Nella rassegna stampa di oggi:
1) Ferrara Vs Bignardi alle invasioni barbariche
2) Soltanto una scuola libera sarà anche pertinente
3) Scienza&Vita ai partiti: dite qualcosa di bioetico
4) Vescovo di Arbil: un “grido di dolore” per l’attacco turco nel Kurdistan
5) Film: Il “Petroliere”
6) Film: Non è un paese per vecchi (No Country For Old Men)
7) Un confronto fra Il “Petroliere” e “Non è un paese per vecchi”" di Daniela Persico
8) Film: Sweeney Todd: Il diabolico barbiere di Fleet Street ((Sweeney Todd: The Demon Barber of Fleet Street))
Ferrara Vs Bignardi alle invasioni barbariche
Autore: Buggio, Nerella
Fonte: CulturaCattolica.it
venerdì 22 febbraio 2008
Si è appena conclusa l'intervista che Daria Bignardi ha fatto a Giuliano Ferrara, nella trasmissione Le invasioni barbariche.
Lei è brava, preparata, sempre pronta alla battuta e alla domanda a volte piccante, a volte frivola, ma questa volta non vedeva l'ora che Giuliano Ferrara togliesse il suo pesante deretano dalla sedia.
Ha provato a girare la frittata, a dare un senso alle parole di Ferrara, diverso da quello che in realtà avevano, a farlo passare per un nemico delle donne, della loro libertà di scegliere.
Ma l'evidenza di quanto diceva Ferrara, deve averle trafitto il cuore, perchè è una donna, una mamma, oltre che una giornalista, e la diretta l'ha tradita.
Ha perso il suo aplomb, è diventata acida, scortese, ha impegnato tutta se stessa nel voler demolire Ferrara, facendolo passare per un maschilista, per un razzista, ha provato a sostenere la tesi che le donne straniere che abortiscono lo fanno non solo per non perdere il posto di lavoro, perchè non sanno come mantenere quel figlio ma perchè vogliono realizzarsi come donne, come lavoratrici.
Ma sapeva anche la Bignardi che nessuno può sentirsi realizzato se lo fa sulla pelle di un altro essere umano e così appena il tempo è scaduto e Giuliano Ferrara si è alzato dalla sedia s'è visto che la Bignardi tirava un sospiro di sollievo, come quando finalmente un ospite indesiderato esce dalla porta di casa.
Fuori Ferrara dentro Dolce & Gabbana, almeno loro sono più normali, e pronti a fare gli omosessuali bistrattati dal giornalista precedente, e la Bignadi pronta a fare il difensore degli stilisti "omo", del resto è più facile stare dalla parte di D&G che dalla parte dei figli sacrificati sull'altare dell'autodeterminazione delle donne.
Soltanto una scuola libera sarà anche pertinente
Avvenire, 23.2.2008
GIACOMO SAMEK LODOVICI
I l tema della vita è entrato nella campagna elettorale: è troppo sperare che qualche partito si prodighi davvero per un altro valore non negoziabile come la libertà di educazione?
L’importante intervento del cardinale Scola all’Università Cattolica di Brescia, dove ha appunto auspicato l’esistenza di una pluralità di scuole e la realizzazione di una piena parità scolastica, potrebbe essere accusato di voler promuovere gli interessi di parte dei cattolici.
Ma l’esistenza di scuole non statali garantisce un principio morale fondamentale e irrinunciabile, che non è certo di parte: la libertà dei genitori di scegliere per i figli una scuola conforme alle proprie convinzioni. Infatti, la scuola dovrebbe proseguire il diritto naturale dei genitori di educare i figli, ed essere un complemento educativo della famiglia, mai un sostituto.
