domenica 16 novembre 2008

Nella rassegna stampa di oggi:
1) Tenebre e responsabilità - Autore: Mangiarotti, Don Gabriele - Fonte: CulturaCattolica.it - sabato 15 novembre 2008
2) Le parole sono pietre - Curatore: Buggio, Nerella - Fonte: CulturaCattolica.it - sabato 15 novembre 2008 - L'amico Giovanni ci segnala due inquietanti citazioni, sembrano colte da giornali o da qualche trasmissione televisa dei nostri giorni, e invece...
3) Lo psichiatra Meluzzi: “Eluana è metafora del Crocifisso” - Intervenendo a Montecatini al Convegno nazionale dei Centro di Aiuto alla Vita - di Antonio Gaspari
4) Maternità in outsourcing - La surrogazione solleva gravi problematiche di Padre John Flynn, LC
5) 15/11/2008 11:50 – INDIA - In piazza 50mila fondamentalisti indù a favore dell’intolleranza religiosa - di Nirmala Carvalho - Il governo dell’Orissa permette una marcia che chiede di “fermare le conversioni”. Intanto a Bangalore tre cristiani sono arrestati con la falsa accusa di induzione alla conversione. L’Aicc fornisce il bilancio aggiornato delle violenze anticristiane.
6) 15/11/2008 13:06 – VATICANO - Papa: curare un bambino malato vuol dire pensare al suo “vero bene” - I piccoli meritano ogni attenzione sia scietnfica, ma evitando la “tentazione dello sperimentalismo”, sia umana, anche facilitandone la “comunicazione” con i genitori. La malattia dei bimbi è una esortazione anche alla solidarietà internazionale.
7) Iniziativa promossa dall'arcivescovo ortodosso Chrysostomos II - Sbarca a Cipro l'esperienza di don Giussani - di Luca Pezzi – L’Osservatore Romano, 16 Novembre 2008
8) COME DAR TORTO ALLA REALTÀ? - I FATTI, SIGNORI SONO PIÙ RESISTENTI DI OGNI IDEA - ROBERTO COLOMBO – Avvenire, 16 novembre 2008
9) ANCHE A CHI COME «REPUBBLICA» VA DI SOLITO PESANTE - All’improvviso moine e inchini Le parole vere fan paura - DAVIDE RONDONI – Avvenire, 16 novembre 2008
10) L’INCONTESTABILE PESO DEL VOCABOLARIO - Altro che morte naturale Di eutanasia si tratta. E violenta - ASSUNTINA MORRESI – Avvenire, 16 novembre 2008
11) ETICA E GIUSTIZIA - In occasione del dibattito su Terri Schiavo, un medico esperto di denutrizione raccontò come la morte per sete di bambini africani lo avesse messo innanzi a situazioni cliniche al limite del sopportabile - Ecco come si muore di fame e di sete - In un rapporto medico Usa le sofferenze atroci di un malato privato di cibo e acqua - La relazione fu ordinata dal giudice Lynch nello stato americano del Massachusetts più di vent’anni fa per il caso del pompiere Paul Brophy Nel testo si spiega la durata dell’agonia (da 5 a 29 giorni) e le conseguenze per pelle, occhi, lingua, mucose, temperatura corporea Un quadro atroce - DI VIVIANA DALOISO – Avvenire, 16 novembre 2008


Tenebre e responsabilità - Autore: Mangiarotti, Don Gabriele - Fonte: CulturaCattolica.it - sabato 15 novembre 2008
La vicenda di Eluana Englaro occupa - giustamente - tutte le prime pagine dei giornali e dei notiziari: da subito, il giorno stesso della sentenza della Cassazione, abbiamo invitato ad un semplice gesto che affiancasse la preghiera, quello di mettere alle nostre finestre un cero acceso, segno della speranza della vittoria della vita sulla morte. Gesto certo semplice e sproporzionato rispetto alla gravità della posta in gioco, ma gesto che ogni uomo di buona volontà può compiere.
Tra le tante prese di posizione (e di alcune abbiamo anche dato notizia sul sito) quella che ci ha molto provocato è la breve riflessione del Vescovo di San Marino – Montefeltro, su “Il Giorno” del 15 novembre, che riportiamo: «L’ora delle tenebre e della vergogna
C’è ancora un modo e il più grave per non considerare l’enormità che la sentenza della Cassazione ha aperto nel nostro Paese. È certamente una tragedia di proporzioni colossali che si renda legittimo l’assassinio di una persona adulta ma debole ed indifesa. È una tragedia etica e sociale di proporzioni spaventose, ma soprattutto, e questo è il punto, è la fine della nostra civiltà italica.
Una civiltà che è durata quasi tremila anni e in cui si sono sintetizzati mirabilmente il genio filosofico della grecità; il diritto romano, fonte di ordine alla convivenza universale; l’irripetibile ed irriducibile annuncio della fede, rivelazione di Dio e salvezza dell’uomo; la grande esperienza della laicità come libertà di coscienza e di ricerca. La civiltà dell’uomo e per l’uomo, indisponibile a tutto, perché disponibile solo al Mistero. La persona umana, una, unica ed irripetibile, protagonista della sua propria storia e di tutta la storia dell’umanità.
Tutto questo non esiste più. Preparato da altri eventi che si sono dispiegati negli ultimi 40 anni e hanno progressivamente annullato l’identità e la dignità della persona, quest’ultimo tratto di penna di oscuri burocrati della Magistratura italiana cancella un’epoca grandiosa.
Finisce l’Italietta, nata male e finita peggio: piccola e quasi insignificante provincia nel grande impero della sazietà e della disperazione.
Chi può e vuole, lavori da subito alla nascita di una nuova civiltà: dovrà necessariamente avere forme e modi nuovi, inizi più umili, ma in essa dovrà battere il cuore antico, che non è stato distrutto perché non può essere distrutto. Il cuore dell’uomo infatti è indistruttibile.
In questa impresa, del far nascere finalmente quella che già Giovanni Paolo II aveva definito la «civiltà della verità e dell’amore», il popolo cristiano saprà fare la sua parte. Ed è certo che avrà accanto moltissimi uomini di buona volontà».
Abbiamo poi letto con sgomento quanto A. Sofri scriveva a proposito “…Ma resto interdetto quando sento che non esiste il diritto di morire, ma tutt’al più una libertà di morire. La morale si fa leguleia, il diritto si fa moralista. Noi umani siamo mortali, siamo condannati a morire. Ma siamo anche liberi di morire. Senza di che saremmo solo condannati a vivere – è questa condanna che l’integrismo religioso chiama “dono”, così da proibircene il rifiuto. Posso vivere solo se posso morire, e vivo perché decido di non morire, fino a quando non sia piuttosto la morte a promettersi come una liberazione ...”.
Ci sono risuonate nella mente quelle parole scritte anni fa in pieno regime nazista: «...Per quanto riguarda coloro che desiderano morire perché un tempo sono stati sani e ora non ce la fanno più, ebbene io credo che lo Stato, che ci impone il dovere di morire, debba anche darci il diritto di morire» [Dal film “Ich klage an” (Io accuso) - Germania, 1941 (propaganda pro-eutanasia)] e «... ai pazienti considerati incurabili secondo il miglior giudizio umano disponibile del loro stato di salute possa essere concessa una morte pietosa.» [Lettera di Hitler a Bouhler e Brandt]».
Di fronte a tutto questo diciamo con forza che nessun uomo ha potere sulla vita altrui, ma nemmeno sulla propria. Vogliamo essere testimoni, anche col lavoro che facciamo sul sito, di questa verità, ed essere fattivamente vicini a tutti coloro che lavoreranno in questa direzione.


