lunedì 25 febbraio 2008

Nella rassegna stampa di oggi:
1) L’incontro fra il Papa e l’Elefantino devoto
2) I neonati fortemente prematuri, portatori di pieni diritti
3) Omelia pronunciata da Benedetto XVI visitando la parrocchia romana di Santa Maria Liberatrice
4) L'IDENTITA' DEI CATTOLICI, di Ernesto Galli della Loggia
5) Sui temi etici si combatte una battaglia culturale oltre che politica, intervista a Eugenia Roccella


L’incontro fra il Papa e l’Elefantino devoto
E finalmente in una tiepida domenica mattina di febbraio si sono incontrati. Un semplice parrocchiano un po' speciale del Testaccio, il quartiere un tempo popolare e poi simbolo della Swinging Rome rutelliana, e il vescovo della città venuto in visita alla parrocchia di Santa Maria Liberatrice. La foto presa al volo dall'Ansa è bella e reticente, come tutte le foto rubate alla cronaca. Il corpaccione esuberante nel cappotto cammello del giornalista laico - anzi ex comunista - e oggi combattente contro l'aborto; e il corpo esile e diafano, bianco come la papalina e la zazzera del gran professore tedesco, il Papa teologo. Alla fine del lungo percorso attraverso il mondo della politica e quello delle idee, dalla noia per l'ideologia alla scoperta della teologia, Giuliano Ferrara è arrivato sotto casa, nella «sua» parrocchia, dove ieri ha incontrato Benedetto XVI, gli ha baciato con rispetto la mano, è brillato un sorriso, si sono scambiati qualche rapida parola. La foto è reticente. Non per le parole che resteranno private, ma perché non dice nulla del lampo degli occhi, che senza dubbio ci dev'essere stato. E chi come me ha consuetudine con il mio direttore, sa che sono lampi eloquenti, spesso felicemente bambini.
Un lungo rapporto a distanza, quello tra il direttore del Foglio che da tempo ha preso il vezzo di definirsi «ateo devoto», mandando fuori di testa tutti quelli che non sanno se prenderlo sul serio, e in brodo di giuggiole gli amici che sanno che è divinamente serio, assolutamente ironico. E il «professor Ratzinger», come Ferrara lo chiama spesso. Anche se la dietrologia italiana immagina sempre rapporti sotterranei e chissà quali segreti d'Oltretevere, ieri era la prima volta che i due si trovavano vis à vis. Un lungo avvicinamento, e credo non spiacerebbe ai due se si rubassero a Goethe le sue «affinità elettive».
Quando Joseph Ratzinger si presentò sulla Gran Loggia di San Pietro, il pomeriggio del 19 aprile 2005, i testimoni oculari - io non c'ero, sto a Milano - raccontano di un gran balzo di Giuliano sulla poltrona, e del suo urlo liberatorio «Josephum», con cui faceva eco in tutta la redazione al nome latino appena pronunciato dal cardinale camerlengo. Il trionfo di una scommessa vinta, di un'anticipazione azzeccata. Quella mattina, il Foglio era uscito a tutta prima pagina con il titolo «La formidabile lezione del professor Ratzinger» e aveva sbattuto in faccia ai dubbiosi il testo integrale dell'omelia che Ratzinger aveva tenuto prima dell'inizio del Conclave. E che era già un programma di pontificato. Ma un orecchio più fine avrebbe forse avvertito che i gemiti della poltrona del direttore avevano un tono diverso da quelli provocati da Ferrara per un'altra notizia, anche quella pubblicata a tutta prima pagina con un giorno d'anticipo, la rielezione di Bush alla Casa Bianca. Quello era il legittimo orgoglio di una scommessa giornalistica stravinta. Invece il tripudio di quel pomeriggio d'aprile, quello che fece decidere in un istante, come capita sempre al Foglio, di uscire il giorno dopo con la testata modificata in «Il Soglio», con una squillante «S» rossa, era la gioia di un nuovo inizio: quasi l'intuizione di un «adesso cominciamo a divertirci», adesso avremo qualcosa di cui scrivere ogni giorno.
Ferrara ripete sempre che ad appassionarlo alle vicende della Chiesa fu la potenza meravigliosamente spavalda davanti alla modernità di Giovanni Paolo II. Ma già allora, in tempi non sospetti, fu il Prefetto della Fede ad attirare la sua attenzione. Nel 2000 il Foglio aveva già pubblicato con risalto la Dominus Jesus, la «dichiarazione circa l'unicità e l'universalità salvifica di Gesù Cristo e della Chiesa», contestata dai progressisti, con cui Joseph Ratzinger faceva punto e a capo di tutte le possibili confusioni sulle diverse religioni. Analoga attenzione aveva attirato nel 2004 la Lettera ai vescovi sulla collaborazione dell'uomo e della donna nella chiesa e nel mondo, scritta sempre dal Custode della Fede. Altra clamorosa bomba messa sotto la mentalità corrente, che non a caso interessò maggiormente le femministe inquiete che tante anime belle della Chiesa chiacchierante, quella istituzione trasversale che tanto Papa Ratzinger quanto Ferrara detestano apertamente. Erano i primi segnali, che lasciavano a bocca aperta molti in redazione, di un interesse crescente. Ma segnali che venivano da lontano. Ferrara semplicemente si è accorto che la sapienza della Chiesa, Agostino e Tommaso, Wojtyla e Ratzinger, ha spesso molte più cose interessanti da comunicare all'uomo (post)moderno - sull'amore umano, sulla nascita e la morte, fino al «supremo scandalo del nostro tempo», l'aborto - di quanto non l'abbiano tonnellate di filosofia corrente e di scadente pensiero unico laico. E da allora il Foglio è stato un tripudio di iniziative che Ferrara ama definire «ratzingeriane», come anche gli Appunti per il dopo pubblicati la scorsa estate.
Vista da (abbastanza) vicino la fascinazione di Ferrara per Ratzinger («siamo il giornale del Papa», è battuta su cui in redazione si può scherzare, ma fino a un certo punto) è fatta sostanzialmente di due cose. L'interesse per un uso della ragione «illuminista», che si interroga su tutto e non rinuncia alla ricerca della Verità. L'altra è il sacrosanto amore per il linguaggio, la parola cristallina che chiama le cose con il loro nome, che scandaglia il vero e lo rende comprensibile anche ai laici. Di contro c'è l'odio per il fumo dell'ecclesialese, il linguaggio indigeribile che invece sembra essere il codice segreto del cattolicesimo contemporaneo. Quello «aperto al mondo», ma che al mondo non riesce a dire niente di interessante. E figurarsi a un uomo di mondo come Giuliano Ferrara.
Da qui il grande rilancio del discorso «illuminista» di Ratisbona, e la passione con cui il Foglio ha discusso le encicliche di Benedetto XVI: passione intellettuale per un uomo che ha qualcosa da dire, e sa splendidamente dirlo, sottolinea sempre Ferrara. Fino alla pubblicazione a tutta prima pagina del grande discorso negato alla Sapienza, sbattuto in faccia all'ignoranza di professori piccini e censori.
