venerdì 8 febbraio 2008

Nella rassegna stampa di oggi:

1) Amare il vero
2) Madri sino in fondo
3) L'ultima follia: un figlio procreato da tre genitori
4) La gnosi


Amare il vero
Autore: Pagetti, Elena Curatore: Mangiarotti, Don Gabriele
giovedì 7 febbraio 2008
Nell’antica Atene, sotto il regime democratico, il filosofo Socrate venne condannato a morte in quanto rappresentava un pericolo per l’educazione dei giovani. La sua posizione filosofica, il costante interrogarsi su quanto ereditato dalla tradizione greca, soprattutto mitica e religiosa, aveva fatto cadere su di lui l’accusa di sovvertitore e la condanna nel 399 a.C., colpevole di un reato politico. Il potere politico, cui noi riconosciamo l’accezione di democratico, ha visto nella posizione di Socrate un pericolo per la polis, per il mantenimento di un ordine costituito. Nell’allocuzione del Santo Padre per l’incontro con l’Università “La Sapienza”, il Papa, sorprendendo per la libertà di pensiero, dice che nell’interrogarsi di Socrate si può vedere l’impulso dal quale è nata l’università occidentale. E ancora, che la domanda di Socrate sulla verità delle divinità greche, derivava da una religiosità più profonda e più pura, dalla ricerca del Dio veramente divino, domanda in cui i cristiani dei primi secoli hanno riconosciuto se stessi e il loro cammino. L’ultima frase con cui Socrate concluse la sua difesa in tribunale è rimasta famosa: “Ma ora è tempo di andare, io a morire, voi a vivere: chi di noi vada verso un destino migliore, è ignoto a tutti, fuorché a Dio”. In essa è racchiuso il centro del suo pensiero: della verità non ci si può impadronire, si può dare la vita per essa, ma non si può possederla. Benedetto XVI ha affermato che l’università “deve essere legata esclusivamente all’autorità della verità” e che la conoscenza della verità ha come scopo la conoscenza del bene. Filosofia e la Teologia hanno il compito di “essere custodi della sensibilità per la verità, non permettere che l’uomo sia distolto dalla ricerca della verità”. Sorge spontaneo l’interrogativo: come fare? La risposta del Papa non è un discorso, ma un invito a restare in cammino lasciando aperta la domanda di verità. Amare la verità più di se stessi, accettare la sfida di non piegarla ad interessi esterni, non è solo il problema dell’università, riguarda ciascuno di noi. Confrontare la nostra posizione, ricercare la ragionevolezza nelle scelte quotidiane, far interagire ragione e fede è compito di ogni cristiano che ha conosciuto “la Ragione creatrice e al contempo la Ragione-Amore”. La verità si è rivelata nell’incarnazione di Dio in Gesù Cristo, non è lontana e inaccessibile. La fede purifica la ragione, le dona la linfa vitale, senza la quale “inaridisce come un albero le cui radici non raggiungono più le acque che gli danno vita”. Riconoscere l’amicizia tra fede e ragione, nel rispetto della domanda che ogni uomo porta nel cuore, è strada per vivere come se Dio ci fosse.


Madri sino in fondo
Autore: Buggio, Nerella
Fonte: CulturaCattolica.it
venerdì 8 febbraio 2008
Che società stiamo costruendo se non c’è spazio per il dolore, la vecchiaia, la malattia, se non c’è più il desiderio di paternità e maternità, il desiderio di AVERE un figlio e la speranza giusta e umana che sia bello, buono e sano, ma si pretende un figlio sano?
In questi giorni fa discutere un documento che dice che dei bambini prematuri nati vitali hanno diritto ad essere curati come tutti gli altri pazienti, qualcuno ha voluto vedere in questo documento, una minaccia al diritto di abortire sino a gravidanza avanzata, un bambino non perfetto, o il rischio che il bimbo prematuro, soccorso e rianimato possa salvarsi e non essere del tutto sano.

E allora? Allora lasciamo che tutti i prematuri vengano lasciati privi di cure per timore che possano salvarsi e non essere perfetti? O lasciamo che il medico guardi l’evidenza di ciò che ha davanti e decida?

Ma che adulti siamo, che uomini e che donne siamo se l’ideologia, prevale sulla ragione?
Se un bimbo che nasce vivo non ci interroga, non ci fa sentire a disagio nemmeno un momento, per tutti quelli che abbiamo lasciato morire in nome della libertà, che uomini e donne siamo se guardiamo un’ecografia e non vediamo un uomo, piccolo, indifeso che ha bisogno di poter contare su di noi, sugli adulti?

