Nella rassegna stampa di oggi:
1) Caso Eluana: carità o violenza? - Il documento del Movimento di Comunione e Liberazione
2) I Vescovi italiani tornano a invocare una legge sul fine vita - “Dai contenuti inequivocabili nella salvaguardia della vita stessa”
3) Appello di “Scienza & Vita” a non cooperare all'uccisione di Eluana - Le suore che la accudiscono: lasciatela a noi, non chiediamo nulla in cambio
4) C O M U N I C A T O S T A M P A - ELUANA ENGLARO: IL PRIMO CASO DI OMICIDIO LEGALE IN ITALIA – Medicina e Persona
5) Eluana non è un "caso" ma una persona - Curatore: Buggio, Nerella - Fonte: CulturaCattolica.it - sabato 15 novembre 2008 - Ci scrive un'amica, medico neurologo: "Il problema più grosso in questione è la incapacità di stare davanti alla vita per ciò che essa è: ultimamente un mistero e sempre un dono."
6) Il caso Eluana Englaro, un caso di eutanasia - di padre Fernando Pascual, L.C.*
7) Di fronte a una sconfitta - Per un esame di coscienza - di Lucetta Scaraffia – L’Osservatore Romano, 15 Novembre 2008
8) 14/11/2008 14.48.04 – Radio Vaticana - Caso Englaro. Mons. Fisichella: rispetto per il dolore ma decisione molto grave
9) 15/11/2008 11:50 – INDIA - In piazza 50mila fondamentalisti indù a favore dell’intolleranza religiosa - di Nirmala Carvalho - Il governo dell’Orissa permette una marcia che chiede di “fermare le conversioni”. Intanto a Bangalore tre cristiani sono arrestati con la falsa accusa di induzione alla conversione. L’Aicc fornisce il bilancio aggiornato delle violenze anticristiane.
10) Sempre più drammatica la situazione nel Nord Kivu - Repubblica Democratica del Congo - I vescovi denunciano il genocidio silenzioso – L’Osservatore Romano, 15 Novembre 2008
11) 15/11/2008 12.06.39 – Radio Vaticana - Sempre più urgente l'azione apostolica del laicato cattolico nella Chiesa e nel mondo: così il Papa al Pontificio Consiglio per i laici
12) SEGUI LA DIRETTA DELL'ASSEMBLEA DI COMPAGNIA DELLE OPERE "IL TUO LAVORO E' UN'OPERA" SU ILSUSSIDIARIO.NET in diretta streaming alle 15 - DOMENICA 16 NOVEMBRE A PARTIRE DALLE ORE 15,50 - Partecipano: Julian Carron, presidente fraternità di Comunione e Liberazione; - Giorgio Vittadini, presidente Fondazione per la Sussidiarietà - Introduce: Bernhard Scholz, presidente Compagnia delle Opere
13) DA CHI LE VIVE ACCANTO - IL LIMPIDO RICONOSCIMENTO D’UN FATTO ELEMENTARE - MARINA CORRADI – Avvenire, 15 novembre 2008
14) LIBERTÀ, QUANTI SPROPOSITI IN TUO NOME - All’opposto della vita? - L’infelicità più che la morte - DAVIDE RONDONI – Avvenire, 15 novembre 2008
15) SPONTANEO RIPENSARE ALLE DENUNCE DEL CARDINALE VON GALEN - Così il Leone di Münster difese gli «indegni di vivere» - DON ANDREA VENA – Avvenire, 15 Novembre 2008
16) Sarà una morte atroce, di sete e di fame» - Guizzetti, responsabile del reparto stati vegetativi del don Orione di Bergamo: le persone che si trovano qui non sono attaccapanni che non sentono e non provano nulla - DI FRANCESCA LOZITO – Avvenire, 15 Novembre 2008
Caso Eluana: carità o violenza? - Il documento del Movimento di Comunione e Liberazione
CITTA' DEL VATICANO, venerdì, 14 novembre 2008 (ZENIT.org).- “Che società è quella che chiama la vita 'un inferno' e la morte 'una liberazione'?”. E' l'interrogativo con cui si apre il documento sul caso di Eluana Englaro, preparato da Comunione e Liberazione (Cl).
“Dov’è il punto di origine di una ragione impazzita, capace di ribaltare bene e male e, quindi, incapace di dare alle cose il loro vero nome?”, ci si interroga ancora.
In riferimento alla sentenza della Corte di Cassazione che ha dichiarato inammissibile il ricorso della Procura generale di Milano, Cl definisce poi “un omicidio” l’annunciata sospensione dell’alimentazione e dell'idratazione, e afferma che “la cosa è tanto più grave in quanto impedisce l’esercizio della carità, perché c’è chi si è preso cura di lei e continuerebbe a farlo”.
“Nella lunga storia della medicina – prosegue il documento – il suo sviluppo è diventato più fecondo quando, in epoca cristiana, è cominciata l’assistenza proprio agli 'inguaribili', che prima venivano espulsi dalla comunità degli uomini 'sani', lasciati morire fuori dalle mura della città o eliminati”.
“Chi se ne fosse occupato avrebbe messo a rischio la propria vita – si legge di seguito –. Per questo chi cominciò a prendersi cura degli inguaribili lo fece per una ragione che era più potente della vita stessa: una passione per il destino dell’altro uomo, per il suo valore infinito perché immagine di Dio creatore”.
“Così il caso Eluana – afferma Cl nel documento – ci mette davanti alla prima evidenza che emerge nella nostra vita: non ci facciamo da soli. Siamo voluti da un Altro”.
“Senza questo riconoscimento diventa impossibile abbracciare Eluana e vivere il sacrificio di accompagnarla – si afferma –; anzi, diventa possibile ucciderla e scambiare questo gesto, in buona fede, per amore”.
Alle origini del cristianesimo, ricorda il documento, vi è invece la “passione per l’uomo”: “Cristo ha avuto pietà del nostro niente fino a dare la vita per affermare il valore infinito di ciascuno di noi, qualunque sia la nostra condizione”.
“Capire le ragioni della fatica – conclude il documento, riportando un pensiero del fondatore di Cl, don Luigi Giussani – è la suprema cosa nella vita, perché l’obiezione più grande alla vita è la morte e l’obiezione più grande al vivere è la fatica del vivere; l’obiezione più grande alla gioia sono i sacrifici… Il sacrificio più grande è la morte”.
I Vescovi italiani tornano a invocare una legge sul fine vita - “Dai contenuti inequivocabili nella salvaguardia della vita stessa”
ROMA, venerdì, 14 novembre 2008 (ZENIT.org).- La Conferenza Episcopale Italiana (CEI) è tornata a invocare la rapida approvazione di una legge sul fine vita, dopo la sentenza della Corte di Cassazione che si è pronunciata definitivamente sulla vicenda di Eluana Englaro, la donna da quasi 17 anni in stato vegetativo permanente, consentendo di fatto al padre di far staccare il sondino nasogastrico alla figlia.
"La vita di Eluana Englaro, al cui dramma si è appassionata la coscienza del nostro Paese - si legge nel messaggio diffuso giovedì dalla presidenza della CEI - è ormai incamminata verso la morte”.
“Mentre partecipiamo con delicato rispetto e profonda compassione alla sua dolorosa vicenda – aggiungono i presuli italiani –, non possiamo fare a meno di richiamare alla loro responsabilità morale quanti si stanno adoperando per porre termine alla sua esistenza”.
“La convinzione che l’alimentazione e l’idratazione non costituiscano una forma di accanimento terapeutico è stata più volte, anche di recente, resa manifesta dalla Chiesa e non può che essere riaffermata anche in questo tragico momento”, proseguono.
“In tale contesto – sottolineano, richiamando quanto già detto nel Consiglio Nazionale della CEI del settembre scorso – si fa più urgente riflettere sulla convenienza di una legge sulla fine della vita, dai contenuti inequivocabili nella salvaguardia della vita stessa, da elaborare con il più ampio consenso possibile da parte di tutti gli uomini di buona volontà”.
Appello di “Scienza & Vita” a non cooperare all'uccisione di Eluana - Le suore che la accudiscono: lasciatela a noi, non chiediamo nulla in cambio
ROMA, venerdì, 14 novembre 2008 (ZENIT.org).- In un comunicato diramato questo venerdì l’associazione “Scienza & Vita” ha fatto appello “alle coscienze di tutti quelli che nelle prossime ore e nei prossimi giorni si avvicineranno a Eluana Englaro, perché non cooperino alla sua uccisione”.
“Non è ancora troppo tardi per fermarsi – afferma l'associazione –. Non c’è alcun obbligo di dare attuazione alla sentenza di condanna emanata dal giudice. E’ ancora possibile rispondere al comandamento dell’amore che ama la vita, qualunque vita, anche la più fragile e tormentata”.
Si è ancora in tempo, continua, per “assecondare quella voce che da secoli viene dal profondo della coscienza di ogni uomo e di ogni donna e che risuona come un comando: non uccidere”.
Un appello in favore della vita di Eluana Englaro è stato lanciato, in una nota diffusa il 14 novembre, anche dalle suore della clinica “Beato Luigi Talamoni” di Lecco dove la donna è ricoverata in stato vegetativo.
All’indomani della sentenza della Corte di Cassazione, le suore hanno infatti detto: “La nostra speranza – e di tanti con noi – è che non si procuri la morte per fame e sete a Eluana e a chi è nelle sue condizioni”.
Per questo, “ancora una volta, affermiamo la nostra disponibilità a continuare a servire, oggi e in futuro, Eluana. Se c’è chi la considera morta, lasci che Eluana rimanga con noi che la sentiamo viva”.
“Non chiediamo nulla in cambio, se non il silenzio e la libertà di amare e donarci a chi è debole, piccolo e povero”, concludono.
In una lettera indirizzata questo venerdì pomeriggio alle religiose, il Cardinale Dionigi Tettamanzi, Arcivescovo di Milano, le ringrazia per aver offerto ad Eluana “con gioia e umiltà non solo tutto ciò di cui il suo corpo ha necessità fisiologica, ma ancor più il calore di una presenza quotidiana, affettuosa e discreta, nel rispetto dei sentimenti dei genitori e anche delle loro intenzioni da voi non condivise”.
Nella lettera, il porporato loda le suore come “esempio di dedizione e di amore” che “resta - al di là delle facili e continue dichiarazioni di principio - un segno preciso e chiaro nel nostro contesto sociale e culturale, così spesso confuso e condizionato da orientamenti non rispettosi, anzi ostili, alla vita umana”.
In conclusione, il Cardinale esprime l’augurio che l’impegno delle Misericordine “sia sostenuto e consolato da una speranza certa: il Signore da sempre abbraccia e immerge nella sua luce di verità e di salvezza la vita di Eluana e delle tante persone che si trovano in condizioni simili”.
“Una luce che le tenebre dell’ingiustizia e della presunzione umana non possono oscurare né sopraffare. Una luce che continua a splendere e ad offrirsi a tutti, anche a coloro che ancora non la accolgono”, ha scritto infine.
C O M U N I C A T O S T A M P A - ELUANA ENGLARO: IL PRIMO CASO DI OMICIDIO LEGALE IN ITALIA – Medicina e Persona
Non può essere che questo il titolo di un comunicato stampa che dica la verità sulla intera vicenda di Eluana. Non esistendo in Italia una legge sull’eutanasia, quello di Eluana è un omicidio perpetrato per via legale, ottenuto cioè con l’autorizzazione dei giudici. Da oggi nel nostro pase si potrà uccidere - quando si vorrà - malati stabili, cronici, inguaribili: pazienti in stato vegetativo, pazienti in condizioni terminali, anziani non più utili alla società, insomma chiunque abbia “presumibilmente” chiesto di poter morire e in condizioni di non poter più cambiare idea o di chiedere aiuto, mediante la sospensione di acqua e cibo, magari dopo aver consultato un giudice.
E’ questa la società che volevamo, quella in cui vogliamo vivere?
I giudici hanno
- delegittimato la Costituzione Italiana
- agito contro il Codice Civile e contro il Codice Penale
Loro non saranno imputabili: immuni grazie all’autorità che gli è riconosciuta. Loro non saranno imputabili: chi uccide in un altro modo sì.
Ci si deve domandare: “Come mai oggi il colpevole, colui che uccide, non è imputabile?” La risposta è tutta nell’atteggiamento di bieco pietismo - tipico del nostro tempo - dietro il quale si nasconde una logica per nulla nuova nella storia. Questa logica è la stessa adottata durante la seconda guerra mondiale: oggi, per questa stessa logica ideologica, in nulla differente da quella di allora, si eliminano i più deboli e gli indifesi.
Ha vinto una interpretazione del diritto della persona inteso come “autodeterminazione”, che rappresenta una forzatura rispetto a quanto affermato nel Codice di Deontologia medica e nella
stessa Costituzione.
Hanno avuto la meglio la cattiva coscienza e la possibilità di arbitrio su chi è degno di vivere e chi no.
Da questa logica è stata sfidata la saggezza della sovranità popolare che ha dato origine alla nostra Costituzione, e la cultura che essa ha generato.
Questa logica alla fine ha prevalso.
Quanto è accaduto è tanto più preoccupante perché ormai nessuna legge potrà più essere rispettata: ormai certi giudici aggirano le leggi - anche quelle esistenti - e creano una nuova era, quella dell’etica del più forte sul più debole, con l’ausilio del diritto. Ma non eravamo partiti da una giustizia uguale per tutti?
Non dovrebbe essere, questo, ancora oggi, lo scopo della giustizia?
Che vergogna.
Medicina e Persona
13 novembre 2008
Eluana non è un "caso" ma una persona - Curatore: Buggio, Nerella - Fonte: CulturaCattolica.it - sabato 15 novembre 2008 - Ci scrive un'amica, medico neurologo: "Il problema più grosso in questione è la incapacità di stare davanti alla vita per ciò che essa è: ultimamente un mistero e sempre un dono."
Carissmi amici di CulturaCattolica.it, e soprattutto carissimo don Gabriele, sono un medico neurologo che ha a che fare tutti i giorni con casi simili a quello di Eluana Englaro. E' sconcertante la freddezza con cui passa la notizia della sua morte annunciata, tra vicende di cronaca e gossip. E' sconcertante anche come negli ambiti medici specialistici come il mio non si parli del problema. Nella mia esperienza ho notato un fatto, di cui vorrei farvi partecipi, tra le tante riflessioni che questo accadimento può suscitare.
Il problema più grosso in questione è la incapacità di stare davanti alla vita per ciò che essa è: ultimamente un mistero e sempre un dono. Viviamo in una società che ci ha fatto credere che la vita è ciò che noi vogliamo e che noi possiamo definirla, comandarla e che siamo noi a decidere il nostro futuro e a sapere ciò che è bene e fonte di felicità per noi. La realtà è un'altra: accade che ci si ammali, accade senza motivo, senza ragione, talora contro ogni ragionevolezza, accadono malattie terribili, come quelle mentali, o mortali. E ciò spesso non ha, nepure scientificamente, una soluzione. A me accade tutti i giorni di dover comunicare diagnosi infauste e noto che ciò che i pazienti mi chiedono non è "toglimi il male" o "perché a me", la prima reazione è sempre lo stupore verso un fatto misterioso, non comprensibie e davanti al quale il malato chiede di essere accompagnato, chiede un senso. Il malato vuole vivere, davanti al mistero della malattia chiede la vita nella circostanza della sua malattia. Il nostro compito (medici, ecc.) è quello innanzitutto di dare dignità e valore alla sofferenza e alla malattia, di stare davanti ad essa con timore e rispetto, di trattare il dolore con profonda nobiltà di animo. In queste circostanze la vita acquisisce un valore preferenziale di conoscenza e di vicinanza al Mistero e dunque è ancora più degna di essere vissuta. Più degna e spesso più fruttosa della vita che noi crediamo bella e giusta per noi, della vita che noi stessi ci costruiamo. Certo, non è facile, ci vuole coraggio; ci vuole il coraggio di chi ha fede nel destino buono, ma misterioso, della vita; ci vuole coraggio perché bisogna abbandonarsi ad una esperienza nuova, che va contro la nostra percezione di felicità, ma che incontra la Vita vera. Bisogna imparare dalle suore che hanno accudito Eluana per 14 anni: le hanno dato tutte le cure che si danno ad una regina, perché in quel gesto ed in quella cura c'è l'Amore e il punto di cambiamento per la mentalità di questo mondo. Un abbraccio a tutti.
