domenica 3 febbraio 2008

Nella rassegna stampa di oggi:

1) Vocazioni, vita, Lourdes, Kenya, Iraq, Colombia e l’Anno cinese nella preghiera del papa
2) LA PILLOLA ABORTIVA NON HA TITOLI PER L’AUTORIZZAZIONE
3) Non doveva venire al mondo Ora rende lieta la sua casa
4) L’aborto chimico viola la 194 e il rischio di mortalità è10 volte superiore a quello chirurgico
5) Se la tutela della vita diventa una questione di laicità
6) Lourdes Un miracolo tra fede e scienza
7) ROBERTO FORMIGONI:Troppi don Ferrante ciechi sulla realtà
8) Cina - La lunga marcia del cattolicesimo


03/02/2008 12:48
VATICANO
Vocazioni, vita, Lourdes, Kenya, Iraq, Colombia e l’Anno cinese nella preghiera del papa
Benedetto XVI ha domandato la pace per il Paese africano, per la Colombia dei sequestri e per l’Iraq dove “la malvagità sembra non conoscere limiti”. Ricordata anche la Giornata per la Vita, che si celebra in Italia e il Capodanno lunare che si celebra in Asia, con un augurio speciale alle famiglie.

Città del Vaticano (AsiaNews) – Vocazioni, servizio alla vita, i 150 anni delle apparizioni di Lourdes, ma anche le violenze in Kenya, Iraq, Colombia sono “varie intenzioni” per cui Benedetto XVI ha chiesto di pregare alle decine di migliaia di fedeli presenti in piazza san Pietro.
Il pontefice ha pure ricordato e fatto gli auguri per l’imminente festa del Nuovo Anno lunare (7 febbraio), celebrato in Cina, Vietnam e in altri Paesi dell’estremo oriente.
Il papa ha voluto ricordare anzitutto la Giornata della vita consacrata, celebrata ieri, festa della Presentazione del Signore. Benedetto XVI ha incontrato ieri sera i rappresentanti dei religiosi e delle religiose. “A questi nostri fratelli e sorelle – ha detto prima dell’Angelus - che si dedicano al totale servizio di Dio e della Chiesa con i voti di povertà, castità e obbedienza, va la nostra gratitudine. La Vergine Santa ottenga molte e sante vocazioni alla vita consacrata, che costituisce una ricchezza inestimabile per la Chiesa e per il mondo”.
Un’altra “intenzione” è legata alla Giornata per la vita, che si celebra in Italia ogni prima domenica di febbraio. Commentando il tema scelto dai vescovi italiani quest’anno, “Servire la vita”, il papa ha detto: “Ognuno, secondo le proprie possibilità, professionalità e competenze, si senta sempre spinto ad amare e servire la vita, dal suo inizio al suo naturale tramonto. E’ infatti impegno di tutti accogliere la vita umana come dono da rispettare, tutelare e promuovere, ancor più quando essa è fragile e bisognosa di attenzioni e di cure, sia prima della nascita che nella sua fase terminale. Mi unisco ai Vescovi italiani nell’incoraggiare quanti, con fatica ma con gioia, senza clamori e con grande dedizione, assistono familiari anziani o disabili, e a coloro che consacrano regolarmente parte del proprio tempo per aiutare quelle persone di ogni età la cui vita è provata da tante e diverse forme di povertà”.
Infine, dopo aver dato appuntamento alla basilica di santa Sabina per l’inizio della Quaresima con la delle Ceneri, il prossimo 6 febbraio, Benedetto XVI ha ricordato i 150 anni delle apparizioni di Lourdes. In occasione della festa della Madonna di Lourdes (11 febbraio), il pontefice ha stabilito che dal 2 fino all’11 febbraio “è possibile ricevere l’indulgenza plenaria, applicabile ai defunti, alle solite condizioni – Confessione, Comunione e preghiera secondo le intenzioni del Papa – e sostando in orazione dinanzi ad un’immagine benedetta della Madonna di Lourdes esposta alla pubblica venerazione. Per gli anziani e gli ammalati ciò è possibile mediante il desiderio del cuore”.
Dopo la preghiera dell’Angelus, il pontefice ha chiesto a tutti di pregare per “la riconciliazione, la giustizia e la pace” in Kenya, dove in seguito a elezioni contestate, è in atto da settimane una guerra violenta fra le etnie del Paese. “Assicurando a tutti la mia vicinanza – egli ha detto - auspico che gli sforzi di mediazione attualmente in atto possano avere successo e condurre, grazie alla buona volontà e alla collaborazione di tutti, ad una rapida soluzione del conflitto, che ha già provocato troppe vittime”.
Il papa ha chiesto preghiere anche per l’Iraq, dove “la malvagità, con il suo carico di dolore, sembra non conoscere limiti”. Lo scorso 1 febbraio 100 civili sono stati uccisi in un mercato a Baghdad, dove due ragazze down sono state usate come kamikaze per far scoppiare le bombe. “Elevo di nuovo la mia voce – ha detto Benedetto XVI - in favore di quella popolazione duramente provata e per essa invoco la pace di Dio”.
Parlando in spagnolo, il pontefice ha pure ricordato la Colombia e “i figli e le figlie” che subiscono “estorsione, sequestro e la perdita violenta dei propri cari”.
Benedetto XVI non ha però voluto dimenticare l’augurio per il Nuovo anno lunare, che comincia il 7 febbraio ed è celebrato da molti popoli dell’estremo oriente, fra cui Cina e Vietnam, ma anche Singapore, Taiwan, Hong Kong, Macao, Giappone, Thailandia. La festa del Capodanno lunare in questi Paesi è un’occasione di riunione delle famiglie, spesso disperse per motivi di lavoro. Citando il suo Messaggio per la Giornata della Pace 2008, il papa ha ricordato il valore della famiglia, in cui “si apprende il lessico della convivenza civile e si scoprono i valori umani”. E ha aggiunto: “Le festività del capodanno lunare vedranno riunite nella gioia, nei prossimi giorni, le famiglie di vari Paesi asiatici. Auguro a tutti loro ogni bene e prosperità ed auspico che sappiano conservare e valorizzare queste belle e fruttuose tradizioni di vita familiare, a beneficio delle loro rispettive Nazioni e di quei Paesi in cui si trovano attualmente a vivere”.


