Nella rassegna stampa di oggi:
1) CONFERENZA A BRUXELLES SULLA “PERSECUZIONE DEI CRISTIANI” - L'Europa non può restare indifferente di fronte alla loro sofferenza
2) UN MANUALE PER I CATTOLICI IN POLITICA di Antonio Gaspari (ZENIT.org) - Monsignor Giampaolo Crepaldi, Arcivescovo di Trieste, da poco nominato Presidente della Commissione “Caritas in veritate” del Consiglio delle Conferenze Episcopali d'Europa (CCEE), ha pubblicato il libro “Il cattolico in politica. Manuale per la ripresa” (Cantagalli).
3) In Israele germogliano i giudeocristiani - Sono battezzati nella Chiesa cattolica ma parlano e vivono come gli ebrei. Assomigliano alla primitiva comunità di Gerusalemme. Sono in crescita ma si sentono trascurati, come in un ghetto di Sandro Magister
4) Radio Vaticana - 09/10/2010 -La coscienza specchio della verità: la Chiesa celebra oggi il Beato John Henry Newman
5) Fine del maschio? - Autore: Buggio, Nerella - Fonte: CulturaCattolica.it - venerdì 8 ottobre 2010
6) 8 Ottobre 2010 - L'aborto e i suoi retroscena. - Novità editoriale: L'aborto e i suoi retroscena. Vite e maternità spezzate dal sito http://www.comitatoveritaevita.it
7) Avvenire.it, 9 ottobre 2010 - L'inferno è fare male ed essere soli - La coscienza di Michele di Marina Corradi
8) Avvenire.it, 9 ottobre 2010 - Finalmente il Nobel per la pace a Liu Xiaobo - Oslo ha trovato la via del coraggio di Gerolamo Fazzini
9) Charles Péguy: processo al dio denaro DI ROBERTO MUSSAPI – Avvenire, 9 ottobre 2010
CONFERENZA A BRUXELLES SULLA “PERSECUZIONE DEI CRISTIANI” - L'Europa non può restare indifferente di fronte alla loro sofferenza
BRUXELLES, venerdì, 8 ottobre 2010 (ZENIT.org).- “La libertà religiosa deve integrarsi nelle politiche estere dell'Unione Europea”, afferma la Dichiarazione scritta presentata dai deputati europei in occasione della conferenza sulla “persecuzione dei cristiani”, svoltasi questo martedì presso il Parlamento Europeo, a Bruxelles (Belgio).
L'atto è stato organizzato dal gruppo del Partito Popolare Europeo (PPE), dal gruppo Conservatori e Riformisti Europei (CRE) e dalla Commissione degli Episcopati della Comunità Europea (COMECE).
La Dichiarazione scritta lanciata dai deputati Mario Mauro (PPE) e Konrad Szymański (CRE) dovrà essere sottoposta alla plenaria del Parlamento Europeo nelle prossime settimane, ha reso noto un comunicato della COMECE.
Per essere adottata, dovrà ricevere le firme di 380 membri del Parlamento Europeo in tre mesi.
In occasione di questa conferenza, il segretariato della COMECE ha presentato il suo rapporto sulla libertà religiosa.
Lo studio ricorda che “il diritto alla libertà religiosa è legato così strettamente agli altri diritti fondamentali che si può argomentare a ragione che il rispetto della libertà religiosa è come un 'test' per l'osservanza degli altri diritti fondamentali”.
“Violazioni del diritto alla libertà religiosa o di credo si verificano in tutto il mondo e interessano ogni anno più di cento milioni di cristiani”, sottolinea l'associazione cristiana Open Doors International.
In base alle ultime statistiche, precisa l'organismo al servizio della Chiesa perseguitata, nel 2010 i dieci Paesi in cui i cristiani sono più perseguitati a causa della loro fede sono la Corea del Nord, l'Iran, l'Arabia Saudita, la Somalia, le Maldive, l'Afghanistan, lo Yemen, la Mauritania, il Laos e l'Uzbekistan.
La conferenza ha dato la parola a testimoni di spicco della persecuzione dei cristiani nel mondo: monsignor Edward Hiiboro Kussala, Vescovo della Diocesi cattolica di Tombura, Yambio (Sud Sudan), monsignor Louis Sako, Arcivescovo caldeo di Kirkuk (Iraq), il dottor T.M. Joseph, direttore del Newman College di Thodupuzha (India) e Kok Ksor, presidente della Montagnard Foundation (Vietnam).
Tra i deputati, Konrad Szymański (CRE) ha ricordato che il “75% delle morti collegate a crimini di odio basati sulla religione interessa persone di fede cristiana; i cristiani sono quindi i credenti più perseguitati nel mondo”.
“L'Europa non può restare indifferente”, ha avvertito, sottolineando che “la sofferenza dei cristiani è un crimine che oggi viene ancora dimenticato” e ricordando ai leader politici “le loro responsabilità”.
Dal canto suo, il deputato Mario Mauro (PPE) ha affermato che “la libertà religiosa è la condizione per la quale devono passare tutte le altre nostre libertà”.
“Avere la libertà di esprimere e di praticare la religione nella quale crediamo significa sfuggire all'abuso di potere – ha aggiunto –. E' questo il motivo per il quale dobbiamo insistere sulla difesa di questo principio”.
Il vicepresidente del gruppo del PPE incaricato delle questioni religiose ha inoltre sottolineato che “la non discriminazione è universale”.