[Lettera firmata
Il caso Eluana Englaro, un caso di eutanasia - di padre Fernando Pascual, L.C.*
ROMA, venerdì, 14 novembre 2008 (ZENIT.org).- Una delle tattiche per promuovere l'eutanasia consiste nel creare “casi” di cui tutti parlano.
Nel luglio 2008 la stampa ha rilanciato a livello mondiale il caso di Eluana Englaro, una donna di 37 anni in coma dal 1992.
I giudici hanno stabilito all'epoca che i tutori di Eluana potessero interrompere l'idratazione e l'alimentazione della donna provocando in questo modo la morte per fame e sete. La sentenza è stata confermata in modo “definitivo” il 13 novembre.
Il caso serve per alimentare il dibattito sull'eutanasia. Si succedono, come in altri casi, le opinioni, gli editoriali, le inchieste. Tutto serve per suscitare emozioni e, a volte, per nascondere la realtà sulla cosiddetta “dolce morte”.
Dato che il dibattito è ormai avviato, cerchiamo di dare risposta ad alcune domande che non possiamo mettere da parte. Ne analizzeremo tre.
La prima: “è lecito provocare la morte di un malato?”. La risposta è semplicemente una: no, perché provocare la morte, compiere atti destinati a uccidere è sempre un crimine. Anche se un giorno esistessero leggi che permettessero l'eutanasia, anche se la società, ben diretta da alcuni ideologi, arrivasse a pensare che fosse lecito. Il crimine è sempre crimine, e l'omicidio trasformato in qualcosa di “legale” è uno dei maggiori disordini nella vita dei popoli.
La seconda: “come affrontare le richieste di una famiglia o del malato stesso per ottenere una 'morte degna'?”. Nel miglior modo possibile, vale a dire con cure palliative e un affetto sincero e costante. Così, semplicemente, perché il trattamento palliativo si può realizzare anche in casa, e perché porterebbe non solo a “risparmiare” (non sarà il denaro la vera causa di tanti sforzi a favore dell'eutanasia?), ma a curare il malato in modo più umano. E perché dove il malato si sente amato e viene curato adeguatamente le richieste di eutanasia sono praticamente nulle.
Arriviamo alla terza domanda: “come muore una persona se si smette di idratarla e alimentarla?”. Lo spiega un medico in un'intervista in cui tratta il caso di Eluana Englaro (ZENIT, 10 luglio 2008):
“fino ad ora Eluana non ha sofferto, almeno così ci dicono le conoscenze scientifiche disponibili, ma se verrà interrotta l’alimentazione e l’idratazione prepariamoci ad un nuovo caso Terry Schiavo”.
“Le ulcere che si formeranno nella pelle, le labbra riarse, le emorragie, le convulsioni, la necessità di morfina, così come è avvenuto per Terry, tutto questo, sarà per il bene di Eluana?”.
Casi come quelli di Eluana Englaro, Piergiorgio Welby, Terri (o Terry) Schiavo, Ramón Sampedro, Nancy Cruzan... dovrebbero essere trattati con il rispetto che merita qualsiasi vita umana nei suoi ultimi momenti.
Nello stesso tempo, dovrebbero rimanere in piedi i criteri fondamentali della medicina e della giustizia.
La medicina saprà aiutare e alleviare il malato in tutto ciò che è proporzionato e utile per la sua situazione e saprà rinunciare all'“eccessivo” quando questo porterà soltanto a prolungare l'agonia e ad aumentare il dolore, mentre offrirà sempre il minimo necessario (trattamento del dolore, alimentazione, idratazione, pulizia). Non è un atto medico uccidere un malato in coma per fame e sete, ma un omicidio lento, anche se protetto dalle sentenze dei giudici.
La giustizia, da parte sua, veglierà perché non ci siano mai esseri umani che possano decretare la morte dei malati e promuoverà sistemi sanitari in cui le cure palliative non siano un lusso di alcuni privilegiati, ma lo sforzo sincero della società per curare e assistere nel miglior modo possibile quanti si trovano nell'ultima fase della loro esistenza terrena.
[Traduzione dallo spagnolo di Roberta Sciamplicotti]
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*Docente di Filosofia e Bioetica presso l’Ateneo Pontificio “Regina Apostolorum” di Roma
Di fronte a una sconfitta - Per un esame di coscienza - di Lucetta Scaraffia – L’Osservatore Romano, 15 Novembre 2008
La sentenza per Eluana Englaro - che significa, come è stato detto da autorevoli voci, l'introduzione di fatto dell'eutanasia in Italia - costituisce una sconfitta per tutti, non solo per il mondo cattolico. Non basta dire che la secolarizzazione e l'individualismo esasperato stanno sostituendo i principi di una antica tradizione religiosa e culturale un tempo ben radicata nella società, né che i media si sono espressi in modo sbilanciato a favore della morte della ragazza: questa volta - bisogna ammetterlo - i mezzi di comunicazione sociale sono stati più onesti che in altre occasioni, e la voce dei cattolici si è potuta far sentire anche al di fuori dei media d'ispirazione cattolica. E si sa che su temi gravi come la vita e la morte la Chiesa, soprattutto in Italia, esercita ancora una certa influenza, come si è visto per la legge sulla procreazione assistita.
Questa volta, però, sembra che la voce del pensiero cattolico sia stata poco ascoltata, come se le ragioni che portava a favore della vita di Eluana non fossero abbastanza convincenti. Certo, ha giocato ancora una volta il meccanismo del caso pietoso: in questa circostanza non del dolore di Eluana - i medici giurano che non sente più niente, e che non si accorgerà di morire di fame e di sete! - ma di suo padre. Come se il padre, con la morte della figlia, cessasse di soffrire: è questo il paradosso davanti al quale, però, nessuno ha saputo obiettare. La paura della sofferenza costituisce il movente base di tutte le decisioni sbagliate di intervento su fine vita: lo sanno bene quanti fanno propaganda per l'eutanasia prospettando un futuro senza sofferenza. Ed è proprio sulla riflessione a proposito del significato della sofferenza - che solo il cristianesimo sa affrontare - che dovremo invece ripartire per impedire che casi come questo si ripetano. La tradizione cattolica offre delle luci certe e chiare per decidere in queste complesse circostanze: il valore della vita umana dal concepimento alla morte naturale, qualunque sia la condizione in cui è vissuta, anche se i casi da affrontare cambiano in continuazione, diventando via via più inediti e complicati. Questo è proprio il caso di Eluana: all'obiezione, condivisa da tutto il pensiero cattolico, che alimentazione e idratazione non fossero terapie né accanimento, ma solo sostegno vitale, si è risposto dall'altra parte che si trattava di un mantenimento in vita artificiale, che ancora qualche decina di anni fa non sarebbe stato possibile. Dove stava, allora, la morte naturale? In sostanza si rispondeva che la situazione di Eluana era stata provocata da un intervento della scienza - cioè un tentativo di rianimazione che in molti casi riesce, ma in questo è andato male - e che quindi anche la sua disabilità stava al di fuori della sfera naturale. Se la scienza l'aveva ridotta in quello stato, insomma, alla scienza spettava il dovere di decidere di sospenderlo. Come si vede anche da questa breve ricognizione, si tratta di un problema più complesso del solo conflitto fra vita e morte, anche se sostanzialmente si può ridurre a questo. È cioè una questione che tocca il ruolo delle tecnoscienze nella nostra vita, i limiti della medicina, e che quindi, per essere veramente convincenti, richiede un esame anche di queste questioni. La terribile sorte di Eluana, allora, è un monito per tutti, e insegna a noi cattolici che dobbiamo ancora pensare e lavorare per diffondere i nostri principi - che sono principi di ragioni condivisibili anche da chi cattolico non è - e calarli ogni volta nelle nuove questioni che il progresso scientifico crea.
(©L'Osservatore Romano - 15 novembre 2008)
14/11/2008 14.48.04 – Radio Vaticana - Caso Englaro. Mons. Fisichella: rispetto per il dolore ma decisione molto grave
Il ministro della Giustizia Angelino Alfano interviene sul caso Englaro, la giovane donna in coma da 17 anni. Dopo la sentenza della Cassazione che ha dichiarato inammissibile il ricorso della Procura generale di Milano, il ministro ha affermato che ''Il Parlamento e' chiamato a riempire un vuoto normativo e di seguire con attenzione il movimento parlamentare attorno a una possibile legge”. E sono molte le prese di posizione del molto cattolico in merito alla sentenza che autorizza la sospensione dell’alimentazione e dell’idratazione. Alessandro Guarasci http://62.77.60.84/audio/ra/00138250.RMhttp://62.77.60.84/audio/ra/00138250.RM
Il cardinale Dionigi Tettamanzi, si rivolge direttamente alle suore Misericordine di Lecco, che da anni accudiscono Eluana nella clinica dove e' ricoverata. In una lettera, l’arcivescovo di Milano, dice che la vicenda si sta avviando a ''una conclusione irragionevole e violenta''. Il cardinale ha rivolto anche una supplica a Dio. ''A Lui chiedo - ha scritto - che non lasci mancare un'estrema opportunita' di ripensamento a quanti si stanno assumendo la gravissima responsabilita' di procurarle la morte, privando dell'acqua e del nutrimento questa Sua amata creatura”. In mattinata le stesse suore si erano augurate che la giovane rimanesse con loro perché la sentono viva. Sulla stessa linea monsignor Pietro Brollo, arcivescovo di Udine, città dove la giovane potrebbe esser portata a morire. Monsignor Brollo dice di ''sentire forte il bisogno della preghiera affinche' il rispetto della vita umana si affermi ad ogni livello culturale, sociale e politico. A caldo, ieri sera, una nota della Cei spiegava che “l'alimentazione e l'idratazione non costituiscono una forma di accanimento terapeutico”. L'Osservatore Romano, invece, oggi, nel suo editoriale parla di "terribile morte di Eluana, che è monito per tutti". Secondo il giornale vaticano, la ''sconfitta'' subita con la sentenza di giovedì ''insegna a noi cattolici che dobbiamo ancora pensare e lavorare per diffondere i nostri principi''. Il bioeticista dell’Università Cattolica monsignor Roberto Colombo fa notare come si tratta di “spegnere l'esistenza di una giovane donna sul cui volto non vi e' segno di sofferenza alcuna''.
E Sulla gravità della sentenza della Cassazione e sulla necessità di difendere la vita contro le derive eutanasiche, si sofferma il presidente della Pontificia Accademia per la Vita e rettore della Lateranense, mons. Rino Fisichella, intervistato da Francesca Sabatinelli:http://62.77.60.84/audio/ra/00138108.RMhttp://62.77.60.84/audio/ra/00138108.RM
R. - E’ una decisione questa molto grave, sotto tutti i profili. Per quanto mi concerne, è gravissima dal punto di vista etico e dal punto di vista morale. Forse potranno trovare delle giustificazioni nei cavilli procedurali e nelle interpretazioni del linguaggio. Nella sostanza, però, rimane un fatto del tutto grave, un fatto del tutto estraneo alla cultura del popolo italiano e un fatto di una gravità assoluta per quanto riguarda un attentato alla vita. Ciò cui saremo costretti ad assistere è che, ancora una volta, ad una vita umana, ad una vita personale, ad una ragazza di 37 anni - come fu nel passato per Terry Schiavo, negli Stati Uniti, così oggi in Italia - verrà tolto il nutrimento e verrà tolta l’idratazione, cioè ad una persona viva, non attaccata a nessuna macchina, ad una persona che respira autonomamente, ad una ragazza che si sveglia e si addormenta, ad una ragazza che percepisce anche. Perché questo è ugualmente da ribadire: lei percepisce delle sensazioni. Le verrà tolta l’acqua e le verrà tolto il nutrimento, condannandola certamente ad una morte di grave sofferenza e di stenti.
D. - Eccellenza, secondo lei, con questa sentenza c’è il rischio, così come è stato ipotizzato da alcuni, che si possa introdurre l’eutanasia in Italia?
R. - Io sono ancora più profondamente convinto che il popolo italiano, verificando il dramma che si sta per compiere sotto ai suoi occhi - perché rimango fermamente convinto che la maggioranza degli italiani non condivide questa posizione nel momento in cui è informato di come avvengono veramente le cose e di quale posta in gioco realmente ci sia - credo sarà convinto ancora di più ad arrivare a formulare una legge, mi auguro il più possibile condivisa, proprio perché venga evitato il più possibile qualsiasi esperienza e qualsiasi forma di eutanasia passiva o attiva nel nostro Paese.
D. - Accanto ad Eluana ci sarà - lo ha già detto, come sempre è stato in questo periodo - il papà Beppino, che ha dichiarato subito dopo la sentenza che in Italia si vive in uno Stato di diritto...
R. - Sì, io ho sempre avuto profondo rispetto per la situazione familiare, per il dolore familiare, così come ho rispetto però per più di duemila persone che vivono la stessa condizione e che non giungono alle stesse conclusioni. Mi sembra però che invocare il diritto lasci aperto un grande vuoto che è quello di richiamare anche ad una dimensione della compassione e dell’amore. In uno Stato di diritto le assicuro che c’è un principio fondamentale che dice “Summum ius, summa iniuria”. Io credo che questo parli già da sé. Se gli antichi romani avevano stabilito questo principio, pensi se non sia ancora valido oggi.
“Giuridicamente devastante”: così, l’Unione giuristi cattolici italiani (UGCI) definisce “la sentenza della Cassazione che ha posto fine al caso Englaro”. Secondo i giuristi cattolici, infatti, la Cassazione ha introdotto “di fatto nel nostro ordinamento l'eutanasia passiva”, inducendo l'opinione pubblica “a ritenere che una vita malata possa perdere di dignità”. Un atto, questo, che va contro l’ordinamento costituzionale italiano. E' quanto sottolinea il presidente dei giuristi cattolici italiani, il prof. Francesco D’Agostino, intervistato da Luca Collodi:http://62.77.60.84/audio/ra/00138174.RMhttp://62.77.60.84/audio/ra/00138174.RM
R. - Nella pronuncia di ieri, la Cassazione ha riconosciuto un diritto di rango costituzionale all’autodeterminazione dei pazienti, anche nei confronti di scelte di fine vita. La Costituzione non parla di un diritto di questo genere: si limita ad affermare che ogni persona ha diritto a rifiutare terapie coercitive. Ma forme di autodeterminazione che si trasformino obiettivamente in pratiche di eutanasia passiva, come quella che aspetta la povera Eluana, sono sconosciute al nostro testo costituzionale. Se la Cassazione avesse adottato un’interpretazione saggia e prudente del nostro ordinamento giuridico, e avesse preso seriamente in conto i principi della deontologia medica, non ci sarebbe stato alcun bisogno di una legge. Ma dato che la Cassazione ha scelto invece una interpretazione indebitamente estensiva, che di fatto introduce l’eutanasia nel nostro ordinamento, a questo punto ritengo che sarebbe sommamente auspicabile che il parlamento intervenisse per ribadire principi tradizionali che oggi, evidentemente, sono andati perduti.
D. - Professore D’Agostino, non pensa che queste sentenze possano aprire anche un fronte culturale su tematiche come quella del rapporto tra etica e giustizia?
R. - Guardi, aprono un fronte culturale estremamente delicato. La vita di Eluana, essendo in stato vegetativo persistente, avrebbe perso dignità. Questa affermazione è gravissima e, a mio avviso, è un vero e proprio insulto nei confronti di tutti quei malati che si trovano nella situazione di Eluana e dei medici e dei parenti che li accudiscono. Bisogna ribadire con forza l’esatto contrario: la dignità umana non solo è inviolabile ma è imperdibile, nessuna situazione può farci pensare che la dignità umana sia venuta meno, meno che mai quando parliamo di malati. Ecco perché, avere giustificato la sospensione delle cure di Eluana, apre una breccia, di tipo culturale ed etico, a mio avviso, devastante. E sulla dignità della persona morente, ecco la testimonianza del dottor Giovanni Maria Sanna, responsabile del Centro "Santa Maria Assunta" di Guspini - vicino Oristano, in Sardegna - che da anni cura malati in stato di coma e affetti da gravi cerebrolesioni. L’intervista è di Alessandro Gisotti:http://62.77.60.84/audio/ra/00138143.RMhttp://62.77.60.84/audio/ra/00138143.RM
R. - Non ci possiamo fermare ad un aspetto semplicemente esteriore della persona. E’ una persona viva, che mi trasmette comunque un’emozione, e io sono sicuro che ci sia un passaggio, diciamo, di emozione reciproca.