Che società stiamo costruendo se non c’è spazio per il dolore, la vecchiaia, la malattia, se non c’è più il desiderio di paternità e maternità, il desiderio di AVERE un figlio e la speranza giusta e umana che sia bello, buono e sano, ma si pretende un figlio sano?

Per fortuna in questo panorama a volte sconcertante c’è chi senza clamore testimonia con la sua vita cosa vuol dire essere adulti, essere madri e padri.
Parlo di Tonia Accardo, la donna di 33 anni, morta qualche giorno fa a Torre del Greco.
Tonia scoprì di aspettare un figlio che tanto aveva desiderato e poco dopo di essere malata di cancro, non ebbe dubbi, rifiutò le cure per mettere al mondo la piccola Sofia.
Ha scelto di far vivere e nascere sua figlia e poi per diciassette mesi ha lottato contro il cancro, sostenuta dal marito e dalle persone che le hanno voluto bene, eppure, alcuni hanno bollato il suo gesto, come un gesto di egoismo.

Io penso invece che Sofia potrà dire di avere imparato da sua madre e da suo padre la grandezza dell’amore, la condivisione della vita, Tonia lascia a sua figlia Sofia la testimonianza di come si possa amare di un amore così grande da poter rinunciare alla propria vita.

E Tonia non è la sola testimone di questo modo grande di amare, di una quotidianità che può sembrare eroica ma che per chi l’ha vissuta è semplicemente normale.

Nel 1995 Felicita Meratidi Nova Milanese, rinunciò a curare un tumore per dare alla luce il suo secondo figlio, morì pochi giorni dopo, mi torna spesso alla mente una frase che lessi sui giornali dopo la sua morte
Felicita diceva “ho fifa” perché queste donne non sono delle eroine, ma donne con le fragilità di tutti, ma con la certezza che non si può negare alla propria creatura la vita.

Queste donne non sono solo per i loro figli la testimonianza di un grande amore, ma sono e rimangono nel tempo testimoni per tutti noi, di come la morte non sia la fine di ogni cosa, di come l’amore quotidiano costruisca e rimanga oltre noi, queste donne sono costruttrici di speranza e di futuro.




Postato il Giovedì, 07 febbraio @ 15:31:25 CET
L'ultima follia: un figlio procreato da tre genitori
Intervista a Bruno della Piccola
presidente dell'associazione Scienza&Vita
«GENITORI MULTIPLI? È LA FOLLIA DI UNA SCIENZA PERVERSA»
Questo esperimento deve essere oggetto di una profonda riflessione, per domandarci che di tipo di uomo vogliamo consegnare alle prossime generazioni…