Ciò esige che lo Stato renda possibile una reale ed effettiva libertà di scelta, realizzando una vera parità scolastica e consentendo ai genitori di iscrivere i figli negli istituti più confacenti alle loro convinzioni. Lo Stato deve cioè garantire la possibilità che i genitori di sinistra possano mandare i figli in scuole di sinistra, quelli liberali in scuole liberali, quelli cattolici in scuole di ispirazione cattolica, ecc. Insomma, la posta in gioco non è la tutela degli interessi dei cattolici, bensì la salvaguardia della libertà delle famiglie di educare i figli secondo i propri valori e principi, quali che siano, purché non siano principi criminali.
Si dice che la scuola non statale è parziale, mentre la scuola dovrebbe essere indifferente-neutrale, presentando tutti i modelli di vita, in modo che lo studente scelga quello che più lo convince.
Ma, per poter scegliere, bisogna avere senso critico, ed è raro che un adolescente sia capace di discernere autonomamente, senza farsi condizionare. Non è dunque meglio che venga indirizzato dai genitori?
All’università, poi, sceglierà da solo.
Inoltre, una scuola indifferente-neutrale non è realizzabile, perché già solo per passare da un argomento al suo racconto è necessaria una presa di posizione circa i suoi aspetti più rilevanti: è necessaria una sintesi, e questa comporta una selezione, che è sempre frutto di scelte derivanti da criteri di pertinenza e di rilevanza.
Comunque, un sistema scolastico che riesce ad avvicinarsi ad essere indifferente-neutrale e non propone e non valorizza nessuna cultura e nessun modello di vita, in realtà fa una precisa scelta culturale: quella del relativismo, in cui tutte le opzioni sono sullo stesso piano, e facilmente ingenera nello studente una visione relativista.
Ciò non vuol dire che una scuola debba essere faziosa né autorizzare un docente a inculcare le proprie convinzioni agli studenti occultandone le debolezze, o censurando o indebolendo le tesi avverse. La scuola deve sviluppare il senso critico e l’autonomia di giudizio degli studenti, abilitandoli a valutare criticamente ciò che insegna loro.
Tuttavia, poiché la trasmissione culturale dovrebbe essere trasmissione della verità, la scuola dovrebbe trasmettere principalmente (non esclusivamente) la verità, cioè quelle tesi e quei valori che essa ed i genitori che l’hanno scelta considerano vere; il che non significa, bisogna ribadirlo, omettere le opposizioni e le obiezione significative a queste tesi.
Sarebbe veramente ora, come ha auspicato il cardinale Scola, che lo Stato realizzasse una vera parità di condizioni giuridiche ed economiche.
Scienza&Vita ai partiti: dite qualcosa di bioetico
L’associazione chiede che i leader politici si esprimano chiaramente su 194, legge 40, Ru486, pillola del giorno dopo, testamento biologico fase terminale della vita e identità di genere
Avvenire, 23.2.2008
DA ROMA GIANNI SANTAMARIA ù
P artiti, dite qualcosa di bioetico, perché i grandi temi della vita non possono stare fuori dalla politica. E neppure dalla campagna elettorale. Al di là delle contrapposizioni tra destra e sinistra, o tra credenti e non credenti, in vista delle urne l’associazione Scienza & Vita chiama in causa le forze che si candidano a governare il Paese e le invita a «esprimersi chiaramente sui temi che più stanno a cuore all’associazione». E cioè: legge 194, linee guida delle legge 40, pillola del giorno dopo, Ru486, disabilità, testamento biologico, trattamento sociale e sanitario dalla fase terminale dell’esistenza, questioni legate all’identità e al genere.