D. - Per chi non ha fede, ovviamente, la questione diventa più complicata. Cosa si sente di dire lei, in base alla sua esperienza?
R. - Io lavoro con gente che non ha fede, con colleghi, con famiglie che non hanno fede. Posso dire semplicemente questo: anche loro combattono la stessa battaglia e, pur con differente sensibilità, vivono la stessa esperienza. Quello che mi colpisce, soprattutto nella mia esperienza ultradecennale, è che mai ho avuto richieste di interrompere una terapia, per non parlare poi della somministrazione di cibo, perché tutto ruota sempre intorno alla situazione della persona: se lasciata sola, sono sicuro che la disperazione può portarla a richieste eccessive; se invece la società la accompagna fino alla fine, non sente il bisogno di chiedere l’interruzione della vita. Questa è la mia esperienza.
D. - La solitudine del malato e di chi gli è vicino: il problema è proprio questo?
R. - Sì, il problema è proprio questo. Noi non stiamo parlando soltanto del malato, noi stiamo parlando della persona sofferente. E nella mia esperienza, la persona sofferente fa vedere un aspetto trinitario della persona che vive in società, che è l’ammalato, la famiglia stessa e gli amici. Questi soffrono e, se non sono lasciati soli, trovano in loro la forza di portare avanti la croce che gli si è presentata, la sofferenza.
D. - La vicenda di Eluana Englaro, ovviamente oggi sulle prime pagine di tutti i giornali, è innanzitutto una storia di dolore: di Eluana, del padre... Che cosa pensa di fronte ad una realtà come questa?
R. - Alla società dico di stare molto attenta a quello che introduce dentro se stessa, perché può farsi molto male, prendendo decisioni che non spettano neanche alla legge. Per quanto riguarda il padre - quando mi capita personalmente di stare vicino a queste persone sofferenti, non posso assolutamente dir niente - lo inviterei comunque ad interrogarsi proprio in virtù di questa esperienza e a cercare la verità. E’ importante che quest’uomo che ha sofferto tanti anni venga aiutato a trovare la verità.
15/11/2008 11:50 – INDIA - In piazza 50mila fondamentalisti indù a favore dell’intolleranza religiosa - di Nirmala Carvalho - Il governo dell’Orissa permette una marcia che chiede di “fermare le conversioni”. Intanto a Bangalore tre cristiani sono arrestati con la falsa accusa di induzione alla conversione. L’Aicc fornisce il bilancio aggiornato delle violenze anticristiane.
New Delhi (AsiaNews) – Il governo dell’Orissa ha permesso la manifestazione di oggi del Swami Laxmananda Saraswati Sradhanjali Samiti a Bhubaneshwar, nonostante la preoccupazione di New Delhi che possa innescare ulteriori violenze interreligiose. Intanto continuano le persecuzioni anticristiane in Orissa, con chiese demolite e cristiani arrestati con false accuse di “istigare conversioni”.
Il gruppo estremista indù ha indetto la marcia in protesta contro il mancato arresto degli uccisori di Laxmananda Saraswati, leader del Vishwa Hindu Parishad (Vhp), il 23 agosto. Anche se la polizia ritiene responsabili gruppi maoisti, gli indù ne hanno tratto pretesto per scatenare i pogrom anticristiani.
Almeno 1.500 poliziotti vigileranno per evitare incidenti. Ma nel Kandhamal c’è grande paura che la marcia sia un pretesto per riprendere gli attacchi, mai davvero cessati. Si prevedono almeno 50mila partecipanti e gli organizzatori hanno affisso ovunque manifesti che chiedono l’arresto degli assassini ma anche “di fermare le conversioni e l’uccisione di mucche” e di “difendere l’induismo e la cultura tribale”.
In questo clima, la notte del 12 novembre sono stati arrestati tre cristiani con l’accusa di “induzione” alla conversione degli abitanti di un sobborgo di Bangalore. I leader delle associazioni cristiane hanno promosso una campagna per il loro rilascio.
L’All India Christian Council (Aicc) riporta il racconto dei fatti fornito dai leader cristiani del Karnataka: un uomo, Chandrashekhar, e due donne Kamlamma e Sandhya, sono stati invitati nella casa della sorella dell’uomo, nel quartiere di Jeevanahalli a Bangalore, a pregare per la salute del nipote infermo.
Usciti dall’abitazione al termine della veglia, il trio si è imbattuto in un gruppo formato da una quindicina di militanti della Bajrang Dal, l’ala giovanile del Vhp. I fanatici hanno picchiato a sangue l’uomo, poi hanno chiamato la polizia accusandoli di indurre alla conversione un gruppo di abitanti del luogo. Un imprenditore ha confermato la falsa accusa ai poliziotti di Fraser Town.
La sorella di Chandrashekhar ribadisce che lo ha chiamato per pregare per la salute del figlio malato e respinge le accuse “prive di fondamento”. Sam Paul, segretario per gli affari pubblici dell’Aicc, accusa che è “uno dei numerosi esempi di cristiani accusati ingiustamente dai fondamentalisti indù di conversioni forzate. È chiaro che sono innocenti. L’amara realtà è che nell’India di oggi vi è una situazione di persecuzione legalizzata ai danni dei cristiani”.
Intanto la notte dell’11 novembre ignoti hanno raso al suolo la chiesa cattolica del villaggio di Tiangia, dove è nato padre Bernard Digal. La Chiesa, scampata alle precedenti violenze perché ancora in costruzione, doveva essere inaugurata tra breve.
Secondo l’Aicc dal 24 agosto in Orissa si sono registrate violenze in 14 dei 30 distretti dello Stato, ci sono stati danni in 315 villaggi, bruciate 4,640 abitazioni, con 53mila sfollati e 60 vittime tra le quali due pastori e un prete cattolico), sono state stuprate due donne, distrutte 151 chiese, mentre continuano ancora oggi gli attacchi. Nel Bihar è stata danneggiata una chiesa. Nello stato di Chhattisgarh sono state attaccate quattro suore. Nel Jharkhand i fondamentalisti indù hanno preso d’assalto una chiesa e hanno cercato di “riconvertire” i fedeli cristiani. Quattro chiese danneggiate nel Kerala, nel Tamil Nadu e nel Madhya Pradesh. A New Delhi due chiese danneggiate, alle quali si aggiungono altri quattro tentativi di assalto. Nel Punjab tre cristiani sono detenuti dalla polizia con false accuse. Nell’Uttar Pradesh picchiati tre pastori e la moglie di uno di loro. Nell’Uttarakhand sono stati uccisi due cristiani, un prete e una sua impiegata.
Sempre più drammatica la situazione nel Nord Kivu - Repubblica Democratica del Congo - I vescovi denunciano il genocidio silenzioso – L’Osservatore Romano, 15 Novembre 2008
Kinshasa, 14. Nel Kivu sta avvenendo un "genocidio silenzioso nel lassismo" della comunità internazionale. La denuncia viene dai vescovi della Repubblica Democratica del Congo, in un documento diffuso a margine della sessione straordinaria del Comitato permanente della Conferenza episcopale del Congo (Cenco), svoltasi a Kinshasa dal 10 al 13 novembre. "È passato appena un mese da quando la nostra Conferenza episcopale nazionale del Congo, ha diffuso una dichiarazione sulla ripresa delle ostilità nell'est e nel nord-est della Repubblica Democratica del Congo. Malgrado i nostri appelli accorati sia ai governanti che alla comunità internazionale, ahinoi!, la situazione in questa parte del nostro Paese non ha fatto che peggiorare. Sta raggiungendo proporzioni insopportabili molto inquietanti - si legge nel documento dei vescovi - e capaci di destabilizzare tutta la sotto-regione se non vi si pone riparo". "Condanniamo con veemenza questa maniera ignobile di considerare la guerra come un mezzo per risolvere i problemi e accedere al potere. Denunciamo tutti i crimini commessi contro cittadini innocenti - scrivono i vescovi - e disapproviamo nel modo più assoluto ogni aggressione del territorio nazionale. Biasimiamo il lassismo con cui la comunità internazionale tratta il problema dell'aggressione di cui è vittima il nostro Paese". L'episcopato congolese sottolinea ancora una volta che si tratta di un vero dramma umanitario che somiglia a un genocidio silenzioso. "I massacri gratuiti e su grande scala delle popolazioni civili, lo sterminio mirato dei giovani, gli stupri sistematici perpetrati come arma di guerra: di nuovo una crudeltà di eccezionale virulenza si scatena contro le popolazioni locali che non hanno mai chiesto altra cosa che una vita tranquilla e dignitosa nelle loro terre. Chi avrebbe interesse a un simile dramma?". Tutto ciò - afferma l'episcopato congolese - "sotto gli occhi impassibili di coloro che hanno ricevuto il mandato di mantenere la pace e proteggere la popolazione civile. I nostri stessi governanti si dimostrano impotenti di fronte alla portata della situazione dando l'impressione di non essere all'altezza delle sfide della pace, della difesa della popolazione congolese e dell'integrità del territorio nazionale. L'intera classe politica non sembra prendere la misura della sua responsabilità di fronte a questo dramma che rischia di ipotecare il futuro della nazione". I vescovi chiedono "l'immediata cessazione delle ostilità e la garanzia delle condizioni di sicurezza per il ritorno degli sfollati alle loro terre, un aumento dell'aiuto umanitario, mentre si appellano al governo e alla comunità internazionale per porre fine alle violenze. "È evidente - prosegue il messaggio dell'episcopato - che le risorse naturali del Congo alimentano l'avidità di certe potenze e non sono estranee alla violenza che si impone alla popolazione. Infatti, tutti i conflitti si sviluppano nei corridoi economici e attorno ai giacimenti minerari. Come comprendere che i diversi accordi sono violati senza alcuna pressione efficace per convincere i firmatari a rispettarli? Le diverse riunioni e conferenze per risolvere questa crisi non hanno ancora affrontato le questioni di fondo e non hanno fatto che rinviare e deludere le aspirazioni legittime alla pace e alla giustizia del nostro popolo. Inoltre, il piano di "balcanizzazione" che non smettiamo di denunciare è portato avanti da intermediari. Si ha l'impressione di una grande complicità che non svela il suo nome. La grandezza del Congo e le sue numerose ricchezze non devono servire da pretesto per farne una giungla. Chiediamo al popolo congolese - proseguono i vescovi - di non cedere a qualsiasi velleità di "balcanizzazione" del suo territorio naturale. Gli chiediamo di non sottoscrivere mai una messa in questione delle sue frontiere stabilite al livello internazionale e riconosciute dopo la conferenza di Berlino e gli ulteriori accordi. Inoltre, i vescovi invitano tutta la popolazione congolese a un risveglio nazionale per vivere come fratelli e sorelle, nella solidarietà e la coesione nazionale, affinché il Congo non cada nella violenza e nelle divisioni. Esortano il governo congolese a fare di tutto per ristabilire la pace su tutto il territorio nazionale. "È il sacro dovere dei nostri governanti - recita il documento - esercitare le loro funzioni sovrane per proteggere la popolazione e garantire la sicurezza delle frontiere. Nessuno ignora che l'assenza di un esercito repubblicano pregiudica la pace nel Paese". Infine, solidale con la sofferenza del suo popolo, la Chiesa-famiglia di Dio nel Congo si impegna ad accompagnare i suoi figli e le sue figlie provate per condurli sulla strada della riconciliazione e della pace. Esprime la sua riconoscenza a Papa Benedetto XVI per la sua attenzione al dramma del Congo, i suoi ripetuti appelli a tutti per una soluzione pacifica e per l'aiuto finanziario che egli stesso ha dato per dare sollievo alle popolazioni sfollate. Possa il Signore, che ha vegliato per ore nel giardino del Getsemani e che ha sentito come se fossero state fatte a lui stesso le sofferenze inflitte e imposte ai membri del suo gregge, vegliare con noi e sostenerci di fronte al dramma che conosce il nostro Paese. Che la Santissima Vergine Maria, Regina della pace, ottenga la pace per la nostra cara patria".
(©L'Osservatore Romano - 15 novembre 2008)
15/11/2008 12.06.39 – Radio Vaticana - Sempre più urgente l'azione apostolica del laicato cattolico nella Chiesa e nel mondo: così il Papa al Pontificio Consiglio per i laici
Oggi è sempre più urgente l’azione apostolica del laicato cattolico nella Chiesa e nel mondo: è quanto ha affermato stamani Benedetto XVI ricevendo i partecipanti alla plenaria del Pontificio Consiglio per i laici che si sta svolgendo sui vent’anni dell’Esortazione apostolica Christifideles laici di Giovanni Paolo II. Ce ne parla Sergio Centofanti.
Per il Papa l’azione dei fedeli laici nel mondo e nella Chiesa è sempre più urgente: sono chiamati a testimoniare “la bellezza della verità e la gioia di essere cristiani” nelle famiglie, nel mondo del lavoro, nella società e in particolare tra i giovani:
“Ogni ambiente, circostanza e attività in cui ci si attende che possa risplendere l’unità tra la fede e la vita è affidato alla responsabilità dei fedeli laici, mossi dal desiderio di comunicare il dono dell’incontro con Cristo e la certezza della dignità della persona umana. Ad essi spetta di farsi carico della testimonianza della carità specialmente con i più poveri, sofferenti e bisognosi, come anche di assumere ogni impegno cristiano volto a costruire condizioni di sempre maggiore giustizia e pace nella convivenza umana, così da aprire nuove frontiere al Vangelo!”
Il Papa chiede al Pontificio Consiglio per i laici di seguire la formazione, la testimonianza e la collaborazione dei fedeli nelle più diverse situazioni in cui sono in gioco l’autentica qualità umana della vita nella società:
“In particolar modo, ribadisco la necessità e l’urgenza della formazione evangelica e dell’accompagnamento pastorale di una nuova generazione di cattolici impegnati nella politica, che siano coerenti con la fede professata, che abbiano rigore morale, capacità di giudizio culturale, competenza professionale e passione di servizio per il bene comune”.
Ancora una volta Benedetto XVI sottolinea il ruolo delle donne nella vita della Chiesa e della società: “l’uomo e la donna, uguali in dignità – ha affermato - sono chiamati ad arricchirsi vicendevolmente in comunione e collaborazione, non solo nel matrimonio e nella famiglia, ma anche nella società in tutte le sue dimensioni”:
“Alle donne cristiane si richiedono consapevolezza e coraggio per affrontare compiti esigenti, per i quali tuttavia non manca loro il sostegno di una spiccata propensione alla santità, di una speciale acutezza nel discernimento delle correnti culturali del nostro tempo, e della particolare passione nella cura dell’umano che le caratterizza. Mai si dirà abbastanza di quanto la Chiesa riconosca, apprezzi e valorizzi la partecipazione delle donne alla sua missione di servizio alla diffusione del Vangelo”.
Il Papa rileva con soddisfazione la crescente partecipazione dei fedeli alla vita delle parrocchie e delle diocesi e incoraggia a valorizzare la “nuova stagione aggregativa” dei laici attraverso le associazioni, i movimenti ecclesiali e le nuove comunità.
Nel suo indirizzo d’omaggio al Papa, il cardinale Stanislaw Rylko, presidente del Pontificio Consiglio per i laici, ha constatato “quanto bisogno ci sia oggi di una testimonianza cristiana autentica e convincente”:
“Nel tempo della 'strana dimenticanza di Dio', del 'cristianesimo stanco' e sbiadito di non pochi battezzati, avvertiamo impellente il bisogno di una nuova generazione di cristiani ricchi di entusiasmo e gioia della fede, animati da un forte slancio missionario, capaci di andare coraggiosamente contro-corrente rispetto alla cultura dominante secolarizzata, 'pronti sempre a rispondere a chiunque ci domandi ragione della speranza che è in noi' (cfr 1 Pt 3,15): cristiani che siano veramente sale della terra e luce dei mondo”.