Bruno Dallapiccola, presidente dell'associazione Scienza&Vita, è professore di Genetica medica a «La Sapienza» di Roma, nonché direttore scientifico dell'Istituto Mendel di Roma e dell'ospedale Casa sollievo della sofferenza di San Giovanni Rotondo.
Professore, siamo alla follia?
«Ormai la ricerca è finalizzata semplicemente ad occuparsi di cose che fanno sensazione. Ci dimentichiamo sempre che dietro questi pastrocchi c'è invece un bimbo che deve nascere, il quale fino a prova contraria, si aspetta di avere due genitori normali, non di avere dei genitori multipli, o un genitore clonato, o di averne tre frutto di una sorta di "ammucchiata ante litteram".
È pur vero che dietro questi esperimenti c'è anche chi si occupa del problema di fondo, e cioè di trovare qualcosa di utile per curare le malattie mitocondriali, trasmesse dalla mamma del nascituro, però, da medico, sostengo che bisogna avere il coraggio di evitare esperimenti di questo genere. Come diciamo "no" all'accanimento terapeutico, diciamo "no" anche all'accanimento riproduttivo: se purtroppo esistono dei limiti dati dalla natura, non penso si debba generare un obrobrio dal punto di vista biologico per cercare di bypassarli. Purtroppo ci si deve anche rassegnare. Se da un lato questo esperimento può essere visto con sorpresa o con interesse dal punto di vista biologico, dall'altro, però, deve essere oggetto di una profonda riflessione, per domandarci che di tipo di uomo vogliamo consegnare alle prossime generazioni. Qui si gioca con il Dna e le cellule umane come se stessimo giocando con le cose: è il solito vecchio concetto che considera ciò con cui si sta lavorando un qualcosa e non un qualcuno».
Dai lanci delle agenzie non è chiarissimo se l'esperimento sia stato condotto su embrioni di uomo scartati da trattamenti di fertilizzazione in vitro o su embrioni di topo.
«È il principio quello su cui riflettere, perché si comincia dal topo per arrivare all'uomo: mi auguro che questa tecnica non sia mai giunta a compimento, perché è l'idea in se stessa ad essere sconvolgente».
Non c'è un eccesso di perversione nella scienza?
«Assolutamente si. Penso che la scienza è perversa per molte ragioni, soprattutto perché le ideologie prevalgono e perché c'è un business dietro gran parte della ricerca.
Dico spesso che la genetica sarebbe una scienza bellissima se non fosse inquinata dalle ideologie e dal business, oltre che dal sensazionalismo, che tuttavia sta sempre alle spalle di ideologie e denaro. Una posizione presa dai cosiddetti "conservatori", o anche dalla Chiesa cattolica, fa immediatamente sì che, per definizione, ci sia una parte di scienziati che si schiera contro: le ideologie inquinano.
E poi c'è il business: gli abusi continuamente fatti in genetica, il cattivo uso o la perversione di alcuni esperimenti sono fortemente condizionati dal vile denaro. Se da un lato la gente non finisce mai di sorprendersi per quello che di nuovo viene scoperto ogni giorno, dall'altro dovrebbe certamente cominciare a fare i conti con quell'inquietudine che questo cosiddetto progresso finisce per determinare sulle nostre future generazioni».
Cosa sono le malattie mitocondriali?
«Sono un gruppo di malattie essenzialmente di tipo neuromuscolare, caratterizzate da una degenerazione a livello neurologico e muscolare. Ma le malattie mitocondriali possono anche provocare rarissime forme di cecità e di sordità, e una rara forma di diabete, oltre l'epilessia. L'eredità mitocondriale è molto particolare non solo perché materna, ma anche perché per i comportamenti che assume: tutti noi, nelle cellule, abbiamo mitocondri "fasulli", ma per ammalarsi bisogna che questi superino di una certa soglia quelli sani, generalmente molto più numerosi».
Si possono curare con le cellule staminali adulte?
«Purtroppo tutta la patologia neurologica non è ancora oggetto di cura con le cellule staminali, anche se è certamente una grande prospettiva e una grande speranza quella di curarle con le staminali, ma a fronte del successi avuti con la pelle, la cornea, l'osso, le malattie del sangue e persino in qualche microtrattamento dell'apparato muscolare, tutto il sistema nervoso è rimasto fuori dai benefici delle cellule staminali. Tuttavia sono convinto che questa sia una barriera che nel giro di pochi anni, almeno per una determinato gruppo di malattia, verrà superata. Quando ai pazienti dò cattive notizie sulle possibilità di curare certi tipi di problemi, dall'altra aggiungo che non faremmo i ricercatori se non fossimo convinti che domani riusciremo a fare cose che oggi non possiamo fare. L'ottimismo è necessario perché c'è sempre una luce in fondo al tunnel, e per molte malattie questo atteggiamento è risultato vincente. La tristezza sta nel fatto che il ritmo della ricerca è più lento rispetto alle legittime attese dei malati e delle loro famiglie».
di Alberto Ceresoli
Eco di Bergamo, 6 febbraio 2008


La gnosi
Di Giacomo Samek Lodovici
È una corrente filosofico-religiosa molto antica, la cui mentalità si riproduce in tutti i tempi. Permeando teorie filosofiche, pratiche religiose, libri e film.

[Da «il Timone», n. 69, gennaio 2008]

Capita abbastanza sovente di sentir dire che un certo libro, film, discorso, pratica, ecc. ha qualcosa di gnostico. Cerchiamo dunque di considerare le principali tesi della gnosi.

La gnosi è una corrente filosofico-religiosa che affonda le sue radici in Oriente in un periodo non del tutto precisato; in seguito (almeno secondo Hans Jonas) scaturisce definitivamente da quel crogiuolo che è la cultura ellenistica: dopo la conquista dell’Oriente fatta da Alessandro Magno, infatti, si producono una profonda crisi spirituale ed un’ansia di salvezza.

