Nella rassegna stampa di oggi:
1) Regina Pacis Di Medjugorje Messaggio del 2 Ottobre 2010 a Mirjana “Cari figli, oggi vi invito, ad una umile, figli miei, umile devozione. I vostri cuori devono essere giusti. Che le vostre croci siano per voi un mezzo nella lotta contro il peccato odierno. Che la vostra arma sia, sia la pazienza che un amore sconfinato. Un amore che sa aspettare e che vi renderà capaci di riconoscere i segni di Dio, affinché la vostra vita con amore umile mostri la verità a tutti coloro che la cercano nella tenebra della menzogna. Figli miei, apostoli miei, aiutatemi ad aprire le strade a mio Figlio. Ancora una volta vi invito alla preghiera per i vostri pastori. Con loro trionferò. Vi ringrazio”.
2) Un Ratzinger di quattro secoli fa. A Pechino - La straordinaria somiglianza tra il metodo missionario di Matteo Ricci nella Cina del Seicento e il dialogo tra cristianesimo e culture proposto oggi da Benedetto XVI - di Sandro Magister
3) Rifiutare i bambini? “Verde” ma senza speranza - Autore: Tanduo, Luca e Paolo Curatore: Leonardi, Enrico - Fonte: CulturaCattolica.it - giovedì 30 settembre 2010
4) L'Opus Dei ha dato una geniale visione del lavoro e relativa santificazione anche tra le classi più elevate. Non una posizione per pochi, ma di giusta considerazione. Calunnie alimentate da settori laicisti ed anticlericali di Bruno Volpe – dal sito http://www.pontifex.roma.it
5) La Filocalia di Clément - Olivier Clément NUOVA FILOCALIA Qiqajon. Pagine 514. Euro 40 ,00 - spiritualità -Una presentazione della fede cristiana attraverso i Padri della Chiesa, lascito del grande teologo ortodosso scomparso lo scorso anno di DI GIORGIO DE SIMONE – Avvenire, 2 ottobre 2010
6) Il Papa al termine del concerto dell'orchestra e del coro dell'Accademia nazionale di Santa Cecilia - La fede è una forza diversa (©L'Osservatore Romano - 3 ottobre 2010)
Un Ratzinger di quattro secoli fa. A Pechino - La straordinaria somiglianza tra il metodo missionario di Matteo Ricci nella Cina del Seicento e il dialogo tra cristianesimo e culture proposto oggi da Benedetto XVI - di Sandro Magister
ROMA, 1 ottobre 2010 – Nell'importante discorso tenuto a Londra nella Westminster Hall il 17 settembre, Benedetto XVI l'ha affermato nel modo più netto:
"Le norme oggettive che governano il retto agire sono accessibili alla ragione, prescindendo dal contenuto della rivelazione".
E quindi ha proseguito:
"Il ruolo della religione nel dibattito pubblico non è tanto quello di fornire tali norme, come se esse non potessero esser conosciute dai non credenti, [...] bensì piuttosto di aiutare nel purificare e gettare luce sull’applicazione della ragione nella scoperta dei principi morali oggettivi".
L'intreccio positivo tra fede e ragione è un caposaldo di questo pontificato. Ma anche prima d'essere eletto papa Joseph Ratzinger vi aveva insistito più volte. Ad esempio nel memorabile dibattito che ebbe con il filosofo tedesco Jürgen Habermas a Monaco di Baviera nel 2004.
In quell'occasione Ratzinger disse che i principi razionali accessibili a tutti dovrebbero essere alla base del dialogo interculturale e interreligioso. E fece un accenno alla Cina: "Ciò che per i cristiani ha a che fare con la creazione e il Creatore, nella tradizione cinese corrisponderebbe all'idea degli ordinamenti celesti".
*
La Cina è una delle sfide più colossali che oggi la Chiesa cattolica è chiamata ad affrontare. E non solo per motivi attinenti alla libertà religiosa.
La distanza, infatti, tra la visione occidentale e cristiana del mondo e quella delle grandi civiltà dell'Oriente – non solo la Cina ma anche l'India e il Giappone – è decisamente più profonda di quella con l'islam, una religione storica che ha pur sempre molti tratti comuni con l'ebraismo e il cristianesimo.
La sfida è tanto più forte oggi, con la Cina che assurge a nuova superpotenza mondiale. Ma lo è stata anche in passato.
