sabato 30 ottobre 2010

Nella rassegna stampa di oggi:
1)    UN CARISMA NUOVO DALLA DIFFERENZA: CONTEMPLATIVE NON VEDENTI - Ramo della famiglia religiosa di Don Orione che si estende in America di Nieves San Martín
2)    Sì, la Chiesa si occupa di politica! Un importante discorso del Papa a vescovi brasiliani pubblicata da Massimo Introvigne il giorno venerdì 29 ottobre 2010
3)    L'INGANNO DI HALLOWEEN - di don Marcello Stanzione*
4)    ROMANO GUARDINI, UN RICERCATORE DELLA VERITÀ DI DIO E SULL’UOMO - Benedetto XVI nell'udienza ai partecipanti a un congresso sul teologo italo-tedesco
5)    29/10/2010 – INDIA - False accuse di molestie contro il missionario picchiato da 300 indù in Karnataka di Nirmala Carvalho
6)    L'educazione negli "Orientamenti pastorali" della Conferenza episcopale italiana - Per una rinnovata stagione di evangelizzazione di Mariano Crociata Vescovo segretario generale della Conferenza episcopale italiana (©L'Osservatore Romano - 30 ottobre 2010)
7)    Avvenire.it, 30 ottobre 2010 – IDEE - «Caro ateo, sapere aude!» di S.E. Carlo Caffarra
8)    LO SCARSO RISCONTRO AL CORAGGIOSO FILM DI AVATI SULL’ALZHEIMER - Quando il dolore e la dedizione diventano spettacolo «insopportabile» di DAVIDE RONDONI – Avvenire, 30 ottobre 2010

UN CARISMA NUOVO DALLA DIFFERENZA: CONTEMPLATIVE NON VEDENTI - Ramo della famiglia religiosa di Don Orione che si estende in America di Nieves San Martín

BUENOS AIRES, venerdì, 29 ottobre 2010 (ZENIT.org).- Un ramo nuovo della famiglia religiosa di Don Orione inizia ad estendersi in America Latina. Sono le religiose sacramentine contemplative non vedenti.

Tutto è iniziato in Argentina, ha spiegato a ZENIT suor María Virginia Borda. “La nostra missione è quella di essere adoratrici”.

Dal 1° al 6 novembre, questa comunità diffusa in vari Paesi latinoamericani si riunirà nella Casa Provinciale, a Buenos Aires.

Accanto alla Madre generale María Irene Bizzotto, alla vicaria generale María Mabel Spagnolo e alle superiore provinciali di Brasile, Cile e Argentina, le comunità di contemplative sacramentine di questi Paesi si dedicheranno ad “analizzare e paragonare il cammino percorso”, ad avanzare proposte per crescere nella loro missione e a scegliere tra loro una religiosa che parteciperà al Capitolo Generale delle Piccole Suore Missionarie della Carità.

Le sacramentine dell'Argentina hanno eletto come rappresentante la prima suora sacramentina non vedente del Paese, suor María Fe. Sia suor María Virginia che suor María Fe hanno comunicato direttamente con ZENIT mediante un computer adattato alla loro situazione.

La storia di questa religiosa argentina è, come indica il suo nome, una storia di fede, di molta fede. Fede per trasformare gli ostacoli che devono affrontare i non vedenti in altrettante mete da superare.

“Mi chiamo Micaela, nella religione suor María Fe del Santissimo Sacramento. Sono nata a Comallo, nella provincia di Río Negro. Attualmente la mia famiglia vive a San Carlos de Bariloche, dove vado in genere in vacanza”, ha riferito a ZENIT.

“Quando avevo 11 anni, mentre aspettavo l'autobus, vidi passare molte bambine che indossavano uno spolverino bianco, tutte molto allegre, accompagnate da una religiosa anche lei allegra. Guardando verso dove mi trovavo mi sorrise”.

Il sorriso di quella religiosa che esortava le bambine le fece concepire l'idea di essere come lei. Non poté realizzare il suo sogno perché un'infezione le fece perdere la vista in modo prima parziale e poi totale quando aveva 15 anni.

“Venni a Buenos Aires a studiare nel collegio per ragazze non vedenti ‘Hogar Santa Cecilia’. Tra studio e giochi non mi ricordai più della mia vocazione. Vedendo le suore così misericordiose, educate e con grandi accorgimenti nei confronti dei non vedenti, chiesi alla madre superiora di accogliermi nella sua congregazione”, ha aggiunto suor María Fe.

La superiora le rispose che se fosse stato per lei l'avrebbe accolta immediatamente, ma che la sua congregazione non accettava non vedenti. La orientò tuttavia verso l'opera di San Luigi Orione, fondatore delle Piccole Suore Missionarie della Carità (PHMC), che ha un ramo di religiose non vedenti, fondate a Tortona (Alessandria).

“Mi mise in contatto con un sacerdote della Piccola Opera della Divina Provvidenza (PODP), padre Roque Tonoli. Mi ha illuminata, mi ha guidata durante i sette anni che mi hanno fatto aspettare, fino ad averne 21. Padre Tonoli ha chiesto ai superiori maggiori il permesso affinché tre suore non vedenti si recassero in Argentina per fondare qui questo ramo”, ha riferito la prima sacramentina argentina.

“Da allora, il 15 agosto 1952, siamo entrate in quattro, vivendo nella casa provinciale. Qui mi sono preparata come postulante, novizia, professa, condividendo la vita con tutte le PHMC, fino al 1975, quando ci siamo trasferite a Claypole”.

Ora le sacramentine non vedenti sono già diffuse in altri Paesi del continente americano.

La riunione di Buenos Aires, che si celebrerà tra maggio e giugno 2011, “è un momento fraterno, in cui ci comunicheremo esperienze e desideri”, ha detto la suora.

