Nella rassegna stampa di oggi:
1) Preoccupano le politiche antivita del nuovo presidente degli USA - Con Obama aborto per tutti - Obama aveva promesso di firmare entro i primi 100 giorni di mandato il Freedom of Choice Act, la legge sull’aborto che permetterà a tutte le donne di abortire in ogni momento della gravidanza, in qualsiasi Stato e a ogni età, anche al di sotto dei 18 anni…
2) Cattolici e musulmani: conoscersi per comprendersi - I frutti del primo Seminario del Forum cattolico-musulmano - di Carmen Villa
3) La finalità dell'Amministrazione di sostegno è tutelare gli incapaci - A Modena un 50enne ha ottenuto un testamento biologico per decreto
4) Benedetto XVI: la solitudine è il paradosso della globalizzazione - I pericoli? La frammentazione e la confusione morale
5) Il Papa ai partecipanti al congresso internazionale sul tema della donazione di organi - Nessun arbitrio o incertezza nell'accertare la morte - La donazione di organi è "una forma particolare di testimonianza della carità", ma non devono esserci arbitrii o incertezze nell'accertamento della morte del paziente donatore. Lo ha affermato il Papa incontrando venerdì mattina, 7 novembre, i partecipanti a un congresso internazionale promosso dalla Pontificia Accademia per la Vita. – L’Osservatore Romano, 8 Novembre 2008
6) 07/11/2008 13:23 – VATICANO - Papa: nei trapianti ci sia un’“etica della donazione” e no a logica di mercato e abusi - Prima di tutto ci sia il rispetto della persona. I traffici di organi sono “abominevoli”, così come l’idea di considerare l'embrione come "materiale terapeutico". Gli organi si possono prelevare solo da un cadavere, evitando ogni sospetto di arbitrio.
7) Fede e ragione in John Henry Newman e Joseph Ratzinger - Un nuovo e più ampio senso della razionalità - di Luca M. Possati, L’Osservatore Romano, 8 Novembre 2008
8) Il programma di un politico cattolico - Mercoledì scorso, 5 novembre, l'arcivescovo di Firenze, Giuseppe Betori, ha presieduto nella basilica di San Marco una concelebrazione eucaristica per il trentunesimo anniversario della morte del servo di Dio Giorgio La Pira, luminosa figura di politico cristiano, per anni sindaco del capoluogo toscano. Pubblichiamo qui di seguito ampi stralci dell'omelia pronunciata da monsignor Betori. – L’Osservatore Romano, 8 Novembre 2008
9) SCUOLA/ Quello che gli slogan non dicono: liberare le energie delle scuole autonome e paritarie -Redazione - sabato 8 novembre 2008 – IlSussidiario.net
10) SOCIETA'/ Cresce l'allarme droghe in Italia, si compra anche online: a quando una vera campagna educativa? - Redazione - sabato 8 novembre 2008 – Il Sussidiario.net
11) SCIENZA &VITA - «Alimentazione e idratazione sono sostegno vitale ineliminabile, le volontà del paziente sono espresse nell’alleanza terapeutica e non sono vincolanti, al medico spetta l’ultima parola» - Legge sul fine vita «Tre i punti fermi» - Roccella: partire dai pareri del Comitato per la bioetica Castagnetti e Binetti: regole chiare e impegno culturale - DA ROMA PIER LUIGI FORNARI – Avvenire, 8 novembre 2008
Preoccupano le politiche antivita del nuovo presidente degli USA - Con Obama aborto per tutti - Obama aveva promesso di firmare entro i primi 100 giorni di mandato il Freedom of Choice Act, la legge sull’aborto che permetterà a tutte le donne di abortire in ogni momento della gravidanza, in qualsiasi Stato e a ogni età, anche al di sotto dei 18 anni…
Barack Obama è il quarantaquattresimo Presidente degli Stati Uniti. Il primo afroamericano che entra nella Casa Bianca. Molti parlano già di un evento che segna la storia. In realtà, da molti mesi, la vittoria del candidato democratico era data per scontata, indipendentemente dalla personalità del candidato stesso.
Dopo sei anni di guerra in Irak e Afghanistan ed una crisi finanziaria che sta facendo sparire investimenti e risparmi, l’eventualità di una vittoria repubblicana era diventata sempre più “mission impossible”. C’è stato un solo momento in cui i sondaggi hanno dato qualche chance al canditato John McCain, quando ha presentato la vicepresidente Sarah Palin, la quale però non poteva da sola ribaltare le sorti già segnate della campagna elettorale. C’è curiosità nel vedere come Obama affronterà la crisi finanziaria, sicuramente il dollaro tornerà a crescere ed i prezzi delle merci americane aumenteranno. Non si prevedono grandi cambiamenti in politica estera né nella politica dei commerci internazionali. Quello che veramente cambierà, rispetto all’amministrazione Bush, sarà la politica relativa alla difesa della vita nascente. Obama infatti è un convinto sostenitore dell’aborto. Già nel 2007 Barack Obama annunciò che se eletto presidente, la prima cosa che avrebbe fatto sarebbe stata quella di firmare il Freedom of Choice Act, la legge sull'aborto. Essa permetterà a tutte le donne di abortire in ogni momento della gravidanza, in qualsiasi Stato e ad ogni età, anche al di sotto dei 18 anni. Inoltre verrebbe eliminata la legge sull'aborto a nascita parziale, che definisce un reato partorire un bambino vivo e ucciderlo alla nascita e la possibilità ai medici di appellarsi all'obiezione di coscienza per rifiutarsi di eseguire aborti. In merito alla legge che regola l’aborto negli Stati Uniti (Supreme Court Roe v. Wade), Obama ha più volte dichiarato, e lo ha scritto anche nelle pagine del sito del Partito democratico di Chicago, che “è la legge più importante per difendere il diritto alla donna di scegliere”. “In tutta la mia carriera - ha sottolineato Obama- sono stato un convinto sostenitore della ‘giustizia riproduttiva’ insieme all’associazione Planned Parenthood e alla NARAL Pro-Choice America”. La Planned Parenthood è la più diffusa e radicale sostenitrice degli aborti e delle politiche antivita negli USA e nel mondo. La NARAL Pro-Choice è l’associazione che ha promosso e sostenuto tutte le battaglie politiche per il libero accesso all’aborto negli Stati Uniti. ”Quando nel South Dakota è passata la legge che impedisce l’aborto – ha spiegato Obama – sono stato l’unico candidato presidenziale ad oppormi”. “Quando le organizzazioni pro-vita hanno cercato di opporsi all’apertura di una clinica per aborti della Planned Parenthood in Illinois, - ha precisato il neo Presidente - sono stato l’unico candidato presidenziale a difendere la Planned Parenthood”. Obama ha ribadito il suo impegno a firmare la legge per il libero aborto “Freedom of Choice Act” ed ha sostenuto vivacemente tutte le campagne di controllo delle nascite, propagandando la diffusione di ogni tipo di contraccettivo. Secondo l’U. S. Census Bureau, l’eventuale attuazione della Freedom of Choice Act” incrementereà il numero di aborti di almeno 125. 000 per anno. Attualmente negli Stati Uniti gli aborti sono 1, 3 milioni ogni anno. Anche dal punto di vista internazionale le politiche antivita di Obama, preoccupano assai. Con la maggioranza democratica sia la Senato che alla Camera, il neo presidente ricomincerà a fornire ingenti fondi alle associazioni che praticano, aborti, sterilizzazioni e controllo demografico nel mondo. Fondi che l’amministrazione Bush aveva tagliato. La presidenza Obama cambierà anche i rapporti di forza all’interno delle Nazioni Unite. Negli ultimi otto anni l’amministrazione Bush si era opposta a politiche antivita solidarizzando con la Santa Sede. Con Obama, le forze a favore della vita e della famiglia, avranno un avversario in più. Inoltre Obama sosterrà l’Internazionale Socialista impegnata in più Paesi del mondo per legalizzare l’aborto
di Antonio Gaspari
Sì alla Vita - novembre 2008
Cattolici e musulmani: conoscersi per comprendersi - I frutti del primo Seminario del Forum cattolico-musulmano - di Carmen Villa
CITTA' DEL VATICANO, venerdì, 7 novembre 2008 (ZENIT.org).- Uno spazio di dialogo, rispetto e avvicinamento tra cattolici e musulmani: è il questo il giudizio espresso dai partecipanti al primo Seminario organizzato dal Forum cattolico-musulmano.
In occasione dell'atto di chiusura, tenutosi questo giovedì sera presso la Pontificia Università Gregoriana di Roma, il cardinale Jean Louis Tauran, Presidente del Pontificio per il Dialogo Interreligioso, ha sottolineato alcuni punti della storica Dichiarazione comune firmata dai rappresentanti delle due religioni.
“Crediamo che i cattolici e i musulmani sono chiamati a essere strumenti di amore e di armonia tra i credenti e per tutta l'umanità in generale, rinunciando a qualsiasi oppressione, violenza aggressiva e atti terroristici, in particolare quelli perpetrati in nome della religione, e preservando la giustizia per tutti”, ha detto il porporato francese citando la Dichiarazione.
L'incontro, svoltosi dal 4 al 6 novembre, era culminato poche ore prima con l'udienza dal Papa Benedetto XVI. All'evento hanno preso parte 24 rappresentanti e 5 consiglieri di ciascuna delle due religioni.
Il Seminario, organizzato dal Pontificio per il Dialogo Interreligioso e dai firmatari della lettera aperta “Una parola comune” (http://www.acommonword.com), ha riunito per la prima volta alti esponenti dei diversi orientamenti dell'Islam (sunniti, sciiti e altri) provenienti da diversi Paesi.
Tra questi, nelle vesti di consigliere, ha partecipato anche il professore libanese Joseph Maila, docente della Facoltà di Scienze Sociali ed Economiche presso l'Istituto Cattolico di Parigi, il quale ha assicurato che la religione “non puo' essere un principio di discriminazione”, perché è “la forza che conduce alla pace”.
Per questo ciascun credente, ha commentato durante la sessione pubblica del Seminario, è “responsabile di ciò che viene commesso in nome della religione”, e si trova costantemente “sotto lo sguardo di Dio”.
Il professore ha concluso il suo intervento affermando che “l'amore di Dio viene dal fatto che Dio è padre e l'amore del Padre non si impone”.
Da parte sua la professoressa canadese Ingrid Mattson, direttrice della Società Islamica del Nord America, ha assicurato di aver sentito su di sé, durante i lavori assembleari, “la mano di Dio”, dicendosi inoltre contenta per l'udienza concessa dal Santo Padre.
“Nessuno puo' credere se non ama suo fratello come se stesso”, ha dichiarato.
Dall'altro lato, ha avvertito che il dialogo “deve fondarsi sulla carità e non sul proselitismo” e che ora occorre intraprendere un lungo cammino di lavoro e avvicinamento perché “una semplice conferenza non puo' sistemare ogni cosa”.
I punti di vista dei partecipanti
Tra i 24 partecipanti di religione musulmana era presente anche l'imam Yahya Pallavicini, Vicepresidente della CO.RE.IS. (Comunità Religiosa Islamica) d'Italia, che in alcune dichiarazioni a ZENIT ha sottolineato tra i frutti dell'incontro quello di essere riusciti a “unire la teologia con la ricaduta pratica e quindi di essere riusciti a non fare soltanto un dialogo teologico che rimane astratto né un discorso pragmatico che va nel sociale”.
In merito alla violenza interreligiosa, Pallavicini ha assicurato che questa è causata dall' "ignoranza reciproca". Quando mancano "libertà, responsabilità e senso di fratellanza, si genera una violenza gratuita".
Per evitare questo, ha continuato, dobbiamo “unirci insieme per condannare sia ogni tipo di violenza, quando viene utilizzata la religione, e cercare di garantire con azioni educative un migliore rispetto di tutte le diversità e della dignità umana”.
Tra i rappresentanti di parte cattolica c'era anche Ilaria Morali, docente incaricata di Teologia Dogmatica presso la Pontificia Università Gregoriana, la quale ha indicato tra i passi avanti la “crescente fiducia reciproca che è il presupposto per qualunque dialogo".
"Se si ha paura dell'altro non si è neppure liberi o sereni di parlare di se stessi", ha riconosciuto.
Esiste da entrambe le parti un desiderio di conoscersi e "come in ogni cammino umano, si inizia accettando che ci siano delle difficoltà".
La Morali ha quindi assicurato che le due religioni hanno in comune la missione di “portare Dio al centro della vita del nostro mondo per leggere alla luce di Dio il nostro tempo”, “senza però cadere in divisioni troppo secolariste” che attentano alla "vocazione di ciascun uomo".
La finalità dell'Amministrazione di sostegno è tutelare gli incapaci - A Modena un 50enne ha ottenuto un testamento biologico per decreto
MADRID, venerdì, 7 novembre 2008 (ZENIT.org).- Il 5 novembre scorso, il giudice tutelare del Tribunale di Modena, Guido Stanzani, ha pronunciato un decreto con il quale ha accolto la richiesta di un libero professionista modenese, di circa 50 anni, ancora in ottime condizioni di salute, di nominare la moglie “proprio Amministratore di sostegno”, e cioè “garante delle sue volontà di fine vita”, “in caso di malattia terminale o irreversibile”.
Nel commentare a ZENIT questo provvedimento, il prof. Alberto Gambino, Ordinario di Diritto privato all'Università Europea di Roma, ha detto che “secondo il Codice civile italiano, l'Amministrazione di sostegno è una misura di 'protezione delle persone prive in tutto o in parte di autonomia', con la quale si prevede l'assistenza a chi non può provvedere ai propri interessi (Libro I - Titolo XII)”.
“Come ancora oggi si insegna nella nostra scuola primaria – ha continuato –, l'espressione 'proteggere' significa 'fare da riparo', 'difendere', e la parola persona indica l'essere umano”.
Dalle cronache di questi giorni, invece, “emerge che il giudice tutelare del Tribunale di Modena sembra ritenere che l'Amministratore di sostegno possa autorizzare scelte di impedimento alla cura o al sostentamento della persona”.
A questo proposito, il prof. Gambino ha commentato che “l'istituto dell'Amministrazione di sostegno – e, nel diritto, 'amministrazione' significa 'l'esercizio di affari propri o altrui' – introdotto per tutelare e assistere gli incapaci finisce così per piegarsi all'obiettivo di rendere la vita e la salute delle persone quali beni giuridici disponibili”.
