amo più che mai, perché sento la Tua presenza, la mia vita l’ho vissuta nella dimenticanza, però, ora sono pura, preparato per incontrarti nella tua  gloria». Questo è Lino, anche lui terminale: «Guardando il Cristo crocifisso sono tutto commosso nel vedere quanto Lui mi ama è lì che il mio cuore ha iniziato a fiorire, ad essere felice fino al punto in cui ho esclamato: “Che bello vivere con il Signore! Che duro aver vissuto senza Lui». Quando mi scoraggio cerco di ricordarmi di queste parole. Amici vi ringrazio e ringrazio Sua Eminenza: che ci aiuti sempre a crescere, a credere, a dire in un mondo in cui tutti scappano da queste cose, «Tu oh Cristo mio che mi dai questo cancro, Tu oh Cristo mio che mi dai questa sofferenza»! Non ho bisogno di psicologi, ho solo una psicopedagoga che mi aiuta, perché sono convinto che quando una bambina violentata vede in me la coscienza del «Io sono tu che mi fai», che si trasmette per osmosi, rinasce. Ho visto rifiorire tutti i miei bambini. Un esempio? Il primo anno in pagella avevano tutti uno, i voti vanno dall’uno al cinque, ho detto: «Bambini, facciamo una festa, perché la cosa più difficile nella vita non è arrivare dall’uno al cinque, ma passare da nessuno a qualcuno: da zero a uno. Sono passati due anni e oggi la media è quattro. Capito che allegria e Che gioia? Io sono Tu che mi fai! Chi sei Tu o Cristo?! Non c’è disgrazia che non sia redenta da Lui. «Perciò – dico loro – animo bambine, avanti!» E questo lo auguro anche a voi: nel nome di Gesù, viviamo questo Avvento!


La fretta e l’attesa Pigi Colognesi - lunedì 6 dicembre 2010 – il sussidiario.net

È proprio vero che si impara molto di più guardandosi intorno con attenzione che stando lì a rimuginare i propri pensieri. Ambulatorio di un grande ospedale di Milano; incessante via vai di persone coi loro documenti in mano. In attesa del mio turno, esco, mi accendo una sigaretta e mi guardo un po’ in giro.

La zona è vietata alle macchine. A un certo punto, però, ne arriva una. Capisco che ha il permesso di entrare nell’area pedonale, perché sul lato del passeggero siede un’anziana signora in vestaglia; evidentemente si tratta di una paziente dell’ospedale che non poteva fare a piedi il tragitto dal reparto agli ambulatori e si è fatta accompagnare. L’auto accosta e ne scende il guidatore, un signore anche lui molto anziano, dal fisico robusto, ma molto curvo per l’età; il marito della signora. Fa il giro della macchina, apre la portiera e aiuta la moglie nella faticosa operazione di uscire dal veicolo.

Lei si avvia agli ambulatori, mentre lui deve portar l’auto fuori dalla zona pedonale. Mentre lui sta risalendo in macchina, la moglie si volta e, con voce tremante, lo implora: «Fa’ in fretta!». Una domanda autentica, carica di bisogno e di trepidante attesa. Con un’importante connotazione: che suo marito facesse «in fretta». È la stessa domanda con cui tradizionalmente iniziano le orazioni cristiane: «Signore, vieni presto in mio aiuto». Più eloquente è la versione latina: «Domine, ad ajuvandum me festina». Festina: fa’ in fretta.

La fretta, l’andare di corsa, il non aver mai abbastanza tempo sono una caratteristica del nostro modo di vivere. Ed essendo sempre di fretta noi, chiediamo che anche gli altri siano estremamente solleciti nei nostri confronti. Ma è una fretta che è agitazione, che insiste per una risposta che deve arrivare il prima possibile; per poi essere sostituita da altra domanda a sua volta portatrice di ansiosa aspettativa.
Forse più che fretta potremmo chiamarla frenesia. Quella che ci prende quando il computer ci dà troppo lentamente la videata che gli chiediamo, quando un collega tarda a risponderci o un semaforo a diventar verde. È una frenesia dominata dalla pretesa.

Quella vecchia signora no, non aveva nessuna pretesa. Aveva solo uno sconfinato bisogno: non poteva affrontare ciò che doveva fare da sola, senza il marito. E aveva un’altrettanta sconfinata certezza: quell’uomo, con cui ha convissuto per anni, sarebbe tornato e l’avrebbe amorevolmente assistita.

Ricordate il film Il grande silenzio? Per tre lunghe ore vediamo - senza una parola, senza una musica - la vita dei certosini dell’alta Savoia. Vita scandita dalle preghiere, che iniziano proprio con «Domine, ad ajuvandum me festina». Anche in loro non c’è nessuna fretta pretenziosa; hanno davanti lunghe ore di silenzio, di lavoro, di lettura. Hanno tutto il tempo che vogliono.

La loro non è una domanda che faccia indebita pressione sull’interlocutore. Sanno che per colui a cui domandano «Mille anni sono come un giorno solo». Eppure gli chiedono di affrettarsi. Perché senza di lui non possono vivere. E nell’attesa calma si placa ogni ansiosa pretesa.


Martiri. Parlano i cristiani sopravvissuti di Rodolfo Casadei - Source URL: http://www.tempi.it/prima-linea/0010564-titolo - I terroristi che irrompono in chiesa, massacrano donne e bambini prima di farsi esplodere. I racconti dall’inferno degli scampati alla strage di Baghdad, ora in cura in Italia. «Non torneranno in Iraq»

