martedì 5 febbraio 2008

Nella rassegna stampa di oggi:

1) A CHI APPARTIENE IL RESPIRO DI UN UOMO?
2) Arrivano le elezioni, non scordate l’aborto
3) Viene il tempo del via la maschera
4) Bertone: serve una vera parità scolastica
5) Il "Mondo nuovo" è già iniziato
6) Tutti contro l'aborto, ma non si faccia il partito

IL DOVERE DI RIANIMARE
A CHI APPARTIENE IL RESPIRO DI UN UOMO?

Avvenire, 5 febbraio 2008
MARINA CORRADI

Un neonato che si mostri vitale deve essere rianimato. Anche se man­casse il consenso dei genitori: dal mo­mento che ha vita autonoma, ha diritti pari a quelli di ogni altro. Se, successiva­mente, ci si rende conto dell’inutilità de­gli sforzi, bisogna evitare a ogni costo che le cure intensive possano trasformarsi in accanimento terapeutico. Questo dice un documento firmato dai titolari delle cliniche universitarie di Roma.
Sembrerebbero affermazioni largamen­te condivisibili. Leggendo i giornali, pa­re invece che in concomitanza con l’ap­pello del Papa alla difesa della vita dalle Università – cattoliche e laiche – di Ro­ma un fronte di oltranzisti abbia mani­festato una volontà di un accanimento terapeutico sui prematuri. In particola­re, ha destato scandalo l’idea di una ria­nimazione del figlio prematuro, anche se madre e padre non fossero d’accordo. Il ministro Turco ha detto che si tratta di un’ipotesi «crudele».
In realtà, se si confronta il documento romano con le linee guida della 194 da poco elaborate da un comitato di esper­ti nominato dal ministero della Salute, si nota che la sostanza non è diversa (infatti, tra gli estensori delle linee guida figura­no anche alcuni dei cattedratici roma­ni). Nelle linee ministeriali si afferma che fino a 22 settimane e 6 giorni di gesta­zione devono essere – a fronte di possi­bilità di sopravvivenza scarsissime – pra­ticate cure «compassionevoli», salvo che in quei casi, statisticamente ecceziona­li, in cui il bambino «si mostra vitale»: e quindi ovviamente lo si rianima. Il con­cetto è lo stesso: se un neonato per quan­to prematuro è vitale, ha diritto a essere rianimato. Poi, nelle ore successive, si va­luterà se l’intervento dei medici non sta solo procrastinando di qualche giorno una morte inevitabile – cosa che sareb­be accanimento terapeutico.
È ciò che disse un mese fa in un’intervi­sta a questo giornale il professor Fabio Mosca, responsabile della Patologia neo­natale della Mangiagalli e fra gli esten­sori delle linee ministeriali: in sala par­to, con pochi secondi a disposizione per scegliere, si rianima «senza se e senza ma» ogni prematuro vitale. Poi viene il momento di parlare con i genitori, e di valutare se è giusto passare a «cure com­passionevoli ». Ciò che afferma anche il documento di Roma: valutare, e evitare a ogni costo l’accanimento terapeutico. Dov’è allora lo scandalo? Sembra un chiasso ideologico, quello imbastito sul documento delle Università romane. Forse, ciò che ha destato fastidio è l’af­fermazione netta del diritto alla riani­mazione di ogni prematuro vitale, quan­do una bozza di documento espressa da alcuni neonatologi di area laica mesi fa ipotizzava la non rianimabilità prima delle 23 settimane, cioè un 'paletto' fis­so, per molti medici inaccettabile – e che ricalca la norma olandese: prima della 26esima settimana nessuna rianimazio­ne, per l’alto rischio di invalidità. Norma in sostanza eugenetica, tesa com’è a eli­minare i figli potenzialmente imperfet­ti.
Oppure, ciò che ha urtato è il sostenere il diritto alla rianimazione del nato, an­che senza l’assenso dei genitori. E stupi­sce molto che un ministro definisca que­sta ipotesi «crudele». Perfino la 194 af­ferma che il medico deve prendere ogni misura per salvaguardare la vita del feto, se dopo l’aborto è vitale, e non menzio­na alcun necessario consenso della ma­dre. Il contrario del resto sarebbe incon­cepibile: se è vitale e ormai autonomo, come si può immaginare che non lo si curi perché i genitori non vogliono? La vi­ta di un uomo appartiene a sua madre o a suo padre? E non è un medico, obbli­gato a quel soccorso?
È quel «crudele» detto dal ministro a pro­posito di una scelta anche giuridica­mente obbligata, che fa temere che su a­borto e diritto alla vita siamo ancora nel­l’alto mare della polemica ideologica. Mentre le possibilità di intesa fra laici e cattolici su questi temi, crediamo, si pos­sono trovare.