“La libertà religiosa e la non discriminazione vanno di pari passo”, ha dichiarato. “Le religioni sono elementi importanti dell'identità europea”, e il dialogo religioso è “cruciale” per “la coscienza politica ed europea”.
UN MANUALE PER I CATTOLICI IN POLITICA di Antonio Gaspari (ZENIT.org) - Monsignor Giampaolo Crepaldi, Arcivescovo di Trieste, da poco nominato Presidente della Commissione “Caritas in veritate” del Consiglio delle Conferenze Episcopali d'Europa (CCEE), ha pubblicato il libro “Il cattolico in politica. Manuale per la ripresa” (Cantagalli).
ROMA, venerdì, 8 ottobre 2010 (ZENIT.org).- Già due anni fa il Pontefice Benedetto XVI ha lanciato un appello affinché i cattolici portino la loro testimonianza anche in politica.
Per il Cardinale Angelo Bagnasco, è un “sogno” poter vedere una nuova generazione di cattolici in politica.
Monsignor Mariano Crociata, Segretario generale della Conferenza Episcopale Italiana (CEI), ha annunciato l’avvio di “un percorso per accompagnare la crescita, la coscienza e la formazione” dei laici cattolici, in vista della “possibilità di un coinvolgimento da parte di singole persone in impegno politico concreto”.
Ma quale deve essere il programma di un cattolico che fa politica? Quali sono i principi a cui deve fare riferimento? E quali virtù deve praticare nella gestione del bene pubblico? E’ importante difendere la vita e la famiglia, ma come si coniuga con le battaglie di ordine sociale?
Per rispondere alle tantissime domande che il tema solleva, monsignor Giampaolo Crepaldi, Arcivescovo di Trieste, da poco nominato Presidente della Commissione “Caritas in veritate” del Consiglio delle Conferenze Episcopali d'Europa (CCEE), ha pubblicato il libro “Il cattolico in politica. Manuale per la ripresa” (Cantagalli).
Si tratta di un volume che il Cardinale Bagnasco, Presidente della CEI, ha così introdotto: “Monsignor Giampaolo Crepaldi, arcivescovo-vescovo di Trieste e per lungo tempo impegnato nella Santa sede con alti incarichi nel campo della evangelizzazione del sociale e della promozione della giustizia e della pace cristiane, ha scritto questo ‘Manuale’, che bene si inserisce nell’impegno per la realizzazione di quel ‘sogno’: formare una nuova classe di cattolici impegnati in politica”.
“Ho accolto quindi questa pubblicazione – ha aggiunto il porporato con viva soddisfazione, perché mi sembra molto utile e, direi, ‘tempestiva’, nel senso che coglie un bisogno reale e vivo e fornisce alcuni strumenti formativi per affrontarlo”.
Il libro in questione è costruito come un vero manuale diviso in 20 capitoli: i primi dieci spiegano i “criteri”, e cioè la dimensione pubblica del Cristianesimo, i principi della Dottrina Sociale, il problema della laicità, i principi non negoziabili.
Nella seconda parte l’autore spiega i “contenuti” della proposta di un cattolico in politica. Tra questi, la difesa della vita, la protezione della famiglia, la libertà di educazione, la libertà religiosa, il lavoro e la lotta sussidiaria alla povertà, la riforma dello Stato, le immigrazioni, la gestione dell’ambiente, l’identità europea, la nazione e lo sviluppo dei popoli.
Con coraggio e franchezza l’Arcivescovo di Trieste, che è anche Presidente dell’Osservatorio Internazionale Cardinale Van Thuan (http://www.vanthuanobservatory.org/), spiega che per l’impegno politico dei cattolici è “giunto il tempo della ripresa, essendosi conclusi quello della resistenza e quello dell’attesa”.
La 'Resistenza’ degli anni Settanta e Ottanta, durante i quali “la laicità della modernità ha lanciato verso la Chiesa e i cattolici una violenta guerra culturale che ha prodotto smarrimento e perplessità sulla propria identità e missione”. E l'attesa negli anni Ottanta e Novanta.
Secondo monsignor Crepaldi fu dal discorso pronunciato da Giovanni Paolo II a Puebla nel 1979, che fu respinta la teologia della liberazione e fu ristabilito il punto di vista cristiano sulla dottrina sociale, secondo cui “non è la storia o la sociologia, non la prassi né l’oppressione o la povertà sociologicamente intese, ma la fede della tradizione apostolica”.
Fu a Puebla che Giovanni Paolo II affermò “l’antropocentrismo cristiano – l’uomo è la via della Chiesa” ribadendo “la pretesa della Chiesa di annunciare in Cristo la salvezza integrale dell’uomo”.
Seguendo un percorso storico, tra libri, encicliche e discorsi, l’Arcivescovo di Trieste arriva al convegno ecclesiale nazionale di Verona del 2006, durante il quale Benedetto XVI rimise al centro il Dio “dal volto umano” che ha detto un grande “sì” all’uomo.
“Ciò significa – ha sottolineato il presule - che la religione cristiana è ‘amica della persona’ e rivendica una pretesa di verità che non contraddice, ma conferma, illumina ed eleva, la verità dell’uomo”.
Monsignor Crepaldi spiega che “l’annuncio della verità cristiana non è arroganza, ideologia o integralismo in quanto mostra all’uomo e al mondo la risposta alle loro più profonde attese. Da qui il ‘diritto di cittadinanza’ della Chiesa nella società, la conferma che 'non esiste soluzione alla questione sociale fuori del Vangelo' e nello stesso tempo il dialogo con le realtà umane costituite nella loro legittima autonomia”.