Quando la chiamata di Dio è radicata in qualcuno, non ci sono ostacoli, solo il desiderio di seguire il disegno inscritto nel cuore. Un desiderio che in questa storia ha trovato il campo fertile del carisma ispirato a Don Orione in Italia e già radicato nel continente americano.
[Traduzione dallo spagnolo di Roberta Sciamplicotti]


Sì, la Chiesa si occupa di politica! Un importante discorso del Papa a vescovi brasiliani pubblicata da Massimo Introvigne il giorno venerdì 29 ottobre 2010

A tre giorni dal turno di ballottaggio nelle elezioni brasiliane – una tornata elettorale dove l’aborto è diventato tema di acceso scontro – Benedetto XVI ha ricevuto in udienza i vescovi del Brasile della regione Nordeste V in visita ad Limina e ha tenuto un discorso che la stampa brasiliana ha subito interpretato come indicazione di «linee guida per le elezioni». L’espressione può essere discussa, ma non c’è dubbio che il Papa abbia ribadito il suo Magistero in materia di principi non negoziabili e diritto dei vescovi d’intervenire anche in materia politica quando questi principi sono in gioco. Il discorso prende così posto come una pietra miliare del pontificato in materia di rapporti tra religione e politica.
Ricordiamo che secondo un costante insegnamento di Benedetto XVI i principi non negoziabili sono quelli che attengono alla vita umana dal concepimento alla morte naturale, alla famiglia e alla libertà di educazione. Altri principi, pure importanti e certo da non ignorare, non fanno però parte di questo patrimonio essenziale dei «principi non negoziabili», espressione che per Benedetto XVI ha un senso tecnico e non può essere impiegata a caso. Non è lecito sostenere programmi che includono l’aborto, l’eutanasia o il riconoscimento di forme di matrimonio diverse dall’unione di un uomo e di una donna con il pretesto che tali programmi sono apprezzabili sul piano economico o sociale.
Benedetto XVI ha ricordato con parole molto forti il «valore assoluto di quei precetti morali negativi che dichiarano moralmente inaccettabile la scelta di una determinata azione intrinsecamente cattiva e incompatibile con la dignità della persona; tale scelta non può essere riscattata dalla bontà di nessun fine, intenzione, conseguenza o circostanza. Pertanto, sarebbe totalmente falsa e illusoria qualsiasi difesa dei diritti umani politici, economici e sociali che non comprendesse l’energica difesa del diritto alla vita dal concepimento fino alla morte naturale (cfr. Christifideles laici, n. 38)» (Benedetto XVI 2010).
Se qualche forza politica chiede il voto ai cattolici in nome di una sua presunta difesa dei poveri e dei deboli, il Papa le chiede «nel quadro dell’impegno a favore dei più deboli e dei più indifesi, chi è più inerme di un nascituro o di un malato in stato vegetativo o terminale?» (ibid.), concludendo che «quando i progetti politici contemplano, in modo aperto o velato, la decriminalizzazione dell’aborto o dell’eutanasia, l’ideale democratico – che è solo veramente tale quando riconosce e tutela la dignità di ogni persona umana – è tradito nei suoi fondamenti (cfr. Evangelium vitae, n. 74)» (ibid.). Non è lecito sostenere forze politiche favorevoli all’aborto e all’eutanasia con il pretesto che i loro programmi sono a favore dei poveri.
Ma – secondo un’obiezione corrente – fornendo indicazioni politiche così chiare la Chiesa non si sta ingerendo nella vita politica da cui dovrebbe rimanere fuori? Certo, ricorda il Papa, «il dovere immediato di lavorare per un ordine sociale giusto è proprio dei fedeli laici che, come cittadini liberi e responsabili, s’impegnano a contribuire alla retta configurazione della vita sociale, nel rispetto della sua legittima autonomia e dell’ordine morale naturale (cfr. Deus caritas est, n. 29)» (ibid.). E tuttavia anche i vescovi hanno un dovere politico «mediato» (ibid.), «in quanto vi compete contribuire alla purificazione della ragione e al risveglio delle forze morali […]. Quando […] i diritti fondamentali della persona o la salvezza delle anime lo esigono, i pastori hanno il grave dovere di emettere un giudizio morale, persino in materia politica (cfr. Gaudium et spes, n. 76)» (ibid.).
Da una parte, dunque, c’è non solo un diritto ma un «grave dovere» dei vescovi di emettere giudizi morali in campo politico. Dall’altra, non c’è nessuna indebita ingerenza perché il Papa e i vescovi non parlano anzitutto in nome della fede ma della ragione. Il divieto dell’aborto non deriva solo dal Vangelo ma anzitutto dalla retta ragione e dal diritto naturale che, in quanto accessibile alla ragione, s’impone a tutti gli uomini, siano cattolici, protestanti, buddhisti o atei.
Ma non è neppure vero che la fede non c’entri nulla con la politica. La ragione in teoria è in grado di discernere la legge naturale anche senza la fede. Ma, come ha spiegato il Papa nel suo viaggio in Gran Bretagna, esplicitamente richiamato in questo discorso sul Brasile, a causa del peccato originale e oggi anche di un’immensa pressione culturale e mediatica in favore del relativismo, diventa sempre più difficile per la ragione discernere le verità naturali senza l’aiuto della fede. Così oggi di fatto «politica e fede s’incontrano. La fede ha, senza dubbio, la natura specifica di incontro con il Dio vivo che apre nuovi orizzonti ben al di là dell’ambito proprio della ragione. “Senza il correttivo fornito dalla religione, infatti, anche la ragione può cadere preda di distorsioni, come avviene quando essa è manipolata dall’ideologia, o applicata in un modo parziale, che non tiene conto pienamente della dignità della persona umana” (Viaggio apostolico nel Regno Unito, Incontro con le autorità civili, 17-IX- 2010)» (ibid.).
C’è di più. Questo ruolo pubblico della religione come «correttivo» per la ragione – e per la ragione politica – per essere efficace dev’essere anche riconosciuto attraverso gesti e simboli pubblici, così come nella scuola e nell’educazione anche pubblica. «Una società può essere costruita solo rispettando, promuovendo e insegnando instancabilmente la natura trascendente della persona umana.  Così Dio deve trovare “un posto anche nella sfera pubblica, con specifico  riferimento alle dimensioni culturale, sociale, economica e, in particolare, politica” (Caritas in veritate, n. 56). Per questo, amati Fratelli, unisco la mia voce alla vostra in un vivo appello a favore dell’educazione religiosa, e più concretamente dell’insegnamento confessionale e diversificato della religione, nella scuola pubblica statale» (ibid.).
«Desidero anche ricordare – aggiunge il Papa – che la presenza di simboli religiosi nella vita pubblica è allo stesso tempo memoria della trascendenza dell’uomo e garanzia del suo rispetto. Essi hanno un valore particolare nel caso del Brasile, dove la religione cattolica è parte integrante della sua storia. Come non pensare in questo momento all’immagine di Gesù Cristo con le braccia tese sulla baia di Guanabara […]?» (ibid.). Contro chi vuole togliere i crocefissi dalle aule scolastiche e dai luoghi pubblici – non solo in Brasile – il Papa ricorda che, perché la fede possa svolgere il suo ruolo indispensabile di «correttivo» per la ragione ferita dal peccato e aggredita dalla dittatura del relativismo, è indispensabile che i simboli pubblici della fede siano mantenuti e onorati. È quella che la Chiesa ha storicamente chiamato proclamazione della regalità sociale di Nostro Signore Gesù Cristo.