“Ciò che lascia poi l'amaro in bocca – ha proseguito – è che questa inaccettabile interpretazione tradisce lo spirito dell'istituto dell'Amministrazione di sostegno, alla cui promozione – come ben ricorderà il collega prof. Paolo Cendon, ispiratore delle norme – hanno partecipato giuristi di diverse opzioni culturali, credenti e non credenti, nella chiara consapevolezza che si trattasse di un Istituto, appunto, di sostegno delle persone in situazioni di debolezza e non uno strumento di legittimazione di pratiche di abbandono terapeutico”.
“Certamente – ha poi concluso – anche questa decisione è figlia dello stesso humus culturale del pur solitario orientamento giurisprudenziale relativo alla vicenda Englaro, dove al centro delle opzioni ordinamentali non c'è più la persona, ma la sua volontà, nel caso addirittura presunta e senza limite alcuno”.
Benedetto XVI: la solitudine è il paradosso della globalizzazione - I pericoli? La frammentazione e la confusione morale
CITTA' DEL VATICANO, venerdì, 7 novembre 2008 (ZENIT.org).- Benedetto XVI ha affermato questo venerdì che il grande paradosso e dramma della globalizzazione, frutto spesso delle nuove possibilità offerte dalla globalizzazione, sta nella solitudine che attanaglia sempre più persone.
In questo nuovo contesto sociale, il Papa, ricevendo le lettere credenziali del nuovo Ambasciatore della Lituania presso la Santa Sede, Vytautas Alisauskas, ha riconosciuto che i “pericoli affrontati dalla società odierna” sono la “frammentazione e la confusione morale”.
“È sia un paradosso sia una tragedia – ha detto parlando in inglese – che in questa era di globalizzazione, quando le possibilità di comunicazione e di interazione con gli altri hanno raggiunto un livello che le generazioni precedenti non avrebbero quasi neanche potuto immaginare, così tante persone si sentano isolate e tagliate fuori”.
“Ciò causa molti problemi sociali che non si possono risolvere soltanto sul piano politico, poiché anche le migliori strutture 'funzionano soltanto se in una comunità sono vive delle convinzioni che siano in grado di motivare gli uomini a una libera adesione all'ordinamento comunitario'”, ha aggiunto citando la sua enciclica Spe salvi (n. 24).
In questo senso, ha spiegato il Vescovo di Roma, “la Chiesa deve svolgere un ruolo importante attraverso il messaggio di speranza che proclama”.
“Essa cerca di edificare una civiltà dell'amore, insegnando che 'Dio è amore' ed esortando le persone di buona volontà a instaurare un rapporto amorevole con Lui”, ha quindi sottolineato.
Poiché “dall'amore verso Dio consegue la partecipazione alla giustizia e alla bontà di Dio verso gli altri”, ha aggiunto, “la pratica del cristianesimo conduce naturalmente alla solidarietà con i propri concittadini e, di fatto, con tutta la famiglia umana”.
“Essa porta alla determinazione di servire il bene comune e di assumersi la responsabilità dei membri più deboli della società”, oltre a frenare “il desiderio di accumulare ricchezza soltanto per se stessi”.
“La nostra società – ha quindi concluso – deve superare l'attrazione per i beni materiali e concentrarsi invece su valori che promuovano veramente il bene della persona umana”.
Il Papa ai partecipanti al congresso internazionale sul tema della donazione di organi - Nessun arbitrio o incertezza nell'accertare la morte - La donazione di organi è "una forma particolare di testimonianza della carità", ma non devono esserci arbitrii o incertezze nell'accertamento della morte del paziente donatore. Lo ha affermato il Papa incontrando venerdì mattina, 7 novembre, i partecipanti a un congresso internazionale promosso dalla Pontificia Accademia per la Vita. – L’Osservatore Romano, 8 Novembre 2008
Venerati Confratelli nell'Episcopato, Illustri Signori e Signore!
La donazione di organi è una forma peculiare di testimonianza della carità. In un periodo come il nostro, spesso segnato da diverse forme di egoismo, diventa sempre più urgente comprendere quanto sia determinante per una corretta concezione della vita entrare nella logica della gratuità. Esiste, infatti, una responsabilità dell'amore e della carità che impegna a fare della propria vita un dono per gli altri, se si vuole veramente realizzare se stessi. Come il Signore Gesù ci ha insegnato, solamente colui che dona la propria vita potrà salvarla (cfr. Lc 9, 24). Nel salutare tutti i presenti, con un particolare pensiero per il Senatore Maurizio Sacconi, Ministro del Lavoro, della Salute e Politiche Sociali, ringrazio l'Arcivescovo Mons. Rino Fisichella, Presidente della Pontificia Accademia per la Vita, per le parole che mi ha rivolto, illustrando il profondo significato di questo incontro e presentando la sintesi dei lavori congressuali. Insieme con lui, ringrazio anche il Presidente dell'International Federation of Catholic Medical Associations e il Direttore del Centro Nazionale Trapianti, sottolineando con apprezzamento il valore della collaborazione di tali Organismi in un ambito come quello del trapianto degli organi che è stato oggetto, illustri Signori e Signore, delle vostre giornate di studio e di dibattito.
La storia della medicina mostra con evidenza i grandi progressi che si sono potuti realizzare per permettere una vita sempre più degna ad ogni persona che soffre. I trapianti di tessuti e di organi rappresentano una grande conquista della scienza medica e sono certamente un segno di speranza per tante persone che versano in gravi e a volte estreme situazioni cliniche. Se il nostro sguardo si allarga al mondo intero è facile individuare i tanti e complessi casi in cui, grazie alla tecnica del trapianto di organi, molte persone hanno superato fasi altamente critiche e sono state restituite alla gioia di vivere. Questo non sarebbe mai potuto avvenire se l'impegno dei medici e la competenza dei ricercatori non avessero potuto contare sulla generosità e sull'altruismo di quanti hanno donato i loro organi. Il problema della disponibilità di organi vitali da trapianto, purtroppo, non è teorico, ma drammaticamente pratico; esso è verificabile nella lunga lista d'attesa di tanti malati le cui uniche possibilità di sopravvivenza sono legate alle esigue offerte che non corrispondono ai bisogni oggettivi.
È utile, soprattutto nel contesto odierno, ritornare a riflettere su questa conquista della scienza, perché non avvenga che il moltiplicarsi delle richieste di trapianto abbia a sovvertire i principi etici che ne stanno alla base. Come ho detto nella mia prima Enciclica, il corpo non potrà mai essere considerato un mero oggetto (cfr. Deus caritas est, n. 5); la logica del mercato, altrimenti, avrebbe il sopravvento. Il corpo di ogni persona, insieme con lo spirito che è dato ad ognuno singolarmente, costituisce un'unità inscindibile in cui è impressa l'immagine di Dio stesso. Prescindere da questa dimensione conduce verso prospettive incapaci di cogliere la totalità del mistero presente in ognuno. È necessario, quindi, che in prima istanza si ponga il rispetto per la dignità della persona e la tutela della sua identità personale. Per quanto riguarda la tecnica del trapianto di organi, ciò significa che si può donare solamente se non è mai posto in essere un serio pericolo per la propria salute e la propria identità e sempre per un motivo moralmente valido e proporzionato. Eventuali logiche di compravendita degli organi, come pure l'adozione di criteri discriminatori o utilitaristici, striderebbero talmente con il significato sotteso del dono che si porrebbero da sé fuori gioco, qualificandosi come atti moralmente illeciti. Gli abusi nei trapianti e il loro traffico, che spesso toccano persone innocenti quali i bambini, devono trovare la comunità scientifica e medica prontamente unite nel rifiutarli come pratiche inaccettabili. Esse pertanto vanno decisamente condannate come abominevoli. Lo stesso principio etico va ribadito quando si vuole giungere alla creazione e distruzione di embrioni umani destinati a scopo terapeutico. La semplice idea di considerare l'embrione come "materiale terapeutico" contraddice le basi culturali, civili ed etiche su cui poggia la dignità della persona.
Avviene spesso che la tecnica del trapianto di organi si compia per un gesto di totale gratuità da parte dei parenti di pazienti di cui è stata accertata la morte. In questi casi, il consenso informato è condizione previa di libertà, perché il trapianto abbia la caratteristica di un dono e non sia interpretato come un atto coercitivo o di sfruttamento. È utile ricordare, comunque, che i singoli organi vitali non possono essere prelevati che ex cadavere, il quale peraltro possiede pure una sua dignità che va rispettata. La scienza, in questi anni, ha compiuto ulteriori progressi nell'accertare la morte del paziente. È bene, quindi, che i risultati raggiunti ricevano il consenso dall'intera comunità scientifica così da favorire la ricerca di soluzioni che diano certezza a tutti. In un ambito come questo, infatti, non può esserci il minimo sospetto di arbitrio e dove la certezza ancora non fosse raggiunta deve prevalere il principio di precauzione. È utile per questo che si incrementi la ricerca e la riflessione interdisciplinare in modo tale che la stessa opinione pubblica sia messa dinanzi alla più trasparente verità sulle implicanze antropologiche, sociali, etiche e giuridiche della pratica del trapianto. In questi casi, comunque, deve valere sempre come criterio principale il rispetto per la vita del donatore così che il prelievo di organi sia consentito solo in presenza della sua morte reale (cfr. Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 476). L'atto d'amore che viene espresso con il dono dei propri organi vitali permane come una genuina testimonianza di carità che sa guardare al di là della morte perché vinca sempre la vita. Del valore di questo gesto dovrebbe essere ben cosciente il ricevente; egli è destinatario di un dono che va oltre il beneficio terapeutico. Ciò che riceve, infatti, prima ancora di un organo è una testimonianza di amore che deve suscitare una risposta altrettanto generosa, così da incrementare la cultura del dono e della gratuità.
La via maestra da seguire, fino a quando la scienza giunga a scoprire eventuali forme nuove e più progredite di terapia, dovrà essere la formazione e la diffusione di una cultura della solidarietà che si apra a tutti e non escluda nessuno. Una medicina dei trapianti corrispondente a un'etica della donazione esige da parte di tutti l'impegno per investire ogni possibile sforzo nella formazione e nell'informazione, così da sensibilizzare sempre più le coscienze verso una problematica che investe direttamente la vita di tante persone. Sarà necessario, pertanto, fugare pregiudizi e malintesi, dissipare diffidenze e paure per sostituirle con certezze e garanzie in modo da permettere l'accrescersi in tutti di una sempre più diffusa consapevolezza del grande dono della vita.
Con questi sentimenti, mentre auguro a ciascuno di continuare nel proprio impegno con la dovuta competenza e professionalità, invoco l'aiuto di Dio sui lavori del Congresso ed imparto a tutti di cuore la mia Benedizione.
(©L'Osservatore Romano - 8 novembre 2008)
07/11/2008 13:23 – VATICANO - Papa: nei trapianti ci sia un’“etica della donazione” e no a logica di mercato e abusi - Prima di tutto ci sia il rispetto della persona. I traffici di organi sono “abominevoli”, così come l’idea di considerare l'embrione come "materiale terapeutico". Gli organi si possono prelevare solo da un cadavere, evitando ogni sospetto di arbitrio.
Città del Vaticano (AsiaNews) – I trapianti di organi rappresentano un importante progresso della scienza medica e per questo vanno sostenuti, ma essi debbono rispondere ad una “etica della donazione” e vanno respinti sia le logiche utilitaristiche, che arrivano all’“abominevole” mercato degli organi, sia qualsiasi forma di arbitrio. E’ il punto dell’atteggiamento della Chiesa verso le questioni legate ai trapianti di organi il discorso che Benedetto XVI ha rivolto oggi ai partecipanti al congresso internazionale promosso dalla Pontificia accademia per la vita, in collaborazione con la Federazione internazionale delle Associazioni mediche cattoliche e il Centro nazionale trapianti, sul tema: “Un dono per la vita. Considerazioni sulla donazione di organi”, che si sta svolgendo a Roma.
La donazione di organi è, prima di tutto, “una forma peculiare di testimonianza della carità”. Al tempp stesso i trapianti “rappresentano una grande conquista della scienza medica e sono certamente un segno di speranza per tante persone che versano in gravi e a volte estreme situazioni cliniche. Se il nostro sguardo si allarga al mondo intero è facile individuare i tanti e complessi casi in cui, grazie alla tecnica del trapianto di organi, molte persone hanno superato fasi altamente critiche e sono state restituite alla gioia di vivere”.
Ma di fronte al problema “drammaticamente pratico” dell’aumento della richiesta di organi, occorre “ritornare a riflettere su questa conquista della scienza, perché non avvenga che il moltiplicarsi delle richieste di trapianto abbia a sovvertire i principi etici che ne stanno alla base”. Ed il primo, ricordato dal Papa, è che “il corpo non potrà mai essere considerato un mero oggetto; la logica del mercato, altrimenti, avrebbe il sopravvento. Il corpo di ogni persona, insieme con lo spirito che è dato ad ognuno singolarmente, costituisce un'unità inscindibile in cui è impressa l'immagine di Dio stesso. Prescindere da questa dimensione conduce verso prospettive incapaci di cogliere la totalità del mistero presente in ognuno. E' necessario, quindi, che in prima istanza si ponga il rispetto per la dignità della persona e la tutela della sua identità personale”.
“Per quanto riguarda la tecnica del trapianto di organi, ciò significa che si può donare solamente se non è mai posto in essere un serio pericolo per la propria salute e la propria identità e sempre per un motivo moralmente valido e proporzionato. Eventuali logiche di compravendita degli organi, come pure l'adozione di criteri discriminatori o utilitaristici, striderebbero talmente con il significato sotteso del dono che si porrebbero da sé fuori gioco, qualificandosi come atti moralmente illeciti. Gli abusi nei trapianti e il loro traffico, che spesso toccano persone innocenti quali i bambini, devono trovare la comunità scientifica e medica prontamente unite nel rifiutarli come pratiche inaccettabili. Esse pertanto vanno decisamente condannate come abominevoli. Lo stesso principio etico va ribadito quando si vuole giungere alla creazione e distruzione di embrioni umani destinati a scopo terapeutico. La semplice idea di considerare l'embrione come "materiale terapeutico" contraddice le basi culturali, civili ed etiche su cui poggia la dignità della persona”.
Sempre nell’ambito della “tecnica del trapianto” Benedetto XVI ha sottolineato l’importanza del
“consenso informato”, come “condizione previa di libertà, perché il trapianto abbia la caratteristica di un dono e non sia interpretato come un atto coercitivo o di sfruttamento”. La Chiesa dice inoltre che gli organi possono essere espiantatai solo da un cadavere e che anche quest’ultimo “possiede pure una sua dignità che va rispettata. La scienza, in questi anni, ha compiuto ulteriori progressi nell'accertare la morte del paziente. E' bene, quindi, che i risultati raggiunti ricevano il consenso dall'intera comunità scientifica così da favorire la ricerca di soluzioni che diano certezza a tutti.