Da anni in tanti si interrogano sui rapporti tra Giuliano Ferrara e la Fede, tra il direttore del Foglio e il Papa. Su quel suo stare «sulla soglia» di Santa Romana Chiesa. Chi ha la possibilità di frequentare la faccenda un po' più da vicino, potrebbe testimoniare davanti al Sant'Uffizio soltanto di quel che vede: una stupenda, inconsueta, avventura intellettuale e umana. Vissuta con amore e buonumore dal suo protagonista. Fino all'ultima partita, quella che Giuliano Ferrara ha intrapreso della lista per la moratoria contro l'aborto. Su questo, il Papa ha già detto quel che doveva dire: riprendendo, nel discorso al corpo diplomatico di inizio anno, il filo del parallelo ferrariano tra la moratoria della pena di morte e il necessario impegno a favore della vita.
Maurizio Crippa


I neonati fortemente prematuri, portatori di pieni diritti
ROMA, domenica, 24 febbraio 2008 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito per la rubrica di Bioetica l'intervento del dottor Renzo Puccetti, Specialista in Medicina Interna e Segretario del Comitato "Scienza & Vita" di Pisa-Livorno.
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Sento il dovere morale, prima di iniziare a trattare il tema che era in programma per la rubrica di bioetica, di esprimere pubblicamente una valutazione sul documento approvato dalla Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici (FNOMCeO) di cui sono disponibili solo alcuni stralci giornalistici, non essendo stato ancora pubblicato, cosa che mi pare di per sé indicativa, il testo integrale sul sito web ufficiale della federazione.
Se dovessero essere confermate le anticipazioni, allora riterrei il documento privo di qualsiasi fondamento scientifico, latore di contenuti solo politici, inopportuno per la tempistica con cui è stato reso pubblico, verticistico nella sua modalità di elaborazione ed irrispettoso della pluralità di posizioni. Un documento del genere, se confermato, non può quindi rappresentare in nessun modo lo scrivente, medico, iscritto all'albo dell'Ordine dei Medici di Pisa dal 1990.


Due domeniche fa si è celebrata la giornata per la vita. Da molti anni non accadeva che il tema della tutela della vita fosse così al centro dell'attenzione dei mezzi d'informazione. Uno dei temi dibattuti consiste nell'assistenza da fornire ai neonati fortemente prematuri. Il tema possiede una sua complessità che necessita di una ricapitolazione degli eventi salienti avvenuti di recente.
Nel febbraio 2006, al termine di un convegno svoltosi presso l'Istituto degli Innocenti di Firenze è stato elaborato il documento noto come "Carta di Firenze", sottoscritto da rappresentanti di alcune società scientifiche. Il documento, utilizzando largamente come fonte per la valutazione della speranza di vita e degli esiti dei bambini fortemente prematuri uno studio inglese pubblicato nel 2000 su dati del 1995, giunge a definire "di incerta vitalità" i nati prematuri a 22-25 settimane e "straordinarie" le cure loro eventualmente prestate, suggerisce ai medici di non rianimare mai i neonati di 22 e 23 settimane e quelli di 24 settimane solamente nel caso di segni obiettivi di ripresa, agendo comunque "in armonia" coi genitori.
Ai firmatari della carta di Firenze ha risposto con una lettera aperta sottoscritta da 200 neonatologi l'associazione di operatori sanitari "Medicina & Persona" secondo cui il documento si caratterizza per la presenza di "errori statistici ed epidemiologici", oltre a omissioni bibliografiche. Secondo Medicina & Persona "non è accettabile infatti astenersi preventivamente dalla cura per motivi medico-legali e/o economici. [...] Compito della medicina è "prendersi cura sempre" (guarire quando possibile), cercando di superare il limite rappresentato dalla malattia".
Un mese dopo i medici riuniti a Siena redigono la "Carta dei diritti del neonato" in cui si stabilisce anche per il neonato a prognosi gravemente patologica il diritto "a non vedersi sospendere le cure, ma a ricevere tutta l'assistenza adeguata al caso", oltre a non essere sottoposto ad accanimento terapeutico in caso di stato terminale.
Al termine di un convegno svoltosi a Roma nel 2006, contrariamente alla prospettiva della carta di Firenze, i neonatologi stilano delle linee-guida basate su un approccio non probabilistico rivisto al ribasso, basato sulle settimane di gestazione, ma su una valutazione effettuata "caso per caso" che rispetti la persona, la sacralità della vita e la morte. Prospettiva, questa, confermata anche dal documento elaborato al termine di un altro convegno tenutosi a Bologna nel dicembre 2006 in cui non solo si ribadisce la necessità di un percorso terapeutico individuale per in neonati altamente prematuri, ma si stigmatizza fortemente l'approccio decisionale schiacciato sulla prospettiva della qualità della vita degli individui attribuita dal medico in una età, quella neonatale, in cui le previsioni certe sono impossibili.
Nel febbraio 2007 è giunto poi come un terremoto il caso del piccolo Tommaso, ai cui genitori è stata comunicata la diagnosi prenatale di possibile atresia esofagea, una malformazione correggibile chirurgicamente dopo la nascita. Il piccolo è stato abortito all'ospedale di Careggi alla 23ª settimana, ma è nato vivo, sano, senza la malformazione temuta, per carenza di posti è stato trasferito al Meyer, dove è morto dopo sei giorni. Lo scoppio delle polemiche suscitate dal caso, l'opposizione verso condotte interpretate da molti come contigue alle pratiche eugenetiche e le pressioni che ne sono derivate, ha indotto il Ministro della Salute Turco a istituire un gruppo di lavoro di esperti per redigere delle raccomandazioni "rivolte agli operatori sanitari coinvolti nell'assistenza alla gravidanza, al parto e al neonato estremamente pretermine". Tale organismo, presieduto dal presidente del Consiglio Superiore di Sanità, professor Cuccurullo, internista, e dalla dottoressa Maura Cossutta, ematologa, già eletta alla Camera dei Deputati nelle liste del partito dei comunisti italiani, ha presentato il proprio documento in data 22 gennaio 2007.
In esso si afferma che per i neonati nati alla 22ª settimana "devono essere offerte solo le cure compassionevoli, salvo in quei casi, del tutto eccezionali, che mostrassero capacità vitali"; alla 23ª settimana "quando sussistano condizioni di vitalità, il neonatologo, coinvolgendo i genitori nel processo decisionale, deve attuare adeguata assistenza, che sarà proseguita solo se efficace"; alla 25ª settimana "il trattamento intensivo è sempre indicato e va proseguito in relazione alla sua efficacia". Le conclusioni del gruppo di lavoro, che devono essere approvate dal Consiglio Superiore di Sanità, pure se inclini ad una certa maggiore apertura verso una chance ai bambini fortemente prematuri di 22 e 23 settimane (a patto però che questi mostrino una certa vitalità), si inseriscono nella stessa logica probabilistica, dimenticando, peraltro, di fornire una definizione di efficacia a cui pure richiamano l'operato dei sanitari.