Riferimenti
Benedetto XVI. 2010.Discorso ai vescovi della Conferenza Episcopale del Brasile (Regione Nordeste V) in visita «ad Limina Apostolorum», del 28-10-2010. Disponibile sul sito Internet della Santa Sede all’indirizzo abbreviato http://tinyurl.com/37c37gl.


L'INGANNO DI HALLOWEEN - di don Marcello Stanzione*

ROMA, venerdì, 29 ottobre 2010 (ZENIT.org).-  Riguardo alla festa pagana di Halloween la Chiesa attraverso le sue agenzie educative sempre più dovrebbe fare un’opera di illuminazione. In Francia tale fenomeno ha imboccato il viale del tramonto e la polemica è tutta incentrata sul recupero delle tradizioni autoctone. Il filosofo e critico letterario Damien Le Guay nel suo libro “La faccia nascosta di Halloween” (edito in Italia dalla Casa editrice Salesiana Elledici), significativamente sottotitolata “Come la festa della zucca ha sconfitto tutti i Santi”, definisce Halloween come un emblema del neopaganesimo, mettendo in luce le sue distorsioni della realtà e le implicazioni negative che può avere sulla psiche dei più piccoli.
Jean-Pierre Hartmann, sindaco di Carspach, nel 2005 ha addirittura proibito la celebrazione della festa nel suo comune. Molte diocesi francesi hanno organizzato l’operazione “Holy Wins” (La Santità trionfa) con distribuzione gratuita di opuscoli religiosi ai ragazzi e alle loro famiglie che invitano a riflettere sui veri e profondi valori della festa di Ognissanti. A Mosca è stata inviata una circolare a tutte le scuole per proibire festeggiamenti in classe in quanto contengono elementi antieducativi. In Germania la federazione per la protezione della lingua tedesca ha preso posizione contro la festa di Halloween. In Ecuador sono stati vietati i festeggiamenti per Halloween nelle scuole pubbliche con un decreto del Ministro dell’Educazione Otòn Moràn. In Italia, il servizio antisette occulte della comunità Giovanni XXIII fondata dal compianto Don Oreste Benzi, ha rilevato che esiste una forte percentuale di persone avviate e intrappolate dai poteri dell’occulto proprio attraverso questa festività. Secondo tale gruppo cattolico, il 16% delle persone avviate all’esoterismo sono state ingaggiate all’interno delle iniziative di Halloween che oltre alla speculazione commerciale, porta il grave pericolo di adescamento e reclutamento dei ragazzi e dei giovani nel mondo delle sette occulte. La comunità di Don Benzi chiede a tutti i ragazzi e i giovani “di non aderire in nessun modo a tale iniziativa, perché venga abbattuta l’offensiva del demonio che ha come cavallo di battaglia l’esoterismo e l’occultismo. Halloween è l’evento per molti riuscito affinché tanta gente fragile resti manipolata e schiavizzata dietro i maghi dell’occultismo”.
Telefono Blu stimava nel 2005 in almeno 120milioni di euro la spesa per organizzare eventi pubblici e privati; e altri 150milioni di euro per mascherarsi. In tutto più di 270milioni di euro consumati in una sola notte. La stessa conferma su questo colossale business viene dalle varie associazioni di consumatori. L’arcivescovo emerito di Palermo, il cardinale Salvatore De Giorgi ebbe a dire: “Anche nella nostra città le due feste liturgiche più care al nostro popolo e alla nostra cultura cristiana sono state contaminate da un rito consumistico e carnevalesco, di importazione americana, che non ha nulla in comune con le nostre tradizioni”. A Corinaldo, in provincia di Ancona, definita dal quotidiano “Il Sole 24 Ore” come “la capitale italiana di Halloween”, nel 2005 il vescovo ha precisato che la gente, nonostante questa festa pagana, non deve dimenticarsi della tradizione cristiana dei morti e dei santi. Il parroco ha decisamente attaccato la manifestazione che pure ha registrato 80.000 presenze da tutte le parti d’Italia. Don Claudio Paganini, responsabile del Segretariato Oratori della Diocesi di Brescia, afferma che “Non è assolutamente opportuno promuovere o sostenere tale festa di halloween con cessioni di locali parrocchiali, promozione di feste e stampa di volantini […]. La festa di halloween non ci azzecca proprio nulla con la cultura europea, ed ancor meno con la formazione cristiana. La festa di Tutti i Santi ha sufficienti motivazioni teologiche, pastorali, educative per i giovani”.
L’Azione Cattolica di Vicenza, su iniziativa dell’Acr, esprime una “preoccupazione educativa” sulla festa di halloween: “Come Azione cattolica esprimiamo la preoccupazione di quali modelli educativi trasmettiamo ai ragazzi ed intendiamo esprimere la nostra contrarietà al diffondersi di una “festa” che fa dello spiritismo e del senso del macabro il suo centro ispiratore. […] è più sano per l’intelligenza dei nostri ragazzi e bambini fantasticare sulle streghe o conoscere la storia dei grandi santi che hanno vivificato il nostro patrimonio culturale e la nostra tradizione cristiana?”.  L’Azione cattolica di Vicenza si scaglia, in particolare, contro chi pensa che Halloween sia “un evento che appare innocuo, e che non fa male a nessuno”.