Adam Audai Zuhaid Arab è il nome del bambino di tre anni che ha gridato più e più volte “basta!” mentre i terroristi insanguinavano e devastavano la chiesa di Nostra Signora della Salvezza a Baghdad. Ha urlato per un’ora di seguito, da sotto il corpo di suo padre che si era adagiato su di lui per proteggerlo e che stava morendo per le ferite subite all’inizio dell’assalto. Sua madre Miriam – questo e i nomi che leggerete da questo momento in poi, tranne quello del papà di Adam e dei sacerdoti di Nostra Signora della Salvezza, sono immaginari per non mettere in pericolo la vita dei sopravvissuti – era sdraiata a pochi passi da lui, come tutti i fedeli che non erano riusciti a rifugiarsi e barricarsi nella sacrestia si fingeva morta ma nello stesso tempo premeva una mano contro la coscia di Nairi, l’altra sua figlia di un anno che piangeva disperata, ferita da un proiettile e da schegge che le avevano fratturato il femore.
Era lì, più impotente di Maria sotto alla croce. Se si fosse mossa, sarebbe stata falciata dalle armi automatiche dei terroristi, come era accaduto a decine di uomini, donne e bambini nei minuti precedenti. Miriam non può confermare se Adam è stato ucciso perché non taceva o per ferite dovute alle pallottole che rimbalzavano ovunque a ogni raffica che i terroristi invasati esplodevano a capriccio. Ricorda bene l’aggressore che si era chinato sul suo bambino a rimbrottarlo, scimmiottando un severo fratello maggiore: «Taci una buona volta, non vedi la mia arma, vuoi che ti ammazziamo come gli altri?». Ricorda anche Hussein, il capo dei terroristi ferito sin dall’inizio e seduto non lontano da lei, che dava ai suoi uomini l’ordine di finire quell’uomo scosso dagli spasmi che altri non era che suo marito. Ma il momento preciso dell’addio alla vita dei suoi due cari Miriam non sa dirlo. Ricorda solo che a un certo punto la voce spaventata del suo bambino non si è sentita più. E adesso Adam è un faccino serio con una gran testa di riccioli mori sopra un rettangoletto di legno che mamma porta appeso ad un risvolto del suo giacchetto, nero come tutti i capi d’abbigliamento che ora indossa; alla sua sinistra c’è anche il volto un po’ sfuocato di papà Audai. Nairi invece è qui con mamma, vestita di bianco e di rosa si guarda attorno e sorride anche agli estranei. L’unica traccia che l’orrore ha lasciato su di lei è la medicazione nella parte superiore della coscia destra.
Dal 12 novembre Miriam e Nairi sono ospiti, insieme ad altri 24 feriti dell’assalto alla chiesa di Baghdad e a una ventina di accompagnatori, del Policlinico Gemelli di Roma e del governo italiano. Un’altra trentina sono stati ricoverati a Parigi.
Sono i sopravvissuti della serata di terrore del 31 ottobre scorso, che ha fatto 57 morti, dei quali 45 cristiani. Delle necessità pratiche e spirituali dei cristiani iracheni ricoverati a Roma si è occupato, fino al 26 novembre, un giovane sacerdote siro-cattolico che era da qualche anno in Italia per studiare: padre Aysar Saeed. Fino al 2005 è stato uno dei coadiutori della parrocchia di Nostra Signora della Salvezza. Era lì quando, nell’agosto del 2004, i terroristi fecero esplodere un’autobomba contro quella e altre cinque chiese di Baghdad: «Uccise un passante musulmano e ferì leggermente molti fedeli colpiti dai vetri in frantumi. Gli autori dell’assalto del 31 ottobre hanno messo la loro autobomba, che hanno fatto esplodere con un telecomando nel momento in cui hanno fatto irruzione in chiesa, esattamente nello stesso punto in cui la precedente era stata collocata sei anni fa».
Padre Aysar conosceva bene i due sacerdoti trucidati durante l’assalto e l’anziano vicario episcopale Rufail Qutaimi che, pur ferito dalle schegge di una granata, è scampato e ora è ricoverato a Parigi assieme ad altri 35 sopravvissuti. Padre Thair Sad-alla Abdal, che presiedeva la Messa, dopo aver esortato i fedeli delle prime file a rifugiarsi in sacrestia, mentre tutti cercavano riparo dietro le panche o addossandosi alle pareti si è diretto verso gli assalitori che erano entrati sparando per calmarli. Gli hanno tirato addosso da distanza ravvicinata. È caduto sulle ginocchia portandosi le mani al petto, e prima di scivolare morto a terra ha pronunciato le stesse parole di Gesù sulla croce del Vangelo di Luca: «Nelle tue mani, Signore, affido il mio spirito». Padre Waseem Sabeeh Alkas Butros, invece, faceva da scudo col suo corpo ai chierichetti che si erano accucciati sotto l’ambone. I terroristi l’hanno preso e trascinato di qualche passo, mentre i ragazzi scappavano in tutte le direzioni, quindi l’hanno mitragliato sotto gli occhi di sua madre già ferita.

In beffa alla sicurezza
«Prima di entrare in chiesa i terroristi hanno ingaggiato un conflitto a fuoco con le guardie poste a protezione dell’edificio della Borsa», racconta padre Aysar. «Poi hanno scavalcato il muro di cinta attorno alla chiesa e hanno preso alle spalle i custodi armati che stavano all’ingresso principale. Uno di loro ferito si è fatto esplodere azionando il suo giubbotto kamikaze. Gli altri cinque o sei hanno fatto irruzione in chiesa dopo aver sparato sui fedeli che tentavano di uscire». Da qui in avanti la ricostruzione degli eventi la fanno i sopravvissuti, compresa la mamma di Adam. «Sparavano e gridavano: “sporchi cristiani, noi andremo in paradiso e voi all’inferno! Allah è grande! Siete dei miscredenti e andrete all’inferno!”», racconta Yussef. La parola araba che usavano per insultare i cristiani era “wasekh”, che è molto più spregiativa di quella che di solito viene impiegata per definire i cristiani “impuri”: “wasekh” si usa per indicare sporcizia morale e fisica nello stesso tempo.
I terroristi entrano sparando ad altezza d’uomo; cercano i sacerdoti, e i due su tre che trovano subito li uccidono seduta stante. Gridano ai fedeli terrorizzati di sdraiarsi a terra e restare immobili. Il minimo movimento o lamento diventa un pretesto per sparare sulle persone a terra con l’intenzione di ucciderle. Lo stesso accade agli adulti che non riescono a far tacere i bambini che gridano per la paura. C’è una coppia con una bambina di appena tre mesi in braccio alla madre. Il bebè piange disperatamente. I terroristi inveiscono. Il padre risponde che non è possibile calmare la bambina: viene falciato a colpi di mitra insieme alla giovane moglie, a suo padre e al neonato, resta viva ma ferita solo una sorella del giovane. Un altro uomo, colpito da un proiettile, emette un lamento di dolore e da terra grida: «Viva la croce!». Più assalitori puntano le armi verso di lui e lo crivellano di colpi mentre grida ancora: «Viva la croce!».
Un giovane si carica una ragazza ferita al collo sulla schiena e cerca di trascinarla verso la porta d’ingresso alla sacrestia. Un terrorista vede la scena e lancia una granata verso la coppia. Investiti dalle schegge alla schiena, i due cadono a terra come morti sul colpo, ma solo la ragazza è spirata. Firas, un dolore tremendo al dorso e ad un polpaccio investiti dai frammenti della bomba, è ancora vivo e si trascina carponi fino a un muro vicino all’altare dove si nasconde sotto a un cadavere. Per tre ore quello sarà il suo riparo. Lo sposta impercettibilmente usandolo come uno scudo per avvicinarsi alla porta della sacrestia. Riuscirà a farsi aprire dopo molte insistenze e a scivolare dentro. «I terroristi non erano tutti iracheni», racconta. «Uno era sicuramente egiziano e un altro era siriano. C’era un ragazzino che non poteva avere più di 15 anni, ma anche gli altri erano molto giovani: 20-25 anni, non di più. Un paio di loro indossavano divise della polizia. Dicevano: “In questo paese resteranno solo i musulmani!”. E poi: “Tutte le chiese verranno colpite come questa!”».
Quindi i terroristi salgono in piedi sull’altare e su altri oggetti per controllare la situazione da una posizione elevata. Scaricano le armi contro i lampadari, contro le ventole dell’aria condizionata, contro le formelle della Via Crucis, contro la grande croce incastonata alla parete dietro all’altare. Ma anche sulle persone sdraiate a terra che non sono perfettamente immobili. A un certo punto, solo una signora di mezz’età gravemente ferita può permettersi di parlare con loro senza essere falciata all’istante: «Per favore, uccidetemi», implora la donna. «Sto soffrendo troppo, datemi il colpo di grazia!». «No, sporca cristiana!», le risponde il capo del commando. «Devi soffrire fino alla fine in questa vita e poi dopo, quando ti ritroverai all’inferno!». A un certo punto su ordine del loro capo i terroristi cominciano ad accanirsi sulla croce, per distruggerla e svellerla dalla parete dove è incastonata dietro all’altare. Le croci delle chiese caldee e siriache non portano il corpo di Gesù inchiodato al legno. Sono croci vuote, a simboleggiare la resurrezione di Cristo dopo il suo sacrificio. La donna morente protesta con le forze che le sono rimaste: «No, cosa fate!», dice con voce soffocata. «Non distruggete la Croce della nostra salvezza, è la Croce che ci salva tutti!». «Taci, donna! Tu devi soffrire e morire!». «Lasciate stare la croce!». «Bada, faccio esplodere la mia cintura», minaccia Hussein. «Fallo», lo sfida la signora. Poco dopo smetterà di parlare.