Tre giorni dopo si è riunito in seduta plenaria il Comitato Nazionale di Bioetica per discutere la bozza elaborata dal gruppo di lavoro coordinato dal professore Francesco D'Agostino avente il titolo: "Note bioetiche sul trattamento dei neonati estremamente prematuri". Secondo alcune fonti ufficiose la bozza sosterrebbe posizioni diametralmente opposte a quelle presentate dalla commissione Turco. Tra le principali differenze il fatto che già a partire da 22 settimane le probabilità di sopravvivenza siano assolutamente concrete, che la valutazione dei parametri vitali fatta alla nascita non possa avere un rigoroso valore prognostico e non possa giustificare la desistenza terapeutica, da cui l'incertezza che connota la zona grigia tra la 22ª e la 23ª settimana non può far presumere in modo rigido la futilità del soccorso. Perciò, dal punto di vista etico, tale incertezza non è sufficiente a fondare in generale l'inesigibilità del dovere di adottare ogni misura idonea a salvaguardare la vita del neonato. Si sosterrebbe inoltre che l'eventuale sopravvivenza del neonato dopo le prime cure rianimatorie, seppure gravata da un handicap dovuto alla sua prematurità e ai danni cerebrali che possono in certi casi conseguirne, non dimostrerebbe la futilità del trattamento; la bozza inoltre affermerebbe che il criterio bioetico fondamentale per orientare le decisioni debba essere la tutela della vita del neonato, senza che il parere dei genitori possa assumere carattere vincolante, fatto salvo l'obbligatorietà per i sanitari di astenersi da qualsiasi intervento che si configuri come accanimento terapeutico.
A supporto di quella che sembrerebbe essere la posizione del Comitato Nazionale di Bioetica è giunto il documento elaborato dai rappresentanti delle cliniche ostetriche e ginecologiche delle quattro università romane, Sapienza, Tor Vergata, Cattolica, e Campus Biomedico. Anche questo documento di fatto ribalta completamente la logica sia della carta di Firenze che del gruppo di lavoro istituito dal Ministro Turco: i bambini pretermine nati vivi vanno tutti rianimati indistintamente dall'età gestazionale come misura di soccorso immediato. Solo successivamente si procederà alla valutazione dell'appropriatezza della prosecuzione delle cure. Il soccorso iniziale, dicono i ginecologi delle università di Roma, è dovuto indipendentemente dalla volontà dei genitori, perché il bambino nato non è proprietà dei genitori, ha diritto ad essere soccorso come qualsiasi altra persona. Il documento ha indotto la reazione del Ministro Turco che, pur riconoscendo il dovere di rianimare "i feti", ritiene sia "una crudeltà insensata [...] farlo contro la volontà della madre". Secondo l'immancabile parere del professor Veronesi, poi, non ci sarebbe alcuna relazione tra cure neonatali e la questione dell'aborto, perché "Nell'aborto il bambino nasce morto. Vogliono rianimare un aborto?".
Fino a qui il racconto delle vicende, verso cui cercheremo di offrire alcune valutazioni bioetiche. È necessario per prima cosa porre una premessa metodologica. Quando si stilano linee guida terapeutiche, in presenza di difformità di risultati si dovrebbe attingere a quelli raggiunti dai migliori centri di eccellenza, risultati verso cui tutti gli altri centri dovrebbero sforzarsi di convergere; appare davvero paradossale che le linee guida d'indirizzo assumano invece quali parametri di riferimento i risultati peggiori. Cerchiamo quindi di fornire al lettore alcune cifre ed alcuni fatti, in modo che egli stesso possa trarre le proprie conclusioni.
Non è vero che a 22 settimane la probabilità di sopravvivenza sia eccezionale. Secondo i dati provenienti da 600 cliniche nel mondo raccolti nel Vermont Oxford Network, la sopravvivenza a 22 settimane è del 5%, sale al 30% nei nati a 23 settimane e arriva al 60% nei bambini nati a 24 settimane di gestazione. In una casistica condotta analizzando 19.507 neonati ammessi in 17 reparti di cure intensive neonatali in Canada sono sopravvissuti e sono stati dimessi dal reparto il 14% dei neonati a 22 settimane, il 40% a 23 settimane e quasi il 60% a 24 settimane.
Non è vero che l'approccio di selezionare i bambini da rianimare sulla base dell'età gestazionale sia migliore. Lo ha indicato con chiarezza uno studio svedese che, confrontando la strategia di rianimare tutti i bambini contro quella di effettuare una rianimazione selettiva, ha evidenziato che la selezione conduce ad una percentuale più bassa di bambini salvati e non riduce la percentuale dei bambini senza esiti o handicap. Considerare come una sorta di tentativo inutile, dannoso, insensato la rianimazione di neonati avendo percentuali di salvataggio del 5-10% dovrebbe condurre a sconsigliare la rianimazione cardio-polmonare di tutti gli adulti, in cui le cui probabilità di sopravvivenza sono pari al 6,5-15%. Viene da chiedersi quale medico degno di questo nome si sognerebbe di astenersi da praticare la rianimazione cardio-polmonare agli adulti a causa delle scarse probabilità di successo, oppure perché ciò costituirebbe un consumo di risorse altrimenti allocabili, come pure è stato invece sostenuto per i neonati? Chi accetterebbe come etico il comportamento del medico che non effettuasse il massaggio cardiaco per evitare che all'eventuale successo della manovra conseguisse comunque un deficit neurologico?
Per quanto riguarda poi il coinvolgimento della madre vi è da dire che il bambino che nasce vivo è un cittadino come tutti gli altri e in quanto tale ha diritto ad essere soccorso, diritto che se negato non solo rappresenterebbe una moralmente ignobile discriminazione, ma potrebbe configurare il reato di omissione di atti di ufficio e di possibile omicidio colposo, qualora si dimostrasse il nesso di causalità tra la condotta del medico e il decesso. Il necessario consenso dei genitori, consenso che ovviamente dovrebbe essere informato, non è compatibile con la necessità di non perdere neppure un attimo prezioso di tempo nell'intraprendere i presidi necessari a casi di questo genere, dove infatti l'ordinamento prevede lo stato di necessità. Sarà solamente in un momento successivo, quando i presidi di primo intervento saranno stati istituiti e il quadro stabilizzato, che giustamente il medico dovrà provvedere a fornire tutte le informazioni ai genitori, ottenerne il consenso, ma essere anche pronto, qualora il caso lo richiedesse, ad invocare l'intervento del giudice minorile per tutelare la vita e la salute del neonato.