In un ambito come questo, infatti, non può esserci il minimo sospetto di arbitrio e dove la certezza ancora non fosse raggiunta deve prevalere il principio di precauzione”. E “comunque, deve valere sempre come criterio principale il rispetto per la vita del donatore così che il prelievo di organi sia consentito solo in presenza della sua morte reale”.
Colui che riceve gli organi poi, dovrebbe essere cosciente di ricevere “un dono che va oltre il beneficio terapeutico. Ciò che riceve, infatti, prima ancora di un organo è una testimonianza di amore che deve suscitare una risposta altrettanto generosa, così da incrementare la cultura del dono e della gratuità”.
“La via maestra da seguire, fino a quando la scienza giunga a scoprire eventuali forme nuove e più progredite di terapia, dovrà essere la formazione e la diffusione di una cultura della solidarietà che si apra a tutti e non escluda nessuno. Una medicina dei trapianti corrispondente a un'etica della donazione esige da parte di tutti l'impegno per investire ogni possibile sforzo nella formazione e nell'informazione, così da sensibilizzare sempre più le coscienze verso una problematica che investe direttamente la vita di tante persone. Sarà necessario, pertanto, fugare pregiudizi e malintesi, dissipare diffidenze e paure per sostituirle con certezze e garanzie in modo da permettere l'accrescersi in tutti di una sempre più diffusa consapevolezza del grande dono della vita”.
Fede e ragione in John Henry Newman e Joseph Ratzinger - Un nuovo e più ampio senso della razionalità - di Luca M. Possati, L’Osservatore Romano, 8 Novembre 2008
"Con tutta la gioia di fronte alle possibilità dell'uomo, vediamo anche le minacce che emergono da queste possibilità e dobbiamo chiederci come possiamo dominarle. Ci riusciamo solo se ragione e fede si ritrovano unite in un modo nuovo".
Era il 12 settembre 2006 quando, con queste parole pronunciate nell'aula magna dell'università di Ratisbona, Benedetto XVI evocava la necessità di riscoprire l'amicizia tra fede e ragione, quella "coesione interiore nel cosmo della ragione" superiore a ogni scetticismo, autentico approdo di una critica della razionalità moderna non negativa, distruttrice, bensí capace di introdurre un allargamento del concetto stesso di ragione, dall'interno del quale ritrovare l'aspirazione umana alla verità, e quindi la ragionevolezza della fede. Proprio in quest'urgenza si manifesta con nitidezza una linea di continuità nella riflessione di Benedetto XVI, in profonda sintonia con un altro grande filosofo e teologo, ch'egli stesso definí un "modello", un "grande maestro della Chiesa": il cardinale John Henry Newman. All'importanza di un tale dialogo per la Chiesa di oggi, alla sua immensa utilità per far fronte alle sfide lanciate da quella che in tanti chiamano postmodernità - in primis nichilismo e relativismo, con tutte le loro ripercussioni sociali, etiche ed economiche, come confermato dalla più stringente attualità - è stato dedicato l'incontro "Fede e ragione" tenutosi a Roma organizzato dal Centro internazionale degli Amici di Newman - la cui direzione spetta alla Famiglia Spirituale "L'Opera" - alla presenza di numerose autorità accademiche ed ecclesiastiche, tra cui monsignor Georg Gänswein, segretario particolare di Benedetto XVI, e il rettore dell'Università Cattolica del Sacro Cuore, Lorenzo Ornaghi. Momento centrale dell'evento, la conferenza del professore Fortunato Morrone, dell'Istituto Teologico Calabro-Catanzaro, sul tema "L'urgenza di una nuova amicizia tra fede e ragione secondo John Newmann e Benedetto XVI".
La questione del dialogo tra fede e ragione investe la vita stessa dell'uomo nella sua estrema concretezza. La fede non è una serie di dottrine separate, da apprendere a memoria, tanto meno un sentimento. È invece un movimento di tutta l'esistenza umana. Questo è un punto molto chiaro, sia per Benedetto XVI che per Newman: in una prospettiva più ampia, fede e ragione non possono entrare in conflitto, ma convergono spontaneamente verso una sola verità.
"Per i cristiani - ha spiegato Morrone - la passione per la verità scaturisce dall'incontro con Gesù Cristo, che è il senso profondo della nostra vita e dignità. La rivelazione va accolta come sorgente inesauribile di verità. Lo stesso Benedetto XVI ha sottolineato che l'unico mezzo attraverso il quale possiamo pensare in maniera proficua la ragione è la fede, contro ogni uso distorto, ogni applicazione di schemi vuoti, inutili, spesso invocati dagli stessi credenti".
Legati da una comune familiarità con l'opera di sant'Agostino, Newman e Benedetto XVI riconoscono l'importanza delle grandiose possibilità che il progresso della scienza ha aperto all'uomo moderno. Queste non vanno affatto rifiutate. Dio non chiede all'uomo di sacrificare la propria ragione. Il punto è che quest'ultimo si realizza davvero soltanto se fede e ragione si parlano, entrano in dialogo. La scienza stessa, con la sua volontà di obbedienza alla verità, porta in sé un interrogativo che la trascende. Solo così diventa possibile uno scambio tra culture diverse che possa essere pieno di frutti per il futuro dell'umanità. "Il Papa - ha aggiunto Morrone - spinge verso una visione molto più concreta di quella degli empiristi. Rinnegando la fede, l'illuminismo ha appiattito la ragione su uno sterile scientismo, su ciò che è verificabile nell'esperimento; al contrario, un corretto uso della ragione non può che portare alla fede".
Il problema centrale di Newman ne La grammatica dell'assenso (1870) è la scoperta di un nuovo e più ampio senso della razionalità: possibile credere in qualcosa e non essere capaci di provarlo? Come la mente ha bisogno della percezione, così la fede ha bisogno della coscienza, dell'interiorità quale via maestra per raggiungere l'Assoluto. "La centralità del concetto di coscienza in Newman - scrive Joseph Ratzinger - deriva dalla centralità del concetto di verità e in base ad essa si può comprendere".
Infatti, per Newman "il decidersi della fede non è diverso dal decidersi della ragione - ha spiegato Morrone - piuttosto, il primo spinge il secondo a guardare più in alto, al di là di ogni scetticismo". Contro la visione empirista di stampo humeano - per evitare, non solo le derive opposte del materialismo positivistico e del cieco fideismo, ma altresì l'ideale laico della tolleranza, che non significa vero dialogo ma tranquilla convivenza e reciproca sopportazione - Newman propone uno scavo paziente, tenace e aderente alla realtà data per rintracciare le radici a cui si àncora l'itinerario dell'uomo, dalla prima consapevolezza alle forme più complesse dell'intuizione, che da ultimo si proiettano al di là dell'orizzonte stesso del mondo presente.
"Newman parla della fede come origine dello spirito filosofico - ha commentato Morrone - in effetti, che cosa può temere la scienza dal cristianesimo, che fin dal principio si pone come religione del lògos, della ragione creatrice, aperta a tutto quel che è veramente razionale?".
(©L'Osservatore Romano - 8 novembre 2008)
Commemorato a Firenze Giorgio La Pira
Il programma di un politico cattolico - Mercoledì scorso, 5 novembre, l'arcivescovo di Firenze, Giuseppe Betori, ha presieduto nella basilica di San Marco una concelebrazione eucaristica per il trentunesimo anniversario della morte del servo di Dio Giorgio La Pira, luminosa figura di politico cristiano, per anni sindaco del capoluogo toscano. Pubblichiamo qui di seguito ampi stralci dell'omelia pronunciata da monsignor Betori. – L’Osservatore Romano, 8 Novembre 2008
Mi pare una coincidenza particolarmente significativa che, all'inizio del mio ministero pastorale a Firenze, mi sia dato in questo giorno di presiedere la celebrazione del 31° anniversario della morte di Giorgio La Pira, straordinaria figura di cristiano, terziario domenicano fedelissimo alla sua consacrazione, sindaco di Firenze, profeta e costruttore di pace e di unità tra i popoli, figura eccelsa di santità in questa Chiesa. Qui, nella basilica di San Marco, giustamente riposano le spoglie mortali di La Pira, la cui memoria quest'anno viene celebrata "nel segno della fratellanza tra i popoli". Questa fratellanza è, secondo La Pira, vocazione comune sia della Chiesa fiorentina sia della città di Firenze Giorgio La Pira è un convertito. La chiamata l'ha sentita nel pieno della sua giovinezza: nel 1924, a vent'anni, come annota sulla prima pagina del Digesto di Giustiniano, lo strumento di lavoro fondamentale per i suoi studi di romanistica. "A vent'anni; epoca di luce e inizio di unione al Maestro". Da questo incontro si deve necessariamente partire per comprendere chi è La Pira, qual è il suo vero segreto. La Pira è un discepolo del Signore, il titolo più alto cui un cristiano può e deve aspirare. La Pira risponde di sì al Signore che lo chiama ed è un sì totale, senza incertezze, al quale rimane fedele sempre. In questo incontro con Cristo, La Pira conquista la vera libertà, che lo conduce all'assoluto distacco da ogni vincolo. Anche rimanere nello stato laico, non scegliere il sacerdozio, sembra rispondere a questa esigenza: servire il vangelo nel modo più umile, più libero. La lettera a una suora del Carmelo di Careggi nella Pasqua del 1933, la quale ha letto un suo articolo e ha creduto che fosse stato scritto da un sacerdote, rivela questo amore a Cristo senza condizioni: "Io non sono sacerdote, come ella ha supposto, Gesù non ha voluto e non vuole queste cose da me. Sono solo un giovane cui Gesù ha fatto una grazia grande: il desiderio sconfinato di amarlo e di farsi sconfinatamente amare". La Pira vuole rimanere laico perché essere laico gli assicura una maggiore possibilità di annunciare il vangelo ubi Christus non est nominatus. Unico accredito la professionalità: "Essere laici che si distinguono per una professionalità rigorosa", scrive. "L'eccellenza professionale come lettera di accredito nella società". Lasciandosi guidare unicamente dallo Spirito, La Pira plasma la sua anima mistica e vive misticamente l'intera sua vita. Scrivendo nel 1938 a padre Agostino Gemelli, assistente spirituale dei missionari della Regalità, l'istituto secolare al quale La Pira ha subito aderito, dice: "Sono trascorsi dieci anni da che per la prima volta... si parlò di questo dolce ideale della consacrazione a Dio. Allora avevo 24 anni e avevo - come per grazia divina ho ancora - il cuore innamorato di Cristo: sentivo con più energia di ora tutta la bellezza di una vita consacrata unicamente a questo fine: l'amore infinito di Dio e di Cristo... L'esperienza di questi dieci anni non mi ha deluso: mi sembra divinamente bello questo vagare libero per amore di Cristo; unica regola: la carità...". Il brano della Lettera ai Colossesi, proclamato come prima lettura, richiama il tema sotto il quale si pone la celebrazione di questo anno: la fraternità fra i popoli. Questo brano - il Cristo tutto in tutti - insieme al testo della Lettera agli Efesini 4, 11 (in aedificationem corporis Christi), come egli amava dire citando in latino, è fondamentale nella visione di La Pira, sia del La Pira vincenziano, sulle orme di Ozanam, che rimane sua vocazione specifica, sia del La Pira uomo politico. I biografi narrano di un'illuminazione ricevuta nell'Epifania del 1951, mentre assisteva alla messa nella Chiesa Nuova a Roma. Ne parla La Pira stesso in una lettera alle claustrali dieci anni dopo: come il Signore abbia voluto affidare a lui, ormai impegnato nella vita pubblica, già con un'esperienza alle spalle nell'Assemblea costituente, nel Parlamento, e poi nel Governo, una particolare missione per l'unità e la pace dei popoli. È la sua visione teologica. La Pira amava anche richiamarsi al discorso di Gesù nella sinagoga di Nazaret: "A Nazaret nel "suo discorso programmatico" (il primo!) il Signore indica "le frontiere di Isaia", "la Terra promessa" dell'unità, della pace, della liberazione da ogni oppressione dei popoli di tutta la terra. Il cammino della storia, sotto il segno vivificante e orientatore dello Spirito Santo, di Cristo Risorto, della Chiesa, avrà, come suo punto terminale, la pace, l'unità e la promozione e liberazione terrestre dei popoli". Questo è il vero programma del La Pira politico. Essere promotore di unità e di pace nel nome del Vangelo. C'è da chiedersi quali gesti e iniziative avrebbe ideato per reagire alle morti di tanti cristiani nel mondo, in specie nell'Asia, in spregio a quel fondamentale diritto umano e dei popoli che è la libertà religiosa! Le nostre flebili voci di oggi sono del tutto inadeguate ai suoi orizzonti smisurati e coraggiosi. È stato un politico La Pira? Sì! Ha cercato di dare un'anima alla politica. Mi pare bello quello che scrisse su di lui Carlo Bo: "La Pira è passato, sì, come una meteora nel cielo della politica che era indegna di lui, ma è stato, per altro verso, il simbolo di un'altra e più alta ragione: anche un santo può fare politica". Essere presenti alle vicende del mondo è fondato per Giorgio La Pira su una convinzione profonda dell'unità tra la dimensione interiore del credente e il suo spendersi nella storia. Lo diceva con parole ancora una volta solo apparentemente paradossali: "Credevamo che bastassero le mura silenziose dell'orazione! Credevamo che chiusi nella fortezza interiore della preghiera noi potevamo sottrarci ai problemi sconvolgitori del mondo; e invece nossignore; eccoci impegnati con una realtà che ha durezze talvolta invincibili [...]. L'orazione non basta; non basta la vita interiore; bisogna che questa vita si costruisca dei canali esterni destinati a farla circolare nella città dell'uomo". La Pira consegna oggi a noi questa passione e questa missione. Nel discorso in Palazzo Vecchio in cui saluta Monsignor Florit, dopo aver passato in rassegna le date più significative della storia di Firenze, gli ricorda la vocazione e la missione (oggi ancora più di ieri) della Chiesa di Firenze e, correlativamente, della città di Firenze. "Rendere sane - col sale della grazia e col sale della verità, della civiltà, della bellezza, della giustizia e della pace - le acque non solo dell'Arno, ma (in certa misura ed entro certi limiti) di tutti i fiumi che bagnano le città di tutta la terra!". Spes contra spem ci ripete anche oggi La Pira: "Sperare contro ogni speranza è un atto di fede che Dio benedice quando si tratta di affermare fra tutti gli uomini il vincolo di fraternità che li unisce al comune Padre Celeste!".
