Nella rassegna stampa di oggi:
1) SABATO 16 OTTOBRE 2010 - Frutti della visita apostolica del Papa in UK: un'intera parrocchia anglicana chiede la comunione con Roma - Testo presto da: http://www.cantualeantonianum.com/2010/10/frutti-della-visita-apostolica-del-papa.html#ixzz12WgZqq8p
2) LO “SPIRITO DI LEPANTO” CONTRO I NEMICI DELLA CRISTIANITÀ - fonte: CORRISPONDENZA ROMANA - Prof. Roberto de Mattei presidente della Fondazione Lepanto - CR n.1162 del 15/10/2010 – dal sito http://riscossacristianaaggiornamentinews.blogspot.com/
3) Avvenire.it, 16 ottobre 2010 - La Settimana Sociale dei cattolici a Reggio Calabria -Compito chiaro oltre lo spaesamento di Domenico Delle Foglie
4) Avvenire.it, 16 ottobre 2010 - Il mondo trovi occhi e voce - Fare breccia nel muro dell'intolleranza di Luigi Geninazzi
5) La prima riforma globale: garantire il cibo a tutti - Si vuole far credere che esista scarsità di materie prime alimentari. Invece vi sono ingiustizie nella distribuzione di GIULIO ALBANESE – Avvenire, 16 ottobre 2010
6) Maestra e catechista La via di madre Giulia - La religiosa sarà canonizzata domani dal Papa assieme ad altri cinque beati in piazza San Pietro - Insegnante nella Campania a fine Ottocento, fa dell’aula una «piccola chiesa» e fonda le Suore Catechiste del Sacro Cuore di Gesù. La sua eredità, risposta alla sfida educativa e richiamo all’impegno sociale -DI VALERIA CHIANESE – Avvenire, 16 ottobre 2010
SABATO 16 OTTOBRE 2010 - Frutti della visita apostolica del Papa in UK: un'intera parrocchia anglicana chiede la comunione con Roma - Testo presto da: http://www.cantualeantonianum.com/2010/10/frutti-della-visita-apostolica-del-papa.html#ixzz12WgZqq8p
Ieri abbiamo saputo che il Vescovo il vescovo anglicano John Broadhurst ha dato formale annuncio del suo passaggio al cattolicesimo, adesso veniamo a sapere che una intera parrocchia, della verde provincia inglese del Kent, vuol far lo stesso. La visita del Papa in Gran Bretagna pare abbia finalmente messo in moto quell'esodo di anglo-cattolici che si aspettava da un anno. Sempre Anna Arco del Catholic Herald ci offre queste informazioni che traduco:
Una parrocchia anglicana del Kent ha annunciato l'intenzione di far parte di un Ordinariato cattolico.
I churchwardens [responsabili eletti dai laici per la conduzione parrocchiale e principali collaboratori del parroco] di San Pietro di Folkestone, che è nella diocesi dell'Arcivescovo di Canterbury, contatteranno l'arcivescovo come primo passo nella linea di un'adesione al futuro Ordinariato.
St Peter's Folkestone [qui il loro sito web] ricade sotto la cura pastorale diretta del Vescovo Keith Newton di Richborough, uno dei due "vescovi volanti" che "proteggono" le parrocchie tradizionali dal ministero delle donne prete, e che sarà uno dei pionieri dell'Ordinariato
Anche se molti ritengono che il passaggio a un Ordinariato sia prevalentemente clero-guidato, la decisione di accettare l'offerta fatta agli anglo-cattolici da Papa Benedetto con la Costituzione Apostolica Anglicanorum coetibus a St Peter's Folkestone è scaturita da una iniziativa di laici.
Il Consiglio Parrocchiale di San Pietro ha votato all'unanimità per contattare e informare il dottor Rowan Williams, arcivescovo di Canterbury, circa il passaggio verso l'adesione all'Ordinariato, alla fine di settembre.