Viene il tempo del via la maschera

Avvenire, 5 febbraio 2008
DAVIDE RONDONI
Come in ogni carnevale, anche in questo serraglio Italia si incontrano maschere vecchie e maschere nuove. Accanto alle maschere intramontabili – come gli arlecchini, le fatine, gli zorri – ce ne sono alcune che anni fa sembravano di gran moda e invece son passate presto, e a vederle ancora in giro mette una specie di mestizia. Tipo quelle provenienti da vecchi film di successo, ma ormai finiti in archivio.
Una di queste maschere che nel centro della festa mettono un’ombra di malinconia, è formata da una coppia, così come magari un tempo andavano di moda Diabolik ed Eva Kant. Intendo la coppia di maschere 'del laico e del credente'. Ormai sono due maschere desuete, indossate certo ancora in qualche bel dibbbbbattitttone, ma che alla luce di tante vicende recenti sono diventate irrimediabilmente vecchie, almeno come si presentavano fino a poco tempo fa. Il pressing del Papa sui temi dell’uso retto della ragione, le straordinarie inquietudini di gente di fede e di gente senza fede dinanzi a belle scoperte o ad abusi della scienza e del pensiero, le differenze che si mostrano tra le religioni, hanno fatto sì che le due maschere non funzionino più. E chi ancora le indossa sembra un poco ridicolo.
Oggi le maschere al passo coi tempi sono diventate altre: il ragionevole e l’indispettito.
Come dire: chi usa la ragione, credente o no, oppure chi non la usa, e se ne difende in modo meschino e a dispetto della realtà, credente o meno che sia. Così come fa un poco tenerezza vedere ancora in giro la maschera del 'progressista', quella col sorriso a tutta dentiera di colui che si sente sempre il più moderno, il più avanti, il più più. Il vero progresso si sta muovendo spesso sulle vie che lui aveva chiuso o scartato. Mentre altre sue vie luminose e progressive si stanno svelando vicoli ciechi e bui. Allo stesso modo anche la maschera del 'tradizionalista', di quello che lui sì sa come difendere le radici della tradizione bla bla bla, sembra irrimediabilmente triste. La tradizione per nutrire il presente non ha bisogno delle sue rampogne e della sua noia.
Altra maschera un poco intristita è quella dell’intellettuale cattolico. Quella di chi pensava di essere una specie di avanguardia dei cattolici poiché aveva letto o scritto qualche libro. Come se la fede fosse un problema di cultura, e non di fede appunto.
Che veniva blandito o si autoblandiva (ah! l’orgoglio ne ha fregati più del petrolio cantava Vasco Rossi) perché si presumeva che il popolino fosse ancora preda delle tenebre mentre lui o lei potevano essere accolti e onorati nei salotti del pensiero anticristiano. Ci siamo accorti che il popolo cattolico, attento ai suoi pastori, è molto più avanti di tanti che portavano con sussiego quella maschera piena di piume.
In un altro settore della infinita e a tratti sfinente festa perpetua del carnevale italico, sta mostrando le sue rughe la mascherina del 'tecnico prestato alla politica'. Tale ormai la melassa di rapporti tra banche, cooperative, aziende, cattedre, consulenze e giochi della politica, che quella mascherina non fa più ridere nessuno. E anche la maschera del 'comico impegnato' che sparge acido è stata surclassata da quella del comico che fa ridere e pensare davvero.
Dunque, ora su le maschere e ognuno reciti la sua vecchia parte. Oppure la smetta, e il carnevale sarà finalmente una festa un po’ allegra. Così mascherarsi sarà davvero una bella ragazzata e non l’appendice di una normalità passata tra volti di cartone e buchi al posto degli occhi.