Lo gnosticisimo diviene poi particolarmente rilevante intorno al II secolo dopo Cristo, quando entra in contatto con il cristianesimo, insidiandolo come avversario molto temibile.
Quando si parla di gnosi, si può distinguere una sua espressione in tale preciso momento storico (di cui si possono ricordare esponenti come Valentino, Basilide e Marcione), ma anche una mentalità gnostica, che invece pervade la storia delle espressioni culturali dell’uomo e che, come dicevamo all’inizio, si ripresenta anche in taluni libri, film, discorsi filosofici, ecc. contemporanei.
Certo, lo gnosticismo antico aveva un quadro teologico-antropologico che è poi caduto, ma le sue seguenti tesi perdurano nella mentalità gnostica di tutti i tempi.

1. II mondo è una realtà degradata, oscura e corrotta, da cui bisogna ottenere la liberazione (nello gnosticismo antico ciò si spiega dicendo che è vero che esiste una divinità, ma che è assolutamente lontana dal mondo, il quale è malvagio e oscuro perché posto da potenze malvagie, che hanno talvolta caratteri demoniaci; nell’uomo l’anima e il corpo sono prodotti da queste potenze, mentre una dimensione superiore, quella dello spirito, è una scintilla divina che è caduta nel corpo, in cui si trova imprigionata).

2. Esistono alcuni uomini eletti, gli gnostici, che possiedono una conoscenza (= gnosi, dal greco) redentiva, un sapere che salva (un sapere che, per lo gnosticismo antico, può essere guadagnato grazie ad un’illuminazione divina o tramite un esercizio sfrenato della sessualità).
2.1. Questi uomini sono perfetti.
2.2. Questo sapere è esoterico, cioè riservato solo a loro in esclusiva.

3. Agli eletti è possibile, grazie al sapere salvifico che possiedono, abolire ogni limite; essi sono in grado di estinguere ogni imperfezione e di creare un mondo perfetto (nello gnosticismo antico ciò vuol dire di ritornare in Dio).
Se la gnosi prende il nome dalla seconda tesi, è però la terza tesi quella che definisce la sua cifra essenziale: il rifiuto della condizione finita e del limite, perché non c’è male che non possa essere redento. Questa tesi ha delle implicazioni molto importanti.
3.1. Questi uomini eletti sono in grado da soli di salvarsi dalla condizione tragica e malvagia in cui si trovano senza l’aiuto di Dio, sono autosufficienti a redimersi, sono capaci da soli di creare un mondo ed una società nuovi.
3.2. In vista della rigenerazione totale del mondo, della sua trasfigurazione completa, lo gnostico rifiuta la legge giuridica e lo Stato, non deve fermarsi di fronte al limite della legge.
3.3. In vista ditale fine, lo gnostico rifiuta la legge morale, non deve lasciarsi fermare da alcuna norma etica. Anche il ricorso alla violenza più efferata e atroce è giustificabile.

Da questa sintetica presentazione si evincono i motivi dell’irriducibile opposizione tra lo gnosticismo e il cristianesimo.

1. Per il cristianesimo il mondo è buono, sia perché è creato da Dio, sia perché Dio si è incarnato nel mondo.

2. Non esiste una conoscenza che sia da sola salvifica, perché per salvarsi la fede è necessaria, ma lo sono anche la rettitudine della volontà e il compimento delle opere buone.
2.1. Non esistono uomini perfetti.
2.2. I contenuti della fede cristiana non sono riservati solo ad alcuni iniziati, bensì sono rivolti a tutti.
3. Non è possibile estinguere il limite, perché la condizione finita è la differenza ineliminabile tra Dio e le cose create.
3.1. Gli uomini da soli non possono salvarsi: devono sì prodigarsi per la propria salvezza, ma non possono redimersi senza la grazia di Dio.
3.2. Lo Stato e le leggi (purché non siano iniqui) sono dei modi attraverso cui gli uomini regolamentano la loro vita associata in vista del bene comune, quindi devono essere rispettati.
3.3. Bisogna rispettare la legge morale naturale.

Abbiamo detto all’inizio che molte espressioni culturali di ogni tempo sono una rifrazione della mentalità gnostica. Ad esempio, secondo autori come Eric Voegelin, Augusto del Noce ed Emanuele Samek Lodovici, il marxismo è stato una ripresentazione della gnosi, come si vede dalle seguenti tesi marxiste.