Tra il Cinquecento e il Seicento raccolse questa sfida un missionario geniale, il gesuita italiano Matteo Ricci, di cui ricorre nel 2010 il quarto centenario della morte, con mostre, studi e convegni anche in Cina, dove egli è considerato una gloria nazionale. Di lui è anche in corso il processo di beatificazione.
Ricci, nel dialogare con gli uomini di cultura della Pechino dell'epoca, adottò un approccio straordinariamente simile quello oggi proposto da Benedetto XVI. Sapeva bene che il Vangelo cristiano era una novità assoluta, venuta da Dio. Ma sapeva che anche la ragione umana ha origine nell'unico Signore del Cielo, ed è comune a tutti coloro che vivono sotto lo stesso cielo.
Egli dunque confidava che anche i cinesi potessero accogliere "le cose della nostra santa fede", se "confermate con tanta evidentia di ragioni".
Il suo annuncio della novità cristiana fu dunque graduale. Prendeva le mosse dai principi sapienziali del confucianesimo, dai tratti comuni che essi avevano con la visione cristiana di Dio e del mondo, per elevarsi man mano alla novità assoluta del Figlio di Dio fatto uomo in Gesù.
Non altrettanto fece Matteo Ricci con il buddismo e il taosimo, che sottopose invece a severa critica. Un po' come avevano fatto prima di lui i Padri della Chiesa, criticissimi nei confronti della religione pagana ma in rispettoso dialogo con la sapienza dei filosofi.
Su questo tratto geniale dell'opera missionaria di Matteo Ricci, ha scritto un libro importante un suo odierno successore nella missione: padre Gianni Criveller, 49 anni, del Pontificio Istituto Missioni Estere di Milano, da vent'anni attivo in Cina, docente all’Holy Spirit Seminary College e all'Università Cinese di Hong Kong e autore di numerosi saggi.
Il brano che segue è tratto dal capitolo centrale del libro. E getta luce non solo su come Matteo Ricci agì quattro secoli fa, ma anche su come il cristianesimo può oggi affrontare la sfida cinese, con un metodo che è lo stesso proposto dall'attuale papa.
__________
IL METODO DELL'"ACCOMODAMENTO"
di Gianni Criveller
Il metodo dell’accomodamento, centrale nell’attività missionaria di Matteo Ricci, ha le sue radici teologiche nel pensiero di Tommaso d'Aquino e di Erasmo da Rotterdam. Era uno strumento ermeneutico adatto ad affrontare complesse questioni culturali e religiose, con le loro implicazioni dottrinali.
Ricci notò che molti brani dei testi classici cinesi concordavano con la dottrina cristiana e propose un parallelo tra il rapporto del cristianesimo con la cultura greco-romana e quello del cristianesimo stesso con il pensiero confuciano.
La distinzione tra la dottrina originale dei classici e i successivi commentari neo-confuciani è un punto chiave nell’interpretazione del confucianesimo data da Ricci. Egli affermò che gli antichi credevano in un Dio creatore: i termini antichi “Sovrano dall’alto” (Shangdi) e “Cielo” (Tian), non sono impersonali e immanenti, ma personali e trascendenti. Ricci, dunque, adottò i termini "Sovrano dall’alto" e "Cielo", insieme al neologismo “Signore del Cielo” (Tianzhu), per tradurre il nome di Dio.
Un’ulteriore e fondamentale prova dell’accomodamento come strumento ermeneutico si trova nel metodo utilizzato da Ricci per predicare e scrivere libri di argomento religioso. In "Della entrata della Compagnia di Giesù e Christianità nella Cina" e in numerose lettere, Ricci illustra eloquentemente il suo metodo catechetico, basato sulla netta distinzione tra catechismo e dottrina cristiana.
Il "Catechismo" di Ricci, pubblicato nel 1603 dopo anni di elaborazione col titolo "Il vero significato del Signore del Cielo", era una presentazione di concetti fondamentali come l’esistenza di Dio e la retribuzione del bene e del male, in dialogo con i letterati confuciani e in polemica con buddhisti e taoisti.
La "Dottrina christiana" ("Dottrina del Signore del Cielo", 1605), conteneva un resoconto completo della dottrina cristiana per catecumeni e credenti: la dottrina della Trinità e del Cristo, le Sacre Scritture, i sacramenti, i precetti della Chiesa, le preghiere cristiane, ecc. [...]