In contatto con l’esterno
I terroristi hanno una ricetrasmittente e la usano per parlare con l’esterno. «Tutto procede come previsto, sta andando proprio come volevamo», comunicano a un misterioso interlocutore. Poco dopo però cominciano a dire fra di loro: «C’è un altro prete, dobbiamo trovarlo e ammazzarlo». Cercano di forzare la porta della sacrestia convinti di trovarlo lì, ma la sessantina di persone che ha trovato riparo in quel locale senza vie di fuga (c’è un portone che dà sull’esterno, ma è sbarrato da fuori) ha collocato armadi e panche dietro la porta. Gli sforzi per passare sono vani, anche perché gli assalitori non possono sguarnire le altre zone della chiesa per concentrarsi davanti alla sacrestia. Allora cominciano a usare le granate. Riescono a gettarne un paio dentro al locale, causando feriti sia gravi che leggeri. Ma il passaggio resta loro interdetto.
In certi momenti addirittura scherzano fra di loro: «Hussein, che facciamo? Dobbiamo detonare le cinture?». «Aspetta, che fretta c’è? Abbiamo ancora tempo». Il capo si preoccupa che i suoi uomini recitino le ultime due delle cinque preghiere canoniche islamiche: quella del tramonto e quella che si recita un’ora e mezza dopo il tramonto. Dopo quest’ultima lo stato d’animo di Hussein cambia improvvisamente. «Perdonatemi», dice guardando in direzione dei morti, dei feriti e dei bambini piangenti. «Perdonatemi!», ripete due-tre volte con voce sempre più triste. Con fatica per l’aggravarsi della ferita con cui era entrato nella chiesa si trascina verso l’uscita. Miriam solleva leggermente la testa da terra per vedere cosa stia facendo. «Si è accorto del mio movimento e del fatto che ero ancora viva», racconta. «Ma ha continuato a trascinarsi faticosamente lontano da me. Poco dopo c’è stata l’esplosione. È stato orribile, per lo spostamento d’aria i nostri corpi si sono sollevati da terra. Pezzi di carne sono volati dappertutto. Vicino a me un suo braccio, vicino a mia sorella la testa».
In rapida sequenza i terroristi si fanno esplodere. Finalmente i soldati, che erano rimasti fino ad allora all’esterno senza prendere iniziative, entrano nell’edificio. Ignorano i feriti che chiedono aiuto e si mettono a cercare armi e terroristi ancora in vita. Medici e infermieri non osano entrare, e finisce che i feriti si aiutano fra loro trascinandosi fino alle ambulanze. Miriam porta fuori la figlioletta che continua a perdere sangue, scivola sui lacerti umani dei terroristi che si sono fatti esplodere. Torna dentro per soccorrere Adam e Audai, ma la vita li ha abbandonati.
Padre Aysar prende fiato. Ha tradotto per due ore di seguito. Però quella che lo opprime non è solo la stanchezza dell’aver a lungo parlato. «Hanno ucciso due sacerdoti che erano la sintesi perfetta della nostra Chiesa» dice con enfasi. «Padre Thair era conosciutissimo per le sue opere di carità, non faceva differenze fra cristiani e musulmani quando si trattava di aiutare i poveri. Padre Waseem era un educatore e un intellettuale, seguiva i giovani e dirigeva l’istituto di patristica. Mi hanno raccontato che quel giorno molti amici avevano ricevuto un sms spedito da lui la mattina. C’era scritto: “Cristo è la mia vita”. Come se avesse il presentimento di qualcosa”». Ora padre Aysar deve organizzare gli spostamenti del pomeriggio: i sopravvissuti e i loro parenti saranno ospiti del Papa, che celebrerà per loro una Messa. «Non credo che torneranno in Iraq», dice abbassando la testa. «Con loro i terroristi hanno raggiunto l’obiettivo anche se non li hanno uccisi». Invece lui torna. Un aereo per Baghdad lo aspetta all’indomani. Nostra Signora della Salvezza ha bisogno di un nuovo parroco. Padre Aysar Saeed, 35 anni.


Ordine e razionalità del cosmo: una delle prove filosofiche di Dio. - 6 dicembre 2010 dal sito http://antiuaar.wordpress.com

Le parole rivolte recentemente da Benedetto XVI alla Pontificia Accademia delle Scienze ricalcano perfettamente il punto di vista di molti scienziati. Infatti, lo scienziato investiga la natura «percependo una costante, una legge, un logos [cioè una razionalità nella natura] che egli non ha creato, ma che ha invece osservato». Questa constatazione -continua il filosofo Lodovici su Avvenire- può portare a svolgere un ragionamento (filosofico o prefilosofico) che arriva ad affermare l’esistenza di Dio. È un argomento su cui l’attuale Pontefice ha insistito varie volte, fin da quando era professore universitario, per esempio in quel capolavoro che è la sua Introduzione al cristianesimo (1968), e poi, da Papa, per esempio nel discorso di Ratisbona (2006).

Una delle prove di Dio che la tradizione filosofica ha elaborato parte proprio dall’ordine e dal finalismo del mondo. In altri termini -continua il filosofo-, la natura manifesta delle leggi e queste reclamano un Legislatore come condizione di possibilità, perché, per vari motivi, il caso non le può spiegare. La natura manifesta una razionalità che rinvia a una Ragione creatrice, cioè ad un Logos che la crea comprensibile alla nostra ragione umana e perciò la ragione scientifica può cimentarsi a indagarla. Per questo, mentre non rientra nel campo scientifico affermare l’esistenza dell’Architetto, lo è il ricercare ed individuare il suo progetto. È anche per questo motivo -ricorda Lodovici- che la maggior parte degli scienziati di tutti i tempi è composta da credenti (assai spesso cristiani), tra cui molti ecclesiastici: Galileo, Newton, Galvani, Volta, Heisenberg, Einstein, Maxwell, Fermi, Eccles e Carrel, e gli ecclesiastici Mendel, Stenone, Spallanzani, Mercalli e Florenskij….

E’ lo stesso ragionamento, fra i tanti, di Roger Trigg, epistemologo dell’Università di Warwick: «La ricerca scientifica assume che il mondo sia ordinato. Si dà per scontanto che esistano delle regolarità da osservare. Ma in un certo senso è eccezionale che il mondo fisico sia tanto ordinato. E’ solo questione di caso? L’ordine che la scienza scopre nella natura riflette in qualche modo la mente del creatore dietro le cose. In altre parole, l’ordine ha una base religiosa. In qualche modo Dio ha creato un mondo che ci mosta qualcosa della sua mente e dellla sua razionalità» (da Stannard, La scienza e i miracoli, TEA 2006, pag. 230-231). Il fisico Angelo Tartaglia, membro della Società Italiana di Relatività Generale e Fisica della Gravitazione, ha affermato qualcosa di molto simile nel suo recentissimo libro, “La luna e il dito“ (Lindau 2009): «Considerando l’evoluzione delle specie viventi e dell’universo inanimato, è facile la sensazione che ciò che accade sia, bene o male, inquadrato in un disegno finalistico. Nasce il sospetto che alla base ci sia un progetto intelligente. E’ una sensazione percepita e menzionata sotto tutti i cieli e in tutte le culture».


GRUPPI RADICALI IMPEDISCONO AL CARD. ROUCO DI PARLARE ALL'UNIVERSITÀ - Il Governo non garantisce la sicurezza - MADRID, lunedì, 6 dicembre 2010 (ZENIT.org).

MADRID, lunedì, 6 dicembre 2010 (ZENIT.org).- Gruppi radicali hanno impedito al Cardinale Antonio María Rouco Varela, Arcivescovo di Madrid, di pronunciare una conferenza all'Università Autonoma. Il porporato ha deciso di cancellare l'atto quando il Governo spagnolo ha avvertito di non poter garantire la sua sicurezza.

Anche se l'Arcivescovado di Madrid non ha pubblicato alcun comunicato, Análisis Digital, pubblicazione della Fondazione García Morente, promossa dall'Arcivescovado, ricorda in un editoriale che l'intervento del presidente della Conferenza Episcopale Spagnola si inseriva nei preparativi della Giornata Mondiale della Gioventù, “che concentrerà a Madrid più di due milioni di giovani di tutto il mondo”.

“L'atto non ha potuto celebrarsi per le minacce di gruppi antisistema che avevano annunciato il loro proposito di impedirlo con la violenza”, aggiunge.