E’ interessante sottolineare come diverse parrocchie si sforzino di valorizzare le feste cristiane. Nella parrocchia di San Luigi Gonzaga a Foggia, guidata da don Guglielmo Fichera, da alcuni anni nel pomeriggio del 31 ottobre, adulti e bambini, catechisti e genitori, hanno indossato abiti e portato simboli che ricordano il santo di cui portano il nome. La festa di “quelli vestiti come i santi” inizia con la processione animata con canti e preghiere che si snoda per le vie della parrocchia che attenzione non si chiama “processione di tutti i santi”, ma processione di “quelli vestiti come i santi”. Gli abiti per tale festa vengono realizzati in economia, con semplicità, in maniera artigianale, con pezzi di stoffa e accessori recuperati dalle cose e dai materiali che sono in casa o acquistati a poco prezzo al mercato. Povertà creativa, dunque, non spreco di denaro, perché bisogna testimoniare il Vangelo, non fare una sfilata di moda! Dopo la processione e dopo la Santa Messa, in chiesa viene esposto il Santissimo Sacramento e si prega in vario modo per lodare Dio e per riparare tutti i tipi di “brutture” operate nella notte dai “devoti di Halloween”. C’è poi la festa nei locali parrocchiali con tanti palloncini colorati, tante luci, tanti giochi, dolci e canti: è allora che grandi e piccoli si chiedono l’un l’altro: il simbolo che porti, che significato ha nella vita del santo di cui porti il nome? Insomma non più “dolcetto o scherzetto” ma “dimmi che santo sei”.
La maggior parte dei bambini, dei ragazzi e dei giovani, oggi sa poco o niente del santo di cui porta il nome. Quando è nato? In che secolo è vissuto? Quali sono gli episodi più significativi della sua vita? Ha lasciato insegnamenti spirituali particolarmente illuminanti? Ha scritto libri importanti per la nostra spiritualità? Come è morto? Perché nelle immaginette è rappresentato con quel particolare oggetto in mano o con quel particolare animale accanto? Con quale simbolo posso richiamare la sua vita? La parrocchia di San Luigi a Foggia ha messo a disposizione per ogni ragazzo del catechismo, una scheda sulla vita e i fatti essenziali della vita del proprio santo (reperiti da libri di agiografia e da un sito internet con 18.000 santi) insieme ad una foto plastificata a colori del santo e alla consulenza di alcune mamme-sarte per meglio preparare lo specifico abito. Una équipe guidata dal parroco don Fichera ha aiutato chi aveva difficoltà a pensare e a realizzare il simbolo più appropriato al santo di cui porta il nome.
L’esempio della parrocchia di San Luigi è stata imitata da altri centri cattolici. La parrocchia dei santi Angeli Custodi di Piacenza ha invitato i ragazzi a mascherarsi secondo il nome del santo che portano. “E’ stato bellissimo – racconta Don Pietro Cesena – perché abbiamo coinvolto quasi 400 tra giovani e famiglie”.  Sul sito della parrocchia ancora oggi campeggia un invito: “Halloween! No, grazie. I bambini dei Santi Angeli festeggiano tutti i Santi. Illuminano le tenebre dell’autunno, con una festa di luce, per anticipare la gioia che un giorno vivremo nel cielo”. “Noi cristiani – continua il parroco – riusciremo a trasformare anche questa festa pagana che inculca nei nostri giovani la cultura della morte”. Non sono poche le parrocchie italiane che nella notte del 31 ottobre organizzano momenti di festa e di preghiera. “Abbiamo voluto pregare – spiega don Antonio Pesciarelli della parrocchia di Santa Maria delle Grazie di Roma – proprio in quella notte. La nostra adorazione eucaristica, animata dai giovani e dai catechisti, ha fatto da contraltare alle messe nere e ai riti satanici portati con una certa leggerezza da questa festa americana di halloween. La parrocchia ha organizzato una 4 giorni dal titolo 'Tutti Santi!'. Non solamente preghiera. Ma anche giochi e spettacoli in piazza che hanno coinvolto l’intero quartiere”.
La vita e l’esempio dei santi, rendendo presente Gesù e il suo Vangelo, è una efficace catechesi incarnata nella storia ed è capace, se ben utilizzata, di vincere la controcatechesi di un mondo secolarizzato, pagano, satanista. Alla falsa catechesi di Halloween e delle sette sataniste, i santi con forza e incisività contrappongono la vera catechesi del Vangelo con la cultura della verità, dell’onestà, dell’amore e della solidarietà. Benedetto XVI, rivolgendosi ai giovani a Colonia, in Germania, li ha messi in guardia contro tutte le false rivoluzioni e ha indicato loro la vera ed unica rivoluzione: “Volete cambiare il mondo? Volete un mondo più pulito? Fatevi santi!”.
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* Don Marcello Stanzione è il Presidente dell'Associazione Milizia di San Michele Arcangelo.