ATTO NÉ TECNICO NÉ AUTOMATICO
LA PILLOLA ABORTIVA NON HA TITOLI PER L’AUTORIZZAZIONE

Avvenire, 3.2.2008
EUGENIA ROCCELLA
Come è noto, l’azienda che produ­ce la pillola abortiva Ru486 ha chiesto a novembre l’autorizzazione per commercializzarla in Italia. Mentre l’Aifa, l’ente italiano di controllo dei farmaci, sta ancora vagliando la docu­mentazione scientifica sulla sicurezza della pillola, si moltiplicano le dichia­razioni dei sostenitori dell’aborto chi­mico, che battono tutte sullo stesso ta­sto: l’automatismo della cosiddetta procedura di mutuo riconoscimento. Secondo il ginecologo radicale Silvio Viale il via libera dell’Aifa sarebbe del tutto scontato, una pura questione bu­rocratica; ma anche il direttore dell’I­stituto Negri, Silvio Garattini, ha di­chiarato al Secolo XIX che «l’autorizza­zione sarà automatica», perché il dos­sier di richiesta presentato all’Aifa «è lo stesso approvato in Francia, e se l’I­talia non lo accettasse dovrebbe apri­re un vero e proprio contenzioso».
È questo il punto: se le cose stanno co­me dice il professor Garattini, la docu­mentazione sulla sicurezza della Ru486 è ancora quella che risale al 1989 – an­no in cui il governo francese autorizzò l’uso del farmaco – o forse quella pre­sentata dieci anni dopo, quando la pil­lola abortiva fu introdotta in molti Pae­si europei. Una documentazione, quin­di, che non tiene conto delle 16 donne morte nel frattempo, del rischio di in­fezioni fatali, del numero impressio­nante di eventi avversi registrati dalla Food and Drug Administration, l’ente farmacologico degli Usa. Infatti è solo dal 2001, grazie alla stampa america­na, che sono emerse alcune scomode e tragiche verità sull’aborto chimico, tra cui l’inquietante rapporto con al­cuni rari batteri, come diversi tipi di Clostridium.
C’è, tutto questo, nella documentazio­ne presentata all’Aifa? Quando il pro­fessor Garattini dichiara che per il dos­sier «il rapporto rischi/benefici in me­rito al farmaco è favorevole», non for­nisce l’informazione fondamentale: quel dossier tiene conto delle 16 mor­ti e degli eventi avversi? Presenta studi convincenti sulle infezioni fatali? Trac­cia un bilancio dell’importante conve­gno indetto nel 2005 dalla Fda sul Clo­stridium, proprio a seguito delle mor­ti avvenute negli Usa? E soprattutto: quesiti così importanti per la tutela del­la salute delle donne italiane, possono essere ignorati o aggirati, sostenendo che l’autorizzazione «è automatica»?
Qualcuno ribatterà che l’Emea, l’ente farmacologico europeo, ha da poco chiuso positivamente una procedura di revisione sulla pillola abortiva. Va detto, però, che l’esame riguardava e­sclusivamente l’autorizzazione di nuo­vi dosaggi, cioè un confronto di effica­cia tra 200 milligrammi di mifepristo­ne (il principio attivo della Ru486), e i 600 milligrammi abitualmente adope­rati. E comunque, nonostante la limi­tatezza dell’indagine, l’Emea ha chie­sto ufficialmente alla Exelgyn di avvia­re nuovi studi sul rapporto tra mife­pristone e infezioni fatali.
Oggi il mondo cattolico celebra la tren­tesima Giornata per la vita, e la Cei in­vita a considerare con rispetto «la vita ai suoi esordi, la vita verso il suo epilo­go », ma anche a prestare attenzione al­le cure palliative, e a difendere la vita «da tutto quello che può metterla a re­pentaglio ». È un discorso ampio, che si conclude con un grazie ai volontari im­pegnati nel sostegno alle maternità dif­ficili, alle famiglie che tengono con sé gli anziani, ai rappresentanti delle isti­tuzioni che aiutano e incoraggiano i genitori nel loro compito, a quella par­te «seria e responsabile» del Paese che rispetta la vita e la dignità della perso­na.
La Ru486 banalizza, sul piano sociale e culturale, il ricorso all’aborto, mette a rischio la salute della donna, e la la­scia ancora più sola di fronte alla scel­ta di abortire. Non è, come affermano i suoi sostenitori, «un’opzione in più», ma solo una minaccia in più.


Comunità Giovanni XXIII
Non doveva venire al mondo Ora rende lieta la sua casa

Avvenire, 3.2.2008
DA BOLOGNA
QUINTO CAPPELLI
L’hanno chiamata Raggio di Paradiso. È un piccolo­grande miracolo vivente. I suoi genitori avevano deciso che non doveva venire al mondo per­ché sarebbe nata cieca. Sopravvissuta all’aborto terapeutico, vive da 15 mesi in una casa famiglia dell’Associazione Papa Giovanni XXIII. La storia di M. è stata raccontata ieri a Bologna, durante una manifestazione a favore della moratoria sull’aborto nei pressi dell’ospedale Maggiore, dove si praticano gli aborti e davanti al quale poco prima i volontari ave­vano tenuto un momento di pre­ghiera pubblica per la vita na­scente.
«Sono le tre di notte ed io sono qui, col cuore un po’ stretto, ad ammirarti, a coccolarti – scrive la madre adottiva –. Sembri così fra­gile e indifesa, con i tuoi 6 chili di peso a 15 mesi di vita, ma noi sap­piamo quanto è grande la tua grinta e quanto tu stai lottando per vivere contro tutte le diagno­si che sembravano essere nefaste. Penso alla tua storia iniziata poco più di un anno e mezzo fa, nel ventre caldo ed accogliente di tua madre. Chissà quante speranze, quanti sogni, quanto amore sarà passato attraverso quel cordone ombelicale, insieme al sangue che ti nutriva. Qualcosa però non deve essere andato per il verso giusto. A 21 settimane di gesta­zione è stato trovato un problema: non avevi i bulbi oculari, non avresti potuto vedere nulla. E in quei giorni chissà cosa avrà provato la tua mamma... Qualcuno sarà stato vicino a lei a sostenerla, a consolarla, a darle il coraggio per tenere con sé la sua piccina? Mille domande che non troveranno mai risposta, angelo mio». Dopo una settimana seguì l’aborto terapeutico e dopo quattro giorni di travaglio, a 22 settimane e 5 giorni di gestazione, «sei nata: viva. L’ostetrica, una donna meravigliosa che accudiva la tua mamma, ci ha raccontato: è nata con 7 di Apgar (test della vitalità alla soglia della normalità che è 8­10), urlante e scalciante: sarebbe potuta stare in una mano, ma ne sono servite due, tanto si dibatteva. Eri tutta dentro i tuoi 562 grammi, un peso che ai più sembrava poco compatibile con la vita. E invece tu lottavi, grintosa. Accudita dalle cure amorevoli del personale dell’ospedale, hai su­perato prove incredibili e inter­venti d’ogni genere».
Dopo sette mesi passati nel re­parto di neonatologia, dall’Asso­ciazione Giovanni XXIII arriva la famiglia che, nella scia dell’inse­gnamento di don Benzi, ha aper­to le braccia per accogliere quel­la fragile vita. Una famiglia com­posta dai due genitori – lui 43 an­ni, lei 40 –, tre figli naturali e due giovani ospiti che hanno trovato sostegno ai loro problemi andan­do a viverci da qualche anno. Co­sì prosegue la testimonianza del­la madre adottiva: «Ricordo il mo­mento magico in cui ti ho preso in braccio per la prima volta. Ti sei girata verso di me, mi hai an­nusata, poi ti sei accoccolata tra le mie braccia. La tua nascita co­sì prematura ha portato con sé anche la sordità: per ora non odi nulla, forse con un apparecchio acustico... A giorni ti verrà instal­lato. Ma neppure quello ti ha fer­mato: attraverso il tatto, l’olfatto, e chissà cos’altro ti sei inventata, riesci a riconoscere tutti quelli che vivono con te. Ci avevano det­to che saresti rimasta allo stato vegetativo: due giorni dopo la di­missione, hai iniziato a ciucciar­ti le manine e ora sorridi, ridi a crepapelle quando ti diverti, mandi bacini a noi della famiglia, fai le pernacchie quando le 'sen­ti' fare a noi… Sei un miracolo piccola mia».
Tutta la casa-famiglia vive con e per Raggio di Paradiso. 'L’altra sera parlavo con i tuoi fratelli a­dolescenti delle grosse difficoltà che stai vivendo ora. F., 15 anni, mi ha confidato: ’Mamma, lo sai che quando ci hanno chiesto di accogliere M. avevo dei dubbi. Ora so che se mi fossi fermato a quelli avrei perduto alcuni tra i momenti più belli che ho vissu­to finora: quando lei mi sorride o si addormenta tra le mie brac­cia, mi sento la persona più feli­ce del mondo’. Abbiamo parlato anche del fatto che stai nuova­mente rischiando la vita: chissà quale sarà il progetto di Dio su di te. Certo che tu lo stai vivendo in pienezza ed insegni a noi, o­gni giorno, come si fa. Tutti quel­li che t’incontrano rimangono scossi.Tu hai aperto le porte del­la nostra casa famiglia a tante persone, nel nuovo paese dove abbiamo traslocato: c’è chi viene a salutare, chi si ferma un po’ a coccolarti, chi offre un aiuto e tutti chiedono: ’Posso tornare ancora?’. Che dono sei! Che gra­zia averti incontrato! Non vedi e fai vedere a noi la luce di Dio, non senti e fai sentire a noi la voce di Dio, fatichi a respirare e fai per­cepire a noi il profumo di Dio. Grazie di esistere, piccolo Raggio di Paradiso».