1. Il mondo una realtà degradata, malvagia e corrotta, è da sempre caratterizzato dalla lotta di classe e dall’oppressione, che culmina con la società capitalista.

2. Il marxista detiene un sapere che salva, cioè il socialismo scientifico, con il quale ha finalmente compreso il meccanismo di sviluppo della storia.

3. Il marxista opera in vista della rigenerazione totale del mondo, della trasfigurazione della storia e di una riplasmazione della vita dell’uomo: aspira a realizzare la «Gerusalemme mondana» contrapposta alla «Gerusalemme celeste», ovvero è in grado di realizzare il paradiso in terra.
3.1. L’uomo non ha bisogno di Dio, il quale non esiste; anzi, la religione è l’oppio dei popoli.
3.2. Bisogna rifiutare la legge e l’organizzazione sociopolitica (per Marx, infatti, uno dei fini del comunismo è abolire lo Stato).
3.3. Bisogna rifiutare la legge morale naturale (infatti per Marx la morale è frutto delle condizioni socio-economiche, è imposta dalla classe dominante e non esistono leggi morali immutabili), perché la società comunista deve essere conseguita con qualsiasi mezzo, a costo di qualsiasi spargimento di sangue, anche con ogni tipo di violenza.
In questo senso, dunque, il marxismo è una riproposizione della mentalità gnostica e costituisce una metamorfosi della gnosi.

Quanto ai film, per limitarci ad un solo caso recente, basta citare Matrix, in cui c’è una società corrotta e degradata e dove al protagonista, che viene proprio chiamato l’Eletto, viene rivelata la vera conoscenza salvifica, affinché salvi il mondo. Tra i libri recenti almeno una tesi gnostica si trova certamente nel Codice da Vinci, che propaga l’idea secondo cui Gesù avrebbe avuto rapporti sessuali con la Maddalena come metodo di illuminazione.

Ma la riproposizione dello gnosticismo prosegue se consideriamo il pensiero radicale contemporaneo e alcune varianti del femminismo. Infatti, per lo gnosticismo libertario e sessuale del II secolo, lo stadio originario del genere umano è una condizione sia di perfetta uguaglianza, dato che gli esseri umani non differiscono l’uno dall’altro, né per caratteristiche estrinseche (come la proprietà di certi beni), né per qualità fisiche o intellettuali, sia di unità, dato che vi è un’assoluta comunione di tutti da parte di tutti, cioè tutti sono di tutti, anche sessualmente.

È facile vedere una riproposizione di questa visione: sia in certe varianti del femminismo, che negano l’esistenza di una natura specifica femminile, che differenzi l’uomo dalla donna; sia nel libertarismo radicale odierno, con la sua esaltazione dei rapporti omo e bisessuali, o con la mistica del sesso (celebrata da alcuni suoi esponenti), inteso come via di liberazione e di fusione totale tra gli esseri umani; sia nella cosiddetta teoria del gender, secondo la quale la nostra identità psicologica maschile o femminile non è legata al sesso con cui nasciamo biologicamente, bensì è indotta dall’educazione e dalla cultura in cui ci troviamo a vivere: perciò ognuno di noi dovrebbe essere lasciato libero di scegliere continuamente se vivere e agire come uomo/donna o tutti e due insieme anche se i suoi organi genitali sono femminili/maschili. Ma su questi ultimi aspetti di ri-presentazione dello gnosticismo dobbiamo limitarci a questi pochi cenni, per limiti di spazio.

Bibliografia

Emanuele Samek Lodovici, Metamorfosi della gnosi. Quadri della dissoluzione contemporanea, Ares, 1979, 19912.
Hans Jonas, Lo gnosticismo, Sei, 1991.
Eric Voegelin, La nuova scienza politica, Borla, 1968, con un saggio introduttivo di Augusto Del Noce.
Augusto Del Noce, Violenza e secolarizzazione della gnosi, in AA. VV., Violenza, una ricerca per comprendere, Morcelliana, 1980, pp. 195-215.

© il Timone
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Venne l'ora degli istinti
di Mario Marcolla

Scopriamo i sospettabili antenati della cultura trasgressiva. Così Marcuse e soci scatenarono i deliri di una generazione.
[Da «Avvenire», 25 ottobre 1988]

L’Ultimo tango a Parigi proiettato sul piccolo schermo qualche settimana fa, ha riproposto una serie di considerazioni critiche e di valutazioni che trascendono il fatto oramai banale del film e del suo impianto ideologico e culturale.