È stato il consiglio esecutivo dell’associazione – erede del comitato che
Maria Luisa Di Pietro: su questi temi vogliamo risposte chiare e impegni concreti
sostenne la legge 40 contro i referendum abrogativi del giugno 2005 – a stilare ieri un breve documento nel quale si chiedono esplicite prese di posizione sulle questioni della vita. Proprio quei temi che i leader dei due principali schieramenti, Walter Veltroni e Silvio Berlusconi, hanno dichiarato di voler lasciare fuori dalla contesa, invocando, nel caso del leader del PdL, la libertà di coscienza. Mentre altri front runner, da Pier Ferdinando Casini a Fausto Bertinotti, hanno più volte fatto cenno, con diversi accenti e orientamenti, ai temi cosiddetti eticamente sensibili. Ed è «in particolare ai due maggiori partiti », oltre che a «tutte le forze politiche in campo », che l’associazione si rivolge. Non presentando richieste puntuali, ma sollecitando chiarezza, in modo da dare ai cittadini la possibilità di scegliere con cognizione di causa. Infatti, stiamo assistendo nello scenario politico a un «riassetto», accompagnato da «grandi novità che stanno emergendo sulla scena pubblica», nelle quali si inserisce la «sfida costituita dalla tecnoscienze». In questo scenario in mutamento, Scienza & Vita sottolinea la centralità che ha acquisito nel dibattito pubblico la «questione antropologica».
Allora non si può non affermare «che le questioni etiche sono anche e propriamente politiche e pertanto oggetto delle scelte partitiche e parlamentari». Perciò «in quanto tali» non sono «sottraibili, in virtù del semplice ricorso alla libertà di coscienza, al confronto de- mocratico, che è costitutivamente pubblico». Chiamano in causa l’informazione dei cittadini per decidere consapevolemente. In conclusione, il sodalizio invita i soci a «giudicare e scegliere in base alle risposte che le singole forze politiche forniranno sui temi indicati nel corso della campagna elettorale e alla luce dei valori propri dell’associazione».
«Ci aspettiamo delle risposte chiare, e a 360 gradi, su questioni che sono anche di tipo economico e assistenziale. Ma soprattutto impegni concreti e pratici, in cui si manifesti l’interesse per la vita, in particolare quella nascente, e per tutte le condizioni della sofferenza », spiega infine – a margine del consiglio – la bioeticista Maria Luisa Di Pietro, che presiede Scienza & Vita con il genetista Bruno Dallapiccola.
23/02/2008 12:31
IRAQ – TURCHIA
Vescovo di Arbil: un “grido di dolore” per l’attacco turco nel Kurdistan
Il presule, che parla a nome “dei suoi fratelli vescovi, dei leader religiosi musulmani e soprattutto della popolazione, l’unica vittima di questa aggressione”, condanna l’aggressione operata dall’esercito turco contro il territorio kurdo. Le zone colpite “non ospitano ribelli, solo civili”.
Arbil (AsiaNews) – Questo “è un grido di dolore rivolto alla comunità internazionale. Non lasciate che gli aerei turchi continuino a violare i cieli del Kurdistan ed a bombardarne il territorio: gli unici a soffrire sono civili innocenti. Oltre 200 villaggi colpiti, persone appena tornate che scappano di nuovo, violenza e paura: è questo il prezzo dell’aggressione che stiamo subendo”. Chi parla è mons. Rabban al Qas, vescovo di Arbil,che condanna l'attacco turco sul Kurdistan.
Le truppe turche hanno attraversato nella notte fra il 21 ed il 22 febbraio il confine con l’Iraq, in un’operazione mirata a colpire i separatisti kurdi del Pkk (Partito dei lavoratori del Kurdistan). L’operazione di terra fa seguito a colpi d’artiglieria e raid aerei che hanno preso di mira i presunti campi base del Pkk in territorio iracheno. Fino ad ora, sono almeno 44 le vittime accertate.
Il vescovo di Arbil, che parla a nome “dei miei fratelli vescovi, dei leader religiosi musulmani e soprattutto della popolazione, l’unica vittima di questa aggressione”. I carri armati turchi nel territorio iracheno e gli aerei di Ankara nei cieli “stanno distruggendo tutto ciò che abbiamo così faticosamente ricostruito negli ultimi anni”.
Secondo mons. al Qas, l’attacco sferrato nella notte di ieri dalle truppe turche in territorio kurdo “non è mirato a colpire i ribelli del Pkk. Quelli non si trovano nei villaggi vicino al confine, la zona colpita dai bombardamenti, ma lontano dalle montagne. Ho visto con i miei occhi 6 aerei turchi attaccare un villaggio cristiano dove non si erano mai viste installazioni militari”.