Pillola Ru486, nessun automatismo
L’aborto chimico viola la 194 e il rischio di mortalità è10 volte superiore a quello chirurgico

Avvenire, 3.2.2008

Viene data per scontata l’approvazione della pillola abortiva RU486 dal ministro della Salute Livia Turco. Che ieri ha ripetuto lo stesso concetto in due distinti interventi: un’intervista al «Secolo XIX» e nel corso del convegno «Sud e sanità» svoltosi a Napoli. «La donna che sceglierà la RU486 per interrompere la gravidanza – ha dichiarato il ministro al quotidiano genovese – si comporterà esattamente come chi si avvale della 194». Riepilogando: «Andrà in consultorio o dal proprio ginecologo privato, per avere il certificato previsto dalla legge; nel colloquio si farà tra l’altro consigliare dal medico sulle controindicazioni della pillola abortiva e sui suoi aspetti positivi; poi avrà una settimana di tempo per riflettere e infine, in totale autonomia, andrà in ospedale dove potrà scegliere come abortire e lo farà con tutte le cure mediche del caso». Di fronte alle critiche, prevedibili, il ministro della Salute puntualizza: «La legge 194 funziona ed è giusto che questa tecnica abortiva chimica rientri sotto la sua ala. Sarò ancora più chiara: non voglio che l’aborto venga privatizzato». Ieri mattina, a Napoli, il ministro ha precisato: «Il procedimento per registrare la pillola RU486 è all’attenzione dell’Agenzia italiana del farmaco (Aifa): ho avanzato una richiesta di parere al Consiglio superiore della sanità. La RU 486 è una metodica abortiva che va utilizzata rigorosamente ed esclusivamente all’interno della legge 194», in particolare «l’intervento abortivo deve avvenire all’interno dell’ospedale». Fonti dell’Aifa intanto fanno sapere che difficilmente la pillola abortiva potrà essere disponibile in Italia prima della fine di maggio. La conclusione della procedura del mutuo riconoscimento è prevista per il 29 febbraio, poi c’è un margine di ulteriori 90 giorni per la classificazione del farmaco nel prontuario, la contrattazione del prezzo, e la pubblicazione del provvedimento Aifa in Gazzetta Ufficiale. (En.Ne.)