Arrivano le elezioni, non scordate l’aborto

Sono circa cinque milioni i nostri connazionali che non sono venuti al mondo dopo aver cominciato a vivere nel luogo più sicuro e amorevole che esista per una creatura: il ventre della mamma. È «oscurantismo» invitare tutti a riflettere su una tragedia di una simile portata?
di Michele Brambilla

Oggi la Chiesa celebra la «Giornata per la vita», appuntamento che si ripete da quasi trent’anni, cioè da quando, in Italia, è stata varata la legge che permette l’aborto. C’è il rischio - per non dire la certezza - che a parlarne saranno appunto soltanto la Chiesa e Giuliano Ferrara, il quale ancora ieri, in un incontro pubblico a Monza, ha definito l’aborto «lo scandalo del nostro tempo». Il mondo politico sembra - anzi, è - in tutt’altre faccende affaccendato: la crisi di governo, la legge elettorale, la data delle elezioni.
Tutte cose importanti, importantissime. Ma forse è importante, importantissimo, che nell’agenda politica i partiti mettano in conto anche di dover affrontare qualcosa che non è meno rilevante - uso un eufemismo - della crisi economica, dello scalone sulle pensioni, dell’emergenza rifiuti. In Italia gli aborti legali sono circa 130.000 all’anno, da qualche tempo. Prima erano ancora di più. Secondo i dati ufficiali del ministero della Sanità, 4.255.005 dal 1978 (anno di approvazione della legge) al 2001. Insomma sono circa cinque milioni i nostri connazionali che non sono venuti al mondo dopo aver cominciato a vivere nel luogo più sicuro e amorevole che esista per una creatura: il ventre della mamma.
È «oscurantismo» invitare tutti a riflettere su una tragedia di una simile portata? Trent’anni fa la politica italiana fu chiamata a fissare regole per far fronte al dramma degli aborti clandestini, e varò la legge 194. È «oscurantismo» (ripeto) chiedere che oggi la politica riesamini la questione, prendendo atto che la legge ha funzionato poco, o pochissimo, quanto a prevenzione? Sempre ieri, Ferrara ha detto di sperare che il prossimo governo, «qualunque sia», accolga il principio di una moratoria sull’aborto. Noi lo diciamo con lui, e con la Chiesa che oggi richiamerà il popolo all’inviolabilità della vita.
Il Giornale - a partire da un editoriale del direttore - si è già schierato in questo senso. Un lettore, l’altro giorno, mi ha scritto che questa posizione è in contrasto con il nostro Dna, che è quello, laico, di Indro Montanelli, il quale su questa strada non ci avrebbe seguito. Ho già risposto in privato a questo lettore - che è uno dei nostri più affezionati - e ora lo faccio anche in pubblico, ricordando che cosa scrisse Montanelli il 6 gennaio 1979, quando si accusava la Chiesa di ficcare il naso negli affari dello Stato. «Riconosco che lo Stato non poteva più evadere il problema dell’aborto. Il modo in cui lo ha risolto non mi piace. Come quasi tutte le leggi italiane, anche questa è macchinosa, e nella sua puntigliosa casistica si presta a tutte le interpretazioni: le più restrittive e le più permissive». Parlando poi della campagna lanciata dalla Chiesa sulla legge 194, Montanelli scriveva: «Obietta qualcuno: ma questa è un’interferenza». Non così la pensava lui: «Il sacrilegio la Chiesa deve denunciarlo dovunque lo veda. Altrimenti, tanto vale che rinunci al suo Magistero. (...) La Chiesa potrà aggiornare gli abiti talari, le sue liturgie. Ma non le verità (...) fra le quali la sacralità della vita umana è fondamentale». Basterebbe questo a non farci sentire figli degeneri del Maestro.
Ma c’è, indubbiamente, dell’altro. C’è che da quegli anni Settanta molte cose sono cambiate. È finita, ad esempio, la folle campagna di disinformazione che volle far credere agli italiani che nel nostro Paese si praticavano quattro milioni (ma sì: quattro milioni!) di aborti clandestini all’anno, un dato evidentemente smentito poi dal numero di aborti legali. Una campagna folle, anzi menzognera, che gabellò per vera anche la cifra, del tutto inventata, di 25.000 donne morte all’anno in Italia per interruzioni di gravidanza clandestine. Anche dal fronte pro-aborto, oggi, certe falsità non si ripetono più. Soprattutto, oggi nessuno mette più in discussione il fatto che l’aborto sia la soppressione di una vita umana. Si dice che una donna ha comunque il diritto di decidere anche per un altro: ma nessuno può più negare che esista già, appunto, un «altro».
È successo poi che molte - e molti - hanno preso coscienza di quanto dolore abbia prodotto, in loro stessi, l’esercizio di quel «diritto». Ferrara è uno di costoro. È vero, come si dice spesso, che la prima battaglia da fare non è legislativa ma «culturale»: nel senso di suscitare un clima che favorisca la scelta per la vita. Però anche le leggi fanno cultura. Anche la politica, insomma, deve fare la sua parte. Forza, futuri amministratori di un Paese in cui 130.000 bambini all’anno vengono rifiutati.
Il Giornale 3 febbraio 2008