“Di conseguenza, gli universitari non potranno ascoltare la voce del Cardinale-Arcivescovo di Madrid, che avrebbe parlato loro del 'Dio sconosciuto' per gli spagnoli del nostro tempo, come fece San Paolo nell'areopago di Atene”.

“La differenza è nel fatto che mentre San Paolo ha potuto parlare duemila anni fa del 'Dio sconosciuto' in tutta libertà, ora tutto un sistema democratico si è arreso di fronte alla minaccia di un'azione violenta, rifiutando di garantire la libertà e l'ordine nel campus universitario”, prosegue Análisis Digital.

A suo avviso, ci si trova “di fronte a un flagrante abbandono di funzioni da parte della Delegazione del Governo di Madrid, che si è rifiutata di difendere le libertà garantite dalla Costituzione, in connivenza con le autorità accademiche che organizzavano l'atto e che non hanno fatto nulla per difendere i loro studenti”.

Secondo la pubblicazione, “ciò che è avvenuto è una nuova dimostrazione del paradigma culturale che cerca di imporre il laicismo aggressivo: tollerante con l'intolleranza dei violenti e implacabile con un bavaglio a ogni voce che ricordi Dio e il senso dell'esistenza dell'uomo. Con il paradosso aggiunto che la libertà e la verità danno fastidio laddove la conoscenza dovrebbe avere un posto importante, all'Università”.

L'Osservatorio Antidiffamazione Religiosa, dal canto suo, ha reso pubblico un comunicato in cui lamenta che in Spagna non viene garantita sufficientemente la libertà religiosa.

“E' un episodio deplorevole il fatto che in un Paese che si definisce democratico un cittadino non possa recarsi per motivi di sicurezza dove è stato invitato a pronunciare una conferenza su un tema come parlare di Dio”, ha affermato.


ASSASSINATI ALTRI DUE CRISTIANI IN IRAQ - Centinaia di famiglie cristiane fuggono nel nord del Paese - BAGHDAD, lunedì, 6 dicembre 2010 (ZENIT.org)

BAGHDAD, lunedì, 6 dicembre 2010 (ZENIT.org).- Un'anziana coppia di cristiani è stata uccisa a colpi di arma da fuoco nella sua abitazione di Baghdad questa domenica sera da uomini armati di pistole con silenziatori.

L'omicidio è avvenuto nel quartiere di Baladiyat della capitale irachena, una zona a maggioranza sciita, in base a informazioni del Ministero dell'Interno del Paese raccolte dall'agenzia AsiaNews.

Lo stesso giorno, dopo aver recitato l'Angelus in Vaticano, Papa Benedetto XVI aveva chiesto ai fedeli di pregare per la fine della violenza contro i cristiani e i musulmani in Iraq.

Gli omicidi e le violenze stanno costringendo all'esodo molti cristiani. Circa 500 famiglie cristiane sono fuggite da Baghdad e da Mosul verso il nord del Paese, nella regione semiautonoma del Kurdistan.

Gli sfollati abbandonano case, mobili e posti di lavoro, così come parrocchie e monasteri, tra i quali alcuni dei più antichi della cristianità.

Dal 2003, il numero dei cristiani in Iraq, che era di circa un milione di fedeli, si è ridotto praticamente alla metà.

Il Governo si è impegnato a fornire aiuti di 400 dollari a ogni famiglia che decide di lasciare la propria casa, ma questa cifra non basta neanche per pagare l'affitto mensile di un appartamento nel nord iracheno.

Nel frattempo, il clima di insicurezza persiste, con omicidi e attentati contro chiese e proprietà private dei cristiani.

Il 31 ottobre, in un attentato contro la Cattedrale siro-cattolica di Baghdad sono state uccise 58 persone. Le Chiese cristiane in Iraq celebreranno questo giovedì, 9 dicembre, una giornata di digiuno per le vittime.

I leader cristiani hanno anche deciso, in una riunione celebrata questa domenica a Erbil, di chiedere al Governo curdo di garantire istruzione e lavoro alle famiglie cristiane rifugiatesi nel nord del Paese.

Incontreranno inoltre deputati cristiani per condividere i propri punti di vista sulle ragioni degli attacchi ai fedeli.

I rappresentanti delle comunità cristiane ritengono che il Governo non garantisca sufficientemente la sicurezza dei cristiani.

Per questo motivo, il 1° dicembre i leader cristiani hanno rifiutato di partecipare a un incontro su coesistenza e tolleranza sociale organizzato nella provincia di Erbil dal Ministero iracheno per i Diritti Umani.


06/12/2010 - CINA – VATICANO - Ritorna la Rivoluzione Culturale: vescovi cinesi imprigionati o ricercati come criminali di Bernardo Cervellera – Roma (AsiaNews)

Associazione patriottica e governo vogliono forzare i pastori a partecipare all'imminente Assemblea dei rappresentanti cattolici, un organismo contrario alla fede cattolica. Un vescovo è scomparso e ricercato come "pericoloso criminale"; un altro è stato rapito dall'episcopio dove era stato condotto e difeso dai fedeli dopo giorni di isolamento.

Roma (AsiaNews) – Fonti di AsiaNews affermano che il vescovo ufficiale di Hengshui è stato prelevato di forza dall’episcopio e portato dalla polizia in un domicilio in isolamento. La polizia ha messo per ore sotto assedio l’abitazione del prelato, lottando contro fedeli e sacerdoti che facevano muro, per difendere la libertà del loro vescovo.

Un altro vescovo, di Cangzhou, è scomparso e la polizia ha minacciato la diocesi: o ritorna nelle mani delle forze dell’ordine, o essi diramano un ordine di cattura in tutta la Cina additandolo come un “pericoloso criminale ricercato”.

Con uno stile che ricorda il periodo della Rivoluzione Culturale, questi fatti sono avvenuti oggi.
Tutto è dovuto all’imminente Assemblea dei rappresentanti cattolici cinesi, in cui l’Associazione patriottica vuole costringere i vescovi cinesi ufficiali a parteciparvi per eleggere i presidenti dell’AP e del Consiglio dei Vescovi, due organismi che il papa definisce contrari alla fede cattolica, perché miranti a creare una Chiesa indipendente da Roma. L'Assemblea sarebbe fissata per domani 7 dicembre.

Per convocarne almeno qualcuno, l’Ap ha messo agli arresti domiciliari alcuni dei vescovi che hanno partecipato all’ordinazione illecita di Chengde, lo scorso 20 novembre. Per quella occasione, otto vescovi erano stati sequestrati e obbligati a partecipare alla cerimonia, condannata dalla Santa Sede come “una grave violazione alla libertà religiosa”.

Da dopo l’ordinazione illecita, mons. Feng Xinmao di Hengshui era stato costretto a vivere in isolamento, senza poter vedere alcun fedele, sotto il controllo della polizia. In questi giorni è morto un sacerdote molto anziano e lui ha chiesto di poter almeno celebrare i funerali. Dopo molte resistenze della polizia, e la minaccia di attuare uno sciopero della fame, gli è stato concesso di presiedere alla messa funebre. Alla fine delle esequie i fedeli e i suoi sacerdoti lo hanno preso e portato nell’episcopio, da dove mancava da quasi un mese e si sono messi a guardia del loro vescovo perché non venisse ancora portato in isolamento.
La polizia ha assediato l’episcopio e dopo diverse ore è riuscito a prendere il vescovo e riportarlo in prigione.

L’altro episodio riguarda il vescovo mons. Li Lianggui di Cangzhou. Dopo l’ordinazione illecita, il prelato è scomparso, forse perché non vuole di nuovo costretto a partecipare all’Assemblea dei rappresentanti cattolici cinesi. La polizia, dopo averlo ricercato nel territorio diocesano, ha minacciato tutti i fedeli: o il vescovo ritorna sotto il loro controllo, o diramerà un ordine di cattura in tutta la Cina, additandolo come “un pericoloso criminale ricercato”.