DI ASSUNTINA MORRESI
T anta la confusione ancora sulla Ru486, la pillola abortiva che, secondo dichiarazioni rilasciate ancora negli ultimi giorni da medici ed esponenti politici, starebbe per essere messa in commercio in Italia in base a un presunto 'automatismo' che vedrebbe le nostre autorità sanitarie costrette ad adottare un farmaco già registrato in altri Paesi europei.
Innanzitutto non è però vero che in Italia questo metodo abortivo sarebbe stato sinora 'ostacolato': semplicemente la ditta francese che produce la Ru486 non ne ha richiesto la commercializzazione nel nostro Paese fino allo scorso novembre. La sperimentazione fatta dal ginecologo radicale Silvio Viale all’ospedale Sant’Anna di Torino, avviata quando era ministro per la Salute Francesco Storace, è stata interrotta nel luglio 2006 dall’assessore piemontese alla salute (di Rifondazione Comunista), e la magistratura torinese sta ancora indagando su presunte violazioni della legge 194 avvenute durante la sperimentazione stessa: la maggior parte delle donne è infatti tornata a casa appena assunta la pillola abortiva, mentre la legge ne prevede il ricovero in ospedale fino ad aborto concluso.
Il ministro della Salute Livia Turco ha dichiarato che, qualora la pillola abortiva venga diffusa in Italia, l’aborto si dovrà svolgere a norma di legge, cioè all’interno delle strutture sanitarie pubbliche, e ha tenuto a precisare: «Sarò ancora più chiara: non voglio che l’aborto venga privatizzato».
Una sottolineatura importante: in tutti i Paesi del mondo in cui la Ru486 è diffusa, infatti, è contemplato l’aborto a domicilio. Le donne prendono dal medico la prima delle due pillole, la vera e propria Ru486, che fa morire l’embrione in pancia, e poi vanno a casa dove, dopo due giorni, assumono il secondo farmaco – una prostaglandina – che induce le contrazioni e fa espellere l’embrione. Una piccola percentuale (circa il 5%) abortisce dopo la prima pillola, mentre l’80% delle donne abortisce entro 24 ore dalla seconda. Il resto impiega fino a quindici-venti giorni, con una percentuale del 5-8% di fallimenti, per cui si dovrà ricorrere a un intervento chirurgico per svuotare l’utero.
Quindi, affinché la 194 venga rispettata, almeno i quattro quinti delle donne che sceglieranno di abortire con la pillola dovrà ricoverarsi in ospedale per tre giorni, e il resto anche di più. L’alternativa è il metodo attuale di isterosuzione, con un ricovero in day hospital complessivamente di qualche ora.
Ma prima dell’ipotetica autorizzazione al commercio del farmaco l’Aifa, l’ente italiano di farmacovigilanza, dovrà risolvere alcuni problemi non di poco conto, che autorizzano quantomeno a porre in discussione l’automatismo burocratico.
Innanzitutto dovrà infatti spiegare come mai un metodo con una mortalità dieci volte maggiore rispetto a quello attualmente utilizzato dovrebbe essere inserito e rimborsato dal Sistema sanitario: è la letteratura scientifica a dirci che di aborto con la Ru486 si muore – appunto – dieci volte di più che con gli altri metodi.
Non solo: l’Aifa dovrà spiegare se e come ha intenzione di tenere conto delle denunce delle donne morte riportate dalla stampa – 16 finora – che sono in numero maggiore rispetto a quelle riportate di recente in un articolo del bollettino ufficiale della stessa Agenzia dedicato alla Ru486. Almeno nove fra le morti conosciute sono dovute alla misteriosa infezione da Clostridium, un’infezione batterica rara e mortale, alla quale è stata dedicata buona parte di un preoccupato convegno internazionale promosso dall’Fda, l’ente di farmacovigilanza americano.
Quando la Ru486 è stata diffusa in numerosi Stati d’Europa, nel 1999, nessuna donna era ancora morta per questa infezione. Sarebbe interessante vedere quanto la documentazione messa a disposizione dalla Francia per l’Aifa sia aggiornata su questo argomento, e se comprende anche il materiale del congresso statunitense a riguardo.
C’è poi il problema della prostaglandina, il secondo farmaco da assumere, quello che induce le contrazioni. Di solito si usa il cytotec, un medicinale antiulcera prodotto da una ditta, la Searle, che non ne ha mai autorizzato l’uso come abortivo, e non ha mai condotto sperimentazioni sul farmaco utilizzato per abortire. Il problema è che la Ru486 da sola non funziona, e per abortire è necessario prendere anche una prostaglandina: come si potrà abortire con il metodo farmacologico in Italia se il secondo farmaco – indispensabile – non ha alcuna autorizzazione a questo uso, ed è anzi espressamente sconsigliato in caso di gravidanza? In altre parole: è possibile per le autorità sanitarie e di farmacovigilanza italiane autorizzare un protocollo che includa un farmaco off label, cioè non autorizzato?
Crediamo di no.
E allora come si pensa di fare? Il sostituto del cytotec c’è: è il gemeprost, un’altra prostaglandina in forma di gel, a uso vaginale. È già in commercio, ma è molto costosa, e con l’uso vaginale delle prostaglandine è consigliata anche la profilassi antibiotica... Quindi un aborto farmacologico, con una mortalità dieci volte maggiore di quello chirurgico, effetti collaterali ed eventi avversi in quantità e qualità maggiori rispetto agli attuali metodi per abortire, con una degenza di almeno tre giorni, con almeno quattro tipi di farmaci da somministrare (Ru486, prostaglandina, antibiotici ed antidolorifici), e un costo esorbitante.
Sarà interessante vedere come le autorità riusciranno a convincerci, e soprattutto a convincere se stesse, della bontà dell’aborto chimico. E se si continuerà a parlare di 'automatismo'.
Prima dell’autorizzazione l’Aifa dovrà tenere conto delle denunce presentate dopo la morte di 16 donne in varie nazioni del mondo


Se la tutela della vita diventa una questione di laicità
Avvenire, 3.2.2008
«Rispetta, difendi, ama e servi la vita umana. Solo su questa strada troverai giu­stizia, sviluppo, libertà vera, pace e fe­licità ». Sono concetti semplici. Al pun­to che si potrebbero definire, senza con ciò banalizzarli, parole di buon senso. Non stupisce, allora, che su questo ter­reno molti laici si siano trovati d’accor­do.
E poco importa che a vergare que­sti pensieri sia stato un cattolico, anzi un Papa. Non dipende, infatti, dall’autore­volezza morale di Giovanni Paolo II se Norberto Bobbio ha stigmatizzato «che i laici lascino ai credenti il privilegio e l’o­nore di affermare che non si deve ucci­dere ». Non è stato il suo richiamo a in­durre Antonio Baldassarre, ex presi­dente della Corte Costituzionale, a scri­vere che «l’aborto non si può conside­rare un valore costituzionale». Si può dire lo stesso per il direttore del Foglio Giuliano Ferrara, che ha chiesto - da lai­co ai laici - una moratoria contro l’a­borto come atto di coerenza, dopo aver combattuto contro la pena di morte.
Attraverso la penna di Ferrara, la que­stione dell’aborto è diventata la pietra filosofale del dibattito politico recente, il punto d’incontro tra coloro che – lo si pensava di laici e cattolici – mai e poi mai avrebbero potuto incontrarsi sulle questioni etiche, ma anche lo spartiac­que tra laici e laicisti, che la cronaca a­veva abituato a confondere. Invece, per quanti governi cambino e per quanto a­vanti si spinga la ricerca scientifica, la stessa eco che risuona nell’Evangelium vitae, da cui è tratto l’appello iniziale, in questo trentennio si è riverberata ben oltre i confini del mondo cattolico. Ma­gari partendo da una preoccupazione politica – già si è detto di Bobbio, ma anche Ferdinando Adornato definisce «la difesa della vita un impegno inequi­vocabile di tutti, laici e cattolici» - , il dia­logo sulla difesa della persona nascen­te si è fatto strada, anche grazie ai «pon­ti » gettati dal Movimento per la vita. «Per noi – spiega il vicepresidente Gianni Mussini – laicità e cristianesimo non so­no antitetici ma complementari e la di­fesa della vita non necessita di per sé l’apporto della fede: riguarda prima di tutto dati che si possono esaminare e discutere secondo un approccio razio­nale e scientifico». Lo stesso di Markkus Seppala, ex presidente della Federazio­ne internazionale di ostetricia, che ci regala quest’affresco sui primi attimi di vita: «Subito dopo la fecondazione, l’embrione manifesta funzioni vitali. Si tratta di ’messaggi’ che vengono indi­rizzati all’endometrio attraverso le cel­lule della membrana esterna. L’em­brione prima di impiantarsi dialoga con l’endometrio producendo alcune pro­teine. È come se chiedesse alla parete u­terina di predisporre tutto il necessario per accoglierlo». La pensa così anche il professor Angelo Vescovi, del San Raf­faele di Milano, secondo cui «non vi è alcun dubbio che l’atto della feconda­zione è il momento in cui viene a crear­si quell’entità biologica, che contiene il patrimonio genetico di quell’essere che poi sarà Carlo, Mario, Luigi».
In questo trentennio, l’eco della vita è ri­suonato anche nel mondo letterario. Dalla Fallaci alla Merini, fino ad arriva­re a Claudio Magris. È lui ad attestare che «la cultura – anche quella cattolica – è sempre laica». Lo scrittore triestino è tutt’altro che un integralista. Per lui, «tutti debbono poter disporre libera­mente del proprio corpo e del proprio destino, pur di non nuocere a terzi. Quando un bambino viene concepito non si possono ignorare i suoi diritti, ma non si può neppure lasciare la ma­dre o la coppia sole con i problemi. In presenza di difficoltà, la società stessa ha il dovere della solidarietà».
Il dialogo tra le culture che reagiscono al nichilismo contemporaneo non vo­la dunque così alto da non confrontar­si con il problema degli 'strumenti' che rendono concretamente possibile la di­fesa della vita, a partire, ovviamente, dalla legge 194. Vola, tuttavia, abba­stanza alto da proiettare la questione dell’aborto entro una prospettiva più ampia, nella quale le preoccupazioni bioetiche di laici e cattolici tornano ad intrecciarsi. Uno scienziato ebreo co­me Giorgio Israel le focalizza così: «Non mi dicano che l’eugenetica non è in­dissolubilmente legata ad una selezio­ne di tipo razziale, perché non è vero. Se non lo vogliono chiamare nazismo, dobbiamo dire però che è razzismo. Un pericolo per tutti. E quindi anche per noi ebrei».
Paolo Viana