ROMANO GUARDINI, UN RICERCATORE DELLA VERITÀ DI DIO E SULL’UOMO - Benedetto XVI nell'udienza ai partecipanti a un congresso sul teologo italo-tedesco

ROMA, venerdì, 29 ottobre 2010 (ZENIT.org).- “Un uomo del dialogo interiore” e dello scambio culturale con gli uomini, desideroso di “conoscere la verità di Dio e la verità sull’Uomo”. E' questo il profilo di Romano Guardini tracciato da Benedetto XVI nel ricevere in udienza venerdì mattina, in Vaticano, i partecipanti al congresso promosso a Roma dalla fondazione berlinese dedicata allo studioso italo-tedesco, scomparso 40 anni fa.
Il Papa, ha riferito L'Osservatore Romano, ha ricordato che Guardini non amava guardare alla realtà dal di fuori, come se si trattasse di un mero oggetto di ricerca. Al contrario egli amava avvicinarsi alla verità attraverso uno scambio vivo con il mondo e con l'uomo, a partire dalla consapevolezza che la persona sa di essere in rapporto con Dio, che la precede e al quale non può sottrarsi.
“Ed era questo orientamento – ha detto il Pontefice, secondo quanto riportato da Radio Vaticana – del suo insegnamento che aveva colpito noi giovani: noi, infatti, non volevamo conoscere un’esplosione di tutte le opinioni che esistevano all’interno o al di fuori della cristianità, perché noi volevamo conoscere ciò che è. E lì c’era uno che, senza paure e allo stesso tempo con tutta la serietà del pensiero critico, si poneva di fronte a questa domanda e ci aiutava a seguire il pensiero”.
Tuttavia, ha proseguito Benedetto XVI, anche se la verità di Dio “non è astratta o trascendente, ma si trova nel vivo-concreto, nella figura di Gesù Cristo”, talvolta anche l’uomo più disponibile “non sempre” comprende “quello che dice Dio”. Serve, allora, “un correttivo, e questo consiste nello scambio con l’altro”.
“Guardini era un uomo del dialogo – ha proseguito –. Le sue opere sono nate quasi senza eccezione da un dialogo, se non altro interiore (...) Dall’apertura dell’Uomo per la verità per Guardini ne consegue un ethos, un fondamento per il nostro comportamento morale nei riguardi del nostro prossimo, come esigenza della nostra esistenza. Proprio perché l’uomo può incontrare Dio può agire per il bene”.
Guardini, ha sottolineato ancora il Papa, fu anche un sensibile pedagogo per i giovani. I loro ideali di autodeterminazione, responsabilità, sincerità interiore “li purificava e li approfondiva”, insegnando che la “libertà è verità” e che l’uomo è vero se lo è “secondo la sua natura” che porta a Dio.
Inoltre, accompagnando i giovani, Guardini cercò anche un nuovo approccio alla liturgia: “La riscoperta della liturgia per lui era riscoperta dell’unità tra spirito e corpo nella completezza dell’uomo intero. Infatti, l’atteggiamento liturgico è sempre atteggiamento fisico e spirituale. La preghiera è allargata dall’agire fisico e comunitario e così l’unità si apre a tutta la realtà”.
“Guardini vedeva nell’università il luogo della ricerca della verità – ha evidenziato poi –. Questo, però, può essere solamente se essa è libera da qualsiasi strumentalizzazione e da qualsiasi coinvolgimento politico o di altro genere”.
“Oggi più che mai, in un mondo fatto di globalizzazione e frammentazione, è necessario che questa esigenza venga portata avanti”, ha infine concluso.


29/10/2010 – INDIA - False accuse di molestie contro il missionario picchiato da 300 indù in Karnataka di Nirmala Carvalho
Il provinciale dei Missionari della Santa Croce afferma che fratel Phillip Nononha è vittima di un complotto, organizzato dagli indù con la complicità delle autorità. Per il religioso le accuse di molestie sono solo un pretesto per espropriare la scuola della Holy Cross di Whitefield dei suoi terreni per favorire il locale tempio indù.


Mumbai (AsiaNews) – Picchiato da oltre 300 indù e umiliato dai media, fratel Phillip Noronha, missionario della Santa Croce e vicerettore della Holy Cross School di Whitefield (Karnataka) deve ora difendersi dalle false accuse di molestie mosse dai genitori di alcuni studenti della sua scuola.  

Ieri, la polizia, in complicità con gli assalitori, lo ha trattenuto per oltre 2 ore all’interno della locale stazione di Whitefield, rilasciandolo solo dopo il pagamento di una cauzione.

In comunicato inviato ai media locali, Fratel Sesu Ray, CSC, superiore provinciale dei Missionari della Santa Croce, conferma che tutte le accuse mosse contro il religioso sono false e orchestrate ad arte dagli indù. Egli accusa la polizia di essere complice degli assalitori il cui scopo è solo quello espropriare la scuola cattolica dei terreni in favore  del vicino tempio indù. 

“C’è stata una grave violazione dei diritti umani contro fratel Phillip – afferma – tutte le accuse sono infondate e infamenti”. Il provinciale fa osservare che gli autori del pestaggio, compresi i genitori dei due studenti, hanno più volte minacciato il religioso per il suo eccessivo interesse nei confronti del contenzioso sulla proprietà dei terreni tra la scuola e il tempio indù. Per formulare le accuse di molestie lo hanno costretto a dire davanti alle televisioni, mentre lo picchiavano, di aver usato in classe parole sconce. “Tutto ciò – continua fratel Sesu – conferma che queste persone avevano ben altri motivi per assalire fratel Phillip, rispetto a quanto hanno riferito alla polizia e ai media. Lui – continua – non ha mai usato in classe un linguaggio scurrile e non si è mai comportato in modo inopportuno con i suoi studenti”.   

Fratel Sesu denuncia il comportamento della polizia che dopo il pestaggio ha trattenuto per oltre due ore il missionario prima di poter presentare la sua versione dei fatti alle autorità di Whitefield. Il provinciale sottolinea inoltre che le accuse di molestie contro fratel Phillip sono state presentate solo il 24 ottobre, mentre il linciaggio è avvenuto il 23. Ciò avrebbe favorito la procedura legale contro di lui.