“Con Benedetto XVI – ha precisato il Presidente della Commissione del CCEE – il cristianesimo comprende che il mondo ha bisogno di Cristo come di qualcosa di indispensabile e che gli autentici diritti umani rischiano, senza di esso, di essere schiacciati sotto il peso della dittatura del relativismo”.
L’Arcivescovo di Trieste conclude affermando che “molti spiriti liberi, anche non cristiani, si interrogano profondamente, sentono il bisogno di recuperare ragione e buon senso e considerano che per far questo c’è bisogno dell’aiuto della fede cristiana, di un Dio che è amore e verità”.
In Israele germogliano i giudeocristiani - Sono battezzati nella Chiesa cattolica ma parlano e vivono come gli ebrei. Assomigliano alla primitiva comunità di Gerusalemme. Sono in crescita ma si sentono trascurati, come in un ghetto di Sandro Magister
ROMA, 8 ottobre 2010 – Alla vigilia del sinodo su "La Chiesa cattolica nel Medio Oriente: comunione e testimonianza", che si terrà in Vaticano dal 10 al 24 ottobre, è la stessa presenza dei cattolici in quelle terre che apre problemi.
Molti degli appartenenti alle comunità indigene, eredi delle antiche cristianità lì fiorenti prima che vi arrivasse l'islam, fuggono via.
Quelli che restano vivono qua e là nel terrore, ad esempio nel nord dell'Iraq, a Mosul e dintorni, dove per difendersi tendono a fare ghetto nella piana di Ninive.
Ma altrove arrivano per motivi di lavoro molti altri cattolici, in gran numero. Soprattutto dall'Asia e soprattutto nei paesi del Golfo.
Ad esempio, nel solo Kuwait i lavoratori immigrati sono oggi due milioni, il doppio dei cittadini kuwaitiani. I cattolici sono 350 mila e sono in prevalenza filippini e indiani. L'ondata di questi arrivi è così massiccia, in Arabia Saudita e nel Golfo, che a Roma stanno studiando come riscrivere i confini dei vicariati dell'area, dividendo in più parti l'immenso vicariato d'Arabia che oggi raggruppa Arabia Saudita, Oman, Yemen, Emirati Arabi, Qatar e Bahrein.
C'è infine il caso speciale dei cattolici in Israele, anche questo in piena mutazione.
*
Anzitutto, entro i confini di Israele i cristiani non sono andati diminuendo, ma in cifre assolute sono aumentati anno dopo anno: da 34 mila nel 1949 a 150 mila nel 2008, ultimo dato ufficiale.
Di una loro lieve diminuzione si può parlare solo in termini percentuali – dal 3 al 2 per cento –, perché nello stesso lasso di tempo i cittadini di religione ebraica sono cresciuti da un milione a 5 milioni e mezzo, grazie alle immigrazioni dall'estero, e i musulmani da 111 mila a 1 milione 200 mila.
In Israele, i cristiani sono presenti soprattutto in Galilea, mentre a Gerusalemme se ne contano 15 mila.
L'esodo di cristiani per il quale si lancia l'allarme riguarda quindi non Israele ma piuttosto la Terra Santa, termine geograficamente estensibile, che comprende i territori palestinesi e parti dei paesi arabi circostanti, fino alla Turchia e a Cipro.
*
La novità di maggior interesse, entro i confini di Israele, riguarda i cattolici di lingua ebraica.
Per la loro cura il patriarcato latino di Gerusalemme ha uno specifico vicariato, oggi affidato al gesuita David Neuhaus, ebreo israeliano convertito al cristianesimo.
Fino a pochi anni fa, in Israele, i cattolici di lingua ebraica erano poche centinaia. Ma sono in netta crescita e contano oggi almeno sette comunità: a Gerusalemme, Jaffa, Be'er Sheva, Haifa, Tiberiade, Latrun e Nazaret.
Alla rivista italiana "Il Regno" padre Neuhaus ha spiegato che queste comunità si sono formate grazie a quattro apporti.
Il primo apporto è venuto dagli ebrei giunti in Israele con le successive ondate migratorie, tra i quali c’erano dei cattolici, nati tali o convertiti, che sono diventati parte integrante della società israeliana di lingua ebraica. L'ultima grande ondata migratoria, dopo il 1990, è arrivata dal dissolto impero sovietico.
Il secondo apporto è dato dall'arrivo in Israele di lavoratori stranieri. Sono oggi circa 200 mila. Provengono dall'Africa, dall'America latina, dall'Europa orientale e più ancora dall'Asia. Dalle Filippine ne sono giunti 40 mila, per la maggior parte donne e cattoliche. I loro figli, nati e battezzati in Israele, vanno a scuola, imparano l'ebraico e si integrano nella società israeliana.
Il terzo apporto è costituito dai 2-3 mila maroniti libanesi trasferitisi in Israele dopo il ritiro israeliano dal sud del Libano e da profughi africani provenienti soprattutto dal Sudan meridionale, dove i cattolici sono numerosi. I loro figli crescono anch'essi parlando l'ebraico.