PIO XII, PIO XII EBREI, PIO XII NAZISMO, SILENZIO PIO XII - Il silenzio pubblico di Pio XII fu in realtà una strategia molto intelligente. - 6 dicembre 2010 dal sito http://antiuaar.wordpress.com/

Per fortuna la leggenda nera nata attorno a Pio XII si sta sgretolando col passare degli anni. Sono sempre più le prese di posizione degli storici a favore della sua persona e di ciò che veramente fece. Anche perché negli archivi Vaticani e di mezza Europa si continuano a trovare documenti fondamentali. Ad esempio Avvenire annuncia che lo storico gesuita Giovanni Sale, in un articolo di prossima uscita su «La civiltà cattolica», ha rivelato nuovi elementi nel testo della lettera inviata da papa Pacelli il 3 gennaio 1943, tramite la nunziatura di Berlino, al cardinale Adolf Bertram, presidente della Conferenza episcopale tedesca di Fuldai. Scritta in tedesco personalmente dal Pontefice, è stata finora conservata negli archivi della Santa Sede. In essa si rileva con toni accorati che «l’ultimo decennio di vita, di sequela e di attività cattoliche sul suolo tedesco, è una “via crucis” della quale l’amarezza e l’opera distruttrice nella sua intera impressionante entità soltanto da Dio sono conosciute. Un calvario, ma su di esso la forza d’animo della fede e della fedeltà alla Chiesa dell’attuale generazione si è dimostrata degna del suo eroico passato». Hitler infatti non nascondeva in alcun modo la sua volontà di estirpare la Chiesa cattolica e ridurre al silenzio quei pastori e quei sacerdoti e laici, che avevano alzato la loro voce – e non erano pochi – contro le crudeltà del regime, a cominciare dall’eutanasia verso le persone più deboli. La lettera fu recapita, come si legge in un appunto del nunzio Cesare Orsenigo, «per mezzo di persona privata», dato che se fosse arrivata nelle parrocchie e fatta conoscere ai fedeli, avrebbe potuto avere conseguenze drammatiche. Per questo, il cardinale segretario di Stato, per esplicita volontà del Papa, affidava «completamente» al presidente della Conferenza episcopale tedesca «per la sua nota prudenza» il compito di valutare «se, come e quando convenga diffondere questa sua lettera tra il clero e il popolo di Germania» perché bisognava evitare che il pontefice «mentre infuria la guerra, intenda fare qualche cosa che possa nuocere al popolo tedesco». Bertram decise perciò di non pubblicare la lettera perché, a suo giudizio, conteneva «certe parole che potrebbero suscitare una fortissima ira sia nel governo, sia nell’episcopato».

Nonostante alcuni imbarazzi in Vaticano per questa scelta, il papa non volle in nulla modificare l’indirizzo da lui stesso dettato in tale materia: dovevano essere i vescovi a decidere ciò che doveva o non doveva essere fatto per il maggior bene della Chiesa. Il cosiddetto “silenzio” di Pio XII era perciò un silenzio esclusivamente pubblico e volontario, con l’unico scopo di non causare l’incrementarsi della violenza contro ebrei e cattolici da parte dei nazisti. Probaibilmente questa saggia scelta, mentre oggi è vista come un errore, fu la condizione per salvare la vita di numerosissime persone. Così la pensano anche intellettuali ebrei, come il rabbino e storico statunitense David Gil Dalin, che ha raccolto le sue analisi e documentazioni storiche nel consigliatissimo saggio “La leggenda nera del Papa di Hitler.“


07 DIC 10 – Sacri Palazzi il blog di Andrea Tornielli - http://blog.ilgiornale.it

Cari amici, dalla Cina arrivano ancora brutte notizie: in vista dell’Assemblea Nazionale dei Delegati Cattolici cinesi che si apre oggi a Pechino e che avrà il compito di eleggere i nuovi dirigenti dell’Associazione Patriottica, cioè dell’organizzazione filo-governativa che pretende di controllare la Chiesa cattolica cinese e di nominare i vescovi senza il mandato del Papa, si stanno verificando nuove pressioni e violenze sui vescovi. Per costringerli a partecipare.

Negli ultimi giorni alcuni vescovi sono stati sottoposti a pressioni, altri vengono prelevati con la forza dalla polizia. «Il vescovo ufficiale di Hengshui – denuncia l’agenzia AsiaNews – è stato prelevato e trattenuto in isolamento mentre anche il vescovo di Cangzhou, è sotto la minaccia di un ordine di cattura che lo addita come un pericoloso criminale ricercato». In un caso un’ottantina di fedeli hanno cercato di fare scudo al loro pastore, ma la carica della polizia ha avuto la meglio.

L’Associazione Patriottica vuole costringere i vescovi in comunione con Roma a partecipare alle elezioni di questo organismo che Benedetto XVI, nella sua lettera ai cattolici cinesi, ha definito «incompatibile con alla fede cattolica». La nuova crisi nei rapporti tra Cina e Vaticano si è aperta lo scorso 20 novembre, con l’ordinazione episcopale illegittima del vescovo di Chengde, Giuseppe Guo Jincai.

Con una nota ufficiale, la Segreteria di Stato qualche giorno dopo aveva bollato la mossa come una «dolorosa ferita alla comunione ecclesiale e una grave violazione della disciplina cattolica» ed ha denunciato che contro i cattolici cinesi si verificano «pressioni e restrizioni» che «costituiscono una grave violazione della libertà di religione e di coscienza». Altrettanto dura era stata reazione della Cina, che a sua volta aveva accusato il Vaticano di «limitare la libertà» religiosa.

E’ molto probabile che quasi tutti gli otto vescovi partecipanti alla consacrazione illegittima, della quale per la prima volta in mezzo secolo la Santa Sede ha messo in dubbio la validità, siano stati costretti a farlo. Proprio questa sarebbe la possibile causa di invalidità.

Erano quattro anni che in Cina non avvenivano ordinazioni di vescovi illegittimi, dato che le ultime dieci nomine episcopali erano state tacitamente concordate tra le autorità cinesi e quelle vaticane. Ora i rapporti tra la Santa Sede e il governo cinese sembrano ripiombare nell’incomprensione, nonostante sembrasse vicino un accordo che avrebbe permesso di porre fine alle ordinazioni illegittime attraverso una procedura concordata.

Un accorata e preoccupata analisi della situazione cinese era stata proposta ai cardinali lo scorso 19 novembre, durante il concistoro, dal cardinale Joseph Zen Zekiun, vescovo emerito di Hong Kong, che aveva denunciato il permanere di un “controllo asfissiante e umiliante da parte di organismi che non sono della Chiesa – Associazione patriottica e Ufficio affari religiosi”.

Il rischio connesso a questa nuova crisi è che si ripiombi nel clima di dieci anni fa, e che si fomentino le divisioni tra la Chiesa cosiddetta clandestina (che rifiutando di sottomettersi all’Associazione Patriottica svolge il suo ministero in forma sotterranea) e quella cosiddetta ufficiale (i cui vescovi, pure perseguitati a lungo dal regime, hanno scelto di venire allo scoperto).

E’ importante ricordare che in Cina non esistono due Chiese, ma una sola, e che sarebbe una visione sbagliata considerare gli “ufficiali” come semplicemente collaborazionisti del regime. E’ importante ricordare che la stragrande maggioranza dei vescovi cinesi, anche quelli a suo tempo consacrati illegittimamente, hanno chiesto e ottenuto la comunione con il Papa.

Le pressioni e le violenze in atto, le intimidazioni e i sequestri, ci dicono quanto sia difficile la situazione in quel grande Paese e come non sia facile esprimere giudizi dal di fuori. Non l’ha voluto fare nemmeno la Santa Sede, che dopo l’ordinazione illecita di Jincai ha ricordato la pena canonica della scomunica per le ordinazioni episcopali illegittime, ma si è riservata di compiere approfondite indagini per valutare quanto abbiano pesato le costrizioni e le minacce sui vescovi che vi hanno preso parte.