Il giudizio degli intellettuali laicisti non entra quasi più nel merito dell’offesa al «comune senso del pudore», che solitamente accompagna simili proiezioni. Ciò valeva in Italia prima dell’attacco contestativo, seguito al ’68, al fondamento religioso e popolare della nostra gente. Ora, la cultura della trasgressione si è diffusa in maniera insidiosa in larghi strati della società italiana e si tratta soltanto di valutare l’adeguatezza del messaggio di Bertolucci a raggiungere gli scopi immediati del successo televisivo.

Da parte cattolica, però, resta un discorso di fondo tutto da svolgere che Valerio Volpini ha cominciato ad impostare nella sua dura intervista ad Avvenire, concessa lo stesso giorno della proiezione televisiva: «Il nostro tempo vive nella superstizione dell’autonomia intellettuale e del nuovo. la trasgressione è qualcosa che sostituisce l’intelligenza, la capacità di discernimento, la critica. Dopo essersi presentata come spargimento di sangue all’epoca delle Br, la trasgressione come costume e abito mentale è scomparsa con il fallimento dell’ideologia violenta, ma è diventata un modo per comunicare il vuoto… ».

Il rimando agli anni di piombo è giustificato perché accanto alla lotta armata che comincia a manifestarsi agli inizi degli anni ’70, ha inizio l’esplosione delle rivendicazioni libertarie che hanno a fondamento la liberazione sessuale, simbolo di un affrancamento totale dai limiti della «morale corrente, vecchio borghese e cattolica».

Enzo Peserico, nei Quaderni di Cristianità (n.5, 1986) ricostruisce con chiarezza la duplice valenza della contestazione titolando un suo saggio sull’argomento: Gli «anni del desiderio e del piombo». Dal Sessantotto al terrorismo, ove per desiderio si deve intendere la discesa «in interiore homine» per operarvi un’azione distruttiva dei tradizionali valori della religiosità, dei modelli ideali che incarnano l’amore cristiano: soprattutto l’idea e la realtà della famiglia, pilastro insostituibile di una società naturale modellata sui dettami evangelici (Cfr il libello Contro la famiglia, Stampa alternativa, Roma 1970 sequestrato, condannato e poi ripubblicato in edizione interamente aggiornata nel 1976).

La formula di questa discesa «in interiore homine» per rovistare psicanaliticamente negli abissi dell’inconscio, venne espressa nel Sessantotto in una dichiarazione di Herbert Marcuse, falso maestro di un’intera generazione, secondo la quale la rivolta giovanile era «una ribellione allo stesso tempo morale, politica, sessuale. Una ribellione totale. Essa trova origine nel profondo degli individui. Questi giovani non credono più nei valori di un sistema che cerca di informare e di assorbire tutto. per vivere un’esistenza governata dagli istinti vitali finalmente liberati, i giovanio sono disposti a sacrificare molti beni materiali» (Marcuse: manifesto del nuovo Adamo, intervista a cura di Mauro Calamandrei in L’Espresso, 24 marzo 1968).

falsa la premessa e false le conseguenze: «per vivere un’esistenza governata dagli istinti finalmente liberati», alcuni giovani cominceranno ad uccidere e molti altri a inebriarsi con droghe, perché il fine essenziale della contestazione sapientemente strumentalizzata era la distruzione dell’ordine esistente, nella società e nell’uomo, per impiantarvi il «mondo nuovo» del permissivismo e del consumismo. la letteratura al riguardo è oggi assai vasta. ma a noi preme sottolineare come «la rivoluzione erotica», «espressione degli istinti vitali finalmente liberati», ha cercato la colonizzare il nostro Paese. Scriveva al riguardo l’indimenticabile amico Rodolfo Quadrelli in un libro che avrebbe meritato (come d’altronde tutte le sue opere ora introvabili) maggiore attenzione da parte di tutti: «L’influenza della psicanalisi è stata determinante. Interpretandola bene o male, si dice che la repressione sessuale è causa di turbe psichiche, e l’atto sessuale diventa normativo, inteso al buon funzionamento della macchina. Mentre il capitalismo primitivo, fondato sull’ascesi razionalizzata dei vizi spirituali, non poteva permetterlo, il nuovo capitalismo, largamente spersonalizzato, può permetterlo; o addirittura, nella sua più recente versione, può raccomandarlo, inteso com’è a liberarsi dalla famiglia e dal risparmio, entrambi potenti remore ai consumi» (Il Paese umiliato, Rusconi, Milano 1973, p.30).