Nella Chiesa d'Inghilterra il Consiglio Parrocchiale [a differenza dei Consigli Pastorali delle parrocchie cattoliche] agisce come vero e proprio organo esecutivo di una parrocchia ed è costituito dal parroco, dai churchwardens e da rappresentanti eletti dei laici.
E' stata rilasciata una dichiarazione che diceva: "Nella riunione del 28 settembre, il Consiglio Parrocchiale di St Peter's Folkestone all'unanimità ha dato mandato ai Churchwardens di contattare l'arcivescovo di Canterbury, nostro Vescovo diocesano, per consultarlo riguardo la volontà del Consiglio Parrocchiale e di molti fra i parrocchiani di aderire all'Ordinariato inglese della Chiesa cattolica quando esso verrà eretto.
"Siamo ansiosi che questo passaggio possa essere reso il più semplice possibile, non solo per noi, ma per la famiglia diocesana di Canterbury che con rammarico dovremo lasciare".
Nessuno della parrocchia si è reso disponibile per un commento.
Fonte: Catholic Herald
Testo presto da: http://www.cantualeantonianum.com/2010/10/frutti-della-visita-apostolica-del-papa.html#ixzz12WgZqq8p
LO “SPIRITO DI LEPANTO” CONTRO I NEMICI DELLA CRISTIANITÀ - fonte: CORRISPONDENZA ROMANA - Prof. Roberto de Mattei presidente della Fondazione Lepanto - CR n.1162 del 15/10/2010 – dal sito http://riscossacristianaaggiornamentinews.blogspot.com/
In occasione della riapertura del ciclo annuale di incontri, la Fondazione Lepanto ha illustrato i contenuti del suo apostolato, traendo un bilancio retrospettivo di 28 anni di attività.
Lo scorso 7 ottobre, festa della Madonna del Rosario, presso la sede di piazza Santa Balbina a Roma, è stato proiettato un powerpoint sulla storia della battaglia più importante della cristianità: il giorno 7 ottobre 1571, dopo la vittoria delle armate cristiane, l’Europa era salva dall’invasore turco, il Mediterraneo, un secolo dopo la caduta di Costantinopoli (1453), tornò libero e la civiltà musulmana iniziò il suo inesorabile arretramento. Quella vittoria fu possibile grazie alla compattezza degli eserciti europei guidati dal giovane don Giovanni d’Austria, all’ardimento e alla convinzione di chi combatté in difesa della cristianità in pericolo. Quello stesso spirito di Lepanto è ciò che va riscoperto oggi, a distanza di oltre quattro secoli. Accanto alla rinnovata aggressione islamica, l’Occidente deve guardarsi da un altro più subdolo nemico: il secolarismo relativista. La crisi che viviamo oggi, infatti non è soltanto economica o politica, è «soprattutto culturale e religiosa», ha spiegato il professor Roberto de Mattei, presidente della Fondazione Lepanto.
L’assedio che la cristianità subisce in questo primo scorcio di XXI secolo è devastante e, apparentemente, non induce ad alcun ottimismo. Rimane però viva ed indistruttibile la speranza cristiana, il cui segno più evidente nella vita terrena è la Chiesa che Cristo ci ha donato, con il Papa, Suo Vicario in terra. A fronte di tali certezze i cristiani d’oggi possono e devono affrontare i loro attuali nemici. «È la sua natura divina che permetterà alla Chiesa di trionfare», ha sottolineato il professor de Mattei.
Le persecuzioni fanno parte in modo imprescindibile della storia della Chiesa al punto che Papa San Pio X la definiva «Santa, Cattolica, Apostolica… e perseguitata». Esiste quindi una “Antichiesa” che ostacolerà la cristianità fino alla fine dei tempi. Contro tali nemici «non c’è possibilità di compromesso, bisogna affrontarli con spirito agonistico e di sacrificio, senza indulgere nel pacifismo o nell’idea che la terra sia “un soffice giardino di fiori”», ha affermato de Mattei.