Che poi la questione della rianimazione dei neonati fortemente prematuri si intersechi con quella dell'aborto non è un argomento propagandistico, ma un fatto. Si dice che la percentuale di interruzioni di gravidanza dopo la 21ª settimana di gestazione è bassa (0,7%), ma si dimentica che corrisponde a 869 bambini ogni anno, una cifra non così lontana dalle 1.376 morti per incidenti sul lavoro. La regione Lombardia ha preso atto delle nuove acquisizioni, stilando una direttiva che, in ossequio con la legge 194, stabilisce l'impossibilità, tranne nei casi d'imminente pericolo per la vita della madre, ad effettuare interruzioni di gravidanza quando vi è possibilità di vita autonoma del feto, limite individuato in Lombardia a 22 settimane e 3 giorni di gestazione. Si tratta di una restrizione ancora insufficiente se consideriamo che in alcune casistiche giapponesi vi sono sopravvivenze del 5% anche per epoche gestazionali di 20 settimane ed errori nella valutazione dell'età gestazionale sono tutt'altro che eccezionali, da cui la necessità scientifica di un maggiore abbassamento di garanzia del limite di aborto. Sarebbe poi oltremodo auspicabile che i personaggi le cui dichiarazioni godono di l'alta credibilità scientifica, sentissero maggiormente la responsabilità di verificarle in via previa. Non sempre nell'aborto il bambino nasce morto; riconosciamo che questa sarebbe l'intenzione di chi lo pratica, ma il caso del piccolo Tommaso non è un evento eccezionale. In Inghilterra è stato da poco pubblicato un rapporto ufficiale che indica in 66 i bambini nati vivi e deceduti dopo un aborto volontario, di cui 50 prima delle 22 settimane. Coloro che parlano stizziti di "feto" che è crudele rianimare contro il parere dei genitori, dimenticando peraltro che dopo la nascita non si tratta più di un feto, ma di un neonato, dimenticano di rendere ragione del loro zelo nel negare una chance di sopravvivenza a questi bambini.
L'ecografia morfologica, una procedura per lo studio delle strutture anatomiche fetali che consente lo screening e la diagnosi di eventuali malformazioni del feto, viene comunemente eseguita alla 20-22ª settimana. È evidente che avvicinare a questo periodo della gravidanza il momento in cui, per la possibile vitalità del feto, l'aborto non è più consentito, rappresenta per certi sostenitori dell'ideologia pro-choice un'intollerabile minaccia, da scongiurare in ogni modo. Ma se questa è l'intenzione, si dovrebbe avere il coraggio di parlare apertis verbis ed appoggiare quello che già si fa legalmente in Olanda e che hanno chiesto di potere fare i ginecologi del Regno Unito, secondo cui un figlio disabile significa una famiglia disabile; si dovrebbe dire chiaramente che l'opzione dell'eutanasia neonatale non è da scartare, la si dovrebbe proporre come una sorta di diritto all'aborto ectobiotico, in pendant al concepimento ectobiotico. Dopo le 21 settimane sono abortiti 869 bambini, altri nascono spontaneamente prematuri, molti di loro sono vivi. Immaginiamo di dare un nome a queste minuscole creature, immaginiamo che a ciascuna di esse possiamo dare una possibilità di vita, possiamo includerli in una rinnovata lista di Schindler, o viceversa condannarli. Sono affidati a noi, alla coscienza di un popolo e alla sua dignità.


Referenze:
1. Raccomandazioni per le cure perinatali in età gestazionali bassissime. http://www.pillole.org/public/aspnuke/pdf.asp?print=article&pID=88
2. Costeloe K. Et al. The EPICure Study: Outcomes to Discharge From Hospital for Infants Born at the Threshold of Viability. PEDIATRICS Vol. 106 No. 4 October 2000, pp. 659-671. http://pediatrics.aappublications.org/cgi/reprint/106/4/659
3. Carta dei Diritti del neonato (approvata al termine del Congresso "L'ecologia del nascere: la coppia e l'alba della vita", Siena, 31 marzo 2006.
4. Proposta di Linee-guida per l'astensione dall'accanimento terapeutico nella pratica neonatologica. Ne "Il problema etico in neonatologia". Roma, 22 settembre 2006. http://www2.unicatt.it/pls/catnews/consultazione.mostra_pagina?id_pagina=12312
5. Bellieni CV. Final Statements from "Decision Meking in neonatology - Bologna 2006" Bologna 2006: un giudizio. Medicina & Persona Journal of Medicine & The Person. 2007, vol 5(1), 4-5.
6. Ministero della Salute. Gruppo di lavoro sulle cure perinatali nelle età gestazionali estremamente basse. http://www.ministerosalute.it/ministero/sezMinisteroDettaglio.jsp?label=com&id=549
7. De Carli S. Comitato di bioetica: ecco la bozza sui prematuri. Vita.it 01/02/2008. http://www.vita.it/articolo/index.php3?NEWSID=89460
8. "Carta di Roma", o Documento dei ginecologi romani sulla RIANIMAZIONE DEL
9. NEONATO ESTREMAMENTE PRETERMINE. http://www.medicinaepersona.org/__C1256C23002924DE.nsf/wAll/IDCW-7BMG4Z/$file/14-Arduini.pdf
10. Cavallieri M. "Crudeltà insensata la rianimazione contro la volontà della madre". http://www.repubblica.it/2008/02/sezioni/cronaca/documento-neonati/inte-turco/inte-turco.html
11. Di Argentine CB. "Così la Chiesa perde credibilità". http://www.lastampa.it/redazione/cmsSezioni/cronache/200802articoli/29821girata.asp
12. Lucey JF, Rowan CA, Shiono P, Wilkinson AR, Kilpatrick S, Payne NR, Horbar J, Carpenter J, Rogowski J, Soll RF. Fetal infants: the fate of 4172 infants with birth weights of 401 to 500 grams - the Vermont Oxford Network experience (1996-2000). Pediatrics. 2004 Jun; 113(6):1559-66
13. Jones HP et al. Actuarial survival of a large Canadian cohort of preterm infants. BMC Pediatr. 2005; 5: 40.
14. Håkansson S, Farooqi A, Holmgren PA, Serenius F, Högberg U. Proactive management promotes outcome in extremely preterm infants: a population-based comparison of two perinatal management strategies. Pediatrics. 2004 Jul;114(1):58-64.
15. Diem SJ, Lantos JD, Tulsky JA. Cardiopulmonary resuscitation on television. Miracles and misinformation. N Engl J Med. 1996 Jun 13;334(24):1578-82.
16. Ministero della Salute. La nuova Relazione annuale sull'interruzione volontaria di gravidanza (anni 2005 e 2006).
17. Ministero della Salute. Interruzioni Volontarie di gravidanza. Anno 2005. Tabella 19. http://www.ministerosalute.it/imgs/C_17_pubblicazioni_679_ulterioriallegati_ulterioreallegato_0_alleg.pdf
18. Cottone N. Eurispes: più morti negli incidenti sul lavoro che nella Guerra del Golfo. http://www.ilsole24ore.com/art/SoleOnLine4/Economia%20e%20Lavoro/2007/05/eurispes-infortuni.shtml?uuid=8ca9080e-086e-11dc-90c6-00000e25108c&DocRulesView=Libero
19. Cottone S. La Lombardia frena l'aborto: «Vietato oltre le 22 settimane». http://www.ilgiornale.it/a.pic1?ID=235973
20. CEMACH. Confidential Enquiry into Maternal and Child Health. Perinatal Mortality 2005. April 2007. England, Wales and Northern Ireland.