Lourdes Un miracolo tra fede e scienza

Avvenire, 3.2.2008
Le apparizioni di Lourdes compiono 150 anni, e sono ben portati: Lourdes continua infatti a essere il santuario più visitato del mondo cristiano, prolungando il successo che gli è arriso negli ultimi decenni dell’Ottocento. Ed è anche il santuario più replicato, non solo per la facilità con cui si può allestire una grotta, magari finta, e inserirvi la statuetta della Madonna bianca e celeste. I motivi di questo fenomeno sono molteplici e, come si può vedere, di lunga durata. Le diciotto apparizioni della Vergine a una ragazzina povera del paese, Bernadette Soubirous, a partire dall’11 febbraio 1858, si svolgono in coerenza con una tradizione locale di antico culto alla Madonna, e di attenzione verso il soprannaturale, ma suscitano diffidenze nel clero, timoroso di essere accusato di superstizione, e ostilità e disprezzo negli ambienti laici anticlericali. Lourdes si pone subito, quindi, come un’apparizione dalle radici antiche, ma iscritta nei conflitti del presente: alla lotta fra credenti e anticlericali, che attraversa tutto l’Ottocento francese, e alle espropriazioni dei beni religiosi con le leggi del 1905, si somma, negli ultimi decenni del secolo XIX, lo scontro tra fede e scienza, fra miracolo e sapere medico. Conflitti che, sia pure in forma diversa, sono vivi ancora oggi.
La Vergine dichiara di essere l’Immacolata Concezione, e con queste parole non solo conferma il dogma promulgato quattro anni prima da Pio IX, ma stabilisce un legame di continuità fra cultura popolare e sapere teologico. Del resto, la vita successiva del santuario, dove accorrono i sofferenti spinti da una fede semplice per chiedere il miracolo, prevede anche - a partire dal 1883, quando viene fondato il «Bureau Pdes constatations médicales» - un appoggio scientifico, confermando così la doppia anima, popolare e dotta, del santuario.
Importante per la sua fortuna è stato anche la scelta di vita di Bernadette: dopo avere svolto i compiti che le aveva affidato Maria, si ritira in un convento a cento chilometri di distanza, dove morirà ancora giovane di tisi. Bernardette sostiene sempre, senza ripensamenti, la stessa versione degli incontri, e non cerca di ricavare nulla per sé, a differenza di altri pastorelli veggenti nello stesso periodo. Decisivo per l’aumento costante del numero dei pellegrini fu poi il prolungamento della ferrovia, che arriva a Lourdes già nel 1866 e rende il luogo facilmente accessibile. Il luogo diventa così la speranza per i malati che la medicina non guarisce, e attorno al loro trasporto e alla loro assistenza si organizzano gruppi di volontari, spesso formati anche da donne dell’aristocrazia, che visitano il santuario per vivere un incontro diretto con la Madre di Dio.
Per tutta la seconda metà dell’Ottocento Lourdes è stata al centro di violente polemiche nella società francese: lo dimostra il fatto che il romanzo che Zola ha scritto sul santuario, Lourdes, uscito nel 1894, è stata la sua opera di maggiore successo. Lo scrittore presenta la protagonista miracolata come un’isterica, seguendo le indicazioni del celebre medico Charcot, che spiegava il fenomeno delle guarigioni miracolose con questa diagnosi. Dibattiti infuocati, ricerca affannosa di spiegazioni scientifiche, che arrivano a utilizzare lo spiritismo, da parte dei positivisti tesi a smascherare la truffa, ma anche conversioni improvvise. Come quella del medico Alexis Carrel (poi insignito del premio Nobel per la medicina), giunto a Lourdes per accompagnare una paziente, che si arrende al miracolo e in seguito costretto a emigrare negli Stati Uniti, per l’ostilità dei colleghi. Lourdes rimane così a lungo al centro di polemiche e discussioni. Ancora negli anni della seconda guerra mondiale uno scrittore ebreo che trova rifugio presso il santuario, Franz Werfel, si sentirà toccato dal luogo, tanto da dedicargli il romanzo Le chant de Bernardette (1942), da cui sarà tratto un film a Hollywood.
Ma Lourdes non è solo il luogo della contrapposizione fra scienza e fede: lo dimostra la scelta di far controllare il miracolo dai medici - e non solo dalle persone che conoscono il malato e certificano della sua guarigione - e dalle autorità religiose. Proprio nel momento storico in cui scienza e religione si mostrano più antitetiche, Lourdes stabilisce fra loro una relazione inconsueta, creando una struttura che dà la certificazione scientifica dei miracoli. È una resa di fronte alla modernità che indigna profondamente Mario Soldati, arrivato a Lourdes come giornalista: «Eppure, se io fossi veramente religioso, se io avessi ancora la fede della mia adolescenza, i discorsi di questi dottori mi offenderebbero più di quanto mi offendono ora. Siamo di fronte all’intervento di Dio, e quelli parlano di linfocitosi, di albumina, di bacilli di Koch!» ( Un viaggio a Lourdes). Ma questo affrontare dispute scientifiche per garantire una devozione miracolosa prepara la cultura cattolica ad affrontare quelli che saranno i grandi problemi bioetici del nuovo millennio. Ancora una volta, Lourdes è venuta in aiuto alla fede.