Chi sono dunque i nemici della Chiesa oggi? È utile, a questo punto, riportare le lancette della storia alla Rivoluzione Francese, la «prima grande esplosione di odio contro la cristianità dell’era moderna», ha osservato de Mattei. Questo drammatico evento si caratterizzò per due volti in qualche modo complementari. «C’è un lato nichilista e puramente distruttivo della Rivoluzione che ha il suo volto nel libertinismo del marchese de Sade, le cui opere sono veri e propri incitamenti allo stupro, alla sodomia, all’omicidio e a tutte le possibili depravazioni, che il de Sade fa passare per virtù». Al tempo stesso però, la Rivoluzione ha bisogno di un volto “istituzionale”, ovvero di un’ideologia che assecondi la naturale inclinazione religiosa dell’uomo. Ecco dunque la versione «costruttivista della Rivoluzione che si incarna nel Terrore di Robespierre, nel giacobinismo che pretende di costruire il paradiso nell’al di qua e che è il precursore dei totalitarismi del XX secolo», ha aggiunto il presidente della Fondazione Lepanto.
Oggi, crollati il comunismo e tutti i regimi di stampo sovietico, è l’Islam il totalitarismo del XX secolo. Al pari del relativismo, la religione musulmana «nega il concetto di sacrificio e non incoraggia alcuna trasformazione interiore – ha osservato il professor de Mattei –. Si tratta di una religione puramente rituale, imperniata sul formale rispetto dei cinque pilastri (la sottomissione ad Allah, le preghiere rituali quotidiane; l’elemosina; il digiuno; il pellegrinaggio alla Mecca almeno una volta nella vita) e sostanzialmente edonista. Il paradiso, per l’Islam, è un concetto materiale ed identificato con il piacere: a chi si toglie la vita in nome di Allah è offerto subito il paradiso dei sensi».
Relativismo ed Islam, apparentemente così lontani, trovano dunque un terreno comune nel materialismo. Combatterli significa «riconquistare una visione cristiana della vita. Ciò presuppone una battaglia le cui armi, più che materiali, sono culturali. Le idee cristiane, però, non possono trionfare se non sono supportate dall’ausilio sovrannaturale, cioè dalla preghiera. Tenendo sempre a mente la profezia della Madonna di Fatima: alla fine il mio Cuore Immacolato trionferà», ha poi concluso il professor de Mattei.
Avvenire.it, 16 ottobre 2010 - La Settimana Sociale dei cattolici a Reggio Calabria -Compito chiaro oltre lo spaesamento di Domenico Delle Foglie
Tornare a “produrre” politica per costruire il bene comune. Ma solo «una visione genuinamente cattolica» sulla politica di oggi, e soprattutto, dentro di essa può consentire al popolo cattolico di «contare», piuttosto che di «essere contato».
Se giovedì sera il cardinale Angelo Bagnasco ha tracciato l’«orizzonte ermeneutico» entro il quale ricomprendere e leggere la Settimana sociale dei cattolici italiani, al rettore dell’Università Cattolica, Lorenzo Ornaghi, ieri mattina è toccato il compito di guardare negli occhi l’Italia e di descrivere il «presente che c’è» e di cominciare a delineare «il futuro che ancora possiamo costruire». Un grande sforzo di realismo politico, vivificato da una solida opzione antropologica e da una vigorosa fiducia nel protagonismo del cattolicesimo politico.
L’avvio di un tragitto che ha un trampolino di lancio nell’«unità politica» dei cattolici attorno ai «valori non negoziabili», ma che ha le radici ben salde in quell’amicizia con Dio che consente a ciascuno di sapere dove andare e di riuscire a comprendere il proprio essere uomo o donna. Sì, l’umano, e non il tanto corteggiato post–umano.