ROMA, domenica, 24 febbraio 2008 (ZENIT.org).- Pubblichiamo il testo dell'omelia pronunciata da Benedetto XVI questa domenica mattina visitando la parrocchia romana di Santa Maria Liberatrice, nel quartiere Testaccio. * * *

Cari fratelli e sorelle,
seguendo l'esempio dei miei venerati Predecessori, i Servi di Dio Paolo VI e Giovanni Paolo II, che hanno fatto visita alla vostra parrocchia rispettivamente il 20 marzo 1966 e il 14 gennaio 1979, anch'io quest'oggi sono venuto tra voi per incontrare la vostra comunità e presiedere la Celebrazione eucaristica in questa vostra bella chiesa dedicata a Santa Maria Liberatrice. Sono venuto in una circostanza quanto mai singolare, il centenario della consacrazione dell'attuale chiesa e il trasferimento del titolo della parrocchia di Santa Maria della Provvidenza, che già esisteva in questo vostro quartiere di Testaccio, in Santa Maria Liberatrice. Fu San Pio X ad affidare ai Figli spirituali di Don Bosco la parrocchia, ed essi, sotto la guida infaticabile del primo discepolo di San Giovanni Bosco, il beato Don Michele Rua, costruirono la chiesa nella quale ora ci troviamo. In verità, i Salesiani svolgevano già la loro attività sociale ed apostolica qui a Testaccio, quartiere che ha conservato una sua specifica identità territoriale e culturale. Pur trovandoci, infatti, nel cuore della metropoli romana, persistono tra la persone rapporti molto familiari e, sebbene negli ultimi vent'anni la situazione sia un po' cambiata, rimangono forti il radicamento della gente nel proprio territorio, l'identità di quartiere e di attaccamento alle tradizioni religiose. So, ad esempio, che la vostra festa patronale di Santa Maria Liberatrice riunisce ogni anno tanti concittadini e famiglie che per vari motivi si sono trasferiti altrove.
Cari amici, sono venuto volentieri a condividere la vostra gioia per l'evento giubilare che state celebrando, e che ho voluto arricchire con la possibilità di lucrare l'indulgenza plenaria durante l'intero anno centenario. Con affetto vi saluto tutti. Anzitutto saluto il Cardinale Vicario, il Vescovo Ausiliare del Settore Centro, Mons. Ernesto Mandara, e il vostro Parroco, Don Manfredo Leone. Ringrazio di cuore lui e i confratelli salesiani per il servizio pastorale che insieme rendono alla vostra parrocchia, e gli sono grato anche per le gentili parole che mi ha rivolto a nome di tutti voi. Saluto inoltre gli ospiti dello Studentato Salesiano per sacerdoti, che ha sede negli edifici parrocchiali, e le diverse comunità religiose presenti sul territorio: le Figlie di Maria Ausiliatrice, le Figlie della Divina Provvidenza e le Suore del Buon Pastore. Saluto i Cooperatori, le Cooperatrici e gli Ex-allievi Salesiani, le Associazioni parrocchiali, i vari gruppi impegnati per l'animazione della catechesi, della liturgia, della carità e della lettura ed approfondimento della Parola di Dio, la Confraternita di Santa Maria Liberatrice, i gruppi che riuniscono i giovani e quelli che favoriscono l'incontro e la formazione delle coppie di fidanzati e di sposi e delle famiglie più mature. Un saluto affettuoso indirizzo ai ragazzi del catechismo e a quanti frequentano l'Oratorio della parrocchia e delle Figlie di Maria Ausiliatrice. Vorrei poi estendere il mio pensiero a tutti gli abitanti del quartiere, specialmente agli anziani, ai malati, alle persone sole e in difficoltà. Tutti e ciascuno ricordo in questa Santa Messa.
Cari fratelli e sorelle, mi domando ora assieme a voi: che cosa ci dice il Signore in un anniversario così importante per la vostra parrocchia? Nei testi biblici dell'odierna terza Domenica di Quaresima, ci sono utili spunti di meditazione quanto mai indicati per questa significativa circostanza. Attraverso il simbolo dell'acqua, che ritroviamo nella prima lettura e nel brano evangelico della Samaritana, la parola di Dio ci trasmette un messaggio sempre vivo e sempre attuale: Dio ha sete della nostra fede e vuole che troviamo in Lui la fonte della nostra autentica felicità. Il rischio di ogni credente è quello di praticare una religiosità non autentica, di cercare la risposta alle attese più intime del cuore non in Dio, di utilizzare anzi Iddio come se fosse al servizio dei nostri desideri e progetti.
Nella prima lettura vediamo il popolo ebreo che soffre nel deserto per mancanza di acqua, e, preso dallo scoraggiamento, come in altre circostanze, si lamenta e reagisce in modo violento. Arriva a ribellarsi contro Mosè, arriva quasi a ribellarsi contro Dio. Narra l'autore sacro: «Misero alla prova il Signore, dicendo: "Il Signore è in mezzo a noi sì o no"?» (Es 17,7). Il popolo esige da Dio che venga incontro alle proprie attese ed esigenze, piuttosto che abbandonarsi fiducioso nelle sue mani, e nella prova perde la fiducia in Lui. Quante volte questo avviene anche nella nostra vita; in quante circostanze, piuttosto che conformarci docilmente alla volontà divina, vorremmo che Iddio realizzasse i nostri disegni ed esaudisse ogni nostra attesa; in quante occasioni la nostra fede si manifesta fragile, la nostra fiducia debole, la nostra religiosità contaminata da elementi magici e meramente terreni. In questo tempo quaresimale, mentre la Chiesa ci invita a percorrere un itinerario di vera conversione, accogliamo con umile docilità l'ammonimento del Salmo responsoriale: «Ascoltate oggi la sua voce: "Non indurite il cuore, come a Meriba, come nel giorno di Massa nel deserto, dove mi tentarono i vostri padri: mi misero alla prova, pur avendo visto le mie opere"» (Sal 94,7-9).
Il simbolismo dell'acqua ritorna con grande eloquenza nella celebre pagina evangelica che narra l'incontro di Gesù con la Samaritana a Sicar, presso il pozzo di Giacobbe. Cogliamo subito un legame tra il pozzo costruito dal grande patriarca di Israele per assicurare l'acqua alla sua famiglia e la storia della salvezza in cui Dio dona all'umanità l'acqua zampillante per la vita eterna. Se c'è una sete fisica dell'acqua indispensabile per vivere su questa terra, vi è nell'uomo anche una sete spirituale che solo Dio può colmare. Questo traspare chiaramente dal dialogo tra Gesù e la donna venuta ad attingere acqua al pozzo di Giacobbe. Tutto inizia dalla domanda di Gesù: "Dammi da bere" (cfr Gv 4,5-7). Sembra a prima vista una semplice richiesta di un po' d'acqua, in un mezzogiorno assolato. In realtà, con questa domanda rivolta per di più a una donna samaritana - tra ebrei e samaritani non correva buon sangue - Gesù avvia nella sua interlocutrice un cammino interiore che fa emergere in lei il desiderio di qualcosa di più profondo. Sant'Agostino commenta: "Colui che domandava da bere, aveva sete della fede di quella donna" (In Io ev. Tract. XV,11: PL 35,1514). Infatti, a un certo punto, è la donna stessa a chiedere dell'acqua a Gesù (cfr Gv 4,15), manifestando così che in ogni persona c'è un innato bisogno di Dio e della salvezza che solo Lui può colmare. Una sete d'infinito che può essere saziata solamente dall'acqua che Gesù offre, l'acqua viva dello Spirito. Tra poco ascolteremo nel prefazio queste parole: Gesù "chiese alla donna di Samaria l'acqua da bere, per farle il grande dono della fede, e di questa fede ebbe sete così ardente da accendere in lei la fiamma dell'amore di Dio".