Le parole sono pietre - Curatore: Buggio, Nerella - Fonte: CulturaCattolica.it - sabato 15 novembre 2008 - L'amico Giovanni ci segnala due inquietanti citazioni, sembrano colte da giornali o da qualche trasmissione televisa dei nostri giorni, e invece...
«...Per quanto riguarda coloro che desiderano morire perché un tempo sono stati sani e ora non ce la fanno più, ebbene io credo che lo Stato, che ci impone il dovere di morire, debba anche darci il diritto di morire»

Dal film "Ich klage an" (Io accuso) - Germania, 1941 (propaganda pro-eutanasia)

«... ai pazienti considerati incurabili secondo il miglior giudizio umano disponibile del loro stato di salute possa essere concessa una morte pietosa.»

Lettera di Hitler a Bouhler e Brandt

Il nemico, che spesso usa travestirsi da "angelo di luce", ultimamente si traveste da angelo della "libertà" e della "pietà".
Giovanni



Lo psichiatra Meluzzi: “Eluana è metafora del Crocifisso” - Intervenendo a Montecatini al Convegno nazionale dei Centro di Aiuto alla Vita - di Antonio Gaspari
ROMA, domenica, 16 novembre 2008 (ZENIT.org).- La vicenda di Eluana ha a che fare con il mistero della nascita e della morte che per i cristiani riflette la passione e la morte in croce di Gesù.
E’ quanto ha detto Alessandro Meluzzi, psichiatra, psicologo e scrittore, intervenendo sabato 15 novembre al XXVIII Convegno nazionale dei Centro di Aiuto alla Vita (CAV) in corso a Montecatini (Pt).
“La vita di ognuno di noi non è solo autodeterminata, la vita è in sé relazione - ha affermato Merluzzi -. Siamo vivi per la relazione con gli altri e per il rapporto di amore con Dio”.
Secondo il noto psichiatra, diacono melchita, “nessun uomo è un’isola”, e la vita “irrompe come mistero e avvenimento, per questo alla tentazione del dominio del possesso bisogna preferire il tempo dell’attesa di un dono e di un bene”.
Facendo riferimento al senatore Ignazio Marino, che ha presentato un ddl sul testamento biologico, Meluzzi ha chiesto: “Ma che la casa del Padre è un albergo?”, aggiungendo che “la vita è vita non è compatibile con chi ne vuol fare un calcolo, una cifra…”. “La vita è mistero e attesa, caratterizzata dall’evento che irrompe”.
Il noto psichiatra, autore di molti libri di successo, ha sottolineato che “la sacralità della vita non può essere messa in discussione, altrimenti si spalancano baratri e orrori. Accettare una concezione della vita minore significa mettere in pericolo la civiltà umana”.
A questo proposito Meluzzi ha ricordato che a Sparta, così come nei primi secoli del mondo greco romano, i disabili venivano gettati dalla rupe. Sono stati i cristiani che hanno cambiato questa orrenda condizione.
Lo psichiatra ha quindi ricordato la ‘lettera a Diogneto’, che si trova nel libro della Didachè, composta tra il I ed il II sec. d.C., e in cui si spiega il mistero cristiano.
“Si sposano come tutti e generano figli, ma non gettano i neonati” è scritto nella Lettera. “Sono nella carne, ma non vivono secondo la carne. Dimorano nella terra, ma hanno la loro cittadinanza nel cielo. Obbediscono alle leggi stabilite, e con la loro vita superano le leggi. Amano tutti, e da tutti vengono perseguitati”.
“Eluana è metafora del Crocifisso - ha sostenuto Meluzzi - e come il crocifisso è scandalo per i farisei e per i pagani di ogni tempo”.
“È scandalo per tutti coloro che adorano idoli che hanno occhi che non vedono, orecchie che non ascoltano e cuore di pietra”, ha aggiunto.
Nel bisogno di Eluana di essere dissetata, Meluzzi ha letto il mistero del rapporto tra Dio e gli uomini. Ed ha ricordato che nel chiedere alla samaritana da bere, Gesù vuole esprimere la sua attenzione ed il suo bisogno degli essere umani.
Il desiderio di relazione di Gesù si mostra mettendosi dalla parte di chi ha bisogno. Anche quando è sulla Croce il Cristo chiede ai soldati romani di dargli da bere.
In questo il figlio di Dio mostra il suo bisogno della relazione con l’umanità. Ed è la stessa domanda che ci fa Eluana: “datemi da bere”.
“Nell’acqua c’è il mistero del battesimo e nel sangue e nel corpo di Cristo il mistero dell’Eucarestia. Per questo in Eluana c’è il mistero della Croce che è un mistero che ci coinvolge tutti”, ha concluso Meluzzi.


Maternità in outsourcing - La surrogazione solleva gravi problematiche di Padre John Flynn, LC
ROMA, domenica, 16 novembre 2008 (ZENIT.org).- Le vicende familiari rischiano di subire notevoli complicazioni a causa di un certo utilizzo delle tecniche di fecondazione in vitro (FIV).
Un esempio in questo senso è quello di una bimba nata da una madre surrogata indiana, e che all’età di tre mesi si è trova nel mezzo di dispute legali. Il caso, secondo quanto riferito dalla CNN il 2 novembre scorso, si sarebbe risolto da poco. La bimba di nome Manjhi è arrivata, insieme alla sua nonna, ad Osaka, in Giappone, provenienti dalla capitale indiana New Delhi, per riunirsi al suo padre biologico.
L’intera vicenda è illustrata in un articolo pubblicato sul quotidiano Straits Times di Singapore del 6 ottobre scorso.
Manjhi è nata dall’unione dello sperma di un uomo giapponese sposato e di un ovulo di una donatrice anonima, impiantati nel grembo di una madre surrogata indiana, residente nel paese di Anand, nello Stato di Gujarat.
I problemi legali sono sorti quando il padre, Ikufumi Yamada, e sua moglie, Yuki Yamada, che avevano pagato per la surrogazione, hanno divorziato prima della nascita di Manjhi. Successivamente, mentre il marito voleva tenere la bambina, la ex moglie non la voleva più.
La legge indiana, per il rilascio del passaporto, richiede la presenza della madre. Nel caso di Manjhi, né la madre surrogata, né la ex moglie volevano essere coinvolte.
La questione è stata poi risolta da una decisione della Corte suprema indiana, che non solo ha affidato la bambina al padre Ikufumi Yamada, ma ha anche confermato la legalità della surrogazione.
Secondo Straits Times, la decisione è stata presa proprio nel periodo in cui il Governo ha presentato un disegno di legge sulla surrogazione. Fino ad oggi la surrogazione è stata effettuata in assenza di una disciplina legislativa.
Turismo da FIV