«Dal momento in cui la Luce splende nelle tenebre e rende l’universo pieno di senso – ha sottolineato Bagnasco – le scelte dei cristiani, nella vita privata come in quella pubblica, non possono prescindere da Cristo, pienezza della Verità e del Bene». E se queste sono le radici, i cristiani non possono fermarsi impauriti dinanzi alle sfide del proprio tempo, né indugiare un istante per quel senso di spaesamento che prende tanti di noi, dinanzi a un’Italia confusa e contraddittoria, talvolta priva della capacità di rendere ragione della propria identità.
Ecco perché la seconda giornata di lavori della Settimana Sociale è cominciata all’insegna di quel metodo indicato dal cardinale presidente che ha fatto propria la “lezione” del Beato Antonio Rosmini: «I cristiani non devono pensare la fede senza anche pensare nella fede». Ornaghi ci ha provato con successo, così come si sono intellettualmente spesi Vittorio Emanuele Parsi ed Ettore Gotti Tedeschi, rispettivamente sulle trasformazioni del sistema politico internazionale e sulla crisi economica globale. Tutti e tre hanno lanciato tanti semi di speranza e una chiamata alla franchezza a un’assemblea pronta a immergersi nel lavoro più difficile: trovare risposte plausibili per costruire, appunto, un’agenda di speranza per il Paese.
Grande la responsabilità posta sulle spalle dei cattolici da Ornaghi, nel momento in cui ha invocato una «visione genuinamente cattolica» che, libera da interessi di parte e da angusti orizzonti di potere, sa creare un legame fra popolo e classi dirigenti e sa far maturare in quel popolo le nuove classi dirigenti. Affrontando così, senza reticenze, il tema delicatissimo della rappresentanza che vede i cattolici in posizione di assoluto rilievo in campo sociale e di relativo sottodimensionamento sul versante politico. E qui il rettore della Cattolica si è spinto a ribadire una nota metodologica (che preferiremmo definire pedagogica) che suona così: «Lavorare insieme guardando al futuro».
Ecco, quel «lavorare in comune» è un valore aggiunto in un Paese sospeso fra l’immobilismo e le incursioni delle oligarchie che lucrano sulla debolezza delle democrazie. Allora quel «lavorare insieme» può suonare persino come un imperativo per chi ha coscienza delle sfide presenti: la costruzione di un federalismo autenticamente solidale, la salvaguardia di un ethos condiviso, la tenuta dell’unità nazionale. E per tutto questo occorre una classe dirigente che, forte della propria antropologia, sappia sanare la frattura fra etica e politica. E’ questa la domanda esigente del nostro tempo alla quale i cattolici non possono sottrarsi e alla quale devono dedicare le migliori intelligenze e i cuori più generosi. Accettando anche di correre qualche rischio nella competizione politica.
Avvenire.it, 16 ottobre 2010 - Il mondo trovi occhi e voce - Fare breccia nel muro dell'intolleranza di Luigi Geninazzi
C'è chi parla apertamente del rischio d’estinzione. All’inizio del secolo scorso in tutto il Medio Oriente i cristiani erano circa il 20 %. Oggi sono poco più del 4%, mentre i cattolici sono meno del 2%. Di questo passo, nel giro di cinquant’anni, la loro presenza nelle terre dove ha predicato Gesù e dove sono nate le prime comunità di fedeli sarà poco più che simbolica.
Se n’è preso tristemente atto al Sinodo sul Medio Oriente che si tiene in questi giorni in Vaticano. È un fatto: buona parte dei cristiani di questa vasta regione che va dall’Egitto all’Iran vive ormai in Occidente. Oggi ci sono più cattolici palestinesi a Buenos Aires che non a Betlemme, più cristiani caldei a Detroit che non a Mosul. Se ne vanno per sfuggire alla crisi economica, al caos sociale, alle discriminazioni civili e politiche che spesso assumono un vero e proprio carattere persecutorio. Circondati da un clima ostile e minaccioso scelgono la via dell’emigrazione.