ROBERTO FORMIGONI:Troppi don Ferrante ciechi sulla realtà
Avvenire, 3.2.2008
di Roberto Formigoni*
Io su quel ramo del Lago di Como ci sono nato e cresciuto. Mi sono sempre sentito perciò in grande consonanza con quella «ragione affettiva» con cui Manzoni descrive la Lombardia. È la ragione affettiva quella che esprime l’attaccamento dell’uomo alle sue radici, che consente alle persone e ai popoli di aprirsi al mondo, di accogliere ed entrare in relazione. C’è dunque un radicamento costante e graduale, che ci fa crescere in sintonia con alcuni luoghi, con le comunità e le tradizioni in cui sono immersi, facendo risaltare uno specifico modo di costruire, un carattere positivo e creativo pur dentro le inevitabili contraddizioni che ciascuno vive e sperimenta. Credo che Renzo reagisca con tale impeto all’ingiustizia proprio perché ha sperimentato la solidarietà e la gratuità. C’è una comunità educante che respira e agisce intorno a questo personaggio: capiamo dunque il suo disorientamento durante la rivolta popolare con l’assalto ai forni. La reazione di Renzo testimonia la differenza tra questo volgo disperso e il popolo festoso che l’Innominato vede dalla sua finestra dirigersi verso l’incontro con il cardinal Borromeo. Da buon lecchese ho accostato I Promessi sposi in diversi momenti della mia vita e sempre ne ho apprezzato i molteplici spunti: benché fosse prevista la lettura approfondita negli anni del ginnasio io avevo già cominciato ad accostarlo con interesse anche al di fuori dell’ambito scolastico, durante le scuole medie, seguendo alcune letture manzoniane organizzate da Gioventù studentesca di Lecco. Per me è stata una fortuna avvicinarmi a certe pagine del Manzoni non attraverso la via scolastica, sempre scivolosa quando non è legata a un piacere ma all’obbligo, ma proprio per coinvolgimento personale. Sono rimasto colpito dalla coscienza che Renzo ha di quanto la realtà possa essere trasformata: il suo atteggiamento non è, infatti, quello di una persona rassegnata e inerte. In questa lotta verso la libertà c’è il senso di molte attività quotidiane di padri, madri, uomini e donne, giovani alle prese con la ricerca di un lavoro, nonni e nonne desiderosi di non rimanere con le mani in mano, anche di fronte alla solitudine e alla malattia. C’è anche il senso della politica: perché la politica è proprio lo strumento con cui il popolo costruisce le condizioni della sua libertà. Mi piace sottolineare l’attualità di alcune pagine manzoniane laddove tutti questi riferimenti nascono da una concezione della ragione che oggi purtroppo non è così diffusa: quanti sono ad esempio tra noi i don Ferrante per i quali, siccome la peste non ricade all’interno delle loro categorie scientifiche, semplicemente non esiste?
Naturalmente ne muore.
La figura dell’Innominato è invece positivamente emblematica: la sua tormentata capacità di aprire la propria ragione di fronte a una persona, il suo interrogativo di fronte al popolo festoso che si dirige in Chiesa, non può cadere nel vuoto: dove vanno? Perché sono tutti così contenti? Bisogna dunque interrogarsi se esiste ancora un popolo che sa dove sta andando. Personalmente credo che esista ma debba fare i conti con molti ostacoli sul suo cammino.
Quello che spaventa non sono le ingiustizie, quelle dovremo combatterle fino alla fine, ma il timore di una mancata sollecitudine, di un immobilismo collettivo, di una perdita di speranza nella vitalità e nella libertà del popolo. Manzoni talvolta è stato considerato un po’ superato, troppo impegnativo quando scrive della provvidenza e del lieto fine. In realtà la sua concezione drammatica dell’esistenza va ripresa con forza.
In Manzoni c’è l’idea di provvidenza intesa non come qualcosa che cade dal cielo, ma come un filo sottile e sempre tenace, fatto di positività e costruttività, in grado di resistere nella tumultuosità delle vicende umane. Una traccia concreta che testimonia come la storia non sia il caos ma lo spazio della libertà delle persone e dei popoli, fatti per cercare il bene e il bello, spinti dal desiderio di un incontro con il Mistero, altro da noi, ma anche familiare. Nel biglietto commemorativo della tragedia avvenuta al Grattacielo Pirelli abbiamo scelto la frase conclusiva del romanzo quando l’autore chiama a sbrogliare la matassa i due protagonisti, Renzo e Lucia, a dire la parola decisiva: «Conclusero che i guai vengono bensì spesso, perché ci si è dato cagione; ma che la condotta più cauta e più innocente non basta a tenerli lontani; e che quando vengono, o per colpa o senza colpa, la fiducia in Dio li raddolcisce, e li rende utili per una vita migliore. Questa conclusione, benché trovata da povera gente, c’è parsa così giusta, che abbiamo pensato di metterla qui, come il sugo di tutta la storia». Questo è il 'sugo' dunque: parola domestica, propria di una ragione affettiva.
*Presidente della Regione Lombardia


Cina - La lunga marcia del cattolicesimo
Avvenire, 3.2.2008
Di Bernardo Cervellera
Nell’800, grazie ai missionari e alle suore si innesca ovunque un movimento di progresso scientifico e sociale: nascono le prime scuole femminili, orfanotrofi per bambini e bambine abbandonati, ospedali, dispensari e scuole tecniche; si introducono nuove colture agricole e boschive per migliorare l’agricoltura e sconfiggere le continue carestie; nascono le prime università cattoliche a modello scientifico