La forte diffusione della surrogazione dell’utero in India ha suscitato grande attenzione da parte dei media. Il quotidiano australiano Sun Herald ha riferito il 2 novembre che l’India è meta di un forte afflusso di persone che vogliono ricorrere alle tecniche FIV, provenienti dall’Europa e in particolare dalla Gran Bretagna, incoraggiate da annunci pubblicitari come: “Donne giovani e sane superovulate esclusivamente per te!”.
In India è infatti possibile trovare sia madri surrogate, che donatrici di ovuli.
Il Sun Herald ha riferito del caso di Ekaterina Aleksandrova, di nazionalità tedesca, che è andata in India per farsi impiantare 5 embrioni, di cui uno ha dato corso ad una gravidanza.
Aleksandrova non ha alcun legame genetico con il bambino che è poi nato a settembre. I genitori biologici vivono infatti a 7.000 chilometri di distanza e appartengono a culture diverse e parlano lingue diverse.
Sia lo sperma, che gli ovuli provengono infatti da donatori anonimi. Il primo è stato acquistato da una banca del seme danese, mentre i secondi provengono da una donna indiana.
Un altro caso recente è quello di Bobby e Nikki Burnes, riportato dalla BBC il 12 ottobre scorso. La loro bimba di tre mesi, Daisy, è stata concepita nella clinica Rotunda di Mumbai (Bombay).
La bambina è nata da un ovulo fecondato con lo sperma di Bobby e impiantato nel grembo di una madre surrogata.
Secondo la BBC, l’uso delle madri surrogate è particolarmente frequente tra le coppie asiatiche in Gran Bretagna, per via della scarsità di ovuli e semi di donatori asiatici.

Inoltre è assai più conveniente usare i servizi delle cliniche indiane rispetto quelli dei Paesi occidentali. Secondo la BBC, le madri surrogate ricevono tra i 2.500 e i 3.500 sterline (2.950 e 4.100 euro), l’equivalente di 10 anni di stipendio.
Qualche mese prima, il 4 marzo, l’International Herald Tribune ha riferito che i costi dei servizi di FIV in India, comprensivi del biglietto aereo e dell’albergo, ammontano a circa 25.000 dollari per coppia, pari a circa un terzo di quanto lo stesso servizio costa negli Stati Uniti.
Le madri surrogate sono disponibili anche per le coppie omosessuali. L’articolo ha riferito del caso di Yonatan Gher e del suo partner, che hanno usufruito dei servizi della stessa clinica Rotunda citata dalla BBC.
Il dottor Kausal Kadam, in questa clinica, ha creato un embrione per Gher e il suo partner, usando lo sperma di uno dei due - non è dato sapere di chi dei due - e un ovulo estratto da una donatrice qualche minuto prima all’interno della stessa clinica.
Nessun contatto tra la donatrice di ovuli, tra la madre surrogata e tra i futuri genitori è consentito, ha osservato l’articolo.
Preoccupazioni sull’outsourcing
Lo stesso articolo ha messo in evidenza una serie di questioni etiche che vengono sollevate in relazione all’uso delle madri surrogate indiane. I critici sono preoccupati per i rischi di sfruttamento. Inoltre, le coppie usano questi servizi per eludere le leggi vigenti nei propri Paesi di provenienza.
In Israele, sebbene l’adozione per le coppie omosessuali è stata legalizzata, la surrogazione per loro continua a essere vietata.

Un altro recente caso di elusione della legge è quello di una donna di 59 anni che ha dato alla luce tre gemelli.
In relazione a questa gravidanza è nato un dibattito in Francia, secondo un articolo pubblicato l’8 settembre da Associated Press. La legge francese sulla donazione degli ovuli esclude, infatti, la possibilità per le donne con più di 42 anni di potervi accedere.
In Giappone si sta discutendo invece sull’uso delle madri surrogate, secondo la Reuters del 12 marzo. I reparti giapponesi di ostetricia, nel 1983, si sono impegnati a non effettuare nascite da madri surrogate, pur in assenza di una legislazione vincolante. La Reuters ha spiegato che, in passato, vi erano stati casi di coppie che avevano avuto figli grazie a madri surrogate con l’aiuto di medici in Giappone.
Secondo questo articolo, un’equipe di esperti del Consiglio scientifico giapponese, che ha discusso sull’argomento per più di un anno su richiesta del Governo, sostiene che le nascite surrogate comportano rischi per la salute sia delle madri surrogate che dei bambini.
Gli esperti hanno sollevato preoccupazioni anche sulla possibilità che i familiari vengano costretti ad assumere determinati ruoli dai parenti.
“È necessaria una nuova normativa che, per ora, vieti in linea di principio le nascite surrogate”, hanno affermato gli esperti in una bozza di documento conclusivo che auspica l’irrogazione di sanzioni nei confronti dei medici, degli agenti e dei clienti del commercio della surrogazione.
Anche l’opinionista Ellen Goodman ha manifestato le sue preoccupazioni sulle madri surrogate in un articolo pubblicato l’11 aprile scorso sul Boston Globe.
Goodman ha espresso la sua comprensione per le coppie che hanno difficoltà a concepire in modo naturale. Ma si è scagliata contro la commercializzazione della surrogazione, dove la persona diventa un mero prodotto oggetto di contrattazione sul mercato internazionale.
“Non possiamo, per esempio, vendere noi stessi come si faceva per gli schiavi”, ha osservato. “Non possiamo neanche vendere i nostri figli. Ma il business della surrogazione rischia di essere pericolosamente simile ad entrambe”.
Rispettare la vita
La Chiesa cattolica ha chiaramente espresso le ragioni contrarie sia alla fecondazione in vitro in quanto tale, sia all’uso delle madri surrogate. Nell’istruzione del 1987 sul rispetto della vita umana nascente, la Congregazione per la dottrina della fede tratta anche della questione della surrogazione.
L’istruzione rigetta questa pratica non solo perché introduce una terza persona nel rapporto tra marito e moglie, ma anche perché: “La maternità sostitutiva rappresenta una mancanza oggettiva di fronte agli obblighi dell’amore materno, della fedeltà coniugale e della maternità responsabile”.
L’istruzione sostiene inoltre che l’uso della madre surrogata offende la dignità e il diritto del figlio ad essere messo al mondo dai propri genitori.
Questo insegnamento trova conferma anche nel Catechismo della Chiesa cattolica, che al n. 2378 recita: “Il figlio non può essere considerato come oggetto di proprietà: a ciò condurrebbe il riconoscimento di un preteso ‘diritto al figlio’. In questo campo, soltanto il figlio ha veri diritti: quello ‘di essere il frutto dell’atto specifico dell’amore coniugale dei suoi genitori e anche il diritto a essere rispettato come persona dal momento del suo concepimento’”.
Purtroppo, tuttavia, la globalizzazione ha esteso la sua influenza sino al grembo materno, dando luogo ad un florido commercio sulla vita umana, in violazione della dignità e dei diritti dell’uomo.