C’è un futuro per il cristianesimo nella sua terra d’origine? Oppure, come ha detto con toni allarmati il patriarca melkita di Antiochia Gregorios III Laham, «la prospettiva è quella di una società araba di un solo colore, unicamente musulmana, di fronte ad una società europea detta cristiana»? Si parla spesso di «islamofobia», una sindrome che ha colpito l’Occidente dopo l’11 settembre, la sensazione di vivere sotto costante minaccia del terrorismo pianificato dai fondamentalisti musulmani. Ma tutte le statistiche fornite da varie organizzazioni, dall’Osce al Dipartimento di Stato americano, da "Aiuto alla Chiesa che soffre” a “Human Right World Watch”, mostrano che in cima alla classifica delle discriminazioni e delle persecuzioni ci sono i cristiani.
Cosa fare contro la «cristianofobia», la nuova e terribile sindrome che sta contagiando soprattutto i Paesi islamici? La questione non riguarda solo le Chiese, ma tocca le fondamenta stesse della convivenza civile in quanto mette in discussione il principio della libertà religiosa che, come ricordava Giovanni Paolo II, «è la cartina di tornasole di tutti i diritti». Una risoluzione di condanna degli atti di violenza contro le minoranze religiose è già stata votata dall’Europarlamento nel 2007 in seguito alle persecuzioni anticristiane in varie parti del mondo. Ieri, al Sinodo sul Medio Oriente, è stata lanciata l’idea di una risoluzione Onu che ribadisca il concetto secondo cui «la libertà religiosa autentica include la libertà di predicare e convertire». Per l’autore della proposta, il cardinale Peter Turkson, presidente del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace, un simile testo dovrebbe sostituire la risoluzione sulla “Diffamazione delle religioni” avanzata alle Nazioni Unite dai rappresentanti degli Stati islamici. È questo il punto cruciale: il mondo musulmano infatti guarda con diffidenza al concetto della libertà religiosa, considerata l’anticamera dell’indifferentismo e una minaccia alla stabilità dello Stato islamico. Da qui l’importanza di quella «laicità positiva», richiamata continuamente da Benedetto XVI, che riconosce la separazione fra Stato e Chiesa affermando al tempo stesso il ruolo fondamentale dell’esperienza religiosa come contributo essenziale al bene comune.
Un chiaro esempio ci viene proprio dal Medio Oriente dove storicamente la comunità dei cristiani è stata una risorsa culturale ed educativa che è andata a vantaggio dell’intera società e degli stessi musulmani. Come ha riconosciuto il consigliere del Gran Muftì del Libano, «conservare questa presenza è un dovere non solo dei cristiani ma anche di noi islamici». Una breccia nel muro dell’intolleranza che spalanca a un Medio Oriente dove i cristiani si sentono nuovamente a casa propria.
OGGI GIORNATA MONDIALE CONTRO LA FAME
La prima riforma globale: garantire il cibo a tutti - Si vuole far credere che esista scarsità di materie prime alimentari. Invece vi sono ingiustizie nella distribuzione di GIULIO ALBANESE – Avvenire, 16 ottobre 2010
Uno dei grandi inganni della globalizzazione è quello di voler far credere che la fame nel mondo sia causata dalla scarsità di materie prime alimentari. In effetti, coloro che siedono nella 'stanza dei bottoni' – vale a dire governi, istituzioni finanziarie e compagnie di agrobusiness –, sanno bene che se vi fosse equità su scala planetaria vi sarebbe doppia razione per tutti.
La verità è che il sistema di distribuzione è tale per cui meno di un quinto della popolazione umana si appropria, per così dire, di tre quarti della torta.