Bertone: serve una vera parità scolastica
Avvenire, 5 febbraio 1008
DAL NOSTRO INVIATO A COMO
PAOLO VIANA
« N on è sufficiente la sola cultu­ra, come insieme di nozioni e regole, per vivere e compren­dere il senso ultimo dell’esistenza. Sempre più occorre invece saper unire i doni ine­sauribili della spiritualità e della carità cri­stiana, animate dall’amore per la verità e la giustizia». La Chiesa punta a offrire un’edu­cazione che risponda al «vuoto etico» di og­gi, quando chiede «una vera parità scolasti­ca »: l’ha ribadito domenica il cardinale Tar­cisio Bertone, concludendo con un solenne Pontificale nella Cat­tedrale di Como le celebrazioni per il quarto centenario dalla morte del car­dinale Tolomeo Gal­lio. Durante l’Eucari­stia concelebrata dal vescovo Diego Colet­ti e dal vescovo eme­rito Alessandro Mag­giolini, il Segretario di Stato ha fatto del col­legio, fondato dal cardinale di Como e retto dai padri somaschi, un esempio di quella li­bertà di educazione per la quale chiede allo Stato «un concreto sostegno».
L’amore per la verità e la giustizia, ha detto, costituisce la «risposta efficace al vuoto eti­co, in quanto sostiene la passione per il be­ne e può restituire senso alla frammenta­zione delle coscienze» e «la dignità e la li­bertà della persona umana sono valori ca­paci di far maturare coscienze individuali in grado di dialogare apertamente con tutti ma allo stesso tempo capaci di mantenere fissi i principi della tradizione cristiana». Quin­di, Bertone ha ricordato che nelle scuole cat­toliche «la formazione al rispetto di se stes­si e del prossimo è cristianamente vissuta come etica della responsabilità nell’educa­zione all’amore, alla giusta dimensione del­la famiglia, alla stabilità delle scelte e alla progettazione del futuro, alla sensibilità ver­so chi ha bisogno, all’accettazione dei pro­pri limiti, alla disponibilità all’ascolto, al per­dono, all’accoglienza della croce e all’impe­gno per il bene comune». Da queste aule, a­vrebbe detto san Giovanni Bosco, non e­scono solo dei buoni cristiani ma anche dei buoni cittadini: «la scuola cattolica – ha spie- gato monsignor Coletti – offre percorsi di formazione umana e cristiana ricchi di va­lori spirituali e morali, porta a maturazione intere generazioni di uomini e donne che servono il bene comune, è al servizio di po­poli e nazioni, a contatto e in dialogo con culture e religioni, civiltà e tradizioni diver­se, senza perdere la propria fisionomia e l’al­to profilo della testimonianza cristiana, ma mettendola a servizio dello sviluppo inte­grale di tutti».
La scuola pubblica non statale di ispirazio­ne cristiana, è l’opinione del vescovo di Co­mo, «insieme alla scuola statale partecipa alla costruzione del sistema scolastico ita­liano. Essa non è un servizio 'privato', ri­servato solo ad alcu­ni, ma è un servizio prezioso per l’intera comunità naziona­le ». Monsignor Co­letti ritiene che «solo dall’impegno con­giunto di tutti posso­no nascere iniziative di carattere educativo di cui le nuove gene­razioni hanno un bisogno estremo», come ha evidenziato il Papa nel recente messag­gio alla diocesi di Roma. Quest’emergenza interpella gli adulti, come ricorda il Segreta­rio di Stato in un’intervista che sarà pubbli­cata sul Settimanale della diocesi di Como: «Le famiglie a volte delegano troppo allo Sta­to, alla collettività. Bisogna ricordare, che og­gi, rispetto al tempo del Gallio o di don Bo­sco, c’è un problema di atmosfera disedu­cativa. Le sfide sono aumentate, anche se dobbiamo affrontarle senza disperarci, co­me insegna Benedetto XVI». L’impegno del­la Chiesa in questo campo, precisa il porpo­rato, è il riflesso di quella «doppia cittadi­nanza, umana ed evangelica» che caratte­rizza i cristiani: «Ogni volta che sono in gio­co i diritti fondamentali della persona uma­na e quelli della Chiesa, noi abbiamo il di­ritto e il dovere di esprimerci, ma questo è un dono, la condivisione di valori comuni al resto dell’umanità non un’imposizione». Per quanto, come ha detto domenica nel Pon­tificale, i cristiani non devono «cercare utili compromessi con il mondo e le sue logiche, ma essere disposti ad affrontare persino la persecuzione pur di salvaguardare la fedeltà al Cristo e al suo Vangelo».
La questione educativa, il ruolo della scuola cattolica, al centro del Pontificale presieduto domenica scorsa a Como dal Segretario di Stato vaticano