Cari fratelli e sorelle, nel dialogo tra Gesù e la Samaritana vediamo delineato l'itinerario spirituale che ognuno di noi, che ogni comunità cristiana è chiamata a riscoprire e a percorrere costantemente. Proclamata in questo tempo quaresimale, questa pagina evangelica assume un valore particolarmente importante per i catecumeni già prossimi al Battesimo. Questa domenica è infatti legata al cosiddetto "primo scrutinio", che è un rito sacramentale di purificazione e di grazia. La Samaritana diviene così figura del catecumeno illuminato e convertito dalla fede, che aspira all'acqua viva ed è purificato dalla parola e dall'azione del Signore. Ma anche noi, già battezzati, troviamo in quest'episodio evangelico uno stimolo a riscoprire l'importanza e il senso della nostra vita cristiana. Gesù vuole portarci, come la Samaritana, a professare la nostra fede in Lui con forza perché possiamo poi annunciare e testimoniare ai nostri fratelli la gioia dell'incontro con Lui e le meraviglie che il suo amore compie nella nostra esistenza. La fede nasce dall'incontro con Gesù, riconosciuto e accolto come il Rivelatore definitivo e il Salvatore. Una volta che il Signore ha conquistato il cuore della Samaritana, la sua esistenza è trasformata e lei corre senza indugio a comunicare la buona notizia alla sua gente (cfr Gv 4,29).
Cari fratelli e sorelle della Parrocchia di Santa Maria Liberatrice! L'invito di Cristo a lasciarci coinvolgere dalla sua esigente proposta evangelica risuona con forza questa mattina per ogni membro della vostra comunità parrocchiale. Diceva sant'Agostino che Dio ha sete della nostra sete di Lui, desidera cioè di essere desiderato. Più l'essere umano si allontana da Dio più Egli lo insegue con il suo amore misericordioso. La liturgia ci stimola quest'oggi, tenendo conto anche del tempo quaresimale che stiamo vivendo, a rivedere il nostro rapporto con Gesù, a cercare il suo volto senza stancarci. E questo è indispensabile perché voi, cari amici, possiate continuare, nel nuovo contesto culturale e sociale, l'opera di evangelizzazione e di educazione umana e cristiana svolta da più di un secolo da questa parrocchia, che annovera nella serie dei suoi parroci anche il Venerabile Luigi Maria Olivares. Aprite sempre più il cuore ad una azione pastorale missionaria, che spinga ogni cristiano ad incontrare le persone - in particolare i giovani e le famiglie - là dove vivono, lavorano, trascorrono il tempo libero, per annunciare loro l'amore misericordioso di Dio. Analoga attenzione e sollecitudine so che state dedicando alla cura delle vocazioni al sacerdozio e alla vita consacrata, proponendo ai ragazzi, ai giovani e alle famiglie il tema vocazionale, che è di primaria importanza per il futuro della Chiesa. Vi incoraggio poi a perseverare nell'impegno educativo, che costituisce il carisma tipico di ogni parrocchia salesiana. L'Oratorio, la scuola, i momenti di catechesi e preghiera siano animati da autentici educatori, cioè da testimoni vicini con il loro cuore specialmente ai fanciulli, agli adolescenti e ai giovani. Santa Maria Liberatrice, da voi tanto amata e venerata, che insieme al suo sposo Giuseppe ha educato Gesù bambino ed adolescente, protegga le famiglie, i religiosi e le religiose nel loro compito di formatori e doni loro la gioia, come auspicava Don Bosco, di veder crescere in questo quartiere "buoni cristiani ed onesti cittadini". Amen!
[© Copyright 2008 - Libreria Editrice Vaticana]



L'identità dei cattolici
di Ernesto Galli della Loggia
Corriere della Sera
L'IDENTITA' DEI CATTOLICI
L'identità cristiana dell'Italia: proprio per la sua difesa, l'onorevole Casini, come non si stanca di ripetere, ha deciso di rompere la più che decennale alleanza della Casa delle libertà e di presentarsi da solo davanti al corpo elettorale. Non credo perché pensasse che la Cdl fosse diventata da un giorno all'altro una minaccia per la suddetta identità; bensì perché evidentemente convinto che tale identità, per essere affermata e difesa davvero e fino in fondo, abbia bisogno della presenza di un partito cristiano (leggi: cattolico), non possa fare a meno in Parlamento di una sigla, di un simbolo che esplicitamente inalberino la Croce.
Questo convincimento di Casini serve a ricordarci una delle caratteristiche più singolari della politica italiana: la sua disinvoltura nel gettarsi il passato dietro le spalle e far finta che ciò che è successo non sia successo o non voglia dire nulla. Il passato rimosso è in questo caso la Democrazia cristiana. Che come si sa fu un partito cattolico, un grande partito cattolico, titolare per oltre quarant'anni di un ruolo egemonico nel sistema politico italiano. Ebbene: si può forse dire che la Dc riuscì a difendere l'identità cristiana dell'Italia? Avrei qualche dubbio. Naturalmente dipende da che cosa s'intende con un' espressione così impegnativa, ma sta di fatto che proprio con un grande partito cattolico addirittura al governo del Paese, proprio in una condizione teoricamente così favorevole, l'Italia ha conosciuto un massiccio e per molti aspetti radicale processo di secolarizzazione. Tra il 1948 e il 1992, tanto per dirne qualcuna, fu adottata una legislazione sul divorzio e sull'aborto, non fu preso alcun provvedimento per la famiglia, il settore della cultura, quello dei media e dell'intrattenimento videro l'affermazione pressoché incontrastata di temi, prodotti, persone se non ostili certo lontani da una prospettiva cristiana, il tono etico della vita pubblica andò continuamente declinando, le organizzazioni della delinquenza organizzata non fecero che rafforzarsi, l'uso del rito religioso per la nascita e il matrimonio prese a scemare sempre di più e così il numero delle vocazioni, nonché la frequenza negli istituti di educazione cattolica. Perfino il nuovo concordato tra lo Stato italiano e la Chiesa cattolica, come si sa, fu negoziato e firmato non per volontà di un esponente politico cattolico bensì socialista, Bettino Craxi.
E allora? Come mai, secondo Casini, la presenza — e che presenza ! — in tutti quei decenni di un partito cattolico non riuscì a evitare nessuno dei fenomeni detti sopra? La mia risposta è che in realtà, sull'identità di un Paese, e in particolare sulla sua identità religiosa (e specialmente se si tratta di una democrazia), la politica non può più di tanto. Tutto si svolge a livelli più profondi e più complessi di quelli che la politica è capace di controllare. In genere quando si arriva alla politica e alle leggi, la partita dell'identità è già decisa. Al massimo, e forse (con molti forse), la politica e i suoi strumenti sono in grado di contrastare questo o quel provvedimento di uno schieramento politico (quando vi sia) di segno esplicitamente antireligioso, il quale, per l'appunto, intenda visibilmente attaccare «l'identità cristiana» di un Paese.
Ma davvero esiste oggi in Italia un simile schieramento? E davvero potrebbe mai bastare un «partito cattolico» a farvi argine?