La persecuzione verso i cristiani in Cina non avviene solo con l’arresto di vescovi, sacerdoti e laici o con il controllo delle liturgie e delle ordinazioni episcopali. Ve n’è una più sottile: la manipolazione della storia, il sotterramento della lunga tradizione della fede e del suo contributo alla cultura della Cina.
Molto spesso, nei miei viaggi in Cina, studenti universitari e guide turistiche mi domandano preoccupati: «È vero che il papa trama per far cadere il governo cinese?». Anche la dolcissima Lettera di Benedetto XVI ai cattolici cinesi, pubblicata lo scorso 30 giugno, è stata giudicata da funzionari del governo come «l’ennesimo tentativo» di riportare indietro l’orologio della storia; incatenando ancora al papa di Roma la Chiesa in Cina, «ormai indipendente».
Questa lettura ideologica e nazionalistica sulla presenza della Chiesa in Cina dimentica che il cristianesimo nell’Impero di Mezzo ha una storia di oltre 1400 anni.
Ed è una storia di grandi contributi culturali e sociali verso il popolo cinese.
Il primo documento che narra la presenza del cristianesimo in Cina è la stele di Xian, conservata nel museo delle «10 mila stele» (Bolin). Si tratta di una pietra alta più di 3 metri, scritta in cinese e in siriaco, dove si racconta del monaco Alopen, che nel 635 giunge nella capitale dell’impero Tang – Chang An, a quel tempo forse la città più cosmopolita del mondo – e lì predica la «religione della luce» (jing jiao). Chang An aveva già visto l’arrivo di un’altra religione straniera: il buddismo. Tempo dopo giungerà anche l’islam. L’imperatore Tang Taizhong, in un decreto del 638 ne permette la diffusione, giudicandola «eccellente… vivificante per l’umanità, indispensabile». La comunità a Chang An è la prima, documentata comunità cristiana in Cina. Si tratta, molto probabilmente di una comunità di monaci siriaci (antenati nestoriani della Chiesa caldea), giunti a Chang An lungo la Via della Seta, che collegava il commercio del Mediterraneo con quello dell’Estremo Oriente.
La struttura di queste comunità suscita perplessità: essi danno uguale dignità a nobili e gente comune, ricchi e poveri; non hanno schiavi o schiave e tendono a non accumulare ricchezze. Nell’845 – su influenza della corte confuciana – l’imperatore proibisce tutte le religioni straniere. Le comunità siriache fuggiranno nell’Asia centrale, non lasciando quasi alcuna traccia fino al 1997. In quell’anno, uno studioso americano, Martin Palmer, scopre nella pagoda Da Qin – a Lou Guan Tai, nei dintorni di Xian – figure e statue che ricordano l’iconografia cristiana d’oriente. Attualmente la pagoda è usata da una comunità buddista. Va detto che grazie al lavoro di inculturazione (come diremmo oggi) svolto dai monaci siriaci, almeno fino al periodo Ming, Gesù e Maria sono perfino entrati nel pantheon taoista.
La storia delle comunità siriache sfata il mito falso di un cristianesimo come religione 'troppo recente' (è giunto in Cina solo pochi secoli dopo il buddismo) e come un corpo estraneo, ben integrato invece nel rapporto con le altre religioni cinesi.
Che il papa non fosse – come non lo è adesso – un cospiratore anti-Cina è evidente anche dalla seconda ondata di evangelizzazione nell’impero cinese, ai tempi di Marco Polo. Nel XIII secolo, papa Innocenzo IV e il re di Francia Luigi IX inviarono più volte francescani e domenicani alla corte del Gran Khan, sotto la dinastia Yuan. Non si tratta di veri e propri missionari, ma di inviati per raccogliere notizie e avviare una presa di contatto diplomatica. Fra essi va ricordato fra’ Giovanni di Pian del Carpine, che giunge fino a Karakorum (1245-47), il fiammingo Guglielmo di Rubruck (1253­55) e soprattutto fra’ Giovanni da Montecorvino che arriva a Kambalik (vicino all’attuale Pechino) nel 1294, coadiuvato da alcuni frati (fra cui Arnaldo da Colonia e Odorico da Pordenone).
Montecorvino rimane in Cina fino alla morte, avvenuta nel 1328. Nel 1307 papa Clemente V lo nomina arcivescovo di Pechino e Patriarca dell’Oriente, un titolo di cui si è onorato perfino il vescovo patriottico di Pechino, mons. Michele Fu Tieshan, morto lo scorso anno. La missione di Montecorvino ebbe un discreto successo. In un resoconto ai suoi superiori egli parla di «seimila battezzati; 150 bambini formati a scuola». Ai francescani si deve pure la prima traduzione della Bibbia in lingua mongola.
Anche la famiglia Polo, andata in Cina per il commercio, è stata strumento di evangelizzazione. Fra l’altro, Matteo e Nicolò Polo erano stati incaricati da Khubilai Khan a tornare in Italia, chiedendo al Papa di inviare in Cina dei sapienti cristiani per fondare una università. Ma le lotte fra papato e regni nazionali in Europa non permisero di soddisfare la domanda. E la vittoria della dinastia Ming (1368-1644) cancellò ancora una volta la presenza cristiana.
Ma sarà ancora l’evangelizzazione – questa volta ad opera soprattutto dei gesuiti – ad aiutare la Cina a modernizzare la sua cultura che rischiava l’asfissia per la chiusura delle frontiere nel periodo Ming e Qing.