Il "Catechismo" era dunque una rappresentazione cristiana del contesto culturale e dei classici cinesi. Nel 1609, in una lettera al vice-provinciale dei gesuiti in Giappone, Francesco Pasio, Ricci dava la seguente interpretazione teologica dei testi confuciani: “Esaminando bene tutti questi libri, ritroveremo in essi pochissime cose contra il lume della ragione e moltissime conforme a essa.” [...]
Nel "Catechismo", che è il libro più importante di Ricci, Gesù è menzionato solo nell’ottavo e ultimo capitolo, come maestro e operatore di miracoli inviato da Dio. Tuttavia, il capitolo non descrive esplicitamente Gesù come figlio di Dio e salvatore dell’umanità. Vi si legge piuttosto che il suo insegnamento è la base della civiltà occidentale e dopo la venuta di Gesù “molte nazioni occidentali hanno compiuto grandi progressi nella via della civilizzazione”. L'intento era che la figura di Gesù avrebbe suscitato un certo interesse nei letterati confuciani se fosse stata vista come un equivalente occidentale dei “maestri” nella tradizione filosofica cinese. Ciononostante, Ricci evita di proporre un paragone diretto tra Gesù e Confucio. Gesù, in realtà, è presentato come superiore a tutti gli altri maestri, santi e re. Per quanto cerchi di mettersi sullo stesso piano dei suoi interlocutori confuciani, Ricci afferma sempre la superiorità di Cristo. [...]
La "Dottrina christiana" contiene invece gli insegnamenti della rivelazione, essenziali per ricevere il battesimo e praticare una vita cristiana. Era pubblicata anonima perché il suo contenuto non era altro che l’insegnamento tradizionale cristiano: nessuno avrebbe potuto apporre la propria firma alla dottrina comune, tramandata da sempre. [...] L’unica cosa che le manca nella prima edizione sono i cinque precetti della Chiesa. A quel tempo i cristiani battezzati erano in Cina soltanto 500, sparsi in varie città e senza alcuna organizzazione ecclesiastica, e Ricci probabilmente pensò che introdurre i cinque precetti in Cina fosse prematuro e inattuabile. [...]
Ricci applicò la distinzione tra catechismo e dottrina cristiana anche alla sua predicazione orale, adottando tra quelli che in seguito verranno chiamati “apostolato indiretto” e “apostolato diretto”. Il primo aveva come interlocutori i letterati confuciani; il secondo i catecumeni e i battezzati.
Quando praticava la predicazione indiretta nei suoi incontri con i letterati, Ricci utilizzava il dialogo e la disputa secondo il modello dei testi classici cinesi e occidentali. Le sue conversazioni partivano dalla trattazione di temi scientifici, etici e filosofici, sviluppando gli elementi simili nei classici cinesi e occidentali a supporto delle proprie argomentazioni. Successivamente Ricci conduceva gli interlocutori a discutere di credenze religiose ed etiche, come l’esistenza di Dio, l’immortalità dell’anima, la ricompensa dei buoni in paradiso e il castigo dei malvagi all’inferno. [...]
Il "Catechismo" di Ricci, ossia "Il vero significato del Signore del Cielo", non era scritto soltanto per i letterati, i convertiti e i catecumeni, ma anche per gli oppositori della fede e per chiunque fosse interessato. Era un libro per tutti e comprensibile da chiunque e, come tale, fu stampato in numerose copie e diffuso in tutta la Cina. I libri viaggiavano anche senza i missionari e raggiungevano le nazioni vicine: Corea, Giappone e Vietnam. [...]
Viceversa, la "Dottrina christiana" non era stata compilata per essere distribuita a chiunque, ma per i cristiani e i catecumeni. Tuttavia, questo libro veniva occasionalmente dato anche a non cristiani verso i quali i missionari nutrivano fondate speranze di conversione. La dinamica della missione in Cina era più complessa di quanto una qualsiasi semplice schematizzazione possa rendere l’idea. C’è qualcosa di simile tra il metodo di Ricci e la catechesi dei primi secoli del cristianesimo, quando si prevedeva per i catecumeni un’introduzione graduale, a tappe, ai misteri della fede.
__________
Il libro:
Gianni Criveller, "Matteo Ricci. Missione e ragione, una biografia intellettuale", PIME, Milano, 2010, pp. 130, euro 13,00.