SEGUI LA DIRETTA DELL'ASSEMBLEA DI COMPAGNIA DELLE OPERE "IL TUO LAVORO E' UN'OPERA" SU ILSUSSIDIARIO.NET in diretta streaming alle 15 - DOMENICA 16 NOVEMBRE A PARTIRE DALLE ORE 15,50 - Partecipano: Julian Carron, presidente fraternità di Comunione e Liberazione; - Giorgio Vittadini, presidente Fondazione per la Sussidiarietà - Introduce: Bernhard Scholz, presidente Compagnia delle Opere
DA CHI LE VIVE ACCANTO - IL LIMPIDO RICONOSCIMENTO D’UN FATTO ELEMENTARE - MARINA CORRADI – Avvenire, 15 novembre 2008
« Se c’è chi la considera morta, lasci che Eluana resti con noi che la sentiamo viva». Le parole delle suore della clinica di Lecco che da molti anni assistono Eluana Englaro stanno in undici righe (la sentenza della Cassazione che non ha ammesso il ricorso contro la sospensione di alimentazione e idratazione alla malata è lunga invece ventuno pagine fitte di giurisprudenziale sapienza).
È una ragione semplice quella delle suore, che sa dirsi in così poche parole, senza condanne, senza alcuna retorica: «Lasciatela a noi, che la sentiamo viva». Dove il 'sentire' non è sfumatura sentimentale o pietosa, ma percezione elementare della realtà. Dopo sedici anni di stato vegetativo, Eluana Englaro respira tuttavia autonomamente, e vive del nutrimento e dell’acqua che le arrivano da una sonda. Nessuna macchina le ventila i polmoni o si accanisce a tenerla forzosamente in vita. In stato vegetativo, incosciente, tuttavia la malata – è un’evidenza – è viva.
La ragione semplice di quelle poche parole pronunciate a bassa voce è qui, prima di tutto: nel riconoscimento limpido di un fatto elementare. Riconoscono viva Eluana, le suore che da anni giorno e notte le stanno accanto in una stanza: testimoni di una malattia, una sofferenza, di una lontananza che nella sua drammaticità non può però negare l’evidenza di un respiro che libero persiste. Chiedono, le suore della clinica Beato Luigi Talamoni, che Eluana non venga fatta morire di sete e di fame. E anche qui, la semplicità delle loro parole è assoluta. Ciò che molti chiamano «vittoria dello Stato di diritto», ciò che è palestra sui giornali di abili argomentazioni, per bocca delle suore di Lecco si rivela nella sua scabra brutalità: morirà, Eluana, di lento sfinimento, solo la mancanza d’acqua e di nutrimento potendo aver la meglio di quel suo ostinato respiro. L’urto tra le undici righe – non una parola che non sia essenziale – e la dotta complessità delle 21 pagine di diritto della sentenza, è netto. Ma che cosa sta dietro, e alla radice, di una tale divaricazione di sguardo? C’è, nella trama lineare dell’intervento delle suore, uno stare di fronte alla realtà data, all’oggettività di un respiro autonomo, pure nel mistero di una coscienza apparentemente per sempre perduta. C’è un inchinarsi davanti all’incomprensibile destino di una giovane donna, e la tenace costanza nell’accompagnarla: lavandola, vestendola, amandola come è, muta e assente, segno enigmatico di mistero e dolore.
Dall’altra parte le ragioni del padre, ai cui occhi quella vita incosciente è un limbo di pena, una condanna infinita da cui proprio per amore, dice, vuol liberarla. Sennonché la vita, agli occhi del signor Englaro e di molti intollerabile, è tenacemente, spontaneamente viva. In un modo agli occhi degli uomini contemporanei assurdo: che vita è, se non vede, non reagisce, non 'fa' nulla? Occorre liberare Eluana dalla crudele schiavitù del suo stesso respiro. Il contrasto dunque attorno a quel letto d’ospedale è tra la ribellione di uomini che pretendono, perché vivere sia tollerabile, qualità della vita, salute, coscienza, libertà; e l’umiltà del servizio radicale, che non chiede ragioni, non contesta, non pretende standard di 'dignità' minima, e semplicemente riconosce e onora la vita. Il contrasto è in quelle scarne righe da Lecco che mitemente domandano: « Lasciateci la libertà di amare e donarci a chi è debole». In un tempo di dotti, di padroni di sé, di fieri rivendicatori di pretese e diritti, lo scandalo di un ' sì' semplice: capace di quattordici anni accanto a una giovane donna muta e dormiente, senza in cambio nemmeno una parola.
LIBERTÀ, QUANTI SPROPOSITI IN TUO NOME - All’opposto della vita? - L’infelicità più che la morte - DAVIDE RONDONI – Avvenire, 15 novembre 2008
L’hanno sbattuta pure in prima pagina con il titolo: libera. Ora che c’è la possibilità che la facciano morire di fame e di sete. Libera di morire, prima condannata a morte dell’Italia Repubblicana. Così l’Unità, organo di un partito che un tempo guardava con orrore le conquiste del radicalismo chic e ora le applaude con strana voluttà, sbatte Eluana in prima pagina con un titolo che mostra tutta la strana parabola di una cultura entrata in centrifuga. Se ieri consideravano la volontà individuale sacrificabile al collettivo, ora applaudono – sulla pelle della povera Eluana – a un principio cosiddetto dell’autodeterminazione. La libertà, secondo questo principio, coincide con l’autodeterminazione. Lasciamo per un attimo la vicenda penosa della povera Eluana, che non si è autodeterminata in niente, e che come un oggetto quando diventa troppo ingombrante e fastidioso si stacca la spina e via ( gran libertà di essere rifiutati…). Lasciamo per un attimo questa strana contesa in cui da un lato c’è chi vuol far morire subito una ragazza che, lo ripetiamo per i medici non è morta e non è sotto accanimento terapeutico, e dall’altro c’è chi la vorrebbe semplicemente accompagnare al suo destino, come han scritto ieri le suorine che l’hanno accudita finora. Lasciamo per un attimo il caso specifico che ha avuto il ' merito' di far salire a galla le diverse posizioni. E guardiamo la parola di quel titolo cinico fino allo spavento: la libertà coincide con l’autodeterminazione? Un intellettuale di sinistra come Pasolini e tanti altri che come me si sono formati su autori e poeti appartenenti all’area politica di sinistra sarebbero inorriditi. La libertà come autodeterminazione è un’astrazione, una idea in fondo violenta che vale solo in una società senza più legami. Una società di ' monadi', come i filosofi definiscono l’uomo che non ha alcun legame essenziale con nulla.
Una società senza affetto, senza responsabilità reciproche. Senza ideali a cui tendere. Provate a pensare se vostro figlio, o una persona che amate vi dicesse che in nome dell’autodeterminazione ha deciso di farla finita. Per i motivi che lui o lei ritiene validi. Lo lascereste fare, in nome del valore assoluto dell’autodetrminazione? O cerchereste in ogni modo di convincerlo che la sua vera libertà consiste nell’aderire alla vita?
Magari cercando ogni aiuto possibile? Il caso estremo di Eluana, come tutti i casi estremi, serve a far capire se certi principi sono fermi oppure no.
Perché è proprio nei casi difficili che si vede se i principi valgono. Troppo facile dire che la vita è un valore quando non subisce prove, come è troppo facile dire che rubare è sbagliato quando i soldi si hanno. È nelle prove che si vedono i principi di una società. Il fatto tremendo emerso ora è che ormai per i paladini dell’autodeterminazione vita o morte si equivalgono, ciò che dà valore all’uno o all’altra è solo la scelta del singolo inteso come monade. La vita vale solo se la scelgo, e la morte pure. E all’opposto della vita non c’è più la morte ma un’idea di infelicità che cambia a seconda della cultura dominante. Sì, non è più la morte l’opposto della vita, per questi strani paladini della morte e dell’individualismo più cieco ( e alcuni di loro si chiamavano ' comunisti', che tragitto perverso...): l’opposto è l’infelicità. Ma è qui il punto: che cosa rende una vita infelice? La mancanza di salute? La mancanza di soldi? Di bellezza? Cosa? L’appartenere alla razza sbagliata?
Hanno deciso che la vita di Eluana era infelice e quindi tanto valeva consegnarla alla morte. Anche se è viva. Sarà la cultura dominante e cangiante a decidere di volta in volta cosa rende infelice la vita e dunque da eliminare. È la fine della vita come valore assoluto. È l’inizio di un’epoca dove vita o morte valgono uguale. Ma, appunto, un’epoca di mancanza di amore, oltre che di mancanza di ragione. Solo chi non ama può ritenere uguale la vita o la morte di coloro che ha intorno.
SPONTANEO RIPENSARE ALLE DENUNCE DEL CARDINALE VON GALEN - Così il Leone di Münster difese gli «indegni di vivere» - DON ANDREA VENA – Avvenire, 15 Novembre 2008
Sono appena rientrato dall’ospedale: dista 25 chilometri. Un mio parrocchiano sta attendendo che Dio apra la Porta. Lo sa.
All’inizio con rassegnazione, oggi con fiducia e serenità: Dio aprirà la porta. È in agonia. Chiede spesso di me e la moglie mi chiama. La moglie: con una mano accarezza il marito e con l’altra si asciuga le lacrime. E insieme pregano. E io vado: avanti e indietro.
Due, tre volte al giorno. Con questo stato d’animo accolgo la notizia di Eluana. Non ho parole. E quelle poche che ho le prendo dal beato Von Galen, il Leone di Münster ( 18781946) che in modo lapidario denunciò le nefandezze hitleriane condotte sugli inermi. Tornano così attuali, eccole: « ... quando sono venuto a conoscenza che dei malati della casa di Marienthal dovevano essere portati via, per essere uccisi, io il 28 luglio ho sporto denuncia al pubblico ministero della pretura di Münster... Già il 26 luglio avevo protestato... Senza esito. Così noi dobbiamo tener conto del fatto che i poveri e indifesi malati prima o poi saranno uccisi. Perché? Non perché siano colpevoli di un crimine che meriti la morte, non perché forse abbiano aggredito il loro infermiere o guardiano, di modo che costui, per salvaguardare la propria vita, non abbia avuto altra scelta che affrontare con la forza, per legittima difesa, l’aggressore. Questi sono casi in cui, oltre all’uccisione del nemico armato del Paese in guerra giusta, è lecito l’uso della forza fino all’uccisione e, spesso volte, è anche necessario. No, non per tali motivi devono morire quegli infelici malati, ma perché, secondo il giudizio di un ufficio, secondo il parere di una qualunque commissione, son divenuti ' indegni di vivere', per il fatto che, secondo tale perizia, fanno parte dei ' connazionali improduttivi'. Si giudica: non possono più produrre, sono come una vecchia macchina, che non funziona più, come un vecchio cavallo diventato inguaribilmente zoppo.
Sono come una mucca che non dà più latte. Cosa si fa con una tale macchina? Viene demolita. Cosa si fa con un cavallo zoppo, con una talaltra bestia improduttiva? No, non voglio portare a fine questo paragone, per quanto tremendi siano la sua giustificazione e il suo potere illuminante. No, qui si tratta di esseri umani, nostri consimili, nostri fratelli e sorelle! Ma per questo non meritano di essere uccisi. Hai tu, ho io il diritto alla vita soltanto finché noi siamo produttivi, finché siamo ritenuti produttivi da altri? Se si ammette il principio, ora applicato, che l’uomo ' improduttivo' possa essere ucciso, allora guai a tutti noi, quando saremo vecchi e decrepiti!... Allora nessuno è più sicuro della propria vita... e nessuna polizia li proteggerà, e nessun tribunale punirà il loro assassinio e condannerà l’assassino alla pena che merita
» ( dall’omelia del 3 agosto 1941). Ahimè, meglio che torni dal mio malato: lui attende che la porta si apra. Lui sa che il Signore gli aprirà.
Il beato tedesco in modo lapidario condannò le nefandezze hitleriane
Sarà una morte atroce, di sete e di fame» - Guizzetti, responsabile del reparto stati vegetativi del don Orione di Bergamo: le persone che si trovano qui non sono attaccapanni che non sentono e non provano nulla - DI FRANCESCA LOZITO – Avvenire, 15 Novembre 2008
H a pianto Giovanni Battista Guizzetti. Lo afferma senza retorica, semplicemente, come lo può dire chi è disarmato di fronte a qualcosa che non riesce a spiegarsi. E mentre parla la voce ogni tanto si rompe ancora: «perché penso ad Eluana e vedo le tante persone che sono qui nella sua stessa condizione e allora mi chiedo: ma che senso ha definirle degli attaccapanni che non sentono e non provano nulla?
».
Che clima c’è nel reparto in cui vengono curati i pazienti in stato vegetativo che lei dirige presso il Centro don Orione di Bergamo?
Cosa vuole che le dica, può immaginare come stiamo, la mia équipe, gli infermieri, i parenti, tutti ci chiediamo perché si è arrivati a questo punto. Siamo increduli di fronte a una fine del genere e non possiamo che sentire questa ragazza una parte anche della nostra famiglia perché qui le persone come lei vivono e sono curate amorevolmente prima di tutto dagli infermieri e gli operatori sanitari con i quali sono in grado di stabilire un rapporto davvero unico.
Già, perché c’è sempre qualcuno che si prende cura più di altri di chi si trova in questa condizione: per Eluana è stata una delle suore della Casa di cura Talamoni. Ci può spiegare come nasce questo rapporto tra infermiere e paziente?
Guardi, le racconto un episodio che è successo pochi giorni fa: stavamo effettuando dei test sul livello di coscienza, e ci siamo accorti che quando, ad esempio la mano la teneva l’infermiere con cui ognuno di loro è in più stretto contatto piuttosto che io che sono solo il medico la risposta era differente. Con loro la stringevano e con me no. Come si fa a dire che non sentono nulla?
Che cosa le chiedono in queste ore i familiari dei pazienti?
Hanno paura, si chiedono se dopo Eluana anche tante persone che si trovano nella stessa condizione faranno una fine uguale. Ma se non lo chiedono non la faranno.
Dopo una vicenda che ha avuto un’eco simile non crede che ad altri parenti verrà in mente di far smettere il proprio caro di bere e mangiare?
Ma non è la giustizia che deve risolvere questi problemi.
Nel suo reparto mai nessuno le ha fatto una simile richiesta?
No e poi no, da me non è mai successo. Sono dodici anni che sono qui e ho visto passare già ottanta malati di questo genere, ma mai nessuno, ripeto, dei loro familiari ha avuto il coraggio di chiedermi che il suo parente potesse farla finita. Mai una richiesta di eutanasia.
E cosa le chiedono allora?
Mi chiedono assistenza di qualità, mi chiedono di non essere abbandonati. Sono padri e madri soli, signore che piangono disperate al telefono e dicono “mi aiuti”. Non c’è mica tanto cinismo in giro, ci sono piuttosto famiglie che si sfaldano per cercare di vedere il proprio familiare sistemato al meglio. Sono persone che magari all’uscita dall’ospedale, dalla terapia intensiva sono abbandonati a se stessi. Devono arrangiarsi da soli.
Perché mancano le strutture in Italia.
Noi che operiamo nell’ambito degli Stati vegetativi stiamo aspettando da troppo tempo che la politica faccia la sua parte: ci vogliono reparti appositi per accoglierli che siano distribuiti su tutto il territorio. Non bastano le Rsa generiche per anziani, questi gravi disabili hanno esigenze diverse, non vanno parcheggiati in un posto qualsiasi. Bisogna far partire una volta per tutte la “rete”, io ricevo continuamente telefonate da persone del sud disposte a trasferirsi anche a Bergamo.
Dottor Guizzetti e adesso che succederà? Come morirà Eluana? Beh, mi sembra chiaro, di una morte atroce, per fame e per sete, le staccheranno il sondino e via, verso la più terribile delle morti. Non sta a me esprimere giudizi, ma mi chiedo se ci si rende conto di quello che sta per accaderle. Quindici giorni sono un tempo lunghissimo, è incredibile, ripeto, e atroce farla morire così.Vorrei aggiungere anche un’altra cosa.
Prego
La medicina ufficiale non vuole riconoscere la possibilità di risvegli dopo lungo tempo, ma sappiamo che succedono e ci sono, sparsi per il mondo. Fa comodo a noi dire che i malati in stato vegetativo non sentono e non provano nulla: allora perché secondo lei nel mio reparto alcuni di loro vengono trattati con antiinfiammatori e antidolorifici? Credo che molti dovranno riflettere anche su questo.