15/11/2008 11:50 – INDIA - In piazza 50mila fondamentalisti indù a favore dell’intolleranza religiosa - di Nirmala Carvalho - Il governo dell’Orissa permette una marcia che chiede di “fermare le conversioni”. Intanto a Bangalore tre cristiani sono arrestati con la falsa accusa di induzione alla conversione. L’Aicc fornisce il bilancio aggiornato delle violenze anticristiane.
New Delhi (AsiaNews) – Il governo dell’Orissa ha permesso la manifestazione di oggi del Swami Laxmananda Saraswati Sradhanjali Samiti a Bhubaneshwar, nonostante la preoccupazione di New Delhi che possa innescare ulteriori violenze interreligiose. Intanto continuano le persecuzioni anticristiane in Orissa, con chiese demolite e cristiani arrestati con false accuse di “istigare conversioni”.
Il gruppo estremista indù ha indetto la marcia in protesta contro il mancato arresto degli uccisori di Laxmananda Saraswati, leader del Vishwa Hindu Parishad (Vhp), il 23 agosto. Anche se la polizia ritiene responsabili gruppi maoisti, gli indù ne hanno tratto pretesto per scatenare i pogrom anticristiani.
Almeno 1.500 poliziotti vigileranno per evitare incidenti. Ma nel Kandhamal c’è grande paura che la marcia sia un pretesto per riprendere gli attacchi, mai davvero cessati. Si prevedono almeno 50mila partecipanti e gli organizzatori hanno affisso ovunque manifesti che chiedono l’arresto degli assassini ma anche “di fermare le conversioni e l’uccisione di mucche” e di “difendere l’induismo e la cultura tribale”.
In questo clima, la notte del 12 novembre sono stati arrestati tre cristiani con l’accusa di “induzione” alla conversione degli abitanti di un sobborgo di Bangalore. I leader delle associazioni cristiane hanno promosso una campagna per il loro rilascio.
L’All India Christian Council (Aicc) riporta il racconto dei fatti fornito dai leader cristiani del Karnataka: un uomo, Chandrashekhar, e due donne Kamlamma e Sandhya, sono stati invitati nella casa della sorella dell’uomo, nel quartiere di Jeevanahalli a Bangalore, a pregare per la salute del nipote infermo.
Usciti dall’abitazione al termine della veglia, il trio si è imbattuto in un gruppo formato da una quindicina di militanti della Bajrang Dal, l’ala giovanile del Vhp. I fanatici hanno picchiato a sangue l’uomo, poi hanno chiamato la polizia accusandoli di indurre alla conversione un gruppo di abitanti del luogo. Un imprenditore ha confermato la falsa accusa ai poliziotti di Fraser Town.
La sorella di Chandrashekhar ribadisce che lo ha chiamato per pregare per la salute del figlio malato e respinge le accuse “prive di fondamento”. Sam Paul, segretario per gli affari pubblici dell’Aicc, accusa che è “uno dei numerosi esempi di cristiani accusati ingiustamente dai fondamentalisti indù di conversioni forzate. È chiaro che sono innocenti. L’amara realtà è che nell’India di oggi vi è una situazione di persecuzione legalizzata ai danni dei cristiani”.
Intanto la notte dell’11 novembre ignoti hanno raso al suolo la chiesa cattolica del villaggio di Tiangia, dove è nato padre Bernard Digal. La Chiesa, scampata alle precedenti violenze perché ancora in costruzione, doveva essere inaugurata tra breve.
Secondo l’Aicc dal 24 agosto in Orissa si sono registrate violenze in 14 dei 30 distretti dello Stato, ci sono stati danni in 315 villaggi, bruciate 4,640 abitazioni, con 53mila sfollati e 60 vittime tra le quali due pastori e un prete cattolico), sono state stuprate due donne, distrutte 151 chiese, mentre continuano ancora oggi gli attacchi. Nel Bihar è stata danneggiata una chiesa. Nello stato di Chhattisgarh sono state attaccate quattro suore. Nel Jharkhand i fondamentalisti indù hanno preso d’assalto una chiesa e hanno cercato di “riconvertire” i fedeli cristiani. Quattro chiese danneggiate nel Kerala, nel Tamil Nadu e nel Madhya Pradesh. A New Delhi due chiese danneggiate, alle quali si aggiungono altri quattro tentativi di assalto. Nel Punjab tre cristiani sono detenuti dalla polizia con false accuse. Nell’Uttar Pradesh picchiati tre pastori e la moglie di uno di loro. Nell’Uttarakhand sono stati uccisi due cristiani, un prete e una sua impiegata.


15/11/2008 13:06 – VATICANO - Papa: curare un bambino malato vuol dire pensare al suo “vero bene” - I piccoli meritano ogni attenzione sia scietnfica, ma evitando la “tentazione dello sperimentalismo”, sia umana, anche facilitandone la “comunicazione” con i genitori. La malattia dei bimbi è una esortazione anche alla solidarietà internazionale.
Città del Vaticano (AsiaNews) – La cura del bambino malato chiede una attenzione particolare, ancora maggiore di quella che va riservata a tutti coloro che si trovano ad affrontare il dolore. Essa necessita, ha sostenuto oggi Benedetto XVI, l’unione delle migliori conoscenze scientifiche e della “tenerezza umana”, impone così di fuggire, sul piano sanitario, la “tentazione dello sperimentalismo” e di avere verso il bamino, ed anche verso i suoi genitori, la preoccupazione del suo “vero bene”, ricordando sempre la dignità che ogni essere umano ha, fin da quando è nel grembo materno. Al tempo stesso, vanno “al più presto sanate con interventi risolutivi” le “tante condizioni di squilibrio, ancora esistenti” nei Paesi poveri, come quelle causate da guerre, povertà e Aids.
L’udienza ai partecipanti alla XXIII Conferenza internazionale promossa dal Pontificio consiglio per gli operatori sanitari (per la pastorale della salute) sul tema: “La Pastorale nella cura dei bambini malati”, che si conclude oggi in Vaticano, ha dato occasione al Papa di affermare alcuni dei punti centrali dell’atteggiamento che la Chiesa vuole sia tenuto verso chi soffre.
Nel mondo, e specialmente nei “Paesi meno fortunati”, “la sfida è oggi scongiurare l’insorgenza di non poche patologie una volta tipiche dell’infanzia e, complessivamente, favorire la crescita, lo sviluppo e il mantenimento di un conveniente stato di salute per tutti i bambini”. “In questa vasta azione sono tutti coinvolti: famiglie, medici e operatori sociali e sanitari”.
“La ricerca medica si trova talora di fronte a scelte difficili quando si tratta, ad esempio, di raggiungere un giusto equilibrio tra insistenza e desistenza terapeutica per assicurare quei trattamenti adeguati ai reali bisogni dei piccoli pazienti, senza cedere alla tentazione dello sperimentalismo. Non è superfluo ricordare che al centro di ogni intervento medico deve esserci sempre il conseguimento del vero bene del bambino, considerato nella sua dignità di soggetto umano con pieni diritti. Di lui pertanto occorre prendersi cura sempre con amore, per aiutarlo ad affrontare la sofferenza e la malattia, anche prima della nascita, nella misura adeguata alla sua situazione”.
“Tenendo poi conto dell’impatto emotivo, dovuto alla malattia e ai trattamenti a cui il bambino viene sottoposto, che non raramente risultano particolarmente invasivi, è importante assicurargli una comunicazione costante con i familiari. Se gli operatori sanitari, medici e infermieri, sentono il peso della sofferenza dei piccoli pazienti che assistono, si può ben immaginare quanto più forte sia il dolore vissuto dai genitori! L’aspetto sanitario e quello umano non vanno mai dissociati, ed ogni struttura assistenziale e sanitaria, soprattutto se animata da genuino spirito cristiano, ha il dovere di offrire il meglio della competenza e dell’umanità. Il malato, in modo speciale il bambino, comprende particolarmente il linguaggio della tenerezza e dell’amore, espresso attraverso un servizio premuroso, paziente e generoso, animato nei credenti dal desiderio di manifestare la stessa predilezione che Gesù nutriva per i piccoli”.
“Penso soprattutto – ha concluso il Papa - ai piccoli orfani o abbandonati a causa della miseria e della disgregazione familiare; penso ai fanciulli vittime innocenti dell’AIDS o della guerra e dei tanti conflitti armati in atto in diverse parti del mondo; penso all’infanzia che muore a causa della miseria, della siccità e della fame. La Chiesa non dimentica questi suoi figli più piccoli e se, da un lato, plaude alle iniziative delle Nazioni più ricche per migliorare le condizioni del loro sviluppo, dall’altro, avverte con forza il dovere di invitare a prestare un’attenzione maggiore a questi nostri fratelli, perché grazie alla nostra corale solidarietà possano guardare alla vita con fiducia e speranza”.