(©L'Osservatore Romano - 8 novembre 2008)
SCUOLA/ Quello che gli slogan non dicono: liberare le energie delle scuole autonome e paritarie -Redazione - sabato 8 novembre 2008 – IlSussidiario. Net
Una è l'urgenza della scuola, e non è rintracciabile tra gli slogan che studenti e insegnanti hanno gridato nelle loro manifestazioni: è l'urgenza di rendere effettivamente pubblico il sistema scolastico, dato che attualmente lo è solo intenzionalmente.
Infatti dal punto di vista giuridico il nostro è un sistema pubblico; lo ha voluto Berlinguer in questo modo, quando ha ridisegnato la scuola italiana su due piloni portanti, l'autonomia e la parità. Però da allora non si è fatto un passo in avanti, e il sistema è rimasto statalista, non certo pubblico! Tant'è che le scuole paritarie sono sempre più in sofferenza, e quello che hanno per diritto non lo possono esercitare di fatto per la discriminazione economica che in questi anni non solo si è mantenuta, ma si è aggravata. Lo stesso vale per le scuole autonome, che non sono autonome, ma statali, cinghia di trasmissione di decreti, circolari, razionalizzazioni che vengono dal ministero e che loro devono pedissequamente eseguire.
Il ministro Gelmini, se non si assume la responsabilità di compiere ciò che Berlinguer ha solo tratteggiato, rischia di perpetuare il sistema statalista, con la conseguenza che non vi sarà nessun innalzamento della qualità, e anzi si andrà sempre più alla deriva, cui ci condanna un sistema con una libertà puramente intenzionale. L'occasione per una svolta c'è: da una parte è la razionalizzazione che la difficile situazione finanziaria impone e che può essere fatta non come al solito dall'alto e in modo ugualitario, ma andando a premiare ciò che nella scuola vale e a tagliare i rami secchi; dall'altra è la necessità di ripensare all'ordinamento degli studi, che può essere fatto dall'alto, oppure può essere lasciato alle scuole sia autonome sia paritarie.
Che senso ha, infatti, che sia il ministro a decidere che un Liceo sia valido con certi insegnamenti e senza sperimentazioni? Se il ministro crede a coloro che sono ogni giorno protagonisti della scuola, ebbene lasci a loro la libertà di decidere che cosa sia meglio insegnare e come. Poi lo verifichi; e non c'è verifica migliore della validità di una scuola che la libertà di sceglierla. Se il ministro non vuole procedere in questa direzione l'esito sarà una razionalizzazione dall'alto, ovvero taglierà molti rami secchi, ma anche tanti rami vivi. Il danno lo avranno insegnanti, studenti e genitori. È questa razionalizzazione che si vuole? Spero proprio di no, spero che sia una razionalizzazione che liberi le energie positive delle scuole autonome e paritarie, ovvero una razionalizzazione che ponga fine allo statalismo e avvii un sistema scolastico di fatto pubblico.
(Gianni Mereghetti)
SOCIETA'/ Cresce l'allarme droghe in Italia, si compra anche online: a quando una vera campagna educativa? - Redazione - sabato 8 novembre 2008 – Il Sussidiario.net
Lisbona, 6 novembre 2008. «Le buone notizie non mancano: sembra infatti che il consumo di sostanze stupefacenti in Europa si sia stabilizzato e si possono osservare progressi nel modo in cui gli Stati membri dell’UE affrontano la questione» hanno affermato Marcel Reimen e Wolfgang Götz, responsabili dell’Osservatorio Europeo delle Droghe e delle Tossicodipendenze, a commento della nuova Relazione annuale 2008: evoluzione del fenomeno della droga in Europa [leggi qui]. L’Italia non sembra però invitata alla festa: e non è una sorpresa.
Se nell’UE si osservano segnali di stabilizzazione o declino nel consumo di cannabis va notato che l’Italia si colloca tra i primi posti in Europa, con la Spagna, nel consumo di questa droga: l'11,2% della popolazione tra i 15 e i 64 anni ne ha fatto uso nell’ultimo anno, e il 5,8% nell’ultimo mese. Unica notazione: dal 2006 in avanti in Spagna si è avuto un rallentamento nel consumo grazie a specifiche campagne di prevenzione [leggi qui], mentre in Italia l’uso di cannabis è, come quello di tutte le droghe, in costante aumento [cfr. ilsussidiario.net]. Grave anche la situazione dell’abuso di cocaina, soprattutto tra la popolazione giovanile: se nell'ultimo anno 3,5 milioni di persone tra i 15 e i 34 anni, e 2 milioni tra i 15 e i 24 anni, ne ha fatto uso nell’UE, l’Italia si distingue ancora in negativo: nell’ultimo anno il 3,2% della popolazione italiana tra i 15 e i 34 anni l’ha consumata, avvicinando il nostro Paese ai consumi record di Spagna e Regno Unito. Secondo l’Osservatorio Europeo il costo sociale pagato dal nostro Paese a causa del consumo di sostanze illecite è rilevante: pari a circa 6473 milioni di euro, in gran parte destinati alle attività di polizia e per il resto suddivisi tra servizi sociali e sanitari, perdita di produttività dovuta ai consumatori di droga e al disagio vissuto indirettamente dalla comunità.
Particolare preoccupazione per le famiglie italiane nasce poi dall’allarme lanciato dall’Osservatorio sull’aumento di “negozi di droga on line”. Che Internet fosse il nuovo crocevia delle droghe lo aveva già sottolineato il prof. Fabrizio Schifano al Convegno “Dipendenze. Nuovi scenari e nuovi approcci. Aspetti tecnici e scientifici” tenutosi a Verona nel maggio-giugno 2007 [leggi qui]: il Web sta diventando l’avamposto dei trafficanti delle droghe sintetiche (come l’ecstasy) e delle droghe “ecologiche” (piante, funghi, erbe con qualità psicoattive). Un fatto ben recepito, e da tempo, dai produttori, dai trafficanti, e dagli esperti di marketing che ne curano gli interessi e hanno fiutato l’enorme business che si dischiude con la piazza di Internet. Il Regno Unito sembra concentrare almeno la metà di questi negozi, ma va ricordato che il pericolo per gli adolescenti italiani (soprattutto se muniti di carta di credito) è dietro l’angolo: pochi genitori e insegnanti sanno, ad esempio, che se un ragazzo cerca di raccogliere informazioni sulla cannabis in una delle note “enciclopedie” on line si imbatte facilmente in articoli che ne banalizzano l’uso, la presentano come innocua, ne vendono i semi, o invitano a manifestazioni in cui questa droga è promossa.
Di particolare interesse inoltre l’allegato, che accompagna la Relazione, Drugs and vulnerable groups of young people [leggi qui]: lo studio riassume e presenta i fattori di rischio che producono, nella vita dei bambini o degli adolescenti, l’avvicinamento all’alcol e alle sostanze stupefacenti. Tra questi fattori si sottolinea finalmente l’importanza della famiglia, vittima in Italia di una continua svalutazione, basti pensare alla tempesta che da diverse parti si abbatte su di essa, continuamente erosa dalla “fabbrica dei divorzi” come l’ha chiamata lo studioso Massimiliano Fiorin [leggi qui]. Secondo l’Osservatorio: uso di sostanze psicoattive in ambiente famigliare, abbandono, conflitto tra i coniugi, assenza di controllo e di monitoraggio sulla vita dei figli da parte dei genitori, bassi livelli di interazione tra genitori e adolescenti sono condizioni che determinano esponenzialmente il rischio di caduta negli stupefacenti.
Sta finalmente cambiando, poi, anche l’atteggiamento dei giovani europei verso le droghe: un’indagine di Eurobarometro [leggi qui] ha mostrato che una percentuale compresa tra l’81% e il 96% degli intervistati ritiene elevato il rischio connesso al consumo di sostanze quali eroina, cocaina ed ecstasy. Le opinioni riguardo al consumo di cannabis sono invece meno omogenee: Eurobarometro fa notare che, nell’Europa dei giovani, assistiamo a una posizione ancora indecisa, sebbene in netto mutamento positivo: il 67% dei giovani europei vuole che l’uso libero (legalizzazione) di marijuana e hashish venga impedito. L’Italia però rappresenta, anche rispetto alla più giudiziosa assertività mostrata dai ragazzi europei verso questa droga, il fanalino di coda: il terzultimo posto. Negli adolescenti italiani non sono cresciute infatti, rispetto agli anni passati, la percezione dei rischi e la disapprovazione dell’uso di cannabis: essa è maggiormente tollerata e considerata meno rischiosa delle altre droghe, atteggiamento privo di attenzione e responsabilità, che si manifesta soprattutto man mano che i ragazzi crescono.
Secondo l’Osservatorio, nonostante tutto, l’Italia sta tentando di colmare il ritardo (con Malta e' stata fino a poco tempo fa l'unico paese a non essersi dotato entro il 2005 dell'organico piano di lotta alle droghe quadriennale previsto dall'Unione Europea): «il primo piano d’azione dell’Italia in materia di droga interesserà un periodo di tempo di un anno e sarà seguito da un piano d’azione quadriennale (2009-2012), che si sincronizzerà con il nuovo piano d’azione dell’UE». E in effetti il Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio, Carlo Giovanardi, ha presentato il 15 ottobre a Palazzo Chigi la nuova Campagna informativa 2008 del Dipartimento per le Politiche Antidroga, sugli effetti negativi per la salute derivanti dall’uso di tutte le sostanze psicoattive. Spot radio e video [leggi qui], oltre a qualche pagina sui giornali nazionali, cominciano a comparire con un messaggio chiaro: «Le droghe, tutte le droghe, anche se prese una sola volta danneggiano il cervello». Attendiamo dunque, con un po’ di fiducia, gli sviluppi e gli esiti di questa nuova iniziativa. Purché porti a una svolta decisa.
(Antonello Vanni, curatore della documentazione scientifica del libro “Cannabis. Come perdere la testa e a volte la vita” di Claudio Risé, San Paolo Ed., www.claudio-rise.it)
SCIENZA &VITA - «Alimentazione e idratazione sono sostegno vitale ineliminabile, le volontà del paziente sono espresse nell’alleanza terapeutica e non sono vincolanti, al medico spetta l’ultima parola» - Legge sul fine vita «Tre i punti fermi» - Roccella: partire dai pareri del Comitato per la bioetica Castagnetti e Binetti: regole chiare e impegno culturale - DA ROMA PIER LUIGI FORNARI – Avvenire, 8 novembre 2008
Punti importanti di consenso nel convegno 'Quale legge sul fine vita?', nell’ambito del 5° incontro nazionale delle associazioni locali di Scienza & Vita. Dopo una comunicazione del governo curata dal sottosegretario al Welfare, Eugenia Roccella, si è svolta una tavola rotonda alla quale hanno partecipato Pierluigi Castagnetti e Paola Binetti del Pd, Carlo Casini europarlamentare dell’Udc, il sottosegretario all’Interno Alfredo Mantovano e Laura Bianconi del Pdl, Massimo Polledri della Lega. I copresidenti dell’Associazione, Bruno Dallapiccola e Maria Luisa di Pietro, nel presentare il dibattito, hanno ricordato il comunicato del 25 settembre di Scienza & Vita con il quale, prendendo atto dei recenti pronunciamenti giurisprudenziali e dell’orientamento del Parlamento, si manifestava l’intenzione di «partecipare al dibattito pubblico su un’ipotesi legislativa».
Ed appunto sulla necessità di fare una legge hanno convenuto i parlamentari presenti, prendendo atto degli stessi fattori menzionati dall’associazione. Su questa strada sono tre i punti di consenso raggiunti. In primo luogo, il fatto che alimentazione e idratazione siano considerati un sostentamento vitale ineliminabile, e non un trattamento sanitario. C’è convergenza anche sul fatto che le volontà del paziente devono essere espresse all’interno dell’alleanza terapeutica e non sono vincolanti. E dunque, terzo aspetto, l’ultima parola spetta al medico.
Sono punti di convergenza manifestati nell’ambito di sensibilità diverse, ma c’è l’impegno ad avviare un approfondito dibattito che le faccia collimare. In questo senso Casini ha dato tra le sue «indicazioni metodologiche » il raggiungimento dell’unità e un confronto in umiltà tra i politici cattolici, unità che può avere un’estensione più ampia e quindi portare al successo. Castagnetti ha sottolineato l’esigenza di un lavoro culturale accanto a quello legislativo. In questo senso la Binetti ha individuato nell’«esaltazione senza limiti» delle libertà il valore che si oppone alla difesa della vita. «Bisogna mettere delle fondamenta culturali solide, da questo verrà una legge valida», ha osservato Mantovano, valida in modo da resistere alle forzature già tentate da alcuni magistrati. La Bianconi ha espresso la necessità dell’incontro di deputati e senatori sensibili alla difesa della vita per chiarire alcuni punti che ancora non sono ben definiti. «Dobbiamo essere uniti – ha confermato Polledri –, senza, però, nessun cedimento sui valori fondamentali». Al centro del dibattito è anche il rifiuto netto del testamento biologico, su questa base la Roccella ha riproposto come base per una legge il parere del 2003 con il quale il Comitato nazionale per la Bioetica raggiunse l’unanimità sulle dichiarazioni anticipate di trattamento (dat), ponendo tra le condizioni che esse abbiano carattere pubblico, siano redatte in forma scritta, da soggetti maggiorenni, capaci di intendere e di volere, informati, autonomi e non sottoposti ad alcuna pressione, con la possibilità di nominare un fiduciario. Secondo quel parere le dat, ha ricordato la Roccella, non possono contenere «disposizioni aventi finalità eutanasiche, che contraddicano il diritto positivo, le regole di pratica medica, la deontologia». Ed il medico non può essere costretto a fare nulla che vada contro la sua scienza e la sua coscienza. Nel 2005 poi il Cnb, in un altro parere, decise a maggioranza che alimentazione e idratazione sono sostentamenti vitali e non trattamenti sanitari.
La norma che il Parlamento può varare sul fine vita sarà una nuova 194 o una nuova legge 40? Unanimemente i partecipanti al dibattito hanno optato per una legge chiara come quella sulla fecondazione assistita, che espliciti con chiarezza il 'no' all’eutanasia passiva ed attiva. «Puntiamo ad un compromesso alto, come la legge 40, quindi ad una vittoria, mentre la 194 ha segnato un momento di sconfitta per la difesa della vita», ha assicurato la Roccella. In merito al prossimo pronunciamento della Cassazione dell’11 novembre, il sottosegretario ha osservato: «Se la Cassazione dichiarasse eseguibile la sentenza della Corte d’Appello di Milano sul caso di Eluana, sarà una esecuzione in tutti e due i sensi della parola».