1) Caso Eluana: carità o violenza? - Il documento del Movimento di Comunione e Liberazione
2) I Vescovi italiani tornano a invocare una legge sul fine vita - “Dai contenuti inequivocabili nella salvaguardia della vita stessa”
3) Appello di “Scienza & Vita” a non cooperare all'uccisione di Eluana - Le suore che la accudiscono: lasciatela a noi, non chiediamo nulla in cambio
4) C O M U N I C A T O S T A M P A - ELUANA ENGLARO: IL PRIMO CASO DI OMICIDIO LEGALE IN ITALIA – Medicina e Persona
5) Eluana non è un "caso" ma una persona - Curatore: Buggio, Nerella - Fonte: CulturaCattolica.it - sabato 15 novembre 2008 - Ci scrive un'amica, medico neurologo: "Il problema più grosso in questione è la incapacità di stare davanti alla vita per ciò che essa è: ultimamente un mistero e sempre un dono."
6) Il caso Eluana Englaro, un caso di eutanasia - di padre Fernando Pascual, L.C.*
7) Di fronte a una sconfitta - Per un esame di coscienza - di Lucetta Scaraffia – L’Osservatore Romano, 15 Novembre 2008
8) 14/11/2008 14.48.04 – Radio Vaticana - Caso Englaro. Mons. Fisichella: rispetto per il dolore ma decisione molto grave
9) 15/11/2008 11:50 – INDIA - In piazza 50mila fondamentalisti indù a favore dell’intolleranza religiosa - di Nirmala Carvalho - Il governo dell’Orissa permette una marcia che chiede di “fermare le conversioni”. Intanto a Bangalore tre cristiani sono arrestati con la falsa accusa di induzione alla conversione. L’Aicc fornisce il bilancio aggiornato delle violenze anticristiane.
10) Sempre più drammatica la situazione nel Nord Kivu - Repubblica Democratica del Congo - I vescovi denunciano il genocidio silenzioso – L’Osservatore Romano, 15 Novembre 2008
11) 15/11/2008 12.06.39 – Radio Vaticana - Sempre più urgente l'azione apostolica del laicato cattolico nella Chiesa e nel mondo: così il Papa al Pontificio Consiglio per i laici
12) SEGUI LA DIRETTA DELL'ASSEMBLEA DI COMPAGNIA DELLE OPERE "IL TUO LAVORO E' UN'OPERA" SU ILSUSSIDIARIO.NET in diretta streaming alle 15 - DOMENICA 16 NOVEMBRE A PARTIRE DALLE ORE 15,50 - Partecipano: Julian Carron, presidente fraternità di Comunione e Liberazione; - Giorgio Vittadini, presidente Fondazione per la Sussidiarietà - Introduce: Bernhard Scholz, presidente Compagnia delle Opere
13) DA CHI LE VIVE ACCANTO - IL LIMPIDO RICONOSCIMENTO D’UN FATTO ELEMENTARE - MARINA CORRADI – Avvenire, 15 novembre 2008
14) LIBERTÀ, QUANTI SPROPOSITI IN TUO NOME - All’opposto della vita? - L’infelicità più che la morte - DAVIDE RONDONI – Avvenire, 15 novembre 2008
15) SPONTANEO RIPENSARE ALLE DENUNCE DEL CARDINALE VON GALEN - Così il Leone di Münster difese gli «indegni di vivere» - DON ANDREA VENA – Avvenire, 15 Novembre 2008
16) Sarà una morte atroce, di sete e di fame» - Guizzetti, responsabile del reparto stati vegetativi del don Orione di Bergamo: le persone che si trovano qui non sono attaccapanni che non sentono e non provano nulla - DI FRANCESCA LOZITO – Avvenire, 15 Novembre 2008
Caso Eluana: carità o violenza? - Il documento del Movimento di Comunione e Liberazione
CITTA' DEL VATICANO, venerdì, 14 novembre 2008 (ZENIT.org).- “Che società è quella che chiama la vita 'un inferno' e la morte 'una liberazione'?”. E' l'interrogativo con cui si apre il documento sul caso di Eluana Englaro, preparato da Comunione e Liberazione (Cl).
“Dov’è il punto di origine di una ragione impazzita, capace di ribaltare bene e male e, quindi, incapace di dare alle cose il loro vero nome?”, ci si interroga ancora.
In riferimento alla sentenza della Corte di Cassazione che ha dichiarato inammissibile il ricorso della Procura generale di Milano, Cl definisce poi “un omicidio” l’annunciata sospensione dell’alimentazione e dell'idratazione, e afferma che “la cosa è tanto più grave in quanto impedisce l’esercizio della carità, perché c’è chi si è preso cura di lei e continuerebbe a farlo”.
“Nella lunga storia della medicina – prosegue il documento – il suo sviluppo è diventato più fecondo quando, in epoca cristiana, è cominciata l’assistenza proprio agli 'inguaribili', che prima venivano espulsi dalla comunità degli uomini 'sani', lasciati morire fuori dalle mura della città o eliminati”.
“Chi se ne fosse occupato avrebbe messo a rischio la propria vita – si legge di seguito –. Per questo chi cominciò a prendersi cura degli inguaribili lo fece per una ragione che era più potente della vita stessa: una passione per il destino dell’altro uomo, per il suo valore infinito perché immagine di Dio creatore”.
“Così il caso Eluana – afferma Cl nel documento – ci mette davanti alla prima evidenza che emerge nella nostra vita: non ci facciamo da soli. Siamo voluti da un Altro”.
“Senza questo riconoscimento diventa impossibile abbracciare Eluana e vivere il sacrificio di accompagnarla – si afferma –; anzi, diventa possibile ucciderla e scambiare questo gesto, in buona fede, per amore”.
Alle origini del cristianesimo, ricorda il documento, vi è invece la “passione per l’uomo”: “Cristo ha avuto pietà del nostro niente fino a dare la vita per affermare il valore infinito di ciascuno di noi, qualunque sia la nostra condizione”.
“Capire le ragioni della fatica – conclude il documento, riportando un pensiero del fondatore di Cl, don Luigi Giussani – è la suprema cosa nella vita, perché l’obiezione più grande alla vita è la morte e l’obiezione più grande al vivere è la fatica del vivere; l’obiezione più grande alla gioia sono i sacrifici… Il sacrificio più grande è la morte”.
I Vescovi italiani tornano a invocare una legge sul fine vita - “Dai contenuti inequivocabili nella salvaguardia della vita stessa”
ROMA, venerdì, 14 novembre 2008 (ZENIT.org).- La Conferenza Episcopale Italiana (CEI) è tornata a invocare la rapida approvazione di una legge sul fine vita, dopo la sentenza della Corte di Cassazione che si è pronunciata definitivamente sulla vicenda di Eluana Englaro, la donna da quasi 17 anni in stato vegetativo permanente, consentendo di fatto al padre di far staccare il sondino nasogastrico alla figlia.
"La vita di Eluana Englaro, al cui dramma si è appassionata la coscienza del nostro Paese - si legge nel messaggio diffuso giovedì dalla presidenza della CEI - è ormai incamminata verso la morte”.
“Mentre partecipiamo con delicato rispetto e profonda compassione alla sua dolorosa vicenda – aggiungono i presuli italiani –, non possiamo fare a meno di richiamare alla loro responsabilità morale quanti si stanno adoperando per porre termine alla sua esistenza”.
“La convinzione che l’alimentazione e l’idratazione non costituiscano una forma di accanimento terapeutico è stata più volte, anche di recente, resa manifesta dalla Chiesa e non può che essere riaffermata anche in questo tragico momento”, proseguono.
“In tale contesto – sottolineano, richiamando quanto già detto nel Consiglio Nazionale della CEI del settembre scorso – si fa più urgente riflettere sulla convenienza di una legge sulla fine della vita, dai contenuti inequivocabili nella salvaguardia della vita stessa, da elaborare con il più ampio consenso possibile da parte di tutti gli uomini di buona volontà”.
Appello di “Scienza & Vita” a non cooperare all'uccisione di Eluana - Le suore che la accudiscono: lasciatela a noi, non chiediamo nulla in cambio
ROMA, venerdì, 14 novembre 2008 (ZENIT.org).- In un comunicato diramato questo venerdì l’associazione “Scienza & Vita” ha fatto appello “alle coscienze di tutti quelli che nelle prossime ore e nei prossimi giorni si avvicineranno a Eluana Englaro, perché non cooperino alla sua uccisione”.
“Non è ancora troppo tardi per fermarsi – afferma l'associazione –. Non c’è alcun obbligo di dare attuazione alla sentenza di condanna emanata dal giudice. E’ ancora possibile rispondere al comandamento dell’amore che ama la vita, qualunque vita, anche la più fragile e tormentata”.
Si è ancora in tempo, continua, per “assecondare quella voce che da secoli viene dal profondo della coscienza di ogni uomo e di ogni donna e che risuona come un comando: non uccidere”.
Un appello in favore della vita di Eluana Englaro è stato lanciato, in una nota diffusa il 14 novembre, anche dalle suore della clinica “Beato Luigi Talamoni” di Lecco dove la donna è ricoverata in stato vegetativo.
All’indomani della sentenza della Corte di Cassazione, le suore hanno infatti detto: “La nostra speranza – e di tanti con noi – è che non si procuri la morte per fame e sete a Eluana e a chi è nelle sue condizioni”.
Per questo, “ancora una volta, affermiamo la nostra disponibilità a continuare a servire, oggi e in futuro, Eluana. Se c’è chi la considera morta, lasci che Eluana rimanga con noi che la sentiamo viva”.
“Non chiediamo nulla in cambio, se non il silenzio e la libertà di amare e donarci a chi è debole, piccolo e povero”, concludono.
In una lettera indirizzata questo venerdì pomeriggio alle religiose, il Cardinale Dionigi Tettamanzi, Arcivescovo di Milano, le ringrazia per aver offerto ad Eluana “con gioia e umiltà non solo tutto ciò di cui il suo corpo ha necessità fisiologica, ma ancor più il calore di una presenza quotidiana, affettuosa e discreta, nel rispetto dei sentimenti dei genitori e anche delle loro intenzioni da voi non condivise”.
Nella lettera, il porporato loda le suore come “esempio di dedizione e di amore” che “resta - al di là delle facili e continue dichiarazioni di principio - un segno preciso e chiaro nel nostro contesto sociale e culturale, così spesso confuso e condizionato da orientamenti non rispettosi, anzi ostili, alla vita umana”.
In conclusione, il Cardinale esprime l’augurio che l’impegno delle Misericordine “sia sostenuto e consolato da una speranza certa: il Signore da sempre abbraccia e immerge nella sua luce di verità e di salvezza la vita di Eluana e delle tante persone che si trovano in condizioni simili”.
“Una luce che le tenebre dell’ingiustizia e della presunzione umana non possono oscurare né sopraffare. Una luce che continua a splendere e ad offrirsi a tutti, anche a coloro che ancora non la accolgono”, ha scritto infine.
C O M U N I C A T O S T A M P A - ELUANA ENGLARO: IL PRIMO CASO DI OMICIDIO LEGALE IN ITALIA – Medicina e Persona
Non può essere che questo il titolo di un comunicato stampa che dica la verità sulla intera vicenda di Eluana. Non esistendo in Italia una legge sull’eutanasia, quello di Eluana è un omicidio perpetrato per via legale, ottenuto cioè con l’autorizzazione dei giudici. Da oggi nel nostro pase si potrà uccidere - quando si vorrà - malati stabili, cronici, inguaribili: pazienti in stato vegetativo, pazienti in condizioni terminali, anziani non più utili alla società, insomma chiunque abbia “presumibilmente” chiesto di poter morire e in condizioni di non poter più cambiare idea o di chiedere aiuto, mediante la sospensione di acqua e cibo, magari dopo aver consultato un giudice.
E’ questa la società che volevamo, quella in cui vogliamo vivere?
I giudici hanno
- delegittimato la Costituzione Italiana
- agito contro il Codice Civile e contro il Codice Penale
Loro non saranno imputabili: immuni grazie all’autorità che gli è riconosciuta. Loro non saranno imputabili: chi uccide in un altro modo sì.
Ci si deve domandare: “Come mai oggi il colpevole, colui che uccide, non è imputabile?” La risposta è tutta nell’atteggiamento di bieco pietismo - tipico del nostro tempo - dietro il quale si nasconde una logica per nulla nuova nella storia. Questa logica è la stessa adottata durante la seconda guerra mondiale: oggi, per questa stessa logica ideologica, in nulla differente da quella di allora, si eliminano i più deboli e gli indifesi.
Ha vinto una interpretazione del diritto della persona inteso come “autodeterminazione”, che rappresenta una forzatura rispetto a quanto affermato nel Codice di Deontologia medica e nella
stessa Costituzione.
Hanno avuto la meglio la cattiva coscienza e la possibilità di arbitrio su chi è degno di vivere e chi no.
Da questa logica è stata sfidata la saggezza della sovranità popolare che ha dato origine alla nostra Costituzione, e la cultura che essa ha generato.
Questa logica alla fine ha prevalso.
Quanto è accaduto è tanto più preoccupante perché ormai nessuna legge potrà più essere rispettata: ormai certi giudici aggirano le leggi - anche quelle esistenti - e creano una nuova era, quella dell’etica del più forte sul più debole, con l’ausilio del diritto. Ma non eravamo partiti da una giustizia uguale per tutti?
Non dovrebbe essere, questo, ancora oggi, lo scopo della giustizia?
Che vergogna.
Medicina e Persona
13 novembre 2008
Eluana non è un "caso" ma una persona - Curatore: Buggio, Nerella - Fonte: CulturaCattolica.it - sabato 15 novembre 2008 - Ci scrive un'amica, medico neurologo: "Il problema più grosso in questione è la incapacità di stare davanti alla vita per ciò che essa è: ultimamente un mistero e sempre un dono."
Carissmi amici di CulturaCattolica.it, e soprattutto carissimo don Gabriele, sono un medico neurologo che ha a che fare tutti i giorni con casi simili a quello di Eluana Englaro. E' sconcertante la freddezza con cui passa la notizia della sua morte annunciata, tra vicende di cronaca e gossip. E' sconcertante anche come negli ambiti medici specialistici come il mio non si parli del problema. Nella mia esperienza ho notato un fatto, di cui vorrei farvi partecipi, tra le tante riflessioni che questo accadimento può suscitare.
Il problema più grosso in questione è la incapacità di stare davanti alla vita per ciò che essa è: ultimamente un mistero e sempre un dono. Viviamo in una società che ci ha fatto credere che la vita è ciò che noi vogliamo e che noi possiamo definirla, comandarla e che siamo noi a decidere il nostro futuro e a sapere ciò che è bene e fonte di felicità per noi. La realtà è un'altra: accade che ci si ammali, accade senza motivo, senza ragione, talora contro ogni ragionevolezza, accadono malattie terribili, come quelle mentali, o mortali. E ciò spesso non ha, nepure scientificamente, una soluzione. A me accade tutti i giorni di dover comunicare diagnosi infauste e noto che ciò che i pazienti mi chiedono non è "toglimi il male" o "perché a me", la prima reazione è sempre lo stupore verso un fatto misterioso, non comprensibie e davanti al quale il malato chiede di essere accompagnato, chiede un senso. Il malato vuole vivere, davanti al mistero della malattia chiede la vita nella circostanza della sua malattia. Il nostro compito (medici, ecc.) è quello innanzitutto di dare dignità e valore alla sofferenza e alla malattia, di stare davanti ad essa con timore e rispetto, di trattare il dolore con profonda nobiltà di animo. In queste circostanze la vita acquisisce un valore preferenziale di conoscenza e di vicinanza al Mistero e dunque è ancora più degna di essere vissuta. Più degna e spesso più fruttosa della vita che noi crediamo bella e giusta per noi, della vita che noi stessi ci costruiamo. Certo, non è facile, ci vuole coraggio; ci vuole il coraggio di chi ha fede nel destino buono, ma misterioso, della vita; ci vuole coraggio perché bisogna abbandonarsi ad una esperienza nuova, che va contro la nostra percezione di felicità, ma che incontra la Vita vera. Bisogna imparare dalle suore che hanno accudito Eluana per 14 anni: le hanno dato tutte le cure che si danno ad una regina, perché in quel gesto ed in quella cura c'è l'Amore e il punto di cambiamento per la mentalità di questo mondo. Un abbraccio a tutti.