Vi è tuttavia una seconda e forse più importante obiezione all'idea che sia indispensabile un partito cattolico per tutelare l'identità cristiana del nostro Paese. L'obiezione è iscritta in modo chiarissimo nella vicenda italiana di questi ultimi anni. Durante i quali, se non sbaglio, quell'identità è stata tematizzata, analizzata e per così dire fatta oggetto del discorso pubblico, ne è stato compreso il significato, ne sono stati rivendicati con forza l'importanza e il peso sulla cultura occidentale e dunque anche nostra, ne sono stati messi a fuoco i complessi rapporti con la modernità e con la storia italiana, ne è stato mostrato l'insuperabile rilievo etico, soprattutto a opera di donne, uomini, ambienti e iniziative, che nulla o quasi avevano a che fare con qualsivoglia «partito cattolico ». Diciamolo chiaramente: sono stati in special modo dei non credenti, ovvero dei credenti estranei però ai chiusi e sempre circospetti circuiti iniziatici delle organizzazioni cattoliche, sono stati loro che hanno fatto uscire il grande tema della religione e della fede, nonché del rapporto di entrambe con il mondo contemporaneo, dal chiuso in cui, almeno qui da noi, esso era andato a finire. Sono stati loro, i loro libri, i giornali da loro creati o diretti, le loro iniziative, che hanno riportato con forza all'attenzione dell'opinione pubblica e della cultura laica il grande tema delle radici cristiane, dell' «identità cristiana », rinnovandone il senso e la portata, riaccendendone l'interesse.
E hanno fatto tutto questo, se non sbaglio, senza che alcun politico cattolico c'entrasse nulla e per un lungo tratto neppure si accorgesse del fenomeno, tanto meno lo assecondasse, a differenza di alcuni alti esponenti della gerarchia cattolica, mostratisi invece assai più consapevoli e avveduti di loro.
Dunque anche per questo aspetto certo non secondario, l'esistenza di un «partito cattolico» quale quello voluto da Casini non sembra in grado di avere un' incidenza effettiva sulla difesa di quell'«identità cristiana» del Paese, per la quale pure dice di scendere in campo. La sua nascita risponde solo a ragioni di politica, di rispettabilissima politica naturalmente, ma sia chiaro: tutto comincia e finisce qui.
24 febbraio 2008


Sui temi etici si combatte una battaglia culturale oltre che politica
Dal sito l’Occidentale
intervista a Eugenia Roccella di Paola Liberace
È passato qualche giorno dall’ufficializzazione della candidatura di Eugenia Roccella nelle liste del Popolo della Libertà ma sembra che la sua campagna elettorale sia già nel vivo.
Ex radicale, femminista, portavoce del Family Day. Ti riconosci in questa definizione, considerando che mentre tu sei nel PdL i radicali sono freschi di accordo con Veltroni, il femminismo è finito nel motto della Sinistra critica di Turigliatto insieme all’ecologismo e al comunismo, e Savino Pezzotta è presidente della Rosa Bianca?
Per quel che riguarda i radicali, non mi riconosco più in loro da moltissimo tempo, da quando ho lasciato il partito. (Ma non avevi detto che “essere radicali è un metodo che resta per sempre”? “un metodo, appunto, non un’ideologia” ). Non so poi a quale femminismo si riferisca Turigliatto. La galassia femminista è molto ampia: in genere la sinistra tende ad essere schiacciata su un’impostazione emancipazionista, egualitaria, che non coincide con quella del femminismo italiano, orientato storicamente piuttosto al pensiero della differenza. In quest’ottica, l’emancipazionismo non si può veramente definire una forma di femminismo, sebbene venga solitamente identificato come tale. Il legame con l’ecologismo potrebbe anche calzare (con il comunismo già meno): se non fosse che in Italia chi si schiera nettamente contro gli OGM è poi disposto a transigere su quelli che io chiamo i BGM, i bambini geneticamente modificati. Come dire: grande cautela sui pomodori, nessuna cautela sulla procreazione umana. In alltri paesi accade il contrario: gli ecologisti tedeschi hanno manifestato la loro solidarietà in occasione delle polemiche sulla nostra legge 40. “

E da noi Veltroni fa entrare i radicali nel Pd. Che significato politico ha?
Qualunque sia l'esito della trattativa con il Pd, Pannella è già riuscito a mettere Veltroni in un angolo. Le candidature proposte dai radicali hanno ciascuna un significato e un obiettivo preciso: Mina Welby, l'eutanasia, Maria Antonietta Coscioni, la ricerca fondata sulla distruzione di embrioni umani, Silvio Viale, l'aborto fai-da-te, Maurizio Turco, la campagna europea contro la Chiesa. Il tentativo del Pd di tenere i temi etici ai margini dalla campagna elettorale è già fallito: non è la presenza dei radicali a rendere la vita difficile ai cattolici del Pd, ma la volontà politica di Pannella, evidente nella proposta delle candidature, di far entrare dalla finestra, attraverso i nomi dei candidati, le questioni che Veltroni ha cercato di chiudere fuori dalla porta. A questo punto, conta poco cosa sarà scritto nel programma: non credo che Mina Welby o Silvio Viale in Parlamento si occuperanno di liberalizzazioni.
Questo a sinistra. Ma ora più che in passato si deve parlare della politica del centro. Tu e Pezzotta dopo il Family Day avete preso strade opposte. Secondo te nel mondo cattolico si continua a pensare a soggetti politici come la Rosa Bianca o l’UdC come interlocutori privilegiati?
No, non lo credo affatto: la diaspora dei cattolici nei vari partiti è ormai un dato acquisito. La CEI bada piuttosto che i cattolici impegnati in politica siano fedeli alla dottrina sociale della Chiesa, senza interpretarla con eccessivo margine discrezionale. L’essenziale è che i candidati che si richiamano al cattolicesimo non siano poi disposti a transigere sui valori non negoziabili: che non lascino correre sui temi eticamente sensibili, su quelli sociali, sull’emergenza educativa. Non vedo un’ingerenza della Chiesa sui partiti, piuttosto una preoccupazione reale sulle questioni di riferimento, quelle che le stanno più a cuore.
Berlusconi ha detto che la battaglia di Giuliano Ferrara doveva restare fuori dalla campagna elettorale. Qual è invece la tua battaglia, e perché nel PdL è stata la benvenuta?
In realtà anche Ferrara sarebbe stato il benvenuto, se avesse voluto condurre la sua battaglia nel Pdl. Ha preferito presentare una lista di scopo, con parlamentari eventualmente eletti per un mandato preciso. Ma è una separazione parziale: la nostra è una battaglia “sorella”, come l’ha definita lui, e ci ritroveremo nei fatti. Per me la questione dell’aborto è una parte della battaglia: quando ho lanciato la campagna per le linee guida della legge 194 volevo anzitutto che l’invito ad applicarla nella sua interezza diventasse una proposta articolata. Per questo non ho nulla da dire a quanti (la Federazione degli ordine dei medici, ndr) affermano che quella legge è una legge che va ancora bene purché venga attuata in tutte le sue parti.
Quali parti, in particolare?