Aveva detto a questo proposito il cardinale Zen, parlando ai confratelli cardinali alla vigilia dell’ordinazione illegittima: “Cari fratelli, suppongo che siate informati degli ultimi fatti: stanno tentando di nuovo di fare un’ordinazione episcopale senza mandato pontificio. Per questo hanno sequestrato dei vescovi, messo pressione su altri: sono gravi offese alla libertà religiosa e alla dignità personale”.


EDITORIALE - L'uomo extraterrestre Lorenzo Albacete - martedì 7 dicembre 2010 – il sussidiario.net

Al centro dell’attenzione dei media questa settimana ci sono state storie di crimini orribili o storie sulla vita affettiva privata di celebrità, delle quali sono troppo vecchio per interessarmi. Poi vi è stata la vicenda Wikileaks, dove sembrerebbero rivelati i segreti di chiunque sia qualcuno (io continuo a leggere per vedere se viene pubblicato anche qualcuno dei miei segreti, ma finora non ho trovato niente).

Infine, c’è stata la questione sulla vita segreta dei microbi: “Gli scienziati hanno scoperto una forma di batteri capaci di nutrirsi di arsenico, un elemento normalmente considerato tossico, e si sono così ampliate in modo drammatico sia le nozioni tradizionali sull’alimentazione della vita, sia la gamma delle condizioni in cui la si potrebbe trovare nell’universo, hanno annunciato i ricercatori finanziati dalla Nasa”.

La Cnn ha incominciato a raccontare questa storia il 2 dicembre, citando Ariel Anbar, ricercatore all‘Università di Stato dell’Arizona: “La vita così come noi la conosciamo ha bisogno di particolari elementi chimici e ne esclude altri, ma questa è la sola opzione? Quanto può essere diversa la vita?”. Si tratta di domande interessanti, quasi filosofiche e teologiche, ma purtroppo, anche questa storia si è rivelata deludente e dopo un paio di giorni l’interesse ha cominciato a svanire, sostituito da quello per i trucchi per sopravvivere dei Repubblicani e per la paura di estinzione dei Democratici.

Comunque, la febbre su internet ha raggiunto il suo picco giovedì scorso, quando la Nasa ha annunciato che “avrebbe discusso di risultati dell’astrobiologia che avrebbero impattato la ricerca di prove sulla vita extraterrestre”. Ciò che è stato effettivamente trovato da un gruppo di scienziati, come risulta da un articolo su Science, è un batterio che potrebbe essere definito il più strano esistente sulla Terra. Questi microbi vivono in condizioni infernali nel Mono Lake, un lago nella California orientale con acqua estremamente salata, alcalina e ricca di arsenico che sarebbe velenosa per la maggior parte degli organismi. Invece, questo nuovo batterio non solo vi prospera, ma usa l’arsenico invece del normale fosforo per costruire le proprie proteine e perfino il suo Dna, una cosa mai vista finora.
È noto che i batteri possono vivere in condizioni anche molto difficili, ma questa creatura sembra rappresentare una vera alternativa biologica alle loro tattiche di sopravvivenza, rivelando quanto ci rimane ancora da capire sull’impressionante capacità della natura di improvvisare (naturalmente, potrebbe anche venir fuori che queste capacità di sopravvivenza sono possibili solo in California, dove molti tipi diversi di creature sopravvivono e perfino prosperano).

Gli scienziati che sperano di scoprire vite aliene si sono sempre concentrati sulla vita come la conosciamo, altrimenti come potremmo sapere dove e a cosa guardare? In effetti, non è mai stato dimostrato che altri tipi di vita siano impossibili. Per decenni, ad esempio, i biologi si sono chiesti se il silicio potesse prendere il posto del carbonio, la base cioè di tutte le forme di vita terrestre conosciute finora. Il fisico Paul Davies, dell’Università di Stato dell’Arizona, uno degli autori dell’articolo su Science, sostiene da tempo che un tipo di vita a noi sconosciuto possa esistere, come una specie di “biosfera ombra”, anche sulla Terra.

Questa scoperta dimostra che non si tratta di speculazione selvaggia, perché se tipi di biologia alternativa possono trovarsi sulla Terra, non vi è nessuna ragione perché ciò non possa accadere anche altrove. Se così fosse, più diversità di situazioni trovassimo al di fuori della Terra, più aumenterebbero i posti in cui andare a cercare gli alieni. “Abbiamo aperto la porta sulle possibilità di vita nell’universo, e questo è importante”, ha detto Felisa Wolfe-Simon dell’Istituto Astrobiologico della Nasa e dello U.S. Geological Survey. “Cosa altro potremo trovare?”.

Chi lo sa, forse Wikileaks potrebbe espandere il suo campo di ricerca. Intanto, è bene ricordare che la più strana creatura sulla Terra è l’uomo. Egli non può esistere senza una relazione con l’infinito, con un infinito Mistero che lo può sostenere nella sua lotta per trovare il nutrimento di cui ha disperatamente bisogno, qualunque sia la sua costituzione biologica. E la più grande scoperta della nostra vita è che questo infinito Mistero è diventato per sempre uno di noi.


CRONACA - COLLETTA/ 3. Così Nadine, 14 anni, islamica, mi ha insegnato cos’è la carità Redazione - martedì 7 dicembre 2010 – il sussidiario.net

9.400 tonnellate di cibo raccolto, 8.000 supermercati aderenti, 110.000 volontari coinvolti: sono i numeri della Giornata Nazionale della Colletta Alimentare che si è svolta sabato 27 novembre. Ma oltre i dati, numerose testimonianze raccontano il significato di questo gesto di carità che genera novità e cambiamento. Come la storia di Nadine, ragazza musulmana che aderisce alla Colletta, anche a costo di farsi 2 km a piedi fino al supermercato.

Nadine è una ragazzina proveniente da un paese del Nord Africa, vive nella mia città. Ha quasi 14 anni ma frequenta la prima classe della secondaria di primo grado perché fa fatica nell’apprendimento della lingua italiana. Così, dopo essere stata inserita al suo arrivo in Italia in una classe di livello inferiore rispetto alla sua età, adesso sta ripetendo l’anno con compagni di quasi 3 anni più piccoli di lei. Da fine ottobre partecipa ad un gruppo di aiuto allo studio che l’associazione di volontariato per cui io lavoro ha realizzato in collaborazione con la nostra parrocchia grazie a finanziamenti pubblici e, soprattutto, grazie alla grande passione di educatori, mamme, amici che due pomeriggi alla settimana passano il tempo insieme ai ragazzi e, una volta al mese, organizzano un’uscita con cena per godere insieme delle bellezze del mondo. Piccole gocce nel grande campo assetato che è il bisogno di compagnia dei ragazzi adolescenti.

Insomma Nadine è arrivata da noi a fine ottobre di quest’anno pensando: “Ma che ci vado a fare, non conosco nessuno!”. Anzi la prima volta che l’aspettavo, il suo arrivo mi era stato preavvisato, non l’ho proprio vista. Poi è arrivata da noi: timidissima, occhi da cerbiatto, un sorriso appena accennato. Pian piano siamo diventate amiche.
Per la Colletta Alimentare ho chiesto a tutti i ragazzi di venire a fare un turno insieme a noi educatori e volontari, ho letto loro le 10 righe spiegando chi e quante persone avrebbero aiutato e avrebbero fatto sentire meno sole. Considerate che circa la metà dei ragazzi sono stranieri e in prima persona soffrono per difficoltà economiche reali. Tutti si segnano per il turno. Ci salutiamo dandoci appuntamento al supermercato per le 17,00 del sabato.