Infine, vi sono i palestinesi cattolici presenti in Israele fin dalla sua fondazione, con lo statuto di cittadini ma in condizioni socialmente svantaggiate. La loro lingua è l'arabo e sono stanziati soprattutto nei villaggi della Galilea, ma tendono a spostarsi in località economicamente più attraenti. Padre Neuhaus porta l'esempio di Be'er Sheva, "dove sono emigrate centinaia di famiglie arabe per lavorare nei servizi intorno ai villaggi beduini, che però non vivono con i beduini perché socialmente ed economicamente di classe inferiore. Mandano i loro figli nelle scuole di lingua ebraica e così abbiamo una nuova generazione di arabi palestinesi che parlano l'arabo solo in casa e non sanno più leggerlo né scriverlo".
Sono tutti questi – ormai alcune migliaia e di origini le più diverse – i cattolici di lingua ebraica di cui si prende cura il vicariato. La cura è rivolta in particolare ai giovanissimi, con catechismi per la prima volta redatti e insegnati nella lingua di Israele.
Commenta padre Neuhaus: "Operiamo con mezzi poveri. Nel patriarcato la maggioranza cristiana palestinese è quella a cui si dedica maggiore attenzione, e così i cristiani di lingua ebraica sono in un certo senso dimenticati. Ma siamo poveri anche in termini di persone che se ne occupino: siamo un piccolissimo gruppo con compiti troppo grandi».
*
Nel 2003 la Santa Sede pose alla testa del vicariato di Gerusalemme per i cattolici di lingua ebraica un vescovo e monaco benedettino di grande valore, Jean Baptiste Gourion, algerino di nascita, anche lui un ebreo convertito.
La nomina fu criticata aspramente dai circoli pro-palestinesi della Chiesa cattolica. Sulla rivista dei gesuiti di New York, "America", padre Drew Christiansen, che ne è l'attuale direttore, la definì "una manovra mirata a dividere la Chiesa in Terra Santa".
Purtroppo il vescovo Gourion morì poco dopo, prematuramente. E ai suoi successori non fu conferita la dignità episcopale.
Dice padre Neuhaus: "Come cattolici di lingua ebraica siamo una doppia minoranza, sia nello stato d’Israele sia nella Chiesa. A volte abbiamo l’impressione di vivere in un piccolissimo ghetto".
Un briciolo di speranza viene dal testo base del sinodo sul Medio Oriente che sta per cominciare in Vaticano, là dove definisce "un grande aiuto" al dialogo con l'ebraismo l'esistenza del vicariato per i cattolici di lingua ebraica.
Radio Vaticana - 09/10/2010 -La coscienza specchio della verità: la Chiesa celebra oggi il Beato John Henry Newman
La Chiesa celebra oggi per la prima volta la Festa del Beato John Henry Newman, elevato all’onore degli altari da Benedetto XVI lo scorso 19 settembre a Birmingham. Nel suo storico viaggio nel Regno Unito, il Papa ha più volte sottolineato l’attualità del pensiero del grande pastore e teologo inglese del XIX secolo. In particolare, il Pontefice ha messo l’accento sul binomio coscienza-verità nell’opera e nella vita di Newman. Proprio su questo aspetto si sofferma padre Herman Geissler, direttore del “Centro internazionale degli amici di Newman”, nell’intervista di Alessandro Gisotti:
(Audio: http://62.77.60.84/audio/ra/00229797.RM)
R. – A differenza di tanti nostri contemporanei, Newman intende con coscienza non la mera opinione personale, e ancora di meno l’arbitrio. La coscienza è per lui - ed è un’espressione famosa – “il vicario originario di Cristo”. La coscienza, per Newman, è quel santuario in cui ogni uomo può sentire l’eco della voce di Dio, e questa è una voce che lo chiama, lo corregge, lo conduce; una voce che sotto l’influsso dello Spirito, apre il suo cuore ad accogliere la Parola di Dio: la Verità in persona. Questa verità, da parte sua, illumina poi la coscienza perché sia una coscienza retta, una coscienza formata e perché l’uomo possa trovare la pace vera e duratura. Newman ci mostra, così, in sintesi, che la coscienza – di fondamentale importanza per l’uomo moderno – non sia in contrasto con la verità; al contrario: nella coscienza, Dio tocca ciascuno di noi in modo personale …
D. – Il Papa, parlando ai giovani nella Veglia ad Hyde Park, li ha invitati ad essere come Newman: appassionati della verità anche se questo può avere un costo molto alto …
R. – Vorrei ricordare che Newman ha sempre denunciato il cosiddetto “liberalismo religioso”. Una simile concezione della religione è errata; anzi, secondo Newman, è il nemico più grande dell’uomo. Infatti, se non esiste una verità su Dio, su me stesso, sul mondo, sul bene e sul male, manca ogni punto di riferimento per l’uomo. Tutto ciò dimostra che il liberalismo religioso o, come diciamo oggi, il relativismo, distrugge l’uomo e ci fa comprendere, tutto questo, nuovamente, che la verità è un gran bene, da cercare con umiltà, da vivere con coerenza e da annunciare e da difendere con forza, seguendo l’esempio luminoso del Beato John Henry Newman, anche se questo può avere un costo alto. Ma ricordiamo: tutti i discepoli del Signore partecipano non solo alle gioie del loro Maestro, ma anche alle sue sofferenze.
D. – Alla Messa di Beatificazione a Birmingham il Papa ha fatto suo l’appello di Newman per un laicato non arrogante, preparato; un laicato che sa in cosa credere. Ecco, sul ruolo dei laici della Chiesa il nuovo Beato fu davvero profetico …
R. – E’ verissimo! Newman si è sempre impegnato, da anglicano e poi anche da cattolico, per una buona formazione dei laici. Senza mettere in discussione il compito dei pastori, ha evidenziato il ruolo specifico che hanno i fedeli laici nel Corpo della Chiesa. Essi, in quanto battezzati e cresimati, fanno parte a pieno titolo dell’organismo della Chiesa e svolgono una missione importante e insostituibile. Newman ha sottolineato che tutti i membri della Chiesa, e in modo particolare anche i laici, sono chiamati ad essere testimoni. Newman ci invita tutti ad essere testimoni autentici e gioiosi della verità che ci libera e ci salva.