Appena le truppe sono penetrate nel territorio, “la popolazione è fuggita: questo è ancora più doloroso se si tiene conto di quanti sforzi ha fatto il governo provinciale per far tornare dalla Siria e dalla Giordania tutti coloro che erano fuggiti a causa della guerra. I turchi hanno distrutto dei ponti pedonali, fondamentali per spostarsi da un villaggio all’altro, ed hanno concentrato il loro raggio d’azione in zone abitate per lo più da civili cristiani”.
L’Europa e gli Stati Uniti, così come i cristiani ed i musulmani di tutto il mondo, “non possono rimanere indifferenti davanti a quello che è successo. Abbiamo bisogno dell’aiuto e delle preghiere di tutti: deve tornare la pace, o la situazione non tornerà mai più alla normalità”.
Il petroliere (There Will Be Blood)
(2008, USA) Genere: drammatico Durata: 156' Regia di: Paul Thomas Anderson con Daniel Day-Lewis, Paul Dano, Ciaran Hinds
Dal sito Sentieri del cinema
California: negli anni a cavallo tra ‘800 e ‘900, Daniel Plainview diventa ricco trovando il petrolio prima degli altri, spesso abbindolando comunità di ingenui. Con la sua feroce determinazione e il suo odio per il prossimo, si scontra nella cittadina di Little Boston con un predicatore spregiudicato che non vuol perdere il controllo sul “gregge”…
Molti hanno visto in Daniel Plainview, protagonista de “Il petroliere”, richiami a quel Charles Foster Kane, magnate della stampa, raffigurato in “Quarto potere” di Orson Welles; anche a partire da una definizione data di lui nel film: «È facile fare un sacco di soldi, se l’unica cosa che interessa è fare un sacco di soldi». Ma, se possibile, il personaggio di Daniel Plainview è ancora più estremo. Tratto da un romanzo degli anni ’20 di di Upton Sinclair e diretto da Paul Thomas Anderson, il film si apre con la scena di un uomo, agli inizi del 1900, intento a estrarre argento con pala e piccone. Solo e ostinato al punto che quando cade in una fossa e si rompe una gamba, da solo riemergerà e andrà avanti senza chiedere aiuto a nessuno e rimanendo zoppo per tutta la vita. Su questa tenacia, che non guarda in faccia a nessuno, Plainview costruirà il suo impero basato su un’interminabile processione di fusti di greggio. Ma sarà sempre un uomo che non ha amici né soci, amori o affetti familiari. Unico legame quello con un figlio adottivo, trattato però come un oggetto, buono giusto per far intenerire e trarre vantaggio dagli stupidi. Plainview (interpretato da Daniel Day-Lewis con impressionante bravura), è come un toro furioso, che considera nemici tutti gli uomini e Dio stesso. Troverà sulla sua strada, nella polverosa cittadina di Little Boston, un predicatore ambiguo e spregiudicato (Paul Dano, che si rivelò in “Little Miss Sunshine”), con cui si scontra fin dall’atto di vendita di un terreno brullo ma nelle cui viscere scorrono fiumi di petrolio. Tra i due l’odio divampa ben presto, per il controllo sulle persone soggiogate dalle rispettive personalità: una competizione sanguinosa e violenta, fino all’epilogo.
Quasi fosse l’anima nera del sogno americano, il desiderio di benessere e felicità diventano lungo il corso degli anni avidità, violenza e sopraffazione (che lo porteranno nel tempo a una disperata solitudine). Ne fanno le spese tutti quelli che si trovano a ostacolarlo, provocarlo, ingannarlo. Ma ne fa le spese anche il figlio adottivo, menomato da un incidente che lo rende sordo e abbandonato per alcuni anni in un ricovero. Un figlio che lo ama più di quanto sia amato.