1) Preoccupano le politiche antivita del nuovo presidente degli USA - Con Obama aborto per tutti - Obama aveva promesso di firmare entro i primi 100 giorni di mandato il Freedom of Choice Act, la legge sull’aborto che permetterà a tutte le donne di abortire in ogni momento della gravidanza, in qualsiasi Stato e a ogni età, anche al di sotto dei 18 anni…
2) Cattolici e musulmani: conoscersi per comprendersi - I frutti del primo Seminario del Forum cattolico-musulmano - di Carmen Villa
3) La finalità dell'Amministrazione di sostegno è tutelare gli incapaci - A Modena un 50enne ha ottenuto un testamento biologico per decreto
4) Benedetto XVI: la solitudine è il paradosso della globalizzazione - I pericoli? La frammentazione e la confusione morale
5) Il Papa ai partecipanti al congresso internazionale sul tema della donazione di organi - Nessun arbitrio o incertezza nell'accertare la morte - La donazione di organi è "una forma particolare di testimonianza della carità", ma non devono esserci arbitrii o incertezze nell'accertamento della morte del paziente donatore. Lo ha affermato il Papa incontrando venerdì mattina, 7 novembre, i partecipanti a un congresso internazionale promosso dalla Pontificia Accademia per la Vita. – L’Osservatore Romano, 8 Novembre 2008
6) 07/11/2008 13:23 – VATICANO - Papa: nei trapianti ci sia un’“etica della donazione” e no a logica di mercato e abusi - Prima di tutto ci sia il rispetto della persona. I traffici di organi sono “abominevoli”, così come l’idea di considerare l'embrione come "materiale terapeutico". Gli organi si possono prelevare solo da un cadavere, evitando ogni sospetto di arbitrio.
7) Fede e ragione in John Henry Newman e Joseph Ratzinger - Un nuovo e più ampio senso della razionalità - di Luca M. Possati, L’Osservatore Romano, 8 Novembre 2008
8) Il programma di un politico cattolico - Mercoledì scorso, 5 novembre, l'arcivescovo di Firenze, Giuseppe Betori, ha presieduto nella basilica di San Marco una concelebrazione eucaristica per il trentunesimo anniversario della morte del servo di Dio Giorgio La Pira, luminosa figura di politico cristiano, per anni sindaco del capoluogo toscano. Pubblichiamo qui di seguito ampi stralci dell'omelia pronunciata da monsignor Betori. – L’Osservatore Romano, 8 Novembre 2008
9) SCUOLA/ Quello che gli slogan non dicono: liberare le energie delle scuole autonome e paritarie -Redazione - sabato 8 novembre 2008 – IlSussidiario.net
10) SOCIETA'/ Cresce l'allarme droghe in Italia, si compra anche online: a quando una vera campagna educativa? - Redazione - sabato 8 novembre 2008 – Il Sussidiario.net
11) SCIENZA &VITA - «Alimentazione e idratazione sono sostegno vitale ineliminabile, le volontà del paziente sono espresse nell’alleanza terapeutica e non sono vincolanti, al medico spetta l’ultima parola» - Legge sul fine vita «Tre i punti fermi» - Roccella: partire dai pareri del Comitato per la bioetica Castagnetti e Binetti: regole chiare e impegno culturale - DA ROMA PIER LUIGI FORNARI – Avvenire, 8 novembre 2008
Preoccupano le politiche antivita del nuovo presidente degli USA - Con Obama aborto per tutti - Obama aveva promesso di firmare entro i primi 100 giorni di mandato il Freedom of Choice Act, la legge sull’aborto che permetterà a tutte le donne di abortire in ogni momento della gravidanza, in qualsiasi Stato e a ogni età, anche al di sotto dei 18 anni…
Barack Obama è il quarantaquattresimo Presidente degli Stati Uniti. Il primo afroamericano che entra nella Casa Bianca. Molti parlano già di un evento che segna la storia. In realtà, da molti mesi, la vittoria del candidato democratico era data per scontata, indipendentemente dalla personalità del candidato stesso.
Dopo sei anni di guerra in Irak e Afghanistan ed una crisi finanziaria che sta facendo sparire investimenti e risparmi, l’eventualità di una vittoria repubblicana era diventata sempre più “mission impossible”. C’è stato un solo momento in cui i sondaggi hanno dato qualche chance al canditato John McCain, quando ha presentato la vicepresidente Sarah Palin, la quale però non poteva da sola ribaltare le sorti già segnate della campagna elettorale. C’è curiosità nel vedere come Obama affronterà la crisi finanziaria, sicuramente il dollaro tornerà a crescere ed i prezzi delle merci americane aumenteranno. Non si prevedono grandi cambiamenti in politica estera né nella politica dei commerci internazionali. Quello che veramente cambierà, rispetto all’amministrazione Bush, sarà la politica relativa alla difesa della vita nascente. Obama infatti è un convinto sostenitore dell’aborto. Già nel 2007 Barack Obama annunciò che se eletto presidente, la prima cosa che avrebbe fatto sarebbe stata quella di firmare il Freedom of Choice Act, la legge sull'aborto. Essa permetterà a tutte le donne di abortire in ogni momento della gravidanza, in qualsiasi Stato e ad ogni età, anche al di sotto dei 18 anni. Inoltre verrebbe eliminata la legge sull'aborto a nascita parziale, che definisce un reato partorire un bambino vivo e ucciderlo alla nascita e la possibilità ai medici di appellarsi all'obiezione di coscienza per rifiutarsi di eseguire aborti. In merito alla legge che regola l’aborto negli Stati Uniti (Supreme Court Roe v. Wade), Obama ha più volte dichiarato, e lo ha scritto anche nelle pagine del sito del Partito democratico di Chicago, che “è la legge più importante per difendere il diritto alla donna di scegliere”. “In tutta la mia carriera - ha sottolineato Obama- sono stato un convinto sostenitore della ‘giustizia riproduttiva’ insieme all’associazione Planned Parenthood e alla NARAL Pro-Choice America”. La Planned Parenthood è la più diffusa e radicale sostenitrice degli aborti e delle politiche antivita negli USA e nel mondo. La NARAL Pro-Choice è l’associazione che ha promosso e sostenuto tutte le battaglie politiche per il libero accesso all’aborto negli Stati Uniti. ”Quando nel South Dakota è passata la legge che impedisce l’aborto – ha spiegato Obama – sono stato l’unico candidato presidenziale ad oppormi”. “Quando le organizzazioni pro-vita hanno cercato di opporsi all’apertura di una clinica per aborti della Planned Parenthood in Illinois, - ha precisato il neo Presidente - sono stato l’unico candidato presidenziale a difendere la Planned Parenthood”. Obama ha ribadito il suo impegno a firmare la legge per il libero aborto “Freedom of Choice Act” ed ha sostenuto vivacemente tutte le campagne di controllo delle nascite, propagandando la diffusione di ogni tipo di contraccettivo. Secondo l’U. S. Census Bureau, l’eventuale attuazione della Freedom of Choice Act” incrementereà il numero di aborti di almeno 125. 000 per anno. Attualmente negli Stati Uniti gli aborti sono 1, 3 milioni ogni anno. Anche dal punto di vista internazionale le politiche antivita di Obama, preoccupano assai. Con la maggioranza democratica sia la Senato che alla Camera, il neo presidente ricomincerà a fornire ingenti fondi alle associazioni che praticano, aborti, sterilizzazioni e controllo demografico nel mondo. Fondi che l’amministrazione Bush aveva tagliato. La presidenza Obama cambierà anche i rapporti di forza all’interno delle Nazioni Unite. Negli ultimi otto anni l’amministrazione Bush si era opposta a politiche antivita solidarizzando con la Santa Sede. Con Obama, le forze a favore della vita e della famiglia, avranno un avversario in più. Inoltre Obama sosterrà l’Internazionale Socialista impegnata in più Paesi del mondo per legalizzare l’aborto
di Antonio Gaspari
Sì alla Vita - novembre 2008
Cattolici e musulmani: conoscersi per comprendersi - I frutti del primo Seminario del Forum cattolico-musulmano - di Carmen Villa
CITTA' DEL VATICANO, venerdì, 7 novembre 2008 (ZENIT.org).- Uno spazio di dialogo, rispetto e avvicinamento tra cattolici e musulmani: è il questo il giudizio espresso dai partecipanti al primo Seminario organizzato dal Forum cattolico-musulmano.
In occasione dell'atto di chiusura, tenutosi questo giovedì sera presso la Pontificia Università Gregoriana di Roma, il cardinale Jean Louis Tauran, Presidente del Pontificio per il Dialogo Interreligioso, ha sottolineato alcuni punti della storica Dichiarazione comune firmata dai rappresentanti delle due religioni.
“Crediamo che i cattolici e i musulmani sono chiamati a essere strumenti di amore e di armonia tra i credenti e per tutta l'umanità in generale, rinunciando a qualsiasi oppressione, violenza aggressiva e atti terroristici, in particolare quelli perpetrati in nome della religione, e preservando la giustizia per tutti”, ha detto il porporato francese citando la Dichiarazione.
L'incontro, svoltosi dal 4 al 6 novembre, era culminato poche ore prima con l'udienza dal Papa Benedetto XVI. All'evento hanno preso parte 24 rappresentanti e 5 consiglieri di ciascuna delle due religioni.
Il Seminario, organizzato dal Pontificio per il Dialogo Interreligioso e dai firmatari della lettera aperta “Una parola comune” (http://www.acommonword.com), ha riunito per la prima volta alti esponenti dei diversi orientamenti dell'Islam (sunniti, sciiti e altri) provenienti da diversi Paesi.
Tra questi, nelle vesti di consigliere, ha partecipato anche il professore libanese Joseph Maila, docente della Facoltà di Scienze Sociali ed Economiche presso l'Istituto Cattolico di Parigi, il quale ha assicurato che la religione “non puo' essere un principio di discriminazione”, perché è “la forza che conduce alla pace”.
Per questo ciascun credente, ha commentato durante la sessione pubblica del Seminario, è “responsabile di ciò che viene commesso in nome della religione”, e si trova costantemente “sotto lo sguardo di Dio”.
Il professore ha concluso il suo intervento affermando che “l'amore di Dio viene dal fatto che Dio è padre e l'amore del Padre non si impone”.
Da parte sua la professoressa canadese Ingrid Mattson, direttrice della Società Islamica del Nord America, ha assicurato di aver sentito su di sé, durante i lavori assembleari, “la mano di Dio”, dicendosi inoltre contenta per l'udienza concessa dal Santo Padre.
“Nessuno puo' credere se non ama suo fratello come se stesso”, ha dichiarato.
Dall'altro lato, ha avvertito che il dialogo “deve fondarsi sulla carità e non sul proselitismo” e che ora occorre intraprendere un lungo cammino di lavoro e avvicinamento perché “una semplice conferenza non puo' sistemare ogni cosa”.
I punti di vista dei partecipanti
Tra i 24 partecipanti di religione musulmana era presente anche l'imam Yahya Pallavicini, Vicepresidente della CO.RE.IS. (Comunità Religiosa Islamica) d'Italia, che in alcune dichiarazioni a ZENIT ha sottolineato tra i frutti dell'incontro quello di essere riusciti a “unire la teologia con la ricaduta pratica e quindi di essere riusciti a non fare soltanto un dialogo teologico che rimane astratto né un discorso pragmatico che va nel sociale”.
In merito alla violenza interreligiosa, Pallavicini ha assicurato che questa è causata dall' "ignoranza reciproca". Quando mancano "libertà, responsabilità e senso di fratellanza, si genera una violenza gratuita".
Per evitare questo, ha continuato, dobbiamo “unirci insieme per condannare sia ogni tipo di violenza, quando viene utilizzata la religione, e cercare di garantire con azioni educative un migliore rispetto di tutte le diversità e della dignità umana”.
Tra i rappresentanti di parte cattolica c'era anche Ilaria Morali, docente incaricata di Teologia Dogmatica presso la Pontificia Università Gregoriana, la quale ha indicato tra i passi avanti la “crescente fiducia reciproca che è il presupposto per qualunque dialogo".
"Se si ha paura dell'altro non si è neppure liberi o sereni di parlare di se stessi", ha riconosciuto.
Esiste da entrambe le parti un desiderio di conoscersi e "come in ogni cammino umano, si inizia accettando che ci siano delle difficoltà".
La Morali ha quindi assicurato che le due religioni hanno in comune la missione di “portare Dio al centro della vita del nostro mondo per leggere alla luce di Dio il nostro tempo”, “senza però cadere in divisioni troppo secolariste” che attentano alla "vocazione di ciascun uomo".
La finalità dell'Amministrazione di sostegno è tutelare gli incapaci - A Modena un 50enne ha ottenuto un testamento biologico per decreto
MADRID, venerdì, 7 novembre 2008 (ZENIT.org).- Il 5 novembre scorso, il giudice tutelare del Tribunale di Modena, Guido Stanzani, ha pronunciato un decreto con il quale ha accolto la richiesta di un libero professionista modenese, di circa 50 anni, ancora in ottime condizioni di salute, di nominare la moglie “proprio Amministratore di sostegno”, e cioè “garante delle sue volontà di fine vita”, “in caso di malattia terminale o irreversibile”.
Nel commentare a ZENIT questo provvedimento, il prof. Alberto Gambino, Ordinario di Diritto privato all'Università Europea di Roma, ha detto che “secondo il Codice civile italiano, l'Amministrazione di sostegno è una misura di 'protezione delle persone prive in tutto o in parte di autonomia', con la quale si prevede l'assistenza a chi non può provvedere ai propri interessi (Libro I - Titolo XII)”.
“Come ancora oggi si insegna nella nostra scuola primaria – ha continuato –, l'espressione 'proteggere' significa 'fare da riparo', 'difendere', e la parola persona indica l'essere umano”.
Dalle cronache di questi giorni, invece, “emerge che il giudice tutelare del Tribunale di Modena sembra ritenere che l'Amministratore di sostegno possa autorizzare scelte di impedimento alla cura o al sostentamento della persona”.
A questo proposito, il prof. Gambino ha commentato che “l'istituto dell'Amministrazione di sostegno – e, nel diritto, 'amministrazione' significa 'l'esercizio di affari propri o altrui' – introdotto per tutelare e assistere gli incapaci finisce così per piegarsi all'obiettivo di rendere la vita e la salute delle persone quali beni giuridici disponibili”.