Fine del maschio? - Autore: Buggio, Nerella - Fonte: CulturaCattolica.it - venerdì 8 ottobre 2010
Siamo nell’era del male che non c’è e dove no si può chiamare nulla MALE non si riesce più a capire cos’è BENE, tutto fa brodo se concorre a realizzare uno scopo.
Forse, le prossime generazioni di donne che avranno accanto solo uomini femminei, depilati, profumati, ingentiliti da abiti unisex, leggeranno di nascosto libri sconvenienti, dove si raccontano storie di uomini avventurosi, che sfidano le tempeste del mare e della vita, che proteggono donne dolci e gentili e magari in cuor loro, sotto sotto, senza confessarlo ad alcuno, rimpiangeranno un po’ quel maschio, chissà?
Sta di fatto che il maschio pare razza in via d’estinzione.
Viviamo nella società del “maschio inutile” pare addirittura che si stia estinguendo il cromosoma “Y” , quello che determina il genere maschile, del resto che ce ne facciamo di un maschio, se il suo ruolo è quello di “inseminatore” possiamo fare da sole, la tecnica finirà per soppiantarlo.
Vedremo nei documentari sulle razze estinte il racconto di quel personaggio, un po’ peloso, con la mascella quadrata, che con il passare degli anni aveva la tendenza ad avere il ventre arrotondato, capace di cambiare una lampadina, ma anche di prendere i cuccioli d’uomo e farli volare verso il cielo per poi riprenderli e custodirli in un abbraccio. Forse di questo maschio di una specie in via d’estinzione ne custodiranno qualche esemplare, non hanno fatto così anche con i panda e gli orsi bianchi?
No ci resta che contare sul WWF.
Viviamo in una società dove difendere la mascolinità non è facile, con la scusa dell’omofobia, dire che sotto le lenzuola ognuno faccia ciò che vuole, ma per noi il padre è maschio e la madre è femmina, sembra una dichiarazione d’altri tempi, fuori luogo.
Il mondo che “conta” pullula di omosessuali, basta fare zapping e non c’è programma di gossip, di musica, di moda dove non ce ne sia almeno uno, se non hanno un esperto gay sembrano temere l’oblio.
Nichi Vendola Presidente della regione Puglia è una delle dimostrazioni che i gusti sessuali non impediscono di avere cariche importanti, di guidare una regione, un’azienda, un autobus e così dev’essere.
Però ora il Presidente alza il tiro e dichiara di voler adottare un figlio con il suo compagno. No, un figlio ha bisogno di un padre maschio e di una madre femmina, fingere che queste siano fesserie è grave per le nuove generazioni.
Siamo nell’era del male che non c’è e dove no si può chiamare nulla MALE non si riesce più a capire cos’è BENE, tutto fa brodo se concorre a realizzare uno scopo.
Prendete Maurizio Corona, sex symbol, bello, tatuato, sempre in compagnia di donne appariscenti, a lanciare dai balconi mutande a folle osannanti di ragazzine, gli si perdona tutto perché ha trovato il modo di fare soldi di essere famoso, ora si scopre che era l’amico del cuore di Lele Mora, il manager delle star che per lui ha speso follie.
Certo si capiva che per soldi era disposto a tutto , che il suo unico dio è il denaro e quindi sopra sotto, davanti, dietro, purché porti guadagno.
Fine di un mito?
No, per carità, non vi scandalizzerete per così poco, in questo mondo, l’importante è esserci, avere soldi e potere, Corona resta un idolo da imitare, un maestro, cattivo maestro, ma maestro di vita di generazioni di ragazzi invidiosi del suo nulla.
Ultimo, ma non ultimo Tiziano Ferro, quel cantante, dolce e sensibile che aveva già confessato in tv di aver vinto la bulimia, ora esce con un libro, un Cd, una copertina su Vanity Fair dove dichiara al mondo la sua omosessualità e il suo desiderio di trovare un uomo di cui innamorarsi.
Del resto, Platinette, all’anagrafe Maurizio Coruzzi, giornalista extralarge, al quale, da quando si traveste con abiti femminili e parrucche alla Wanda Osiris è permesso ogni sberleffo, ogni dichiarazione, lo aveva già dichiarato che Tiziano Ferro era un omosessuale e nessuno gli aveva detto – Sono solo fatti suoi –
Come se il mondo non potesse fare a meno di sapere chi e come lo – fanno strano – tutti attendono ora chi sarà il prossimo, magari un calciatore.
Povero Re, e povero anche il Cavallo
Perduta ogni speranza?
No, perché a 'Pitti Uomo' , quest’anno la moda dicono abbia rimesso i pantaloni agli uomini.
Un uomo nuovo, un uomo vero, dicevano i giornali del settore
Non sarà molto, ma forse se è vero che la moda precede i cambiamenti, magari mentre tutto concorre all’eliminazione del maschio e alla distruzione della famiglia, da qualche parte entra uno spiffero, un venticello di ragionevolezza umana e stiamo per riscoprire il ruolo maschile, quel padre rottamato, che invece è indispensabile allo sviluppo della psiche dei figli, al distacco dal cordone ombelicale materno, quel padre che nell’adolescenza affronta le crisi e i conflitti, con cui misurarsi, scontrarsi, confrontarsi.