Rifiutare i bambini? “Verde” ma senza speranza - Autore: Tanduo, Luca e Paolo Curatore: Leonardi, Enrico - Fonte: CulturaCattolica.it - giovedì 30 settembre 2010
Quest’estate sulla famiglia e più in generale sulla denatalità in Italia, su giornali italiani e stranieri, sono stati pubblicati molti articoli, statistiche, interviste.
L’Italia spende per la famiglia l’1,4% (cioè sui 22-23 miliardi di euro) del Prodotto interno lordo, lontana dal 2,1% di media nella Ue a 15 e dal 2% della complessiva Unione a 27; la Germania e l’Austria spendono il 2,8%, la Francia il 2,5% ed i paesi scandinavi oltre il 3%. L’Italia è uno dei paesi col più basso tasso di natalità del mondo e che spende meno per maternità e famiglia. Spesso si afferma l’equazione: pochi soldi per le famiglie uguale scarsa natalità. Ma non tutti la pensano così. Studiosi seri e riconosciuti come tali hanno commentato la situazione italiana diversamente. In particolare Ettore Gotti Tedeschi, professore emerito dell’Università Cattolica e neopresidente dello IOR, ha avuto il coraggio di affermare che la denatalità è legata soprattutto ad un aspetto culturale.
Da decenni la cultura laicista occidentale, appoggiata da giornali e da gruppi economici e scientifici, va invece affermando l’equazione che meno si è numericamente, più si è ricchi.
Per Gotti Tedeschi, e noi condividiamo, questa idea e cultura si sono dimostrate perdenti sotto tutti i punti di vista: economico, sociale, finanziario. La bassa natalità aumenta la proporzione della popolazione che invecchia e quindi le spese sociali, alimenta la crisi abbassando risparmi e consumi, con conseguente aumento delle tasse che senza un aumento della popolazione non possono diminuire, e causa secondo Gotti Tedeschi i presupposti per la crisi economica.
Inoltre una popolazione che invecchia ha meno propensione al rischio, è meno orientata al futuro, a produrre, a cambiare e migliorare la società, a spendere ed a investire. Ciononostante da anni c’è chi predica la denatalità e addirittura la decrescita e, adesso che questo si sta verificando, ci si rende conto che tutto ciò non è affatto meglio, e che invece la società deve puntare sulla crescita demografica ed economica che per secoli sono state alla base dello sviluppo occidentale. La conferma la si può vedere guardando ai paesi asiatici o ai paesi emergenti, o andando a ripercorrere la storia economica dell’Europa, in cui la crescita si è verificata con il contemporaneo aumento della popolazione e della qualità della vita, creando un circolo virtuoso.
Bisogna tornare ad avere il coraggio di guardare al futuro, di rischiare sia dal punto di vista economico che culturale che demografico, puntando all’aumento della natalità.
Chi pensa che per poter fare figli sia necessario uno standard economico di garanzia, pur essendo il fattore economico importante, in verità antepone un discorso un po’ egoistico, che teme che l’aumento dei figli diminuisca il tenore di vita. Esemplare quanto apparso recentemente sull’inserto IO Donna del più importante e diffuso giornale italiano, dove vengono riportate diverse testimonianze che suggeriscono un elogio alla vita senza bambini, cosa non certo nuova, come sottolinea lo stesso inserto che cita libri e film che hanno avuto ampio successo e diffusione. C’è addirittura chi sostiene che il non procreare non è solo un diritto, che non solo ci si risparmiano problemi e spese, ma che è una scelta “verde”. Preoccupanti i dati riportati che evidenziano una tendenza culturale presente nel mondo occidentale; secondo una ricerca citata dalla Hymas, nel 2002 il 59 % degli adulti americani negavano che una vita senza figli fosse vuota (nell’88, erano il 39 %), e solo il 41 %, nel 2007, pensava che i figli fossero centrali nel matrimonio (erano 65 su cento nel ’90). Sempre i bambini e i giovani sono stati il futuro delle nazioni e delle civiltà, allora per evitare che si avveri la previsione un po’ catastrofista del Washington Post, che ha intitolato un articolo “Italy R.I.P” (requiescat in pace) in cui si prevede che nel giro di qualche decennio gli Italiani saranno solo 10 milioni, serve un cambio di politica veramente a favore della famiglia e soprattutto un cambiamento a livello culturale.