[Lettera firmata
Il caso Eluana Englaro, un caso di eutanasia - di padre Fernando Pascual, L.C.*
ROMA, venerdì, 14 novembre 2008 (ZENIT.org).- Una delle tattiche per promuovere l'eutanasia consiste nel creare “casi” di cui tutti parlano.
Nel luglio 2008 la stampa ha rilanciato a livello mondiale il caso di Eluana Englaro, una donna di 37 anni in coma dal 1992.
I giudici hanno stabilito all'epoca che i tutori di Eluana potessero interrompere l'idratazione e l'alimentazione della donna provocando in questo modo la morte per fame e sete. La sentenza è stata confermata in modo “definitivo” il 13 novembre.
Il caso serve per alimentare il dibattito sull'eutanasia. Si succedono, come in altri casi, le opinioni, gli editoriali, le inchieste. Tutto serve per suscitare emozioni e, a volte, per nascondere la realtà sulla cosiddetta “dolce morte”.
Dato che il dibattito è ormai avviato, cerchiamo di dare risposta ad alcune domande che non possiamo mettere da parte. Ne analizzeremo tre.
La prima: “è lecito provocare la morte di un malato?”. La risposta è semplicemente una: no, perché provocare la morte, compiere atti destinati a uccidere è sempre un crimine. Anche se un giorno esistessero leggi che permettessero l'eutanasia, anche se la società, ben diretta da alcuni ideologi, arrivasse a pensare che fosse lecito. Il crimine è sempre crimine, e l'omicidio trasformato in qualcosa di “legale” è uno dei maggiori disordini nella vita dei popoli.
La seconda: “come affrontare le richieste di una famiglia o del malato stesso per ottenere una 'morte degna'?”. Nel miglior modo possibile, vale a dire con cure palliative e un affetto sincero e costante. Così, semplicemente, perché il trattamento palliativo si può realizzare anche in casa, e perché porterebbe non solo a “risparmiare” (non sarà il denaro la vera causa di tanti sforzi a favore dell'eutanasia?), ma a curare il malato in modo più umano. E perché dove il malato si sente amato e viene curato adeguatamente le richieste di eutanasia sono praticamente nulle.
Arriviamo alla terza domanda: “come muore una persona se si smette di idratarla e alimentarla?”. Lo spiega un medico in un'intervista in cui tratta il caso di Eluana Englaro (ZENIT, 10 luglio 2008):
“fino ad ora Eluana non ha sofferto, almeno così ci dicono le conoscenze scientifiche disponibili, ma se verrà interrotta l’alimentazione e l’idratazione prepariamoci ad un nuovo caso Terry Schiavo”.
“Le ulcere che si formeranno nella pelle, le labbra riarse, le emorragie, le convulsioni, la necessità di morfina, così come è avvenuto per Terry, tutto questo, sarà per il bene di Eluana?”.
Casi come quelli di Eluana Englaro, Piergiorgio Welby, Terri (o Terry) Schiavo, Ramón Sampedro, Nancy Cruzan... dovrebbero essere trattati con il rispetto che merita qualsiasi vita umana nei suoi ultimi momenti.
Nello stesso tempo, dovrebbero rimanere in piedi i criteri fondamentali della medicina e della giustizia.
La medicina saprà aiutare e alleviare il malato in tutto ciò che è proporzionato e utile per la sua situazione e saprà rinunciare all'“eccessivo” quando questo porterà soltanto a prolungare l'agonia e ad aumentare il dolore, mentre offrirà sempre il minimo necessario (trattamento del dolore, alimentazione, idratazione, pulizia). Non è un atto medico uccidere un malato in coma per fame e sete, ma un omicidio lento, anche se protetto dalle sentenze dei giudici.
La giustizia, da parte sua, veglierà perché non ci siano mai esseri umani che possano decretare la morte dei malati e promuoverà sistemi sanitari in cui le cure palliative non siano un lusso di alcuni privilegiati, ma lo sforzo sincero della società per curare e assistere nel miglior modo possibile quanti si trovano nell'ultima fase della loro esistenza terrena.
[Traduzione dallo spagnolo di Roberta Sciamplicotti]
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*Docente di Filosofia e Bioetica presso l’Ateneo Pontificio “Regina Apostolorum” di Roma
Di fronte a una sconfitta - Per un esame di coscienza - di Lucetta Scaraffia – L’Osservatore Romano, 15 Novembre 2008
La sentenza per Eluana Englaro - che significa, come è stato detto da autorevoli voci, l'introduzione di fatto dell'eutanasia in Italia - costituisce una sconfitta per tutti, non solo per il mondo cattolico. Non basta dire che la secolarizzazione e l'individualismo esasperato stanno sostituendo i principi di una antica tradizione religiosa e culturale un tempo ben radicata nella società, né che i media si sono espressi in modo sbilanciato a favore della morte della ragazza: questa volta - bisogna ammetterlo - i mezzi di comunicazione sociale sono stati più onesti che in altre occasioni, e la voce dei cattolici si è potuta far sentire anche al di fuori dei media d'ispirazione cattolica. E si sa che su temi gravi come la vita e la morte la Chiesa, soprattutto in Italia, esercita ancora una certa influenza, come si è visto per la legge sulla procreazione assistita.
Questa volta, però, sembra che la voce del pensiero cattolico sia stata poco ascoltata, come se le ragioni che portava a favore della vita di Eluana non fossero abbastanza convincenti. Certo, ha giocato ancora una volta il meccanismo del caso pietoso: in questa circostanza non del dolore di Eluana - i medici giurano che non sente più niente, e che non si accorgerà di morire di fame e di sete! - ma di suo padre. Come se il padre, con la morte della figlia, cessasse di soffrire: è questo il paradosso davanti al quale, però, nessuno ha saputo obiettare. La paura della sofferenza costituisce il movente base di tutte le decisioni sbagliate di intervento su fine vita: lo sanno bene quanti fanno propaganda per l'eutanasia prospettando un futuro senza sofferenza. Ed è proprio sulla riflessione a proposito del significato della sofferenza - che solo il cristianesimo sa affrontare - che dovremo invece ripartire per impedire che casi come questo si ripetano. La tradizione cattolica offre delle luci certe e chiare per decidere in queste complesse circostanze: il valore della vita umana dal concepimento alla morte naturale, qualunque sia la condizione in cui è vissuta, anche se i casi da affrontare cambiano in continuazione, diventando via via più inediti e complicati. Questo è proprio il caso di Eluana: all'obiezione, condivisa da tutto il pensiero cattolico, che alimentazione e idratazione non fossero terapie né accanimento, ma solo sostegno vitale, si è risposto dall'altra parte che si trattava di un mantenimento in vita artificiale, che ancora qualche decina di anni fa non sarebbe stato possibile. Dove stava, allora, la morte naturale? In sostanza si rispondeva che la situazione di Eluana era stata provocata da un intervento della scienza - cioè un tentativo di rianimazione che in molti casi riesce, ma in questo è andato male - e che quindi anche la sua disabilità stava al di fuori della sfera naturale. Se la scienza l'aveva ridotta in quello stato, insomma, alla scienza spettava il dovere di decidere di sospenderlo. Come si vede anche da questa breve ricognizione, si tratta di un problema più complesso del solo conflitto fra vita e morte, anche se sostanzialmente si può ridurre a questo. È cioè una questione che tocca il ruolo delle tecnoscienze nella nostra vita, i limiti della medicina, e che quindi, per essere veramente convincenti, richiede un esame anche di queste questioni. La terribile sorte di Eluana, allora, è un monito per tutti, e insegna a noi cattolici che dobbiamo ancora pensare e lavorare per diffondere i nostri principi - che sono principi di ragioni condivisibili anche da chi cattolico non è - e calarli ogni volta nelle nuove questioni che il progresso scientifico crea.
(©L'Osservatore Romano - 15 novembre 2008)
14/11/2008 14.48.04 – Radio Vaticana - Caso Englaro. Mons. Fisichella: rispetto per il dolore ma decisione molto grave
Il ministro della Giustizia Angelino Alfano interviene sul caso Englaro, la giovane donna in coma da 17 anni. Dopo la sentenza della Cassazione che ha dichiarato inammissibile il ricorso della Procura generale di Milano, il ministro ha affermato che ''Il Parlamento e' chiamato a riempire un vuoto normativo e di seguire con attenzione il movimento parlamentare attorno a una possibile legge”. E sono molte le prese di posizione del molto cattolico in merito alla sentenza che autorizza la sospensione dell’alimentazione e dell’idratazione. Alessandro Guarasci http://62.77.60.84/audio/ra/00138250.RMhttp://62.77.60.84/audio/ra/00138250.RM
Il cardinale Dionigi Tettamanzi, si rivolge direttamente alle suore Misericordine di Lecco, che da anni accudiscono Eluana nella clinica dove e' ricoverata. In una lettera, l’arcivescovo di Milano, dice che la vicenda si sta avviando a ''una conclusione irragionevole e violenta''. Il cardinale ha rivolto anche una supplica a Dio. ''A Lui chiedo - ha scritto - che non lasci mancare un'estrema opportunita' di ripensamento a quanti si stanno assumendo la gravissima responsabilita' di procurarle la morte, privando dell'acqua e del nutrimento questa Sua amata creatura”. In mattinata le stesse suore si erano augurate che la giovane rimanesse con loro perché la sentono viva. Sulla stessa linea monsignor Pietro Brollo, arcivescovo di Udine, città dove la giovane potrebbe esser portata a morire. Monsignor Brollo dice di ''sentire forte il bisogno della preghiera affinche' il rispetto della vita umana si affermi ad ogni livello culturale, sociale e politico. A caldo, ieri sera, una nota della Cei spiegava che “l'alimentazione e l'idratazione non costituiscono una forma di accanimento terapeutico”. L'Osservatore Romano, invece, oggi, nel suo editoriale parla di "terribile morte di Eluana, che è monito per tutti". Secondo il giornale vaticano, la ''sconfitta'' subita con la sentenza di giovedì ''insegna a noi cattolici che dobbiamo ancora pensare e lavorare per diffondere i nostri principi''. Il bioeticista dell’Università Cattolica monsignor Roberto Colombo fa notare come si tratta di “spegnere l'esistenza di una giovane donna sul cui volto non vi e' segno di sofferenza alcuna''.
E Sulla gravità della sentenza della Cassazione e sulla necessità di difendere la vita contro le derive eutanasiche, si sofferma il presidente della Pontificia Accademia per la Vita e rettore della Lateranense, mons. Rino Fisichella, intervistato da Francesca Sabatinelli:http://62.77.60.84/audio/ra/00138108.RMhttp://62.77.60.84/audio/ra/00138108.RM
R. - E’ una decisione questa molto grave, sotto tutti i profili. Per quanto mi concerne, è gravissima dal punto di vista etico e dal punto di vista morale. Forse potranno trovare delle giustificazioni nei cavilli procedurali e nelle interpretazioni del linguaggio. Nella sostanza, però, rimane un fatto del tutto grave, un fatto del tutto estraneo alla cultura del popolo italiano e un fatto di una gravità assoluta per quanto riguarda un attentato alla vita. Ciò cui saremo costretti ad assistere è che, ancora una volta, ad una vita umana, ad una vita personale, ad una ragazza di 37 anni - come fu nel passato per Terry Schiavo, negli Stati Uniti, così oggi in Italia - verrà tolto il nutrimento e verrà tolta l’idratazione, cioè ad una persona viva, non attaccata a nessuna macchina, ad una persona che respira autonomamente, ad una ragazza che si sveglia e si addormenta, ad una ragazza che percepisce anche. Perché questo è ugualmente da ribadire: lei percepisce delle sensazioni. Le verrà tolta l’acqua e le verrà tolto il nutrimento, condannandola certamente ad una morte di grave sofferenza e di stenti.
D. - Eccellenza, secondo lei, con questa sentenza c’è il rischio, così come è stato ipotizzato da alcuni, che si possa introdurre l’eutanasia in Italia?
R. - Io sono ancora più profondamente convinto che il popolo italiano, verificando il dramma che si sta per compiere sotto ai suoi occhi - perché rimango fermamente convinto che la maggioranza degli italiani non condivide questa posizione nel momento in cui è informato di come avvengono veramente le cose e di quale posta in gioco realmente ci sia - credo sarà convinto ancora di più ad arrivare a formulare una legge, mi auguro il più possibile condivisa, proprio perché venga evitato il più possibile qualsiasi esperienza e qualsiasi forma di eutanasia passiva o attiva nel nostro Paese.
D. - Accanto ad Eluana ci sarà - lo ha già detto, come sempre è stato in questo periodo - il papà Beppino, che ha dichiarato subito dopo la sentenza che in Italia si vive in uno Stato di diritto...
R. - Sì, io ho sempre avuto profondo rispetto per la situazione familiare, per il dolore familiare, così come ho rispetto però per più di duemila persone che vivono la stessa condizione e che non giungono alle stesse conclusioni. Mi sembra però che invocare il diritto lasci aperto un grande vuoto che è quello di richiamare anche ad una dimensione della compassione e dell’amore. In uno Stato di diritto le assicuro che c’è un principio fondamentale che dice “Summum ius, summa iniuria”. Io credo che questo parli già da sé. Se gli antichi romani avevano stabilito questo principio, pensi se non sia ancora valido oggi.
“Giuridicamente devastante”: così, l’Unione giuristi cattolici italiani (UGCI) definisce “la sentenza della Cassazione che ha posto fine al caso Englaro”. Secondo i giuristi cattolici, infatti, la Cassazione ha introdotto “di fatto nel nostro ordinamento l'eutanasia passiva”, inducendo l'opinione pubblica “a ritenere che una vita malata possa perdere di dignità”. Un atto, questo, che va contro l’ordinamento costituzionale italiano. E' quanto sottolinea il presidente dei giuristi cattolici italiani, il prof. Francesco D’Agostino, intervistato da Luca Collodi:http://62.77.60.84/audio/ra/00138174.RMhttp://62.77.60.84/audio/ra/00138174.RM
R. - Nella pronuncia di ieri, la Cassazione ha riconosciuto un diritto di rango costituzionale all’autodeterminazione dei pazienti, anche nei confronti di scelte di fine vita. La Costituzione non parla di un diritto di questo genere: si limita ad affermare che ogni persona ha diritto a rifiutare terapie coercitive. Ma forme di autodeterminazione che si trasformino obiettivamente in pratiche di eutanasia passiva, come quella che aspetta la povera Eluana, sono sconosciute al nostro testo costituzionale. Se la Cassazione avesse adottato un’interpretazione saggia e prudente del nostro ordinamento giuridico, e avesse preso seriamente in conto i principi della deontologia medica, non ci sarebbe stato alcun bisogno di una legge. Ma dato che la Cassazione ha scelto invece una interpretazione indebitamente estensiva, che di fatto introduce l’eutanasia nel nostro ordinamento, a questo punto ritengo che sarebbe sommamente auspicabile che il parlamento intervenisse per ribadire principi tradizionali che oggi, evidentemente, sono andati perduti.
D. - Professore D’Agostino, non pensa che queste sentenze possano aprire anche un fronte culturale su tematiche come quella del rapporto tra etica e giustizia?
R. - Guardi, aprono un fronte culturale estremamente delicato. La vita di Eluana, essendo in stato vegetativo persistente, avrebbe perso dignità. Questa affermazione è gravissima e, a mio avviso, è un vero e proprio insulto nei confronti di tutti quei malati che si trovano nella situazione di Eluana e dei medici e dei parenti che li accudiscono. Bisogna ribadire con forza l’esatto contrario: la dignità umana non solo è inviolabile ma è imperdibile, nessuna situazione può farci pensare che la dignità umana sia venuta meno, meno che mai quando parliamo di malati. Ecco perché, avere giustificato la sospensione delle cure di Eluana, apre una breccia, di tipo culturale ed etico, a mio avviso, devastante. E sulla dignità della persona morente, ecco la testimonianza del dottor Giovanni Maria Sanna, responsabile del Centro "Santa Maria Assunta" di Guspini - vicino Oristano, in Sardegna - che da anni cura malati in stato di coma e affetti da gravi cerebrolesioni. L’intervista è di Alessandro Gisotti:http://62.77.60.84/audio/ra/00138143.RMhttp://62.77.60.84/audio/ra/00138143.RM
R. - Non ci possiamo fermare ad un aspetto semplicemente esteriore della persona. E’ una persona viva, che mi trasmette comunque un’emozione, e io sono sicuro che ci sia un passaggio, diciamo, di emozione reciproca.