Quel maschio bistrattato, ma indispensabile alla completezza della coppia.
Chissà, basta che un seme di ragionevolezza rimanga perché prima o poi l’uomo scopra cose che da sempre porta scritte nel cuore.
8 Ottobre 2010 - L'aborto e i suoi retroscena. - Novità editoriale: L'aborto e i suoi retroscena. Vite e maternità spezzate dal sito http://www.comitatoveritaevita.it
La questione aborto, dopo la sua legalizzazione in Italia, è considerata chiusa da tempo: rimossa, cancellata. Si tratta invece della prima causa di morte in Europa: un aborto ogni 11 secondi.
Dieci saggi introdotti da Antonio Baldassarre esaminano l'aborto legale come non viene mai raccontato. Nei suoi controversi aspetti giuridici, nella carica distruttiva che reca con sé, nel rifiuto che è in grado di opporre all'altro. In quali termini si può parlare di una vita prenatale? Quali sono gli effetti della sofferenza post-abortiva? Esiste una relazione tra difesa della vita e democrazia? Il testo offre un approfondimento pluridisciplinare attraverso contributi che affrontano i molteplici aspetti della questione: dalle implicazioni filosofiche e politiche dell'aborto di Stato alle misure di sostegno alla maternità difficile, dalle questioni di carattere giuridico della legislazione abortista ai problemi poco noti della cosiddetta “contraccezione d'emergenza” e dell'eutanasia prenatale.
Alessia Affinito è dottoranda di ricerca presso l'Università degli Studi di Roma “La Sapienza”, dove si è laureata con lode in Filosofia. Ha conseguito il master in Discipline parlamentari e Politiche pubbliche presso la Luiss Guido Carli e, in precedenza, la laurea in Giornalismo presso l'Università Lumsa di Roma. I suoi interessi di ricerca riguardano la filosofia politica anglosassone, le politiche di promozione della giustizia negli ordinamenti e le problematiche etiche relative ai processi di secolarizzazione, con particolare riferimento al rapporto tra diritto alla vita e democrazia.
Virginia Lalli è avvocato, consigliere dell'Associazione “Avvocatura in Missione” e responsabile del settore donne per “Nuove Frontiere” onlus. Collabora con diversi enti umanitari, relatrice e curatrice di convegni sul tema dell'aborto e della L.194/78. Si occupa di attività formative ed educative ai Diritti umani.
Pagine: 247
Formato: 15x21
Anno: 2010
Collana: Bioethica, 12
Genere: bioetica
ISBN: 978-88-95565-44-6
18,00 euro
Sommario:
- Prefazione 5
- Antonio Baldassarre, Introduzione 7
- Alessia Affinito, Aborto e paura. Dal rifiuto dell'altro all'etica della vita come progetto politico 19
- Mariannina Amato, Il legame tra madre e prenato 65
- Cinzia Baccaglini, L'ascolto e la cura della sofferenza post-abortiva 83
- Virginia Lalli, Le alternative all'aborto 99
- Massimo Losito, L'accoglienza della vita fragile nell'esperienza de La Quercia Millenaria 127
- Marco Ermes Luparia, Per una antropologia prenatale 141
- Mario Palmaro, Aborto volontario e leggi dello Stato 155
- Giacomo Rocchi, La vera natura della legge 194 del 1978 sull'interruzione volontaria della gravidanza 171
- Lucio Romano, “Contraccezione” abortiva di emergenza e contragestativi. Aspetti biomedici 195
- Olimpia Tarzia, Una cultura della vita e la nuova questione sociale 213
- Dedicazioni e ringraziamenti 245.
Avvenire.it, 9 ottobre 2010 - L'inferno è fare male ed essere soli - La coscienza di Michele di Marina Corradi
Nella tragedia di Avetrana, una delle più atroci che le cronache di questi anni abbiano raccontato, c’è un punto che appare in contraddizione con il fiume di male che ha travolto una ragazza di quindici anni. Perché ad Avetrana ripugnante è la libidine di un uomo, che di quella ragazza era come un padre; e raggelante è il silenzio che quest’uomo ha saputo mantenere per un mese, mentre appariva in tv con i suoi limpidi occhi chiari. Come un rigurgito di male, un conato di abissi, venuto su in un piccolo sconosciuto paese del Sud. Accade, talvolta, e ogni volta noi a domandarci cosa è stato, come è stato possibile che una madre a Cogne, che un "buon uomo" ad Avetrana, abbiano potuto; dimentichi, appena lo possiamo, di quanto grande sia la forza del male.
Ma ad Avetrana c’è quel particolare che stupisce. Non c’era alcuna prova contro l’assassino; nessuno aveva visto. Si parlava di rapimento. Si sospettava di altri. Col tempo i riflettori sul paese si sarebbero spenti, le telecamere se ne sarebbero andate, e il mistero sulla fine di Sara sarebbe rimasto per sempre. Che cosa, dunque, ha spinto Michele Misseri a fingere di trovare il telefonino della nipote? L’uomo ha confessato che già da tre giorni l’aveva lasciato su una strada, in evidenza, sperando che qualcuno lo vedesse. E siccome invece questo non succedeva, lui stesso si è spinto a dire d’averlo per caso ritrovato in campagna. Cosa incredibile, naturalmente: e gli occhi degli inquirenti si sono puntati su quel "buon uomo".