Questo in concreto significa che finora, nonostante gli altisonanti proclami lanciati dai Grandi della Terra, la politica ha abdicato rispetto alle prepotenti istanze del commercio più sfrenato. Qualcuno obietta dicendo che in questi tempi di recessione la produzione agroalimentare aumenta all’incirca dell’1,3% all’anno, mentre l’aumento della popolazione procede al 2,2% all’anno. Si omette però di ricordare che l’agricoltura mondiale, unitamente al settore alimentare, rappresenta il secondo comparto in termini di redditività per coloro che operano nelle piazze finanziarie. Il risultato è un’enorme speculazione che comporta spesso il rincaro dei prodotti alimentari. Ecco che allora il cibo viene considerato solo e unicamente una 'merce di scambio' e non un 'diritto di tutti'. Con troppa noncuranza dimentichiamo che l’alimentazione è il diritto umano fondamentale per garantire la vita. Per rendersene conto, basta leggere il Compendio della dottrina sociale della Chiesa, come anche la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, per non parlare degli Obiettivi del Millennio fissati dalle Nazioni Unite, che pongono al primo posto la riduzione del 50% del numero di persone che soffrono la fame entro il 2015. Certo, qualcosa di positivo è avvenuto se si considera che il numero degli affamati è diminuito – da 1,02 miliardi nel 2009 a 925 milioni –, ma questo non vuol dire affatto che le cause strutturali di questo dramma siano state affrontate con sufficiente determinazione. Anche perché la filosofia di fondo che regola l’economia mondiale rimane sempre la stessa: mangia chi paga, o meglio, chi viene messo nelle condizioni di farlo. Non desta dunque meraviglia se gli interventi per contrastare l’inedia risultano essere prevalentemente all’insegna dell’emergenza e dunque dell’assistenzialismo, senza che vi sia la determinazione di creare condizioni di effettivo sviluppo e benessere nei Paesi del Sud del mondo. A parte le guerre e i cambiamenti climatici causati dall’egoismo umano, vi sono dei meccanismi subdoli che andrebbero stigmatizzati a chiare lettere.
Pensiamo ad esempio a certe regole del commercio per cui nei mercati africani i pomodori europei, godendo del sostegno dei sussidi governativi, costano meno di quelli prodotti localmente. E cosa dire del cibo che viene usato come mangime per animali anziché per nutrire direttamente le persone che ne hanno bisogno? In questa prospettiva, urge davvero la necessità di una riforma in grado di riprogettare il sistema del cibo in chiave locale. Non solo si eviterebbero sprechi che gridano vendetta – basti pensare alle giacenze sugli scaffali della grande distribuzione che finiscono poi tra i rifiuti –, ma si potrebbero riequilibrare certe drammatiche disuguaglianze create da un atteggiamento 'predatorio' e post-colonialista da parte dei Paesi ricchi nei confronti di quelli poveri. È dunque necessario cambiare le regole del gioco facendo tesoro dell’appello contenuto nel messaggio rivolto da Benedetto XVI al direttore generale della Fao, Jacques Diouf, in occasione dell’odierna Giornata mondiale dell’Alimentazione: promuovendo cioè «tutte le risorse e le infrastrutture necessarie per sostenere la produzione e distribuzione in modo tale da garantire pienamente il diritto al cibo».
Maestra e catechista La via di madre Giulia - La religiosa sarà canonizzata domani dal Papa assieme ad altri cinque beati in piazza San Pietro - Insegnante nella Campania a fine Ottocento, fa dell’aula una «piccola chiesa» e fonda le Suore Catechiste del Sacro Cuore di Gesù. La sua eredità, risposta alla sfida educativa e richiamo all’impegno sociale -DI VALERIA CHIANESE – Avvenire, 16 ottobre 2010
«Portare il Vangelo a chiunque ha fame e se te di Dio». Può essere condensata in questa frase la vita spesa nel segno della catechesi di Giulia Salzano, la fondatrice delle Suore Catechiste del Sacro Cuore di Gesù, che Benedetto XVI canonizzerà domani in piazza San Pietro assie me ad altri cinque beati. La Campania, e non so lo Casoria, la città alle porte di Napoli dove la religiosa operò a lungo, renderanno omaggio al la nuova santa che ha sa puto coniugare l’inse gnamento scolastico con l’educazione alla fede di ragazzi, gio vani e adulti coltivando un partico lare culto per il Cuore di Cristo. «Ec co, quel cuore che ha tanto amato gli uomini» era, per madre Giulia, il con tenuto illuminante della catechesi, simbolo della carità infinita del Si gnore.