Il "Mondo nuovo" è già iniziato
Autore: Parravicini, Jacopo Curatore: Buggio, Nerella
Fonte: CulturaCattolica.it
lunedì 4 febbraio 2008
“Il Mondo Nuovo” di Aldous Huxley. A chi non l’abbia già fatto, consiglio di correre a leggerlo (lo sconsiglio ai deboli di stomaco). Certamente il Ministro dell’Istruzione del Regno Unito non sarà tra questi: egli ha dimostrato di aver ben letto e apprezzato il libro
"E i 'genitori'?" chiese il Direttore.

Seguì un silenzio imbarazzato. Molti degli studenti arrossirono. Non avevano ancora imparato a riconoscere la sottile differenza tra il turpiloquio e la scienza pura. Uno, finalmente, ebbe il coraggio di alzare la mano.

"Gli esseri umani una volta erano..." disse esitando, gli vennero le fiamme al viso, "insomma, una volta erano vivipari.

"E quando i bambini venivano travasati..."

"Partoriti" lo corresse.

"Ebbene, allora erano i genitori... voglio dire, non i bambini, naturalmente, ma gli altri---" Il povero ragazzo era pieno di confusione.

"Insomma" concluse il direttore "i genitori erano il padre e la madre." La parola cruda, che era della vera scienza, cadde come un'esplosione nel silenzio imbarazzato dei ragazzi. "La madre" egli ripeté ad alta voce, insistendo sulla scienza "Sono" disse gravemente "fatti sgradevoli, lo so. Ma d'altro canto la maggior parte dei fatti storici sono sgradevoli.

"E sapete che cosa era il 'focolare domestico'?"

Scossero il capo.