Tutti arrivano eccetto Nadine. Eppure era apparsa così entusiasta della proposta e mi aveva ripetuto più volte che sarebbe venuta! Io mi preoccupo e le penso di tutte, anche che, siccome lei e la sua famiglia sono di religione musulmana, possa esserle stato negato il permesso di venire. Dopo più di un’ora la vedo arrivare con passo deciso, quando mi vede mi dice come per scusarsi: “Sono venuta a piedi”. E si mette subito, insieme agli altri, a “lavorare”. Io la guardo, mi avvicino e le scaldo le mani infreddolite. Mi spiega: per un disguido non aveva trovato nessuno che potesse darle un passaggio fino al centro commerciale, così si era fatta 2 km a piedi, al buio, in una strada di periferia dove per un bel pezzo non c’è anima viva, da sola.

Mi racconta che aveva avuto paura e che ad ogni passo diceva “Mio Dio aiutami!” e si faceva coraggio pensando che i suoi amici, cioè noi, la stavamo aspettando e che non poteva mancare a quello che le avevo proposto! Mi commuovo mentre continuiamo a fare il Banco e mentre  ringrazio Dio, il mio e il suo, per averla fatta arrivare sana e salva. Dopo la chiusura del supermercato, ceniamo insieme con tutti i ragazzi che hanno fatto il turno con noi alla colletta, siamo più di 30.
Nadine ed altre ragazze sue amiche, sempre provenienti dall’Africa, partecipano per la prima volta ad un momento diverso dagli incontri settimanali di studio. Prima si sono date un sacco da fare per il Banco e ora apparecchiano con cura, mi lasciano una sedia accanto a loro, chiedono di servire al mio posto perché vogliono che invece io me ne stia tranquilla a mangiare. Nadine ha fatto anche preparare dalla madre la pizza per noi. Mi curano e sono attente a me più di quanto io sia capace di curare ed essere attenta a loro. E così, io veterana del Banco e di mille altri tipi di caritativa, capisco meglio che “il vero desiderio  che è nel cuore di ciascuno è essere amato”, e che “la Carità è il dono più grande che Dio ha fatto agli uomini perché è amore ricevuto e amore donato”.

Nei giorni immediatamente successivi alla colletta poi, soprattutto grazie al bisogno che abbiamo visto negli amici piccoli e grandi che abbiamo incontrato, fra noi adulti è nato il desiderio di far nascere il Banco di solidarietà anche nella nostra zona. Una signora che avevo invitato quasi causalmente per la prima volta a fare un turno, si è resa subito disponibile riconoscendo immediatamente la grandezza del gesto e facendocela così riconoscere ancora di più a tutti.

(Lettera Firmata)


Durante la XIV Giornata Nazionale della Colletta Alimentare sono state raccolte 9.400 tonnellate di cibo. Per aiutare la Fondazione Banco Alimentare Onlus a distribuirle puoi donare 2 euro inviando un sms al numero 45503 (rete mobile Tim, Vodafone, Wind, 3, CoopVoce, AMobile) oppure 2 o 5 euro chiamando allo stesso numero da rete fissa (Telecom Italia, Fastweb e TeleTu).



Lo Straniero - Il blog di Antonio Socci - AIUTIAMO I RAGAZZI DELLA “CASA DEI RISVEGLI” !!! - Posted: 06 Dec 2010

Cari amici,

nei giorni scorsi, mentre imperversavano le polemiche sulla trasmissione “Vieni via con me” mi è capitato di scrivere una lettera aperta a Saviano (che potete trovare su questo blog) chiedendogli di aiutarmi a sostenere i missionari che si occupano di bambini lebbrosi dell’Africa.

Ma non ho avuto alcuna risposta.

Poi mi è capitato di discutere con qualche collega laico che era d’accordo con Fazio e Saviano nel no all’intervento dei malati. Costui sosteneva quella decisione pur elogiando – a parole – iniziative come la “Casa dei risvegli” di Bologna.

E quando, prendendo la palla al balzo, gli ho proposto di sostenere con me un’iniziativa appena lanciata proprio dall’associazione “Amici di Luca”, che è la promotrice della “Casa dei risvegli”, anche lui mi ha detto di no.

Avrà i suoi validi motivi personali, non discuto. Ma i molti ragazzi in coma o che stanno uscendo dal coma (e può capitare a tutti!) non hanno bisogno tanto di parole, quanto di aiuto concreto.

E a me piace, sinceramente, chi magari parla meno, ma si dà da fare o si fruga in tasca di fronte a persone sofferenti che hanno bisogno e implorano un sostegno e una speranza.

Per questo, in attesa di Natale, vorrei chiedere a voi, cari amici, di aderire alla sottoscrizione aperta dall’associazione “Gli amici di Luca onlus” per acquistare uno “stimolatore cerebrale” che potrà dare importanti risultati su pazienti in stato vegetativo e di minima coscienza.

La condizione penosa e terribile di molte persone che stanno uscendo dal coma è infatti quella di trovarsi come imprigionati nel proprio corpo di cui non riescono più a comandare i muscoli, i movimenti, le funzioni.

Lo strumento che vogliamo donare alla “Casa dei risvegli” può fornire un aiuto straordinario a liberare questi ragazzi, facendo loro recuperare l’uso del proprio stesso corpo. E’ quindi una possibilità meravigliosa e per loro, una grande speranza !!!

L’apparecchiatura (da donare al Centro Studi per la Ricerca sul Coma per la Casa dei Risvegli Luca De Nigris) ha un costo di 60.000 euro.

Per chi vuole aderire all’iniziativa è stato aperto un conto corrente dedicato presso Carisbo dove si possono fare versamenti utilizzando il seguente codice di riferimento:

 IT 64 A063 8502 5041 0000 0002 271



Chi vuole notizie più dettagliate può visitare il sito www.amicidiluca.it, dove si può leggere anche la relazione del prof. Roberto Piperno, direttore della Casa dei Risvegli Luca De Nigris e del dott. Carmelo Sturiale dell’Unità operativa di neurochirurgia dell’Ospedale Bellaria – Maggiore di Bologna sull’utilità di questo percorso terapeutico.

La loro relazione è intitolata: Significato clinico della Stimolazione Cerebrale nelle gravi cerebrolesioni

Vi prego di partecipare generosamente a questa iniziativa. C’è bisogno di uomini e donne che sappiano abbracciare la sofferenza, che sappiano amare e non di soloni che ponitifichino da tv e giornali.

Dio si è fatto uomo ed è attraverso il nostro amore che si piega sulle creature sofferenti e se le carica teneramente sulle spalle. Aiutiamolo.

Che Dio vi benedica e ve ne renda merito.

Antonio Socci


Avvenire.it, 7 dicembre 2010 - LIBERTÀ RELIGIOSA - Pechino, pugno di ferro - Retate contro i vescovi di Bernardo Cervellera

Monsignor Feng Xinmao, vescovo ufficiale di Hengshui è stato sequestrato da 100 poliziotti e portato di forza a Pechino. Decine di fedeli hanno cercato di salvarlo dalle grinfie dei poliziotti, che hanno assediato per ore la casa del prelato. L’atto di forza, che ricorda i tempi di Mao e della Rivoluzione culturale vuole obbligarlo a partecipare all’Assemblea dei rappresentanti cattolici cinesi che si tiene da oggi nella capitale.

L’Assemblea, che è «l’organismo sovrano» della Chiesa, dovrebbe eleggere i presidenti dell’Associazione Patriottica (Ap) e del Consiglio dei vescovi, due organismi che il Papa definisce contrari alla fede cattolica, perché miranti a creare una Chiesa indipendente da Roma.
Nel marzo scorso, la Commissione vaticana per la Chiesa in Cina ha chiesto ai vescovi cinesi di evitare «di porre gesti (quali, ad esempio, celebrazioni sacramentali, ordinazioni episcopali, partecipazione a riunioni) che contraddicono la comunione con il Papa, che li ha nominati Pastori, e creano difficoltà, a volte angoscianti, in seno alle rispettive comunità ecclesiali». Seguendo le indicazioni della Santa Sede, molti vescovi e responsabili ecclesiali non vogliono parteciparvi, ma il governo li sta forzando a prendere parte al raduno.