Iniziativa promossa dall'arcivescovo ortodosso Chrysostomos II - Sbarca a Cipro l'esperienza di don Giussani - di Luca Pezzi – L’Osservatore Romano, 16 Novembre 2008
"Che la nostra vita possa essere come la corsa dei due apostoli Pietro e Giovanni verso la tomba vuota di Cristo risorto. E che in questo cammino possiamo toccare con mano la fame e sete di Dio". Queste le parole con cui padre Gregorios Ioannides, teologo ortodosso, ha concluso il suo intervento durante la recente presentazione a Nicosia, capitale di Cipro, de Il senso religioso di don Luigi Giussani.
È stato un evento che ha suggellato un'amicizia e una stima cominciate a Roma e che ha segnato una tappa di grande valore, anche simbolico, a Cipro, dove è stato lo stesso arcivescovo ortodosso Chrysostomos II, a introdurre significativamente la figura del sacerdote cattolico, fondatore del movimento di Comunione e Liberazione. La chiesa autocefala di Cipro sorge direttamente - così sancisce il concilio di Efeso del 431 - dall'opera evangelizzatrice di Barnaba, l'apostolo che insieme a Paolo percorse l'isola da est ad ovest, da Salamina - oggi Famagosta - a Pafo. L'antica storia cristiana di Cipro è fiorita nella splendida isola del Mediterraneo che secondo Esiodo ha visto nascere la dea Afrodite. Una terra dove il mito si annoda alla bellezza della natura e al succedersi delle civiltà e delle culture, dai greci ai francesi, dai veneziani agli ottomani. Oggi Cipro è una realtà complessa e ferita. Nicosia è l'ultima città europea a restare divisa: dal 1974 un terzo dell'isola è occupato dall'esercito turco, e pochissimi sono i cristiani che hanno potuto restare nella parte settentrionale. Una tragedia storica, ben visibile a chi attraversa "la linea": degli oltre cinquecento siti e monumenti cristiani - chiese, monasteri, cimiteri - pochissimi sono sopravvissuti alle devastazioni e all'abbandono. Una ferita che si annuncia anche dai finestrini dell'aereo che atterra a Larnaca: lo sguardo dei passeggeri non può non notare l'enorme bandiera con la mezzaluna tracciata sulla montagna a nord di Nicosia e che di sera si illumina ad intermittenza. Nessuno, abitanti e viaggiatori, trascorre una giornata nell'isola potendo ignorare il gigantesco segnale.
Dicevamo di una amicizia nata a Roma, nel corso della importante visita al Papa dell'arcivescovo Chrysostomos nel giugno 2007, e proseguita poi a Rimini, poiché all'ultimo Meeting per l'amicizia tra i popoli una mostra fotografica sulle chiese in rovina di Cipro Nord aveva suscitato grandissima emozione. E infine l'incontro di Nicosia, promosso dallo stesso arcivescovado ortodosso e curato dal direttore del museo bizantino, Ioannis Eliades. Relatori, oltre al teologo Ioannides, don Ambrogio Pisoni, dell'Università Cattolica del Sacro Cuore, e il vicepresidente del parlamento europeo, Mario Mauro. In sala un centinaio di persone, esponenti delle chiese e della Custodia di terra santa, membri del parlamento e del governo, l'ambasciatore italiano. Canti della liturgia bizantina hanno aperto e concluso l'incontro. Dopo l'introduzione di Chrysostomos II, padre Ioannides cita alcuni esempi tratti dal testo di don Giussani, la morte di un ragazzo e quella di un uomo, per domandarsi assieme al sacerdote italiano "perché esiste l'uomo? Perché vale la pena di vivere anche solo cinque minuti?". Ricorda le parole di Shakespeare: "Il mondo senza Dio sarebbe una favola raccontata da un idiota in un eccesso di furore" e sviluppa l'itinerario della ragione verso la fede, poi al centro dell'intervento di don Pisoni, che per illustrare la proposta educativa di don Giussani, ne rievoca il primo incontro con gli studenti del liceo milanese Berchet, nel 1954. "Professore - gli dicono - è inutile che lei venga qui a parlare di religione, poiché ragione e fede non si incontrano mai". Don Giussani chiede allora alla classe cosa è la fede e cosa è la ragione, ma non ottiene risposte. Cominciava così un percorso educativo che ha accompagnato generazioni di giovani in Italia e poi in molte parti del mondo. Il senso religioso, che è il libro più noto di don Giussani, è ormai tradotto in 19 lingue (ultima la giapponese).
Un percorso che ha affascinato padre Ioannides, che sviluppa una intensa riflessione sul mistero dell'uomo e sul mistero di Dio. L'uomo come "centro della creazione", il solo "ad avere consapevolezza della propria ragione"; la creatura come "segno", come "tempio, luogo della presenza di Dio". Lo colpisce il passaggio giussaniano sulla "miopia", cioè la tentazione umana di impadronirsi della realtà. E finisce con la ricerca dell'uomo e l'uscita dal mare nostrum: la presenza di "un Dio che, grazie a Dio, si è fatto carne, superando il livello della nostra ragione". Un Dio che ha fatto dei pescatori i suoi discepoli, del ladrone il primo in paradiso, di san Paolo - il persecutore - il testimone della fede per tutte le nazioni. Un Dio che "non ci ha consegnato una religione, ma una ecclesia, vale a dire non un insieme di ideologie ma il corpo del Cristo nei secoli". Possibilità di una "metamorfosi, trasformazione, ovvero la trasfigurazione della nostra vita". Questa è la risposta alle domande iniziali, sul perché della vita e della morte: un sapere, che per Isaac di Siria, è "senso della vita immortale e conoscenza di Dio": quel Fecisti nos ad te et inquietum est cor nostrum donec requiescat in te di sant'Agostino. Una "trasfigurazione" che muove, che interessa e tocca i vari aspetti della vita, inclusa la politica, come poi ha spiegato il vicepresidente del parlamento europeo, Mario Mauro, che ha raccontato l'esperienza di un uomo che si è formato alla scuola di don Giussani e che è impegnato nella battaglia sull'identità cristiana dell'Europa.
(©L'Osservatore Romano - 16 novembre 2008)