D. - Per chi non ha fede, ovviamente, la questione diventa più complicata. Cosa si sente di dire lei, in base alla sua esperienza?
R. - Io lavoro con gente che non ha fede, con colleghi, con famiglie che non hanno fede. Posso dire semplicemente questo: anche loro combattono la stessa battaglia e, pur con differente sensibilità, vivono la stessa esperienza. Quello che mi colpisce, soprattutto nella mia esperienza ultradecennale, è che mai ho avuto richieste di interrompere una terapia, per non parlare poi della somministrazione di cibo, perché tutto ruota sempre intorno alla situazione della persona: se lasciata sola, sono sicuro che la disperazione può portarla a richieste eccessive; se invece la società la accompagna fino alla fine, non sente il bisogno di chiedere l’interruzione della vita. Questa è la mia esperienza.
D. - La solitudine del malato e di chi gli è vicino: il problema è proprio questo?
R. - Sì, il problema è proprio questo. Noi non stiamo parlando soltanto del malato, noi stiamo parlando della persona sofferente. E nella mia esperienza, la persona sofferente fa vedere un aspetto trinitario della persona che vive in società, che è l’ammalato, la famiglia stessa e gli amici. Questi soffrono e, se non sono lasciati soli, trovano in loro la forza di portare avanti la croce che gli si è presentata, la sofferenza.
D. - La vicenda di Eluana Englaro, ovviamente oggi sulle prime pagine di tutti i giornali, è innanzitutto una storia di dolore: di Eluana, del padre... Che cosa pensa di fronte ad una realtà come questa?
R. - Alla società dico di stare molto attenta a quello che introduce dentro se stessa, perché può farsi molto male, prendendo decisioni che non spettano neanche alla legge. Per quanto riguarda il padre - quando mi capita personalmente di stare vicino a queste persone sofferenti, non posso assolutamente dir niente - lo inviterei comunque ad interrogarsi proprio in virtù di questa esperienza e a cercare la verità. E’ importante che quest’uomo che ha sofferto tanti anni venga aiutato a trovare la verità.
15/11/2008 11:50 – INDIA - In piazza 50mila fondamentalisti indù a favore dell’intolleranza religiosa - di Nirmala Carvalho - Il governo dell’Orissa permette una marcia che chiede di “fermare le conversioni”. Intanto a Bangalore tre cristiani sono arrestati con la falsa accusa di induzione alla conversione. L’Aicc fornisce il bilancio aggiornato delle violenze anticristiane.
New Delhi (AsiaNews) – Il governo dell’Orissa ha permesso la manifestazione di oggi del Swami Laxmananda Saraswati Sradhanjali Samiti a Bhubaneshwar, nonostante la preoccupazione di New Delhi che possa innescare ulteriori violenze interreligiose. Intanto continuano le persecuzioni anticristiane in Orissa, con chiese demolite e cristiani arrestati con false accuse di “istigare conversioni”.
Il gruppo estremista indù ha indetto la marcia in protesta contro il mancato arresto degli uccisori di Laxmananda Saraswati, leader del Vishwa Hindu Parishad (Vhp), il 23 agosto. Anche se la polizia ritiene responsabili gruppi maoisti, gli indù ne hanno tratto pretesto per scatenare i pogrom anticristiani.
Almeno 1.500 poliziotti vigileranno per evitare incidenti. Ma nel Kandhamal c’è grande paura che la marcia sia un pretesto per riprendere gli attacchi, mai davvero cessati. Si prevedono almeno 50mila partecipanti e gli organizzatori hanno affisso ovunque manifesti che chiedono l’arresto degli assassini ma anche “di fermare le conversioni e l’uccisione di mucche” e di “difendere l’induismo e la cultura tribale”.
In questo clima, la notte del 12 novembre sono stati arrestati tre cristiani con l’accusa di “induzione” alla conversione degli abitanti di un sobborgo di Bangalore. I leader delle associazioni cristiane hanno promosso una campagna per il loro rilascio.
L’All India Christian Council (Aicc) riporta il racconto dei fatti fornito dai leader cristiani del Karnataka: un uomo, Chandrashekhar, e due donne Kamlamma e Sandhya, sono stati invitati nella casa della sorella dell’uomo, nel quartiere di Jeevanahalli a Bangalore, a pregare per la salute del nipote infermo.
Usciti dall’abitazione al termine della veglia, il trio si è imbattuto in un gruppo formato da una quindicina di militanti della Bajrang Dal, l’ala giovanile del Vhp. I fanatici hanno picchiato a sangue l’uomo, poi hanno chiamato la polizia accusandoli di indurre alla conversione un gruppo di abitanti del luogo. Un imprenditore ha confermato la falsa accusa ai poliziotti di Fraser Town.
La sorella di Chandrashekhar ribadisce che lo ha chiamato per pregare per la salute del figlio malato e respinge le accuse “prive di fondamento”. Sam Paul, segretario per gli affari pubblici dell’Aicc, accusa che è “uno dei numerosi esempi di cristiani accusati ingiustamente dai fondamentalisti indù di conversioni forzate. È chiaro che sono innocenti. L’amara realtà è che nell’India di oggi vi è una situazione di persecuzione legalizzata ai danni dei cristiani”.
Intanto la notte dell’11 novembre ignoti hanno raso al suolo la chiesa cattolica del villaggio di Tiangia, dove è nato padre Bernard Digal. La Chiesa, scampata alle precedenti violenze perché ancora in costruzione, doveva essere inaugurata tra breve.
Secondo l’Aicc dal 24 agosto in Orissa si sono registrate violenze in 14 dei 30 distretti dello Stato, ci sono stati danni in 315 villaggi, bruciate 4,640 abitazioni, con 53mila sfollati e 60 vittime tra le quali due pastori e un prete cattolico), sono state stuprate due donne, distrutte 151 chiese, mentre continuano ancora oggi gli attacchi. Nel Bihar è stata danneggiata una chiesa. Nello stato di Chhattisgarh sono state attaccate quattro suore. Nel Jharkhand i fondamentalisti indù hanno preso d’assalto una chiesa e hanno cercato di “riconvertire” i fedeli cristiani. Quattro chiese danneggiate nel Kerala, nel Tamil Nadu e nel Madhya Pradesh. A New Delhi due chiese danneggiate, alle quali si aggiungono altri quattro tentativi di assalto. Nel Punjab tre cristiani sono detenuti dalla polizia con false accuse. Nell’Uttar Pradesh picchiati tre pastori e la moglie di uno di loro. Nell’Uttarakhand sono stati uccisi due cristiani, un prete e una sua impiegata.
Sempre più drammatica la situazione nel Nord Kivu - Repubblica Democratica del Congo - I vescovi denunciano il genocidio silenzioso – L’Osservatore Romano, 15 Novembre 2008
Kinshasa, 14. Nel Kivu sta avvenendo un "genocidio silenzioso nel lassismo" della comunità internazionale. La denuncia viene dai vescovi della Repubblica Democratica del Congo, in un documento diffuso a margine della sessione straordinaria del Comitato permanente della Conferenza episcopale del Congo (Cenco), svoltasi a Kinshasa dal 10 al 13 novembre. "È passato appena un mese da quando la nostra Conferenza episcopale nazionale del Congo, ha diffuso una dichiarazione sulla ripresa delle ostilità nell'est e nel nord-est della Repubblica Democratica del Congo. Malgrado i nostri appelli accorati sia ai governanti che alla comunità internazionale, ahinoi!, la situazione in questa parte del nostro Paese non ha fatto che peggiorare. Sta raggiungendo proporzioni insopportabili molto inquietanti - si legge nel documento dei vescovi - e capaci di destabilizzare tutta la sotto-regione se non vi si pone riparo". "Condanniamo con veemenza questa maniera ignobile di considerare la guerra come un mezzo per risolvere i problemi e accedere al potere. Denunciamo tutti i crimini commessi contro cittadini innocenti - scrivono i vescovi - e disapproviamo nel modo più assoluto ogni aggressione del territorio nazionale. Biasimiamo il lassismo con cui la comunità internazionale tratta il problema dell'aggressione di cui è vittima il nostro Paese". L'episcopato congolese sottolinea ancora una volta che si tratta di un vero dramma umanitario che somiglia a un genocidio silenzioso. "I massacri gratuiti e su grande scala delle popolazioni civili, lo sterminio mirato dei giovani, gli stupri sistematici perpetrati come arma di guerra: di nuovo una crudeltà di eccezionale virulenza si scatena contro le popolazioni locali che non hanno mai chiesto altra cosa che una vita tranquilla e dignitosa nelle loro terre. Chi avrebbe interesse a un simile dramma?". Tutto ciò - afferma l'episcopato congolese - "sotto gli occhi impassibili di coloro che hanno ricevuto il mandato di mantenere la pace e proteggere la popolazione civile. I nostri stessi governanti si dimostrano impotenti di fronte alla portata della situazione dando l'impressione di non essere all'altezza delle sfide della pace, della difesa della popolazione congolese e dell'integrità del territorio nazionale. L'intera classe politica non sembra prendere la misura della sua responsabilità di fronte a questo dramma che rischia di ipotecare il futuro della nazione". I vescovi chiedono "l'immediata cessazione delle ostilità e la garanzia delle condizioni di sicurezza per il ritorno degli sfollati alle loro terre, un aumento dell'aiuto umanitario, mentre si appellano al governo e alla comunità internazionale per porre fine alle violenze. "È evidente - prosegue il messaggio dell'episcopato - che le risorse naturali del Congo alimentano l'avidità di certe potenze e non sono estranee alla violenza che si impone alla popolazione. Infatti, tutti i conflitti si sviluppano nei corridoi economici e attorno ai giacimenti minerari. Come comprendere che i diversi accordi sono violati senza alcuna pressione efficace per convincere i firmatari a rispettarli? Le diverse riunioni e conferenze per risolvere questa crisi non hanno ancora affrontato le questioni di fondo e non hanno fatto che rinviare e deludere le aspirazioni legittime alla pace e alla giustizia del nostro popolo. Inoltre, il piano di "balcanizzazione" che non smettiamo di denunciare è portato avanti da intermediari. Si ha l'impressione di una grande complicità che non svela il suo nome. La grandezza del Congo e le sue numerose ricchezze non devono servire da pretesto per farne una giungla. Chiediamo al popolo congolese - proseguono i vescovi - di non cedere a qualsiasi velleità di "balcanizzazione" del suo territorio naturale. Gli chiediamo di non sottoscrivere mai una messa in questione delle sue frontiere stabilite al livello internazionale e riconosciute dopo la conferenza di Berlino e gli ulteriori accordi. Inoltre, i vescovi invitano tutta la popolazione congolese a un risveglio nazionale per vivere come fratelli e sorelle, nella solidarietà e la coesione nazionale, affinché il Congo non cada nella violenza e nelle divisioni. Esortano il governo congolese a fare di tutto per ristabilire la pace su tutto il territorio nazionale. "È il sacro dovere dei nostri governanti - recita il documento - esercitare le loro funzioni sovrane per proteggere la popolazione e garantire la sicurezza delle frontiere. Nessuno ignora che l'assenza di un esercito repubblicano pregiudica la pace nel Paese". Infine, solidale con la sofferenza del suo popolo, la Chiesa-famiglia di Dio nel Congo si impegna ad accompagnare i suoi figli e le sue figlie provate per condurli sulla strada della riconciliazione e della pace. Esprime la sua riconoscenza a Papa Benedetto XVI per la sua attenzione al dramma del Congo, i suoi ripetuti appelli a tutti per una soluzione pacifica e per l'aiuto finanziario che egli stesso ha dato per dare sollievo alle popolazioni sfollate. Possa il Signore, che ha vegliato per ore nel giardino del Getsemani e che ha sentito come se fossero state fatte a lui stesso le sofferenze inflitte e imposte ai membri del suo gregge, vegliare con noi e sostenerci di fronte al dramma che conosce il nostro Paese. Che la Santissima Vergine Maria, Regina della pace, ottenga la pace per la nostra cara patria".
(©L'Osservatore Romano - 15 novembre 2008)
15/11/2008 12.06.39 – Radio Vaticana - Sempre più urgente l'azione apostolica del laicato cattolico nella Chiesa e nel mondo: così il Papa al Pontificio Consiglio per i laici
Oggi è sempre più urgente l’azione apostolica del laicato cattolico nella Chiesa e nel mondo: è quanto ha affermato stamani Benedetto XVI ricevendo i partecipanti alla plenaria del Pontificio Consiglio per i laici che si sta svolgendo sui vent’anni dell’Esortazione apostolica Christifideles laici di Giovanni Paolo II. Ce ne parla Sergio Centofanti.
Per il Papa l’azione dei fedeli laici nel mondo e nella Chiesa è sempre più urgente: sono chiamati a testimoniare “la bellezza della verità e la gioia di essere cristiani” nelle famiglie, nel mondo del lavoro, nella società e in particolare tra i giovani:
“Ogni ambiente, circostanza e attività in cui ci si attende che possa risplendere l’unità tra la fede e la vita è affidato alla responsabilità dei fedeli laici, mossi dal desiderio di comunicare il dono dell’incontro con Cristo e la certezza della dignità della persona umana. Ad essi spetta di farsi carico della testimonianza della carità specialmente con i più poveri, sofferenti e bisognosi, come anche di assumere ogni impegno cristiano volto a costruire condizioni di sempre maggiore giustizia e pace nella convivenza umana, così da aprire nuove frontiere al Vangelo!”
Il Papa chiede al Pontificio Consiglio per i laici di seguire la formazione, la testimonianza e la collaborazione dei fedeli nelle più diverse situazioni in cui sono in gioco l’autentica qualità umana della vita nella società:
“In particolar modo, ribadisco la necessità e l’urgenza della formazione evangelica e dell’accompagnamento pastorale di una nuova generazione di cattolici impegnati nella politica, che siano coerenti con la fede professata, che abbiano rigore morale, capacità di giudizio culturale, competenza professionale e passione di servizio per il bene comune”.
Ancora una volta Benedetto XVI sottolinea il ruolo delle donne nella vita della Chiesa e della società: “l’uomo e la donna, uguali in dignità – ha affermato - sono chiamati ad arricchirsi vicendevolmente in comunione e collaborazione, non solo nel matrimonio e nella famiglia, ma anche nella società in tutte le sue dimensioni”:
“Alle donne cristiane si richiedono consapevolezza e coraggio per affrontare compiti esigenti, per i quali tuttavia non manca loro il sostegno di una spiccata propensione alla santità, di una speciale acutezza nel discernimento delle correnti culturali del nostro tempo, e della particolare passione nella cura dell’umano che le caratterizza. Mai si dirà abbastanza di quanto la Chiesa riconosca, apprezzi e valorizzi la partecipazione delle donne alla sua missione di servizio alla diffusione del Vangelo”.
Il Papa rileva con soddisfazione la crescente partecipazione dei fedeli alla vita delle parrocchie e delle diocesi e incoraggia a valorizzare la “nuova stagione aggregativa” dei laici attraverso le associazioni, i movimenti ecclesiali e le nuove comunità.
Nel suo indirizzo d’omaggio al Papa, il cardinale Stanislaw Rylko, presidente del Pontificio Consiglio per i laici, ha constatato “quanto bisogno ci sia oggi di una testimonianza cristiana autentica e convincente”:
“Nel tempo della 'strana dimenticanza di Dio', del 'cristianesimo stanco' e sbiadito di non pochi battezzati, avvertiamo impellente il bisogno di una nuova generazione di cristiani ricchi di entusiasmo e gioia della fede, animati da un forte slancio missionario, capaci di andare coraggiosamente contro-corrente rispetto alla cultura dominante secolarizzata, 'pronti sempre a rispondere a chiunque ci domandi ragione della speranza che è in noi' (cfr 1 Pt 3,15): cristiani che siano veramente sale della terra e luce dei mondo”.