L'Opus Dei ha dato una geniale visione del lavoro e relativa santificazione anche tra le classi più elevate. Non una posizione per pochi, ma di giusta considerazione. Calunnie alimentate da settori laicisti ed anticlericali di Bruno Volpe – dal sito http://www.pontifex.roma.it
Il due ottobre ricorre l'anniversario della Fondazione dell'Opus Dei, quella straordinaria e gloriosa Prelatura, nata da una geniale intuizione del suo Padre, San Jose Maria Escrivà, santo dei tempi moderni, un "rivoluzionario della fede", uomo che seppe guardare con straordinaria lucidità molto lontano precorrendo i tempi. Dell'Opus Dei parliamo con il professor Massimo Introvigne, sociologo e esperto autorevole di questioni di chiesa. Professor Introvigne, ricorre la data di fondazione dell'Opera: "una tappa molto importante e seria per tutta la Chiesa cattolica ed il suo popolo. San Jose Maria ebbe geniali, ottime intuizioni e specialmente quella della santificazione del lavoro e nel lavoro". Che cosa significa? "sino al suo tempo,una visione tradizionalista ed anche un tantino retorica, premiava quasi e soltanto manuale e non intellettuale. Il Santo di Barbastro, al contrario, si rende conto che anche gli intellettuali, ossia coloro i quali hanno completato studi elevati o appartengono a classi sociali di prestigio, possono santificarsi attraverso il lavoro".
Una delle tante calunnie che infangano la benemerita Obra, é quella di una parte ricca della Chiesa o chiusa in sé stessa: "guardi, credo che sia una colossale baggianata ed un luogo comune come i tanti che hanno circondati la chiesa nel suo passato e che per esempio, hanno colpito anche i gesuiti. Invero l'Opus non é aperta a tutti, poveri e ricchi, non risponde alla verità che sia una Prelatura di soli abbienti. Certamente ci sono anche quelli, ed é un bene che ceti quali banchieri, architetti di grido e avvocati di successo, siano orientati al cattolicesimo. Ma spesso quando si riflette che persone con incarichi rilevanti sposino la causa cattolica, si hanno reazioni inconsulte e calunniose da parte di chi vuole emarginare la Chiesa e i cattolici da ogni potere decisionale nella società".
Che cosa significa santificarsi nel lavoro? "svolgere con scrupolo e coscienza, competenza e professionalità i propri compiti dal più umile al più importante e considerare che il lavoro ben fatto é gradito a Dio,perché diventa un servizio per gli altri e non per sé stessi e dunque obbedisce alla logica dell'amore".
Per quale motivo tante leggende nere hanno circondato la Opus Dei? "semplice. Quando esiste una voce con forza e chiarezza e autorevolezza cose che obbediscono rigidamente alla ortodossia della Chiesa questa viene avversata con forza dai soliti poteri massonici o laicisti. Anzi credo che sia una cosa positiva l'attacco, significa che si é colto nel segno".
Bruno Volpe
La Filocalia di Clément - Olivier Clément NUOVA FILOCALIA Qiqajon. Pagine 514. Euro 40 ,00 - spiritualità -Una presentazione della fede cristiana attraverso i Padri della Chiesa, lascito del grande teologo ortodosso scomparso lo scorso anno di DI GIORGIO DE SIMONE – Avvenire, 2 ottobre 2010
Passare tra le grandi parole dei padri e non avere paura: questo il percorso scelto da Olivier Clément per una Nuova Filocalia , come dire una ritrovata bellezza del discorso cristiano. Percorso non facile, se non altro per il numero e la ricchezza dei testi, ma Clément (1923-2009) è stato e resta un maestro, ricercatore incessante della spiritualità che dai primi secoli arriva a noi portandoci, con la parola e la resurrezione del Cristo, il senso del vivere. Nato nel sud della Francia in una famiglia atea e ateo egli stesso fino a trent’anni, è diventato un protagonista della letteratura e della teologia cristiana ortodossa di tutta la seconda metà del secolo scorso. Per questo viaggio la sua scelta è stata di procedere sotto la chiarificante scorta dei padri.