COME DAR TORTO ALLA REALTÀ? - I FATTI, SIGNORI SONO PIÙ RESISTENTI DI OGNI IDEA - ROBERTO COLOMBO – Avvenire, 16 novembre 2008
La imprevedibile tenacia della vita di una gio­vane donna che, nonostante tutto e tutti, continua la sua esistenza in una clinica di Lec­co, sta portando alla luce tutta la debolezza del pensiero di chi si compiace più dell’idea che si è costruito della realtà che non della realtà stes­sa. Ma la realtà è ostinata, non si piega al pre­concetto: 'I fatti - diceva Norberto Bobbio - so­no più resistenti di ogni idea'. E il fatto quoti­dianamente più incisivo del mondo è la vita che Dio dona all’uomo.
In queste ore si moltiplicano le diatribe circa la legittimità o inaccettabilità della decisione di to­glierle l’idratazione e la nutrizione enterale, pro­vocandone intenzionalmente la morte. Il giudi­zio sulla ingiustizia o meno di questa azione re­sta ultimamente di pertinenza della ragione pra­tica e giuridica, non delle scienze metaboliche, neurobiologiche e cliniche. Ma le prime non possono non tenere conto di come stanno le co­se, di ciò che attraverso le seconde sappiamo o non conosciamo ancora di quel microcosmo che è il corpo e la mente dell’uomo, delle sue e­videnze ed esigenze elementari. Anche di fron­te al dramma di Eluana e delle migliaia di altre persone in 'stato vegetativo', non si può dare per scontato ciò che scontato non è e costruire di­stinzioni teoriche senza referenza alla realtà per trovare un appiglio per le proprie tesi.
Vi è chi continua a ripetere che l’idratazione e la nutrizione per via enterale, che Eluana e altri pazienti non alimentarmente autosufficienti ri­cevono, nulla avrebbe a che vedere con l’idrata­zione e la nutrizione per via orale, quella di cui noi ci serviamo per vivere. Dunque, sospende­re le prime non equivarrebbe a privare un uo­mo o una donna di acqua e cibo. Ma è proprio l’evidenza scientifica, di cui i fautori di questa af­fermazione vorrebbero essere i paladini, a mo­strare il contrario. L’effetto nutrizionale e lo sco­po metabolico delle due azioni è identico: for­nire acqua, elettroliti, glucidi, lipidi, aminoaci­di ed altre molecole indispensabili per il man­tenimento dell’omeostasi e, dunque, delle atti­vità fisiologiche essenziali per la vita. La sola dif­ferenza è nella forma chimica dell’alimentazio­ne: complessa e variegata quella a tavola, più semplice e qualitativamente e quantitativa­mente controllata quella clinica. Se la sentenza verrà eseguita, ad Eluana non sarà strappato di mano un bicchiere né tolto il boccone dal piat­to, ma sarà interrotta la periodica infusione di liquidi e miscele nutritive attraverso la sonda gastrostomica. Per la realtà della sua vita e del­la sua morte, la differenza è eticamente e giuri­dicamente rilevante? Un secondo argomento esibito a giustificazio­ne della decisione di porre fine anzitempo ai giorni dei pazienti in 'stato vegetativo' è la pre­sunta assenza di funzioni cerebrali superiori, che escluderebbe non solo la comunicazione verbale e mimica, ma anche ogni forma di per­cezione del dolore, memoria, emozione o in­tenzionalità. Una sorta di condizione botanica cui maldestramente il termine 'vegetativo' al­lude e che li collocherebbe in un 'limbo' tas­sonomico. Sebbene non sia possibile applicare loro dei test psicofisiologici diretti, è ancora u­na volta la scienza sperimentale a offrirci pre­ziose indicazioni che non consentono di esclu­dere, con quella apodittica certezza che carat­terizza talune affermazioni in proposito, la pre­senza di una coscienza di sé, nella forma di u­na consapevolezza, incomunicabile e intermit­tente, dell’esistere, delle relazioni spazio-tem­porali e delle sensazioni interne ed esterne, in­cluse quelle nocicettive. Indicazioni come quel­le di uno studio apparso su Lancet Neurology
(novembre 2008), che ha coinvolto, tra gli altri soggetti, quindici pazienti in 'stato vegetativo' di età compresa tra i 19 e i 75 anni. Attraverso le immagini ottenute con la tecnica PET è stato possibile studiare la risposta di aree della cor­teccia cerebrale alla stimolazione elettrica (do­lorosa) del nervo mediano. Sebbene tali rispo­ste siano inferiori al normale, gli autori belgi concludono che 'l’evidenza non è sufficiente per decidere di non trattare [con analgesici] con­dizioni potenzialmente dolorose nei pazienti' in 'stato vegetativo'. Ancor più significativo è lo studio di Adrian Owen e collaboratori ap­parso su Science nel 2006, nel quale gli autori bri­tannici, con la tecnica fMR, hanno osservato, in una paziente in 'stato vegetativo', l’attivazione di aree corticali in risposta alla domanda di 'im­maginare di giocare a tennis' o di 'muoversi nella sua casa'.
Saranno solo dei 'fatti', ma - come suggerisce Shakespeare - 'ci sono più cose in cielo e in ter­ra, Orazio, di quante ne sogni la tua filosofia'.