“Chiediamo alle autorità  – aggiunge - di adottare immediatamente provvedimenti contro chi ha attaccato fratel Phillip e contro tutti coloro che si celano dietro a questo complotto”. 


L'educazione negli "Orientamenti pastorali" della Conferenza episcopale italiana - Per una rinnovata stagione di evangelizzazione di Mariano Crociata Vescovo segretario generale della Conferenza episcopale italiana (©L'Osservatore Romano - 30 ottobre 2010)
La scelta di "educare alla vita buona del Vangelo", come prospettiva unificante degli Orientamenti pastorali per il prossimo decennio, è maturata nel contesto del IV Convegno ecclesiale di Verona, ma ha ricevuto un impulso determinante dal magistero di Benedetto XVI. Il Papa per primo ha ravvisato nell'educazione il carattere di "emergenza", non nel senso però di un problema esclusivamente contemporaneo, giacché "la libertà dell'uomo è sempre nuova e quindi ciascuna persona e ciascuna generazione deve prendere di nuovo, e in proprio, le sue decisioni" (Lettera alla diocesi e alla città di Roma, 2008), ma per il fatto che la crisi odierna è legata a un nodo culturale inedito. Ci si riferisce a quanto il Santo Padre ha detto ai vescovi italiani nel maggio scorso, individuando nella negazione della vocazione trascendente dell'uomo, cioè della sua relazione con Dio, la causa di un disorientamento che tarpa le ali all'avventura educativa e restringe l'orizzonte umano entro i limiti angusti della sfiducia e della tristezza. Infatti, "senza Dio l'uomo non sa dove andare e non riesce nemmeno a comprendere chi egli sia" (Caritas in veritate, 78). Si comprende allora come negli Orientamenti emerga una fiducia di fondo nell'opera educativa che "non è frutto di un ingenuo ottimismo, ma ci proviene da quella "speranza affidabile" (Spe salvi, 1) che ci è donata mediante la fede nella redenzione operata da Gesù Cristo" (n. 15). Educare è possibile e anzi esprime la volontà di promuovere una rinnovata stagione di evangelizzazione. "La fede, infatti, è radice di pienezza umana, amica della libertà, dell'intelligenza, dell'amore" (ivi).
Il valore specifico del documento episcopale risiede, a mio parere, nella sua funzione di discernimento e nella individuazione di un metodo pastorale. Il discernimento è sviluppato inizialmente sul piano culturale (capitolo i), ma poi cerca di mostrare nella relazione fondante con il Maestro interiore lo snodo decisivo per lasciarsi educare da Dio (capitolo II). Centrale appare l'esperienza di un'esistenza secondo lo Spirito:  "essa non è frutto di uno sforzo volontaristico, ma è un cammino attraverso il quale il Maestro interiore apre la mente e il cuore alla comprensione del mistero di Dio e dell'uomo" (n. 21). L'accoglienza del dono dello Spirito si rifrange entro una molteplicità di dimensioni che gli Orientamenti si premurano di precisare, come quando fanno riferimento alla dimensione missionaria, a quella ecumenica e dialogica, a quella caritativa e sociale per giungere fino a quella escatologica. Da ciò si ricava l'immagine di una educazione che vuol essere integrale, senza tralasciare alcun aspetto dell'esperienza umana e senza censurare alcun desiderio autenticamente aperto al mistero della vita.
Il metodo pastorale si coglie, invece, nei due capitoli successivi - il III e il IV - laddove ci si sofferma a lungo nel considerare la relazione e la fiducia come condizioni necessarie per l'educazione che non può essere ridotta genericamente a una trasmissione per quanto importante di contenuti, ma è un'azione generativa che chiama in causa l'educando e l'educatore. In particolare, l'educatore si rivela come "un testimone della verità, della bellezza e del bene, cosciente che la propria umanità è ricchezza e limite" (n. 29). In tale contesto, in cui la credibilità, anzi la santità, è condizione essenziale, gioca un ruolo decisivo la Chiesa in quanto comunità educante. Non si tratta certo di sminuire il primato educativo della famiglia, la cui forza viene riconosciuta insieme ai limiti, avendo cura di evidenziare che "c'è un'impronta che essa sola può dare e che rimane nel tempo" (n. 36). In essa avviene l'educazione di base alla fede. Infatti, "anche l'immagine di Dio" sarà "caratterizzata dall'esperienza religiosa vissuta nei primi anni di vita" (n. 37). Alla famiglia è chiamata ad affiancarsi la parrocchia, che è il luogo dell'iniziazione alla fede e anche il crocevia delle istanze educative, giacché essa "continua ad essere il luogo fondamentale per la comunicazione del Vangelo e la formazione della coscienza credente; rappresenta nel territorio il riferimento immediato per l'educazione e la vita cristiana a un livello accessibile a tutti; favorisce lo scambio e il confronto tra le diverse generazioni; dialoga con le istituzioni locali e costruisce alleanze educative per servire l'uomo" (n. 41).
C'è, infine, un altro ambiente che viene evocato per completare la triangolazione sull'educare, e cioè la scuola e l'università. Dopo aver sottolineato la sfida che oggi il mondo dell'istruzione e della formazione è chiamato ad interpretare, si ribadisce l'esigenza in tale contesto di rendere ragione del messaggio cristiano, promuovendo "una nuova sintesi umanistica, un sapere che sia sapienza capace di orientare l'uomo alla luce dei principi primi e dei suoi fini ultimi, un sapere illuminato dalla fede" (n. 49).
L'ultimo capitolo, il V, intitolato "Indicazioni per la progettazione pastorale", ha una finalità pratica e intende richiamare in chiave operativa l'esigenza di un cammino che coniughi il discernimento operato e il metodo prospettato. In altre parole, si ritorna al punto di partenza, che consiste nel raccogliere la sfida della complessità che la società e la cultura di oggi muovono al vivere umano, suscitando percorsi di vita buona, che sappiano cioè entrare negli ambiti vitali con il soffio dello Spirito. Dentro, cioè, la vita affettiva, a partire dai più piccoli, dentro la capacità di vivere il lavoro e la festa, come compimento della vocazione, dentro la fragilità umana che si manifesta in tante forme e in tutte le età, dentro la tradizione nei modi culturalmente più fecondi e rilevanti, dentro la cittadinanza responsabile che rilancia l'impegno sociale e politico.
Con gli Orientamenti le Chiese che sono in Italia hanno a disposizione "alcune linee di fondo per una crescita concorde", come sottolineato dal cardinale arcivescovo Angelo Bagnasco, presidente della Conferenza episcopale italiana, che nella sua presentazione si mostra ben consapevole "delle energie profuse con tanta generosità nel campo dell'educazione da consacrati e laici, che testimoniano la passione educativa di Dio in ogni campo dell'esistenza umana". Grazie a questi numerosi testimoni sul campo, gli Orientamenti diventano non già un compito da iniziare, ma una missione da continuare con fiducia e serenità, perché "l'epoca delle passioni tristi" ceda il passo a una nuova stagione dell'evangelizzazione del nostro amato Paese.