Quando Matteo Ricci, il 'sapiente d’occidente', giunge dopo molte peripezie a Pechino (1601), egli porta con sé la conoscenza delle scienze naturali, matematica, geografia, astronomia, tanto da divenire astronomo di corte. Dopo di lui, altri gesuiti occuperanno questo posto (Adam Schall, Ferdinand Verbiest...).
A Pechino, sulle mura della città antica, sul cosiddetto 'secondo anello', si può ancora ammirare l’osservatorio da loro costruito.
Grazie a Ricci e ai suoi successori le scienze dell’occidente aiutano la Cina ad avanzare nella fisica, nell’idraulica, nella geometria, nelle tecnologie dei metalli e perfino nella fusione dei cannoni. Il contributo scientifico dei gesuiti è riconosciuto ancora oggi da molti studiosi cinesi. Non si parla però del motivo per cui Ricci ha fatto tutto questo: l’amore cristiano al popolo cinese, il desiderio che esso conoscesse la persona del Salvatore. Solo in questi ultimi anni, rari studiosi dell’Accademia delle Scienze di Pechino mostrano il sottofondo religioso come la ragione di tutto il suo impegno a favore della Cina. Grazie a Ricci vi è il tentativo di mostrare il cristianesimo come il compimento della religiosità cinese e la morale cristiana come il perfezionamento della morale confuciana.
La presenza dei gesuiti e il benvolere degli imperatori porterà la comunità cristiana di Pechino fino a oltre 100 mila fedeli nel XVIII secolo.
L’incomprensione del metodo di inculturazione usato dai gesuiti porta alla proibizione ai cristiani di partecipare ai riti in onore dei defunti e di Confucio (bolle papali del 1715 e 1742, sollecitate dai francescani). Sui cristiani cade il sospetto che essi siano una setta che cospira contro la stabilità dell’impero. Così l’influenza dei gesuiti si indebolì sempre più finché gli imperatori giunsero a proibire l’evangelizzazione, anche se essa continuò con discrezione. In realtà, il vero colpo all’evangelizzazione della Cina fu la soppressione – ad opera delle potenze europee – dello stesso ordine dei gesuiti (1773).
Una nuova ondata di incontro fra Cina e cristianesimo avviene nel XIX secolo, ad opera di missionari cattolici e protestanti. Essi giungono in Cina dopo i due Trattati Ineguali che l’impero Qing è costretto a firmare a conclusione delle due 'guerre dell’oppio' (1842 e 1862). La libertà di evangelizzare viene garantita dai due trattati e voluta dalle potenze coloniali. Questo segnerà quasi fino ad oggi la presenza cristiana come 'straniera' e come 'serva dell’imperialismo'. In realtà la maggioranza dei missionari ha combattuto anch’essa contro il commercio dell’oppio fatto dagli inglesi. Mons. Simeone Volontari, del Pime, vescovo di Kaifeng, ha lettere di fuoco contro l’immorale vendita dell’oppio da parte degli stranieri. Grazie ai missionari e alle suore si innesca ovunque un movimento di progresso scientifico e sociale: nascono le prime scuole femminili, orfanotrofi per bambini (e bambine) abbandonati, ospedali, dispensari e scuole tecniche; si introducono nuove colture agricole e boschive (vite, pomodori, patate, orzo, salici, trifoglio, tecnica del maggese...) per migliorare l’agricoltura e sconfiggere le continue carestie; nascono le prime università cattoliche a modello scientifico (Fu Ren a Pechino; Aurora a Shanghai). Anche la Chiesa – grazie all’opera del primo delegato apostolico, mons. Celso Costantini – cerca di essere 'più cinese': i primi sei vescovi cinesi sono ordinati nel 1926; l’architettura delle chiese si rifà ai modelli e colori tradizionali; l’educazione nei seminari è integrata con la cultura tradizionale. Ai missionari e alle suore si deve la prima rivolta contro i 'piedi fasciati' delle donne. Fin da bambine esse subivano questa tortura che portava alla rottura delle ossa del piede e alla suppurazione della carne, solo per mostrare 'piedini piccoli' ritenuti un eccitante sessuale per i maschi cinesi. Solo con Mao Zedong si varerà una legge che proibisce questa tortura.
Nel ’900, il confronto con l’occidente, coi suoi mezzi militari, gli oggetti della tecnica e della scienza manifesta ancora di più l’arretratezza, la chiusura, lo sbriciolamento dell’impero diffondendo risentimento e odio verso gli stranieri. Proprio l’odio e la fragilità dell’impero determinano la ribellione dei Boxers, un movimento-setta religioso-militare che nell’estate del 1900 prende di mira la presenza degli stranieri in Cina. Ben 30 mila cattolici locali sono trucidati in nome del nazionalismo, ma anche per costringerli a rinnegare la fede. Fra essi muoiono martiri anche alcuni vescovi e missionari stranieri, canonizzati poi da Giovanni Paolo II nel 2000 insieme a centinaia di martiri cinesi.
Di lì a poco, nel 1911, l’impero crolla e nasce la Repubblica della Cina, con a capo Sun Yat Sen, che avendo ricevuto educazione cristiana nelle Hawaii, cerca di inserire alcuni valori cristiani nella mentalità e cultura cinese tradizionali.
Vi sono perfino personalità dell’esercito, come il generale Feng Yuxiang, che riconosce il cristianesimo come la 'forza degli occidentali' e vieta ai suoi soldati il fumo, il bere, la prostituzione; organizza omelie e ritiri spirituali; insegna a leggere e scrivere e mestieri utili alle truppe.
In questo confronto serrato con l’occidente, nel tentativo di imparare la sua potenza e la sua forza, i cinesi si imbattono nel marxismo, visto come la 'scienza sociale' più efficace.
Durante la Lunga Marcia e nella lotta contro Chiang Kai-shek i cristiani appoggiano o guardano con simpatia l’esercito di straccioni e contadini che vuole eliminare la corruzione e l’insicurezza che domina il Paese. Ma grazie all’appoggio di Stalin, alla presa di potere (1949), Mao Zedong si rivela 'scientificamente' antireligioso e inizia a distruggere gerarchie e associazioni cristiane per eliminare ogni 'superstizione'.
Nell’impossibilità ad eliminare la Chiesa, Mao tenta di dominarla creando l’Associazione Patriottica (Ap) che ha il compito – anche adesso – di costruire una chiesa indipendente da Roma (ma dipendente dal Partito). Dagli anni ’50 fino ad oggi la Chiesa cinese è divenuta una Chiesa di martiri: non vi è famiglia cattolica in Cina che non abbia il padre, la madre, il fratello, un sacerdote morto sotto tortura, nei lager, o in prigione. Fra i tanti testimoni della fede, vale la pena ricordare alcuni vescovi: Ignazio Gong Pinmei di Shanghai; Domenico Tang Yiming di Guangzhou, Giuseppe Fan Xueyan di Baoding.
Tutti loro hanno passato decine di anni nei campi di lavoro forzato perché si rifiutavano di tagliare il loro legame col papa. L’ultimo è morto sotto le torture nel 1992. Dopo mesi di sequestro, è stato riportato dalla polizia morto, depositato nella notte davanti alla porta della casa dei familiari, il cadavere racchiuso in un sacco di plastica, con evidenti segni di tortura.
Una morte simile – mentre era in prigione – è accaduta il 9 settembre scorso a mons.
Giovanni Han Dingxian; e due anni prima, nel 2005 a un altro vescovo sotterraneo, mons.
Giovanni Gao Kexian.
Quelli citati sono tutti vescovi della Chiesa sotterranea, che si rifiuta di aderire all’Ap. Ma anche vescovi e sacerdoti che vi hanno aderito – per timore, per realismo, per paura – prima o poi hanno subito la persecuzione.
Soprattutto durante la Rivoluzione culturale (1966-1976) essi hanno subito il dispregio e il lager. Uno di essi è mons. Antonio Li Duan, morto nel 2005 come arcivescovo di Xian. Da sacerdote ha subito 10 anni di lager e ritornando libero con le aperture di Deng Xiaoping è divenuto uno dei più grandi artefici della riconciliazione fra Chiesa patriottica e Chiesa sotterranea. Il suo legame con il papa era così noto alla polizia, che veniva controllato in tutti i suoi spostamenti e contatti. Grazie a lui la diocesi di Xina è oggi fra le più vive della Cina, impegnata in progetti di evangelizzazione, alfabetizzazione, scuole agricole e carità verso i poveri e i migranti.
Durante gli anni ’80 papa Giovanni Paolo II ha aperto le braccia alla riconciliazione di molti vescovi della Chiesa ufficiale che ormai può dirsi unita in toto alla Chiesa cattolica. L’Ap ha cercato ancora una volta di dividere la Chiesa con le ordinazioni illecite di 3 vescovi, ma essi sono emarginati dai fedeli e dai loro colleghi. Ormai la Chiesa cattolica in Cina è unita e impegnata in una grande 'primavera dell’evangelizzazione' (come mi ha detto anni fa mons. Li Duan). Sebbene non diminuiscono i controlli e gli arresti (dei vescovi e preti sotterranei), oggi la Chiesa della Cina è giovane e unita: in molte diocesi l’età media dei sacerdoti è sui 34-35 anni; in molte aree fioriscono vocazioni religiose femminili a carattere diocesano, anche se rimane il divieto governativo a far nascere e radunare vocazioni religiose maschili. Anche gli impegni ecclesiali sono maturati: da una semplice pastorale di sopravvivenza, i cattolici sono passati a un impegno massiccio nella carità verso orfani, anziani, malati di Aids. In molti casi, nella Cina che ha eliminato ogni sostegno sociale, essi offrono cure mediche gratuite ai poveri. Ma soprattutto, nella società cinese contemporanea, dove domina il materialismo consumista, l’individualismo sfrenato, l’incuria verso persone, la gente 'ha sete di Dio'.«La Chiesa – mi ha detto un professore universitario – è chiamata ad ascoltare il grido silenzioso nel cuore della gente».