Che monaci, «grandi intelligenze illuminate dallo Spirito», oppure vescovi, pastori di chiese locali, predicatori della «notizia», trasmettono pensieri che ci prendono per come li sentiamo profondi e freschi, carichi di speranza e di fede. Siamo, con molti di loro, nei primi tempi del cristianesimo: nel secondo secolo con Clemente di Alessandria e Ireneo di Lione, nel terzo con Origene, Cipriano di Cartagine, nel quarto con Evagrio Pontico, Ilario di Poitiers, Giovanni Crisostomo e i grandi cappadoci Basilio Magno, Gregorio di Nissa, Gregorio di Nazianzo, nel quarto-quinto con Agostino, nel quinto-sesto con Dionigi l’Areopagita. Ma siamo, in ogni caso, con quella Chiesa antica per la quale l’uomo spirituale è già un risorto. E non a caso spiritualità della resurrezione Clément vuole che sia considerata quella che presiede a tutto il suo viaggio. («Perché la resurrezione comincia sin da ora.È la vita nella sua pienezza, la vita – in definitiva – capace di assimilare, di trasformare, di sorpassare la morte»).
Partito alla ricerca di una «intelligenza del mistero» (titolo della prima parte), Clément esplora prima il «Dio nascosto, il Dio cosmico», quindi il «Dio-uomo» e, via via, quel luogo per rinascere che è l’ekklesìa, quindi l’eucaristia, le pietre, gli uomini e i «superamenti»: della passioni e dello stesso pensiero per giungere dov’è la gloria di Dio nascosta negli esseri, alle «frontiere dell’Inaccessibile ». Mirabile viaggio, in definitiva, ma quante le difficoltà, le prove, i dubbi. E quanto aspro il combattimento. La preghiera, allora, questa «conversazione dell’intelletto con Dio», come dice Evagrio Pontico. La preghiera «perché nel mondo sono molte le cose che oscurano la vista, disturbano l’udito e il gusto » (Giovanni Crisostomo). Rifugiarsi allora dove la calma è completa e il rumore assente. Dove gli occhi si fissano solo in Dio, le orecchie ascoltano le parole divine e di tutto ciò che succede fuori non si percepisce che «un rumore insignificante e fastidioso, simile al ronzio delle vespe».
Quando chiesero ad abba Macario come si dovesse pregare, la risposta fu: «Non c’è affatto bisogno di perdersi in parole: basta tendere le mani e dire: 'Signore, come vuoi e come sai: abbi pietà'. Ma diversi restano per noi i modi della preghiera: si prega per supplicare, per promettere, per domandare, per lodare e chissà per che altro ancora. Mentre, su tutto, da cercare è l’intrattenimento con Dio come con nostro padre, il Padre Nostro». Si può chiudere qui il viaggio di Clément, ma per subito riaprirsi.
Configurato in un percorso preciso, chiuso in una sua struttura organica, come un giardino pieno di fontane è arricchito da un’infinità di zampilli. La Nuova Filocalia
è perciò sì un tragitto, ma come scrive Enzo Bianchi nella prefazione, è anche un florilegio, un «mazzo multicolore» dove, nel rifrangersi dei testi di Oriente e di Occidente, si snoda la «multiforme sapienza di Dio». Un’antologia, un vero e proprio livre de chevet dunque, tanto più opportuno e confacente in quanto, parola dello stesso Clément, «per i più oggi il cristianesimo è uno sconosciuto». Sa così il cielo quanto bisogno ci sia di un ritorno alle origini, alle essenze.
Quanto di ritrovare l’amore «agapico » che raccomandavano i padri, amore di carità e di prossimo, amore arduo, amore grande.
Il Papa al termine del concerto dell'orchestra e del coro dell'Accademia nazionale di Santa Cecilia - La fede è una forza diversa (©L'Osservatore Romano - 3 ottobre 2010)
"L'opera d'arte più bella, il capolavoro dell'essere umano è ogni suo atto di amore autentico, dal più piccolo - nel martirio quotidiano - fino all'estremo sacrificio". Lo ha detto il Papa al termine del concerto eseguito nel pomeriggio di venerdì 1° ottobre, nell'Aula Paolo VI, dall'orchestra e dal coro dell'Accademia nazionale di Santa Cecilia.
Venerati Fratelli,
illustri Signori e Signore, cari fratelli e sorelle!
Desidero prima di tutto rivolgere il mio sentito ringraziamento all'Eni, nella persona del Presidente, Prof. Roberto Poli, che ha cortesemente introdotto questa serata. Già da tempo l'Eni aveva offerto di organizzare un concerto in concomitanza con i lavori di restauro dei prospetti laterali della Basilica di San Pietro. Dopo aver realizzato la memorabile pulitura della facciata, ammirata da milioni di pellegrini durante il Giubileo del 2000, questa ulteriore, grande opera è in pieno svolgimento: entrando in Vaticano dall'Arco delle Campane o dal Petriano, si rimane colpiti - guardando la parte già ultimata - dall'aspetto del travertino, che appare come mai l'abbiamo veduto, quasi morbido e vellutato. Anche questo è un grande lavoro "di orchestra", e meritano un applauso tutti coloro che lo dirigono e quanti lo eseguono, con maestria e con fatica!