“Il petroliere” (ma com’era più evocativo il titolo originale: “There will be blood”, ovvero ‘scorrerà del sangue’…) è un film epico, potente e appassionante, visivamente splendido, che alterna reminiscenze dal cinema classico ma sapendolo innovare in profondità (parte come un film muto, senza alcun dialogo; esplode in vari momenti con musiche – composte da Jonny Greenwood, chitarrista dei Radiohead – che parte da rumori anche dissonanti e aspri, come nel precedente film di Anderson “Ubriaco d’amore”). Giustamente, è il grande favorito ai prossimi premi Oscar con le sue 8 nomination (tra cui miglior film, miglior regia e miglior attore protagonista). Sicuramente resterà una pietra miliare del cinema americano. E il suo autore Paul Thomas Anderson, rivelatosi in “Boogie Nights” e acclamato nello splendido “Magnolia” (un film che, come questo, non si vergogna di parlare del Male) prenota uno spazio importante nel futuro di quest’Arte.
Beppe Musicco
Tematiche: avidità, ricchezza, petrolio, padre-figlio, rivalità, superstizione Target: adulti (qualche scena di violenza)
Non è un paese per vecchi (No Country For Old Men)
(2007, USA) Genere: drammatico Durata: 122' Regia di: Ethan e Joel Coen con Tommy Lee Jones, Josh Brolin, Javier Bardem, Kelly McDonald, Woody Harrelson
Dal sito Sentieri del cinema
Un cacciatore incappa in un massacro tra corrieri della droga e si impossessa di una borsa piena di soldi. Sulle sue tracce si mette un killer psicopatico e uno sceriffo che cerca di salvargli la vita.
È un America spietata e senz’anima quella che McCarthy svela nel suo libro “Non è un paese per vecchi” e portato sullo schermo dai fratelli registi Ethan e Joel Coen. Dovrebbe titolarsi forse, “Non è un paese per nessuno” a sentire le parole dello sceriffo Ed Tom Bell (Tommy Lee Jones), di fronte alla marea montante e irrefrenabile di un crimine disumano e totalmente privo di senso. Mentre scorrono le immagini di un Texas assolato e spoglio, sono le parole fuori campo dello sceriffo le prime che ascoltiamo. Bell ricorda di quando ha arrestato un giovane omicida che sarebbe di lì a poco andato – senza rimorsi -sulla sedia elettrica, e sullo schermo comincia l’impressionante sequenza di delitti di Anton Chigurh, un killer che gira con una pistola ad aria compressa usata nei mattatoi, con la quale senza esitazioni uccide chi gli si para davanti. Chigurh è stato prezzolato per trovare Llewellyn Moss, un uomo che mentre era a caccia si è imbattuto in un massacro tra trafficanti di droga. Moss è un uomo normale; fa il saldatore, ha una moglie, conduce una vita onesta. Ma di fronte a due milioni di dollari abbandonati in un furgone circondato di cadaveri, chi non sarebbe tentato? A tradirlo è un gesto compassionevole: mentre torna sul luogo del massacro per portare acqua all’unico superstite, viene visto. E comincia la caccia.