SEGUI LA DIRETTA DELL'ASSEMBLEA DI COMPAGNIA DELLE OPERE "IL TUO LAVORO E' UN'OPERA" SU ILSUSSIDIARIO.NET in diretta streaming alle 15 - DOMENICA 16 NOVEMBRE A PARTIRE DALLE ORE 15,50 - Partecipano: Julian Carron, presidente fraternità di Comunione e Liberazione; - Giorgio Vittadini, presidente Fondazione per la Sussidiarietà - Introduce: Bernhard Scholz, presidente Compagnia delle Opere
DA CHI LE VIVE ACCANTO - IL LIMPIDO RICONOSCIMENTO D’UN FATTO ELEMENTARE - MARINA CORRADI – Avvenire, 15 novembre 2008
« Se c’è chi la considera morta, lasci che Eluana resti con noi che la sentiamo viva». Le parole delle suore della clinica di Lecco che da molti anni assistono Eluana Englaro stanno in undici righe (la sentenza della Cassazione che non ha ammesso il ricorso contro la sospensione di alimentazione e idratazione alla malata è lunga invece ventuno pagine fitte di giurisprudenziale sapienza).
È una ragione semplice quella delle suore, che sa dirsi in così poche parole, senza condanne, senza alcuna retorica: «Lasciatela a noi, che la sentiamo viva». Dove il 'sentire' non è sfumatura sentimentale o pietosa, ma percezione elementare della realtà. Dopo sedici anni di stato vegetativo, Eluana Englaro respira tuttavia autonomamente, e vive del nutrimento e dell’acqua che le arrivano da una sonda. Nessuna macchina le ventila i polmoni o si accanisce a tenerla forzosamente in vita. In stato vegetativo, incosciente, tuttavia la malata – è un’evidenza – è viva.
La ragione semplice di quelle poche parole pronunciate a bassa voce è qui, prima di tutto: nel riconoscimento limpido di un fatto elementare. Riconoscono viva Eluana, le suore che da anni giorno e notte le stanno accanto in una stanza: testimoni di una malattia, una sofferenza, di una lontananza che nella sua drammaticità non può però negare l’evidenza di un respiro che libero persiste. Chiedono, le suore della clinica Beato Luigi Talamoni, che Eluana non venga fatta morire di sete e di fame. E anche qui, la semplicità delle loro parole è assoluta. Ciò che molti chiamano «vittoria dello Stato di diritto», ciò che è palestra sui giornali di abili argomentazioni, per bocca delle suore di Lecco si rivela nella sua scabra brutalità: morirà, Eluana, di lento sfinimento, solo la mancanza d’acqua e di nutrimento potendo aver la meglio di quel suo ostinato respiro. L’urto tra le undici righe – non una parola che non sia essenziale – e la dotta complessità delle 21 pagine di diritto della sentenza, è netto. Ma che cosa sta dietro, e alla radice, di una tale divaricazione di sguardo? C’è, nella trama lineare dell’intervento delle suore, uno stare di fronte alla realtà data, all’oggettività di un respiro autonomo, pure nel mistero di una coscienza apparentemente per sempre perduta. C’è un inchinarsi davanti all’incomprensibile destino di una giovane donna, e la tenace costanza nell’accompagnarla: lavandola, vestendola, amandola come è, muta e assente, segno enigmatico di mistero e dolore.
Dall’altra parte le ragioni del padre, ai cui occhi quella vita incosciente è un limbo di pena, una condanna infinita da cui proprio per amore, dice, vuol liberarla. Sennonché la vita, agli occhi del signor Englaro e di molti intollerabile, è tenacemente, spontaneamente viva. In un modo agli occhi degli uomini contemporanei assurdo: che vita è, se non vede, non reagisce, non 'fa' nulla? Occorre liberare Eluana dalla crudele schiavitù del suo stesso respiro. Il contrasto dunque attorno a quel letto d’ospedale è tra la ribellione di uomini che pretendono, perché vivere sia tollerabile, qualità della vita, salute, coscienza, libertà; e l’umiltà del servizio radicale, che non chiede ragioni, non contesta, non pretende standard di 'dignità' minima, e semplicemente riconosce e onora la vita. Il contrasto è in quelle scarne righe da Lecco che mitemente domandano: « Lasciateci la libertà di amare e donarci a chi è debole». In un tempo di dotti, di padroni di sé, di fieri rivendicatori di pretese e diritti, lo scandalo di un ' sì' semplice: capace di quattordici anni accanto a una giovane donna muta e dormiente, senza in cambio nemmeno una parola.
LIBERTÀ, QUANTI SPROPOSITI IN TUO NOME - All’opposto della vita? - L’infelicità più che la morte - DAVIDE RONDONI – Avvenire, 15 novembre 2008
L’hanno sbattuta pure in prima pagina con il titolo: libera. Ora che c’è la possibilità che la facciano morire di fame e di sete. Libera di morire, prima condannata a morte dell’Italia Repubblicana. Così l’Unità, organo di un partito che un tempo guardava con orrore le conquiste del radicalismo chic e ora le applaude con strana voluttà, sbatte Eluana in prima pagina con un titolo che mostra tutta la strana parabola di una cultura entrata in centrifuga. Se ieri consideravano la volontà individuale sacrificabile al collettivo, ora applaudono – sulla pelle della povera Eluana – a un principio cosiddetto dell’autodeterminazione. La libertà, secondo questo principio, coincide con l’autodeterminazione. Lasciamo per un attimo la vicenda penosa della povera Eluana, che non si è autodeterminata in niente, e che come un oggetto quando diventa troppo ingombrante e fastidioso si stacca la spina e via ( gran libertà di essere rifiutati…). Lasciamo per un attimo questa strana contesa in cui da un lato c’è chi vuol far morire subito una ragazza che, lo ripetiamo per i medici non è morta e non è sotto accanimento terapeutico, e dall’altro c’è chi la vorrebbe semplicemente accompagnare al suo destino, come han scritto ieri le suorine che l’hanno accudita finora. Lasciamo per un attimo il caso specifico che ha avuto il ' merito' di far salire a galla le diverse posizioni. E guardiamo la parola di quel titolo cinico fino allo spavento: la libertà coincide con l’autodeterminazione? Un intellettuale di sinistra come Pasolini e tanti altri che come me si sono formati su autori e poeti appartenenti all’area politica di sinistra sarebbero inorriditi. La libertà come autodeterminazione è un’astrazione, una idea in fondo violenta che vale solo in una società senza più legami. Una società di ' monadi', come i filosofi definiscono l’uomo che non ha alcun legame essenziale con nulla.
Una società senza affetto, senza responsabilità reciproche. Senza ideali a cui tendere. Provate a pensare se vostro figlio, o una persona che amate vi dicesse che in nome dell’autodeterminazione ha deciso di farla finita. Per i motivi che lui o lei ritiene validi. Lo lascereste fare, in nome del valore assoluto dell’autodetrminazione? O cerchereste in ogni modo di convincerlo che la sua vera libertà consiste nell’aderire alla vita?
Magari cercando ogni aiuto possibile? Il caso estremo di Eluana, come tutti i casi estremi, serve a far capire se certi principi sono fermi oppure no.
Perché è proprio nei casi difficili che si vede se i principi valgono. Troppo facile dire che la vita è un valore quando non subisce prove, come è troppo facile dire che rubare è sbagliato quando i soldi si hanno. È nelle prove che si vedono i principi di una società. Il fatto tremendo emerso ora è che ormai per i paladini dell’autodeterminazione vita o morte si equivalgono, ciò che dà valore all’uno o all’altra è solo la scelta del singolo inteso come monade. La vita vale solo se la scelgo, e la morte pure. E all’opposto della vita non c’è più la morte ma un’idea di infelicità che cambia a seconda della cultura dominante. Sì, non è più la morte l’opposto della vita, per questi strani paladini della morte e dell’individualismo più cieco ( e alcuni di loro si chiamavano ' comunisti', che tragitto perverso...): l’opposto è l’infelicità. Ma è qui il punto: che cosa rende una vita infelice? La mancanza di salute? La mancanza di soldi? Di bellezza? Cosa? L’appartenere alla razza sbagliata?
Hanno deciso che la vita di Eluana era infelice e quindi tanto valeva consegnarla alla morte. Anche se è viva. Sarà la cultura dominante e cangiante a decidere di volta in volta cosa rende infelice la vita e dunque da eliminare. È la fine della vita come valore assoluto. È l’inizio di un’epoca dove vita o morte valgono uguale. Ma, appunto, un’epoca di mancanza di amore, oltre che di mancanza di ragione. Solo chi non ama può ritenere uguale la vita o la morte di coloro che ha intorno.
SPONTANEO RIPENSARE ALLE DENUNCE DEL CARDINALE VON GALEN - Così il Leone di Münster difese gli «indegni di vivere» - DON ANDREA VENA – Avvenire, 15 Novembre 2008
Sono appena rientrato dall’ospedale: dista 25 chilometri. Un mio parrocchiano sta attendendo che Dio apra la Porta. Lo sa.
All’inizio con rassegnazione, oggi con fiducia e serenità: Dio aprirà la porta. È in agonia. Chiede spesso di me e la moglie mi chiama. La moglie: con una mano accarezza il marito e con l’altra si asciuga le lacrime. E insieme pregano. E io vado: avanti e indietro.
Due, tre volte al giorno. Con questo stato d’animo accolgo la notizia di Eluana. Non ho parole. E quelle poche che ho le prendo dal beato Von Galen, il Leone di Münster ( 18781946) che in modo lapidario denunciò le nefandezze hitleriane condotte sugli inermi. Tornano così attuali, eccole: « ... quando sono venuto a conoscenza che dei malati della casa di Marienthal dovevano essere portati via, per essere uccisi, io il 28 luglio ho sporto denuncia al pubblico ministero della pretura di Münster... Già il 26 luglio avevo protestato... Senza esito. Così noi dobbiamo tener conto del fatto che i poveri e indifesi malati prima o poi saranno uccisi. Perché? Non perché siano colpevoli di un crimine che meriti la morte, non perché forse abbiano aggredito il loro infermiere o guardiano, di modo che costui, per salvaguardare la propria vita, non abbia avuto altra scelta che affrontare con la forza, per legittima difesa, l’aggressore. Questi sono casi in cui, oltre all’uccisione del nemico armato del Paese in guerra giusta, è lecito l’uso della forza fino all’uccisione e, spesso volte, è anche necessario. No, non per tali motivi devono morire quegli infelici malati, ma perché, secondo il giudizio di un ufficio, secondo il parere di una qualunque commissione, son divenuti ' indegni di vivere', per il fatto che, secondo tale perizia, fanno parte dei ' connazionali improduttivi'. Si giudica: non possono più produrre, sono come una vecchia macchina, che non funziona più, come un vecchio cavallo diventato inguaribilmente zoppo.
Sono come una mucca che non dà più latte. Cosa si fa con una tale macchina? Viene demolita. Cosa si fa con un cavallo zoppo, con una talaltra bestia improduttiva? No, non voglio portare a fine questo paragone, per quanto tremendi siano la sua giustificazione e il suo potere illuminante. No, qui si tratta di esseri umani, nostri consimili, nostri fratelli e sorelle! Ma per questo non meritano di essere uccisi. Hai tu, ho io il diritto alla vita soltanto finché noi siamo produttivi, finché siamo ritenuti produttivi da altri? Se si ammette il principio, ora applicato, che l’uomo ' improduttivo' possa essere ucciso, allora guai a tutti noi, quando saremo vecchi e decrepiti!... Allora nessuno è più sicuro della propria vita... e nessuna polizia li proteggerà, e nessun tribunale punirà il loro assassinio e condannerà l’assassino alla pena che merita
» ( dall’omelia del 3 agosto 1941). Ahimè, meglio che torni dal mio malato: lui attende che la porta si apra. Lui sa che il Signore gli aprirà.
Il beato tedesco in modo lapidario condannò le nefandezze hitleriane
Sarà una morte atroce, di sete e di fame» - Guizzetti, responsabile del reparto stati vegetativi del don Orione di Bergamo: le persone che si trovano qui non sono attaccapanni che non sentono e non provano nulla - DI FRANCESCA LOZITO – Avvenire, 15 Novembre 2008
H a pianto Giovanni Battista Guizzetti. Lo afferma senza retorica, semplicemente, come lo può dire chi è disarmato di fronte a qualcosa che non riesce a spiegarsi. E mentre parla la voce ogni tanto si rompe ancora: «perché penso ad Eluana e vedo le tante persone che sono qui nella sua stessa condizione e allora mi chiedo: ma che senso ha definirle degli attaccapanni che non sentono e non provano nulla?
».
Che clima c’è nel reparto in cui vengono curati i pazienti in stato vegetativo che lei dirige presso il Centro don Orione di Bergamo?
Cosa vuole che le dica, può immaginare come stiamo, la mia équipe, gli infermieri, i parenti, tutti ci chiediamo perché si è arrivati a questo punto. Siamo increduli di fronte a una fine del genere e non possiamo che sentire questa ragazza una parte anche della nostra famiglia perché qui le persone come lei vivono e sono curate amorevolmente prima di tutto dagli infermieri e gli operatori sanitari con i quali sono in grado di stabilire un rapporto davvero unico.
Già, perché c’è sempre qualcuno che si prende cura più di altri di chi si trova in questa condizione: per Eluana è stata una delle suore della Casa di cura Talamoni. Ci può spiegare come nasce questo rapporto tra infermiere e paziente?
Guardi, le racconto un episodio che è successo pochi giorni fa: stavamo effettuando dei test sul livello di coscienza, e ci siamo accorti che quando, ad esempio la mano la teneva l’infermiere con cui ognuno di loro è in più stretto contatto piuttosto che io che sono solo il medico la risposta era differente. Con loro la stringevano e con me no. Come si fa a dire che non sentono nulla?
Che cosa le chiedono in queste ore i familiari dei pazienti?
Hanno paura, si chiedono se dopo Eluana anche tante persone che si trovano nella stessa condizione faranno una fine uguale. Ma se non lo chiedono non la faranno.
Dopo una vicenda che ha avuto un’eco simile non crede che ad altri parenti verrà in mente di far smettere il proprio caro di bere e mangiare?
Ma non è la giustizia che deve risolvere questi problemi.
Nel suo reparto mai nessuno le ha fatto una simile richiesta?
No e poi no, da me non è mai successo. Sono dodici anni che sono qui e ho visto passare già ottanta malati di questo genere, ma mai nessuno, ripeto, dei loro familiari ha avuto il coraggio di chiedermi che il suo parente potesse farla finita. Mai una richiesta di eutanasia.
E cosa le chiedono allora?
Mi chiedono assistenza di qualità, mi chiedono di non essere abbandonati. Sono padri e madri soli, signore che piangono disperate al telefono e dicono “mi aiuti”. Non c’è mica tanto cinismo in giro, ci sono piuttosto famiglie che si sfaldano per cercare di vedere il proprio familiare sistemato al meglio. Sono persone che magari all’uscita dall’ospedale, dalla terapia intensiva sono abbandonati a se stessi. Devono arrangiarsi da soli.
Perché mancano le strutture in Italia.
Noi che operiamo nell’ambito degli Stati vegetativi stiamo aspettando da troppo tempo che la politica faccia la sua parte: ci vogliono reparti appositi per accoglierli che siano distribuiti su tutto il territorio. Non bastano le Rsa generiche per anziani, questi gravi disabili hanno esigenze diverse, non vanno parcheggiati in un posto qualsiasi. Bisogna far partire una volta per tutte la “rete”, io ricevo continuamente telefonate da persone del sud disposte a trasferirsi anche a Bergamo.
Dottor Guizzetti e adesso che succederà? Come morirà Eluana? Beh, mi sembra chiaro, di una morte atroce, per fame e per sete, le staccheranno il sondino e via, verso la più terribile delle morti. Non sta a me esprimere giudizi, ma mi chiedo se ci si rende conto di quello che sta per accaderle. Quindici giorni sono un tempo lunghissimo, è incredibile, ripeto, e atroce farla morire così.Vorrei aggiungere anche un’altra cosa.
Prego
La medicina ufficiale non vuole riconoscere la possibilità di risvegli dopo lungo tempo, ma sappiamo che succedono e ci sono, sparsi per il mondo. Fa comodo a noi dire che i malati in stato vegetativo non sentono e non provano nulla: allora perché secondo lei nel mio reparto alcuni di loro vengono trattati con antiinfiammatori e antidolorifici? Credo che molti dovranno riflettere anche su questo.