Perché dunque il cellulare, che sembrava dire «prendetemi, sono stato io»? Perché, ha detto lo stesso Misseri, il ricordo di quel che aveva fatto non era tollerabile. Perché l’immagine di Sara gli era davanti agli occhi in ogni istante; e ogni notte tornava, chiedendo la pietà di rivestirla. Non mentiva l’assassino, almeno quando piangendo diceva davanti alle telecamere: «Ho sempre Sara in mente». Era vero. In quel pozzo, insieme al corpo di lei, anche il carnefice era sprofondato, in un pomeriggio di fine estate.
E nessuno sapeva, e nessuno osava immaginare che a uccidere potesse essere stato uno che quella bambina bionda l’aveva tenuta sulle ginocchia come una figlia. Ma qualcosa dentro premeva insopportabilmente, tanto da obbligare a tradirsi. Cosa, se non la coscienza? Nonostante il delitto bestiale, nonostante l’atrocità e il nascondimento abile, freddo, qualcosa resta anche in fondo al peggiore assassino – una voce che non si riesce a zittire in alcun modo. La consapevolezza del male è un’evidenza stampata nell’uomo; per quanto cancellata, negata, non tace.
Non è ancora rimorso ciò che ha spinto l’assassino di Avetrana a tradirsi. È invece l’insopportabile angoscia di trovarsi, di fronte a quel ricordo, totalmente solo. Nessuno con cui poter parlare del fantasma che lo inseguiva, di quella figura esile e bionda che gli chiedeva l’ultima pietà di coprirne i resti. Assolutamente nessuno. Un giogo come un macigno, da reggere solo; facendo finta di niente, a tavola con la famiglia, la sera. In mezzo agli altri, ma solo nel suo pozzo, complementare e simmetrico a quello in cui aveva sepolto la nipote. L’inferno, disse Sartre, "sono gli altri", ma è vero il contrario: l’inferno è essere soli. Con quel volto gentile sempre davanti, e nessuno a cui poter dire una parola.
Così che, ha detto Misseri, è stato un sollievo confessare, e perfino portare i carabinieri laggiù, in campagna, nella notte. Forse perfino le maledizioni e gli insulti degli altri, in carcere, ora, sono meglio che quella terrificata solitudine. Con una voce dal profondo che però premeva, gridava. L’ansia di confessare e quindi di tornare fra i vivi, fra gli uomini, se pure come il più spietato degli assassini. La coscienza soffocata, che però costringe e non dà pace. Avetrana, storia di inferi, dice però che qualcosa anche nel fondo del buio, anche nel peggiore degli uomini, ostinatamente si oppone all’orrore del male e del nulla.
Avvenire.it, 9 ottobre 2010 - Finalmente il Nobel per la pace a Liu Xiaobo - Oslo ha trovato la via del coraggio di Gerolamo Fazzini
C’è del coraggio, in Norvegia. Assegnando il Premio Nobel per la pace al dissidente cinese Liu Xiaobo, le vestali di Stoccolma hanno finalmente mostrato fegato, dopo alcune scelte politicamente corrette quanto discutibili, dall’ "ambientalista" Al Gore al neo-eletto Obama.
Premiando Liu, viene innanzitutto riconosciuta la straordinaria statura morale di una figura che ha pagato di persona un prezzo altissimo (anni di carcere) per i suoi ideali. Arrestato con l’accusa di «sovversione contro lo Stato», Liu non si è mai reso protagonista di atti di violenza, avendo sempre preferito combattere il regime a colpi di penna. Ma "servire il popolo" aprendo gli occhi alla gente sulla realtà è l’attività più sovversiva che il governo cinese possa concepire.
Perciò, quando il presidente del Comitato per l’assegnazione del premio Nobel, afferma che Liu «è il simbolo più eminente dell’ampia lotta per i diritti umani in Cina», non sta facendo retorica. Ideatore di "Carta 08" – la lettera-appello ai governanti diffusa nel dicembre 2008, una sorta di manifesto di una "nuova Cina", in cui libertà e democrazia hanno finalmente cittadinanza – Liu Xiaobo rappresenta la punta di diamante di un movimento di attivisti, intellettuali, ex funzionari di partito che, sebbene allo stato nascente, sta cercando di cambiare la Cina dal basso. Ma che, proprio per questo, è osteggiato durissimamente da Pechino, come confermato dalla scomposta reazione che il governo cinese ha avuto all’annuncio da Stoccolma. Siti internet bloccati, censura in azione, blocco dell’informazione: un copione cui la Cina popolare ci ha abituati ogni volta in cui - ricordate il duello con Google? - i nuovi mandarini hanno la sensazione che sfugga loro il controllo dell’opinione pubblica.
Già da mesi le autorità cinesi non avevano fatto mistero della loro contrarietà all’ipotesi del prestigioso riconoscimento internazionale a Liu. Un paio d’anni fa, in analogo contesto, le autorità di Pechino avevano etichettato un altro dissidente Hu Jia come "criminale", semplicemente per aver espresso, in forma del tutto pacifica, una serie di critiche al regime. «<+corsivo_bandiera>Huai dan<+tondo_bandiera>» (letteralmente "uova marce", ossia ) è il titolo di una mostra dedicata a Liu Xiaobo e ai suoi "fratelli", uniti nella denuncia.