I fratelli Coen sono la coppia di registi cui molto deve il cinema degli ultimi anni (“Barton Fink”, “Mr. Hoola Hoop”, “L’uomo che non c’era”, “Il grande Lebowski”, “Fratello dove sei”), ma quello che più viene in mente guardando questo film è senza dubbio “Fargo”, un’opera magistrale sul crimine e le sue motivazioni. Confrontarsi con un’opera di McCarthy non è certo una cosa semplice e molti (fuori dell’America, principalmente), hanno visto il film dei Coen come un depauperamento del romanzo dello scrittore, considerato uno dei massimi viventi (ed cui si stanno girando le versioni cinematografiche de “La strada” e “Meridiano di sangue”). Nel libro, a far da contraltare alla crudeltà di cui il testo è disseminato, ci sono le parole che lo sceriffo dice alla moglie, ai suoi vice o semplicemente a se stesso, quando osserva con disincanto come la droga e il denaro stiano cancellando ogni forma di umanità, a partire dalle cose che sembrano più semplici e banali. È vero, non tutto è stato riportato nel film, che ha un andamento molto più concitato e compresso, e forse la cosa di cui si sente più la mancanza è la riflessione finale dello sceriffo sul motivo e il significato del lavoro. Ma l’opera dei Coen riesce comunque a mantenere il tono che McCarthy ha impresso alla storia, grazie alla felicissima scelta degli interpreti: Javier Bardem, con un’espressione pietrificata e un’acconciatura incredibile riesce a trasmettere perfettamente l’alienità di Anton Chigurh; Josh Brolin, nei panni di Moss, che si assume la responsabilità della sua irrimediabile scelta; ma soprattutto Tommy Lee Jones è esattamente come il lettore si immagina debba essere lo sceriffo Bell. Asciutto, misurato, ironico, come quando sembra temere più la moglie dei criminali cui dà la caccia. E tragicamente consapevole di quanto sta accadendo: «Tutto comincia quando inizia a trascurare le buone maniere. Quando non senti più dire “signore” e “signora”, sai che la fine è vicina». “Non è un paese per vecchi” probabilmente non è un film perfetto, ma di certo è uno dei migliori che i Coen abbiano girato e si merita fino in fondo le otto nomination all’Oscar 2008.
Beppe Musicco
Tematiche: crimine, vendetta, giustizia, droga, modernità Target: adulti (molte scene di violenza efferata)
Un confronto fra Il “Petroliere” e “Non è un paese per vecchi”" di Daniela Persico
Dal sito Sentieri del cinema
Da qualche tempo il cinema indipendente americano viene guardato con sempre maggior attenzione dagli Oscar. I talenti emersi negli anni Novanta, un gruppo di registi giovani e intellettuali, in genere faticano a trovare un largo plauso dagli States, ricevendo invece un’immediata celebrazione dai festival soprattutto europei. E invece da alcuni anni – come hanno capito anche le major che investono anche in questo tipo di cinema indipendente come tensioni , ma non più tale perché prodotto con i soldi di Hollywood - quegli autori sono sempre più protagonisti anche agli Oscar. E in questo inizio di primavera speciale, carico delle tensioni di una campagna elettorale che attraversa senza sosta l’America, l’Academy ha scelto addirittura di celebrare due film “d’autore” con una pioggia di statuette. Otto a testa per la precisione. Otto per “Il petroliere” di Paul Thomas Anderson e otto per “Non è un paese per vecchi” dei fratelli Coen. Ritorna non soltanto l’autore ma anche il profondo Sud raccontato in storie di confine, cariche di tensione morale in un mondo in cui continua un’estenuante lotta tra il Bene e il Male.
Anderson prende spunto dal primo centinaio di pagine del romanzo Oil! scritto negli anni venti da Upton Sinclair. La vicenda del tycoon Plainview (Daniel Day Lewis in un’altra interpretazione memorabile), partito da minatore alla ricerca dell’oro e finito come magnate del petrolio, diventa una parabola asciutta e necessaria. Lontano dalle storie corali che resero noto al grande pubblico il regista (già riconosciuto dalla critica come erede naturale di Altman), “Il Petroliere” – che ha aperto con applausi il Festival di Berlino – è un’opera essenziale, un’elaborazione sul tema di Saturno che è pronto a divorare i propri figli, avido di un potere assoluto conferito dal denaro, da quel terribile oro nero che sembra da sempre scorrere nelle vene di Plainview. Accanto a lui, c’è un altro mistificatore: il predicatore invasato Eli Sunday (il giovane e sorprendente Paul Dano), pronto a vendere la propria terra (ma si direbbe anche la propria famiglia) pur di ottenere il denaro per costruire la “sua” chiesa. Il potere che sconvolge le menti di due uomini: entrambi convinti d’essere dei profeti, entrambi convinti della propria superiorità, entrambi disperatamente soli e bisognosi di qualcuno a cui aggrapparsi. Nella vivida luce del Texas si levano le torri del petrolio e in una complessità di suoni (creati dalla discronica mente di Jonny Greenwood dei Radiohead) si staglia una società che abbandona l’umano, lo dimentica o lo baratta per qualche soldo. Per loro sembra restare solo un monito, biblico ed eterno: “there will be blood” come recita lo straordinario titolo originale.