ANCHE A CHI COME «REPUBBLICA» VA DI SOLITO PESANTE - All’improvviso moine e inchini Le parole vere fan paura - DAVIDE RONDONI – Avvenire, 16 novembre 2008
H anno paura della realtà e dunque delle parole.
Preferiscono avvolgere di melassa e caramello le cose e le parole pur di non affrontarle. Nei commenti di questi giorni alla vicenda Eluana fa impressione vedere come certe parole, e dunque certe realtà che le parole indicano, siano per così dire occultate, nascoste come fa il prestigiatore coi suoi trucchi. Per non essere disturbati. Tutti così educati, in questo caso, così caramellosi e burocratici. Avvenne già quando ci han voluto convincere che un embrione in un bidone congelato è cosa diversa da quello che la nostra donna porta in pancia. Quello nel bidone è vietato chiamarlo ' figlio', come invece a tutti accade di fare quando dobbiamo indicare la presenza di quella ' cosa' nella pancia di una persona cara. Parola scandalosa, figlio. Da non usare. E ora non si possono usare espressioni che turbano il burocratico iter di morte, che, naturalmente, si compie in nome dell’amore. Così, impiastrati in un collante di buoni sentimenti, non importa più guardare e chiamare con il vero nome quello che può accadere coi timbri della legge e il plauso generale: la morte di una ragazza per disidratazione. Chi lo dice disturba i corifei del pensiero dominante. E chi disturba va fatto tacere o richiamato alle buone maniere. Come se fosse uno che dice spropositi. Ai poeti accade spesso, per questo forse ci faccio meno caso, e ne sorrido. Però...
Permettete una piccola esemplificazione personale. Tre giorni fa su Repubblica Adriano Sofri, plaudendo come la maggior parte degli esponenti del pensiero dominante alla sentenza che permette la soppressione della vita di Eluana Englaro, terminava il suo articolo citandomi, senza nome ma con benevolenza. E però diceva di aver sentito « un brivido » quando nel mio editoriale su questo giornale impiegavo l’espressione « toglierla di torno » riferita al destino che si vuole riservare alla vita misteriosamente presente di Eluana. Il pensatore della
Repubblica si chiedeva se m’era sfuggita e chiedeva di ritirarla. Ieri l’altro, ho inviato un pezzo a
Repubblica in cui spiegavo perché quell’espressione non m’era sfuggita e non intendo ritirarla, lasciandola come scandalo, per me stesso e per tutti. Il quotidiano di Ezio Mauro ha pensato di dedicare alla mia breve replica al lungo pezzo di Sofri lo spazietto di una lettera alla redazione. Pur condividendo e capendo il dolore di Beppino Englaro, posso non condividere la sua scelta. Mi dà i brividi pensare alla scelta di morte che ha voluto e mi dà i brividi vedere che strano giubilo la nostra cultura e la nostra società stanno riservando alla soppressione della vita di una che non sta dando fastidio a nessuno, che avrebbe chi la intende assistere, e che non sappiamo nemmeno realmente ora cosa vuole. Ma l’ex direttore di
Lotta Continua ( un giornale che peraltro con le espressioni forti ha marciato parecchio) ora sente un brivido perché oso chiamare, con la violenza di chi soffre per quel che sta avvenendo, ' togliere di torno' il destino riservato da padre, mass media, corte di Cassazione ecc ecc a una ragazza che né la medicina né chi la sta accudendo considerano morta. E in due righe nella rubrica delle lettere mi liquida dicendo che di tutto, ma non di quella frase è disposto a discutere.
Invece, è proprio di quello che occorre avere il coraggio intellettuale e di cuore di discutere.
Il rispetto fatto di moine è la peggiore delle offese. La pietà non si nutre di pietismo. In questa strana contesa non vince e non perde nessuno. I cristiani come me non hanno l’aspirazione di divenire pensiero dominante. Si sa che al primo referendum che lo vide opposto a Barabba, a Gesù non andò benissimo. Non ci sentiamo sconfitti, ma addolorati, è diverso.
Per noi si tratta di testimoniare una cosa sentita e vissuta come vera: l’altro uomo ha un valore infinito.
Anche quando non mi sembra. Il fare ricorso al sentimentalismo – a tratti con vere punte di patetismo – o a un tanto astratto e ambiguo valore assoluto dell’autodeterminazione, mostra l’impoverimento culturale e politico anche da parte di coloro che solo pochi anni fa, all’opposto, si appellavano al comunismo e ai valori condivisi. Come se non importasse più discutere se vale più la vita o la morte, ma quel che conta è scegliere. Ma è di per sé la scelta dell’individuo a conferire valore alla cosa o la libertà autentica sta nel riconoscere quel che meglio rispetta o serve la vita?
Per autodeterminazione gli elettori tedeschi scelsero il nazismo e la soppressione delle razze deboli o minori. Ma a Repubblica hanno poca voglia di discutere.


L’INCONTESTABILE PESO DEL VOCABOLARIO - Altro che morte naturale Di eutanasia si tratta. E violenta - ASSUNTINA MORRESI – Avvenire, 16 novembre 2008
Non si deve mai sottovalutare il peso delle parole, specie in situazioni tragiche come quella che stiamo vivendo, a proposito della sorte di Eluana Englaro. E quella forse più contestata è la parola 'eutanasia': non ne vogliono sentir parlare molti fra coloro che ritengono giusto sospendere la nutrizione artificiale alla ragazza, come ad esempio il professor Umberto Veronesi, convinto che in questo caso si tratti di altro. Di diverso avviso chi invece contesta la decisione dei giudici, come il professor Francesco D’Agostino, secondo il quale « magistrati hanno avallato l’eutanasia senza avere il coraggio di chiamarla con il suo nome » . In questi giorni, in tanti sono intervenuti a proposito, contestando spesso a chi si oppone alla Cassazione ( soprattutto i cattolici) di usare espressioni poco caritatevoli, troppo aspre e dure, inadeguate alla delicatezza del momento. Ma che sospendere alimentazione ed idratazione ad Eluana possa avere a che fare in qualche modo con l’eutanasia non è una questione di parte. Ad esempio nel libro Il Testamento biologico. Verso una proposta di legge, della Fondazione Umberto Veronesi, a cura di Maurizio de Tilla, Lucio Militerni ed Umberto Veronesi, a proposito del caso Englaro, leggiamo: « La peculiarità della vicenda in esame risulta con evidenza dalla considerazione che, per la prima volta, si affronta in sede civile la questione dell’eutanasia ( anche se non viene nominata mai espressamente nell’ordinanza della Corte) e dell’ammissibilità dell’interruzione volontaria della vita del malato sotto il profilo della qualificazione della posizione del tutore. Sono quindi in discussione, da un lato, l’ipotesi di eutanasia non consensuale e, dall’altro, l’interpretazione dell’art. 357 del Codice Civile in tema di funzioni di tutore dell’incapace... » . Troviamo addirittura l’ipotesi di eutanasia non consensuale, quindi, riguardo ad Eluana, in un testo tutto orientato allora a legittimare l’introduzione del testamento biologico nel nostro Paese, e che onestamente riconosce ciò di cui si parla, ammettendo che non la si nomina mai: evidentemente, che si tiri in ballo l’eutanasia in questa vicenda non è una questione ideologica o di schieramenti pro o contro i giudici, ma un problema reale. Eluana, con molta probabilità, sarebbe morta naturalmente dopo l’incidente stradale se i medici non l’avessero rianimata, ma sarebbe morta per le conseguenze del trauma cranico, e non per fame e per sete. Sarebbe morta per emorragia cerebrale, magari, ma non certo disidratata: per questo la sospensione di idratazione ed alimentazione a chi non può nutrirsi da solo fa pensare ad un atto eutanasico, e non a una morte ' naturale'.
Eluana è ancora viva innanzitutto perché in questi anni il suo organismo è stato in grado di conservare tutte le sue funzioni vitali, e perché non ha avuto malattie o complicazioni. Respira da sola, non ha bisogno di dialisi o di trasfusioni, e i suoi organi funzionano senza alcun supporto se non il nutrimento, che tra l’altro viene assimilato regolarmente.
Chi dice che la nutrizione artificiale è un atto invasivo per via del sondino naso-gastrico, dovrebbe spiegare allora che differenza c’è fra quel sondino ad Eluana ed il cucchiaio con cui si imbocca ad esempio un malato di Alzheimer, o un disabile mentale grave, anch’egli totalmente inconsapevole di quanto avviene intorno. E chi ritiene invece che la nutrizione artificiale è una terapia perché implica atti medici, allora dovrebbe ad esempio non definire più ' naturale' un parto che avviene con il monitoraggio cardiaco del feto, e con interventi più o meno invasivi del ginecologo. Alimentazione ed idratazione sono di per sé misure di sostegno vitale, indipendentemente dai mezzi utilizzati ( sondino, cucchiaio o Peg), perché da sole non bastano a sostenere un corpo compromesso da una malattia, così come girare un malato nel letto per evitare le piaghe non è sufficiente a tenerlo in vita se ha una patologia grave, ma è necessario per non causargli complicazioni anche mortali, e allo stesso modo dobbiamo dire del lavare, del cambiare un pannolone, del vestire. Altro è una dialisi, o una ventilazione artificiale, che sostituiscono organi o funzioni vitali irrimediabilmente compromessi. Non è la cura del corpo a tenere in vita Eluana, ma senza questa cura che è il lavarla, muoverla e nutrirla, non si rispetterebbe innanzitutto la sua persona, e lei morirebbe per incuria, e non per malattia.