Ebbene, rifuggendo ai ricatti e riconoscendo il valore di una persona come Liu Xiaobo, i giurati di Stoccolma mandano a dire a Pechino che la Cina ha bisogno delle «uova marce», di quei sovversivi che, come nel caso di Liu Xiaobo, ma anche di Gao Zhisheng, Han Dongfang e Hu Jia, hanno scoperto la fede cristiana come radice del loro impegno in difesa dei diritti umani.
Così facendo, Stoccolma finalmente ha fatto cadere il muro di omertà e connivenza che l’Occidente ha mantenuto in questi anni nei confronti di una situazione gravissima quale i diritti umani in Cina.
Per cambiare, la Cina non può fare a meno dell’Occidente. Come ha scritto Li Datong, un ex giornalista di partito passato dall’altra parte della barricata: «Le pressioni internazionali a favore delle riforme politiche sono essenziali per lo sviluppo della Cina. Senza di esse, i suoi governanti ricadrebbero nella confortante sicurezza del potere illimitato».
Se le cose stanno così, questo Nobel affida una tremenda responsabilità all’Occidente, perché non c’è peggior servizio che possiamo fare alla causa della "nuova Cina" riducendo Liu Xiaobo a nuova icona, come San Suu Kyi e altri, e poi dimenticandolo…
Charles Péguy: processo al dio denaro DI ROBERTO MUSSAPI – Avvenire, 9 ottobre 2010
Charles Péguy è uno degli autori del Novecento che, amati o ostacolati, tracciano comunque u na strada che nel nuovo millennio sarà ripresa: quella del vasto poema teatrale e religioso. Il mistero della carità di Giovanna d’Arco è il suo capolavoro, ed esprime al massimo grado la natura di questo autore visionario, profetico, modernamente e a volte tumul tuosamente barocco. Nasce alla fine dell’Ottocento, muore per una pallottola in guerra nel 1914. La sua o pera testimonia della febbrile tensione del passaggio di secolo. Travolgente, a volte incontrollata, ec cessiva, pur se sempre sostenuta da una non comune forza poetica. Péguy fu pensatore non di meno estremo e generoso, prima socialista poi convertito al cattolicesimo, li bero e individualista, bru ciante e lungimirante in tutto il suo percorso di pensiero. Il denaro è un saggio uscito nel 1913, da tempo introvabile in edizione italiana, che ora il coraggioso e raffinato editore Raffaelli pubblica in una bella edizio ne curata da Mar co Antonellini e Francesca Marchi. È un libro di straordinaria at tualità, anzi, ne cessità, a confer mare le indiscuti bili facoltà profeti che di Péguy. Un breve saggio su co me il denaro sia la rovina dell’umanità, e su come l’avvento della borghesia ne ab bia fatto il valore unico nel mondo occidentale.
«Non esiste più popolo.
Tutti sono borghesi. Poiché tutti leggono il proprio gior nale. Quel poco che restava delle antiche aristocrazie è di ventato bassa borghesia (…) bor ghesia di denaro. L’antica borghesia è diventata una bassa borghesia, una bor ghesia del denaro. Quanto agli operai hanno ormai solo un’idea: diventare dei borghesi». Sono afferma zioni importanti all’inizio del Novecento, da parte di un intellettuale francese, della nazione cioè che ha vulgato nel Settecento, con l’età dei lumi, e poi con la rivoluzione francese, principi cardini della borghesia. Péguy sa leggere il reale: la distruzione morale e an tropologica operata dal denaro come valore assoluto. È il problema cardine della crisi d’identità del secolo appena trascorso, inscindibile dalla perdita del senso del religioso e del sacro. Ma qui Péguy forse esorbita: contrapponendo alla decadenza irreversibile di ari stocrazia, borghesia e classe operaia solo i contadini, rivela la natura anche passatista del suo pensiero. In fatti li immagina, i contadini, felici dall’origine, come i pastori dell’arcadia in certa poesia, e non si sofferma su dettagli come la servitù della gleba, una vergogna che la borghesia riuscirà a eliminare, portando in Eu ropa, oltre al germe distruttivo del denaro (che non a veva peraltro inventato), anche valori civili fonda mentali che spesso sono eresie mondane del cristia nesimo. Il limite di Péguy, in questo saggio, è il suo assolutismo, ma il pregio è che nel presente e nel futuro prossimo vede una piaga tremenda. È profetico, e, ripeto, oggi più che mai necessario, come quando evoca il valore del lavoro artigianale in quanto tale, reale con tributo alla creazione pe rennemente in corso nel mondo. Certo cade nella nostalgia del bel tempo andato, è acu to, ma tende all’e stremismo. Tipico dei grandi poeti quando leggono il presente già ve dendo in esso il futuro. La profezia non conosce bon ton. Come nel ca so di Ezra Pound, grande poeta del Novecento, che nei suoi saggi cri ticò l’imperante dominio del denaro con toni simili a quelli di Péguy, an che se linguistica mente differenti. Non parlò tanto di 'denaro', ma scrisse versi memo rabili contro l’'usura', termine più dettagliato, meno idealizzante, da gran de fabbro di versi. Anche Pound non era reticente né mo derato, ma i grandi poeti non sono usi al linguaggio diplomatico. Pound, come Péguy, concepisce la parola come assoluta, sempre. Il denaro del potente Péguy va letto come antidoto, se si è in tempo, o come farma co, per resistere alla cultura del nulla, cioè della ric chezza come valore assoluto.
Charles Péguy IL DENARO Raffaelli. Pagine 120. Euro 15 ,00