Avvenire.it, 30 ottobre 2010 – IDEE - «Caro ateo, sapere aude!» di S.E. Carlo Caffarra

Nel suo limpido pensiero Tommaso ha scritto: «Si deve dire che i doni della grazia si aggiungono alla natura in modo non da sopprimerla, ma piuttosto da perfezionarla; perciò anche il lume della fede che viene infuso in noi per grazia, non distrugge il lume della ragione naturale posto in noi da Dio» [Commento al libro di Boezio sulla Trinità q.2, a 3 c].
Il testo esprime la chiave di volta di ogni cultura cristiana: il naturale vincolo della fede colla ragione. Un vincolo naturale in forza del quale l’una perfeziona l’altra. Una fede non pensata – solo esclamata e mai interrogata – finisce col restare ai margini della vicenda umana: il momento di elevazione-evasione dalle brutte faccende feriali, che tali restano, e brutte e feriali. Una ragione che si precluda l’interrogativo ultimo sul fondamento dell’intero, finisce col chiudersi dentro un’ontologia e un’etica del finito privo di fondamento. E «chi sceglie il finito, segue il destino del finito e il destino del finito è di trascinare il finito nel finito, infinitamente» [Cornelio Fabro]. E questo si chiama disperazione, anche se vissuta gaiamente.
Ma che cosa significa per noi oggi il fatto «che la fede non distrugge il lume della ragione naturale posto in noi da Dio»? Certamente significa che la decisione di credere è una decisione ragionevole, poiché esistono ragioni rigorosamente argomentate che persuadono ad una tale decisione. Non voglio ora soffermarmi su questo significato, benché sia di notevole importanza. Certamente significa che l’ingresso del sapere della fede dentro all’universo del sapere della ragione non toglie a quest’ultimo la sua piena autonomia. In sostanza si tratta di due inquilini che abitano nello stesso condominio – la vita dello spirito umano – ma ciascuno a casa propria. Anche questa posizione del rapporto ragione-fede è importante. L’averla dimenticata è stata una delle cause non ultime del drammatico «caso Galileo».
Ambedue le posizioni teoretiche precedenti in fondo lasciano ragione e fede estranee l’una all’altra, anche se non confliggenti. Ma il testo tommasiano e il Magistero dell’attuale Pontefice, in approfondita continuità coll’enciclica Fides et ratio, ci invitano a riflettere sull’intrinseca connessione e reciproca fecondazione di fede e ragione. San Tommaso infatti parla di «perfezionamento». In che senso?
Scrive san Bonaventura: «quando la fede assente… per amore di colui a cui dà il proprio assenso, desidera comprendere [habere rationes]» [Commento alle Sentenze, Proemio q.2].

La fede è l’incontro con una Persona nel suo agire e nelle sue dichiarazioni di amore. Ogni amante desidera conoscere colui che ama. La fede stessa quindi mette in azione la ragione perché questa evidenzi le ragioni intime dell’amore divino. Perché il credente sia introdotto sempre più profondamente dentro il Mistero, deve ricorrere alla sua ragione, obbligandola ad un uso sovra-eminente della sua capacità. Nessuna ragione ha osato tanto quanto la ragione dei credenti.
In questo modo, e solo in questo modo, il credente sarà in grado di mostrare a chi si trova ancora nell’atrio dei gentili l’intima ragionevolezza dell’universo della fede.
Non solo, ma in questo modo la ragione è anche guarita da quella malattia mortale da cui oggi è colpita, quella di essere ridotta alla capacità di ottenere conseguenze efficaci a partire da posizioni e interessi assunti in maniera pregiudiziale; quella di essere ridotta a misurare e commisurare gli effetti alle cause.
Ma anche la fede ha bisogno della ragione. Da almeno due punti di vista.
La divina Rivelazione a cui la fede dà il suo assenso, è prima di tutto un evento linguistico: è parola di Dio detta all’uomo. È quindi veicolo di un senso, non semplicemente di emozioni. È dunque necessario un rigoroso lavoro di purificazione perché il «senso divinamente inteso e rivelato» entri nella comunità cristiana. La perfetta uguaglianza nella divinità fra il Padre e il Figlio, per fare un esempio, rivelataci da Gesù, ha esigito per essere correttamente espressa e confessata una fatica concettuale straordinaria. In ordine al culto che l’uomo deve a Dio non è indifferente ciò che l’uomo pensa di Dio. Il primo atto di culto è che di Dio si pensi con verità.