“Ciò che lascia poi l'amaro in bocca – ha proseguito – è che questa inaccettabile interpretazione tradisce lo spirito dell'istituto dell'Amministrazione di sostegno, alla cui promozione – come ben ricorderà il collega prof. Paolo Cendon, ispiratore delle norme – hanno partecipato giuristi di diverse opzioni culturali, credenti e non credenti, nella chiara consapevolezza che si trattasse di un Istituto, appunto, di sostegno delle persone in situazioni di debolezza e non uno strumento di legittimazione di pratiche di abbandono terapeutico”.
“Certamente – ha poi concluso – anche questa decisione è figlia dello stesso humus culturale del pur solitario orientamento giurisprudenziale relativo alla vicenda Englaro, dove al centro delle opzioni ordinamentali non c'è più la persona, ma la sua volontà, nel caso addirittura presunta e senza limite alcuno”.
Benedetto XVI: la solitudine è il paradosso della globalizzazione - I pericoli? La frammentazione e la confusione morale
CITTA' DEL VATICANO, venerdì, 7 novembre 2008 (ZENIT.org).- Benedetto XVI ha affermato questo venerdì che il grande paradosso e dramma della globalizzazione, frutto spesso delle nuove possibilità offerte dalla globalizzazione, sta nella solitudine che attanaglia sempre più persone.
In questo nuovo contesto sociale, il Papa, ricevendo le lettere credenziali del nuovo Ambasciatore della Lituania presso la Santa Sede, Vytautas Alisauskas, ha riconosciuto che i “pericoli affrontati dalla società odierna” sono la “frammentazione e la confusione morale”.
“È sia un paradosso sia una tragedia – ha detto parlando in inglese – che in questa era di globalizzazione, quando le possibilità di comunicazione e di interazione con gli altri hanno raggiunto un livello che le generazioni precedenti non avrebbero quasi neanche potuto immaginare, così tante persone si sentano isolate e tagliate fuori”.
“Ciò causa molti problemi sociali che non si possono risolvere soltanto sul piano politico, poiché anche le migliori strutture 'funzionano soltanto se in una comunità sono vive delle convinzioni che siano in grado di motivare gli uomini a una libera adesione all'ordinamento comunitario'”, ha aggiunto citando la sua enciclica Spe salvi (n. 24).
In questo senso, ha spiegato il Vescovo di Roma, “la Chiesa deve svolgere un ruolo importante attraverso il messaggio di speranza che proclama”.
“Essa cerca di edificare una civiltà dell'amore, insegnando che 'Dio è amore' ed esortando le persone di buona volontà a instaurare un rapporto amorevole con Lui”, ha quindi sottolineato.
Poiché “dall'amore verso Dio consegue la partecipazione alla giustizia e alla bontà di Dio verso gli altri”, ha aggiunto, “la pratica del cristianesimo conduce naturalmente alla solidarietà con i propri concittadini e, di fatto, con tutta la famiglia umana”.
“Essa porta alla determinazione di servire il bene comune e di assumersi la responsabilità dei membri più deboli della società”, oltre a frenare “il desiderio di accumulare ricchezza soltanto per se stessi”.
“La nostra società – ha quindi concluso – deve superare l'attrazione per i beni materiali e concentrarsi invece su valori che promuovano veramente il bene della persona umana”.
Il Papa ai partecipanti al congresso internazionale sul tema della donazione di organi - Nessun arbitrio o incertezza nell'accertare la morte - La donazione di organi è "una forma particolare di testimonianza della carità", ma non devono esserci arbitrii o incertezze nell'accertamento della morte del paziente donatore. Lo ha affermato il Papa incontrando venerdì mattina, 7 novembre, i partecipanti a un congresso internazionale promosso dalla Pontificia Accademia per la Vita. – L’Osservatore Romano, 8 Novembre 2008
Venerati Confratelli nell'Episcopato, Illustri Signori e Signore!
La donazione di organi è una forma peculiare di testimonianza della carità. In un periodo come il nostro, spesso segnato da diverse forme di egoismo, diventa sempre più urgente comprendere quanto sia determinante per una corretta concezione della vita entrare nella logica della gratuità. Esiste, infatti, una responsabilità dell'amore e della carità che impegna a fare della propria vita un dono per gli altri, se si vuole veramente realizzare se stessi. Come il Signore Gesù ci ha insegnato, solamente colui che dona la propria vita potrà salvarla (cfr. Lc 9, 24). Nel salutare tutti i presenti, con un particolare pensiero per il Senatore Maurizio Sacconi, Ministro del Lavoro, della Salute e Politiche Sociali, ringrazio l'Arcivescovo Mons. Rino Fisichella, Presidente della Pontificia Accademia per la Vita, per le parole che mi ha rivolto, illustrando il profondo significato di questo incontro e presentando la sintesi dei lavori congressuali. Insieme con lui, ringrazio anche il Presidente dell'International Federation of Catholic Medical Associations e il Direttore del Centro Nazionale Trapianti, sottolineando con apprezzamento il valore della collaborazione di tali Organismi in un ambito come quello del trapianto degli organi che è stato oggetto, illustri Signori e Signore, delle vostre giornate di studio e di dibattito.
La storia della medicina mostra con evidenza i grandi progressi che si sono potuti realizzare per permettere una vita sempre più degna ad ogni persona che soffre. I trapianti di tessuti e di organi rappresentano una grande conquista della scienza medica e sono certamente un segno di speranza per tante persone che versano in gravi e a volte estreme situazioni cliniche. Se il nostro sguardo si allarga al mondo intero è facile individuare i tanti e complessi casi in cui, grazie alla tecnica del trapianto di organi, molte persone hanno superato fasi altamente critiche e sono state restituite alla gioia di vivere. Questo non sarebbe mai potuto avvenire se l'impegno dei medici e la competenza dei ricercatori non avessero potuto contare sulla generosità e sull'altruismo di quanti hanno donato i loro organi. Il problema della disponibilità di organi vitali da trapianto, purtroppo, non è teorico, ma drammaticamente pratico; esso è verificabile nella lunga lista d'attesa di tanti malati le cui uniche possibilità di sopravvivenza sono legate alle esigue offerte che non corrispondono ai bisogni oggettivi.
È utile, soprattutto nel contesto odierno, ritornare a riflettere su questa conquista della scienza, perché non avvenga che il moltiplicarsi delle richieste di trapianto abbia a sovvertire i principi etici che ne stanno alla base. Come ho detto nella mia prima Enciclica, il corpo non potrà mai essere considerato un mero oggetto (cfr. Deus caritas est, n. 5); la logica del mercato, altrimenti, avrebbe il sopravvento. Il corpo di ogni persona, insieme con lo spirito che è dato ad ognuno singolarmente, costituisce un'unità inscindibile in cui è impressa l'immagine di Dio stesso. Prescindere da questa dimensione conduce verso prospettive incapaci di cogliere la totalità del mistero presente in ognuno. È necessario, quindi, che in prima istanza si ponga il rispetto per la dignità della persona e la tutela della sua identità personale. Per quanto riguarda la tecnica del trapianto di organi, ciò significa che si può donare solamente se non è mai posto in essere un serio pericolo per la propria salute e la propria identità e sempre per un motivo moralmente valido e proporzionato. Eventuali logiche di compravendita degli organi, come pure l'adozione di criteri discriminatori o utilitaristici, striderebbero talmente con il significato sotteso del dono che si porrebbero da sé fuori gioco, qualificandosi come atti moralmente illeciti. Gli abusi nei trapianti e il loro traffico, che spesso toccano persone innocenti quali i bambini, devono trovare la comunità scientifica e medica prontamente unite nel rifiutarli come pratiche inaccettabili. Esse pertanto vanno decisamente condannate come abominevoli. Lo stesso principio etico va ribadito quando si vuole giungere alla creazione e distruzione di embrioni umani destinati a scopo terapeutico. La semplice idea di considerare l'embrione come "materiale terapeutico" contraddice le basi culturali, civili ed etiche su cui poggia la dignità della persona.
Avviene spesso che la tecnica del trapianto di organi si compia per un gesto di totale gratuità da parte dei parenti di pazienti di cui è stata accertata la morte. In questi casi, il consenso informato è condizione previa di libertà, perché il trapianto abbia la caratteristica di un dono e non sia interpretato come un atto coercitivo o di sfruttamento. È utile ricordare, comunque, che i singoli organi vitali non possono essere prelevati che ex cadavere, il quale peraltro possiede pure una sua dignità che va rispettata. La scienza, in questi anni, ha compiuto ulteriori progressi nell'accertare la morte del paziente. È bene, quindi, che i risultati raggiunti ricevano il consenso dall'intera comunità scientifica così da favorire la ricerca di soluzioni che diano certezza a tutti. In un ambito come questo, infatti, non può esserci il minimo sospetto di arbitrio e dove la certezza ancora non fosse raggiunta deve prevalere il principio di precauzione. È utile per questo che si incrementi la ricerca e la riflessione interdisciplinare in modo tale che la stessa opinione pubblica sia messa dinanzi alla più trasparente verità sulle implicanze antropologiche, sociali, etiche e giuridiche della pratica del trapianto. In questi casi, comunque, deve valere sempre come criterio principale il rispetto per la vita del donatore così che il prelievo di organi sia consentito solo in presenza della sua morte reale (cfr. Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 476). L'atto d'amore che viene espresso con il dono dei propri organi vitali permane come una genuina testimonianza di carità che sa guardare al di là della morte perché vinca sempre la vita. Del valore di questo gesto dovrebbe essere ben cosciente il ricevente; egli è destinatario di un dono che va oltre il beneficio terapeutico. Ciò che riceve, infatti, prima ancora di un organo è una testimonianza di amore che deve suscitare una risposta altrettanto generosa, così da incrementare la cultura del dono e della gratuità.
La via maestra da seguire, fino a quando la scienza giunga a scoprire eventuali forme nuove e più progredite di terapia, dovrà essere la formazione e la diffusione di una cultura della solidarietà che si apra a tutti e non escluda nessuno. Una medicina dei trapianti corrispondente a un'etica della donazione esige da parte di tutti l'impegno per investire ogni possibile sforzo nella formazione e nell'informazione, così da sensibilizzare sempre più le coscienze verso una problematica che investe direttamente la vita di tante persone. Sarà necessario, pertanto, fugare pregiudizi e malintesi, dissipare diffidenze e paure per sostituirle con certezze e garanzie in modo da permettere l'accrescersi in tutti di una sempre più diffusa consapevolezza del grande dono della vita.
Con questi sentimenti, mentre auguro a ciascuno di continuare nel proprio impegno con la dovuta competenza e professionalità, invoco l'aiuto di Dio sui lavori del Congresso ed imparto a tutti di cuore la mia Benedizione.
(©L'Osservatore Romano - 8 novembre 2008)
07/11/2008 13:23 – VATICANO - Papa: nei trapianti ci sia un’“etica della donazione” e no a logica di mercato e abusi - Prima di tutto ci sia il rispetto della persona. I traffici di organi sono “abominevoli”, così come l’idea di considerare l'embrione come "materiale terapeutico". Gli organi si possono prelevare solo da un cadavere, evitando ogni sospetto di arbitrio.
Città del Vaticano (AsiaNews) – I trapianti di organi rappresentano un importante progresso della scienza medica e per questo vanno sostenuti, ma essi debbono rispondere ad una “etica della donazione” e vanno respinti sia le logiche utilitaristiche, che arrivano all’“abominevole” mercato degli organi, sia qualsiasi forma di arbitrio. E’ il punto dell’atteggiamento della Chiesa verso le questioni legate ai trapianti di organi il discorso che Benedetto XVI ha rivolto oggi ai partecipanti al congresso internazionale promosso dalla Pontificia accademia per la vita, in collaborazione con la Federazione internazionale delle Associazioni mediche cattoliche e il Centro nazionale trapianti, sul tema: “Un dono per la vita. Considerazioni sulla donazione di organi”, che si sta svolgendo a Roma.
La donazione di organi è, prima di tutto, “una forma peculiare di testimonianza della carità”. Al tempp stesso i trapianti “rappresentano una grande conquista della scienza medica e sono certamente un segno di speranza per tante persone che versano in gravi e a volte estreme situazioni cliniche. Se il nostro sguardo si allarga al mondo intero è facile individuare i tanti e complessi casi in cui, grazie alla tecnica del trapianto di organi, molte persone hanno superato fasi altamente critiche e sono state restituite alla gioia di vivere”.
Ma di fronte al problema “drammaticamente pratico” dell’aumento della richiesta di organi, occorre “ritornare a riflettere su questa conquista della scienza, perché non avvenga che il moltiplicarsi delle richieste di trapianto abbia a sovvertire i principi etici che ne stanno alla base”. Ed il primo, ricordato dal Papa, è che “il corpo non potrà mai essere considerato un mero oggetto; la logica del mercato, altrimenti, avrebbe il sopravvento. Il corpo di ogni persona, insieme con lo spirito che è dato ad ognuno singolarmente, costituisce un'unità inscindibile in cui è impressa l'immagine di Dio stesso. Prescindere da questa dimensione conduce verso prospettive incapaci di cogliere la totalità del mistero presente in ognuno. E' necessario, quindi, che in prima istanza si ponga il rispetto per la dignità della persona e la tutela della sua identità personale”.
“Per quanto riguarda la tecnica del trapianto di organi, ciò significa che si può donare solamente se non è mai posto in essere un serio pericolo per la propria salute e la propria identità e sempre per un motivo moralmente valido e proporzionato. Eventuali logiche di compravendita degli organi, come pure l'adozione di criteri discriminatori o utilitaristici, striderebbero talmente con il significato sotteso del dono che si porrebbero da sé fuori gioco, qualificandosi come atti moralmente illeciti. Gli abusi nei trapianti e il loro traffico, che spesso toccano persone innocenti quali i bambini, devono trovare la comunità scientifica e medica prontamente unite nel rifiutarli come pratiche inaccettabili. Esse pertanto vanno decisamente condannate come abominevoli. Lo stesso principio etico va ribadito quando si vuole giungere alla creazione e distruzione di embrioni umani destinati a scopo terapeutico. La semplice idea di considerare l'embrione come "materiale terapeutico" contraddice le basi culturali, civili ed etiche su cui poggia la dignità della persona”.
Sempre nell’ambito della “tecnica del trapianto” Benedetto XVI ha sottolineato l’importanza del
“consenso informato”, come “condizione previa di libertà, perché il trapianto abbia la caratteristica di un dono e non sia interpretato come un atto coercitivo o di sfruttamento”. La Chiesa dice inoltre che gli organi possono essere espiantatai solo da un cadavere e che anche quest’ultimo “possiede pure una sua dignità che va rispettata. La scienza, in questi anni, ha compiuto ulteriori progressi nell'accertare la morte del paziente. E' bene, quindi, che i risultati raggiunti ricevano il consenso dall'intera comunità scientifica così da favorire la ricerca di soluzioni che diano certezza a tutti.