Per convocare almeno qualche prelato, l’Ap ha messo agli arresti domiciliari alcuni dei vescovi che hanno partecipato all’ordinazione illecita di Chengde, lo scorso 20 novembre. Per quella occasione, otto vescovi erano stati sequestrati e obbligati a partecipare alla cerimonia, condannata dalla Santa Sede come «una grave violazione alla libertà religiosa».

Da dopo l’ordinazione illecita, monsignor Feng Xinmao era stato costretto a vivere in isolamento, senza poter vedere alcun fedele, sotto il controllo della polizia. In questi giorni è morto un sacerdote molto anziano e lui ha chiesto di poter almeno celebrare i funerali. La polizia prima ha rifiutato, poi, dietro la minaccia del vescovo di attuare uno sciopero della fame, gli è stato concesso di presiedere alla messa funebre. Alla fine delle esequie i fedeli e i suoi sacerdoti lo hanno preso e portato nell’episcopio, da dove mancava da quasi un mese e si sono messi a guardia del loro vescovo perché non venisse ancora portato in isolamento.

La polizia e rappresentanti del governo, con almeno 30 camionette, ha assediato l’episcopio e dopo diverse ore è riuscito a prendere il vescovo e a trasferirlo a Pechino. Negli scontri vi sono stati alcuni feriti. Uno dei fedeli, piangendo, ha commentato ad <+corsivo>AsiaNews<+tondo>: «Il nostro povero vescovo non ha alcuna libertà». In diverse altre diocesi si registrano pressioni e “deportazioni” a Pechino dove vescovi e responsabili laici saranno costretti a partecipare all’Assemblea.

Un altro episodio di violenza riguarda il vescovo monsignor Li Lianggui di Cangzhou. Dopo l’ordinazione illecita, il prelato è scomparso, forse perché non vuole di nuovo costretto a partecipare all’Assemblea dei rappresentanti cattolici cinesi. La polizia, dopo averlo ricercato nel territorio diocesano, ha minacciato tutti i fedeli: o il vescovo ritorna sotto il loro controllo, o diramerà un ordine di cattura in tutta la Cina, additandolo come «un pericoloso criminale ricercato».

Nei giorni scorsi Benedetto XVI aveva lanciato un appello per la Chiesa cinese che «sta vivendo momenti particolarmente difficili». Egli ha pure domandato ai fedeli di tutto il mondo di pregare per «tutti i vescovi cinesi, a me tanto cari, affinché testimonino la loro fede con coraggio, riponendo ogni speranza nel Salvatore che attendiamo».


Avvenire.it, 7 dicembre 2010 - IL DRAMMA DEGLI ERITREI - Pagata una parte del riscatto - L’appello del Papa di Ilaria Sesana

Domenica all’Angelus, Benedetto XVI ha levato la sua voce a favore dei profughi provenienti dall’Eritrea e dei loro compagni di sventura, ancora prigionieri di spietati trafficanti di uomini (così come ha invocato attenzione per i cristiani e i musulmani iracheni e per i fedeli copti egiziani). L’appello e la preghiera del Papa vengono a rompere con il fragore della parola più autorevole la cortina di silenzio che ha avvolto finora la vicenda dei migranti respinti, arrestati e ricattati. Il Santo Padre, affacciandosi davanti ai fedeli raccolti in piazza San Pietro e parlando a tutti coloro che lo seguivano via radio, tv e Internet, «in questo tempo di Avvento, in cui siamo chiamati ad alimentare la nostra attesa del Signore e ad accoglierlo in mezzo a noi», ha invitato «a pregare per tutte le situazioni di violenza, di intolleranza, di sofferenza che ci sono nel mondo, affinché la venuta di Gesù porti consolazione, riconciliazione e pace». Benedetto XVI ha poi elencato i gruppi che attualmente più sono colpiti. «Penso alle tante situazioni difficili, come i continui attentati che si verificano in Iraq contro cristiani e musulmani, agli scontri in Egitto in cui vi sono stati morti e feriti, alle vittime di trafficanti e di criminali, come il dramma degli ostaggi eritrei e di altre nazionalità, nel deserto del Sinai». «Il rispetto dei diritti di tutti – ha sottolineato il Pontefice – è il presupposto per la civile convivenza. La nostra preghiera al Signore e la nostra solidarietà possano portare speranza a coloro che si trovano nella sofferenza», ha quindi concluso papa Ratzinger.

Cinquecento dollari a testa, semplicemente per tenere in vita i propri cari. Tanto hanno dovuto pagare i familiari dei 250 profughi africani prigionieri da settimane nel deserto del Sinai. Domenica mattina, infatti, era scaduto l’ultimatum imposto dai sequestratori ai familiari dei profughi.

Per il momento non ci sono stati nuovi morti ma la situazione è ormai al limite: «Fate presto, siamo allo stremo», è l’appello che i sequestrati fanno arrivare in Italia attraverso don Mussie Zerai, sacerdote eritreo che tiene i contatti con il gruppo dei sequestrati. «Ho avuto modo di sentirli questa mattina (ieri, per chi legge) – spiega Mussie Zerai –. La situazione è delicata: i sequestratori sono innervositi dal tam tam mediatico che si è sollevato attorno alla situazione». Il rischio, ora, è che il gruppo di 250 profughi africani (tra cui 74 eritrei) venga trasferito in un nuovo nascondiglio. «Hanno paura di essere portati in un altro rifugio e che le loro sofferenze continuino ancora», aggiunge Mussie Zerai.

Uomini e donne, alcune delle quali incinte, incatenati e percossi, marchiati a fuoco «come schiavi», raccontano nelle disperate telefonate ai familiari. E sono gli stessi sequestratori a tenere in mano il telefono durante la conversazione e a fare pressione affinché la conversazione si chiuda sempre con lo stesso appello: «Manda i soldi o mi uccidono».

È l’ennesima vessazione, l’ennesima violenza subita da queste persone in fuga dalla Somalia, dal Sudan o dalla dittatura eritrea. Molti di loro erano già giunti a Tripoli per cercare di imbarcarsi e raggiungere così l’Italia, la salvezza. Un sogno durato poche ore: vennero respinti in mare dalle motovedette italiane e consegnati ai poliziotti libici. A questo punto non restava che una possibilità: entrare in Egitto, attraversare il deserto del Sinai e cercare di raggiungere Israele per chiedere asilo. Costo dell’impresa, duemila dollari. Ma, una volta giunti nel deserto, i trafficanti hanno alzato il prezzo e preteso 8mila dollari.

Soldi che i mercanti di carne umana vogliono ottenere a ogni costo. Lunedì scorso tre uomini sono stati freddati con un colpo di pistola: un monito agli altri disperati. Il giorno dopo, altre tre persone sono state uccise a bastonate dopo un fallito tentativo di fuga. Giovedì quattro sono stati portati via dai loro carcerieri: «Agli altri hanno detto che sarebbero stati operati per espiantare un rene, visto che non potevano pagare», racconta don Mussie Zerai.

Non è la prima volta che la penisola del Sinai diventa teatro di sequestri da parte dei trafficanti di uomini. «I profughi, proprio perché sono particolarmente vulnerabili, sono facili vittime per queste bande di predoni dedite anche al traffico di droga e armi», spiega Christopher Hein, direttore del Consiglio italiano per i rifugiati. «È però la prima volta che si accendono i riflettori su questi episodi – conclude Hein –. L’attenzione della comunità internazionale è un segnale estremamente positivo. La nostra speranza è che i sequestratori possano fare un passo indietro».

Non resta quindi che confidare nella diplomazia. «L’appello del Papa è stato molto importante per richiamare l’attenzione della comunità internazionale su questo dramma – conclude Mussie Zerai –. Speriamo che venga accolto e che i governi si muovano per sollecitare il governo egiziano a intervenire per salvare queste persone».