Ma la fede ha bisogno della ragione da un altro punto di vista. La fede cristiana è fede in Dio che si incarna, e dunque essa esige di dirsi – cioè di ispirare – in ogni ambito della vita umana: anche l’ambito della civitas. Attraverso un faticoso percorso, non solo di pensiero, l’Occidente ha compreso che questa esigenza della fede non poteva tradursi immediatamente nella costruzione della civitas. La fede cristiana è laica. In quanto tale quando entra nella piazza della civitas ha bisogno di essere argomentata in modo tale che anche il non-credente possa ritrovarsi in quell’argomentazione: per acconsentirvi o respingerla. È la ragione che opera la necessaria mediazione di una fede che voglia, come deve, essere presente nell’edificazione della civitas.

Ma anche in questo ambito si dà una feconda reciprocità. Una città che in linea di principio escludesse dal dibattito pubblico la fede [laicismo escludente], rischierebbe di privarsi di quella matrice religiosa senza della quale nessuna società può a lungo sussistere. Forse qualcuno potrebbe pensare che queste considerazioni sono… di accademia. Non è così.

La rottura del vincolo ragione-fede ha avuto e sta avendo effetti devastanti. Il concepimento di una nuova persona umana da mistero da venerare si è trasformato in problema da risolvere [donde la procreativa artificiale]. L’ontologia e l’etica del finito senza fondamento ha creato un tale deserto di senso da rendere ormai impossibile la narrazione della vita di generazione in generazione [donde l’emergenza educativa]. L’incapacità di fondare un’etica pubblica sta portando progressivamente le nostre società a essere solo provvisorie convergenze di opposti interessi. Termino con un pensiero di Pavel Florenskj sulla situazione di un uomo che ha pensato e voluto vivere come se Dio non ci fosse, fondando se stesso su se stesso. L’autore russo chiama questa posizione «aseità». «Ormai l’aseità è in preda a se stessa, è definitivamente cieca, avendo disprezzato la purezza del cuore. La tragicità sta proprio nel fatto che l’aseità impazzita non avrà l’intelletto per capire ciò che le succede: per lei esiste solo il "qui" e "ora"» [La colonna e il fondamento della verità, edizioni San Paolo].
Beati i piedi di coloro che vengono ad annunciare il Vangelo della grazia e della misericordia!


LO SCARSO RISCONTRO AL CORAGGIOSO FILM DI AVATI SULL’ALZHEIMER - Quando il dolore e la dedizione diventano spettacolo «insopportabile» di DAVIDE RONDONI – Avvenire, 30 ottobre 2010

Gli artisti veri ci chiedono di guardare in faccia il tremendo.

L’incontrollabile. E il valore di cose invisibili. Per questo sono scomodi. Non per le loro opinioni a riguardo, che so, della politica o di altro. Anzi, un certo cliché di artista sempre protestatario è comodissimo per il potere. Come e quanto l’artista lacchè. Gli artisti veri sono scomodi perché ci obbligano a guardarci senza censure, senza pudore. In queste settimane un delicato e 'rischioso' film è circolato in alcune sale italiane. È di Pupi Avati e narra la perdita della mente e cosa significa amare chi sembra smarrirsi. È la vicenda dell’Alzheimer, ma potrebbe essere anche la vicenda di tanti altri smarrimenti e amori sproporzionati. Avati la narra con le risorse della sua arte e della sua esperienza. Ma il film non va, pochi incassi. O meglio, come già denunciato dal regista all’uscita, la distribuzione in poche sale, la strozzatura del mercato che punta su altri prodotti, il festival di Venezia negato e altri fattori lo relegano a incassi limitati.

Così il film è a rischio di rapida scomparsa dalle già rare sale.

Insomma, nessuna censura, ma per così dire, una specie di messa in disparte. Atteggiamento che si riflette anche nel pubblico, pare. Che preferisce non guardare questa storia. E che pure vive in milioni di casi esperienze analoghe. Ma preferisce dedicare le ore libere alla commedia, a storielle non importa quanto originali, e che hanno il pregio d’essere svaganti, lievi, e magari anche corrette. La sofferenza invece è scorretta.

L’impasto tremendo e glorioso di amore e dolore sono scorretti. Il dolore non è giusto. E anche l’amore riservato ai colpiti dal dolore non nasce per 'giustizia'. Preferiamo dunque raccontarci altre storie.

In un’Italia che sciaguatta tra crisi economica, politica confusa e fenomeni da baraccone, si preferisce raccontarsi altre cose. Si preferiscono altre storie. Che abbiano infine – quando pure si tratti di vicende esposte su abissi di dolore – un sapore di intrattenimento, grazie allo spettacolo a cui le riducono i media.

Vicende che si possano trasformare in commedia. In qualcosa cosa su cui chiacchierare davanti alla macchinetta del caffè. Si preferisce questo. Si preferisce sorvolare, si preferisce ridacchiare. E si adduce con grossolanità che c’è la crisi, e dunque c’è voglia di ridere. Indicando così uno dei principi del totalitarismo. Quello visibile e quello meno visibile. Che tiene le teste occupate con cose 'divertenti' mentre il manovratore decide da solo dove andare.

Eppure ci sono stati film (uno per tutti: Rain Man)

che parlando di cose dure presenti nelle vite di molti hanno aperto gli occhi a tantissimi. È come se nel caso di questo film di Avati i padroni del mercato avessero invece indicato che si doveva trattare di una questione secondaria. Di una faccenda minore. Forse perché non ci esplodesse davanti – e proprio in questo tempo di crisi – la necessità di attingere alle cisterne azzurre e profonde di amori senza ritorno. Forse perché in questa epoca del 'risentimento' parlare di dedizione, di senso del vivere, di vicende aperte sul mistero è scomodo per i signori del gusto e del mercato. Meglio pensierini risentiti, confezioni usa e getta di emozioni, o niente pensieri, niente emozioni troppo incontrollabili. Avati, come i veri e liberi artisti, non è tipo da scoraggiarsi. Continuerà a raccontare le storie necessarie di questa epoca. A lui forse rimarrà il cruccio di un film che per ora non è andato granché. In noi cresce, invece, il senso che il nostro cuore e la nostra cultura non vanno granché.