E così l'Eni ha pensato ad un concerto - forse per compensare i rumori che inevitabilmente questi lavori producono! Per questo sono stati chiamati l'Orchestra e il Coro dell'Accademia Nazionale di Santa Cecilia, vale a dire due istituzioni che, per la loro storia, la qualità della loro arte e il suono tipicamente "italiano", rappresentano Roma e l'Italia nel panorama musicale mondiale. A tutti gli Orchestrali e i Coristi vorrei porgere le mie congratulazioni, con l'augurio di potersi sempre rinnovare nello spirito, per dare vita - come questa sera - ad opere immortali. In particolare, esprimo vivo apprezzamento al Direttore Neeme Järvi, al pianista Andrea Lucchesini e al Maestro del Coro Ciro Visco. Un saluto speciale anche al gruppo di poveri, assistiti dalla Caritas diocesana, che ho voluto invitare per vivere con noi questo momento di gioia.
Ed ora una breve riflessione sulla musica che abbiamo ascoltato: una sinfonia di Haydn, del gruppo delle "Londinesi", detta "La sorpresa", o "mit dem Paukenschlag" per il caratteristico uso del timpano nel secondo tempo; la Fantasia corale di Beethoven, un brano abbastanza atipico come genere nel panorama beethoveniano, ma che mostra sinteticamente le possibilità espressive della musica solistica, orchestrale e corale; e, collocata in mezzo, la Cecilia, vergine romana di Arvo Pärt. Le due opere di Haydn e di Beethoven hanno fatto risuonare tutta la ricchezza e la potenza della musica sinfonica del periodo classico e romantico: con essa il genio umano gareggia in creatività con la natura, dà vita ad armonie varie e multiformi, dove anche la voce umana partecipa di questo linguaggio, che è come un riflesso della grande sinfonia cosmica. Tale forma è caratteristica soprattutto del periodo romantico e tardo romantico, ma va oltre, rappresenta una dimensione universale dell'arte, un modo di concepire l'uomo e il suo posto nel mondo.
Invece l'opera di Pärt, pur avvalendosi anch'essa di uno strumento simile, un'orchestra sinfonica ed un coro, vuole dare voce ad un'altra realtà, che non appartiene al mondo naturale: dà voce alla testimonianza della fede in Cristo, che in una parola si dice "martirio". È interessante che questa testimonianza sia impersonata proprio da santa Cecilia: una martire che è anche la patrona della musica e del bel canto.
Bisogna dunque congratularsi anche con chi ha ideato il programma del concerto, perché l'accostamento di questo lavoro su santa Cecilia alle opere di Haydn e Beethoven offre un contrasto ricco di significato, che invita a riflettere. Il testo del martirio della Santa e il particolare stile che lo interpreta in chiave musicale, sembrano rappresentare il posto e il compito della fede nell'universo: in mezzo alle forze vitali della natura, che sono intorno all'uomo e anche dentro di lui, la fede è una forza diversa, che risponde a una parola profonda, "uscita dal silenzio", come direbbe sant'Ignazio di Antiochia. La parola della fede ha bisogno di un grande silenzio interiore, per ascoltare e obbedire ad una voce che è oltre il visibile e il tangibile. Questa voce parla anche attraverso i fenomeni della natura, perché è la potenza che ha creato e governa l'universo; ma per riconoscerla ci vuole un cuore umile e obbediente - come ci insegna anche la Santa di cui oggi facciamo memoria: santa Teresa di Gesù Bambino. La fede segue questa voce profonda là dove l'arte stessa da sola non può arrivare: la segue nella via della testimonianza, dell'offerta di se stessi per amore, come ha fatto Cecilia. Allora l'opera d'arte più bella, il capolavoro dell'essere umano è ogni suo atto di amore autentico, dal più piccolo - nel martirio quotidiano - fino all'estremo sacrificio. Qui la vita stessa si fa canto: un anticipo di quella sinfonia che canteremo insieme in Paradiso. Grazie di nuovo e buona serata.
(©L'Osservatore Romano - 3 ottobre 2010)