In un ambito come questo, infatti, non può esserci il minimo sospetto di arbitrio e dove la certezza ancora non fosse raggiunta deve prevalere il principio di precauzione”. E “comunque, deve valere sempre come criterio principale il rispetto per la vita del donatore così che il prelievo di organi sia consentito solo in presenza della sua morte reale”.
Colui che riceve gli organi poi, dovrebbe essere cosciente di ricevere “un dono che va oltre il beneficio terapeutico. Ciò che riceve, infatti, prima ancora di un organo è una testimonianza di amore che deve suscitare una risposta altrettanto generosa, così da incrementare la cultura del dono e della gratuità”.
“La via maestra da seguire, fino a quando la scienza giunga a scoprire eventuali forme nuove e più progredite di terapia, dovrà essere la formazione e la diffusione di una cultura della solidarietà che si apra a tutti e non escluda nessuno. Una medicina dei trapianti corrispondente a un'etica della donazione esige da parte di tutti l'impegno per investire ogni possibile sforzo nella formazione e nell'informazione, così da sensibilizzare sempre più le coscienze verso una problematica che investe direttamente la vita di tante persone. Sarà necessario, pertanto, fugare pregiudizi e malintesi, dissipare diffidenze e paure per sostituirle con certezze e garanzie in modo da permettere l'accrescersi in tutti di una sempre più diffusa consapevolezza del grande dono della vita”.
Fede e ragione in John Henry Newman e Joseph Ratzinger - Un nuovo e più ampio senso della razionalità - di Luca M. Possati, L’Osservatore Romano, 8 Novembre 2008
"Con tutta la gioia di fronte alle possibilità dell'uomo, vediamo anche le minacce che emergono da queste possibilità e dobbiamo chiederci come possiamo dominarle. Ci riusciamo solo se ragione e fede si ritrovano unite in un modo nuovo".
Era il 12 settembre 2006 quando, con queste parole pronunciate nell'aula magna dell'università di Ratisbona, Benedetto XVI evocava la necessità di riscoprire l'amicizia tra fede e ragione, quella "coesione interiore nel cosmo della ragione" superiore a ogni scetticismo, autentico approdo di una critica della razionalità moderna non negativa, distruttrice, bensí capace di introdurre un allargamento del concetto stesso di ragione, dall'interno del quale ritrovare l'aspirazione umana alla verità, e quindi la ragionevolezza della fede. Proprio in quest'urgenza si manifesta con nitidezza una linea di continuità nella riflessione di Benedetto XVI, in profonda sintonia con un altro grande filosofo e teologo, ch'egli stesso definí un "modello", un "grande maestro della Chiesa": il cardinale John Henry Newman. All'importanza di un tale dialogo per la Chiesa di oggi, alla sua immensa utilità per far fronte alle sfide lanciate da quella che in tanti chiamano postmodernità - in primis nichilismo e relativismo, con tutte le loro ripercussioni sociali, etiche ed economiche, come confermato dalla più stringente attualità - è stato dedicato l'incontro "Fede e ragione" tenutosi a Roma organizzato dal Centro internazionale degli Amici di Newman - la cui direzione spetta alla Famiglia Spirituale "L'Opera" - alla presenza di numerose autorità accademiche ed ecclesiastiche, tra cui monsignor Georg Gänswein, segretario particolare di Benedetto XVI, e il rettore dell'Università Cattolica del Sacro Cuore, Lorenzo Ornaghi. Momento centrale dell'evento, la conferenza del professore Fortunato Morrone, dell'Istituto Teologico Calabro-Catanzaro, sul tema "L'urgenza di una nuova amicizia tra fede e ragione secondo John Newmann e Benedetto XVI".
La questione del dialogo tra fede e ragione investe la vita stessa dell'uomo nella sua estrema concretezza. La fede non è una serie di dottrine separate, da apprendere a memoria, tanto meno un sentimento. È invece un movimento di tutta l'esistenza umana. Questo è un punto molto chiaro, sia per Benedetto XVI che per Newman: in una prospettiva più ampia, fede e ragione non possono entrare in conflitto, ma convergono spontaneamente verso una sola verità.
"Per i cristiani - ha spiegato Morrone - la passione per la verità scaturisce dall'incontro con Gesù Cristo, che è il senso profondo della nostra vita e dignità. La rivelazione va accolta come sorgente inesauribile di verità. Lo stesso Benedetto XVI ha sottolineato che l'unico mezzo attraverso il quale possiamo pensare in maniera proficua la ragione è la fede, contro ogni uso distorto, ogni applicazione di schemi vuoti, inutili, spesso invocati dagli stessi credenti".
Legati da una comune familiarità con l'opera di sant'Agostino, Newman e Benedetto XVI riconoscono l'importanza delle grandiose possibilità che il progresso della scienza ha aperto all'uomo moderno. Queste non vanno affatto rifiutate. Dio non chiede all'uomo di sacrificare la propria ragione. Il punto è che quest'ultimo si realizza davvero soltanto se fede e ragione si parlano, entrano in dialogo. La scienza stessa, con la sua volontà di obbedienza alla verità, porta in sé un interrogativo che la trascende. Solo così diventa possibile uno scambio tra culture diverse che possa essere pieno di frutti per il futuro dell'umanità. "Il Papa - ha aggiunto Morrone - spinge verso una visione molto più concreta di quella degli empiristi. Rinnegando la fede, l'illuminismo ha appiattito la ragione su uno sterile scientismo, su ciò che è verificabile nell'esperimento; al contrario, un corretto uso della ragione non può che portare alla fede".
Il problema centrale di Newman ne La grammatica dell'assenso (1870) è la scoperta di un nuovo e più ampio senso della razionalità: possibile credere in qualcosa e non essere capaci di provarlo? Come la mente ha bisogno della percezione, così la fede ha bisogno della coscienza, dell'interiorità quale via maestra per raggiungere l'Assoluto. "La centralità del concetto di coscienza in Newman - scrive Joseph Ratzinger - deriva dalla centralità del concetto di verità e in base ad essa si può comprendere".
Infatti, per Newman "il decidersi della fede non è diverso dal decidersi della ragione - ha spiegato Morrone - piuttosto, il primo spinge il secondo a guardare più in alto, al di là di ogni scetticismo". Contro la visione empirista di stampo humeano - per evitare, non solo le derive opposte del materialismo positivistico e del cieco fideismo, ma altresì l'ideale laico della tolleranza, che non significa vero dialogo ma tranquilla convivenza e reciproca sopportazione - Newman propone uno scavo paziente, tenace e aderente alla realtà data per rintracciare le radici a cui si àncora l'itinerario dell'uomo, dalla prima consapevolezza alle forme più complesse dell'intuizione, che da ultimo si proiettano al di là dell'orizzonte stesso del mondo presente.
"Newman parla della fede come origine dello spirito filosofico - ha commentato Morrone - in effetti, che cosa può temere la scienza dal cristianesimo, che fin dal principio si pone come religione del lògos, della ragione creatrice, aperta a tutto quel che è veramente razionale?".
(©L'Osservatore Romano - 8 novembre 2008)
Commemorato a Firenze Giorgio La Pira
Il programma di un politico cattolico - Mercoledì scorso, 5 novembre, l'arcivescovo di Firenze, Giuseppe Betori, ha presieduto nella basilica di San Marco una concelebrazione eucaristica per il trentunesimo anniversario della morte del servo di Dio Giorgio La Pira, luminosa figura di politico cristiano, per anni sindaco del capoluogo toscano. Pubblichiamo qui di seguito ampi stralci dell'omelia pronunciata da monsignor Betori. – L’Osservatore Romano, 8 Novembre 2008
Mi pare una coincidenza particolarmente significativa che, all'inizio del mio ministero pastorale a Firenze, mi sia dato in questo giorno di presiedere la celebrazione del 31° anniversario della morte di Giorgio La Pira, straordinaria figura di cristiano, terziario domenicano fedelissimo alla sua consacrazione, sindaco di Firenze, profeta e costruttore di pace e di unità tra i popoli, figura eccelsa di santità in questa Chiesa. Qui, nella basilica di San Marco, giustamente riposano le spoglie mortali di La Pira, la cui memoria quest'anno viene celebrata "nel segno della fratellanza tra i popoli". Questa fratellanza è, secondo La Pira, vocazione comune sia della Chiesa fiorentina sia della città di Firenze Giorgio La Pira è un convertito. La chiamata l'ha sentita nel pieno della sua giovinezza: nel 1924, a vent'anni, come annota sulla prima pagina del Digesto di Giustiniano, lo strumento di lavoro fondamentale per i suoi studi di romanistica. "A vent'anni; epoca di luce e inizio di unione al Maestro". Da questo incontro si deve necessariamente partire per comprendere chi è La Pira, qual è il suo vero segreto. La Pira è un discepolo del Signore, il titolo più alto cui un cristiano può e deve aspirare. La Pira risponde di sì al Signore che lo chiama ed è un sì totale, senza incertezze, al quale rimane fedele sempre. In questo incontro con Cristo, La Pira conquista la vera libertà, che lo conduce all'assoluto distacco da ogni vincolo. Anche rimanere nello stato laico, non scegliere il sacerdozio, sembra rispondere a questa esigenza: servire il vangelo nel modo più umile, più libero. La lettera a una suora del Carmelo di Careggi nella Pasqua del 1933, la quale ha letto un suo articolo e ha creduto che fosse stato scritto da un sacerdote, rivela questo amore a Cristo senza condizioni: "Io non sono sacerdote, come ella ha supposto, Gesù non ha voluto e non vuole queste cose da me. Sono solo un giovane cui Gesù ha fatto una grazia grande: il desiderio sconfinato di amarlo e di farsi sconfinatamente amare". La Pira vuole rimanere laico perché essere laico gli assicura una maggiore possibilità di annunciare il vangelo ubi Christus non est nominatus. Unico accredito la professionalità: "Essere laici che si distinguono per una professionalità rigorosa", scrive. "L'eccellenza professionale come lettera di accredito nella società". Lasciandosi guidare unicamente dallo Spirito, La Pira plasma la sua anima mistica e vive misticamente l'intera sua vita. Scrivendo nel 1938 a padre Agostino Gemelli, assistente spirituale dei missionari della Regalità, l'istituto secolare al quale La Pira ha subito aderito, dice: "Sono trascorsi dieci anni da che per la prima volta... si parlò di questo dolce ideale della consacrazione a Dio. Allora avevo 24 anni e avevo - come per grazia divina ho ancora - il cuore innamorato di Cristo: sentivo con più energia di ora tutta la bellezza di una vita consacrata unicamente a questo fine: l'amore infinito di Dio e di Cristo... L'esperienza di questi dieci anni non mi ha deluso: mi sembra divinamente bello questo vagare libero per amore di Cristo; unica regola: la carità...". Il brano della Lettera ai Colossesi, proclamato come prima lettura, richiama il tema sotto il quale si pone la celebrazione di questo anno: la fraternità fra i popoli. Questo brano - il Cristo tutto in tutti - insieme al testo della Lettera agli Efesini 4, 11 (in aedificationem corporis Christi), come egli amava dire citando in latino, è fondamentale nella visione di La Pira, sia del La Pira vincenziano, sulle orme di Ozanam, che rimane sua vocazione specifica, sia del La Pira uomo politico. I biografi narrano di un'illuminazione ricevuta nell'Epifania del 1951, mentre assisteva alla messa nella Chiesa Nuova a Roma. Ne parla La Pira stesso in una lettera alle claustrali dieci anni dopo: come il Signore abbia voluto affidare a lui, ormai impegnato nella vita pubblica, già con un'esperienza alle spalle nell'Assemblea costituente, nel Parlamento, e poi nel Governo, una particolare missione per l'unità e la pace dei popoli. È la sua visione teologica. La Pira amava anche richiamarsi al discorso di Gesù nella sinagoga di Nazaret: "A Nazaret nel "suo discorso programmatico" (il primo!) il Signore indica "le frontiere di Isaia", "la Terra promessa" dell'unità, della pace, della liberazione da ogni oppressione dei popoli di tutta la terra. Il cammino della storia, sotto il segno vivificante e orientatore dello Spirito Santo, di Cristo Risorto, della Chiesa, avrà, come suo punto terminale, la pace, l'unità e la promozione e liberazione terrestre dei popoli". Questo è il vero programma del La Pira politico. Essere promotore di unità e di pace nel nome del Vangelo. C'è da chiedersi quali gesti e iniziative avrebbe ideato per reagire alle morti di tanti cristiani nel mondo, in specie nell'Asia, in spregio a quel fondamentale diritto umano e dei popoli che è la libertà religiosa! Le nostre flebili voci di oggi sono del tutto inadeguate ai suoi orizzonti smisurati e coraggiosi. È stato un politico La Pira? Sì! Ha cercato di dare un'anima alla politica. Mi pare bello quello che scrisse su di lui Carlo Bo: "La Pira è passato, sì, come una meteora nel cielo della politica che era indegna di lui, ma è stato, per altro verso, il simbolo di un'altra e più alta ragione: anche un santo può fare politica". Essere presenti alle vicende del mondo è fondato per Giorgio La Pira su una convinzione profonda dell'unità tra la dimensione interiore del credente e il suo spendersi nella storia. Lo diceva con parole ancora una volta solo apparentemente paradossali: "Credevamo che bastassero le mura silenziose dell'orazione! Credevamo che chiusi nella fortezza interiore della preghiera noi potevamo sottrarci ai problemi sconvolgitori del mondo; e invece nossignore; eccoci impegnati con una realtà che ha durezze talvolta invincibili [...]. L'orazione non basta; non basta la vita interiore; bisogna che questa vita si costruisca dei canali esterni destinati a farla circolare nella città dell'uomo". La Pira consegna oggi a noi questa passione e questa missione. Nel discorso in Palazzo Vecchio in cui saluta Monsignor Florit, dopo aver passato in rassegna le date più significative della storia di Firenze, gli ricorda la vocazione e la missione (oggi ancora più di ieri) della Chiesa di Firenze e, correlativamente, della città di Firenze. "Rendere sane - col sale della grazia e col sale della verità, della civiltà, della bellezza, della giustizia e della pace - le acque non solo dell'Arno, ma (in certa misura ed entro certi limiti) di tutti i fiumi che bagnano le città di tutta la terra!". Spes contra spem ci ripete anche oggi La Pira: "Sperare contro ogni speranza è un atto di fede che Dio benedice quando si tratta di affermare fra tutti gli uomini il vincolo di fraternità che li unisce al comune Padre Celeste!".