ETICA E GIUSTIZIA - In occasione del dibattito su Terri Schiavo, un medico esperto di denutrizione raccontò come la morte per sete di bambini africani lo avesse messo innanzi a situazioni cliniche al limite del sopportabile - Ecco come si muore di fame e di sete - In un rapporto medico Usa le sofferenze atroci di un malato privato di cibo e acqua - La relazione fu ordinata dal giudice Lynch nello stato americano del Massachusetts più di vent’anni fa per il caso del pompiere Paul Brophy Nel testo si spiega la durata dell’agonia (da 5 a 29 giorni) e le conseguenze per pelle, occhi, lingua, mucose, temperatura corporea Un quadro atroce - DI VIVIANA DALOISO – Avvenire, 16 novembre 2008
«Togliere a una persona il sondino che la nutre è as­solutamente innocuo. È un buon modo di morire. Probabil­mente il modo migliore di morire, do­po l’aneurisma». Nel 2003 Michael Schiavo, il marito di Terri Schindler, ri­lasciò questa dichiarazione durante il noto talk show americano di Larry King, sostenendo che la moglie doves­se essere 'liberata' al più presto dallo stato vegetativo. Insomma, chiedendo che le fossero tolti cibo e acqua, come si è deciso per Eluana. Questa frase sembra essere rimbalzata nel tempo, e nello spazio, per arrivare oggi sulle pa­gine di quasi tutti i giornali nostrani, nei dibattiti televisivi e radiofonici, nei blog: morire di fame e di sete? Non fa male. È innocuo. E poi Eluana non se ne accorgerà nemmeno, «non è cosciente ». Nel 1986, anni prima che la vicenda Schiavo e quella Englaro portassero le condizioni dei pazienti in stato vegetativo alla ribalta della cronaca, negli Stati Uniti – e precisamente in Massa­chusetts – un pompiere di nome Paul Brophy fu 'condannato' a morire di fame e di sete dai giudici, in seguito alle richieste insistenti dei suoi familiari. Aveva 45 anni, ed era in stato vegetativo da tre. Moglie e figli sostennero che più volte, verbalmente, l’uomo avesse dichiarato di preferire la morte a una vita simile. Il caso fece molto scalpore oltreoceano per due motivi: era la prima volta che un paziente americano moriva in seguito alla decisione di un tribunale di interrompere alimentazione e idratazione artificiali; durante l’iter processuale un giudice della Corte Suprema del Massachusetts, Neil Lynch, dichiarandosi contrario alla decisione della maggioranza dei suoi colleghi presentò una relazione – stilata da un gruppo di medici esperti – sulle conseguenze concrete della rimozione del sondino nasogastrico.
Il documento in questione descrive minuziosamente la morte per fame e per sete, con particolari anche molto crudi. E, si badi bene, non dice niente di originale o diverso rispetto a quello che si può trovare scritto in ogni manuale di medicina, alla voce 'disidratazione', per esempio. Cioè, che morire di sete – perché nel caso della rimozione di un sondino naso-gastrico il paziente muo­re principalmente proprio a causa della disidratazione – è atroce. A partire dalla durata dell’agonia: da cinque giorni per i soggetti più fragili fisicamente (anziani e bambini) al massimo di tre settimane. Un lasso di tempo interminabile, in cui il corpo si consuma lentamente a causa della secchezza dei tessuti, alla disidratazione delle pareti dello stomaco (che provoca spasmi) e delle vie respiratorie. In cui la pelle si ritira, gli occhi si incavano, la temperatura corporea aumenta inesorabilmente in seguito alla mancanza di sudorazione. E in cui le mucose si inari­discono, il naso sanguina, le labbra e la lingua si spaccano, proprio come han­no dimostrato di sapere i giudici della Corte d’Appello di Milano, che nella sentenza che lo scorso luglio ha sanci­to il distacco del sondino di Eluana si sono 'raccomandati' che quelle mucose venissero bagnate, per evitare che la giovane donna soffra. O mostri la sua sofferenza.
La lista degli 'orrori' del giudice Lyn­ch fece il giro d’America, sollevando non pochi dubbi sulla liceità della sen­tenza, che fino a quel momento era sta­ta presentata all’opinione pubblica co­me un atto di 'liberazione' del tutto innocuo. Lo stesso ospedale dove il pompiere era ricoverato, il New En­gland Sinai Hospital, si oppose a che una simile morte potesse avvenire al­l’interno della propria struttura, per giunta coadiuvata dal personale sani­tario. Il documento di Lynch fu poi i­nutilmente impugnato dai familiari di Terri Schiavo: di più, nel caso della gio­vane donna fu anche raccolta la testi­monianza di un medico, David Stevens, specializzato nel campo della disidra­tazione nell’infanzia e che aveva ma­turato un’esperienza di quindici anni in Africa, accanto ai bambini denutriti. Il medico raccontò come la morte per se­te lo avesse messo innanzi a situazio­ni cliniche al limite del sopportabile. L’unica differenza tra i suoi pazienti e quelli in stato vegetativo, come Brophy, Terri Schiavo ed Eluana: lo stato di co­scienza. Per cui i piccoli potevano la­mentarsi, comunicare a voce la propria sofferenza fisica. Non piangere, però, in quanto la disidratazione porta via an­che le lacrime. Nel 1986 Paul Brophy, in quelle condi­zioni disumane, rimase in vita otto giorni. A Terri Schiavo andò peggio: tre­dici interminabili giorni di denutrizio­ne la ridussero in uno stato fisico indi­cibilmente penoso, al punto che alla stessa madre – in seguito a un malore – fu impedito di vederla nelle ultime o­re. Eluana Englaro, come loro, non è at­taccata a una 'spina', non è tenuta in vita da macchinari o con medicinali. Apre e chiude gli occhi, di notte dor­me, la mattina si risveglia, il suo corpo ha lottato per la vita 16 anni, ha avuto persino la forza di superare, recente­mente, una grave emorragia. Ma certo, Eluana non parla. Non interagisce con gli altri. E non piange. Quanto tempo durerà la sua silenziosa agonia?