Penso soprattutto alla prima parte della legge, che parla di prevenzione; penso al sostegno alle maternità difficili; penso all’applicazione dell’art. 7, che prevede il divieto di abortire quando il feto abbia ormai “possibilità di vita autonoma”,. Saggiamente, la legge non esplicita qual è il limite temporale, per poter seguire le acquisizioni scientifiche sulla sopravvivenza dei neonati prematuri; ma questo non può voler dire che ogni regione interpreta la cosa a suo modo, serve un’indicazione ministeriale centralizzata che preveda un limite unico per tutte le strutture che praticano l’interruzione di gravidanza.
D’altro canto, c’è il complesso dei temi eticamente sensibili, sui quali credo la politica non possa e non debba tacere. Vorrei che sull’aborto si inneschi un dibattito pubblico in cui emerga forte e chiara la voce delle donne; d’altra parte, l’aborto è solo una delle questioni in gioco, il problema è molto più vasto. I temi sono molto più che etici: preferirei chiamarli temi di biopolitica, perché ormai c’è in ballo una vera e propria manipolazione dell’umano, impossibile da fronteggiare armati della sola libertà di coscienza, come vorrebbe chi invita a lasciarli fuori dalla campagna elettorale. Problemi simili implicano una visione antropologica, che riguarda l’uomo com’è e come vogliamo che sia. La questione dei confini della vita e della morte, che pure c’è, si staglia su una domanda di fondo: fin dove si può spingere la manipolazione delle relazioni primarie che fondano la convivenza degli uomini? Ormai in molti paesi è legale avere due madri; tecnicamente è possibile persino avere tre madri (una donatrice di ovocita, una che affitta l’utero e la cosiddetta “madre sociale”) oppure nessuna. La terminologia genitoriale è del tutto cambiata: i tradizionali “madre e padre”, dopo essere scomparsi dai testi degli organismi internazionali, come l’ONU e l’Unione Europea, sono spinti ai margini anche nella prassi dei singoli paesi: dalla Spagna che introduce i concetti di “genitore A” e “genitore B”, alla Gran Bretagna dove si parla di “guardian” e “tutor”. La stessa sperimentazione sul concepimento di bambini con due madri è una novità solo dal punto di vista tecnico: di fatto esistono già bambini portatori del patrimonio genetico di due donne, che non prestano l’una l’utero e l’altra l’ovocita, ma forniscono entrambe il loro corredo genetico, grazie alla manipolazione dell’ovocita. Dove vogliamo arrivare?
Ma una politica davvero liberale può occuparsi di questioni simili e tuttavia restare tale?
La politica liberale deve anzitutto sapere cos’è l’individuo. Pensiamo a quello che è accaduto nel parlamento inglese, in occasione del dibattito sulla questione delle “chimere” - embrioni interspecie umani al 99%, ibridati con ovociti di mucca -. Per stabilire le competenze delle varie Authority sulla faccenda, i parlamentari sono giunti a discutere di cosa fosse l’umano. Finendo per impantanarsi, com’è logico: perché una volta abbandonata l’evidenza originaria, legata alla procreazione naturale e ai concetti di padre e madre, trovare una definizione tecnica soddisfacente di “umano” diventa impossibile. In generale, quando si sente il bisogno di ricorrere a una definizione – vale per il concetto di “genitore” come per quello di “embrione umano” – si è già in un vicolo cieco. Non tutto può essere ridotto a convenzione: anche se abbiamo difficoltà culturali nei confronti dell’ancoraggio naturale dell’identità umana, non possiamo abbandonarlo senza rinunciare alla stessa prospettiva liberale. L’approccio dei diritti individuali di fronte a questo scenario si rivela insufficiente, se il concetto stesso di individuo umano è in discussione. La selezione genetica operata nei confronti delle generazioni future svela un enorme problema di potere, che oltrepassa di gran lunga i limiti del diritto individuale, tracima la categoria della “libera scelta”: un pensiero autenticamente liberale non può permettersi di ignorarlo.
Di quali iniziative sarà fatta la tua politica liberale in Parlamento?
Prima di tutto, di iniziative per la famiglia. A partire dall’equità fiscale: oggi c’è una vessazione nei confronti delle famiglie, in particolare quelle con più figli, che tradisce il mancato riconoscimento del ruolo che le famiglie rivestono, sostituendosi di fatto allo Stato sociale. Il risparmio che l’organizzazione familiare consente allo Stato è incalcolabile, e va quantificata concretamente. In secondo luogo, di provvedimenti per la valorizzazione culturale e sociale della maternità: dal sostegno alle maternità difficili, all’organizzazione di servizi di supporto psicologico e pratico per le puerpere, che dopo il parto restano inevitabilmente sole. Con la scomparsa delle antiche famiglie allargate, di fatto, si è lacerato il tessuto connettivo che permetteva di fare affidamento sulle altre figure femminili – dalle nonne alle zie -, specialmente in un momento delicato come quello che coincide con i primi giorni di vita del bambino. In Francia a questa mancanza sopperisce un servizio di assistenza domiciliare qualificata, a disposizione delle donne che ne abbiano bisogno: penso a qualcosa di analogo anche per il nostro paese. Infine, gli interventi sulla dimensione lavorativa: oggi nel nostro paese, che conosce a malapena il part-time, le donne devono costruirsi una flessibilità fai da te, specialmente se hanno bambini da allevare o anziani da accudire. Io stessa ho fatto questa scelta anni fa, a discapito di un lavoro stabile e dei contributi: è la via obbligata per chi di noi voglia dedicarsi anche al lavoro extradomestico, nell’ottica di un mondo lavorativo ancora largamente orientato al maschile, nel quale le donne si adeguano, o restano a casa. Le donne sono alla ricerca di una flessibilità che non sia penalizzante, con tempi e modi compatibili con la maternità: che non deve, non può essere un lusso privato, come accade oggi in Italia, dove la maternità si paga, sia in termini di reddito che di carriera. Infine, mi occuperò dei temi biopolitici, tra i quali rientrano la legge 40, la selezione genetica, l’applicazione della legge sull’aborto. In realtà sono tutti strettamente interconnessi: se l’obiettivo è ridurre il numero degli aborti, il sostegno alle maternità difficili diventa imprescindibile.
Qualche tempo fa hai detto al Foglio che ti eri allontanata dalla politica per essere madre, moglie, figlia e nipote. Oggi perché torni?
Per quindici anni ho cercato di dedicarmi a un lavoro extradomestico il più possibile compatibile con il lavoro di cura; ma da quando le persone di cui mi occupavo non ci sono più, o sono cresciute, sono tornata a intensificare la mia attività pubblica. Una volta ascoltai da Gad Lerner una badante di origine africana raccontare quanto le sembrasse strano che le donne italiane oggi affidano alle straniere ciò che hanno di più prezioso, i figli e gli anziani. A me non sembra strano, anzi: capisco benissimo perché cerchino aiuto, visto che fanno l’impossibile per tenere insieme tutti i lembi della loro vita. Ma per quanto asili nido, baby sitter e badanti siano supporti utili, non spengono il desiderio di avere i figli vicini, di poter stare accanto ai propri genitori negli ultimi momenti. Se oggi torno a fare politica è anche per permettere alle donne che sentono questo desiderio, che è stato anche il mio, di non reprimerlo, di assecondarlo il più possibile senza rimpianti.