Ma, per verificare il giudizio di Volpini, occorre andare alle fonti della cultura trasgressiva, ai testi ideologici pubblicati nei primi anni della contestazione, come ad esempio in Ma l’amor mio non muore (a cura di Riccardo Sguardi e Guido Vivi, Arcana, Roma 1971), un’antologia di documenti pubblicati tra il 1969 e il 1971, i quali ben riflettono il tema della rivoluzione politica e della rivoluzione sessuale.

nella raccolta, impiantata sullo slogan «il personale è politico» come motivo conduttore del Sessantotto, si precisa che «per individuare il tutto bisogna cominciare con la frammentazione dell’individualità, in questo senso la comune è un progetto nel quale si tenta di realizzare l’optimum delle relazioni interumane. Dio, patria e famiglia sono storie dell’altro ieri!». Mentre «ogni rivoluzione politica è contemporaneamente una rivoluzione economica, sessuale e viceversa».

Dopo aver indicato i modi anche concreti per operare la violenza rivoluzionaria si passa ad esaltare l’uso delle droghe e degli allucinogeni, per giungere in chiusura alla esaltazione della Rivoluzione sessuale: «competenti medici» dicono che «l’aborto non è niente di più di un intervento medico ambulatoriale, come l’incisione di un foruncolo o la medicazione di una scottatura».

Indubbiamente questi erano i deliri di una gioventù usata per scardinare il sistema, come ha scritto Peserico nel saggio citato, questa antologia come altri scritti nei collettivi, nelle comuni e nei centri sociali «mostra come il coacervo di impulsi ideologici che caratterizza la nuova utopia - ricevuti da Karl Marx e da Marx Horkheimer, da Herbert Marcuse e da Wilhem Reich - spinga la Rivoluzione culturale verso un’unica direzione di marcia, che è anzitutto la negazione radicale dei valori tradizionali».

Certo, come afferma Volpini nell’intervista citata a questo giornale, «accostare terrorismo e offerta dal piccolo schermo della pellicola di Bertolucci» può «apparire azzardato…», ma non lo è se riandiamo al contesto politico e culturale di sedici anni or sono, quando il film apparve e fu giustamente censurato, e alla mentalità trasgressiva che intendeva alimentare. Con ironia (quell’ironia che lo scrittore marchigiano invoca quale «uscita di sicurezza») Emanuele Samek Lodovici scriveva nel 1973 su Studi Cattolici: «La borghesia ha un bisogno profondo di film come Ultimo tango, perché dare spazio alle proprie tentazioni significa conquistarsi ancora un po’ di libertà; e il sesso è invero l’ultimo tripudio concesso a chi pensa che l’innalzamento dell’uomo si riduca al problema del buon funzionamento degli ascensori».

Volpini aggiunge ancora delle parole che bruciano e fanno riflettere: «Certo, è una trasgressione da quattro soldi, ma non mancano le conseguenze: l’esito può essere la mortificazione di tutta una vita, di tutto un costume, una sorta insomma, di assassinio morale».

Dalla infame definizione del matrimonio fornita da Kant («Il contratto tra un uomo e una donna per l’uso reciproco degli organi sessuali») alle manifestazioni dell’erotismo quale consumo di massa, la morale autonoma rivela i suoi esiti distruttivi. Il valore, come elemento che fonda gli atti quotidiani dell’uomo comune, viene negato da una scelta soggettivistica alla quale è lasciato libero sfogo, ad onta delle distruzioni che essa provoca sul piano morale.

dal problema del sesso a quello della famiglia (già scossa dall’introduzione del divorzio e dell’aborto), il laicismo manifesta nelle sue varie sfumature lo spirito corrosivo dell’idea di modernità, la pretesa che essa racchiude di redimere l’uomo attraverso l’alterazione radicale delle strutture sociali. la lotta contro il male è per il laicismo dialettica incessante di negazione e di affermazione, ove la negazione corrisponde all’attacco agli istituti fondati sull’assenso religioso, e l’affermazione alla creazione della morale situazionale, provvisoria, legata al cosiddetto libero corso delle cose, al mai tanto deprecato senso della storia.

Il problema sollevato dal giudizio di Volpini è fondamentale per intendere il senso di una marcia che mercifica sempre più la persona e la assoggetta al rullo compressore del potere.
© Avvenire