Il Texas riprende vita e calore in Non è un paese per vecchi dei Coen, girato a poca distanza dal film di Anderson. Anche qui all’origine c’è un romanzo: l’omonimo libro di Cormac McCarthy. L’avventura al confine tra Stati Uniti e Texas tra una figura malefica e lo sceriffo, uomo di fede e dai modi puliti, che sta per andare in pensione, è lo spunto per un’elaborata lotta tra il Male e il Bene. Abbandonando i toni lirici del testo, i Coen mantengono la storia intatta ma trasformano i personaggi. Lo sceriffo (un sempre più bravo Tommy Lee Jones) rappresenta il bene, la cui semplicità diventa talvolta banale come avveniva nel personaggio della poliziotta incinta protagonista di Fargo; il male, luciferino e assoluto in McCarthy, diventa il sornione Javier Bardem, scalfito ma non annientato da quel cielo carico di una Presenza nelle pagine del libro, che diventa sullo schermo piuttosto “uno scherzo del destino”.
Dal tragico alla farsa, da John Huston a Howard Hawks, ecco che il cinema americano – dopo troppe annate deboli – riesce a ripensare alle origini della propria società, sviscerando nodi complessi di un sistema in continuo moto.
Daniela Persico
Sweeney Todd: Il diabolico barbiere di Fleet Street ((Sweeney Todd: The Demon Barber of Fleet Street))
Dal sito Sentieri del cinema
(2007, Usa/Gran Bretagna ) Genere: Musical Durata: 116' Regia di: Tim Burton con Johnny Depp, Helena Bonham Carter, Alan Rickman, Sacha Baron Coen
Benjamin Barker è stato incarcerato ingiustamente da un giudice che ambiva alla bella moglie. Tornato libero nei vicoli di Londra, l’uomo si rende conto che la sua vita è distrutta: la moglie, sopraffatta dalla vergogna, ha ingerito il veleno e la figlioletta è tenuta prigioniera nell’elegante dimora del giudice. Così Benjamin si trasforma in Sweney Todd, vendicatore solitario: nella sua bottega di barbiere sgozza i clienti trasformati in pasticci di carne dalla zitella Lovett, che gestisce il negozio sottostante.
Strutturato come un’opera lirica (con la coppia di giovani innamorati, il padre vendicatore, l’antagonista che detiene il potere sociale, persino la voce bianca di un piccolo orfano che segue tutta la storia), il musical di Sondheim e Wheeler è totalmente trasformato dalla passione di Tim Burton per i suoi personaggi. Oltre le canzoni, oltre gli inutili intrecci narrativi, oltre la solita coreografia gotica, al regista interessa scolpire questo eroe solitario, incrocio tra il suo Batman e Edward mani di forbice, ancora una volta interpretato da uno straordinario Johnny Depp. Ma in questa fiaba dalle suggestioni arcaiche non c’è più l’incanto: in una società che non capisce i diversi e che distrugge l’innocenza, la salvezza non esiste. L’immaginario di Burton è questa volta intriso di nero pece e rosso sangue (con schizzi di sangue di una vernice talmente sgargiante da ricordare "Suspiria" di Dario Argento) e trascina gli adulti direttamente nelle fiamme dell’inferno. Disperato come non ci saremmo mai aspettati da Burton, cantore di fiabe gotiche che ultimamente si aprivano a squarci d’amore ("La sposa cadavere", "Big Fish").
Daniela Persico
Tematiche: vendetta, omicidio Target: solo per un pubblico adulto e non impressionabile