"Casa, casa, poche stanze troppo abitate, soffocanti, da un uomo, da una donna periodicamente incinta, da un'orda di ragazzi e ragazze di tutte le età. Psichicamente era una tana di conigli selvatici, un letamaio riscaldato per gli attriti della vita che vi si ammucchiava, esalante emozioni. Quali soffocanti intimità, quale pericolose, insane, oscene relazioni tra i membri del gruppo famigliare! Come una pazza la madre allevava i suoi bambini (i suoi bambini)... li allevava come una gatta i gattini; ma una gatta che parlava, una gatta che sa dire e ridire: "Bambino mio, bambino mio!"; e ancora, ancora: "Bambino mio!" e: "Oh, sul mio seno, le piccole mani, e la fame, e quel indicibile doloroso piacere! Finché, alla fine, il mio bambino s'addormenta, il mio bambino dorme con una bolla di latte bianco all'angolo della bocca... Sì" disse " avete ragione di rabbrividire.
Il mondo era pieno di padri e perciò era pieno di miseria; pieno di madri e perciò di ogni specie di pervertimenti, dal sadismo alla castità, pieno di fratelli e di sorelle, di zii e di zie, pieno di pazzie e di suicidi.

"Madri e padri, fratelli e sorelle. Ma c'erano anche dei mariti, delle mogli, degli amanti. C'erano anche la monogamia e il romanticismo."

"Famiglia, monogamia, romanticismo. Dappertutto l'esclusivismo, dappertutto la convergenza dell'interesse, uno stretto incanalamenti di impulsi ed energie.

"Ma ognuno appartiene a tutti gli altri

"Amor mio, bambino mio. Non c'era da stupirsi che quei poveri moderni fossero pazzi e malvagi e miserabili. Il loro mondo non permetteva loro di prendere le cose per la via più semplice, non permetteva loro di essere sani di spirito, virtuosi, felici. E con le madri e gli amanti, con le proibizioni, con le tentazioni e i rimorsi solitari essi erano costretti a sentire fortemente. E sentendo fortemente come potevano essere stabili?

"Giovani fortunati! Non è stata risparmiata nessuna fatica per rendere le vostre vite facili dal punto di vista emotivo; per preservarvi, nei limiti del possibile, dal provare qualsiasi emozione!"

L'incipit di questo racconto è iniziato qualche giorno fa. Ma questo racconto non è mio. Sono brani tratti da un incubo. Sono frasi tratte da "Il Mondo Nuovo" di Aldous Huxley. A chi non l'abbia già fatto, consiglio di correre a leggerlo (lo sconsiglio ai deboli di stomaco). Certamente il Ministro dell'Istruzione del Regno Unito non sarà tra questi: egli ha dimostrato di aver ben letto e apprezzato il libro, così profondamente che ha iniziato a metterne in pratica gli spunti. Infatti questi ha presentato una proposta di legge per insegnare ai bambini alle elementari a non dire "mamma" e "papà".

In fondo, come già il Primo Ministro Spagnolo ha mostrato, queste sono parole profondamente sessiste e, perciò, discriminatorie per gli omosessuali e per quei bambini che saranno adottati ed educati da due persone del medesimo sesso. Per non parlare, essendo la Gran Bretagna in prima fila su tutte le più rivoluzionarie sperimentazioni genetiche sull'uomo, dei possibili traumi che quelle due obsolete parole potrebbero causare agli individui fabbricati in provetta.

Insomma, il politico Britannico ha notato come parlare di "madre" e "padre" alle elementari potrebbe in qualche modo nuocere al tranquillo clima necessario al buon svolgimento delle lezioni. Meglio ancora, con più lungimiranza, quegli eversivi concetti è bene estirparli dalle menti dei futuri cittadini fin dall'inizio, non si sa mai, è bene che inizino presto a distaccarsene, intanto confinandoli nella sfera eminentemente privata e soggettiva, in fondo, che uno abbia un padre e una madre che influenza può avere su di lui? Certamente scarsa, ridotta, e sulla società ancor meno, indubitabilmente le madri e i padri nuociono alla coesione sociale, sono motivo di scandalo, di divisione, causa di imperfezioni nel controllo sociale dello Stato, meglio, per il benessere della comunità eliminare tutto ciò il prima possibile.

Di che cosa, dunque, si discuterà nelle rinomate scuole britanniche tra uno o due lustri? Forse il Direttore dell'Istituto si accollerà il compito di spiegare ai ragazzini i sovversivi concetti di cui sopra.

Il mondo nuovo è già iniziato!


05 Febbraio 2008 – Libero, Tutti contro l'aborto, ma non si faccia il partito