(©L'Osservatore Romano - 8 novembre 2008)
SCUOLA/ Quello che gli slogan non dicono: liberare le energie delle scuole autonome e paritarie -Redazione - sabato 8 novembre 2008 – IlSussidiario. Net
Una è l'urgenza della scuola, e non è rintracciabile tra gli slogan che studenti e insegnanti hanno gridato nelle loro manifestazioni: è l'urgenza di rendere effettivamente pubblico il sistema scolastico, dato che attualmente lo è solo intenzionalmente.
Infatti dal punto di vista giuridico il nostro è un sistema pubblico; lo ha voluto Berlinguer in questo modo, quando ha ridisegnato la scuola italiana su due piloni portanti, l'autonomia e la parità. Però da allora non si è fatto un passo in avanti, e il sistema è rimasto statalista, non certo pubblico! Tant'è che le scuole paritarie sono sempre più in sofferenza, e quello che hanno per diritto non lo possono esercitare di fatto per la discriminazione economica che in questi anni non solo si è mantenuta, ma si è aggravata. Lo stesso vale per le scuole autonome, che non sono autonome, ma statali, cinghia di trasmissione di decreti, circolari, razionalizzazioni che vengono dal ministero e che loro devono pedissequamente eseguire.
Il ministro Gelmini, se non si assume la responsabilità di compiere ciò che Berlinguer ha solo tratteggiato, rischia di perpetuare il sistema statalista, con la conseguenza che non vi sarà nessun innalzamento della qualità, e anzi si andrà sempre più alla deriva, cui ci condanna un sistema con una libertà puramente intenzionale. L'occasione per una svolta c'è: da una parte è la razionalizzazione che la difficile situazione finanziaria impone e che può essere fatta non come al solito dall'alto e in modo ugualitario, ma andando a premiare ciò che nella scuola vale e a tagliare i rami secchi; dall'altra è la necessità di ripensare all'ordinamento degli studi, che può essere fatto dall'alto, oppure può essere lasciato alle scuole sia autonome sia paritarie.
Che senso ha, infatti, che sia il ministro a decidere che un Liceo sia valido con certi insegnamenti e senza sperimentazioni? Se il ministro crede a coloro che sono ogni giorno protagonisti della scuola, ebbene lasci a loro la libertà di decidere che cosa sia meglio insegnare e come. Poi lo verifichi; e non c'è verifica migliore della validità di una scuola che la libertà di sceglierla. Se il ministro non vuole procedere in questa direzione l'esito sarà una razionalizzazione dall'alto, ovvero taglierà molti rami secchi, ma anche tanti rami vivi. Il danno lo avranno insegnanti, studenti e genitori. È questa razionalizzazione che si vuole? Spero proprio di no, spero che sia una razionalizzazione che liberi le energie positive delle scuole autonome e paritarie, ovvero una razionalizzazione che ponga fine allo statalismo e avvii un sistema scolastico di fatto pubblico.
(Gianni Mereghetti)
SOCIETA'/ Cresce l'allarme droghe in Italia, si compra anche online: a quando una vera campagna educativa? - Redazione - sabato 8 novembre 2008 – Il Sussidiario.net
Lisbona, 6 novembre 2008. «Le buone notizie non mancano: sembra infatti che il consumo di sostanze stupefacenti in Europa si sia stabilizzato e si possono osservare progressi nel modo in cui gli Stati membri dell’UE affrontano la questione» hanno affermato Marcel Reimen e Wolfgang Götz, responsabili dell’Osservatorio Europeo delle Droghe e delle Tossicodipendenze, a commento della nuova Relazione annuale 2008: evoluzione del fenomeno della droga in Europa [leggi qui]. L’Italia non sembra però invitata alla festa: e non è una sorpresa.
Se nell’UE si osservano segnali di stabilizzazione o declino nel consumo di cannabis va notato che l’Italia si colloca tra i primi posti in Europa, con la Spagna, nel consumo di questa droga: l'11,2% della popolazione tra i 15 e i 64 anni ne ha fatto uso nell’ultimo anno, e il 5,8% nell’ultimo mese. Unica notazione: dal 2006 in avanti in Spagna si è avuto un rallentamento nel consumo grazie a specifiche campagne di prevenzione [leggi qui], mentre in Italia l’uso di cannabis è, come quello di tutte le droghe, in costante aumento [cfr. ilsussidiario.net]. Grave anche la situazione dell’abuso di cocaina, soprattutto tra la popolazione giovanile: se nell'ultimo anno 3,5 milioni di persone tra i 15 e i 34 anni, e 2 milioni tra i 15 e i 24 anni, ne ha fatto uso nell’UE, l’Italia si distingue ancora in negativo: nell’ultimo anno il 3,2% della popolazione italiana tra i 15 e i 34 anni l’ha consumata, avvicinando il nostro Paese ai consumi record di Spagna e Regno Unito. Secondo l’Osservatorio Europeo il costo sociale pagato dal nostro Paese a causa del consumo di sostanze illecite è rilevante: pari a circa 6473 milioni di euro, in gran parte destinati alle attività di polizia e per il resto suddivisi tra servizi sociali e sanitari, perdita di produttività dovuta ai consumatori di droga e al disagio vissuto indirettamente dalla comunità.
Particolare preoccupazione per le famiglie italiane nasce poi dall’allarme lanciato dall’Osservatorio sull’aumento di “negozi di droga on line”. Che Internet fosse il nuovo crocevia delle droghe lo aveva già sottolineato il prof. Fabrizio Schifano al Convegno “Dipendenze. Nuovi scenari e nuovi approcci. Aspetti tecnici e scientifici” tenutosi a Verona nel maggio-giugno 2007 [leggi qui]: il Web sta diventando l’avamposto dei trafficanti delle droghe sintetiche (come l’ecstasy) e delle droghe “ecologiche” (piante, funghi, erbe con qualità psicoattive). Un fatto ben recepito, e da tempo, dai produttori, dai trafficanti, e dagli esperti di marketing che ne curano gli interessi e hanno fiutato l’enorme business che si dischiude con la piazza di Internet. Il Regno Unito sembra concentrare almeno la metà di questi negozi, ma va ricordato che il pericolo per gli adolescenti italiani (soprattutto se muniti di carta di credito) è dietro l’angolo: pochi genitori e insegnanti sanno, ad esempio, che se un ragazzo cerca di raccogliere informazioni sulla cannabis in una delle note “enciclopedie” on line si imbatte facilmente in articoli che ne banalizzano l’uso, la presentano come innocua, ne vendono i semi, o invitano a manifestazioni in cui questa droga è promossa.
Di particolare interesse inoltre l’allegato, che accompagna la Relazione, Drugs and vulnerable groups of young people [leggi qui]: lo studio riassume e presenta i fattori di rischio che producono, nella vita dei bambini o degli adolescenti, l’avvicinamento all’alcol e alle sostanze stupefacenti. Tra questi fattori si sottolinea finalmente l’importanza della famiglia, vittima in Italia di una continua svalutazione, basti pensare alla tempesta che da diverse parti si abbatte su di essa, continuamente erosa dalla “fabbrica dei divorzi” come l’ha chiamata lo studioso Massimiliano Fiorin [leggi qui]. Secondo l’Osservatorio: uso di sostanze psicoattive in ambiente famigliare, abbandono, conflitto tra i coniugi, assenza di controllo e di monitoraggio sulla vita dei figli da parte dei genitori, bassi livelli di interazione tra genitori e adolescenti sono condizioni che determinano esponenzialmente il rischio di caduta negli stupefacenti.
Sta finalmente cambiando, poi, anche l’atteggiamento dei giovani europei verso le droghe: un’indagine di Eurobarometro [leggi qui] ha mostrato che una percentuale compresa tra l’81% e il 96% degli intervistati ritiene elevato il rischio connesso al consumo di sostanze quali eroina, cocaina ed ecstasy. Le opinioni riguardo al consumo di cannabis sono invece meno omogenee: Eurobarometro fa notare che, nell’Europa dei giovani, assistiamo a una posizione ancora indecisa, sebbene in netto mutamento positivo: il 67% dei giovani europei vuole che l’uso libero (legalizzazione) di marijuana e hashish venga impedito. L’Italia però rappresenta, anche rispetto alla più giudiziosa assertività mostrata dai ragazzi europei verso questa droga, il fanalino di coda: il terzultimo posto. Negli adolescenti italiani non sono cresciute infatti, rispetto agli anni passati, la percezione dei rischi e la disapprovazione dell’uso di cannabis: essa è maggiormente tollerata e considerata meno rischiosa delle altre droghe, atteggiamento privo di attenzione e responsabilità, che si manifesta soprattutto man mano che i ragazzi crescono.
Secondo l’Osservatorio, nonostante tutto, l’Italia sta tentando di colmare il ritardo (con Malta e' stata fino a poco tempo fa l'unico paese a non essersi dotato entro il 2005 dell'organico piano di lotta alle droghe quadriennale previsto dall'Unione Europea): «il primo piano d’azione dell’Italia in materia di droga interesserà un periodo di tempo di un anno e sarà seguito da un piano d’azione quadriennale (2009-2012), che si sincronizzerà con il nuovo piano d’azione dell’UE». E in effetti il Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio, Carlo Giovanardi, ha presentato il 15 ottobre a Palazzo Chigi la nuova Campagna informativa 2008 del Dipartimento per le Politiche Antidroga, sugli effetti negativi per la salute derivanti dall’uso di tutte le sostanze psicoattive. Spot radio e video [leggi qui], oltre a qualche pagina sui giornali nazionali, cominciano a comparire con un messaggio chiaro: «Le droghe, tutte le droghe, anche se prese una sola volta danneggiano il cervello». Attendiamo dunque, con un po’ di fiducia, gli sviluppi e gli esiti di questa nuova iniziativa. Purché porti a una svolta decisa.
(Antonello Vanni, curatore della documentazione scientifica del libro “Cannabis. Come perdere la testa e a volte la vita” di Claudio Risé, San Paolo Ed., www.claudio-rise.it)
SCIENZA &VITA - «Alimentazione e idratazione sono sostegno vitale ineliminabile, le volontà del paziente sono espresse nell’alleanza terapeutica e non sono vincolanti, al medico spetta l’ultima parola» - Legge sul fine vita «Tre i punti fermi» - Roccella: partire dai pareri del Comitato per la bioetica Castagnetti e Binetti: regole chiare e impegno culturale - DA ROMA PIER LUIGI FORNARI – Avvenire, 8 novembre 2008
Punti importanti di consenso nel convegno 'Quale legge sul fine vita?', nell’ambito del 5° incontro nazionale delle associazioni locali di Scienza & Vita. Dopo una comunicazione del governo curata dal sottosegretario al Welfare, Eugenia Roccella, si è svolta una tavola rotonda alla quale hanno partecipato Pierluigi Castagnetti e Paola Binetti del Pd, Carlo Casini europarlamentare dell’Udc, il sottosegretario all’Interno Alfredo Mantovano e Laura Bianconi del Pdl, Massimo Polledri della Lega. I copresidenti dell’Associazione, Bruno Dallapiccola e Maria Luisa di Pietro, nel presentare il dibattito, hanno ricordato il comunicato del 25 settembre di Scienza & Vita con il quale, prendendo atto dei recenti pronunciamenti giurisprudenziali e dell’orientamento del Parlamento, si manifestava l’intenzione di «partecipare al dibattito pubblico su un’ipotesi legislativa».
Ed appunto sulla necessità di fare una legge hanno convenuto i parlamentari presenti, prendendo atto degli stessi fattori menzionati dall’associazione. Su questa strada sono tre i punti di consenso raggiunti. In primo luogo, il fatto che alimentazione e idratazione siano considerati un sostentamento vitale ineliminabile, e non un trattamento sanitario. C’è convergenza anche sul fatto che le volontà del paziente devono essere espresse all’interno dell’alleanza terapeutica e non sono vincolanti. E dunque, terzo aspetto, l’ultima parola spetta al medico.
Sono punti di convergenza manifestati nell’ambito di sensibilità diverse, ma c’è l’impegno ad avviare un approfondito dibattito che le faccia collimare. In questo senso Casini ha dato tra le sue «indicazioni metodologiche » il raggiungimento dell’unità e un confronto in umiltà tra i politici cattolici, unità che può avere un’estensione più ampia e quindi portare al successo. Castagnetti ha sottolineato l’esigenza di un lavoro culturale accanto a quello legislativo. In questo senso la Binetti ha individuato nell’«esaltazione senza limiti» delle libertà il valore che si oppone alla difesa della vita. «Bisogna mettere delle fondamenta culturali solide, da questo verrà una legge valida», ha osservato Mantovano, valida in modo da resistere alle forzature già tentate da alcuni magistrati. La Bianconi ha espresso la necessità dell’incontro di deputati e senatori sensibili alla difesa della vita per chiarire alcuni punti che ancora non sono ben definiti. «Dobbiamo essere uniti – ha confermato Polledri –, senza, però, nessun cedimento sui valori fondamentali». Al centro del dibattito è anche il rifiuto netto del testamento biologico, su questa base la Roccella ha riproposto come base per una legge il parere del 2003 con il quale il Comitato nazionale per la Bioetica raggiunse l’unanimità sulle dichiarazioni anticipate di trattamento (dat), ponendo tra le condizioni che esse abbiano carattere pubblico, siano redatte in forma scritta, da soggetti maggiorenni, capaci di intendere e di volere, informati, autonomi e non sottoposti ad alcuna pressione, con la possibilità di nominare un fiduciario. Secondo quel parere le dat, ha ricordato la Roccella, non possono contenere «disposizioni aventi finalità eutanasiche, che contraddicano il diritto positivo, le regole di pratica medica, la deontologia». Ed il medico non può essere costretto a fare nulla che vada contro la sua scienza e la sua coscienza. Nel 2005 poi il Cnb, in un altro parere, decise a maggioranza che alimentazione e idratazione sono sostentamenti vitali e non trattamenti sanitari.
La norma che il Parlamento può varare sul fine vita sarà una nuova 194 o una nuova legge 40? Unanimemente i partecipanti al dibattito hanno optato per una legge chiara come quella sulla fecondazione assistita, che espliciti con chiarezza il 'no' all’eutanasia passiva ed attiva. «Puntiamo ad un compromesso alto, come la legge 40, quindi ad una vittoria, mentre la 194 ha segnato un momento di sconfitta per la difesa della vita», ha assicurato la Roccella. In merito al prossimo pronunciamento della Cassazione dell’11 novembre, il sottosegretario ha osservato: «Se la Cassazione dichiarasse eseguibile la sentenza della Corte d’Appello di Milano sul caso di Eluana, sarà una esecuzione in tutti e due i sensi della parola».