La figura della religiosa campana è di stupenda attualità e si inserisce a pieno nel cammino della Chiesa ita liana di questo decennio chiamata ad affrontare l’emergenza educativa. «Iddio ci ha creati per conoscerlo, a marlo e servirlo in questa vita», so steneva la beata. Infatti la madre era convinta che, senza la conoscenza di Dio, il mondo non potesse né amar lo, né servirlo. Così la donna ritenne l’opera catechistica «la più sublima di ogni altra, la più accetta al cuore di Dio, la più necessaria nella Chiesa, la più voluta dal Sommo Pontefice». Nata a Santa Maria Capua Vetere, nel Casertano, il 13 ottobre 1846, consa crò la sua vita all’educazione. «Sen to innanzi a Dio che finché mi resta un soffio di vita lo debbo impiegare per la gloria di Dio e per il bene del l’opera catechistica», ripeteva profe ticamente.
E così è accaduto. Laica e insegnante, è deceduta a 83 anni, il 17 maggio 1929, dopo aver incon trato, il giorno precedente, più di cen to bambini che si preparavano alla Prima Comunione.
I suoi genitori, Diego, capitano dei lancieri dell’esercito borbonico e A delaide Valentino, discendente di sant’Alfonso Maria de’ Liguori, era no ferventi cattolici. Per poco tempo, però, la piccola Giulia poté avere vi cino il papà, morto quando lei ave va quattro anni. Una perdita che costrinse la mamma a tenere Giulia, quarta di sette figli, nel Regio Orfa notrofio di San Nicola La Strada, in provincia di Caserta. Preghiera e catechismo, studio e vita comunitaria riempivano le sue giornate. Nel 1861, però, l’educandato fu colpito dalle leggi del nascente Stato italiano: e spulse le Suore della Carità, Giulia ri tornò in famiglia. Tenace e decisa, proseguì gli studi e dopo tre anni ot tenne il diploma magistrale.
Cominciò ad insegnare come mae stra elementare nella scuola comu nale di Casoria, a quel tempo picco lo centro agricolo, dove Giulia si tra sferì con la famiglia nel 1865. «Le cir costanze della vita, l’esperienza mi hanno insegnato che la via più faci le per condurre gli uomini a salvez za è la conoscenza di Gesù Cristo», af fermava.
A Casoria, «donna Giulietta», come e ra chiamata, consolidò il suo cam mino vocazionale lasciando la scuo la anticipatamente, a 36 anni, men tre sentiva maturare la chiamata del la vita religiosa. Significativo il fatto che la maestra radunasse i ragazzi sulle scale della sua abitazione, per e ducarli alla fede, sopportando anche le lamentele dei vicini di casa. Este se l’istruzione catechistica non solo ai fanciulli della Prima Comunione e della Cresima, ma anche alle gio vani «Figlie di Maria», alle lavoratri ci, alle mamme, agli operai, ai sol dati durante la Prima guerra mon diale. Guidata dal beato Ludovico da Casoria e da santa Caterina Volpi celli, dette vita alla Congregazione delle Suore Catechiste del Sacro Cuo re. Il 21 novembre 1905, con la vesti zione di Giulia e delle sue prime compagne, nacque l’istituto che si sarebbe contraddistinto per un’in faticabile opera di servizio alla cate chesi e alla formazione delle giovani generazioni.